G.PICCINNI, Siena, il grano di Maremma e quello dell’Ospedale. I provvedimenti economici del 1382

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CXX 2013 SIENA ACCADEMIA SENESE DEGLI INTRONATI 2013

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CXX 2013

S I E N AACCADEMIA SENESE DEGLI INTRONATI

2 0 1 3

Direttore responsabile: DUCCIO BALESTRACCI

Comitato di redazione: ALESSANDRO ANGELINI, MARIO DE GREGORIO, ENZO MECACCI, STEFANO MOSCADELLI, ROBERTA MUCCIARELLI

Segretaria di redazione: BARBARA GELLI

Comitato scientifi co:Presidente: GIULIANO CATONI

Membri: MARIO ASCHERI, MONICA BUTZEK, PAOLO CAMMAROSANO, GIOVANNI CHERUBINI, MONICA DONATO, GIANFRANCO FIORAVANTI, ROBERTO GUERRINI, FILIPPO LIOTTA,GIOVANNI MINNUCCI, PAOLO NARDI, LEOPOLDO NUTI, MARCO PIERINI, GIULIANO PINTO, COL-LEEN REARDON, ROBERTO ROCCHIGIANI, BERNARDINA SANI, THOMAS SZABÒ

Collaborano con la redazione:SAVERIO BATTENTE, MARTA FABBRINI, ROBERTO FARINELLI, BENEDETTA LANDI,DOMENICO PACE, IRENE SBRILLI, LOLA TEALE

Collaboratori informatici: GIACOMO GANDOLFI, LUCA RABAZZI

La corrispondenza per la redazione e l’amministrazione va indirizzata all’Accademia Se-nese degli Intronati, Palazzo Patrizi-Piccolomini, Via di Citttà 75, 53100 Siena.E-mail: [email protected] collaboratori ricevono una copia in formato pdf dei loro contributi.

I contributi scientifi ci pervenuti alla rivista sono sottoposti alla lettura e al giudizio di referees di fi ducia del Comitato di Redazione.

Gli abstracts degli articoli, in italiano e in inglese, sono disponibili sul sito dell’Accade-mia (http://www.accademiaintronati.it/anteprima.htmle http://www. accademiaintronati.it/preview.html)

la banca delle comunità nel cuore della Toscana

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Siena Siena - Montanini Siena - Porta Pispini Siena - Logge del Papa Siena - Le GrondaieSiena - Coroncina

Monteriggioni - FontebecciBadesse

Colle Val D’ElsaGracciano

San Gimignano - Steccaia

Castelnuovo Berardenga

Poggibonsi Bellavista

Castellina in Chianti

Arezzo

Bucine - Ambra

Firenze Firenze - Campo di Marte Firenze - LegnaiaFirenze - Ferrucci Firenze - GordigianiFirenze - SavonarolaFirenze - Bel ́ore Firenze - Traversari

San Casciano in V. P. Mercatale V.P. Cerbaia V.P. Scandicci - Casellina

Empoli

Montespertoli Martignana

Tavarnelle V.P. Sambuca V.P. San Donato in Poggio

Barberino V.E. (via Pisana)

Campi Bisenzio - Buozzi Campi Bisenzio - Magenta

Sesto Fiorentino

Calenzano

Prato

Prato Repubblica

Sede LegaleVia Cassia Nord, 2/4/6Loc. Fontebecci, Monteriggioni (SI)Tel. 0577 297000

Direzione GeneralePiazza Arti e Mestieri, 1San Casciano in Val di Pesa (FI)Tel. 055 8255200

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HANNO CONTRIBUITO ANCHE:

Alessandro Angelini Duccio Balestracci Giovanni Barsacchi (sostenitore)Roberto Barzanti (sostenitore)Marilena CaciorgnaClaudio CesaElisabetta Cioni Mirella Cirfi Walton Alberto Cornice Alessandro Falassi (†) Gianfranco Fioravanti (sostenitore)Andrea Giorgi

Alessandro LeonciniMario LuccarelliPaola MaffeiAugusto MazziniDoriano Mazzini Enzo Mecacci (sostenitore)Stefano MoscadelliEttore PellegriniGiancarlo Petri Marco Pierini Petra Pertici Roberto Rocchigiani

IL VOLUME ESCE GRAZIE AL CONTRIBUTO DEL

I N D I C E

SAGGI

MARCO MERLO, Aspetti militari dell’espansione senese in Maremma neglianni Cinquanta del Duecento e il fatto di Torniella ..................................... pag. 11

VALENTINA COSTANTINI, Corporazioni cittadine e popolo di mercanti a Sienatra Due e Trecento: appunti per la ricerca .................................................... » 198

NOTE E DOCUMENTI

ANGELO BIONDI, La scritta sul portale di un vescovo senese e note di crono-logia del duomo di Sovana ........................................................................... » 137

PETRA PERTICI, Ornamenta domus. Memorie di casa Petrucci............................ » 150

GERMANO PALLINI, «Han preso di nuovo casa a San Giusto». Note su una antica sede degli Intronati ............................................................................ » 153

INCONTRI E DIBATTITI

MAURO MUSSOLIN, Virginis templum ................................................................. » 167

GABRIELLA PICCINNI, Siena, il grano di Maremma e quello dell’Ospedale.I provvedimenti economici del 1382 ............................................................ » 174

ISABELLA GAGLIARDI, Relations between Giovanni Colombini, his followersand the sienese “Reggimento civile” (1355-1450) ...................................... » 190

PATRIZIA TURRINI, Il testamento di Giovanni Boccaccio e la sua teca. La do-nazione del conte Scipione Bichi-Borghesi all’Archivio di Stato di Siena . » 200

BARBARA GELLI, Per sospetto dello ’nperdore. Siena e i Nove all’avvento diEnrico VII di Lussemburgo (1311-1313) .................................................... » 217

FRANCO CARDINI, - Politico, mercante, viaggiatore, islamologo - Una ricercasu Beltramo di Leonardo Mignanelli senese ............................................... » 230

MAURIZIO SANGALLI, Storie di carte, uomini. giustizie ....................................... » 235

Indice8

A PROPOSITO DI

ROBERTO BARZANTI, Appunti e una bozza di cronologia sulle prospettivedel Santa Maria della Scala ......................................................................... » 245

INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO

ALESSANDRO ORLANDINI, A settanta anni dalla liberazione di Siena. Memoriae ricerche storiche ........................................................................................ » 255

L’OFFICINA DEL BULLETTINO

GABRIELLA PICCINNI, Senae VirGo. Progetto di un museo virtuale dell’arte edell’architettura gotica senese (metà XIII-metà XIV secolo) ...................... » 271

LAVORI IN CORSO

STEFANO MOSCADELLI, Gli archivi delle personalità della cultura dell’Ottocento e del Novecento conservati nell’area senese: alcuni dati da un cen-simento in corso .......................................................................................... » 291

NECROLOGI

MARILENA CACIORGNA, Roberto Guerrini, un ricordo per i suoi allievi .............. » 327

ROBERTO BARZANTI, Alessandro Falassi (Castellina in Chianti, 3 ottobre 1945-Siena 20 febbraio 2014) ............................................................................... » 331

NOTIZIARIO BIBLIOGRAFICO

Mario Ascheri, Storia di Siena. Dalle origini ai giorni nostri (DUCCIO

BALESTRACCI) ..................................................................................................... » 339

Comune di Capalbio, Capalbio. Storie di un castello (ENZO MECACCI) ............ » 342

Pseudo Gentile Sermini, Novelle. Edizione critica con commento (PETRA

PERTICI) ......................................................................................................... » 343

Letizia Pellegrini (a cura di), Il processo di canonizzazione di Bernardino daSiena (1445-1450) (BARBARA GELLI) ........................................................... » 349

Annalisa Pezzo, Le tesi a stampa a Siena nei secoli XVI e XVII. Catalogo degliopuscoli della Biblioteca comunale degli Intronati (PIERO SCAPECCHI) ....... » 351

Indice 9

Donatella Cherubini, Stampa periodica e Università nel Risorgimento.Giornali e giornalisti a Siena (GIULIANO CATONI) ......................................... » 353

Carlo Nepi, Una città laboratorio Gli anni senesi di Giancarlo De Carlo(ROBERTO BARZANTI) ..................................................................................... » 355

SegnalazioniDiocesi di Grosseto - Uffi cio beni culturali ecclesiastici, Restauri e valoriz-

zazione del patrimonio artistico. Contributi per l’Arte in Maremma (ENZO

MECACCI) ...................................................................................................... » 359

Badia Elmi. Storia ed arte di un monastero valdelsano tra Medioevo ed Etàmoderna, a cura di Francesco Salvestrini (ENZO MECACCI) ......................... » 360

