Il mito dei Veneti presso gli Sloveni

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RAJKO BRATOZ Il mito dei Veneti presso gli Sloveni ESTRATTO DA QUADERNI GIULIANI DI STORIA ANNO XXVI, N. 1, GENNAIO-GIUGNO 2005 DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA VENEZIA GIULIA

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RAJKO BRATOZ

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni

ESTRATTO DA

QUADERNI GIULIANI DI STORIA

ANNO XXVI, N. 1, GENNAIO-GIUGNO 2005

DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA VENEZIA GIULIA

IL MITO DEI VENETI PRESSO GLI SLOVENI

Alla base delle diverse teorie autoctonistiche sull'origine degli attuali Sloveni stanno due ipotesi, che sono già da tempo considerate sorpassate e fuorvianti. Per la prima ipotesi il popolo (o, meglio, la moderna nazione) (1) sarebbe in sostanza una formazione biologica, o quantomeno biologico-sociologica, di cui si possono chiaramente defi­nire l'origine genetica, il tempo e il luogo dell'origine, nonché uno svi­luppo considerato lineare e durato più secoli, se non addirittura millen­ni. La seconda ipotesi, altrettanto erronea, considera la coscienza etnica di un gruppo e la sua lingua come due categorie inseparabili, inscindi­bili l'una dall'altra dagli inizi fino ai giorni nostri. Queste due premes­se, variamente semplificate e volgarizzate, costituiscono ancor oggi una componente importante della moderna coscienza nazionale, su cui si accumulano sterotipi nazionali, false opinioni e miti storici. Questi insorgono nel momento in cui un'idea priva di ogni reale fondamento viene ad assumere forme elaborate e definite, fino a essere percepita da una parte rilevante della società come verità storica assoluta.

I

Un esempio in tal senso ci viene offerto dalla genealogia del Vecchio Testamento, in cui si ha una chiara ed evidente linea di svilup­po a partire dalla creazione dell'uomo, con il diluvio ed il salvataggio di Noè come punto decisivo della storia. Nelle diverse interpretazioni medievali la genealogia biblica giocò un ruolo importante anche per il formarsi di idee autoctonostiche presso gli Slavi. Nella sua Cronaca Kieviana (1100 circa) Nestore ricondusse l'origine degli Slavi al figlio di Noè, Jafet (2); a questi Slavi egli aggiunse in seguito anche gli Illiri e

(1) Non ci addentreremo nella complessa questione terminologica (stirpe, gens, ethnos, popolazione, popolo, nazione ecc.). Cfr. in generale WENSKUS 1961; BRUNNER, MERTA 1994, soprgttutto pp. 9-26 (Walter PoHL); per il caso sloveno nell'ultimo perio­do: MELIK 2000; SnH 2000; KRAHwlNKLER 2000; MIHELIC 2000, soprattutto pp. 839-845; BRATOZ 2000, pp. 978-1009 (relazioni di un dibattito); KAHL 2002, pp. 26-40.

(2

) Genesi 10, 2-5.

18 Rajko Bratof,

poi i Norici (?) (3). Le idee sull'autoctonia degli Slavi si fecero strada in tutta una serie di cronache medievali e della prima età moderna in Russia, Polonia e Boemia (secoli XIII-XVI) (4). La storiografia bizanti­na aveva adoperato a volte per gli Slavi i nomi di popoli antichi, come i Geti (Getae) (5); altrettanto fece la storiografia medievale per l'area slava meridionale (Gothi) (6

) e occidentale (Unni, Sarmati, Vandali, Venet(h)i, Rugi ecc.) (7). L'imposizione di tali nomi portava con sé fin dal principio l'idea di una origine autoctona degli Slavi. Circa alla metà del secolo XVI queste idee riemersero in vari autori che erano originari dall'attuale territorio sloveno. Sigismund Herberstein fu il primo a far derivare ex natione laphet l'origine degli Slavi nei territori centro- e bassodanubiani (ad Danubium, ubi nunc Hungaria est et Bulgaria). In un ampio catalogo di popoli (circa 20 nomi diversi) quest'autore com­prese tra gli Slavi tre antichi gruppi, ovvero i Norci (Norici) sul Danubio, i Misy (Mesi) e quanto rimaneva dei Vandali (Vuandalorum reliquiae) nella Germania settentrionale (8

). Secondo questa concezione gli Slavi dei territori danubiani sarebbero divenuti cristiani già nell'età apostolica: quest'affermazione si basa sul viaggio missionario di Paolo "fino all'Illiria" (Romani 15, 19), di cui parlano numerosi autori tardo­antichi e medievali (9).

(3) Die Nestor Chronik, a cura di D. TSCHIZEVSKIJ, Wiesbaden 1969. Gli Slavi fanno discendere la loro origine dal figlio di Noè, Jafet (p.)); le popolazioni slave del Norico e dell'Illiria (pp. 5-7 e commento alla p. 298). Cfr. Smr 1997, p. 29; in partico­lare MIHELIC 2000, p. 908.

(4

) MIHELIC 2000, p. 910. (') Per es. THEOPHYLAKTOS 3, 4; 6, 6; 7, 2 (Geti assimilati agli Slavi); Kos 1902,

nn. 98; 108; 118; si veda WEIS, KATSANAKIS 1988, nn. 34; 38; 45. (

6) In ambito slavo meridionale: Anonymus presbyter Diocleas, Ljetopis popa

Dukljanina, Praef.: "Libellum Gothorum, quod latine Sclavorum dicitur regnum"; 1-2; 5: "Gothi qui et Sclavi"; edizione a cura di F. SrSré, Beograd - Zagreb 1928, pp. 292; 294; 298; THOMAS ARCHIDIACONUS, Historia Salonitana, cap. 7, 1-4; edizione a cura di O. PERié, M. MATIJEVIé SOKOL e R. KAneré, Split 2003, p. 32: "Gothi a pluribus dice­bantur et nichilominus Sclavi "; Historia Saloniana maior, 7-10; 13, edizione a cura di N. KLAié, Nada, Beograd 1967, pp. 89; 93; 106. Questa idea fu ripresa anche dal croni­sta veneziano Andrea DANDOLO, Chronica, dd annum 830: "Sclavi ... qui a Gothis ori­ginem duxerant".

(7) REISINGER, SOWA 1990, pp. 34-39. (') Sigismund HERBERSTEIN, Rerum Moscoviticarum commentarii, in MIHELIC

2000, pp. 911-913. (

9) Cfr. BRATOZ 1999, pp. 28-30; MIHELIC 2000, p. 908.

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Sull'identificazione degli Slavi con gli Illiri si fonda anche l'idea che San Gerolamo avesse inventato la scrittura glagolitica (10

). Le origi­ni di questa credenza rinviano a un falso documento attribuito ad Alessandro Magno, ma in realtà risalente al secolo XIII. Il documento afferma che nell'anno 335 avanti Cristo, prima dunque della campagna contro i Persiani, gli Slavi avrebbero ricevuto dal giovane re macedone enormi territori che si estendevano dall'Europa del Nord fino all'Italia meridionale, in segno di gratitudine per la loro fedeltà e il valore dimo­strato nelle imprese militari (11

).

Rispetto all'identificazione degli Slavi con gli Illiri (meno di fre­quente anche con altri popoli antichi dell'area danubiano-balcanica, come Norici, Mesi, Traci, Daci, Sciti), oppure con le antiche popolazio­ni dell'area dell'Europa centro-orientale (come i Venet(h)i e i Vandali), o con infine con altri grandi popoli dominanti nel periodo delle invasio­ni (come i Goti, gli Unni, qualche volta anche gli Avari), l'idea che gli Slavi fossero originari dai Veneti dell'Adriatico settentrionale ebbe un ruolo molto meno significativo. Punto di partenza di questa concezione era la tradizione presente in tutta l'antichità sull'origine di questo popo­lo. Dopo la guerra di Troia gli Enetof, già alleati con i Troiani, sarebbe­ro emigrati dalla Paflagonia, insieme con l'eroe troiano Antenore e a un gruppo di Troiani sopravvissuti, dirigendosi prima a ovest e poi risalen­do l'Adriatico verso nord, fino allo sbocco dell'Adige (12

). Questa leg­genda venne recepita nel Medioevo anche dalla cronachistica locale, sia pure in versioni tra esse divergenti (13

). L'antica tradizione sulla guerra di Troia e sulla susseguente migrazione fu ripresa durante il secoio XV nella teoria dell'origine (paflagonico)-troiana dei Veneti, ora identifica­ti agli Slavi (14

). Tra le tradizioni germaniche a essa assimilabili ebbe un

(10

) MIHELIC 2000, pp. 908; 911; 956.

(1') MIHEuc·2000, p. 909: "Qui nobis semper in fide veraces, in armis strenuis­simi nostri milites et coadiuitores robustissimi fuistis, damus vobis hanc totam plagam terrae quae extenditur ab Aquilone usque ad partem ltaliae Meridionalis".

(12

) OMERO, Iliade 2, 852; VIRGILIO, Eneide 1, 242-249; LIVIO 1, 1, 1-4; per la tra­dizione mitologica cfr. UNTERMANN 1978, coll. 862-863; GRILLI 1991.

(") Origo civitatum ltaliae seu Venetiarum, editio prima, a cura di R. CESSI, Roma 1933, p. 7, linee 31-34: Antenore fondò Aquileia; editio secunda, ivi, p. 58, linee 3-4: "Qui (ovvero i Veneti) de Troia precellima ci vitate deinde exierunt". Quest'idea era fortemente radicata intorno alla metà del VI secolo; cfr. GIUSTINIANO, Novella 29, Praefatio (a cura di R. ScHOELL e W. KROLL, Berlin7 1959, p. 218): i Veneti fondatori di Aquileia.

(14

) STIH 1997, p. 27; MIHELIC 2000, pp. 911, 915-916.

20 Rajko Bratoi.

ruolo particolare solo la tradizione "gotica", che trovò espressione nella cronachistica medievale croata (15

).

La concezione dell'origine troiana dei Veneti-Slavi è presente in tutta una serie di autori delle attuali aree slovena e croata dal XVI al XVIII secolo. Vinko Pribojevié, che nel suo scritto De origine successi­busque Slavorum (Venezia 1532) si definì Dalmata et proinde lllyrius ac demum Slauus, considerava slavi i Troiani-Veneti (16

). Nell'introdu­zione alle Arcticae horulae (1584), Adam Bohoric scriveva, secondo un'opinione comunemente accettata, che Heneti, Veneti, Windi, Wandali et Sciavi erano uno stesso popolo (eadem gens), anche se indicato con vari nomi. Anch'egli come Pribojevié considerava la guerra di Troia il primo avvenimento significativo della storia slava; il territorio di inse­diamento di questo popolo si sarebbe esteso dal Mar Baltico fino all' Adriatiaco settentrionale (17

). Quest'opinione però non era certo uni­versalmente condivisa. Wolfgang Lazius, sostenitore delle concezioni "progermariiche", nella sua celebre opera De gentium aliquot migratio­nibus ... libri XII (1557; seconda edizione 1572), accettava che all'origi­ne del popolo veneto ci fossero i Paflagoni: ma essi dovevano essere stati molti simili ai Galli, non tanto per la lingua, quanto per i loro costu­mi e l'aspetto fisico (18

). Alla fine del Seicento Johannes Ludovicus Schonleben, nei suoi annali Carniolia antiqua et nova, presentava una teoria sull'origine germanica dei Veneti, già proposta da altri in prece­denza. Egli concordava con la concezione di Bohoric che i diversi etno­nimi Heneti, Veneti, Vindi e Vandali corrispondessero a un solo popolo; egli però era del parere che questo popolo, come in generale tutti gli Slavi, risalisse a un comune gruppo germanico, linguisticamente etero­geneo. Tale "soluzione di compromesso" lo condusse a formulare la tesi (storicamente del tutto infondata) che già nel 336, ai tempi della guerra di Costantino a nord del Danubio, gli Slavi Vendi si fossero spin­ti per la prima volta in Carniola (19

). Affermazioni molto simili si ritro­vano nella monumentale opera Die Ehre des Herzogthums Krain di Johann Weichard Valvasor, il cui il principale collaboratore per la parte storica fu Erasmus Francisci. Di nuovo con riferimento a Bohoric si

(15

) Si veda la nota 6.

(16) MnIBLrc 2000, pp. 910-911.

('') KRAHwlNKLER 2000, pp. 412-413; MIIIBLIC 2000, pp. 915-916.

('') Mnrnuc 2000, p. 869. (19

) SCHONLEBEN 1681,.pars I, pp. 201-202; pars III, pp. 219-220; Mnrnuc 2000, pp. 883 e 954; per la guerra infine CEDILNIK 2004, pp. 41-45.

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dichiarava che "Heneti, Veneti (più spesso Venedi), Vindi, Vandali e Slavi" dovevano essere "un medesimo popolo che aveva la stessa origi­ne", sebbene non possedessero una lingua comune. In Valvasor, Francisci si trova già espressa la concezione per cui nella classificazio­ne dei popoli ha valore decisivo non tanto la lingua, quanto "das Vaterland oder Heimat", la patria o il paese natio (20

). Tale presupposto portava l'autore a concludere che questo popolo (i Vendi o, meglio, i Vandali), che avevano vissuto nella loro patria d'origine - nell'area della Vistola, dell'Oder e del Mar Baltico - in comunione con popola­zioni germaniche, non dovesse essere distinto dai Tedeschi. Anche egli, come SchOnleben, datava l'arrivo dei Vendi (Slavi) in Carniola nell'an­no 336 (21

).

