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ETNOGRAFIA E RICERCA QUALITATIVA - 2/2010 Aide Esu «The Ultimate Mission to Israel» Discorso pubblico e sicurezza dei militari israeliani x Introduzione I territori dei conflitti intrattabili, Paesi Baschi, Cecenia, Sri Lanka, Israele e Palestina sono accomunati dalla presenza di un conflitto strutturale di lunga durata: una longevità che si alimenta nell’incessante interscambio di pratiche politico-militari e di condivisioni sociali. Si tratta di conflitti che comportano al- l’interno di questi territori condizioni di vita dolorose e stressanti, nonché costi elevati in termini umani e materiali. È grazie a un’articolata gamma di credenze sociali (sulla legittimità dei propri obiettivi, la necessità di sicurezza, l’immagi- ne positiva di sé, la vittimizzazione, la delegittimazione dell’avversario, il pa- triottismo, l’unità e la pace) che prende forma il framework dell’intrattabilità. Ogni credenza sociale si declina con contenuti propri, contribuendo a formare l’ethos conflittuale che influenza le percezioni, gli atteggiamenti, i giudizi, le motivazioni e i comportamenti degli attori sociali (Bar-Tal, 1998a; 1998b). Per chi vive in una società connotata dall’intrattabilità del conflitto la vita sociale oscilla inevitabilmente tra paura e speranza. Le pratiche sociali nate dalla paura portano alla costruzione di muri invisibili, alla elaborazione di oriz- zonti di senso e a tentativi di razionalizzare le emozioni. La speranza richiama al ragionamento e all’immaginazione di nuovi scenari, attiva la riflessività e richiede nuovi comportamenti centrati sul desiderio di realizzare obiettivi posi- tivi (Bar-Tal, 2001). Ma è soprattutto la paura a determinare un orientamento collettivo fondato sulle credenze sociali dell’intrattabilità, nutrite dalla memoria collettiva, dall’ideologia e dai miti. Tali credenze si ritrovano disseminate nei discorsi pubblici, nei canali di comunicazione, nei prodotti culturali, nell’edu- cazione, nelle elaborazioni degli eventi collettivi e vengono usate nella presa delle decisioni (Bar-Tal, 2004). Il framework dell’intrattabilità apre interessanti prospettive analitiche che permettono di andare oltre la prolifica letteratura geopolitica sul conflitto tra Israele e Palestina. In particolare, esso consente di esplorare le ragioni che sottostanno all’accumulo di animosità, sfiducia, negazione, disumanizzazione che le parti in conflitto esprimono. È in questa direzione analitica che si muovono

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ETNOGRAFIA E RICERCA QUALITATIVA - 2/2010

Aide Esu

«The Ultimate Mission to Israel»

Discorso pubblico e sicurezzadei militari israeliani

x Introduzione

I territori dei conflitti intrattabili, Paesi Baschi, Cecenia, Sri Lanka, Israele ePalestina sono accomunati dalla presenza di un conflitto strutturale di lungadurata: una longevità che si alimenta nell’incessante interscambio di pratichepolitico-militari e di condivisioni sociali. Si tratta di conflitti che comportano al-l’interno di questi territori condizioni di vita dolorose e stressanti, nonché costielevati in termini umani e materiali. È grazie a un’articolata gamma di credenzesociali (sulla legittimità dei propri obiettivi, la necessità di sicurezza, l’immagi-ne positiva di sé, la vittimizzazione, la delegittimazione dell’avversario, il pa-triottismo, l’unità e la pace) che prende forma il framework dell’intrattabilità.Ogni credenza sociale si declina con contenuti propri, contribuendo a formarel’ethos conflittuale che influenza le percezioni, gli atteggiamenti, i giudizi, lemotivazioni e i comportamenti degli attori sociali (Bar-Tal, 1998a; 1998b).

Per chi vive in una società connotata dall’intrattabilità del conflitto la vitasociale oscilla inevitabilmente tra paura e speranza. Le pratiche sociali natedalla paura portano alla costruzione di muri invisibili, alla elaborazione di oriz-zonti di senso e a tentativi di razionalizzare le emozioni. La speranza richiamaal ragionamento e all’immaginazione di nuovi scenari, attiva la riflessività erichiede nuovi comportamenti centrati sul desiderio di realizzare obiettivi posi-tivi (Bar-Tal, 2001). Ma è soprattutto la paura a determinare un orientamentocollettivo fondato sulle credenze sociali dell’intrattabilità, nutrite dalla memoriacollettiva, dall’ideologia e dai miti. Tali credenze si ritrovano disseminate neidiscorsi pubblici, nei canali di comunicazione, nei prodotti culturali, nell’edu-cazione, nelle elaborazioni degli eventi collettivi e vengono usate nella presadelle decisioni (Bar-Tal, 2004).

Il framework dell’intrattabilità apre interessanti prospettive analitiche chepermettono di andare oltre la prolifica letteratura geopolitica sul conflitto traIsraele e Palestina. In particolare, esso consente di esplorare le ragioni chesottostanno all’accumulo di animosità, sfiducia, negazione, disumanizzazioneche le parti in conflitto esprimono. È in questa direzione analitica che si muovono

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i miei interessi di ricerca sul conflitto in Medioriente  (Esu, 2006; 2007; 2008;2009).

Una mattina dell’autunno del 2005 un flash banner apparso sull’homepagedel quotidiano Haaretz cattura la mia attenzione. Il testo – in sovraimpressionesull’immagine di un soldato che, ventre a terra, punta il mitragliatore contro ilnemico – recita le seguenti parole:

Vivi otto giorni intensi e dinamici alla scoperta della lotta per la sopravvivenzae la sicurezza di Israele in Mediorente: un quadro della realtà militare, uma-nitaria, storica, giudiziaria, religiosa e politica.

Dopo la navigazione sul sito comincia a farsi strada l’idea di partecipareal tour militare. Nonostante la ricca letteratura sul mondo militare israeliano,gli studi sulle narrazioni dei militari sono un campo di ricerca abbastanza ine-splorato1. Assumere il tour come esperienza etnografica rappresenta pertantoun’opportunità unica di accesso a un campo di ricerca in genere inaccessibile,specie in un contesto di guerra. Saranno necessari tre mesi per la valutazionedelle mie credenziali. Il tour è programmato per luglio. Qualche giorno primadella partenza un incidente alla frontiera con il Libano farà scattare la reazionedi Israele2. Il tour è sospeso. Posticipo di un anno e ricomincio la trafila per laverifica delle credenziali.

Il tour è organizzato dall’ufficio legale Shurat Ha’Din3. La finalità del viag-gio è duplice: raccogliere fondi per sostenere l’attività forense di denuncia del-le Autorità politiche palestinesi, della UE, della Siria e dell’Iran, tutti accu-sati di sostenere finanziariamente il terrorismo; e sensibilizzare gli aderential tour (prevalentemente americani) sulla lotta alla sopravivenza di Israele.L’organizzazione sposa un punto di vista ben situato rispetto al conflitto traIsraele e Palestina, riassumibile in una frase eloquente di Nitsana Dashan-Leit-

x1 I lavori di Ben-Ari costituiscono uno dei pochi esempi di ricerca etnografica condotta

dall’interno della vita militare (cfr. Ben-Ari, Yoram, 1988).2 Il 12 luglio 2006 un razzo anti-tank lanciato dalle milizie di Hezbollah colpisce due

pattuglie al confine uccidendo cinque soldati e ferendone altri due. Israele decide di inter-venire militarmente in Libano. Nei 34 giorni del conflitto tra le milizie Hezbollah e l’eserci-to israeliano vengono uccisi 1.191 libanesi, per lo più civili, e 44 civili israeliani. L’attaccoisraeliano danneggia pesantemente le infrastrutture civili e provoca l’evacuazione di oltreun milione di persone. Dopo il cessate il fuoco una parte del Sud del Libano resta disabi-tata a causa delle numerose bombe al grappolo rimaste sul terreno. La risoluzione 1701delle Nazioni Unite dell’11 agosto pone fine alle ostilità. Segue il dispiegamento delle for-ze UNIFIL su tutto il Sud del Libano con l’impegno di disarmare le forze di Hezbollah. No-nostante le ostilità siano tra Hezbollah ed Israele, la guerra è denominata II guerra del Li-bano.

3 Shurat Ha’Din si è costituito nel 2003 con l’obiettivo di combattere il terrorismo,promuovere i diritti civili attraverso la ricerca, l’educazione e l’azione legale. Secondo la suafondatrice, Nithsana Dashan-Leitner, la fonte di ispirazione è stato il Southern Poverty LawCenter che negli USA ha fatto delle cause civili il mezzo per portare alla bancarotta il Ku KluxKlan ed altri gruppi neonazisti. Cfr. Shurat Hadin Israel Law Center, About us, Mission toIsrael, 2006, http://www.israellawcenter.org/template.php?section=AU>.