Francesco Angelini – Roberto Farinelli, Il Tino di Moscona. Guida archeo-logica al castello di Montecurliano (ENZO MECACCI) ................................... » 361

Marco Lisi, Sulle tracce della Vernaccia dal XIII al XXI secolo (ENZO MECACCI) » 362

Maria Assunta Ceppari Ridolfi – Patrizia Turrini, Montaperti. Storia Icono-grafi a Memoria (ENZO MECACCI) ................................................................. » 363

Jacopo Fiorino de’ Buoninsegni, Bucoliche, (a cura di I. Tani) (ENZO MECACCI) » 365

Maria Assunta Ceppari Ridolfi , Cecilia Papi, Patrizia Turrini, La città delCostituto. Siena 1309-1310: il testo e la storia (BARBARA GELLI) ................ » 366

Otello Mancini – Antonio Vannini, Cartusiæ prope Senas. Le certose in terradi Siena (ENZO MECACCI) ............................................................................. » 367

Piero Bargellini, San Bernardino da Siena (ENZO MECACCI) ............................ » 368

Francesca Monaci, Piero Simonetti, Gavorrano alla fi ne del Medioevo. LoStatuto del 1465 (BARBARA GELLI) ............................................................... » 369

Francesca Vannozzi, L’esercizio dell’arte sanitaria in Siena (secoli XVI-XXI)(ENZO MECACCI) ........................................................................................... » 370

Statuti della Comunità di Seggiano, (a cura di D. Ciampoli) (ENZO MECACCI) . » 371G. Della Monaca, La presa di Porto Ercole. Orbetello e il Monte Argentario

nel XV e XVI secolo fi no alla fi ne della Guerra di Siena in Maremma(BARBARA GELLI) .......................................................................................... » 372

Simonetta Soldatini, La Società Operaia di Mutuo Soccorso di Roccatede-righi e il suo archivio (1881-1974) (ENZO MECACCI) ................................... » 373

Achille Mirizio, La sorella dei poveri. Storia di Savina Petrilli (DUCCIO

BALESTRACCI) ................................................................................................ » 374

Giuliano Catoni, Un talento contradaiolo. Virgilio Grassi (1861-1950) (DUCCIO

BALESTRACCI) ................................................................................................ » 375

Contrada della Lupa, Le pietre raccontano. Vallerozzi e dintorni (ENZO

MECACCI) ...................................................................................................... » 376

Indice10

NOTIZIE DALL’ACCADEMIA

Consiglio direttivo: Soci onorari, ordinari e corrispondenti .............................. » 379

Attività accademica ............................................................................................ » 382

Pubblicazioni dell’Accademia ........................................................................... » 386

Pubblicazioni dell’Amministrazione Provinciale di Siena ................................ » 392

1 Ringrazio Luciano Palermo per avermi autorizzato a pubblicare, con l’aggiunta delle note, il testo della relazione al convegno, dal lui coordinato, del titolo Crisi nel medioevo (III): politiche econo-miche e per l’alimentazione di fronte alle carestie che si è tenuto a Viterbo nei giorni 1-3 novembre 2012.

2 O. REDON, Lo spazio di una città, Siena e la Toscana meridionale (secoli XIII-XIV), Siena, Nuo-va Immagine, 1999; W. M. BOWSKY, Le fi nanze del Comune di Siena 1287-1355, Firenze 1976, pp. 89-90; ID., Un Comune italiano nel medioevo, Siena sotto il regime dei Nove, 1287-1355, trad. ital., Bologna 1986, p. 248.

3 Per i riferimenti bibliografi ci il punto di partenza più aggiornato è Ospedale di Santa Maria della Scala: ricerche storiche, archeologiche e storico-artistiche, a cura di Fabio Gabbrielli, Atti della giornata di studi (Siena 28 aprile 2005), Siena 2011.

4 La balìa, molto ampia, fu composta da 18 cittadini scelti dal governo in base ad una rappresen-tanza territoriale, cioè 6 per ognuno dei Terzi in cui era divisa la città, e completata da una rappresentanza della minoranza politica (3 ‘noveschi’ e 3 nobili). L’originale dei provvedimenti è in Archivio di Stato di Siena (da ora ASS), Statuti di Siena 36 ed edito da A. LISINI, Provvedimenti economici della Repubblica di Siena nel 1382, Siena, 1895 (che da ora citerò solo come Provvedimenti economici). I provvedimenti furono commentati da N. MENGOZZI, Il presto a usura in Siena (1200-1300), in Il Monte dei Paschi di Siena e le aziende ad esso riunite. Note storiche, cura di P. Piccolomini, vol. I, Il Monte dei Paschi e della Pietà, Siena 1891, p. 80.

SIENA, IL GRANO DI MAREMMA E QUELLO DELL’OSPEDALE.I PROVVEDIMENTI ECONOMICI DEL 13821

Nel titolo di questo intervento ho unito quattro elementi: il grano è il primo, e poi

una terra, un’istituzione di assistenza e una data. La terra è la Maremma, su gran parte della quale la città di Siena aveva affermato la propria sovranità in un lungo processo che si era aperto già alla metà del XII secolo2. L’istituzione è il ricco ospedale civico senese di Santa Maria della Scala3. Ambedue sono uniti dal fatto di poter essere considerati, per motivi diversi, i ‘granai’ della Siena del Trecento. La data che ho scelto, il 1382, non ha invece un valore particolare, nel senso che le politiche che cercherò di ricostruire potreb-bero avere un signifi cato economico quasi identico qualche anno prima o qualche anno dopo di essa. Nel 1382, però, una commissione di 24 Savi, espressi in quote diverse dalla maggioranza e dalla minoranza politica, ricevette il compito di individuare gli interventi opportuni per accrescere le entrate e diminuire le spese del Comune di Siena: per far questo ricevette delega piena (“piena balìa”)4. I verbali delle riunioni della commissione e le relative delibere sono la fonte principale alla quale attingo per le considerazioni che seguono.

Si trattava di anni diffi cili e lo stesso 1382 fu, sotto certi aspetti, un anno cruciale per la vita economica senese. La peste aveva fatto di nuovo la sua comparsa, c’erano stati almeno due fallimenti bancari concomitanti con un acuto bisogno di liquidità, il dissesto

Bullettino Senese di Storia Patria, 120, 2013

Siena, il grano di Maremma e quello dell’ospedale. I provvedimenti economici del 1382 175

5 Le informazioni relative al 1382 sono state da me fornite in G. PICCINNI, La strada come affare. Sosta, identifi cazione e depositi di denaro di pellegrini (1381-1446), in G. PICCINNI, L. TRAVAINI, Il Libro del pellegrino (Siena 1382-1446). Affari, uomini, monete nell’Ospedale di S. Maria della Scala, Napoli, Liguori, 2003, pp. 1-81 e G. PICCINNI, Il banco dell’ospedale di Santa Maria della Scala e il mercato del denaro nella Siena del Trecento, Pisa, Pacini, 2012, pp. 272-273. Il fallimento principale, fraudolento, era stato quello del banco di Conte di Jacomo da Baldera ( che “portossene di molti denari, inperoché pochi dì inanzi andava acatando denari su’ pe’ banchi e acatava coregie d’ariento e anella e ciò che poteva, e poi serrò e andosene”) e di quello di Chimento d’Andrea (Mengozzi, Il presto a usura cit. p. 80). Gli uffi ciali della Mercanzia, istituzione che deliberava su questioni attinenti al commercio e all’economia, dettarono in quell’occasione nuove norme di garanzia esigendo che, da allora, ogni banco della città fosse garantito per almeno 4.000 lire, “féro lege che nisuno tenesse banco se prima no ne avesse dato la ricolta de IV milia lire”: Cronaca senese conosciuta sotto il nome di Paolo di Tommaso Montauri, in Cronache senesi, a cura di A. Lisini e F. Iacometti, in Rerum Italicarum Scriptores, 2ª ed., t. XV, parte VI, Bologna, 1931-1939, p. 697. Per la mancanza di liquidità Provvedimenti economici, pp. 32-33, dove si legge che “per l’accrescimento del peso del fi orino ne vengono infi niti dampni a’ cittadini di Siena, e’ fi orini in grandissima quantità ne vanno ad altre terre e provincie per la detta cagione”.