La maggior parte degli autori del secolo XVIII si oppose all'iden­tificazione dei Veneti con i Vendi e gli Slavi. A negare lappartenenza dei Veneti agli Slavi fu in primo luogo lo storico moravo Johannes Christophorus de Jordan nel libro De originibus Slavicis (Vienna 1745). Per lui l'etnonimo Venedi era comune a tre popoli diversi: i Paflagoni dell'Adriatico settentrionale, i Germani del Mar Baltico e i Celti sulla costa atlantica nell'area della bassa Loira; solo successivamente i Germani avrebbero introdotto la definzione di Venedi per gli Slavi: e precisamente per i Sarmati Venedi tra il Don e il Volga (22

). Marcus Hansiz (morto nel 1766), nell'opera postumaAnalaecta seu Collectanea pro historia Carinthiae concinnanda (Klagenfurt 1782), propose un'o­rigine germanica çmche per il popolo celtico dei Carni (23

). Karl Gottlob Anton, nelle sue Erste Linien eines Versuches uber der Alten Slawen Ursprung (Lipsia 1783), considerava "Henedi, Venedi, Vendi" popoli slavi, il cui nome originario doveva però essere stato Serbi (fatti coinci­dere con gli Sciti) (24

). Da questa identificazione prese le distanze Anton Linhart nel primo tomo dell'opera Versuch einer Geschichte von Krain (

25). D'accordo con l'opinione dominante nei secoli precedenti egli

accettava la tradizione mitologica sulla provenienza dei Veneti

(20

) VALVASOR 1689, II, V, p. 190; MIHELIC 2000, pp. 890-891 e p. 954. (

21) VALVASOR 1689, II, V, pp. 191-196: lingua, costumi, patria ecc,; p. 211, l'an-

no 336; MIHELIC 2000, p. 819. (

22) MIHELIC 2000, pp. 919-920 e p. 958.

(23

) MIHELIC 2000, p. 935. (

24) MIHELIC 2000, p. 926.

( 25) LINHART 1788 = LINHART 1981, pp. 5-161 (traduzione slovena) e pp. 351-374 (commento).

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dell'Adriatico settentrionale dagli Eneti della Paflagonia e dai profughi troiani, dopo la caduta di Troia; seguendo la Cronaca di San Gerolamo ne dava addirittura l'esatta datazione: 1181 avanti Cristo (26

). Linhart collocava invece l'arrivo degli Slavi in Carniola al tempo della guerra di Costantino contro i Sarmati a nord del basso Danubio nell'anno 334, quando l'imperatore vittorioso avrebbe insediato sul territorio romano oltre 300 .000 Sarmati. L'affermazione si basa sulla posizione errata dei Wendi accanto ai Sarmati che si può trovare nella Tabula Peutinge­riana (27

).

Gli autori che vanno dal XVI al XVIII secolo, abbiano accolto l'una o l'altra teoria circa l'origine dei popoli, non furono certo anima­ti da intenzioni politicamente aggressive: anzi, non ebbero affatto una posizione ideologica ben definita. Le loro simpatie si spiegano soprat­tutto con la provenienza territoriale, con la formazione culturale, con le esperienze stesse di vita. Gli autori di origine o di ambiente slavo, Pribojevié, Herberstein, Bohoric, forse anche Trubar (28

), furono inclini a sostenere l'autoctonismo slavo: i popoli antichi che prendevano in esame, o almeno alcuni di essi, sarebbero stati i predecessori degli Slavi contemporanei. Gli altri, Tedeschi di nascita o di orientamento preva­lentemente tedesco, come Schonleben, Francisci, Valvasor e in parte anche Hansiz (ma anche altri), sostennero l'autoctonismo germanico. Tra questi, in maggioranza, è comunque riconoscibile lo sforzo di for­mulare una "teoria di compromesso", accettabile da entrambe le parti: popoli dell'antichità, ossia i Veneti-Vendi, erano predecessori degli Slavi; la loro origine però era comune con i Germani (Tedeschi) e dun­que appartenevano al mondo germanico. Alla fine del secolo XVIII gli autori più importanti avevano cominciato a proporre teorie nuove. Hansiz aveva accennato alla questione solo di sfuggita; Linhart tentò invece di tracciare precisi confini tra i vari gruppi etnici dell'antichità romana e del periodo delle migrazioni dei popoli (Volkerwanderungs­zeit: quella che nella tradizione storiografica italiana si chiama comune­mente "età delle invasioni barbariche"). In questo modo egli, sulla base

(26

) LINHART 1788,ppitolo I,§ IX (pp. 18-20) = LINHART 1981, pp. 18-19 e p. 356 (§ 9, commento di J. SASEL).

(27) LINHART 1788, capitolo y, § XXXIV,pp. 415-420 = LINHART 1981,pp. 157-

159; p. 374 (§ 34, commento di J. SASEL); pp. 376-378, commento di B. GRAFENAUER; cfr. MIHELIC 2000, pp. 944 e p. 960.

(28

) Per la presa di posizione di Trubiy:, che nel 1550 si definì "Philopatridus Illyricus"(!), cfr. GRAFENAUER 1988, p. 378 e STrn 1997, pp. 27-28.

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di una ipotesi erronea, fece risalire la prima presenza degli Slavi nel ter­ritorio dell'attuale Slovenia ai tempi dell'imperatore Costantino.

II

Nel corso del XIX secolo e all'inizio del XX le teorie sulla prove­nienza autoctona degli Sloveni acquistarono tratti marcatamente politi­ci, offrendo un contributo all'epoca della nascita e affermazione della coscienza nazionale come mezzo di rivendicazione politica ed ideologi­ca. In principio, nell'età napoleonica, vi fu la "teoria illirica": essa trovò la sua espressione nella poesia di Valentin Vodnik Ilirija ozivljena (Illiria risorta, 1811), composta all'epoca delle "Province Illiriche", un prodotto della storia che portava un nome volutamente anticheggiante, ma inesistente al tempo dell'antica Roma (29

). La concezione autoctoni­stica che stava in fondo della teoria "illirica" rimase viva fino alla metà del secolo XIX e trovò la sua espressione migliore nel poeta e linguista Jakob Zupan (1785-1852). Anton Krempl nel libro Dogodivsine Stajer­ske zemle (Avvenimenti della terra stiriana), scritto nel 1845, riprende­va la tesi sull'origine slava degli antichi Illiri, Norici e Veneti; mentre il suo più giovane contemporaneo Matevz Ravnikar-Pofoncan dichiarava già in modo più esplicito la provenienza veneta degli Slavi. A tali visio­ni autoctonostiche furono inclini anche altri storici, etnologi e linguisti del tempo (3°).

Nella seconda metà del secolo XIX un nuovo concetto si fece avanti nello sviluppo delle teorie autoctonistiche. Gli autori più antichi (a partire dal XVI secolo) avevano in genere difeso l'autoctonismo per l'attuale Slovenia e per una più ampia area circostante (Alpi orientali, Balcani occidentali, Adriatico settentrionale). Ora invece, accanto alle precedenti concezioni circa lorigine slava o addirittura slovena degli antichi popoli insediati su questi territori, presero forma più ardite e aggressive teorie sulla derivazione slavo/slovena di diverse altre popo-

(29

) Le "Provincie Illiriche" su un'area che andava da Ragusa (Dubrovnik) fino alla Carinzia sono paragonabili approssimativamente alla Provincia romana dell'Illyricum dopo la guerra illirica di Ottaviano del 35-33 a.C. (su un'area che va dal-1' attuale Slovenia occidentale e centrale fino all'Albania), ma non corrispondono terri­torialmente a nessuna formazione amministrativa dell'antichità romana. Cfr. anche GRAFENAUER 1988, p. 379.

(3°) GRAFENAUER 1981, pp. 17-18; GRAFENAUER 1988, pp. 379-380; STIH 1997, pp. 29-30.

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!azioni, in Europa e addirittura in altri continenti. Davorin Trstenjak (1817-1890) avanzò la tesi agli Slavi un tempo appartenessero non solo (quasi) tutti gli antichi popoli dell'area in questione (Pannoni, Norici, Veneti dell'Adriatico settentrionale), ma anche di altre parti d'Europa: Marcomanni, Longobardi, Svevi, Vindelici, Vandali, Veneti della Gallia nord-occidentale, Vendi, Vindi. Non si fermava qui; gli antichi slavi tro­vavano posto anche al di fuori dell'Europa: tra gli Eneti della Asia Minore e addirittura tra gli Indiani d'America (31

). Il suo metodo di lavo­ro si basava su un etimologismo dilettantesco, che traeva ispirazione da alcuni risultati della linguistica del tempo. Grazie ad elementi accostati senza reale fondamento scientifico, Trstenjak riuscì a trovare un'origine "slovena" per tutti i nomi: di persona, geografici, di divinità, di singoli oggetti. Egli adottò anche un'ingenua concezione dell'etnografia stori­ca, ritrovando presso i popoli antichi tratti del carattere "sloveno", quali il valore, la natura pacifica, la tolleranza e la laboriosità. Non mancò infine di rifarsi alle opere d'arte, individuando i lineamenti "sloveni" nei volti di sculture e rilievi di monumenti tombali norico-pannonici. Nelle sue elaborazioni Trstenjak muoveva dalla sincera intenzione di raffor­zare le posizioni slovene nella battaglia politica e ideologica contro il nazionalismo tedesco.

Un carattere ben più aggressivo ebbe l'autoctonismo slavo/slove­no negli scritti di Davorin Znnkovic (1858-1940). Negli anni preceden­ti alla prima Guerra Mondiale egli compose tutta una serie di pubblica­zioni, tra cui anche un libro dal titolo programmatico, Die Slawen, ein Urvolk Europas, che nel 1911 era già arrivato alla sesta edizione. Mentre Trstenjak aveva esposto le sue teorie in modo tutto sommato decoroso, in mezzo a dubbi e cautele (tanto che poco prima di morire pubblicò una ritrattazione di quanto aveva in precedenza scritto), Znnkovic si espresse sempre in maniera decisa e apodittica. Per lui gli Slavi erano senza alcun dubbio il primo popolo europeo, come confer­mavano ovunque le testimonianze linguistiche. L'audacia etimologica, di caratteristica di Znnkovic, lo condusse a soluzioni assurde e persino estremamente volgari (32

). Egli interpretò come slovene iscrizioni etru-

(") Kos 1982, pp. 63-70.

(32) Per esempio l'etimologia di Suez come 'svez', 'unione'; il Canale di Suez

dovt(_va essere staJo costruito per gli interessi dei Fenici, dall'autore assimilati ai Veneti, cfr. Zunkovic in ZUNKoVJt, VERBOV!iEK 1998, p. 80; l'etimologia volgarizzata del nome di Eva (come 'Jeba', ossia 'fottuta'), cfr. GRAFENAUER 1988, p. 353.

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni 25

sche; anche l'antica scrittura runica germanica poteva essere compresa solo sulla base delle lingue slave. Le migrazioni dei popoli erano sol­tanto una menzogna storica: negare l'autoctonia degli Slavi per lui significava avallare la peggiore follia e falsità scientitifiche di tutti i tempi (33

). Alcuni collaboratori di Zunkovic, come Ivan Topolovsek ( 1851-1921) arrivarono persino a concepire un'espansione originaria degli Slavi a livello mondiale (34

).

Oltre Zunkovic, il più significativo sostenitore della teoria autocto­nistica nei primi decenni del Novecento fu Henrik Turna, suo coetaneo (1858-1935), avvocato e uomo politico operante a Gorizia e a Trieste fino all'avvento del fascismo. Anche per Turna gli Slavi, o meglio gli Sloveni, andavano identificati con i Veneti e dovevano essere conside­rati i primi abitatori dell'intera Europa. Egli fu il primo tra i fautori del­l'autoctonismo a propugnare decisamente, grazie a una particolare eti­mologizzazione dei nomi geografici, l'origine degli Sloveni dai Paleo­Veneti (35

). Con le sue tesi Turna fornì così il punto di partenza per la nascita del moderno mito ideologico (ldeologem) dei Veneti presso gli Sloveni.

Nel secondo Dopoguerra si formarono altri due miti ideologici nazionali che vale la pena di presentare brevemente. Negli ambienti del­l'emigrazione, politica slovena, che aveva trovato in Occidente rifugio all'oppressione del regime comunista jugoslavo, prese forma la teoria scandinava sulla origine degli Sloveni. Ne fu ispiratore Frane Jeza, che nel 1967 pubblicò a Trieste lo studio storico-linguistico-etnografico Skandinavski izvor Slovencev (L'origine scandinava degli Sloveni). In questo libro, come nello studio apparso un decennio dopo a Buenos Aires O kljucnih vprafanjih rane karantansko-slovenske zgodovine (Sulle questioni chiave della protostoria carantano-slovena), l'autore tentò di dimostrare che nella struttura sociale e nella lingua degli Slavi Carantani e successivamente degli Sloveni gli elementi portanti erano quelli dei popoli scandinavi (36

). Proposta senza una sufficiente cono-

(33

) ZUNKovrc 1911; Zunkovic in ZUNKOvrc, VERBOVSEK 1998, soprattutto pp. 85-92 (etrusco e germanico antico considerati slavi); p. 116 ("i resti linguistici etruschi ... sono in notevole parte n~sti romanizzati della lingua slava"). Un breve giudizio in GRAFENAUER 1988, p. 380; STIH 1997, p. 31.