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ner, direttrice di Shurat Ha’Din, che, riferendosi ai prigionieri palestinesi, af-ferma:

Sono a proprio agio, hanno cibo, hanno la televisione. A Ramallah hanno anchelo status di prigioniero politico, un prestigioso codice di riconoscimento nellagerarchia sociale della Palestina  (Pittok, 2005).

1. 1. L’accesso al campo di ricerca

La natura del campo di ricerca, la tensione tra Israele e Siria e tra Fatah eHamas4 hanno sollevato una serie di ansie e di interrogativi preliminari sullemodalità di conduzione della ricerca. L’enfasi sulla sicurezza posta dagli orga-nizzatori nelle comunicazioni che hanno preceduto la partenza, unita all’attesadi tre mesi per la valutazione delle credenziali, lasciava presagire uno scenariodi accesso alquanto problematico. Optare per lo status di osservatore nascostomi è sembrata una scelta ovvia. L’essere full time dentro l’etnografia ha comun-que aperto alcuni interrogativi relativi alla presa di distanza e al doppio ruolo.L’abitare i due territori, quello del partecipante che ascolta, discute, commenta,condivide, si emoziona, approva o dissente e socializza con gli altri, e quello delricercatore che cerca di fare ordine nella propria testa, che si mantiene vigileper annotare ogni dettaglio, ha richiesto un grande sforzo di concentrazione edi autocontrollo. I ritmi del tour hanno reso meno scontata questa condizioneordinaria dell’osservazione etnografica. Essere dentro l’etnografia ha significa-to sviluppare una riflessività dialogica tra l’occhio interno e quello esterno, harichiesto uno sforzo suppletivo nella presa di distanza dall’osservato. Inoltre,possedere una conoscenza profonda dei temi trattatati poteva costituire un fat-tore condizionante. Per questo, dal primo istante ho lasciato cadere ogni codicemorale nei confronti degli osservati, facendo tabula rasa di ogni conoscenza sulconflitto e tentando di entrare empaticamente nello spazio psichico (Churchill,2005, p. 6) di un’alterità che narra, dalla sua prospettiva, una esperienza umana.Questo approccio mi ha permesso di osservare senza troppi condizionamenti iprocessi secondari di costruzione dei discorsi pubblici degli ufficiali del Mossad,dello Shein Bet, degli «eroi di guerra», dei Giudici Militari e dei testimoni civili.Grazie alla posizione di insider ho avuto modo di studiare il tipo di relazioneche intercorre tra la posizione ricoperta dagli speaker nella gerarchia militaree politica e la creazione di meta-narrazioni.

L’intenso programma – sveglia alle sei e rientro in albergo dopo la mezza-notte – ha scandito i tempi della ricerca. Si è trattato infatti di adattare, comedice Goffman (2006, p. 109), «il proprio corpo, la propria personalità e la propriasituazione sociale all’insieme di contingenze». Celare l’identità di osservatore,in un primo momento, ha imposto uno schema di lavoro fondato sull’attenta

x4 Il tour è avvenuto tra l’11 e il 17 giugno 2007. Il 14 giugno la visita alla base del 7°

Battaglione Corazzato Golani, in prossimità del confine con la Siria, è stata annullata a causadello stato di allarme tra Israele e Siria. Il 15 giugno nella Striscia di Gaza si sono registrati gliscontri più violenti tra Fatah ed Hamas, conclusisi con l’espulsione di Fatah da Gaza.

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registrazione mnemonica dell’osservazione dei luoghi, delle conversazioni, deidiscorsi e la successiva trascrizione delle note in tarda serata al rientro in hotel.La presenza di un cameraman che filmava gli eventi e l’uso di registratori eblock notes da parte di altri partecipanti mi hanno consentito dopo il primogiorno di prendere appunti ed usare liberamente il registratore. Ho potuto cosìprocedere senza condizionamenti ad annotare quanto avveniva nel corso deglispeech. La camera digitale ha arricchito sensibilmente le note etnografiche. Le450 foto scattate sono state un prezioso ingrediente addizionale (Becker, 1974),che ha permesso di integrare le annotazioni e le registrazioni audio e di com-pletare i documenti etnografici, rivelando aspetti inediti o trascurati nelle primeannotazioni. A distanza di tempo direi che si è trattato di una pratica che hamesso progressivamente a nudo una sorta di apprendimento metodologico: unesercizio in cui la mente individua e accumula informazioni e associazioni che«diventano parte di una sedimentazione mentale disponibile per lavori succes-sivi» (Becker, 1986, p. 232); un lavoro in divenire che richiede tempo e cheper questo contribuisce a superare l’impressionismo iniziale, la soggettività ela parzialità delle prime annotazioni.

2. 2. Ladies and Gentlemen,welcome to the Ultimate Mission to Israel

Sono le cinque di pomeriggio e fa ancora molto caldo a Gerusalemme, l’afa èmitigata dall’aria condizionata. La registrazione avviene nella hall dell’HotelSheraton. Ci guardiamo intorno, facciamo una fila silenziosa e molto ordinata.Si procede con grande efficienza, due persone dell’organizzazione verificano lecredenziali, i partecipanti diligenti tengono in mano documenti e libretto degliassegni. Come previsto dal contratto di viaggio siamo chiamati a fare una dona-zione a Shurat Ha‘Din di almeno 500 dollari, un invito che sarà rinnovato nellacena di chiusura durante il discorso di commiato. Fin dal primo momento que-sto è stato il mio dilemma morale. Aspetterò fino all’ultimo giorno per pagare,non ho assegni che si appoggino su banche americane, questo mi permette ditergiversare…

Il rito di iniziazione prevede il rilascio di un assegno in cambio di unacartella di plastica blu con stampato il logo e lo slogan di Shurat Ha’Din, TheUltimante Mission to Israel. Contiene un block notes e del materiale informativosull’attività dell’ufficio legale. Ci viene consegnato un badge con il nostro nomee una busta regalo contenente il volume di Avigdor Kahalani A warrior’s way5,una scatola di cioccolatini a forma di cuore, un sacchetto di caramelle alla men-ta e una bottiglia di vino bianco israeliano. Segue un aperitivo di benvenuto.Scambiamo le prime timide conversazioni: da dove vieni, perché sei qui, comesei venuto a conoscenza del tour. Scoprirò che, come me, alcuni sono caduti nelfishing elettronico dei quotidiani (Haaretz, Jerusalem Post, ecc.), laddove perchi proviene da Stati Uniti e Canada sono state decisive le campagne informati-

x5 Avigor Kahalani è un eroe della guerra del ’67, lo incontreremo il giorno seguente al

Ministero della Difesa.

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ve organizzate nelle sinagoghe6. Il gruppo è composto quasi esclusivamente dauomini e donne oltre i cinquanta anni, una decina sono settantenni, numerosecoppie di ebrei newyorkesi e di ebrei californiani. I giovani si contano sulle ditadi una mano, sono tutti in compagnia del padre: una canadese figlia di un cap-pellano militare e due adolescenti californiani. Dei circa settanta partecipanti,siamo solo quattro europei, nessuno di fede ebraica, a differenza del restantenovanta per cento che vede anche una sparuta presenza di ebrei ortodossi. Quasitutti sono liberi professionisti: avvocati, giudici, medici, psicologi. Nelle ore cheprecedono il tour molti lasciano trasparire eccitazione e una certa impazienzaper il viaggio che ci aspetta. Sono soprattutto i maschi a mostrarsi ansiosi diincontrare gli eroi di guerra o gli ufficiali di alto rango. Per molti la storia dellebattaglie è parte delle memorie familiari: alcuni hanno dei parenti che vivonoin Israele, altri hanno prestato loro stessi il servizio militare o, al momento deltour, avevano un figlio sotto le armi in Israele. Un gruppo ristretto di partecipantimaschi si mostra molto competente in merito alla storia militare di Israele e nonesita a darne prova nelle chiacchiere che precedono o seguono le presentazioni.Sono sempre quattro o cinque a porre le domande nel corso dei briefing, appro-fondendo questioni di ordine militare, strategico e tecnologico. Il gruppo è moltopartecipe, accompagna le presentazioni con approvazione, applausi, mormorii,piccoli commenti. L’unica eccezione è costituita dall’accoglienza fredda riserva-ta al nonno di Gilat Shalit, incontrato nella base militare sulle Alture del Golan.Il gruppo non ha gradito le critiche rivolte al governo di Israele per lo scarsoimpegno dimostrato per la sua liberazione. Il discorso dell’agente del Mossadsi dimostrerà in perfetta sintonia con il sentire dei partecipanti: il pericolo mu-sulmano rappresenta il nuovo spettro della sicurezza. Molti chiederanno infor-mazioni su come potersi attivare per segnalare eventuali sospetti. Il gruppo èmolto disciplinato, non si lamenta mai, è sempre puntuale, segue, senza colpoferire, tutte le indicazioni degli organizzatori. Una perfetta macchina militare.