6 Sulla presenza di compagnie di ventura in territorio italiano nel corso del Trecento molti dati sintetizzati in D. BALESTRACCI, Le armi, i cavalli, l’oro. Giovanni Acuto e i condottieri nell’Italia del Trecento, Bari, Laterza, 2003. Notizie sul Senese sono sparse nel volume: in particolare l’autore utilizza proprio il caso senese, fra la metà e la fi ne del Trecento, come esempio di come si creasse un rapporto diretto tra le spese sostenute da una città e la pressione fi scale che esse mettevano in moto (pp. 68- 69). Ancora utile punto di riferimento e il saggio di C. ANCONA, Milizie e condottieri, in Storia d’Italia, V, Torino, Einaudi 1976, pp. 645-665

7 Una serie di dati relativi al calo della popolazione nel Senese tra il 1364 e il 1382 sono in G. PICCINNI, I ‘villani incittadinati’ nella Siena del XIV secolo, “Bullettino Senese di Storia Patria”, LXXXII-LXXXIII (1975-1976), pp. 158-219: 192-203. In particolare proprio nell’anno 1382 le comunità di Simi-gnano, Pietralata e il castello della Suvera lamentavano una diminuzione degli abitanti che attribuivano al passaggio delle compagnie (ASS, Consiglio generale 191, cc. 98-98v., 1 febbraio 1382. Per la Maremma, ASS, Diplomatico Bichi Borghesi, M 170, 7 febbraio 1382).

8 ASS, Consiglio generale 192, c. 19v., 14 settembre 1382.

dei conti dello Stato di fronte all’impossibilità di aumentare il prelievo fi scale si era fatto evidente5. A tutto questo si aggiunsero nuovi e autentici salassi per le casse pubbliche quando consistenti fl ussi di denaro andarono in vario modo a riempire le tasche di con-dottieri di ventura e delle loro schiere (le ‘compagnie’) che, da tempo ormai, devastavano periodicamente i raccolti e razziavano il bestiame nel territorio toscano, e in particolare maremmano, costringendo le città a pagare perché si allontanassero e le imposte a cre-scere6. Il territorio senese ne uscì stremato7.

Così, l’obiettivo dei lavori della balìa nominata nel 1382 venne fi ssato in modo non equivocabile nella delibera di affi damento dell’incarico, e ribadito nelle primissime righe della relazione conclusiva8. Il suo mandato era di riassettare il rapporto tra entrate e uscite del Comune di Siena basandosi su due punti fermi: il prelievo fi scale non doveva aumentare e il continuum economico tra città e aree rurali andava tenuto in piena consi-derazione. Per centrare un obiettivo così impegnativo occorreva nientemeno che l’ausilio dell’intera corte celeste. In aperura della relazione si legge: “Al nome dello omnipotente Idio e della sua benedecta madre vergine Maria e di tucta la corte celeste, a pace e riposo

Gabriella Piccinni176

9 Si tratta della sala del palazzo del Comune che è detta oggi del Mappamondo.10 Provvedimenti economici, pp. 32-33, citato supra.11 Provvedimenti economici, pp. 61, 64 sgg, 89, 93.12 Ivi, da p. 95

di tucta la città di Siena e suo contado, e quali concedino gratia che neuna gravezza s’ab-bia a ponere a la città né al contado”.

Il 25 settembre i Savi, che si riunirono con evidente solennità “ne la sala grande del Comune di Siena, dove i consilgli generali si raunano”9, iniziarono a verbalizzare le prime decisioni. Tennero memoria, prima di tutto, di aver avuto tra loro “matura e lunga deliberazione e facte proposte”, di aver proceduto a votazioni interne a voto segreto, e di aver alla fi ne approvato all’unanimità il complesso del provvedimento “per vigore et autorità de la loro balìa” e “per evidente utilità del comune di Siena”. Durante una prima seduta erano state ridotte le spese militari, l’appannaggio dei membri del governo e il numero dei fanti al loro servizio, era stata raddoppiata la tassa sulle azioni giudiziarie, abolita la condotta ‘a leggere’ Ragione Civile, soppressi o riorganizzati alcuni uffi ci, sot-tratte certe entrate alla gestione personale degli incaricati della riscossione, avviata una contabilità separata per il recupero crediti.

La balia lavorò con impegno. Nella trentina di sedute successive, protrattesi fi no a Natale, decise di bandire gli appalti delle gabelle del Comune, di affi dare al giudice delle Appellagioni il compito di combattere l’evasione delle gabelle, senza guardare ad amistadi e parentadi, di sospendere per due anni il pagamento degli interessi del 10% ai cittadini che fi nanziavano il debito pubblico, di ‘sigillare’ i fi orini, perché la pratica, invalsa di recente, di aumentarne il peso aveva provocato la fuga all’estero, “ad altre terre e province”, di oro monetato “in grandissima quantità”10. Successivamente la balìa ridusse i salari delle cariche apicali del Comune, decise la riorganizzazione della gestione amministrativa dei castelli, le nuove gabelle delle bestie, del vino, del ‘salsume’, dello zafferano, l’estensione della gabella dei contratti ai comitatini pena la nullità dell’atto, la soppressione dei Cavalieri del contado che erano al servizio del Podestà perché accusati di estorsioni, un condono per chi abitasse a Siena e ancora non avesse chiesto la cittadi-nanza, il passaggio delle utenze dell’acqua dell’acquedotto principale (il bottino maestro) da gratuite a pagamento, l’istituzione della gabella delle ferriere, l’adeguamento della tassa del contado ai movimenti degli abitanti, la riorganizzazione della gestione dei pa-scoli demaniali e la vendita annuale delle licenze di caccia degli uccelli in Maremma11.

Infi ne, 12 dicembre, una seduta monografi ca fu dedicata ai problemi annonari. E fu allora che il grano della Maremma balzò in primo piano12.

Nella premessa le necessità del Comune venivano subito presentate come stret-tamente legate a quelle del popolo di Siena: “Considerando ch’ el comune di Siena à bisogno di pecunia, el popolo à bisogno di grano e di biado”. Seguiva l’espressione di un convincimento incrollabile: attraverso una serie di incentivi “a ogni persona di venire ne la Maremma e fare grandi lavoriere e grandi semente e grandi ricolte […] certissimamen-te si riceverà e arà grande quantità di grano e di denari, e la Maremma senza misura si bonifi cherà e accrescerà”. Certissimamente e senza misura.

Siena, il grano di Maremma e quello dell’ospedale. I provvedimenti economici del 1382 177

13 B. SORDINI, Il porto della ‘gente vana’. Lo scalo di Talamone tra il secolo XIII e il secolo XV, Siena 2001.

14 Vedi dati in PICCINNI, I “villani incittadinati” cit., pp. 198-200.15 ASS, Concistoro, Scritture, ad annum: “per cagione de le guerre molte bestie salvatiche sono

moltiplicate et spezialmente di lupi: et questo si vede manifestamente che ogni terzo dì s’ode che essi lupi ànno guasti fanciugli senza altri danni grandi che fanno d’altre cose; et per dar materia a la gente si di-sponghano con ogni ingegno possino appiglià et far pigliare esse bestie salvatiche et lupi maggiormente”.

16 La Maremma era stata confi nata una prima volta nel 1251 e poi di nuovo nel 1325. Vedi nota REDON, Lo spazio di una città cit., p. 127 e la carta alle pp. 286-287. Il documento della confi nazione della Maremma avvenuta il 27 giungo 1325, prima della fase espansiva di Siena datata agli anni Quaranta del Trecento, è trascritto da F. E. BANDINI PICCOLOMINI, La coltivazione della canna da zucchero nella Ma-remma senese nel secolo XIV, “La campagna”, V (1885), pp. 21-22 (da ASS, Gabella, Statuti, anno 1326, c. 83, così citati): “Terminagione de la Maremma”, da Prata alle Rocchette Tederighi, da Roccastrada a Civitella, da Civitella a Monteantico e Casanovola e Argiano e S. Angelo in Colle, da S. Angelo in Colle a Montenero.

Intendiamoci, la Maremma era ben presente nelle politiche del Comune di Siena da tempo e anche per motivi diversi a quelli strettamente riferibili al mercato del grano. Senza contare le risorse rappresentate dai minerali, dal sale, dal pesce e dal porto di Tala-mone13, uno dei punti forti di quella terra era rappresentato dalla abbondanza di selvaggi-na e un altro dai vasti prati demaniali che venivano sempre più ampiamente destinati ad una pastorizia organizzata. La sua grande debolezza risedeva nello scarso popolamento, divenuto più drammatico dalla metà del Trecento14. Nel 1393, dunque una decina di anni dopo gli eventi di cui qui ci occupiamo, si registrerà che “molte bestie selvatiche sono moltiplicate et spezialmente di lupi”, attribuendone la colpa alle guerre15, e dunque, è da presumere, all’abbandono di spazi coltivati e all’inselvatichimento che esse avevano portato con sé.