(34

) I. Topolovsek comp9se l'opera sulla parentela linguistica degli Indogermani, Semiti e Indiani; cfr. in breve STIH 1997, p. 31.

( 35) TUMA 1929; cfr. a questo proposito STIH 1997, pp. 29-30. (36

) JEZA 1967; JEZA 1977. L'autore parla di una "religione originaria scandina-

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scenza linguistica e studi adeguati, l'ipotesi non è stata più ripresa da nessun altro, né ha avuto un'eco degna di nota (37

).

Sorte simile è toccata alla . teoria etrusca, sviluppata negli anni Settanta in una serie di articoli giornalistici, ma esposta in un libro solo nel 1984 (38

). L'idea degli Slavi progenitori degli Etruschi non era nuova: già nel 1853 Jan Kollar, poeta ceco e panslavista convinto, l'a­veva introdotta in un'ampia monografia dal titolo Staroitalia slavjanskd (L'Italia antica slava), tanto che ancora mezzo secolo dopo per Zunko­vic era pacifico parlare degli Etruschi come di antenati degli Sloveni (39

).

Il nocciolo di questa teoria era molto ambizioso: si trattava di decifrare la lingua etrusca, che i glottologi dell'epoca non avevano ancora potuto interpretare. Due autori, Ivan Rebec e il criptologo Anton Berlot - la coppia ci ricorda a prima vista i giustamente famosi scopritori inglesi della scrittura Lineare-E - giunsero alla conclusione che l'etrusco fosse comprensibile con l'ausilio dello sloveno. Decisivo per provare la vali­dità della teoria fu il tentativo di A. Berlot di leggere e tradurre i testi etruschi: rispetto a essi - a suo avviso - lo sloveno moderno presentava solo una "modernizzazione dell'espressione linguistica". Con questo mettodo egli asserì di aver interpretato non solo i testi etruschi, ma anche i più antichi testi latini (Lapis niger), veneti e celtici come monu­menti di una lingua proto-slovena (40

). L'ipotesi era però mal concepita e sviluppata: furono considerate etrusche persino alcune parole stranie­re moderne passate nell'attuale sloveno; anch'essa pertanto non ebbe alcuna risonanza, sebbene chiaramente fosse molto più attraente della teoria scandinava (41

).

vo-slovena", affermando inoltre che tra gli Sloveni ci sono centinaia, se non migliaia, di termini risalenti al primo periodo nordico. A suo giudizio sarebbero addirittura 20.000-30.000 le parole che non suonano sufficientemente "slave", e quindi rimosse dal the­saurus lessicale sloveno dai linguisti di orientamento panslavistico per essere sostitµite da altrettante parole slave. Cfr. a questo proposito GRAFENAUER 1988, pp. 382-383; STIH 1997, pp. 32-33.

(37

) Giudizi cri!ici su questa teoria in GRAFENAUER 1988, pp. 382-383; GuSTIN 1990, pp. 116-117; STIH 1997, pp. 32-33; giudizi elogiativi su queste ipotesi in SCHROCKE 1996, pp. 52-54.

(38

) BERLOT, REBEC 1984. (39

) Cfr. Zunkovic in ZUNKoVIc,VERBovSEK 1998, pp. 88-90. (

40) KASTELIC 1987, con la citata opinione sul valore della "Decifrazione"; SNOJ

1984; cfr. anche GRAFENAUER 1988, pp. 383-384.

(41

) Mentre l'autore della teoria scandinava non ha trovato alcun seguace, la disputa sulla teoria etrusca nel 1977, così come riportata da SNOJ 1984, p. 714, mostra un'ampia eco (più di 30 interventi) e un'accoglienza sostanzialmente favorevole: circa la metà dei relatori assunse una posizione positiva nei confronti della teoria, l'altra metà rimase negativa o neutrale.

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni 27

III

Passato il clamore della teoria etrusca, caduta nell'oblio relativa­mente in fretta, ha preso forma tra gli Sloveni il mito ideologico dei Veneti. Se teniamo presente il numero delle pubblicazioni, l'eco, la popolarità e persino la sua diffusione internazionale (a opera di sosteni­tori entusiasti), esso ha di gran lunga superato ogni precedente teoria del genere sulle origini slovene. Prima di presentare le concezioni fonda­mentali di questo mito, vogliamo brevemente accennare alle circostan­ze che nel corso dei secoli XIX e XX ebbero un influsso sempre mag­giore sulla nascita delle varie teorie autoctonistiche tra gli Sloveni.

All'epoca della decisiva fase di formazione della loro coscienza nazionale, gli Sloveni vivevano in un clima di continua minaccia da parte di vicini più forti, soprattutto di lingua tedesca, talvolta con la sen­sazione che sul loro popolo gravasse una vera e propria sfortuna stori­ca. L'immagine che avevano del proprio passato e la loro stessa coscien­za storica presentavano aspetti palesemente pessimistici. Tali sentimen­ti si manifestavano in tutta una serie di stereotipi storici, per i quali le colpe di questa miserevole condizione venivano sempre addossate a questi vicini più forti ed aggressivi: agli inizi della storia slovena gli Avari; nel millennio seguente soprattutto i Tedeschi. I promotori di que­sti stereotipi, ampiamente diffusi nei testi scolastici e nella vita politica pubblica (42

), avevano preso ispirazione anche dal famoso capitolo sugli Slavi nella Quarta Parte (ovvero il tomo XVI) delle ldeen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit di Johann Gottfried Herder ( 1791) (43

), in cui gli Slavi venivano lodati per qualità come la natura pacifica, lo zelo, il senso dell'ospitalità ecc. Particolarmente gradita era l'opinione del grande pensatore tedesco per cui gli Slavi, proprio per il loro amore per la pace, avessero sopportato molti abusi da parte dei loro vicini più violenti. In una interpretazione molto unilaterale, l'osserva­zione dello Herder portava talvolta alla conclusione che il destino era stato storicamente avverso per gli Slavi, ai quali era toccato in sorte di vivere con vicini come i Tedeschi o i Tartari. Non deve quindi sorpren­derci se il passo (in parte ritoccato!) dell'ormai famigerato capitolo sugli Slavi di Herder si ritrovi ripetutamente citato dai rappresentanti delle varie ideologie autoctonistiche e nazionalistiche (44

).

(42

) MELIK 2000, pp. 22-26; VILFAN 2001, pp. 46-47; STIH 2002, pp. 35-39. (

43) HERDER 1966, pp. 433-435.

(44

) VUGA 2002, p. 24; VUGA 2003, p. 2.

28 Rajko Bratoz

La letteratura storica slovena - e in parte anche la ricerca storica -fin dalla sua nascita, dalla fine del XIX secolo in avanti, ha portato l'im­pronta di stereotipi storici che solo in questi ultimi decenni sono stati in genere rimossi dai testi scientifici (ma in misura minore dai testi scola­stici). Sarà sufficiente accennare in seguito ad alcuni dei più importanti topoi storici, strettamente collegati quanto al loro contenuto, che hanno contribuito a incrementare la nascita di concezioni autoctonistiche. Essi hanno operato in due direzioni: hanno sviluppato un determinato ste­reotipo storico fino a farlo diventare un mito ideologico; oppure hanno dato spazio a un mito, provocando un sentimento di protesta contro lo stereotipo storico, assunto come interpreatazione errata o ideologica­mente condizionata delle vicende storiche.

Diffusa ampiamente era [1] l'idea di una sfortuna storica degli Sloveni, di una loro condizione di vittime o addirittura di martiri (45

).

Interpretando liberamente Herder anche gli Sloveni, come parte degli Slavi, si consideravano vittime dei vicini più aggressivi. Su questo sen­timento vittimistico si intrecciò [2] il "mito della servitù", per il quale gli Sloveni avevano dovuto vivere prima come sudditi degli Avari, poi per un millennio sotto i Germani/Tedeschi (46). La perdita di una forma statale autonoma e dell'appartenenza alla condizione sociale più eleva­ta veniva interpretata come un'oppressione, a un tempo nazionale e sociale. Quest'interpretazione, espressa con particolare sdegno dalla storiografia marxista nel secolo XX, accentuò ulteriormente l'esigenza di una liberazione nazionale e sociale promossa da parte dell'ideologia marxista. La storia slovena venne sempre più circoscritta agli strati sociali inferiori, soprattutto contadini, con la relativa lotta di classe; nel quadro così delineato gli appartenenti alle classi superiori ebbero il ruolo negativo di nemici e di sfruttatori insieme (47

). Su questi presup­posti nacque [3] l'idea (a volte mitizzata) di una germanizzazione dura­tura del territorio sloveno già a partire dall'epoca carolingia, ovvero per più di mille anni (48

). Strettamente legata ad essa [4] fu la denuncia di

(45

) Cfr. MELIK 2000, pp. 23-26; VILFAN 2001, p. 46; particolannente STIH 2002, pp. 35-39.

(46

) MELIK 2000, p. 24; VILFAN 2001, p. 46; STIH 2002, pp. 35-39; STIH 2002a, pp. 2-6.

V (47

) Cfr. VILFAN 1996, pp. 20-21; STIH 2001, pp. 64-66; STIH 2002, pp. 44-45; STIH 2002a, pp. 15-16.

(48

) Quest'idea compare in forma sfumata nelle opere dei principali medievalisti sloveni Milko Kos (1892-1972) e Bogo Grafenauer (1916-1995). Secondo tale posizio-

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni 29

grandi perdite territoriali da parte degli Sloveni, ridotti da un originario territorio di insediamento di circa 70 .000 km2 fino alla condizione attua­le: un po' più di 20.000 km2 nell'odierna Repubblica di Slovenia e in piccola parte negli stati confinanti. Questo vuol dire che oltre due terzi del territorio originariamente sloveno sarebbero stati sottratti dai vicini, tra i quali ancora una volta la parte del leone sarebbe spettata ai Tedeschi (49

). Inoltre è ancora predominante nell'opinione pubblica, e in parte anche tra gli intellettuali dell'area umanistica, l'identificazione etnica degli odierni Sloveni con i Carantani dell'Alto Medioevo, che sarebbe fondata su un'idea di etnogenesi come processo lineare defini­bile anche geneticamente (5°).

Questi e altri stereotipi storici - concezioni antiquate o del tutto erronee, divenute autentici miti e fatti propri dall'opinione comune-, hanno creato il sottofondo per teorie autoctonistiche che potevano offri­re un facile conforto e "spiegazioni" estremamente semplici, valide per tutti i problemi in questione. Si tratta nella maggior parte dei casi di una trasposizione dell'antagonismo tedesco-sloveno del XIX e della prima metà del XX secolo a epoche storiche anteriori: perciò della sua appli­cazione all'intera storia slovena. Alcuni di questi pregiudizi sono stati riconosciuti e chiariti solo nei tempi più recenti: la loro cancellazione definitiva dalla coscienza degli Sloveni rimane riservata a un futuro dif­ficile da prevedere. Un motivo analogo, che ha acquistato contorni netti solo nel secolo XX, è l'antagonismo sloveno-italiano, che ebbe origine soprattutto in seguito della perdita dei territori sloveni del Litorale (Primorska) dopo la prima Guerra Mondiale e con l'aumentata pressio­ne nazionalistica del regime fascista sugli Sloveni. Non è un caso che

ne circa 35.000 kmq del territorio di insediamento sloveno sarebbe stato "germanizza­to" già nel Medioevo, mentre altri 10.000 kmq circa sarebbero andati perduti con l'in­sediamento degli Ungari. Cfr. G~NAUER 1989, p. 206; GRJV'ENAUER 1992, p. 350. A confutazione di questa idea cfr. STIH 2002, pp. 40-41; 43-44; STIH 2002a, pp. 12-13.

(49

) Grafenauer in SIENCNIK, GRAFENAUER 1945, p. 5; sulle dispute sull'estensio­ne della Carantania cfr. KAHL 2002, pp. 316-400.

('0

) Kos 1996, p. 12, riguardo all'idea della formazione etnica degli Sloveni dagli Slavi alpini all'incirca nel periodo che va dalla metà dell'VIII alla metà del X secolo; a suo parere gli attuali Sloveni dovrebbero essere all'incirca della quarantaduesima gene­razione, periodo calcolato aritmeticamente in 1050 anni, assumendo per 9gni genera­zione una durata di 25 anni. Giustamente critico contro questa concezione STIH 2001, p. 61, nota 2. L'idea che gli Slavi alpini fossero già Sloveni intorno al 600 si trova persino in autori non sloveni (per esempio BARTON 1992, che parli!, di un'"ondata slovena" intor­no al 600). Per l'anacronismo di questa concs:zione cfr. STIH 2001, pp. 61-62; JARNUT 2000; KAHL 2000; KAHL 2002, pp. 401-412; STIH 2002, p. 42.

30 Rajko Bratoi.

tutti gli autori della moderna teoria dei Veneti (ed entrambi i fondatori della teoria etrusca) provengano dalla Slovenia occidentale, cioè da un territorio che nel periodo tra le due guerre appartenne all'Italia.