La cena è servita alle sette. Tutti portiamo il badge, ci disponiamo casual-mente nei tavoli da sei. Si chiacchiera amabilmente e il cibo è molto buono.Nelle intenzioni dichiarate degli organizzatori una buona cena è buon viaticoper l’impegno che ci aspetta. Il cibo sarà l’immagine metaforica che si intendeesibire di Israele: ricco, buono, saporito, colorato, il frutto del riscatto dell’agri-coltura da sempre vietata nel ghetto, la parabola di ciò che questo paese è potutodiventare. Nel corso degli otto giorni si parlerà ancora molto del cibo: spessoi banchetti, con buffet più o meno ricchi, a seconda del prestigio militare, ciaccoglieranno all’ingresso delle basi. Il culmine si avrà con la cena di shabbath,servita nella terrazza della Yeshiva di Aish HaTorah con la scenografia del Murodel Pianto e della cupola d’oro della Moschea di Al Aqsa. Tutti sembrano esseremolto felici e pieni di aspettative. Nel suo briefing introduttivo, l’anima del tour,

x6 Lo staff dell’organizzazione fa parte del network Chabad, un movimento che dagli

anni ’80 ha guidato il ritorno (T’Shuva) alla ortodossia religiosa. Shurat Ha’Din usa il net-work di Chabad per svolgere azioni di sensibilizzazione e raccolta fondi negli Usa ed in Ca-nada.

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Nithsana Dashan-Leitner, evidenzia lo scopo dell’intera iniziativa e l’impegnoche comporta:

Vorremo impegnare questa settimana per mostrarvi la situazione della sicu-rezza in Israele; mostrarvi la lotta di Israele in un modo che non avete mai visto.Sarà una settimana molto impegnativa. Vi ho avvisato in anticipo. Visiteremotribunali militari, basi militari. Andremo negli avamposti militari al confinelibanese, nelle aree di Gaza – speriamo di non essere colpiti dai razzi [risa, ecommenti di approvazione dell’audience]. Ascolteremo gli agenti del Mossad,gli ufficiali dello Shein Bet, agenti segreti, ufficiali dell’esercito, il Presidentedella Corte Suprema. Persone molto, molto importanti che vi insegneranno inprima persona che cosa sta realmente accadendo in Israele7.

Alla cena segue la prima lecture, sale sul podio Michael Oren8. Lo scopodel suo intervento è duplice: da una parte rassicurare l’audience, compostaquasi esclusivamente da nordamericani, sull’alto profilo dei testimoni chiamatia raccontare la lotta per la sicurezza, dall’altra dettare la linea interpretativadella storia militare israeliana, i due aspetti fondamentali per i giorni seguenti.Oren interpreta la guerra del ’67 in chiave apologetica, come riunificazione deiterritori, e sottolinea l’importanza della riconquista della Cisgiordania, chiama-ta Samaria e Giudea. Lascia intravvedere l’importanza del ritorno a Èretz Yi-sraèl (la terra promessa), la ricongiunzione con i luoghi santi che ha spinto unnumero crescente di ebrei americani ortodossi a fare aliyah9 e acquisire terranei territori occupati per costruire insediamenti10. Anche lui è parte di questomovimento di ritorno all’ortodossia religiosa: porta la kippah e dalla cinturadei pantaloni si intravvedono fuoriuscire i filatteri. Usa toni enfatici, sostenendoche dalla guerra del ’67 «Israele è emerso come una superpotenza». Attaccapesantemente i nuovi storici israeliani, in particolare Tom Segev, responsabileinsieme ad altri studiosi post-sionisti di indebolire il patriottismo dei giovani.Quindi cambia registro, accentuando i toni retorici per introdurre il tema deltour: «siamo coinvolti in una guerra di sopravvivenza», a causa del «bagno disangue contro i civili israeliani provocato dai razzi katiuscia»11. L’audience

x7 Briefing introduttivo di Nitsana Darshan-Leitner direttrice di Shurat Ha’Din, Sheraton

Plaza Hotel Jerusalem. 11 giugno 2007. Le citazioni riportate nel testo sono trascritte integral-mente con tutte le incertezze semantiche e sintattiche, ripetizioni ed esitazioni.

8 Michael Oren, oggi ambasciatore d’Israele negli Stati Uniti, è uno storico conservatore.Senior Fellow allo Shalem Center di Gerusalemme, è autore del best seller Six Days of War.June 1967 and the Making of the Modern Middle East (Oren, 2002), con cui ha vinto il LosAngeles Book Prize 2003 per la storia.

9 Il termine aliyah (ascesa), tradotto in inglese e nelle altre lingue come «immigrazione»,è in realtà un termine teologico e significa «compiere il pellegrinaggio santo a Gerusalemmeed in terra santa», o l’impegno spirituale e fisico nelle sacre scritture.

10 I geografi israeliani identificano nel land grasping un insieme di pratiche di acquisizionedei territori che violano i diritti di accesso alla terra da parte della popolazione palestinese(Schnell, 2005; Feige, 2001; Ben-Ari, 1997).

11 Secondo l’organizzazione israeliana B’Tselem, dal 2000 al 2008 il numero delle vittimepalestinesi uccise dall’esercito israeliano è di 4.791; 45 sono invece i palestinesi uccisi da

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sottolinea i passaggi con mormorii di approvazione e applausi. Molti sono entu-siasti, i miei commensali sono al settimo cielo. I visi si illuminano, commentandoesultanti l’orgoglio di aver potuto presenziare ad uno speech di tale levatura.È il warm up del gruppo. Si comincia l’indomani alle sei. Anche noi siamo incaserma, come dice Nithsana Dashan-Leitner dandoci la buonanotte. Gli orarisono gli stessi, anche se lo Sheraton di Gerusalemme non è paragonabile a unacaserma sul confine libanese.

3. 3. Militari e società

Prima di analizzare i diversi registri dei discorsi pubblici, ritengo sia impor-tante soffermarsi su alcuni aspetti salienti dello stretto legame che intercorretra società e ambito militare in Israele. Il ruolo dei militari nella vita sociale èstato oggetto di una attenta riflessione da parte delle scienze sociali. Pericolo epaura sono le ragioni richiamate dalle istituzioni per legittimare le azioni mili-tari. Mettere in atto «azioni di forza preventiva» è frutto di questa vulnerabilitàpercepita. Per i decisori israeliani, fin dai tempi di Ben Gurion, vige la regola dinon dover mai subire un attacco per primi (Kuperman, 2003, p. 678). Adelman(2003, p. 1120) ritiene che la società israeliana sia costruita attorno ad unafrontiera molto permeabile tra forza militare e società civile. Altri studiosi sug-geriscono un’interpretazione più radicale, parlando di una società parzialmentemilitarizzata (Horowitz, Lissak, 1989), laddove gli antropologi si spingono finoa definirla come totalmente militarizzata (Lomsky-Feder, Ben-Ari, 1999) o incui il militarismo è naturalizzato (Adelman, 2003, p. 1122). Baruch Kimmerling(1998, p. 12) preferisce parlare di militarismo civile, definendolo:

non solo un codice culturale ma anche un principio organizzativo attorno alquale si ritrovano ampi settori della società (…) (Q)uesto genere di militarismo(…) è molto sottile, è soprattutto la conseguenza dell’intrusione della mentalitàmilitare nelle istituzioni civili e nella cultura.

Per una società che ha ideologizzato e reso egemonico l’ethos della sicu-rezza nazionale (Dloomy, 2005, p. 697), azzerare la distinzione tra vita militaree civile è la naturale conseguenza di questo processo. Le routine quotidiane (sa-lire su un autobus di linea, fare la spesa al supermercato, andare a una lezioneall’università) sono svolte in divisa e con il fucile in spalla. È l’attraversamentodella vita civile con i segnali corporei della vita militare: l’attestazione simbolicapiù tangibile della legittimazione del discorso sulla sicurezza nazionale.

Più in generale, le priorità militari dettano l’agenda politica e i temi dellasicurezza del paese sono centrali sia nei discorsi che nelle strategie politiche. Lastessa leadership è espressione delle gerarchie militari. In Israele l’assioma do-

xcivili israeliani. Sono 593 i palestinesi uccisi da loro connazionali (per ragioni non specificate).Le vittime israeliane sono 237 tra i civili e 245 tra i militari. Le vittime israeliane dei razzikatiouscia lanciati dal Libano nel corso delle ostilità (luglio-agosto 2006) sono di 44 morti e di33 feriti gravi. Cfr. http://www.btselem.org/english/Statistics/Casualties.asp.