Ma nei Provvedimenti del 1382 l’obiettivo che si dichiarava di voler perseguire per primo, come motore di un processo virtuoso, era il ripopolamento delle terre ma-remmane perseguito attraverso la collocazione sul libero mercato del prodotto ecce-dente i consumi interni. Gli incentivi (“gratie”, dunque eccezioni) per ottenere tutto ciò erano di due tipi e prevedevano un programma quinquennale.

Prima di tutto i comuni di Maremma avrebbero consegnato a Siena, ogni mese di agosto per cinque anni, 3.000 moggia di grano (pesato al moggio senese grosso) al prezzo di 3 fi orini per moggio; i rappresentanti del Comune avrebbero rimborsato ai produttori i 9.000 fi orini “il più tosto che potranno”. La ripartizione tra i comuni maremmani del cari-co da consegnare a Siena sarebbe avvenuta ogni mese di luglio, quando cioè era possibile valutare l’entità del raccolto in corso, nel “rispecto a la ricolta facta in quello anno per quelli de le decte terre di Maremma, acciò che più veramente e mellio si faccia il sortire d’esse tremila moggia di grano e più chiaramente si veggia quanto ne toccha a ciascuna d’esse terre” (e in questo passaggio si nota che portare grano a Siena era considerato già come una sorta di esportazione, un ‘sortire’ dai confi ni di Maremma16). Il grano eccedente la quota da consegnare a Siena, l’autoconsumo delle famiglie e la prossima semente (ciò che serve “per loro vita e seme”), sarebbe rimasto in uso del produttore il quale avrebbe

Gabriella Piccinni178

17 L’attività dell’Uffi cio del Biado è ben ricostruibile attraverso lo Statuto del biado (ASS, Statuti di Siena 27), degli anni 1340-1347, un testo unico nel quale era stata raccolta e unifi cata la normativa pre-cedente sull’approvvigionamento e il commercio del grano, sull’obbligo delle giacenze e sulle quantità da conservare in città e nel contado per il fabbisogno delle popolazioni. Breve descrizione in D. CIAMPOLI, Le raccolte normative della seconda metà del Trecento, in Antica legislazione della Repubblica di Siena, a cura di Mario Ascheri, Siena, Il Leccio, 1993, pp. 121-136: 121-122.

18 G. PINTO, Città e spazi economici nell’Italia comunale, Bologna, Clueb, 1996, p. 87 inserisce Siena, insieme ad Arezzo, alle città romagnole e ad alcuni altri centri dell’Italia settentrionale, in un elen-co di città normalmente autosuffi cienti e anche in grado di esportare una parte del raccolto nelle annate migliori.

19 Su questa materia Ivi, pp. 85-93.20 G. PINTO, La Toscana nel tardo medioevo. Ambiente, economia rurale, società, Firenze, Sanso-

ni, 1982, pp. 62-63 dove segnala infatti la frequente apertura della «tratta» del grano maremmano e delle esportazioni. Si veda anche D. MARRARA, Storia istituzionale della Maremma senese. Princìpi e istituzio-ni del governo del territorio grossetano dall’età carolingia all’unifi cazione d’Italia, Siena, Società sto-rica maremmana 1961, p. 243 e I. IMBERCIADORI, Per una storia della società rurale: Amiata e Maremma

potuto liberamente venderlo, fatto salvo l’obbligo di pagare agli Uffi ciali del Biado17 del Comune di Siena una tassa (indicata con il verbo “donare”) pari ad un quinto del prodotto nel caso che il grano fosse esportato via terra o via mare. Come gli altri provvedimenti di ‘grazia’, l’apertura della tratta (cioè la licenza di esportazione legale, non concessa ad personam ma controllata dagli uffi ciali senesi) sarebbe rimasta in vigore per cinque anni, a partire dall’agosto 1384. Si può notare che gli interessi dei produttori maremmani sem-brano coincidere con quelli dei commercianti di grano e, probabilmente, con quelli del bilancio dello Stato, del quale costituivano una voce di entrata non trascurabile.

Il secondo incentivo riguardava direttamente la mano d’opera. Perché ci fosse rac-colto occorreva che “la Maremma si riempia d’uomini” e pertanto Siena imponeva ai comuni maremmani di esentare dalle imposte (“da ogni dazii e gravezze”) per cinque anni gli immigrati, fatto salvo il servizio di guardia “da la quale neuno sia excepto né libero”.

I due provvedimenti sono coerenti. Ma è utile, prima di proseguire nell’analisi, fare un passo indietro per comprendere meglio gli interessi in ballo, lo stretto legame tra la scarsa offerta di mano d’opera, la produzione cerealicola di Maremma, la necessità di tutelare i consumi maremmani, l’esigenza di risanamento delle fi nanze cittadine e le politiche commerciali più o meno liberistiche, palesi nel documento del 1382 ma già in precedenza presenti nelle politiche annonarie di una città che alla fi n fi ne aveva sempre vantato un discreto livello di autosuffi cienza alimentare18.

* * *

Pur sapendo che le politiche annonarie di molte città italiane mutarono, nello spa-zio e nel tempo e secondo le congiunture, nelle forme e negli scopi19 in un’ottica compara-tiva sembra di poter dire che le politiche di Siena furono meno vincolate di quelle di varie altre dall’adozione di strumenti protezionistici20. Distaccarsi dai principi protezionistici, come è abbastanza ovvio, non fu però un processo lineare e indolore.

Siena, il grano di Maremma e quello dell’ospedale. I provvedimenti economici del 1382 179

tra il IX e il XX secolo, Parma, La Nazionale 1971 (ora riedito con integrazioni in I. IMBERCIADORI, Studi su Amiata e Maremma, a cura di Zeffi ro Ciuffoletti e Paolo Nanni, Firenze, Accademia dei Georgofi li, Società editrice fi orentina, 2002), pp. 44-101.

21 BOWSKY, Le fi nanze del Comune di Siena cit., p. 7322 PINTO, La Toscana cit., p. 140.23 “Come si stimò dovizia, e seguì carestia”: M. VILLANI, Cronica, con la continuazione di Filippo

Villani, a cura di Giuseppe Porta, Parma, Guanda, 1995, vol. I, pp. 17-18 (I, 7). 24 Dati sul calo di popolazione in Maremma relativi al 1361, 1362, 1365 in PICCINNI, I “villanni

incittadinati” cit., p. 199.25 IMBERCIADORI, Per una storia della società rurale cit., pp. 93-94. (ASS, Statuti di Siena 32, cc.

70-71v.; Concistoro 2111, c. 9 e sgg.26 ASS, Consiglio generale 180, c. 94, citato da I. IIMBERCIADORI, Per una storia della società

rurale cit., p. 95 e da PINTO, La Toscana cit., p. 148.

Al più tardi dal 1298 esisteva a Siena già una norma che, nel caso di apertura della tratta (cioè di concessione della licenza di esportazione), fi ssava l’entità della gabella sul grano esportato21. La produzione cerealicola del contado senese, in particolare quella maremmana, era stata tutto sommato suffi ciente ai consumi interni fi no alla metà del XIV, tanto che anche negli anni di carestia il divieto di esportare cereali era bastato, in genere, ad assicurare alla città e al contado il grano di cui c’era bisogno22. Il crollo demografi co di metà Trecento non portò tuttavia, in nessuna parte della Toscana, a quel ribaltamento ancora più favorevole della situazione annonaria che ci si attendeva ovunque, tanto che il cronista fi orentino Matteo Villani segnalava con meraviglia quella che per lui era una incongruenza quando, dopo la peste del 1348, «stimossi per lo mancamento della gente dovere essere dovizia di tutte le cose che lla terra produce» e invece «ogni cosa venne in disusata carestia, e continovò lungo tempo»23.

Il ripopolamento della Maremma rappresentava il chiodo fi sso di Siena almeno dagli anni Sessanta del Trecento24. Nel 1361 per le terre maremmane più fertili la tratta era stata aperta proprio per questo fi ne, “ut hominibus impleatur”: il provvedimento aveva interessato Paganico, Campagnatico, Talamone, Montiano, Montepescali, Grosseto, Ma-gliano e la Marsigliana25. Non tutti, però, erano rimasti convinti che fosse questo il modo migliore per portare uomini in quelle terre. La votazione aveva mostrato che esisteva un’area di opposizione, 54 voti contrari contro 250 favorevoli, ma l’adozione di una linea ‘liberista’ aveva prevalso sui principi protezionistici.