La terza motivazione fondante di questi miti, soprattutto di quelli contemporanei, è la reazione contro lo stereotipo storico di una storia nazionale di modesta apparenza: quella di un piccolo popolo insignifi­cante, al di fuori della "storia", che non ha creato quasi nulla in tutta la propria esistenza, confinato sempre in un ruolo di sudditanza e di eter­na sconfitta. Questo è il risultuto del prevalere per alcuni decenni di una storiografia marxista che limitava la storia slovena alla storia degli stra­ti sociali inferiori, soprattutto dei contadini. Ha preso sempre più il sopravvento, accanto a quella nazionale, una componente di classe, appoggiata dall'ideologia statale, la cui tesi fondamentale è che gli Sloveni siano stati affrancati dalla loro miseria sociale e nazionale solo dalla "rivoluzione socialista", nella "lotta di liberazione nazionale" durante la seconda Guerra mondiale (51

). Questi stereotipi, coltivati nel­l'ambito dell'allora stato jugoslavo, sono divenuti una componente por­tante della coscienza storica collettiva. Questo spiega perché nelle attua­li concezioni autoctonistiche, accanto ad antichi stereotipi nazionali e nazionalisti, sia entrato in gioco un secondo obiettivo da sconfiggere: l'ideologia statale unitaria jugoslava coi suoi presunti rappresentanti patriottici sloveni, tra i quali sono messi al primo posto gli storici "uffi­ciali", ovvero "fedeli al regime" delle Università e degli Istituti di ricer­ca storica.

IV

Il moderno mito dei Veneti, presentato con una prima pubblicazio­ne in lingua slovena nel 1985, venne diffuso in ambito internazionale con tutto il suo ambizioso programma solo attraverso il primo libro in tedesco del 1988, al quale hanno fatto seguito le edizioni complete in sloveno, italiano e inglese (52

). La sua idea di base non è originale, ma

(51) Per es. KARDELJ 1957, soprattutto pp. V-LXXVII (Prefazione alla 1 •e alla 2•

edizione); per)o sviluppo della storiografia slovena in questo periodo cfr. LUKAN 1987, pp. 161-164; STIH 2001, pp. 64-66; STh10NITI 2003, pp. 282-294. Cfr. per un simile svi­luppo nell'Europa dell'Est nello stesso periodo BIRiffi, LEMBERG 1961, pp. 19-45.

(52) ,SAVLI, BoR 1988 (edizione tedesca); BoR, SAV~I, ToMAZ!c 1989 (edizione

slovena); SAVLI, BOR, ToMAZ!c 1991 (edizione italiana); SAVLI, BOR, TOMAZIC 1996 (edizione inglese).

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni 31

al contrario ha alle spalle una storia lunga almeno quattrocento anni (53).

Poiché non vogliamo rimproverare a priori di epigonismo i promotori della moderna teoria dei Veneti, cercheremo di mettere in luce solo le sostanziali novità di un mito, che non si può definire nuovo, bensì solo rinnovato (54

).

Cominciamo dai fattori esterni. Il mito è stato presentato a valan­ga, in una catena ininterrotta di libri dai titoli sempre più pretenziosi, il cui numero supera già le due dozzine (55

); con i saggi e i brevi articoli giornalistici esso possiede ormai una vasta bibliografia (oltre cento tito­li!), che non è facile da controllare (56

). Il mito è penetrato profonda­mente nell'intero mondo di lingua slovena, ossia tra gli Sloveni nel loro stato (all'interno della Jugoslavia fino al 1991), nelle minoranze slove­ne degli stati confinanti e tra gli Sloveni della diaspora, facendo loro prendere posizione favorevole o contraria. Va comunque detto che agli autori non è riuscito di procurarsi uno spazio, se non in misura esigua, nel mondo scientifico internazionale. Tutte le pubblicazioni apparse sono state edite a spese degli autori; le citazioni nei periodici scientifici di diffusione internazionale sono state poche e, a parte rare eccezioni, negative, o per lo meno estremamene caute (57

).

(53

) L'idea dell'origine veneta della popolazione dell'odierna Slovenia e dei paesi limitrofi è presentata da Vinko Pribojevié (1532), Adam Bohoric (1584); un secolo dopo in senso "germanico" (gli slavi originati dai Veneti avrebbero fatto parte dei Germani) da Johannes Ludovicus Schonleben (1681) e da Erasmus Francisci e Johann Weichard Valvasor (1689); un secolo ancora più tardi da Karl Gottlob Anton (1783); nel secolo XIX in parte in Anton Krempl (1845: oltre ai Veneti avrebbero fatto parte degli Slavi anche gli Illirici e i Norici), da Matevz Ravnikar-Pofonean (1860 circaì_, in parte da Davorin Trstenjak (gli scritti del periodo intorno al 1880) e da Davorin Zunkovic (gli scritti del 1900-1910; oltre ai Veneti, sarebbero stati di origine slava anche altri popoli antichi). Il primo assertore esplicitamente sloveno della teoria veneta fu Henrik Turna, negli scritti successive al 1920.

(54

) Definito "un nuovo mito nella catena delle Alpi" da WEITHMANN 1990, che costituisce una delle migliori analisi di questa ideologia. L' epigonismo di questa conce­zione è stato messo in evidenza da MATICETOV 2000.

(55

) ToMA.Zrc 2003, dalla p. 123 (allegato), con un catalogo di 24 "nostri libri" del periodo 1989-2001. Già nel (sotto )titolo delle pubblicazioni principali il siguificato dei Veneti è andato in crescendo da Unsere yorfahren, "Nostri predecessori" (SAVLI, BoR 1988), a Progenitori dell'uomo europeo (SAVLI, BoR, ToMAZIC 1991), fino ad arriyare a First Builders of European Community "Primi creatori della Comunità Europea" (SAVLI, BoR, ToMAZ!c 1996).

(56

) Già in relazione al numero delle pubblicazioni il mito veneto non è parago­nabile a quello etrusco di un decennio precedente (un libro che rimase otto anni in atte­sa presso l'editore; circa 30 interventi su di esso).

(57

) WEITHMANN 1990; BERNARD 1998.

32 Rajko Bratoz

Anche in ambito sloveno sono state avanzate molte perplessità. La teoria vuole essere una nuova interpretazione completa della storia, della linguistica, dell'archeologia e dell'etnologia slovene: ma proprio i rappresentanti più illustri e internazionalmente riconosciuti di queste scienze, dal 1985 in avanti, nella maggior parte dei casi l'hanno ignora­ta (archeologi), oppure hanno preso semplicente atto di essa (linguisti, giuristi). Solo i maggiori specialisti nel campo delle scienze storiche ed etnologiche hanno preso una posizione precisa. La querelle ha avuto luogo al tempo della caduta della Jugoslavia e dell'inizio del nuovo Stato sloveno; essa ha avuto tutte le caratteristiche di una lotta ideolo­gica che ha trasformato una disputa specialistica in conflitti di opinione, che danno poco spazio all'oggettività scientifica e non hanno tempo per i giudizi razionali. La storia degli Sloveni ha assunto una durata più che doppia rispetto a quella comunemente accettata dagli storici "ufficiali": 32 secoli invece che 14. Gli avversari di questa nuova concezione sono subito stati denunciati e messi alla berlina: si tratta dei sostenitori delle "grandi ideologie al di fuori del territorio sloveno", dunque degli stra­nieri, che in effetti rappresentavano (e rappresentano) un ostacolo oggettivo. L'opposizione è venuta però anche da connazionali. Ed ecco giungere epiteti chiaramente dispregiativi: sono i "nemskutarji,jugosla­venarji, lahoni ali panslavisti" (in una traduzione approssimativa: i tede­scofili, gli unitaristi jugoslavi, i mangiaspaghetti e i panslavisti) (58

).

Passiamo ora alla sostanza del mito ideologico. In tutte le pubbli­cazioni principali esso è stato articolato in tre parti: un approccio stori­co, in cui si è operato soprattutto attraverso argomenti archeologici e topografici (Jozko Savli); una parte linguistica, decisiva per la fonda­zione della teoria, che apporta una "decifrazione" della lingua veneta e la sua traduzione in sloveno (Matej Bor); infine una terza parte, varia­bile, in cui in funzione del "campo di ricerca" al momento più adegua­to sono stati via via presentati il dibattito attuale e le ulteriori argomen­tazioni a favore della teoria (Ivan TomaZic). Nell'ultima edizione in inglese (1996) questa parte è circa due volte più ampia che nella prima edizione in tedesco di otto anni prima (1988) (59

).

L'argomentazione storica si basa sull'affermazione che i Veneti, progenitori degli attuali Sloveni e quindi parte del popolo paleoslavo,

(58) SAVLI 1990, p. 15; cfr. anche SAVLI 1995, pp. 13-15.

(59

) Si sono considerati soppr~ttutto: SAVLI, BoR 1988 (edizione tedesca); SAVLI, BoR, ToMAZl:c 1991 (edizione ital.); SAVLI, BoR,ToMAZl:c 1996 (edizione inglese).

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni 33

sono i portatori della cultura dei "Campi d'ume", che nella loro migra­zione intorno al 1200 avanti Cristo avrebbero occupato l'intero conti­nente europeo a partire dal centro Europa (cultura lusaziana). Tutte le denominazioni dei Veneti (gli Eneto{ di Omero nell'attuale Turchia set­tentrionale, gli Eneto{ di Erodoto dell'odierna Bulgaria nord-occidenta­le, i Veneti nell'area dell'Adriatico settentrionale, i Veneti della Bretagna meridionale, i Vendi dell'area baltica) si riferirebbero a un unico e iden­tico popolo di Veneti (60

). Dunque essi per origine sono assolutamente diversi dagli Slavi meridionali, da cui li dividerebbe "una netta linea di demarcazione nella lingua, nella storia, nella cultura del popolo e nel-1' organizzazione sociale". Gli Slavi meridionali si sarebbero formati infatti solo molto più tardi (V-VI secolo dopo Cristo), come ultimi tra i gruppi slavi; l'origine degli Slavi orientali è datata al II-III secolo dopo Cristo (61

).

Nel susseguente profilo topografico l'ipotesi viene appoggiata da una scelta di toponimi "veneti" in varie parti d'Europa. Essi emergono in maggior numero nell'area alpina e nei territori circostanti, nella Bretagna e Aquitania francesi, nell'Inghilterra centrale e meridionale, in Scandinavia; più sporadica la presenza altrove: Italia meridionale, Sicilia, Grecia, ecc. (62

). Ai tempi della "migrazione dei Campi d'ume", contemporanea alla migrazione dorica in Grecia e a quella dei Popoli del mare nel Mediterraneo orientale, i Veneti si sarebbero spinti - in base ai toponimi e agli etnonimi - anche in Asia Minore (Paflagonia, Frigia), arrivando in oriente fino alla Cina occidentale (il bacino del Tarim a Sinkjang e l'area dello Hoang-ho superiore) e all'India centra­le (63

); sarebbero però stati presenti anche nell'Africa settentrionale e nel Vicino Oriente (Siria, Palestina) (64

).

Con qualche riserva si afferma addirittura che con i Veneti andreb­bero identificati anche i Fenici; questi, insieme con gli Etruschi e con i Germani della Scandinavia, impararono la loro scrittura dai Veneti, che

('0

) )iavli irtSAVLI, BoR 1988, pp. 91-93; Savli in SAVLI, BoR, ToMAZ!c 1991, pp. 113-115; Savli in SAVLI, BoR, TOMAZIC 1996, p. 80.

(") Sayli in SAyr,1, BoR 1988, pp. 99-103; Savli in SAVLI, BoR, ToMAZ!c 1991, pp. 123-128; Savli in SAVLI, BoR, ToMAZ!c 1996, p. 88.

('2

) Sayli in SAyr,1, BoR 1988, pp. 167-173; Savli in SAVLI, BoR, ToMAZ!c 1991, pp. 210-216; Savli in SAVLI, BoR, ToMAZ!c 1996, pp. 163-169.

(63

) Savl! in SAVLI, BoR 1988, pp. 173-174; Savli in SAVLI, BoR, TOMAZIC 1991, p. 215 (India); Savli in ToMAZlc 1995, pp. 96-97 (Cina).

(64

) Savli in ToMAZIC 1995, pp. 89-90.

34 Rajko Bratoi.

diverrebbero in tal modo anche gli originali inventori dell'alfabeto (65).

Il loro territorio centrale si sarebbe comunque sviluppato dal Mar Baltico all'Italia settentrionale. I Veneti si sarebbero contraddistinti per tutta una serie di caratteristiche peculiari della cultura materiale, spiri­tuale, giuridica: l'economia alpina e campestre; l'allevamento di caval­li, cani e api; la metallurgia; la religione e la mitologia; gli elementi di democrazia percepibili nell'ordinamento giuridico (66

). Una sorta di "ponte" dalla Preistoria all'Alto Medioevo sarebbe rappresentato dal Norico, in cui le antiche popolazioni venete sarebbero sopravvissute ai tempi difficili dell'occupazione romana e agli sconvolgimenti avvenuti nella Tarda Antichità. Col nome di Sclavorum provincia (600 circa) e poi di Marca Vinedorum (630 circa) (67

), sarebbe stato unificato in una formazione statale sotto il re Samo tutto il territorio che va dall'interno dell'Adriatico settentrionale fin quasi all'odierna Berlino, e quindi una parte cospicua dell'allora patria veneta (68

).