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minante è che un buon capo militare sia anche un buon capo politico12. L’unicitàdel caso israeliano risiede pertanto nel peculiare rapporto che intercorre trapolitica e gerarchie militari. Per questo Israele è il solo esempio di democraziarappresentativa capace di eleggere un elevato numero di ex-capi militari e diessere guidata da leader che hanno ricoperto ruoli chiave nella storia militaredel paese13. I miti fondanti del nazionalismo attingono a piene mani dalla storiamilitare recente. Luoghi e memorie non sono unicamente celebrativi: in un paeseche si percepisce in un perenne stato di pericolo, queste pratiche sono chiamatea ricoprire una fondamentale funzione di coesione sociale. Ma anche la storiaantica è reinterpretata per rispondere al bisogno rievocativo di celebrare riticollettivi che ricompattano la nazione di fronte alle minacce14. Il militarismo ci-vile reinterpreta tempo e spazio per rafforzare quello spirito di israeliness gra-zie al quale «la popolazione ebraica è stata preparata e continua ad anticipare laguerra fin dalla cessazione del Mandato britannico» (Adelman, 2003, p. 1127).

x 4. Luoghi, performances e discorsi,una narrazione complessa

Alcuni elementi della frame analysis permettono di dipanare la complessa tra-ma del discorso pubblico e di analizzare i tre pilastri attorno ai quali è costrui-to il tour: la costruzione politico-militare del conflitto, la narrazione del sé edil diniego del nemico. Nel caso specifico, sono cruciali due aspetti: i principiorganizzativi o sociali che governano gli eventi e il coinvolgimento soggettivo(Goffman, 2001, p. 54). Tutto ciò che viene mobilitato nella pianificazione deltour, i luoghi, i testimoni, i contenuti, risponde alla finalità pedagogica ultima,che ben si esprime nell’intendimento del keying, come funzione che «guida tuttii partecipanti ad avere la medesima visione di ciò che sta accadendo» (Goffman,2001, p. 85). Una strategia che si sovrappone perfettamente alle parole intro-duttive di Nithsana Dashan-Leitner: «Persone molto, molto importanti che viinsegneranno in prima persona che cosa sta realmente accadendo in Israele».

Come sottolineano Adler e Adler (1998, p. 92), la connotazione goffmania-na dello studio delle forme di autorappresentazione e del modo di esporle difronte agli altri svela una intenzionalità. Nel nostro caso, tale intenzionalità sispecifica nella dicotomia tra forma e contenuto propria del cronotopo di Bachtin(Todorov, 1981, pp. 52-59). Si tratta di una forma che si presenta con i trattidell’apparato bellico (tecnologia, strategia, abilità, organizzazione) e si accom-pagna a un contenuto rappresentato da una narrazione in cui la devozione allanazione si declina nella motivazione, nella caparbietà, nel sacrificio personale,

x12 Molte delle critiche rivolte a Ehud Olmert per la gestione politico-strategica della II

guerra del Libano attribuiscono l’esito sfavorevole del conflitto al suo basso profilo militare.13 Sul sito del Governo israeliano sono riportate le biografie militari dei capi di governo

e dei ministri.14 Nachman Ben-Yehuda (1995) decostruisce il mito di Masada evidenziando il processo di

trasformazione narrativa per cui morte e sconfitta sono riconfigurate in funzione dell’ideologianazionalista israeliana. Ogni anno le reclute salgono in cima alla fortezza per prestare ilgiuramento: «Masada non cadrà mai più».

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nello spirito unitario, nella solidarietà e nel coraggio. Questa base psicologica èfunzionale all’adattamento alla lunga durata di un conflitto intrattabile. La me-ta-narrazione, il diritto all’esistenza di Israele, è tenuta insieme dall’unicità del-la voce narrante: l’israeliness, l’aspirazione a creare una fusione spazio-tempo-rale che riunisca tutti gli ebrei, quelli d’Israele e quelli della diaspora. Nel casodel tour, una serie di fattori permettono di esplicitare una tale intenzionalità. Sitratta in particolare della scelta dei luoghi – musei, basi e tribunali militari – edella loro messa in scena attraverso le cerimonie istituzionali. Spazio e tempocostruiscono gli embeddings di cui si nutre questa rappresentazione in cui gli at-tori, portatori di un’apparente soggettività, si muovono come figure incorniciatedentro la meta-narrazione della sicurezza e della lotta per la sopravvivenza diIsraele. Le singole identità, schiacciate tra la forma e il contenuto, espongonostorie individuali che intrecciano le alyiah familiari, la colonizzazione, le guerrevinte, le perdite, le riconquiste di territori sacri. È un puzzle che si ricomponenella coralità narrativa. I testimoni prescelti, gli eroi di guerra, i ranghi elevatidella gerarchia militare, i giudici militari, l’intelligence, i kibbutzim, ognunoin funzione del proprio ruolo, sono tutti chiamati a rispondere allo script delprogramma, alle aspettative degli organizzatori e a quelle dei partecipanti. Tuttiappaiono accomunati dallo status symbol collettivo, che azzera le differenzedando voce a una singola comunità narrante (Goffman, 1951, p. 295) che incar-na la nazione. Così gli eroi di guerra espongono un sé in cui coraggio, audacia,dedizione e spirito di appartenenza traspaiono attraverso le narrazioni. E, percontro, l’intelligence manifesta freddezza, razionalità, capacità analitica. Il sédei testimoni è continuamente enfatizzato nella presentazione che precede ognibriefing, nell’attenta scelta delle aggettivazioni. I toni appassionati ricalcanouna vera e propria tecnica drammaturgica, soprattutto quando si tratta di pre-sentare militari di alto rango:

…la sua determinazione, resistenza ed eroismo hanno permesso il rovescia-mento decisivo della guerra che Israele stava perdendo. Ha ricevuto la Meda-glia al Valore per il servizio reso durante la guerra dello Yom Kippur, e laMedaglia di Distinzione per il servizio reso nella guerra dei Sei giorni. Signoree signori ho il piacere di presentarvi il Generale Kalahani, alzatevi vi prego15.

4.1 4.1 L’architettura del tour

L’attraversamento di Israele è una vera immersione fisica e simbolica in ciòche l’organizzazione intende con lo slogan: Israel’s struggle for survival andsecurity. Percorriamo centinaia di chilometri accompagnati dalla voce dellaguida che lungo il percorso in autobus ci intrattiene con aneddotiche belliche,puntualizza la rilevanza dei luoghi storici e contemporanei del conflitto (Latrun,le Alture del Golan, Sderot, Kyriat Shimona) e ricorda le ragioni della nascitadello stato di Israele:

x15 Presentazione del Gen. Kalahani, Ministero della Difesa, Tel Aviv, 12 giugno 2007.

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Lo Stato moderno è cominciato nel 1882. Perché questo Stato è così importan-te? Perché fino al 1882 gli ebrei venivano in Palestina per una sola ragione.Una ragione emotiva, una ragione religiosa. Gli antenati venivano qui nonperché volessero vivere qui, ma perché desideravano morire qui [«Giusto!» –grido di approvazione dei partecipanti], desideravano essere sepolti qui16!

La concatenazione dei luoghi è un costrutto che rafforza la rappresenta-zione della sicurezza. Le tappe alternano luoghi significativi della storia delconflitto e siti di eventi contemporanei. È un attraversamento fisico (in autobus,su un piccolo aereo bimotore, a piedi) accompagnato da una narrazione in cuii luoghi sono presentati con enfasi drammaturgica, come evocativi della storiabellica, archeologica e politica di Israele. Una proposta di marketing ben conge-gnata: il racconto di una interpretazione della storia esibita grazie alla coralitàdi luoghi, testimoni e contenuti. Lo script segue un’articolazione ben calibratadi temi cui è affidato il compito giornaliero di descrivere una realtà specifica: ilterrorismo, il sistema giudiziario, l’esercito, la storia, la religione, la politica. Èun ritmo incessante di spostamenti continui, di briefing, di visite a stazioni diosservazione e basi militari. Ogni giorno maciniamo centinaia di chilometri, inuna sorta di pellegrinaggio su cui riecheggia l’avvertimento iniziale di NithsanaDashan-Leitner: «vi ho avvisato in anticipo, sarà una settimana molto, moltoimpegnativa».