Nella seconda metà del secolo la produzione del grano subiva un tracollo anche in Maremma. Nel 1370, a fronte dei dati sconfortanti sulla popolazione - che si diceva pre-cipitata ad un decimo di quella del passato - e di fronte a dati altrettanto sconfortanti sul calo della produzione dei cereali - scesa, si disse, da 40.000 moggia all’anno a 5.00026 - si fi niva per ammettere che i lavoratori se ne andavano dalla Maremma soprattutto perché la tassazione imposta da Siena era iniqua. In quell’occasione era stata varata una prima tranche di esenzioni fi scali della durata di cinque anni. Si era poi stabilito che ogni anno, al momento del raccolto, 3000 moggia di grano maremmano dovessero essere immobiliz-zati nei granai del capoluogo, a spese dei produttori, fi no al maggio successivo quando il Comune di Siena avrebbe preso le sue decisioni: se permetterne la libera vendita oppure

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27 IMBERCIADORI, Per una storia della società rurale cit., p. 9528ASS, Statuti di Siena 25, c. 4829 IMBERCIADORI, Per una storia della società rurale cit., p. 95.30 ASS, Statuti di Siena 23, c. 325; BOWSKY, Le fi nanze del Comune di Siena cit., p. 73.31 IMBERCIADORI, Per una storia della società rurale cit., p. 96-97.32 Provvedimenti, p. 112.

trattenerlo presso di sé. In questo secondo caso avrebbe pagato un prezzo che assicurava idoneo e giusto, ma – ahimé - fi ssato unilateralmente dagli Uffi ciali senesi del Biado. Per il restante del raccolto la tratta veniva aperta, dietro il pagamento di una gabella di espor-tazione di 1 fi orino al moggio27.

Il provvedimento non era stato suffi ciente - e come avrebbe potuto esserlo!- per risollevare le sorti demografi che delle terre di Maremma, che nel 1373 lamentava anche una “magna carestia” di buoi da lavoro28. Nello stesso anno una nuova commissione di esperti aveva riferito dati agghiaccianti. La popolazione maschile adulta della Maremma era scesa da 10.000 a 2.000 unità. Il grano seminato ogni anno era calato da 2.000 moggia a 400 (dunque più o meno si ripetevano i dati di tre anni prima relativi al grano raccolto); il raccolto del solo distretto di Grosseto da 10.000 a 300 moggia. Anche in questo caso la commissione ispirava la sua azione a principi liberistici, che ribadiva con insistenza e convinzione. Infatti essa attribuiva la colpa di tutti questi disastri alla chiusura della tratta, al fatto cioè che quei proprietari che facevano coltivare le terre non potevano poi disporre liberamente del relativo raccolto. Dunque alle politiche protezionistiche si attribuiva la rovina della Maremma perché senza uomini non c’era lavoro e senza lavoro non c’erano grano né carne, e gli artigiani non guadagnavano dai commerci tra Siena e Maremma29. Gli interessi dei produttori maremmani coincidevano, oppure come coincidenti erano pre-sentati, con quelli dei commercianti senesi.

Tre anni dopo, nel 1376, la situazione era ancora critica e irrisolte le oscillazioni tra principi protezionistici sul lungo periodo e frequenti politiche di liberalizzazione. In quell’anno si procedette, dunque, a dare in appalto la rendita delle gabelle della Marem-ma, con l’esclusione di quella sui pascoli e sulle saline ma compresa quella sul cereale esportabile. Non era la prima volta, era anzi già successo, ad esempio nel 133230. Siena abdicava, in quelle occasioni e per un certo numero di anni, ad un ruolo-guida nel campo delle politiche annonarie. In cambio il Comune si garantiva una rendita sicura. La tratta continuava ad essere proibita in linea di principio, ma concretamente gli appaltatori ave-vano la piena facoltà di concederla in deroga fi no ad un terzo del totale del grano marem-mano31. La licenza di esportazione avrebbe potuto trasformarsi facilmente in arbitrio, ma non sappiamo se ciò avvenisse.

* * *

Il 25 settembre 1382, dunque, la tratta del grano di Maremma venne di nuovo aper-ta per cinque anni. Il provvedimento fu ratifi cato il 22 dicembre32. Il giorno successivo, 23 dicembre, le questioni del biado tornarono all’ordine del giorno della balìa. Solenni

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33 Provvedimenti, pp. 114-11534 Si tratta di 2.800 lire di viaggi, 2.500 per il seguito, 5.900 per i bargelli, 3.200 di salari, 1.000 si

spese straordinarie, per un totale di 15.400 lire35 Provvedimenti, pp. 115-116.36 Cronaca senese conosciuta sotto il nome di Paolo di Tommaso Montauri, in Cronache senesi

cit., p. 699.37 Ivi, p. 705.38 Provvedimenti, p. 116-117.

affermazioni di principio (“però che chi si parte dall’ordine si parte dall’essere e non può avere lieto fi ne”) furono seguite da ruvide accuse, che “a tucti cictadini è manifesto niuna cosa è facta nel Comune di Siena con tanto poco ordine quanto è il facto del Biado, però che con grandi dampni e vergogna alquanti delli Uffi ciali del Biado passati ànno facto l’Uffi cio del Biado e con grandi spese e danni de’ cittadini”33. Forti della denuncia di “persone degne di fede” i commissari facevano i conti in tasca agli Uffi ciali del Biado ac-cusati di aver sostenuto spese spropositate, arrivando ad un totale di 15.400 lire in un solo mandato34, e deliberavano la riduzione dell’Uffi cio a sole tre persone, più il camarlingo, tutti con divieto di trasferta (se proprio se ne fosse presentata la necessità il governo si riservava di mandare nel contado propri uomini di fi ducia)35.

Le “diavolerie”, cioè il malgoverno del territorio messo sotto accusa, rimbalza an-che nelle Cronache. Paolo di Tommaso Montauri, commentando i pagamenti spropositati che venivano fatti alla compagnia dell’Acuto, scrive: “E gli uffi ziali del biado di Siena vedendo come la cosa andava cominciorno a robare li citadini e forzare e mettere grano ne’ canpi e torlo per forza e condanare senza cagione li cittadini e fare mettare denari nel ceppo, poi l’aprivano, partivano fra loro, e metevano nelle loro borse; e féro diavolerie d’ottobre e novenbre [1383]”36. E ancora, nel 1384 “l’ufi tiali del biado che erano 6 furno levati da esso ufi zio a dì XV di novembre per le ribalderie che facevano”37.

In questa nuova seduta la licenza di esportare si confermava come ‘grazia’, cioè come eccezione concessa di volta in volta all’interno di un orizzonte teorico protezioni-stico al quale si continuava invece a riferirsi come il solo legittimato a garantire l’abbon-danza di grano, proteggere le popolazioni e arginare la fame: gli uffi ciali e il camarlingo del Biado avrebbero eletto un bargello forestiero che, con dieci fanti e due cavalli, “in-tenda solicitamente e cura abbia ch’el grano e biado non si tragga del contado di Siena; e intorno a l’autre cose, acciò che sia abondanza di grano e di biado ne la città e contado di Siena”38.

L’apertura della tratta era certamente un segno della pressione degli interessi dei commercianti e dell’urgenza degli interessi dell’erario ma presupponeva anche un equili-brio soddisfacente tra produzione e bisogni annonari interni. Diversamente il sistema non avrebbe retto. Ma la contraddizione tra le delibere delle due sedute (la prima, quella che bandiva l’apertura della tratta, e la seconda, quella che ribadiva i principi protezionistici) era troppo palese perché potesse rimanere nascosta nelle pieghe di una normale dialettica politica. Nello stesso giorno la balìa dava spazio ad un’importante precisazione che svela qualcosa di un’altra dialettica, quella tra le varie aree del vasto territorio senese, mettendo

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39 Provvedimenti, pp. 121-122.40 Vedi supra.

in evidenza la volontà politica del Comune di Siena di controllare i fl ussi di prodotti tra di esse. Le esportazioni del grano maremmano, quando fosse aperta la tratta, sarebbero state possibili soltanto se il grano fosse partito per destinazioni lontane almeno certo miglia dalla foce (si suppone dell’Ombrone)39. Inoltre era esplicitamente vietato mettere in moto un fl usso commerciale opposto, cioè portare grano dalle altre parti del contado di Siena verso la Maremma. Insomma solo il grano prodotto in Maremma poteva essere esportato mentre non poteva esserlo, anche se per ipotesi dirottato in Maremma, quello prodotto nelle aree più vicine alla città che erano poi anche quelle dove dominava già l’agricoltura mezzadrile e poderale, con la connessa tendenza all’autoconsumo delle famiglie del la-voratore e del proprietario.