Da questa lettura si potrebbe concludere che i Veneti siano stati per molti aspetti (area di insediamento, cultura materiale e spirituale, ordi­namento giuridico) uno dei popoli dominanti in Europa nel periodo prei­storico e nell'Antichità. I loro nemici culturalmente più arretrati e vio­lenti, i Celti, i Germani e soprattutto i Romani, sarebbero così i princi­pali colpevoli del declino della loro fiorente cultura. L'argomentazione storico-linguistica è concepita in modo "sincretistico". L'autore non solo adduce gli argomenti dei primi fautori dell'ideologia veneta (quali D. Trstenjak e H. Turna), ma si vale anche dei supposti risultati delle teorie scandinava ed etrusca, quando può tornare utile al suo scopo (69

).

Il "sincretismo" e la particolare "ecletticità" di questi metodi di lavoro

(65

) Savlijn SAVLI, BoR 1988, pp. 173-175; Savli in SAVLI, BoR, ToMAZJ:c 1991, p. 215; Savli in SAVLI, BoR, ToMAZJ:c 1996, p. 169.

(66

) Sayli in SAyLI, BoR 1988, pp. 155-166; Savli in SAVLI, BOR, ToMAZJ:c 1991, pp. 195-209; Savli in SAVLI, BQR, TOMAZIC 1996, pp. 151-163. Come ulteriori "prove" dell'autoctonia degli Sloveni" Savli (in ToMAZJ:c 1995, pp. 162-180) adduce persino la "casa veneta", il "cane veneto" ( = Windhund, levriero) e la razza equina (il cavallo di Pinzgau).

(67

) La prima definizione si trova in PAULUS DIACONUS, Historia Langobardorum, 4,7; la seconda in FREDEGAR, Chronicon, 4, 72.

(68

) Sa"._li in SAvp, BOR 1988, pp. 129-154; Savli in SAVLI, BOR, TOMAZIC !991, pp. 185-194; Savli in SAVLI, BoR, ToMAZJ:c 1996, pp. 119-150 (carta a p. 129); SAVLI 1995, p. 19 (carta).

(69

) Savli in SAVLI, BoR 198~, pp. 12,; 129-154; Savli in SAVLI, BoR, ToMAZl:c 1991, pp. 12; 87-88; 137; 209; 214; Savli in SAVLI, BOR, TOMAZIC 1996, pp. 1-2; 58-59; 102; 162-163; 168.

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni 35

si manifestano soprattutto in due modi: da una parte sono collegati fatti che non hanno assolutamente nessuna relazione reciproca; dall'altra sono ignorate le fonti giudicate non "conformi": come, per esempio, l'interpretazione dei toponimi nell'Anonimo di Ravenna. Quando la fonte non poteva venir ignorata, essa è stato minimizzata (è il caso di Gregorio Magno), oppure è stata interpretata in senso opposto, come Eugippio.

L'operazione in ogni caso ha raggiunto gli scopi prefissati. Da una parte c'è la vera storia di un popolo (prevalentemente) slavo-meridio­nale dell'area alpina orientale e sud-orientale in particolare, i cui inizi sono databili intorno all'anno 600, il cui sviluppo autonomo ven­ne interrotto tra il tardo VIII e il primo IX secolo, per passare sotto altri stati, soprattutto "germanici" o tedeschi, fino al secondo decennio del Novecento. Dall'altra è subentrato un nuovo quadro storico con dimensioni temporali, spaziali e di contenuti completamente diverse. Gli (Slo-)Veneti sarebbero stati un popolo pre- o protostorico, i cui inizi coincidono con l'epoca tardo-micenea, quella delle migrazioni doriche e dei Popoli del mare. Esso si sarebbe insediato e avrebbe coltivato la maggior parte dell'Europa e una parte dell'Asia Minore, oltre ad alcune aree isolate del Vicino e persino dell'Estremo Oriente. Si sarebbe sviluppato in un'area tra la Turchia e l'Inghilterra, tra l'Italia e la Sve­zia, tanto da non includere nel suo insieme solo la penisola Iberica, una parte notevole della penisola Balcanica e l'Europa dell'Est. Nonostan­te le disfatte subite da Celti, Germani e in particolare dai Romani, gli (Slo-)Veneti avrebbero mantenuto per tutti i secoli futuri il loro nucleo etnico essenziale: in particolare la lingua, la cultura materiale e spiri­tuale, l'ordinamento giuridico. Avrebbero dunque avuto il ruolo di "pro­tagonista della nazione europea" (7°). In quanto sloveno, l'autore di que­sto contributo può ben comprendere l'ammissione di un anonimo letto­re suo connazionale: "Però che bello sarebbe, se le cose fossero andate proprio così ... " (71

).

Il tentativo di decifrazione della lingua veneta, intrapreso dal poeta Matej Bor (non certo un linguista), non ha dato alcun risultato convin­cente (72

). Il suo metodo è comparabile a quello di Berlot per l'etrusco:

(7°) SAVLI 1995 (titolo del libro). (

71) MORITSCH 1997,p. 11.

(72) Bor invSAVLI, BoR 1988, pp. 177-356; Bor in SAVLI, BoR, ToMAZlè'.: 1991, pp.

217-437; Bor in SAVLI, BoR, ToMAZlè'.: 1996, pp. 171-420.

36 Rajko Bratoz

si tratta dell'adattamento di brevi testi epigrafici al lessico o meglio al suono dell'attuale lingua slovena. Le fonti per lo studio della lingua veneta sono veramente scarse: sono iscrizioni su monumenti funerari, su doni votivi e su utensili; in tutto circa 300 testimonianze (73

). Di esse all'incirca il 95% è stato ritrovato nell'Italia nord-orientale, in partico­lare in tre sole località (circa 210 reperti): più di 120 a Este, 66 a Lagole di Cadore e 23 a Padova. Altre iscrizioni, una ventina, provengono dalla valle della Gail e nei nodi stradali che portano all'alta valle della Gail (Carinzia sud-occidentale): Gurina, Wtirmlach, Findenig-ThOrl. Solo pochi reperti, cinque in totale, sono stati rin.venuti in territori dove attualmente si parla sloveno: nell'area isontina, sul Carso triestino e nei pressi di Trieste; mentre di alcune iscrizioni della Slovenia centrale e nord-orientale, che presentano alcune caratteristiche del veneto, non si è in realtà potuto stabilire con certezza la lingua (74

).

Anche all'occhio di un non-filologo ci sono alcuni aspetti che destano immediatamente sospetto. Matej Bor ha trovato elementi slavi non solo nella lingua veneta, ma anche in altre lingue dell'Italia antica. Col suo metodo infatti egli è riuscito a "decifrare" oltre ai testi veneti, anche testi etruschi e retici, e addirittura mesapici e japodici (dunque "illirici") (75

); ha stabilito inoltre la parentela dello sloveno con il moder­no lettone e il bretone (76

). È stato in grado di "decifrare" anche le iscri­zioni sugli elmi di Negova, nella Stiria, risalenti al V-IV secolo avanti Cristo: in particolare la cosiddetta iscrizione di Harigast, che a partire dal 1929 è stata considerata in certi ambienti la più antica iscrizione ger­manica e la cui lettura e interpretazione sono state continuo oggetto di manipolazioni nazionalistiche (77

). Un interrogativo sorge spontaneo: le lingue dell'area italica e dei territori contigui nel 500-200 avanti Cristo

('') UNTERMANN 1978, soprattutto coll. 856-861 (estensione spaziale e tempora­le); coll. 866-887 (scrittura e lingua); UNTERMANN 2002.

(74) ISTENIC 1985.

( 75) Bor in TOMAZIC 1995, pp. 71-81; Bor in SAVLI, BoR, TOMAZrc 1996, pp. 409-420.

(76) Bor in SAvu, BoR, ToMAZ!c 1996, pp. 324-331.

('7) Bor in $AVLI, BoR 1988, pp. 323-330; Bor in SAVLI, BoR, ToMA.Zrc 1991, pp. 270-272; BoR in SAVLI, BoR, TOMAZIC 1996, pp. 218-223. L'iscrizione HARIGASTl­TEIVAI nell'interpretazione e traduzione di Bor dovrebbe significare: "Battè i nemici e li cacciò anche"; secondo la lettura di Berlot, in BERLOT, REIIEC 1984, p. 170: "Darila az Tite Iva Jug", ossia: "(questo elmo) ho donato a Titus Iva Jug". I fautori della teoria ger­manica hanno interpretato l'iscrizione ("Harigasti Teivai ... ") nel senso di un'offerta sacrificale a "Harigast, il Dio ... ". Sul problema del significato di questa iscrizione cfr. ISTENIC 1983, pp. 327-331.

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni 37

erano davvero così simili, per struttura e lessico, da poter essere inter­pretate grazie soltanto alla "conoscenza" del veneto?

Attraverso il metodo "etimologico" (raffronto lessico-strutturale con lingue conosciute) lautore è venuto a convincersi del carattere slavo di questa lingua. Ha quindi puntellato i suoi risultati con un ulte­riore metodo "combinatorio", vale a dire il raffronto con altri testi simi­li nel contesto dei dati linguistici, archeologici e storici noti. Il lettore che nulla o poco conosce di linguistica è colpito dalla facilità dei suoi metodi: per ogni parola c'è una spiegazione, che si ricava dal ricorso a una lingua moderna come l'attuale sloveno. Se in un testo una partico­lare forma non si accorda con lo schema prefissato, si può sempre ren­dere adattare la testimonianza secondo l'interpretazione "corretta", aggiungendo una o più lettere "mancanti" o eliminando quelle "super­flue". Le "soluzioni" sono definite apoditticamente giuste, senza lascia­re mai spazio al dubbio o almeno alla riserva scientifica. Una simile "invenzione" dell'intera grammatica veneta (fonetica, fraseologia, morfologia, sintassi, stilistica, persino alcuni elementi di ritmica carat­teristici della poesia), caratterizzata da uno specifico "carattere slove­no", in realtà non ha convinto nessuno ed è stata quindi giustamente rifiutata da slavisti e slovenisti (78

).

Quello che disturba ancor di più son0 gli errori grossolani proprio nel campo del metodo "combinatorio". Anche nel caso in cui la lettura e l'interpretazione delle iscrizioni fossero giuste, il confronto con pre­cedenti iscrizioni greche e soprattutto con le contemporanee iscrizioni latine mostra chiaramente che c'è qualcosa che non funziona nella tra­duzione dei testi presi in esame. Contrariamente alla regola secondo la quale nelle iscrizioni funerarie e in quelle votive si trovano i nomi dei. defunti e dei supplici (79), per Matej Bor queste epigrafi sono, a parte poche eccezioni, anonime (8°). Per lui i monumenti funerari conterreb­bero soprattutto i ricordi della vita quotidiana, di cui conserverebbero le espressioni consuete, anche quelle più banali. In essi gli Sto-Veneti (ma anche gli Etruschi e in parte gli Illiri) si dimostrano soprattutto un popo­lo dedito al bere: la loro principale occupazione, oltre che andare a

(78

) SMC"DULAR 1990. (

79) UNTERMANN 1961, soprattutto pp. 140-171 (lessico dei nomi di persona

veneti); cfr. anche UNTERMANN 1978, soprattutto coll. 879-892. (

80) Nomi di persona Bojos, Rejtian, Teuta, Tinia: Bor in SAVLI, BoR, ToMAZl:c,

1989, pp. 318; 328; 363; 445; e anc,ora 2 etnonimi: Ruman(na) (=Romani) e Svovonicu (Sloveni, genitivo plurale): Bor in SAVLI, BoR, ToMAZl:c, pp. 362-363; 395.

38 Rajko Bratoi

cavallo, sarebbe stata appunto bere e cantare. Persino le loro iscrizioni funerarie contengono trivialità, riferimenti a ubriacature e addirittura espressioni oscene (81

).

Bor non si ferma davanti ai paradossi di una storia che solo lui è arrivato a comprendere e a illustrare. Ci sarebbe un'iscrizione etrusca che in base a questa "decifrazione" farebbe presupporre attivi contatti tra gli Etruschi e gli Ittiti sul suolo italico. Essa viene interpretata come un ammonimento rivolto agli Etruschi (Rasenna) di non bere assieme agli Ittiti (82

). Non turba minimamente l'autore che attraverso questa sua singolare lettura la "testimonianza" epigrafica confermerebbe la presen­za degli Ittiti (un popolo dell'Asia Minore, che non ha lasciato alcuna tracce sicura persino nella tradizione dei Greci) oltre mezzo millennio dopo il loro declino, collocato all'incirca nel 1200 avanti Cristo. Non solo il popolo ittita sarebbe ancora esistito, con il nome originario; ma una parte di esso si sarebbe insediato in terra italica, trafficando in maniera intensiva con i Rasenna/Etruschi (83

). Bor è convinto che gli Etruschi fossero molto vicini ai Veneti, tanto da proporre talvolta una completa identità tra i due popoli (84

). Anche gli Etruschi avevano una forte inclinazione al bere: l'amore per i piaceri della vita sarebbe appun­to un elemento "slavo" nella cultura etrusca (85

). Una fonte, per la quale si dovrebbe riscrivere la storia (se si accettasse l'interpretazione propo­sta), viene così presentata tranquillamente come un potenziale affaire di bevute in comune tra gli Ittiti e gli Slo-Veneti.