I luoghi influenzano il discorso pubblico, incorniciano la rappresentazionea cui gli speaker forniscono un’ufficialità narrativa fatta di memoriali di guerrae di resoconti. L’esordio avviene a Latrun, il sito più significativo, dove passatoe presente si fondono ricomponendo le tessere della storia, dagli israeliti ai pio-nieri sionisti17. Nella simbologia sionista questo luogo condensa il prima e il do-po della nazione, e per questo è stato scelto per introdurre il tema più attuale perla sopravvivenza di Israele: la minaccia contemporanea del nuovo terrorismo.Ecco come Marc Regev, portavoce del Ministro della Difesa, presenta Latrun:

Latrun non è il luogo della vittoria di Israele18, ma un luogo ben differente.Era la via di controllo per Gerusalemme. Avevano fallito (…) Sharon era ilcomandante. Se ben ricordate fu una sconfitta. Solo nel 1967 abbiamo riavuto

x16 Commento della Guida lungo la strada tra Gerusalemme e Latrun, 12 giugno 2007. La

guida intende riferirsi alla pubblicazione di Der Judenstaat di Theodor Herzl; il volume è inrealtà pubblicato per la prima volta nel 1896 a Lipsia e Vienna.

17 Latrun è situato nella valle di Ayalon a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv. È citatonel libro dei Maccabei come sito di battaglie strategiche contro i Greci. Diventa una roccafortedelle crociate, su cui i cavalieri templari costruiranno un castello. Alla fine del XIX secolo ifrancesi edificheranno il monastero della Madonna dei Sette Dolori. Nel 1936-38 gli inglesicostruiscono il Forte Tegart, che durante la guerra del 1948 diventerà la base strategica dellalegione araba che imporrà l’assedio di Gerusalemme.

18 Nel maggio 1948, dieci giorni dopo la dichiarazione di indipendenza dello Stato diIsraele, Ariel Sharon al comando della 7° Brigata tenta invano per due volte l’assalto al ForteTegart, subendo molte perdite. Latrun sarà conquistato solo nel 1967, durante la guerra deiSei giorni. Oggi il Forte Tegart è sede del museo militare e del memoriale di tutte le guerre.

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la strada per Gerusalemme. Israele è ben lontana dall’essere perfetta. Abbiamocommesso degli errori. Questo è il memoriale per le persone che hanno persola loro vita. Abbiamo pagato un caro prezzo19.

I testimoni amano ricordare con malcelato orgoglio come il luogo in cui cisi trova sia stato conquistato durante la guerra dei Sei giorni; anche AharonMishnayot, Presidente del Tribunale militare di Machane Ofer, enfatizza il luogoe il ruolo della giustizia militare:

Le Corti Militari sono state istituite circa quaranta anni fa. Come sapete stiamocelebrando il quarantesimo della riconquista da parte dell’IDF. Dopo averriconquistato questa area, il comandante di questa area ha emanato gli ordinisulla sicurezza (…) Su ogni posto conquistato il comandante deve imporre lasovranità legale e perseguire le violazioni20.

Vi è infine un’ultima non trascurabile dimensione, quella dell’appartenenzaalla terra, che rafforza la legittimazione a vivere in quei luoghi. È questo ilsenso della testimonianza del rappresentante del kibbutz di Misgav Am nell’AltaGalilea, che parla a cinque metri dalla recinzione che separa Israele dal Libano.Lo ascoltiamo seduti su un basamento semicircolare di cemento con lo sguardorivolto al confine:

Il kibbutz è stato fondato nel 1945 dal Fondo Nazionale Ebraico, poco primadella formazione dello Stato di Israele (…) è la nostra terra, non è dei palesti-nesi, non è terra del Libano, è la nostra21.

L’affermazione del kibbutzim, emigrato dagli Usa poco prima della guerradei Sei giorni, è piuttosto forte. Mentre parla, il passaggio di una pattugliadi controllo ci ricorda che quel testimone, come gli altri membri del kibbutz,ha scelto di vivere in un avamposto da cui si può osservare a occhio nudo il«nemico libanese» che vive nel villaggio sottostante, ed essere il bersaglio dirazzi katiouscia22.

Accanto al significato storico-mitologico dei luoghi, a essere decisiva è lacarica emotiva degli organizzatori: l’enfasi con cui presentano i vari siti, le ra-

x19 Briefing di Mark Regev, Israel’s security dilemmas – democracy under fire, Latrun Israel

Defence Force Center, 12 giugno 2007. Il discorso è riportato nella sua integrità lessicale.20 Briefing del Presidente del Tribunale militare della Giudea, Giudice Capo Aharon

Mishnayot, Machane Ofer, 13 giugno 2007.21 L’Agenzia Ebraica nata per la raccolta fondi nel periodo prestatale era incaricata di

acquistare terra dai palestinesi. I primi kibbutz sono nati su terre regolarmente acquistate,come nel caso di Misgav Am (Fortezza del popolo), fondato il 2 novembre 1948, il giornodella dichiarazione di Balfour, da un gruppo del Palmach, i combattenti della guerra del1948.

22 Il giorno dopo la nostra visita un razzo katiouscia è stato lanciato dal villaggio libanesesottostante, cadendo a pochi chilometri da Misgav Am, nell’area industriale di Kyriat Shimona,per fortuna senza danni alle persone.

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gioni della scelta, la rilevanza che questi assumono nell’architettura del viaggio.Un ardore che cresce d’intensità quando ci troviamo in «zone calde», come nelcaso della 7° Brigata Corazzata sulle Alture del Golan. Qui, il superamento del-l’inaccessibilità e l’alto profilo dei testimoni producono un effetto moltiplicatore:

È stato molto, molto difficile entrare in questa base, a causa della situazioneinstabile e molto pericolosa con la Siria. Siamo molto molto fortunati23.

4.2 4.2 Le cerimonie istituzionali

Quelli che gli organizzatori esibiscono come incontri eccezionali sono il classicoesempio di quanto la sociologia delle istituzioni totali definisce come cerimo-nie istituzionali. Si tratta di momenti della vita organizzativa in cui le istituzio-ni decidono di aprire luoghi in genere esclusivi, allo scopo di rappresentareun’immagine predefinita della loro missione istituzionale. È una messa in sce-na, spesso preparata per i visitatori, che si esplicita entro i limiti in cui questaaccetta di esporsi e che può essere diretta «ai visitatori allo scopo di offrireloro un’immagine» di sé (Goffman, 2003, p. 129). Nelle cerimonie istituzionalidel tour troviamo conferme di alcuni caratteri del modello classico, ma anchealcune forme inedite. Ritroviamo l’abbandono della formalità e dei ruoli. Nes-suno, salvo i militari operativi nelle basi di osservazione dell’intelligence e deltribunale militare, indossa la divisa. In genere le divise sono portate con moltasciatteria, sono sgualcite, in disordine, le soldatesse spesso sono spettinate. Unarappresentazione fortemente dissonante rispetto alle aspettative sull’esercitopiù preparato e tecnologico del mondo, che al contrario si presenta in pubblicocon i segni esteriori di una milizia di pionieri. Alcuni forniscono le e-mail, par-lano con tono colloquiale. L’assenza di un atteggiamento marziale connota tuttii gradi della gerarchia militare e manifesta pubblicamente un ammorbidimentodella dimensione autoritativa. Nel corso del suo speech il gen. Yair Nafshi pre-senta le soldatesse e i sergenti maggiori come fossero membri di una famiglia.Spesso siamo accolti da forme di socialità standard, come il buffet-colazione checi attende all’arrivo, oppure facciamo il turno alla mensa.

I luoghi ribadiscono la formalità e il rispetto delle regole: attese agli in-gressi, controlli, divieti – no photo è ripetuto come un mantra quando siamodentro le basi. Le foto, in alcune circostanze, sono consentite solo dopo la messain sicurezza degli apparati militari. È il caso della base di Palmachim, in cuiè stata presentata la tecnologia degli aerei drone24. Prima dell’arrivo alle basimilitari gli organizzatori si soffermano con insistenza sui dispositivi di sicurez-za, illustrandone i dettagli, per quanto in molte circostanze si entri senza alcuncontrollo. La visita al tribunale militare di Machane Ofer, a pochi chilometri da

x23 Presentazione di Avi Leitner del Generale di Brigata Yair Nafshi, al 7° Brigata Corazzata

Golani, Altrure del Golan, Confine con la Siria, 14 giugno 2007. La visita della base è statasospesa a causa dello stato di tensione con la Siria.

24 Durante la presentazione degli aerei senza pilota sono stati vietati la registrazioneaudio e l’uso dell’apparecchio fotografico.

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Gerusalemme, è la messa in scena più ricca e richiede per questo un resocontopiù esteso.