Il granaio senese, perciò, quello che davvero rendeva sul mercato, era ancora la Maremma, per rovinata che essa fosse dalle “diavolerie” e “ribalderie” degli uffi ciali corrotti e disonesti40. Le “terre di Maremma” nel 1398 vengono chiamate il “paese di Ma-remma”, un paese con al centro la città di Grosseto, un reame di frutti copiosi se fosse, e fosse stato in passato, ben amministrato: “el più alto et più rilevato et più degno che abbi la nostra città et di maggior fructo, et quasi si può dire essere un reame, et quello che può dare richeza et abondanza et tesori a la nostra città più che niuno altro, quando fusse ben governato e ben custodito; e come le cose si sieno andate per li passati, per negligentia sono dovenuti quasi sterili et inculti; et de le cose che noi dovremmo cavare larghi fructi et provencti, noi largamenti vi mettiamo de la pecunia del nostro comune; et questo si vede manifestamente essere vero, con ciò sia cosa che la terra di Talamone costi l’anno per la guardia 1800 fi orini o più, et anco ne sia mal guardata; et similmente si veda la terra di Gioncarico et l’altre terre per essere abandonate, non si provede; et veggasi molte altre terra poterle assai bonifi care et sanifi care, et maximamanete la città di Grosseto, per la quale essa e l’altre terre verranno a essere più habitate, tenendo e’ modi che si potran-no habilemente”. L’obiettivo degli interventi di quell’anno (che avrebbero interessato soprattutto le infrastrutture viarie) era l’ “amplifi camento d’esse lavoriere che è quella cosa che può dare abondanza, richeza et buono stato ne la nostra città””: solo questo al-largamento dei coltivi avrebbe trasformato davvero il paese di Maremma in un “reame”.

Dunque fi no a quel momento lo spopolamento di Maremma, che portava con sé la sottoutilizzazione delle grandi lavoriere del grano, era stato attribuito, secondo i momenti e le contingenze, a varie responsabilità: alle politiche protezionistiche e alla chiusura del-la tratta del grano, alla tassazione iniqua, ai funzionari corrotti, alle infrastrutture inade-guate, alle strade insicure. Basti per tutti la motivazione con la quale nel 1324 il consiglio generale di Siena aveva dato mandato al governo di intervenire sulla sicurezza delle stra-de: “quod in caminis et stratis Marithime et in ipsa contrata Marithime multe violentie, robbarie et personales offensiones commisse sunt hiis diebus et cotidie commictuntur ac etiam inferunt et fi unt tam civibus et comitatinis senensibus. Quam etiam aliis hominibus per dictas stratas, caminos, contratas Marithime transeuntibus per quosdam malandrinos,

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41 ASS, Consiglio generale 101, cc. 147v-148. Sull’insicurezza delle strade maremmane e dei dintorni di Roma G. CHERUBINI, Appunti sul brigantaggio in Italia alla fi ne del Medioevo, in Studi di storia medievale e moderna per Ernesto Sestan, I, Medioevo, Olschki 1980, pp. 103-133 riedito in IDEM, Il lavoro, la taverna, la strada. Scorci di Medioevo, Napoli, Liguori Editore, 1997, pp. 141-171 e la bi-bliografi a da lui citata sulle aree infestate dai briganti. In generale sulla sicurezza della Maremma REDON, Lo spazio di una città cit., pp. 146-147.

42 Fino al 1349 alcuni terreni di proprietà del Comune di Siena posti a Sasso di Maremma erano stati affi ttati per la coltivazione dei cereali: ASS, Consiglio generale 145, c. 12 v. 12 agosto 1349. Così pure le terre demaniali di Montemassi erano non coltivate perché gli affi ttuari erano calati da 220 a 50 nel 1353 Consiglio generale 153 cc 16-16 v. 26 luglio 1353; PICCINNI, I “villani incittadinati” cit., pp. 198-199.

43 Sintetizza alcune testimonianze sparse sulla malaria maremmana nel Trecento e Quattrocento REDON, Lo spazio di una città cit., pp. 158-159.

44 Per le proprietà del Comune di Siena nel 1430 vedi D. CIAMPOLI, Le proprietà del Comune di Siena in città e nello Stato nella prima metà del Quattrocento, in Siena e il suo territorio nel Rinascimen-to. Documenti raccolti da Mario Ascheri e Donatella Ciampoli, Siena, Il Leccio, 1990, pp. 1-43.

predones et bacaroçços qui in tantum in illis partibus multiplicati sunt et eorum fautores et receptores quod quamnulla persona per ipsam contratam seu ipsum paesem potent transire secure”41.

‘La storia ci dice poi come fi nì la corsa’, cioè con l’enfatizzazione della voca-zione di pastorizia, attraverso la riconversione dalla cerealicoltura alla transumanza di molte terre demaniali povere di braccia42, e parte della Maremma abbandonata al suo cronico spopolamento e alla malaria43. L’organizzazione delle dogane, costituite con le terre demaniali44 e con i diritti di pascolo sull’incolto nelle terre comuni, riduceva l’accesso della popolazione locale alle terre di uso comune, una risorsa importantissi-ma per l’economia locale, a vantaggio dell’erario senese che incassava i proventi del passaggio dei bestiami.

Ma la Maremma era, ed è, grande e varia. Un reame, appunto. Il primo intervento organico per sfruttare al meglio i suoi pascoli aprendoli a tutti i pastori e non limi-tandone l’uso ad un numero ristretto di persone, e tariffando i passaggi (“pro pascuis Marittime”) era stato nel 1353. Già da quel primo intervento ci si attendeva una catena di vantaggi di carattere generale che riguardavano anche l’abbondanza di carne e garan-tivano gli interessi dei commercianti, l’abbondanza di concime per le lavoriere e l’au-mento della produttività, la maggiore redditività della tratta del grano, la sicurezza della Maremma. La visione politica, insomma, nel 1353 ambiva all’equilibrio degli interessi. Nell’orizzonte politico del governo non c’erano solo i commercianti di grano; non solo i commercianti di carne; e nemmeno solo gli interessi dell’erario o solo quelli del po-polo senese. Sul tavolo c’era un progetto ambizioso e generale che prevedeva insieme l’aumento della disponibilità delle carni, l’incremento della produzione dei cerali e del-le esportazioni; più sicurezza, più popolazione. Si legge infatti che “seguiranno molte più utilità: in prima che a la cità ne seguirà grande abondanza di carne [...]; anche per lo molto bestiame che vi stabiarebbe l’avare si farebbero molto lavoriere, e molto biado vi farebbe più che non vi fa; sì che la tracta del grano non varrebbe di meglio molto più;

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45 ASS, Consiglio generale 152, cc.33v.-34. Altri provvedimenti per le tariffe della transumanza verso la Maremma erano stati presi nel 1338, ASS, Consiglio generale 122, cc. 22-23v. Nel 1361 Balia sull’aumento die pascoli presso il fi ume Albegna ASS, Consiglio generale 167 c. 25. Pascoli a Batignano e rapporti con il Comune 1365 ASS, Consiglio generale 172 cc. 36v.-37v.

46 Alcuni suggerimenti bibliografi ci su questo vasto tema di portata europea: E. SERENI, Agricol-tura e mondo rurale, in Storia d’Italia, I, Torino, Einaudi 1972, pp. 136-252:198-200; G. CHERUBINI, Ri-sorse, paesaggio ed utilizzazione agricola del territorio della Toscana sudoccidentale nei secc. XIV-XV, in Civiltà ed economia agricola in Toscana cit., pp. 91-115:112-115 (ora riedito in ID., Scritti toscani. L’urbanesimo medievale e la mezzadria, Firenze, Salimbeni 1991, pp. 219-239); J. C. MAIRE VIGUEUR, Les pâturages de l’Eglise et la Douane du bétail dans la province du Patrimonio (XIV-XV siècles), Roma, Istituto di Studi Romani 1981; A. CORTONESI, Colture, pratiche agrarie e allevamento nel Lazio bassomedievale: testimonianze dalla legislazione statutaria, «Archivio della Società Romana di Storia Patria», CI, 1978, pp. 97-219. I. IMBERCIADORI, Il primo statuto della Dogana dei Paschi maremmani (1419), «Archivio Vittorio Scialoia per le consuetudini giuridiche agrarie» , V, 1938 ora in ID., Per una storia della società rurale. Amiata e Maremma cit., pp. 107-140; R. LICINIO, Uomini e terre nella Puglia medievale. Dagli Svevi agli Aragonesi, Bari, Edizioni del Sud, 1983, p. 169; D. MUSTO, La regia dogana della mena delle pecore di Puglia, Quaderni della rassegna degli Archivi di Stato, Roma, 1964; M. DEL TREPPO, Agricoltura e transumanza in Puglia nei secoli XIII-XVI: confl itto o integrazione, in Agricoltura e trasformazione dell’ambiente. Secoli XIII-XVIII, Atti dell’XI settimana di studio dell’Istituto di storia economica «Francesco Datini» di Prato, a cura di Annalisa Guarducci, Firenze, Le Monnier 1984, pp. 455-460; U.G. MONDOLFO, Agricoltura e pastorizia in Sardegna nel tramonto del feudalesimo, «Rivista italiana di sociologia», VIII, 1904, pp. 445 sgg.). Un quadro mediterraneo in La pastorizia mediterranea, Storia e diritto (secoli XI-XX), a cura di Antonello Mattone e Pinuccia F. Simbula, Roma, Carocci, 2011. Sull’organizzazione della dogana di Maremma nel XIV secolo Davide Cristoferi ha in corso la ricerca per la sua tesi di dottorato.