Ci sono sorprese ancora maggiori. Nella nuova interpretazione della prima delle tre iscrizione di Pyrgi (intorno al 500 avanti Cristo) il testo farebbe riferimento al "duca Velianas" (ojebadjej Velianas) come

(81

) Bor in ~AVLI, BoR 1988, pp. 265-276; Bor in SAVLI, BoR, ToMAZlc 1991, pp. 284-294; Bor in SAVLI, BoR, Ts>MAZlc 1989, pp. 249-268; 386-390; Bor in TOMAZIC 1995, pp. 40-45, 54-60; Bor in SAVLI, BoR, ToMAZlc 1996, pp. 244-254.

(82

) Bor in ToMAZlc 1995, pp. 20-22; 55-56; Bor in SAVLI, BoR, ToMAZlc 1996, pp. 354-355 e pp. 391-393.

(83

) La più tarda significativa iscrizione ittita è l'iscrizione del principe Azitawadda (circa 730 a.C.), che governò uno staterello neoittita nel nord della Siria: cfr. Fischer Weltgeschichte, 4, Die Altorientalischen Reiche, III, Frankfurt am Main 1967, p. 165; per gli stati successivi agli Ittiti (XII-VIII/VII secolo a.C.) cfr. soprattutto J. D. HAWKINS in The Cambridge Ancient History, 111/1, Cambridge 1982, pp. 372-441: p. 378); brevemente Der Neue Pauly 6, 1999, coll. 518-533.

(84

) Bor in ToMAZlc 1995, p. 37: "I Rasenna erano una parte degli Etruschi non arrivati dall'Asia Minore, ma dal Nord. Dunque come i Veneti, con i quali furono un solo identico popolo".

(85

) Bor in ToMAZlc 1995, p. 23; Bor in SAVLI, BoR, ToMAZlc 1996, p. 355.

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni 39

a un signore slavo-sloveno (sai cluveni) (86). Gli Slavi/Sloveni avrebbe­

ro dunque costituito in territorio italico una forma statale organizzata, come contemporanei e connazionali di Ittiti ed Etruschi. Facciamo un semplice confronto con quelle che sono le concezioni degli storici "uffi­ciali": questo "documento" sugli Slavi/Sloveni sarebbe precedente di oltre mille anni rispetto alle più antiche testimonianze su questi popoli, quelle di Procopio e di altri scrittori del secolo VI dopo Cristo. Queste fonti peraltro parlano di Slavi nell'Europa orientale, nei Balcani orien­tali e nell'area medio-danubiana (87

). È soprattutto nel campo dell'ono­mastica che la fantasia prevale: accanto al già citato Velianas - sempre su iscrizioni etrusche - si identificano anche un signore (Avles Beluskes, secondo la lettura proposta) e un soldato di origine "slava" (Marcesié) (88

). Una delle iscrizioni venete di A teste dovrebbe esse a sua volta la prova dell'esistenza del gruppo dei Cosezi (Edlinger, 'uomini liberi'), caratteristico della società e del diritto dei Carantani nell'Alto Medioevo (89

). Per la storiografia slovena le prime forme di signoria autonoma sono comunemente identificate nei principi carantani, intorno alla metà del secolo VIII. Introdurre due nobili di epoca protostorica (VI-V secolo avanti Cristo), che per di più governarono in Toscana, comporterebbe il sovvertimento della visione storica corrente. Anche se l'inadeguatezza del "metodo" adottato appare qui ancora più evidente, l'autore può concludere la sua esposizione con una dichiarazione piena di compiacimento e orgoglio: la scoperta della morfologia slava nelle tavole grammaticali di Ateste "richiede una revisione della storia slove­na e persino europea, e di tutti i rami della scienza che di essa si occu­pano" (90

).

(86

) Bor in ToMAZ!c 1995, pp. 31-35; Bor in SAVLI, BoR, TOMAZIC 1996, pp. 366-369: nell'edizione inglese "sloveno" compare tuttavia con il punto di domanda.

( 87) WEis, KATSANAKIS 1988, pp. 25-51 (fonti greche per il periodo 512-582); REISINGER, SowA 1990, pp. 9-12; il primo documento epigrafico di uno Sclavus (come pars pro toto) è costituito dal carmen epigraphicum di Martino di Braga del 558, con riferimento ai rapporti nella natia Pannonia prima del 540: MGH, AA, Vl/2, pp. 194-195.

(") Bor in TOMAZ!c 1995, pp. 45-47 e pp. 57-58; Bor in SAVLI, BoR, TOMAZIC 1996, pp. 380-382 e pp. 393-395.

(89

) Bor in SAVLI, BoR, TOMAZIC 1989, p. 338. Per la questione dei Cosezi cfr. da ultimo KAHL 2002, pp. 189-214.

('0

) Bor in SAVLJ, BoR 1988, p. 354; Bor in SAVLI, BoR, TOMAZIC lQ,89, p. 426; nell'edizione italiana (SAVLI, BoR, TOMAZIC 1991) e nell'edizione inglese (SAVLI, BoR, ToMAZlc 1996) l'affermazione è tralasciata.

40 Rajko Bratoz

V

La terza parte del libro (o dei libri) sui Veneti, "Opinioni e com­menti" di Ivan Tomazic, divenuta sempre più ampia a ogni nuova edi­zione, riporta in forma di miscellanea il dibattito sorto intorno a questo tema: essa contiene una cronaca della diffusione e accoglienza della teo­ria, con una bibliografia quasi completa dei pareri favorevoli, di quelli critici e di quelli assolutamente contrari apparsi sulla carta stampata e negli altri media (per esempio, in trasmissioni radio e televisive). Qui Tomazic è pervenuto a nuovi risultati grazie al "metodo" in precedenza descritto, soprattutto sulla scorta di interprazioni delle fonti letterarie antiche e alto-medievali comunemente note. L'ultima edizione, in ingle­se, ha in parte modificato l'interpretazione (slo)-veneta dell'intero pas­sato europeo, andando nella direzione di un'autoctonia molto più pro­lungata: tra i progenitori dei Veneti viene annoverato anche l"'Otzi" tro­vato nei ghiacciai del Tirolo (datato intorno al 3300 avanti Cristo), come anche i portatori della cultura Vinea (circa 6000-4000 avanti Cristo) (91

).

Uno dei promotori di questa teoria ha dunque sottoposto a una profon­da revisione il mito dei Veneti, che all'inizio si basava su una migrazio­ne di popoli preistorici ("migrazione dei Campi d 'urne", intorno al 1200 avanti Cristo). In base a queste "revisioni" gli ihizi della storia slovena sono stati retrodatati in un primo tempo di duemila anni; poi a un'epo­ca da tre fino a cinquemila anni precedente. Alla teoria avrebbe offerto un apporto nuovo il ritrovamento dell'etnonimo "S(l)ovonici"/Slovenci su iscrizioni tardo-venete nelle Alpi Carniche (secolo II avanti Cristo) (92

). La teoria è difesa con zelo ammirevole ed energia infatica­bile sulla base di affermazioni sempre uguali e ricorrenti, utilizzando a volte come mezzo di argomentazione persino dialoghi con oppositori fittizi, oppure facendo appello al sentimento patriottico.

Ha offerto un appoggio significativo alla teoria veneta, allargando notevolmente gli orizzonti del dibattito con una serie di osservazioni aggiuntive, l'ampia recensione in russo di Pavel Tulaev che si intitola I Veneti, progenitori degli Slavi: essa rappresenta certamente un apporto autonomo al mito dei Veneti, anche se per alcuni aspetti l'autore si rive­la. sostanzialmente critico verso il tentativo degli autoctonisti slove-

(91) ToMAZic 1995, pp. 299-300; SAVLI, BoR, ToMAZic 1996, pp. 504-512.

(92

) TOMAZIC 2003, pp. 52-55.

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni 41

ni (93). Tra le osservazioni di Tulaev particolare attenzione merita quel­

la che presenta il punto di vista della pubblicistica storica e scientifica russa sulla questione dei Veneti a partire dal secolo XVI, nonché sulle implicazioni ideologiche della ricerca. Al lettore che poco o nulla cono­sce dello sviluppo della storiografia russa si apre un mondo di idee sor­prendentemente simili a quelle dell'area slovena, ma naturalmente con una produzione storiografica notevolmente più ampia: si tratta di con­cezioni autoctonistiche analoghe, se non uguali, che vengono però spo­state più a oriente, in area russa e nei paesi confinanti. L'idea dell'origi­ne etnica di tutti gli antichi Veneti è la stessa, con le medesime inter­pretazioni storiche: solo che al posto degli ( Slo )-Veneti qui spuntano gli Slavi, o per esser più precisi i Russi (94

). Negli autori russi (e in parte anche in quelli polacchi e cechi) orientati in senso autoctonostico da tempo circolavano posizioni analoghe, in cui però era la cultura lusa­ziana, identificata con quella veneta, a rappresentare il punto di svol­ta (9s).

Nell'elaborare le loro teorie gli autori russi avevano sempre opera­to su categorie e processi storici databili a un periodo che non andava oltre la prima metà del secondo millennio prima di Cristo. Pur con tutto l'appoggio offerto al mito sloveno dei Veneti e l'apprezzamento per la "grandiosa e geniale creazione" di Matej Bor, Tulaev dichiara giusta­mente che non c'è alcuna prova per unificare tutti gli antichi etnonimi definiti come Veneti (o in modo simile). Egli soprattutto identifica negli scritti degli autori sloveni un preciso elemento ideologico: la separazio­ne dagli Slavi meridionali (96

). Suona invece slavo-centrica, o più preci­samente russo-centrica, l'affermazione di Tulaev che i Pelasgi fossero protoslavi e che avessero caratteristiche ugualmente slave i popoli che nel periodo tra il XVII e il IX secolo avanti Cristo erano migrati dall'Asia Minore in Etruria (Lelegi, Veneti ecc.), tra cui il ruolo predo-

(93

) TULAEV 2000, pp. 5-124 (ristampa dell'edizione originale russa), pp. 129-166 (traduzione slovena delle parti principali del testo russo); pp. 171-184 (note e rias­sunto in inglese).

( 94) TULAEV 2000, pp. 16-32 (russo) ovvero pp. 134-141 (traduzione slovena). Tra i principali assertori del mito veneto fu anche M. V. Lomonosov. Secondo TULAEV 2000, p. 136, lo storico russo E. Klassen nella sua opera apparsa nel 1854 sulla storia antica degli Slavi ed in particolare dei Russi avrebbe affermato che "il troiano Enea doveva essere stato non solo slavo, ma addirittura russo", e così via.

(95

) TULAEV 2000, pp. 22-32 ovvero pp. 137-141 (presentazione delle varie opi­nioni degli autori del XX secolo).

(96

) TULAEV 2000, pp. 41 e 60 ovvero pp. 144 e 150.

42 Rajko Bratoz

minante sarebbe appartenuto ai Rasenna: questi sono senz'altro identi­ficati con i Russi (97

). Sempre in questo ordine di idee, la storia dei Vandali è interpretata come quella di un popolo slavo. Sotto il nome di questo popolo in realtà andrebbero riportati, oltre i Vandali stessi, altre popolazioni comunemente ritenute di origine germanica, dal tardo seco­lo IV fino all'VIII: i Rugi, gli Eruli, persino i Goti, sia pure con qualche riserva, sono ugualmente considerati apparentati agli Slavi. Il ruolo sto­rico dei Vandali in quel periodo sarebbe stato di straordinaria importan­za: la conquista dell' Illyricum, dell'Italia e della stessa Roma; la fonda­zione di uno stato slavo in Nordafrica, la cui élite militare avrebbe gio­cato un ruolo eminente anche dopo la conquista araba presso la corte dei califfi. Quella che da sempre è stata considerata una migrazione di popoli prevalentemente "germanica" diventa così principalmente "slava" (98

).

L'interpretazione russa, a confronto con il mito veneto degli Sloveni, riflette un atteggiamento ancor più antigermanico, o per meglio dire antitedesco. Diametralmente opposta è la concezione dei Veneti formulata da ambienti tedeschi nel secondo Dopoguerra da Walter Steller e di recente sistemata in modo più organico da Helmut Schrocke (99

). L'ambito cronologico e geografico di questo nuovo mito ideologico è tuttavia sostanzialmente più limitato. Il suo punto di par­tenza è costituito solo dai Veneti della parte orientale dell'Europa Centrale e del Mar Baltico, di cui le fonti cominciano a parlare a parti­re dalla seconda metà del I secolo e dall'inizio del II secolo dopo Cristo (Plinio il Vecchio, Tacito). Non è postulato alcun tipo di legame con la Paflagonia, l'Alto Adriatico o la costa atlantica della Francia. Le prove adottate sono tuttavia le stesse utilizzate dai sostenitori dell'ideologia slovena (e russa): accanto alle fonti scritte, i risultati della ricerca lin-

(") TULAEV 2000, pp. 65-73 ovvero pp. 152-155 (con una presentazione delle varie opinioni degli autori russi). A questa idea alludeva anche Bor in ToMAZl:c 1995, p. 37.

(98

) TULAEV 2000, pp. 88-123 ovvero pp. 156-165. Tra i nomi storicamente accertati sono stati indicati come slavi Radagais, Gunterich, Geiserich, Stilicho e altri; sarebbero stati imparentati agli Slavi i Rugi, gli Eruli (il re degli Eruli Rodulf), i Vagri (Vareghi), con qualche riserva persino i Goti: da questi si sarebbero sviluppati successi­vamente i "Balti", che emersero nello stesso contesto storico dei Veneti. Curiosamente anche Lutetia (Parigi) "molto verosimilmente" dovrebbe aver avuto una fondazione slava, da parte dei Liutizi, slavi occidentali.