Arriviamo alle sette e trenta, il sole è già caldo. Nel piazzale d’ingresso è statoallestito un buffet molto spartano, qualche dolce, caffè e bibite. Ai lati dellungo tavolo le bandiere del corpo formalizzano l’accoglienza. Tutta la visitasarà connotata dalla contrapposizione tra l’aspetto provvisorio dell’avampo-sto militare e gli sforzi di presentare le funzioni militari con enfasi formale.Questo si somma ai continui richiami sul ruolo straordinario che l’organogiudiziario è chiamato a ricoprire in un territorio occupato. Il comandante ciaccoglie all’ingresso, si intrattiene con il gruppo e si fa riprendere in posa trale bandiere sullo sfondo di Ramallah. L’incontro avviene in un prefabbricatoangusto, a mala pena troviamo posto. Fa molto caldo, le due potenti pompedi calore non riescono a rinfrescare l’ambiente. I giudici militari prendonoposto dietro il tavolo, indossano la divisa militare con le mostrine su cui èstampata una bilancia. Un ordine inedito. Tutti portano la kippah, è un caso,come spiegheranno nel corso del briefing25. A turno prenderanno la parolaparlando dal podio su cui è riprodotto il logo del corpo. Dopo gli speech, in cuispiegano la funzione e gli scopi del tribunale militare in un territorio occupato,assistiamo a un’udienza del tribunale militare. Ci avviamo verso le aule deltribunale. Attraversiamo un blocco di due file di casotti prefabbricati poggiatisu traversine di ferro. Il perimetro della base è circondato da una doppia pro-tezione, un primo anello di recinzione con sensori termici e poi a distanza didue metri il muro, su cui è dipinto a tromp d’oeil un ponte con campi di grano.Le aule del tribunale militare sono protette da un’altra recinzione interna. Atre metri di distanza si intravede una ulteriore recinzione al di là della qualesostano i parenti degli imputati in attesa di poter accedere alle aule. Sono le11, la temperatura supera i trenta gradi, i palestinesi aspettano pazienti sottoil sole. Nella base di Ofer ci sono sette aule, qui i processi sono celebrati senzasosta. L’aula è un piccolo prefabbricato, c’è posto per 15 persone per volta,facciamo i turni. Entriamo, nelle aule non c’è ancora nessuno. Le sedie sonoraggruppate in due lati. Ci fanno occupare un solo lato e lasciamo l’altro liberoper i parenti degli imputati. Non entriamo mai in contatto con i palestinesi.Ci suggeriscono di alzarci in segno di rispetto per la corte. Per primo entral’avvocato difensore con indosso la toga. Sistema le sue carte. Pochi minutidopo arrivano anche due giovani militari, portano la documentazione proces-suale. Poco prima dell’arrivo del giudice e degli accusati entrano i parentidegli imputati, sei donne ed un uomo. Hanno aspettato a lungo sotto il solecocente. Ci guardano con aria interrogativa. Non capiscono le ragioni dellanostra presenza in aula. Un interrogativo presto interrotto, la loro attenzionesi sposta verso il giudice che fa il suo ingresso. Il giudice e l’avvocato si consul-tano brevemente. Entrano i due imputatati ammanettati ed incatenati ai piedi.Indossano la divisa marron chiaro dei prigionieri, ben stirata. È uno stridentecontrasto con la sciatteria generalizzata dell’IDF. Hanno l’aspetto ben curato,uno porta la barba in perfetto ordine, ha l’aria molto pallida, sembra malato

x25 Gli ortodossi sono autorizzati a indossare simboli religiosi con la divisa militare.

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nonostante il fisico robusto. Il giovane carceriere indossa una divisa blu, liguarda con aria attenta e severa, non distoglie mai lo sguardo dai prigionieri.Porta la pistola alla cintura e la mitraglietta con il dito poggiato sul grilletto.C’è molta tensione nei loro sguardi. Sono tutti molto giovani. I soli di mezzaetà sono il giudice e l’avvocato difensore.All’ingresso degli imputati le donne palestinesi si emozionano, soprattuttouna donna di mezza età, preme nervosamente la mano sulle labbra, cercadi trattenere le lacrime. I nostri sguardi si incrociano. Fitto scambio di infor-mazioni tra parenti ed imputati. Il processo si celebra in ebraico. Vengonolette le generalità del primo imputato ed il capo d’accusa. Il suo processo duradue minuti. L’imputato è accompagnato fuori dall’aula. Escono anche alcuniparenti. Si procede per il secondo imputato, anche questa udienza dura pochiminuti. Il giudice Aharon Mishnayot, che ci accompagna, spiega che la duratadel processo è dipesa dal rinvio. Gli chiedo quanti processi si celebrano allasettimana, «sono 30 per ogni giudice, sa, non ci sono testimoni a carico, quindifacciamo in fretta, per quelli più impegnativi ci impiego più tempo, circa diecialla settimana». Mentre un altro gruppo si avvia per assistere ad un secon-do processo ci autorizzano a circolare liberamente per la base. È la primavolta che accade, Ofer è una base amministrativa, non c’è nessun dispositivomilitare. Si avvicina l’ora di pranzo, ci avviamo a fare la fila alla mensa. Cichiedono di mangiare in fretta perché seguono i turni dei soldati. Il pasto è unvero rancio militare, riso scadente, pollo arrosto dalle ossa molli e un pastonedi verdure indefinibili, anche la frutta è di seconda scelta. Mentre ci avviamoverso gli autobus per lasciare la base, alcuni soldati, incuranti del backstage,smantellano la messa in scena con le bandiere predisposte all’ingresso.

5. 5. Combattere per esistere: la narrazione della sicurezza

Il discorso su sicurezza e guerra ritorna di continuo nei sedici briefing chescandiscono i sette giorni del tour. Darne un resoconto in poche righe è compitonon facile, è necessaria una schematizzazione. Nelle pagine introduttive hosostenuto che gli embedding dei discorsi condizionano pesantemente i contenutie sono strutturanti in relazione ai luoghi, alle aspettative e ai ruoli. Il coro dellevoci narranti la lotta all’esistenza di Israele può essere ricondotto a due grandisezioni temporali: il riferimento al passato e il discorso sulla prospettiva attualee futura.

Le narrazioni storiche sono affidate agli eroi di guerra. Le loro presenta-zioni, specie quella di Avigor Kalahani, sono accompagnate da una standingovation, il tributo a chi si è distinto con onore. Gli eroi di guerra mostrano peròqualche imbarazzo e tendono a ridimensionare queste attribuzioni introducen-do i loro racconti con una sorta di intimacy preplay. Aprono le narrazioni connote biografiche in cui riferiscono delle aliyah familiari intrecciandole con lebiografie militari intergenerazionali:

mio padre è venuto dallo Yemen, ed è cresciuto qui (…) ha abitato al confinetra Jaffa e Tel Aviv in una piccola casa (…) poi ha incontrato mia madre e si è

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sposato, e dopo nove mesi sono nato io (…). Alla fine della guerra è venuto dame e mi ha detto: «senti, figlio mio ti faccio un regalo». Gli ho chiesto, «chegenere di regalo mi fai?». Mi dice: «da oggi hai una casa. Oggi nessuno potràimpedire ai rifugiati dell’Europa di venire in Israele26. Oggi abbiamo unabandiera. Staremo calmi per quarant’anni». Quando mi diede questo regalonon sapeva di combattere ancora nel ’56 nel Sinai, e nel ’67 (…) non sapevadi dover combattere ancora nel ’69 e nel ’70. Non sapeva di dover combatteredi nuovo nel 1973 (…). Conoscete un altro paese al mondo dove un padree tre figli combattono insieme nella stessa guerra? (…). È così che funzionaquesto paese. Tutti sono soldati. Abbiamo undici mesi di vacanza ed un meseper rimetterci la divisa ed essere pronti (…). Non possiamo difendere il paesesenza i riservisti. Siamo una piccola nazione, abbiamo bisogno di tutti27.

Le narrazioni risalgono al passato, alla presenza ebraica prima della dia-spora. Storia militare e personale si intrecciano in un racconto che tiene insiemel’essere rifugiati dallo Yemen o dalla Germania, la vita di kibbtuzim, i genitoriche partono per la guerra, i padri e gli zii che cadono in battaglia. Gli eventimilitari emergono in una forma molto naturale che esplicita la domesticazionedella guerra. La guerra narrata non è un evento eccezionale ma una routine,e si ripete con una scansione drammatica che non lascia fuori nessuno. I lega-mi intergenerazionali si saldano in un’esperienza che unisce tutti in un unicodestino: quello del combattente. Le carriere si intessono agli eventi bellici, iprotagonisti si distinguono per coraggio, abilità di comando, ma anche per lacapacità organizzativa di trasformare una brigata priva di prestigio militare inun’unità speciale. L’eroismo bellico è fusione di dedizione, sagacia e tecnologiamilitare, di intuito e velocità nel colpire il nemico, tutti motivi di autostima:

Sono nato e cresciuto in questo conflitto. Sono nato in un piccolissimo kibbutznelle Alture del Golan. Da bambino dovevo stare notte e giorno nei rifugi perproteggermi dal fuoco siriano (…). E come tutti i giovani che si apprestano afare il militare non sapevo che un giorno sarei diventato un generale. Se chie-dete a mia madre vi dirà che non sarei mai potuto diventare un comandante.Lo sono diventato. Ho sempre saputo di essere un leader. È stato naturale.Oggi penso di essere nato per essere un leader28.