47 ASS, Consiglio generale 207, c. 259. Per la conoscenza die problemi del mercato senese della carne V. COSTANTINI, «Carnifi ces sive mercatores bestiarum»: i macellai senesi tra lavoro, affari, rivolte (metà XIII-metà XIV secolo), tesi di dottorato in Storia medievale, Università degli Studi di Siena, aa. 2012-2013.

e la Maremma ne sarebbe molto più secura pelli molti pastori che vi sarebono; e molte più utilità ne seguirebbono”45.

Diamo ora uno sguardo in avanti, quando, a cavallo tra i due secoli, non solo in Maremma ma in più aree d’Europa e d’Italia, sovrani e città svilupperanno la transu-manza dei bestiami forestieri nei latifondi demaniali, gestendo un complesso intreccio di rapporti, economici e di potere, con i signori e con le comunità contadine: si organizze-ranno, o meglio si riorganizzeranno, oltre a quella maremmana (1419, ma preceduta da un intervento del 1353), la Dogana della Campagna romana (1402), quella del Tavoliere (1443-1447), quella sarda46. La Maremma, nel 1405, verrà esplicitamente descritta come l’area della Toscana più ricca di bestiame47. Pochi anni dopo, nel 1419, quella dei pascoli maremmani sarà valutata come l’entrata “che gitta quasi magior frutto et utilità alla co-munità et singulari persone della città et contado di Siena che niun altra”; ma siccome sarà anche “male proveduta et exercitata perché paschi so’ stati mal guardati” e perché “chiunque mette bestie ne’ detti paschi vuole fare a suo comodo”, il Comune di Siena provvederà ad approvare lo Statuto della dogana dei paschi. Si tratta di un testo unico di riorganizzazione della normativa, che risulterà ormai composta da “infi nita statuta et ordinamenta super dogana pascuorum comunis Senarum ex quibus multa sunt superfl ua,

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48 IMBERCIADORI, Il primo statuto della Dogana dei Paschi cit., pp. 122-123. 49 ASS, Statuti di Siena 39, cc. 7-7v.50 PINTO, Città e spazi economici cit., p. 90.51 ASS, Concistoro 2148, c. 44.52 “Stante la monitione ferma et la tracta per aqua aperta […] entrerà in città vostra uno giubileo

di denari”, citato da M. GINATEMPO, Motivazioni ideali e coscienza della ‘crisi’ nella politica territoriale di Siena nel XV secolo, “Ricerche soriche”, XIV (1984), pp. 291-336.

53 Provvedimenti, p. 11854 Ivi, p. 119

inania et obscura et aliqua ad invicem contraria et aliqua iniusta, indebita et male compo-sita et facta”. E’ così che verrà rilanciata la Dogana “quasi che rotta”48.

Quello statuto quattrocentesco di primo acchito sembrerebbe la presa d’atto del fallimento delle politiche per incentivare la produzione di cerali. Eppure misure in favore della cerealicoltura maremmana continueranno ad essere adottate a più riprese dal 1412 in poi49 e alla Maremma si continuerà a guardare come terra capace, pur in mezzo alle tante diffi coltà, anche di rifornire i granai del popolo di Siena e di esportare grano50. Nel 1442 un certo Domenico di Silvestro da Magliano detto Cetona chiede al Comune di Siena la concessione di un mulino sull’Albegna, allora abbandonato e secco ma che pare abbia la bellezza di 150 anni, del quale vuole riattivare la gora e le fosse, perché non gli fa paura il lavoro, come sanno tutti, e perché lui vuole fare la sua parte per migliorare il terribile ambiente maremmano e far regredire l’inselvatichimento, veder diminuire il numero degli animali salvatici, e consentire ai produttori di grano di non andare più a ma-cinare lontano, a Campagnatico e Montemerano. Lo vuol fare, dice con orgoglio, perché desidera “lassare qualche fama di sé”51.

Nel 1484, infi ne, quando il Comune decreterà l’apertura della tratta, lo farà dichia-rando la certezza che “entrerà in città vostra un giubileo di denari”52.

* * *

Veniamo all’ultimo punto della nostra piccola ricostruzione. Nelle sedute di di-cembre 1382 all’attenzione della balìa arrivavano anche una serie di problemi che oggi chiameremmo di welfare. Occorreva infatti che “a’ poveri e bisognosi si sovvenga del grano del comune di Siena”. Si affi dava perciò agli Uffi ciali del Biado il compito di individuare, tra coloro che erano allirati nella città, delle fasce protette, stilando elenchi nominativi, e di calcolare le necessità annuali di grano per ognuno53. A costoro poteva es-sere venduto mensilmente fi no ad un massimo di uno staio di grano a testa dei componen-ti della famiglia (“per bocca”), ad un prezzo scontato fi ssato dagli Uffi ciali stessi. Quel prezzo doveva essere inferiore ad un sesto di quello pagato dal Comune, comprensivo delle spese (dunque di trasporto e stoccaggio).

La balìa prendeva poi in considerazione il resto del grano del Comune che veniva venduto sul mercato del Campo54. Queste le valutazioni, ancora una volta presentate in serrata concatenazione. Prima della riforma il prezzo di vendita del grano del Comune era di 15 soldi lo staio, e il Comune ci perdeva già circa 6 soldi a staio; i panettieri ne face-

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55 M. GINATEMPO, Prima del debito. Finanziamento della spesa pubblica e gestione del defi cit nelle grandi città toscane (1200-1350 ca.), Firenze 2000, p. 17

56 Dal regolamento per la nuova Lira in ASS, Statuti di Siena 31, cc. 2-3, edito in Documenti per la storia dei rivolgimenti politici del comune di Siena dal 1354 al 1369, a cura di J. Luchaire, Lyon-Paris 1906 p. 35, 16 ottobre 1355.

57 Provvedimenti, p. 120

vano poi del pane che vendevano a ben 3 lire lo staio, cioè quattro volte tanto; per questo tanti speculatori forestieri giungevano sul Campo per acquistare questo grano senese così conveniente e portarlo fuori. Il prezzo di vendita del grano comunale dunque era troppo basso, il Comune ci scapitava e, conseguenza inevitabile, il debito pubblico aumentava e occorrevano nuove imposte per farvi fronte (“per la perdita poi si conviene di necessità ponere le preste a’ cittadini”).

Già, imporre le preste. Non si trattava di una questione indolore. Maria Ginatempo ha ben spiegato come lo Stato si dotasse di liquidità attingendo al risparmio privato ma coercitivamente, mediante prestiti forzosi che per una parte cospicua dei contribuenti (cioè per i ceti inferiori) equivaleva ad una imposta diretta, perché molti erano costretti a pagare «a perdere» (accettando cioè di versare somme minori dietro la rinuncia agli interessi); mentre per l’altra parte dei contribuenti (cioè per l’ élite mercantile-imprendi-toriale e anche per fi gure minori che operavano nella piccola intermediazione fi nanziaria) equivalevano a una compartecipazione all’azienda-Stato ed erano insieme un oggetto di speculazione55. Sta di fatto che “per le preste et gravezze superfl ue – scrivono i nostri – spesse volte li stati si perdono e le città vengono meno”. Concetto che i senesi avevano già elaborato ventisette anni prima, nel 1355, quando avevano argomentato che l’abuso del ricorso ai prestiti forzosi produceva odio sociale (“clarius videntes quod prestantie que sepius imponuntur civibus civitatis Senarum hodium generant potius quam amorem ex natura ipsarum”)56. E, del resto, ricordiamo quella che era stata il mandato che la balìa aveva ricevuto dal Comune: trovare soluzioni senza aumentare le imposte. Operazione complessa, per la quale Dio e i santi “concedino gratia che neuna gravezza s’abbia a po-nere a la città né al contado”.

La decisione del 1382, dunque, fatta salva la fascia protetta di coloro tra gli allirati che sarebbero stati iscritti in speciali elenchi dei poveri e bisognosi, prevedeva l’abolizio-ne dello sconto sul prezzo del grano del Comune, che doveva essere venduto allo stesso prezzo con il quale il Comune stesso lo aveva comprato “sì che d’esso grano non ne perda esso comune né ne guadagni”57. Le spese per l’acquisto di grano venivano anticipate con la metà dei proventi della gabella delle carni macellate.