(9') STELLER 1959; ScHROCKE 1996. Un giudizio critico su questa ideologia in KAHL 2002, pp. 436-461; cfr. anche KRAHwlNKLER 2000, pp. 408-413, soprattutto p. 412.

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni 43

guistica, i reperti della cultura materiale ed elementi della tradizione popolare.

Caratteristica di questa teoria è l'idea che i Veneti siano stati un popolo germanico: più precisamente i Vandali orientali. Con l'ausilio delle denominazioni dei Veneti nelle varie forme (Veneti, Venet(h)i, Winedi, Winidi ecc.) e di toponimi veneti nell'area che si estende tra il Baltico e l'Alpe-Adria, e a est e a nord fino alle odierne Estonia e Lettonia, ha preso forma l'idea di una grande area di insediamento ger­manico tra gli attuali Stati Baltici, la Polonia e l'area dell'Adriatico set­tentrionale e orientale (1°0

). Una prova del carattere germanico degli Sloveni è stata trovata da H. Schrocke proprio nella "teoria scandinava" di F. Jeza. In contrapposizione ai fautori russi, e in parte anche a quelli sloveni, del mito dei Veneti, per i quali Vandali, Rugi, Eruli e addirittu­ra i Goti (con le riserve del caso) sono considerati popoli slavi o quan­tomeno imparentati agli Slavi, era necessario postulare un'origine ger­manica per le popolazioni dell'Alto Medioevo insediate in territori geo­graficamente "compromettenti": gli Slavi del Baltico e dell'Elba (Obodriti, Pomerani, Sorbi, Vilzi, Liutizi, Evelli e altri), gli Slavi dell'Europa centro-orientale (Boemi, Moravi, Polacchi), quelli presenti nell'area delle Alpi e delle Prealpi orientali (Sloveni) e a ridosso dell'Adriatico orientale (Croati) (101

).

Insomma, confrontando le due opposte concezioni si deve conclu­dere che, sulla base delle medesime fonti, storiche, linguistiche e relati­ve alla cultura materiale, le popolazioni insediate all'incirca sullo stes­so territorio sono dichiarate dagli uni di origine slovena ossia slava, per gli altri germaniche o tedesche. Tutto questo denuncia una volta di più

('00

) STELLER 1959, soprattutto pp. 139-146, in confronto a SAVLI, BoR, TOMAZIC 1996, pp. 24-25 e p. 454, dove sono addotti solo 40 toponimi tra i "vendi" o "vindi'', Steller con i suoi quasi 130 nomi dello stesso tipo è stato molto più accurato; parimen­ti anche SCHROCKE 1996, soprattutto pp. 194-201 e pp. 231-234.

(101

) STELLER 1959, soprattutto p. 142: nell'area di insediamento dei "Vandali orientali" egli aveva compreso anche la Stiria e la Carniola sulla base dei toponimi "vindi"; ScHR6CKE 1996, soprattutto pp. 52-54, per l'ipotesi della derivazione germani­ca delle lingue slave ha fatto propria 1' affermazione di JEZA 1967, per cui un tempo ci sarebbero state nella lingua slovena migliaia di parole del germanico antico (nordico). ScHR6CKE 1996, pp. 194-201, ha interpretato anche la storia carantana e le particolarità sociali e giuridiche dei Carantani nel senso della teoria scandinava di JEZA 1967. Egli ha anche accettato (cfr. SCHR6CKE 1994, pp. 231-234) la cosiddetta teoria gotica sull'origi­ne dei Croati (cfr. in precedenza, nota 6). A confutare queste concezioni KAHL 2002, pp. 436-461; cfr. anche KRAHWINKLER 2000, pp. 408-413, soprattutto p. 412.

44 Rajko Bratof,

la difficoltà intrinseca delle concezioni storiche fondate su premesse ideologiche: si tratta di una vera e propria strada senza uscita.

Estranea alle contrapposizioni sloveno-slave/tedesche, ma nel­l'ambito dell'attuale polemica greco/macedone si inserisce l'ultima ver­sione di questo stesso mito: la teoria macedone dei Veneti (102

). Partendo dal presupposto che nell'Antichità Macedoni e Greci costituissero due fenomeni storici e linguistici tra loro completamente diversi, ha preso vigore una teoria autoctonistica che considera gli attuali Macedoni una etnia veneta, e dunque antico-slava. Questo nonostante i Veneti nell'et­nografia antica non fossero in alcun modo collegati all'area macedone. Le rare fonti antiche contraddicano apertamente un mito ideologico del genere (1°3

). Prendendo come modello il mito sloveno dei Veneti e usan­do i procedimenti in precedenza descritti (la ricerca storico-etimologica in questo caso si è fondata su appena 50 parole), è stata formulata l'i­potesi che gli antichi Macedoni, "uno dei popoli più illustri della storia" fossero di origine veneta, e di conseguenza slava. Il momento culmina­te della storia veneto-slava della Macedonia sarebbe stata l'epoca elle­nistica, in cui ci fu un'enorme espansione di stati e territori di insedia­mento veneto-macedone, con tutta una schiera di insigni personaggi, universalmente noti e presenti addirittura nelle Sacre Scritture. In que­sto modo Aristotele, Filippo II, Alessandro Magno, i Diadochi, i monar­chi ellenistici fino alla celebre Cleopatra, lo stesso evangelista Luca diventerebbero Macedoni-Veneti, ossia Slavi. Persino gli imperatori della dinastia macedone dell'impero bizantino (867-1056) avrebbero posseduto "i caratteri genetici degli antichi Macedoni" slavi (1°4

).

VI

Nel 1995, due anni dopo la morte di Matej Bore dopo che un sostenitore della teoria dei Veneti aveva ammesso sconsolato che "né

('02

) DONSKI 2002, con dati letterari anteriori. ('

03) I più vicini all'area macedone erano gli Enetof nell'attuale Bulgaria nordoc­

cidentale. ERODOTO 1, 196 parla degli Enetof tra gli Illiri (quindi non tra i Macedoni), mentre secondo APPIANO, Beli. Mithr. 55 gli Enetof (assieme ai Dardani e ai Sinti) nell'85 a.C. avevano completamente saccheggiato la provincia romana di Macedonia, per cui il generale romano Silla avviò una campagna militare contro di essi.

('04

) DONSKI 2002, p. 90, nota 4, con rinvio a un proprio libro di cui non pOS§ia­mo disporre, dal titolo molto significativo: Jesus Christus and the Macedonians, Stip 2000; non abbiamo potuto vedere neppure un'altra opera dello stesso autore, Contribution of the Macedonians to the World Civilisation.

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni 45

l'edizione tedesca, ma neanche le edizioni italiana ed inglese avevano prodotto alcun tipo di ripercussione" (105

), si è delineata una "revisione" dell'ideologia veneta, in primis da parte di Ivan Tomazic. Vi è stato il tentativo, già descritto in precedenza, di scoprire tracce slovene nel periodo precedente al 1200 avanti Cristo; si è cercato inoltre di colmare maggiormente le lacune che il mito dei Veneti presentava rispetto a epo­che storiche già prese in esame, soprattutto la Tarda Antichità (106

). Allo stesso tempo si è tentato di ampliare l'ambito geografico del mondo veneto, rafforzando con nuovi elementi i capisaldi della teoria. Nel 2001 ha avuto luogo la Conferenza sui Veneti, nella quale una serie di rela­zioni di valore e significato quanto mai disparati ha trattato varie que­stioni: per esempio l'affinità tra lo sloveno e il sanscrito; i legami lin­guistici tra i Veneti e i Baschi; addirittura la "sopravvivenza" di una discendenza dei Veneti nei cosiddetti Wends dell'odierna Australia (1°7

).

Ci sono stati anche alcuni interventi di reale importanza scientifica. Il linguista e comparativista sloveno Janez Oresnik ha espresso alcune misurate e acute considerazioni circa l'uso del metodo linguistico com­parativo per determinare l'affinità tra le varie lingue. L'originaria paren­tela tra due lingue (come, poniamo, quella slovena e quella veneta) si potrebbe accertare solo nel caso di un gran numero di parole o coppie di parole corrispondenti in entrambe le lingue per somiglianza semantica e morfologica. L'affinità invece non può essere testimoniata da parole onomatopeiche e singoli esempi isolati (108

). Se si addottasse questo metodo per verificare il rapporto tra il veneto e lo sloveno, la teoria veneta e le altre teorie autoctonistiche, come la scandinava e 1' etrusca, fondate su una presunta parentela linguistica crollerebbero come un

(1°5) Milan V. Smolej in TULAEV 2000, p. 127.

(1°6) Citiamo solo tre esempi: (1) L'interpretazione (slo)veneta della Vita Severini

di EUGIPPIO, secondo la quale tutte le menzioni dei barbari, che nello scritto si riscon­trano circa 30 volte, si riferiscono agli Sloveni; si postula l'insediamento sloven9 nel­l'attuale Bassa Baviera (p.es. Batavis/Passau, Quintanis!Kuzing); Tomazic in SAVLI, BoR, ToMAZ!è'. 1996, pp. 465-466. (2) Una analoga interpretazione degli excursus etno­logici in GIULIANO, Oratio 3(2), 17 (edizione a cura di J. BIDEZ, Paris 1932, pp. 143-144), dove si afferma che gli Eneto( dell'Adriatico settentrionale fino alla metà del IV secolo avevano conservato le peculiarità della loro lingua - sicuramente slovena - e che allora occupavano anche la Pannonia e la Mesia (I. Gorenc in PERDIH, RANT 2002, pp. 60-65). (3) Infine TomaZic ha anche risolto il problema quasi insolubile dell'origine dei fratelli Canzi martirizzati ad Aquileia nel 304: dovevano essere sicuramente sloveni.

(1°7) PERDIH, RANT 2002, pp. 112-121; 151-166; 227-232.

(1°') ORESNIK 2002, soprattutto p. 110.

46 Rajko Bratoz

castello di carte (109). Lo stesso vale per il tentativo, proposto di recente,

di provare l'affinità dello sloveno con l'accadico e le "più profonde radici comuni" di queste due lingue (110

).

Una nuova strada verso il passato più remoto della storia "slove­na", addirittura l'Età della Pietra, sarebbe stata aperta grazie alla teoria, definita "rivoluzionaria", della "continuità in linguistica", che di recen­te è stata adattata al caso sloveno da Lucijan Vuga, il principale asser­tore di questa teoria (m). Ne è risultato non tanto una conferma del mito degli Veneti, com'è stato proposto negli ultimi vent'anni, quanto una sua trasformazione nel mito degli Sloveni dell'Età della Pietra. A para­gone con tale concezione i Veneti, in quanto fenomeno storico o lingui­stico, diventano soltanto una fase evolutiva relativamente tarda. In una storia degli Sloveni fatta iniziare al VII millennio avanti Cristo, l'età dei Veneti, con i suoi monumenti linguistici risalenti all'incirca al 550-150 avanti Cristo, finisce quasi coll'appartenere all"'Età moderna" di un popolo esistente da quasi 6000 anni.

Le teorie di Vuga sono presentate in un libro del 2003 il cui titolo promette molto: Davnina govori (Parla la preistoria) (112

). In apertura esso riporta come epigrafe la citazione di Herder, più volte ripetuta (e sostanzialmente interpolata), sui Tedeschi "banditi" e sulle loro "vessa­zioni" contro gli Slavi: "Gli Slavi non sono banditi come i Tedeschi" (113

). In una materia già di suo confusa, dove non è possibile

(109

) JEZA 1967 ha contato da 20.000 a 30.000 parole scandinave nella lingua slo­vena, senza però riuscire a dare una spiegazione convincente quasi per nessuna. La teo­ria etrusca si basa su una lettura "adattata" di testi antichi, con una quantità di afferma­zioni prive di senso completamente inutilizzabili. Anche la lettura dei testi veneti (ma anche etruschi, mesapici e japodici) è stata adattata da Bor secondo i fini della teoria, con arbitrarie separazioni e combinazioni di parole; lo stesso dicasi dei recenti tentativi di ToMAZIC 2003, pp. 49-55, che presenta in particolare la lettura di due iscrizioni, in una delle quali si è identificata la parola Venetken (= veneto), nell'altra la parola Siovonicu (=degli Sloveni), entrambe quindi di significato epocale per l'affermazione della teoria veneta. Nonostante questi adattamenti il risultato è stato miserando: una lin­gua "slovena" quasi incomprensibile e foneticamente impr9babile con costruzioni par­ticipiali artificiose e posizione delle parole innaturale: cfr. SIVIC-DULAR 1990.

(n°) VUGA 2000, pp. 101-122. Una teoria simile è stata di recente formulata in Ungheria. Essa sostiene la presunta parentela tra l'ungherese e il sumero: cfr. T. FAZEKAS, Die Herkunft der Ungarn, in corso di pubblicazione; sono grato a Tiborc Fazekas per la cortese comunicazione.

(Ili) VUGA 2002, soprattutto pp. 28 e 30; VUGA 2003. (

112) Il libro ha ben quattro sottotitoli, altrettanto programmatici: "Gli Sloveni nei

loro attuali territori fin dall'età della pietra"; "Teoria della continuità"; "Teoria autocto­nista dell'insediamento". "Nuovi percorsi della storiografia internazionale".