Le descrizioni delle battaglie si tingono di pathos introducendo personali-smi nazionalistici ed esaltazione dei corpi militari di appartenenza e delle for-ze in campo29. La mitologia militare prende corpo nelle narrazioni grazie al

x26 Il riferimento è alla fine della cosidetta Aliyah Bet (1939-48), l’immigrazione illegale

effetto del divieto imposto dalle autorità britanniche, determinata dalla costituzione delloStato di Israele.

27 Briefing di Avigor Kalahani, Ministero della Difesa, Tel Aviv, 12 giugno 2007.28 Gen. Yair Nashi, 7° Brigata Corazzata Golani, Altrure del Golan, Confine con la Siria,

14 giugno 2007.29 «Loro [i siriani] hanno aperto l’attacco con 930 carri armati e ne hanno distrutti 600».

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supporto di immagini registrate, a film di propaganda bellica30 o a lucidi cheillustrano la strategia militare sulle Alture del Golan. Ma la dedizione all’eserci-to è testimoniata anche dalla rinuncia agli affetti familiari, sacrificati alla vitamilitare: «Non è facile essere un leader, non mangi, non dormi, non hai famiglia[si emoziona]. Mio figlio è nato durante la guerra di attrito»31.

Il discorso contemporaneo è affidato invece all’intelligence. Si tratta di unospostamento di registro rilevante, dalla difesa del «nostro paese» alla difesadella «democrazia». Se, nelle argomentazioni strategiche militari, lo spazio haconnotazioni fisiche definite (la collina da conquistare, l’accerchiamento del ne-mico, ecc.) e il nemico è sempre una presenza collocata contro cui si impone lalotta per la sopravvivenza, questa tradizione bellica viene azzerata nel discorsocontemporaneo, perché il nemico di cui si parla assume una fisionomia decisa-mente meno militare.

Questa non è un tipo di guerra tra due eserciti. Nel passato conoscevi esatta-mente l’identità del tuo nemico. Oggi non sai esattamente chi è il tuo nemico.Non sai che tipo di armi possiede. No. Sono sicuro che se vi chiedo chi è il vostronemico riceverò risposte diverse. Non ci sono confini. Perché sfortunatamenteuna parte dei nostri nemici vive con noi. E le armi sono totalmente diverse.

Si descrive un’organizzazione di fatto invisibile, che va a costituire la nuovafrontiera del conflitto. Si tratta di una struttura fondata su tre pilastri: le univer-sità, gli studenti e le moschee. Queste ultime, più che semplici luoghi di culto,vengono rappresentate come il cardine di ogni attività: centro economico, luogodi selezione e reclutamento, e soprattutto di purificazione per chi si accingea immolarsi in azioni suicide. Su questi presupposti viene delineato il profilodella «brain wash generation», una generazione educata ai precetti dell’islamfin dall’età scolare. Il funzionamento della Dawa32 e i legami sociali, educativied economici che questa intesse con le comunità arabe costituiscono il corpusdi ciò che si definisce come la cyberinfrastructure, grazie alla quale si costrui-sce un nuovo esercito di menti asservite e controllate. La descrizione di questaorganizzazione come un mondo a parte permette allora di allargare il conflitto,

xIl Generale Nashi si riferisce alla battaglia sulle Alture del Golan nel corso della guerra delloYom Kippur (1969-75). In realtà sul fronte di guerra la Siria aveva 800 carri armati schierati eIsraele appena 180. Gli esiti strategico-militari della guerra dello Yom Kippur (1969-74) hannostimolato un dibattito tra gli analisti militari in merito allo sviluppo delle tecniche operativedi guerra, da cui è originata la dottrina della Active Defense.

30 Il breve filmato presentato nella base militare del 7° Battaglione corazzato sulle Alturedel Golan si chiude con i tanks che formano la sagoma di Israele.

31 Gen. Yair Nashi. La guerra di attrito fu combattuta dal 1968 al 1970 tra Israele ed Egittoper il controllo del canale di Suez. Il generale per tutta la presentazione sorride spesso, rivelauna grande emotività quando parla della formazione della sua unità e della rinuncia alla vitapersonale. Quando ricorda la sua famiglia e le rinunce lascia trasparire un forte nervosismo,gratta con insistenza il palmo delle mani.

32 La Dawa è l’organizzazione islamica che provvede alla messa in opera di serviziscolastici, medici ed economici per la comunità; ha anche svolto un ruolo importante neiprocessi di mobilitazione e di radicamento dell’islamismo (Mishal, Sela, 2000, p. VII).

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rappresentandolo come contrapposizione tra l’Occidente e l’intero mondo isla-mico. La dimensione fisica dello scontro passa quindi in secondo piano, nellamisura in cui la capillarità e l’invisibilità del nemico rendono inefficace ognistrategia militare conosciuta. A subentrare, quale elemento preponderante, è lapercezione di una forma di guerra più complessa, la financial warfare, che pre-figura uno scenario di attentati pensati essenzialmente in funzione del controlloe delle speculazioni sui mercati finanziari33. Il nemico assume così un profiloaltamente strategico («loro sanno come modificare il processo decisionale»),e il discorso, da pubblico e informativo, si trasforma in strategico-persuasivo,calibrandosi sull’audience. Interviene qui un cambio di registro comunicativo,una commutazione di codici (Goffman, 2001, p. 209) che cattura l’attenzionedell’audience: i toni si fanno più immediati, l’uso di timbri retorici che richia-mano il coinvolgimento diretto («Signore e signori credetemi, cercate di pen-sarci») è un espediente frequente. Nella comunicazione sono introdotti continuirichiami al «noi», rafforzati da un linguaggio corporeo che trasmette sicurezzae fondatezza dei contenuti e che risulta rassicurante nei toni e nella mimica.Progressivamente il discorso scivola verso la semantica della «war on terror»(«siamo tutti sulla stessa barca. Israele è tutto l’Occidente. Nessuno può tirarsifuori») e diventa una richiesta di assunzione individuale di responsabilità:

Ma quando parlo di ciò che chiamiamo la guerra della finanza, non (significa)dipendere unicamente dai politici. Questo dipende anche dalle vostre scelte.Cosa significa «le vostre scelte»? Significa che ho bisogno di imprenditori,avvocati, giornalisti, banchieri34.

Con queste parole si fa appello alla mobilitazione collettiva: tutti veniamochiamati ad agire contro un nemico invisibile e infinitamente più insidioso.

6. 6. Missing data, l’invisibilità dei Palestinesi

Alla fine degli otto giorni di viaggio la presenza dei palestinesi è impercettibile.La realtà dei luoghi attraversati è una muta semantica del conflitto: si menzio-nano le origini bibliche dei luoghi, il passaggio dei romani e degli ottomani, lebattaglie storiche. I palestinesi sembrano non esistere. Sono le white patchesdel paesaggio. Nella carta turistica distribuita il primo giorno non c’è traccia delconfine tra Israele e Palestina35. Per chi non ha familiarità con la mappa geo-politica dell’area, la percezione è di un territorio senza soluzione di continuità.

x33 Nel suo briefing l’agente del Mossad avanza la tesi per cui alcuni gruppi avrebbero

guadagnato oltre un miliardo di dollari per le conseguenze del crollo delle torri gemelle.34 Agente Mossad (anonimo), Latrun, 12 giugno 2007.35 La mappa riporta la partizione del Memorandum Wye, in cui la Cisgiordania è divisa

in due aree, A e B, stampate in colori molto tenui, che quasi scompaiono nella carta diIsraele. L’area A rappresenta il territorio sotto responsabilità palestinese per gli affari civili,la sicurezza interna e l’ordine pubblico; l’area B indica i territori di responsabilità israelianaper i coloni degli insediamenti.

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In una perfetta trasposizione temporale della Sacred Landscape36 gli speakere lo staff del tour comunicano l’azzeramento della storia: la geografia è quellabiblica; la Cisgiordania è sempre chiamata Giudea e Samaria. Lungo i tragittisfioriamo spesso il territorio della Cisgiordania, ci avviciniamo alla Striscia diGaza, affianchiamo la rete elettronica di separazione della West Bank. Di tantoin tanto la guida richiama l’attenzione sulla presenza di un minareto e sottolineacome il villaggio che si intravede sulle colline sia una comunità palestinese. È ilsolo accenno all’esistenza dei palestinesi. Una presenza costantemente assente.La rappresentazione di una realtà semplificata, il risultato di una sommatoria diomissioni e dinieghi che si palesano nella narrazione del muro di separazione.