Ma siccome occorreva che il grano fosse abbondante sul mercato ecco che en-trava in ballo il nostro ultimo attore, l’ospedale civico di santa Maria della Scala, nel-la sua veste di granaio della città. L’istituto veniva obbligato a conservare nei propri magazzini ogni anno 1.000 moggia di grano, a disposizione degli Uffi ciali del Biado. Il prezzo che il Comune avrebbe pagato per quel grano sarebbe stato quello praticato sul mercato al momento della consegna, ma è evidente che l’immissione di tale forte quantità avrebbe avuto comunque una funzione calmieratrice.

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58 Cronaca senese attribuita a Agnolo di Tura del Grasso detta la Cronaca Maggiore, in Cronache senesi cit., pp. 484-485.

59 G. PINTO, Il Libro del Biadaiolo: Carestie e annona a Firenze dalla metà del ‘200 al 1348, Fi-renze, 1978, pp. 319-320 e M. PELLEGRINI, Le «limosine di messer Giovanni». Società, demografi a e reli-gione in una fonte senese del Trecento, in Uomini paesaggi storie. Studi di storia medievale per Giovanni Cherubini, a cura di Duccio Balestracci, Andrea Barlucchi, Franco Franceschi, Paolo Nanni, Gabriella Piccinni, Andrea Zorzi, Siena, Salvietti&Barabuffi editori, 2012, pp. 997-1015,

60 Cronache senesi cit., p. 485.61 S. R. EPSTEIN, Alle origini della fattoria toscana. L’ospedale della Scala di Siena e le sue terre

(metà ‘200 – metà ‘400), Firenze 1986, p. 210.

Il rapporto tra il grano dell’ospedale e la città di Siena era antico. Basti ricordare un episodio noto, avvenuto durante la grande carestia del 1328-132958, del quale si sono occupati nel tempo Giuliano Pinto studiando il libro del biadaiolo fi orentino Domenico Lenzi e, più di recente, Michele Pellegrini in un bel saggio intorno alla fi gura del rettore dell’ospedale senese Giovanni di Tese Tolomei59. Come era accaduto altrove in Toscana e a Roma, scrive Pellegrini, nella primavera del 1329 anche a Siena il popolo inferoci-to dalla fame «romorò, e corse con furore sul Campo», dove le ultime scorte di grano venivano poste in vendita a prezzi calmierati ma in favore dei soli cittadini ‘allirati’. Il tumulto era nato davanti alle porte dell’Ospedale, quando gli ospedalieri avevano sospeso l’elemosina dei pani, e poi si era allargato verso il Campo. La sommossa era stata seda-ta solo quando il governo, dopo che le milizie del Capitano della Guerra Guidoriccio da Fogliano avevano avuto la peggio, aveva imposto agli ospedalieri di uscire, perché «con buone parole li conducessero a l’ospedale e li contentassero, e così fecero dicendo: ‘Venga ogniuno che lo’ daremo del pane quanto vorrete, e non fate romore, e uno a uno ogniuno n’arà’»60. “Davvero dunque, - scrive Michele Pellegrini - con buona pace dell’o-ro e dell’azzurro che impreziosiscono le pareti della sala del Mappamondo in Palazzo Pubblico, il meno noto Giovanni Tolomei fu in quel frangente, per i Nove, un funzionario al servizio dello Stato ben più prezioso del condottiero che, nell’affresco di Simone Mar-tini, cavalca sereno alla conquista di Montemassi”.

Poi, nel 1357 il capitolo dell’ospedale aveva approvato una riforma dei propri sta-tuti che gli consentisse di vendere grano “per pagare le provisioni [gli interessi sui denari in deposito] che ‘i decto Spedale è tenuto di pagare” e aveva presentato una petizione al Comune, chiedendo la licenza ad personam di esportare fi no a 2.000 moggia di grano dai porti della Maremma per venderlo a bolognesi, genovesi e catalani61.

Interessante quanto sarebbe accaduto nel 1385, che fu anche l’anno di un nuovo cambio di governo e di rinnovate grandi scorrerie di compagnie di ventura. Il capitolo che governava l’ospedale pubblico deliberava in quell’anno di far fronte alle insistenti richieste degli Uffi ciali del Biado “per certo bisogno che ànno”. Richiesti di garantire una somma importante, gli ospedalieri iniziarono una trattativa con il Comune, ottenen-do dagli Uffi ciali l’assicurazione “che lo spedale non ne ricevarà danno niuno e che lo spedale gli riarà innançi escano d’uffi cio” e, soprattutto, cercando l’accordo su un tetto di

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62 ASS, Ospedale 21, cc. 39v., 62, 58, 64, 67. E ancora nel 1384 cc. 68, 74v., 88v., 94v. Nel 1385 cc. 105v., 108v., 109, 122, 122v., 132.

2.000 fi orini62. In febbraio il capitolo dell’ospedale aveva discusso di insistenti richieste provenienti dal governo per un prestito più alto possibile per far fronte alle emergenze (“che signori difensori abbiano chiesto più e più volte misser Giovanni et lo spedale che in tanta necessità et bisogno et in tanto pericolo in quanto al presente questa città è, che lo spedale li sovenga di quella quantità di denari al più che possano”). Alla fi ne, “non poten-do fare altro”, aveva prestato 5.000 fi orini, con tutte le garanzie possibili (“con la migliore sicurtà che si può”). Di nuovo simile l’emergenza di luglio, nonostante che il governo fosse cambiato: il capitolo ospedaliero, richiesto ancora una volta di prestare il prestabile (“avendo richiesto lo spedale e’ signori priori che se lo presti quella quantità di denari che lo spedale può”) e ottenuto l’impegno di rientrare della somma entro dieci giorni, deli-berava di proporre al governo un prestito di 100 fi orini (“che se lo presti 100 f.”) ma già rassegnato ad arrivare al massimo fi no a 200 (“che non rimanendo e’ signori contenti a la decta quantità che anco se lo presti CC fi orini”). In agosto il governo chiedeva altri 2.000 fi orini “et promettono di sicurare che essendo tanto caso strecto del Comune et che porti tanto pericolo”, e il capitolo cercava i denari necessari “per pagare la compagna”, 5.063 fi orini che alla fi ne l’ospedale stesso trovò presso un proprio anonimo prestatore. A di-cembre ancora il governo batteva cassa per 200 o anche 300 fi orini ma l’ospedale diceva questa volta di non aver “modo niuno a prestàrlolo”. Il Comune chiedeva poco dopo altri 1.000 fi orini, che accettava di garantire con i proventi futuri della presta o delle gabelle, e nel clima di questa emergenza senza fi ne il capitolo decideva che era arrivato il momento di provare a resistere alle pressioni e a trattare, delegando “quattro frati, e dieno la prima risposta a loro negativa con parole più morbide che possono, mostrando che l’ospedale non avesse e’ detti M fi orini!”. L’ospedale, dunque, rappresentava la riserva di liquidità del Comune e se ne faceva spesso garante.

Nei Provvedimenti del 1382 il grano che l’ospedale doveva mettere a disposizione era “per lo popolo di Siena”. E’ chiaro il richiamo alla sua missione istituzionale. Su di essa ho già avuto modo di dilungarmi in altra sede argomentando che i poveri, che tanto spesso comparivano negli statuti ospedalieri come destinatari principali dell’atti-vità d’assistenza, rappresentavano la ragione sociale stessa degli ospedali. E che perciò, lasciare dei beni ‘ai poveri dell’ospedale’ non signifi cava tanto fi nalizzare un lascito alle elemosine; non signifi cava solo individuare, tra i molti bisognosi, la categoria sociale del meno abbiente. Signifi cava riassumere in una sola parola il senso dell’azione ospedaliera. Nei contesti urbani e quando e dove gli ospedali avevano assunto una chiara caratura municipale ciò signifi cava, in una parola, lasciare i propri beni alla gente di una città, a una comunità intera, si potrebbe dire proprio a un popolo, perché con essi quel popolo mettesse in atto una protezione sociale in grado di far fronte alle fasi di debolezza che potevano travolgere i suoi singoli componenti. Nel linguaggio condiviso del bene comune tanto i poveri protetti dall’ospedale quanto i deboli protetti dal Comune sottintendevano la ricerca di una visione globale della società in quanto, nel momento stesso in cui ne

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63 PICCINNI, Il banco dell’ospedale di Santa Maria della Scala cit., pp. 26-28.

includevano le debolezze, individuavano l’intera collettività che con la parola poveri ve-niva riassunta nella sua interezza63. Per questo il grande granaio che tuttora si può visitare sotto le volte mattonate dell’ospedale – quello fi sico, non metaforico - era anche il granaio del “popolo di Siena”.

GABRIELLA PICCINNI