(n') VUGA 2002, p. 24; VUGA 2003, p. 2 (come epigrafe del libro). La traduzione

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni 47

addurre prove sicure (almeno in senso tradizionale), l'autore propone tutta una serie di nuove costruzioni basate su un modo di pensare e un metodo di lavoro perfettamente riconoscibili fin dall'epigrafe ricavata dalla citazione "corretta" di Herder (114

).

Presupposto di questa teoria è che in Europa già a partire dal Neolitico le stesse popolazioni abitassero gli attuali territori: tra queste ovviamente anche gli Sloveni. Sulla base delle teorie di alcuni linguisti contemporanei (primo tra tutti l'italiano Mario Alinei) (115

), Vuga affer­ma che negli ultimi 10.000 anni non ci sia mai stata alcuna significativa migrazione di popoli (116

). Questo non solo nella Preistoria, come per esempio quelle intorno al 2000 e al 1200 avanti Cristo (117

), ma neanche in età storica, per la quale si possiede un'imponente tradizione di fonti. Cosa dire dunque dei Celti, dei Germani, dei popoli delle steppe dell'Europa orientale e di tutta una serie di popolazioni della tarda Antichità e dell'Alto Medioevo? Il postulato secondo cui la storia va riformulata secondo le nuove concezioni presuppone la cancellazione di migliaia e migliaia di testimonianze provenienti dalle fonti scritte anti­che e medievali. Sarebbe come dire che l'intera storiografia antica e

della citazione di HERDER 1966, pp. 433-435, è interpolata. In HERDER 1966, p. 433 non sta scritto che "gli Slavi non furono mai banditi di tal fatta come i Tedeschi", bensì: "Questi [gli Slavi] non furono mai un intrapendente popolo di guerrieri e avventurieri come i Tedeschi". Inoltre l'affermazione successiva "e quindi molte nazioni, soprattut­to di ceppo tedesco, li hanno duramente vessati", è subito precisata da quanto segue, attenuando di molto il giudizio negativo: "Sfortunamente la loro [del popolo slavo] col­locazione tra i popoli della terra li ha posti da una parte così vicini ai Tedeschi, dall'al­tra ha lasciato le loro spalle in piena balia dei Tartari d'oriente, dai i quali, sin partico­lare dai Mongoli, tanto han dovuto soffrire, tanto patire. Per la citazione cfr. SCHROCKE 1994, pp. 15-16.

(114) Grossolanamente falsificata è anche la citazione della prefazione di

Grafenauer a SIENCNIK, GRAFENAUER 1945, p. 3, in cui l'autore parla di toponimi slove­ni di quel tempo "in tutte le Alpi orientali fino al Danubio e oltre". Grafenauer in que­sto punto considerava l'area di insediamento carantana, che secondo le sue idee doveva estendersi (solo) su un esiguo territorio della Bassa Austria oltre al Danubio (sulla base della carta redatta da Milko Kos nel 1933, ristampata anche in GRAFENAUER 1989, p. 207). VuGA 2003, p. 13 e soprattutto p. 293, in riferimento a questo punto, ha esteso l'af­fermazione di Grafenauer al territorio che va fino alla linea lago Maggiore - lago di Costanza - Foresta nera.

( 115) Non si è potuto consultare i lavori di Mario Alinei, prima citati da VUGA 2003, p. 9 e poi riassunti. Le nostre osservazioni si riferiscono esclusivamente alle spe­culazioni in VUGA 2003, pp. 13-140 e pp. 293-295. Il procedimento con il testo di Herder induce alla prudenza; cfr. anche MATICETOV 2004, p. 51.

(116

) VUGA 2003, p. 54 e altrove.

(117

) Ciò significa confutare la "Migrazione dei Campi di urne" (Urnfield migra­tion) come idea base del mito veneto; cfr. SAVLI, BoR, ToMA.Zrc 1996, p. 1.

48 Rajko Bratoz

medievale, con una parte rilevante della restante letteratura scientifica, rappresenta solo una grossa falsificazione da marchiare a fuoco.

L'ultima applicazione della "teoria della continuità" non è propria­mente amichevole nei confronti dei vicini settentrionali e occidentali degli Sloveni. L'intera area delle Alpi orientali e centrali, fino al San Gottardo, al lago di Costanza e alla Foresta Nera, buona parte del Nord­Italia, soprattutto il territorio alpino e prealpino (Friuli, Veneto, Lombardia ecc.), costituirebbe un territorio "geneticamente molto stabi­le", in cui si sarebbero insediati dai tempi più remoti i progenitori degli Sloveni. La prova di ciò risiederebbe in circa 1000 toponimi, natural­mente a patto che le interpretazioni degli "etimologisti italiani o tede­schi" ovvero le "etimologie germanofile" fossero rivedute e corrette alla luce delle nuove concezioni (118

). I toponimi dimostrerebbero l'insedia­mento degli Sloveni non solo in Baviera, ma quasi su tutto il territorio della Germania: a nord di Berlino, ad Amburgo, nello Schleswig­Holstein, in Renania, in Westfalia e altrove (119

). La teoria formulata nel 2001-2003 assegna agli Sloveni dimensioni storiche completamente nuove: una storia lunga quasi 10 .000 anni e un territorio di insediamen­to "paneuropeo". Questi "risultati" ci riportano col pensiero a cento anni addietro, alle teorie di Davorin Zunkovic sul "diluvio sloveno".

Le argomentazioni sono paragonabili alla teoria della Grande Germania di H. Schrocke (1996-1999): le basi sono date da "prove" onomastiche (ancora una volta le stesse!), affiancate dai risultati di "ricerche di biologia umana" e argomenti di "natura genetica" (120

).

Queste due scienze si possono in realtà usare in una prospettiva storica solo con grandissima cautela (121

). Inoltre i fautori di queste teorie ten­dono a valersi di teorie simili alle loro, dimenticando però che queste a volte si contraddicono l'una con l'altra. Citiamo solo due casi. La teoria di F. Jeza (1967) sull'origine scandinava degli Sloveni è stata conside­rata da H. Schrocke, d'accordo con Jeza stesso, una "prova" dell'origi­ne germanica di questo popolo. Per i sostenitori della teoria veneta essa invece si è trasformata in una "prova" dell'origine slo-veneta degli

('") VuGA 2003, pp. 115-291; p. 293; per i "nomi sloveni" nell'intera Germania, VUGA 2003, pp. 14-15.

('19

) VUGA 2003, pp. 14-15. ('

20) ScHR6CKE 1994, pp. 257-275; VUGA 2003, p. 293, solo come affermazione

complessiva. ('

21) Cfr. KAHL 2003, pp. 48, 442-443; JARNUT 2000, p. 996. L'autore di questo

contributo non conosce la moderna ricerca sui genomi in questo campo.

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni 49

Scandinavi, o quanto meno della presenza di Slo-Veneti anche nell'Europa settentrionale (122

). Come si può vedere, si tratta quasi di un"'alleanza" dei fautori delle varie concezioni autoctonistiche, sia pur in contrasto tra loro, contro le posizioni della scienza cosiddetta "uffi­ciale". Viste le sue proporzioni spaziali e temporali, questa teoria ci ricorda quella ungherese, altrettanto recente, che pone alla base della moderna nazione magiara la "cultura Magya", antica di oltre 20.000 anni ed estesa su tutta la terra (123

).

Lo sviluppo del mito dei Veneti e di altre concezioni del genere dimostra che una questione fondamentale come quella delle origini non ha mai ricevuto in Slovenia un'interpretazione univoca. Ecco perché idee gonfie del pathos di forti sentimenti nazionali hanno giocato un ruolo particolarmente importante e trovato molti s~stenitori proprio nelle epoche della storia slovena più ricche di rivolgimenti: gli ultimi decenni della monarchia asburgica, con le forti tensioni tra Sloveni e Tedeschi, e l'ultimo decennio della Jugoslavia, con la situazione gene­rale di crisi delle singole formazioni statuali della Federazione ormai in dissolvimento. Le due diverse formulazioni del mito ideologico, pur avendo avuto la maggior parte dei loro sostenitori in epoche distanti un secolo tra loro, sono simili per quanto riguardo il loro contenuto. Alla fine del XIX e all'inizio del XX secolo si ha un'interpretazione dell'in­tera storia d'Europa essenzialmente slava (solo in seconda battuta slo­vena), in direzione di un orientamento dichiaramente antitedesco e genericamente slavofilo, mentre le altre nazioni non ricoprivano quasi alcun ruolo.

Il mito diffuso alla fine del secolo. XX si presenta essenzialmen­te con un quadro analogo; l'ambito cronologico e geografico è lo stes­so: origini nell'Età del Bronzo - in seguito addirittura nell'Età della Pietra-, espansione iniziale in quasi tutta l'Europa e nella parte confi­nante dell'Asia. La prospettiva però è in parte cambiata: questa volta l'attenzione è rivolta agli Sloveni, e non più genericamente agli Slavi. Cresce anche l'elenco dei "nemici" storici del popolo sloveno. Il peso della colpa storica non è più addossato solo ai Tedeschi, anche se viene nuovamente attaccata soprattutto la loro ricerca scientifica. Ora anche

(122

) Savli in SAVLI, BoR, ToMAZ!c 1996, p. 168; Bor in SAVLI, BoR, ToMAZlc 1996, p. 322.

('2') FAZEKAS, Die Herkunft der Ungarn cit.; l'autore ricorda anche la teoria di

un'origine interplanetaria degli Ungheresi dal sistema stellare di Sirio (!).

50 Rajko Bratoz

agli Italiani vengono imputate le loro responsabilità, in quanto discen­denti dei Romani, crudeli oppressori e sterminatori di Veneti e di Etruschi (la scienza italiana invece riceve una valutazione sostanzial­mente positiva). Un nemico in parte è anche lo Stato jugoslavo, soprat­tutto il regime comunista con la sua ideologia e i suoi sostenitori slove­ni; mentre assai più favorevoli sono i rapporti con il mondo slavo meri­dionale e soprattutto slavo orientale (Serbia, Montenegro, Macedonia, Russia), in cui le teorie sui Veneti hanno trovato i maggiori sostenitori al di fuori della Slovenia. Tra i popoli confinanti sono lasciati in pace i Croati e gli Ungheresi, come anche i Francesi e gli Inglesi tra le grandi potenze europee. Non sono presi in considerazione i Turchi, neppure per i secoli in cui essi premevano minacciosamente sui confini sloveni. Il ruolo dei Russi appare positivo e costruttivo sia adesso, sia un secolo fa.

In entrambi in casi questi miti hanno preso forma solo in minima parte per ragioni dipendenti dalla politica, a volte addirittura in opposi­zione a essa, sebbene una parte degli uomini politici abbia simpatizzato con esso. Un giudizio analogo si può dare sulla Chiesa, l'istituzione più significativa della società civile. I sostenitori di queste idee non sono mai apparsi personaggi collocati in posizioni privilegiate, sostenuti da un partito o da un'istituzione. Per il momento non è possibile esprime­re un giudizio approfondito sulle loro motivazioni personali (sociali, psicologiche, ecc.) (124

). L'incontro con il mondo accademico sloveno ha avuto sempre l'aspetto di una contrapposizione radicale, in cui proprio i temi scientifici non hanno potuto trovare un adeguato sviluppo per la continua interferenza di altri fattori: i sentimenti nazionali e nazionali­stici, la denigrazione personale, il sensazionalismo, forme aggressive di marketing.

Il mito dei Veneti, per cui gli Sloveni sarebbero stati in passato il popolo predominante in Europa, anzi la nazione europea par excellen­ce, non riuscirà sicuramente a convincere i moderni Europei ad accetta­re tali concezioni e a rivedere ex novo tutta la storia e la coscienza sto­rica. Né tantomeno le moderne nazioni europee si pentiranno delle pre­sunte ingiustizie inferte agli Sloveni, a causa delle quali il loro territorio originario di insediamento si sarebbe ridotto da più di un milione di chi­lometri quadrati agli attuali 20.000 e poco più, mentre la loro percen­tuale di popolazione, nell'insieme dell'Unione Europea, corrisponde

(124

) Cfr. in questo senso MoRITSCH 1997 e KAHL 2003, pp. 439-460: nel caso di W. Steller e H. Schrocke può aver avuto un ruolo importante la perdita della terra tede­sca di origine e il periodo trascorso come prigionieri di guerra. ·

Il mito dei Veneti presso gli Sloveni 51

solo allo 0,4% (125). Questo mito, propagatosi in maniera veramente

aggressiva, per gli Sloveni di oggi assume un significato ben chiaro. La storia si mostra nuovamente come un bene che deperisce rapidamente. Agli storici, archeologi e linguisti sloveni che si occupano delle epoche più antiche è affidato un ulteriore e ben arduo compito: rimuovere ideo­logie infondate, false e persino pericolose, per i sentimenti di ostilità che esprimono nei confronti di popoli vicini. Un compito che nelle odierne condizioni dello spirito appare quanto mai gravoso.

RAJKO BRATOZ

(traduzione dal tedesco di Sebastiano Blancato)

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('25

) Un raffronto con gli attuali rapporti nell'Unione Europea del 2004: gli Slo­Veneti si estenderebbero su un territorio di circa 1.000.000 di km2 dell'attuale UE (Europa orientale e centrale, Italia settentrionale), in cui vivono attualmente circa 170 milioni di abitanti, ossia il 35-40% dell'intera popolazione dell'UE.

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