Qalqiliya è incluso nel programma perché permette l’«osservazione di unadelle strade principali di penetrazione dei terroristi in Israele». Nel briefing delresponsabile dell’Unità umanitaria dell’esercito – che secondo il programmaavrebbe dovuto illustrarci il dilemma umanitario vissuto ai checkpoint dai mili-tari israeliani – ogni riferimento alle modalità di controllo scompare per lasciarespazio alla descrizione del muro e della rete elettronica di separazione con laCisgiordania. Osserviamo il muro a distanza di un chilometro e mezzo, da unadelle strade di accesso agli insediamenti:

Vorrei mostrarvi, se non vi dispiace, ciò che chiamiamo «il muro». Vedeteil muro di cemento laggiù: quello è il muro e questo è il centro di Qalqiliya[indica con il dito la città in prossimità del muro]. Qalqiliya è uno dei posti piùinteressanti per parlare della recinzione di sicurezza. Se non vi dispiace vorreiparlarvi del muro di cemento costruito tra Israele e Qalqiliya [osserviamo adistanza, alcuni usano il binocolo per aver una visione meno impressionisticadel muro]37.

Sono le due di pomeriggio, la temperatura raggiunge i 39 gradi, facciamofatica a mettere a fuoco il muro e soprattutto a comprenderne le reali dimensioni.Percorriamo tre chilometri per raggiungere Oranit, un insediamento costruitonel 1984. Ci fermiamo in cima a un belvedere da cui si domina tutta la vallata.Osserviamo i villaggi palestinesi e gli accampamenti delle comunità beduineintorno, intravediamo la rete elettronica e la fascia di sicurezza. Nessuno ha lapercezione della complessa e devastata geografia della Cisgiordania38. Oranit,

x36 Nell’introduzione di Sacred Landscape, Meron Benvenisti descrive il fenomeno delle

white patches, la percezione sui generis di luoghi dicotomizzati quali Sarajevo, Beirut o Belfast,assumendola come chiave di accesso alle mappe mentali di ebrei e arabi (Benvenisti, 2000,p. 1).

37 Capo dell’Unità Umanitaria dell’IDF, Qalqiliya, 13 giugno 2007.38 In Cisgiordania vivono 2.264.000 palestinesi, e altri 250.000 sono a Gerusalemme est

(Palestinian Central Bureau of Statistics data for 2007). Secondo PeaceNow, i coloni israelianiinsediati in Cisgiordania sono 289.600 e occupano il 9,3% del territorio. Altri 190.000 colonisono insediati al di là della linea verde, a Gerusalemme Est. Il tasso di crescita demograficadei coloni è del 4,7% contro l’1,6% del resto di Israele. Per ragioni di sicurezza le aree intornoagli insediamenti sono circondate da un ingente apparato protettivo, da strade ad accesso

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come tutti gli insediamenti, colonizza le colline e domina lo spazio sottostante.Per questo, nel conflitto israeliano-palestinese, il controllo del territorio non èsolo materia di ordine militare ma diventa una questione ben più complessa,su cui converge «un processo di trasformazione, adattamento, costruzione eoblio del paesaggio e dell’ambiente costruito» (Segal, Weizman, 2002, p. 19). Sitratta della sommatoria di azioni militari, rivendicazioni religiose, acquisizioniillegali, resistenze e forme di appropriazione che si esprimono attraverso ciòche Holston definisce come la logica della creatività distruttiva (cit. da Levine,2005, p. 16), coinvolgendo saperi tecnici e militari, volontà politiche e comunitàdi pratiche religiose. Lo spazio, in questa prospettiva, è allora e prima di tuttouno strumento politico: è l’agenda politica di Israele, che dopo il 1967 si incarnanella cosiddetta politica della «creazione dei dati di fatto», tesa a favorire la rea-lizzazione di numerosi insediamenti nella Cisgiordania attraverso politiche diaiuti pubblici (Mnookin, Eiran, 2005). Oranit è l’esito di questa politica territo-riale. Ma nessuno la racconta: tutti i partecipanti sono convinti di essere in ter-ritorio israeliano. Gli insediamenti sono costruiti seguendo una ferrea logica diframmentazione e parcellizzazione dello spazio palestinese, che Hanafi (2006)definisce come uno «spaziocidio». Su questo territorio frattalizzato intervienel’esercizio del potere militare, che si manifesta in un decalogo di proibizioniarbitrarie ai checkpoint, nello sradicamento delle coltivazioni arboree e orticolee infine nella distruzione delle case. Il paesaggio e lo spazio vengono così tra-sformati in chiave militare. Come suggerisce Sharon Rotbard, l’architettura inIsraele è soprattutto un prolungamento bellico attraverso altri mezzi. «Costruirela terra di Israele» è un connubio di pratiche militari, di teoria architettonica edi ideologia politica (Segal, Weizman, 2002, p. 41).

Nella breve pausa in cui osserviamo la valle, l’ufficiale dell’IDF ci illustra,carte militari alla mano, la differenza tra muro e rete elettronica di separazione:

se parliamo di rete di separazione parliamo di una rete di circa 700 chilometri,da Jenin a Nord fino ad Hebron a Sud. Solo il quattro per cento di questi 700chilometri è un muro di cemento. Vedete la rete, sono tre-quattro metri. Ciòche è importante, è che la gente viene qui ed io la mostro. Il muro. Dov’è ilmuro? È un piccolo e sottile muro, è tutto39.

Ascoltandolo mi torna in mente l’articolata analisi dei dinieghi di StanleyCohen (2001). La rappresentazione del muro è una forma di diniego interpre-tativo, un’attribuzione di significati diversi dai fatti. Il muro è presentato nellabrochure come un mezzo per «rendere la vita dei palestinesi più semplice»40.

xriservato e da cinture di sicurezza che accentuano la devastazione del territorio e il processodi land grasping. Si veda http://www.peacenow.org.il/site/en/peace.asp?pi=61&docid=4372.

39 Capo dell’Unità Umanitaria, Qalqiliya, 13 giugno 2007.40 Come denuncia Machsom Watch, i checkpoint e il muro sono dispositivi che invece di

difendere Israele dai palestinesi, separano e colpiscono i palestinesi. La costruzione del murodi separazione implica la confisca su larga scala di quote di territorio palestinese su cui sono incorso diversi procedimenti di giudizio di fronte all’Alta Corte di Giustizia Israeliana. Un esempioè la protesta congiunta israelo-palestinese contro il muro e la confisca della terra a Bil’in,

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Il briefing, però, tradisce le buone intenzioni del testo e non fa menzione del-l’humanitarian dilemma. Il contenuto e la semantica della descrizione del murosembrano inquadrarsi in una seconda forma di diniego, quello ufficiale, cheassume il carattere di un evento pubblico e diventa collettivo nella misura in cuiè pensato e organizzato dalla collettività che investe risorse per la sua riprodu-zione. Nella sua complessità il tour è verosimilmente un social framework: pro-pone un quadro complessivo per interpretare eventi che incorporano la volontàdi una mente collettiva (Goffman, 2001, p. 66).

Mentre sotto gli occhi inconsapevoli dei partecipanti prende corpo questanarrazione altra dello spazio, alla nostra destra quattro muratori palestinesilavorano alla costruzione delle fondamenta di una casa di coloni. Ci guardanoperplessi, con la stessa aria interrogativa dei parenti dei giovani processatidi Ofer. L’ethos dell’intrattabilità è inscritto soprattutto in questa persistenteinvisibilità dell’altro. La stessa che attraversa la quotidianità degli ebrei e deipalestinesi di Gerusalemme. Degli ortodossi che nel pomeriggio di shabbathscendono a passo veloce dal loro quartiere di Meah Shearim e passano per labrulicante e povera economia della Porta di Damasco. Lo sguardo e il pensierorivolto al muro del pianto, da raggiungere prima del calar del sole. Ebrei epalestinesi si urtano in una muta e schiva rassegnazione. Nessuno chiede scusa.Evitano di posare lo sguardo sull’altro nell’apparente distanza che lascia intuireil peso di questo conflitto intrattabile.

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12 giugno 2007Briefing di Mark Regev, portavoce del Ministro della Difesa, Israel’s se-curity dilemmas – democracy under fire, Latrun, Israel Defence ForceCenter.

12 giugno 2007Briefing del Gen. Avigdor Kahalani Tel Aviv, Defence Ministry.

12 giugno 2007Briefing del Comandante dell’Humanitarian IDF Unit, The infiltration anddetection of terrorists, explosives and smuggling, «humanitarian» dilem-ma – emergency medical vehicles, and the civil population, Qalqilia.

13 giugno 2007Briefing del Chief Judge of Military Court, Aharon Mishnayot, MachaneOfer Military Base near Jerusalem.

13 giugno 2007Briefing di un membro del Kibbutz Misgav, Confine Libanese.

14 giugno 2007Briefing del Generale di Brigata Nafshi Yair, 7th Armoured Brigade, Alturedel Golan, Confine Siriano.