ENRICO CATTANEO S.I.* LORIGINE APOSTOLICA DELLEPISKOPÉ

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357 RdT 51 (2010) 357-378 E. CATTANEO ENRICO CATTANEO S.I. * LORIGINE APOSTOLICA DELLEPISKOPÉ NELLA LETTERA DI CLEMENTE AI CORINZI (1CLEM 40-44) Uno dei temi piø scottanti dal punto di vista ecclesiologico-ecume- nico e storico riguarda lorigine dellepiscopato. La questione L la se- guente: lepiscopato L frutto di unevoluzione sociologica e quindi dovuto a fattori umani, non essenziali alla nozione di Chiesa o invece L di istituzione apostolica, come necessario prolungamento del manda- to di Cristo, senza del quale non cL Chiesa? PoichØ i testi del Nuovo Testamento non sono molto espliciti su questo punto, storici e teologi si sono concentrati sulle testimonianze della tradizione. Tra queste la Lettera di Clemente Romano ai Corinzi offre un particolare interesse 1 , perchØ proprio nei capitoli centrali (cc. 40-44) tratta espressamente del problema della successione nel ministero dellepiskopØ 2 . Non sempre però questa lettera L oggetto della dovuta attenzione da parte degli studiosi delle origini cristiane. In effetti, nonostante le dichiarazioni di principio, il criterio della canonicità gioca ancora un ruolo determi- nante, anche là dove si intende fare una ricostruzione puramente stori- * Enrico Cattaneo S.I., docente di Patrologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dellItalia Meridionale, Sez. San Luigi, via Petrarca 115, 80122 Napoli, [email protected] 1 Normalmente si cita questo scritto come Lettera di Clemente ai Corinzi, o Prima Clementis (per distinguerla da una Secund a Clementis, pseudoepigrafa). Per il testo ci riferiamo alledizione di A. JAUBERT, ClØment de Rome. Épître aux Corinthiens (SCh 167), Cerf, Paris 1971, 2000 2 . Per una messa a punto ragionata della bibliografia sino alla fine degli anni 80, cf O.B. KNOCH, «Im Namen des Petrus und Paulus: Der Brief des Clemens Romanus und die Eigenart des römischen Christentums», in ANRW II/27.1, De Gruyter, Berlin - New York 1993, 4-54. Tra i commenti piø recenti, si veda H.E. LONA, Der erste Clemensbrief. Übersetzt und erklärt (KAV 2), Vandenhoeck & Rupre- cht, Göttingen 1998; E. PERETTO, Clemente Romano, Lettera ai Corinzi, EDB, Bologna 1999. Stando al saluto iniziale, si tratta di una lettera ufficiale della Chiesa di Roma alla Chiesa di Corinto. Dalle antiche attestazioni (Egesippo, Ireneo), pare certo che lautore sia stato Clemente, (terzo) successore di Pietro a guida della Chiesa di Roma. Non entro in merito alla questione dellautore. Cf E. PERETTO, Clemente Romano..., cit., 30-34. 2 Il termine episcopato ha preso nel corso dei secoli una precisa connotazione sacramentale-giuridica. Essa designa la guida unica della Chiesa locale (monoepiscopa- to o episcopato monarchico), ma ciò non esclude lidea di collegialità, perchØ non si L vescovi che allinterno del collegium episcopale. PoichØ alle origini non L facile trovare distinti questi aspetti, preferiamo mantenere la traslitterazione in episkopØ, che signifi- ca letteralmente lufficio di chi sovrintende. Su questo argomento cf E. PRINZIVALLI, «La Prima Lettera di Clemente: le ambiguità di un conflitto», in ASE 26 (2009) 23-46.

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ENRICO CATTANEO S.I.*

L�ORIGINE APOSTOLICA DELL�EPISKOPÉNELLA LETTERA DI CLEMENTE

AI CORINZI (1CLEM 40-44)

Uno dei temi più scottanti dal punto di vista ecclesiologico-ecume-nico e storico riguarda l�origine dell�episcopato. La questione è la se-guente: l�episcopato è frutto di un�evoluzione sociologica � e quindidovuto a fattori umani, non essenziali alla nozione di Chiesa � o inveceè di istituzione apostolica, come necessario prolungamento del manda-to di Cristo, senza del quale non c�è Chiesa? Poiché i testi del NuovoTestamento non sono molto espliciti su questo punto, storici e teologisi sono concentrati sulle testimonianze della tradizione. Tra queste laLettera di Clemente Romano ai Corinzi offre un particolare interesse1,perché proprio nei capitoli centrali (cc. 40-44) tratta espressamente delproblema della successione nel ministero dell�episkopé2. Non sempreperò questa lettera è oggetto della dovuta attenzione da parte deglistudiosi delle origini cristiane. In effetti, nonostante le dichiarazioni diprincipio, il criterio della canonicità gioca ancora un ruolo determi-nante, anche là dove si intende fare una ricostruzione puramente stori-

* Enrico Cattaneo S.I., docente di Patrologia presso la Pontificia Facoltà Teologicadell�Italia Meridionale, Sez. San Luigi, via Petrarca 115, 80122 Napoli, [email protected]

1 Normalmente si cita questo scritto come Lettera di Clemente ai Corinzi, o PrimaClementis (per distinguerla da una Secund a Clementis, pseudoepigrafa). Per il testo ciriferiamo all�edizione di A. JAUBERT, Clément de Rome. Épître aux Corinthiens (SCh167), Cerf, Paris 1971, 20002. Per una messa a punto ragionata della bibliografia sinoalla fine degli anni �80, cf O.B. KNOCH, «Im Namen des Petrus und Paulus: Der Brief desClemens Romanus und die Eigenart des römischen Christentums», in ANRW II/27.1,De Gruyter, Berlin - New York 1993, 4-54. Tra i commenti più recenti, si veda H.E.LONA, Der erste Clemensbrief. Übersetzt und erklärt (KAV 2), Vandenhoeck & Rupre-cht, Göttingen 1998; E. PERETTO, Clemente Romano, Lettera ai Corinzi, EDB, Bologna1999. Stando al saluto iniziale, si tratta di una lettera ufficiale della Chiesa di Roma allaChiesa di Corinto. Dalle antiche attestazioni (Egesippo, Ireneo), pare certo che l�autoresia stato Clemente, (terzo) successore di Pietro a guida della Chiesa di Roma. Non entroin merito alla questione dell�autore. Cf E. PERETTO, Clemente Romano..., cit., 30-34.

2 Il termine �episcopato� ha preso nel corso dei secoli una precisa connotazionesacramentale-giuridica. Essa designa la guida unica della Chiesa locale (monoepiscopa-to o episcopato monarchico), ma ciò non esclude l�idea di collegialità, perché non si èvescovi che all�interno del collegium episcopale. Poiché alle origini non è facile trovaredistinti questi aspetti, preferiamo mantenere la traslitterazione in episkopé, che signifi-ca letteralmente l�ufficio di chi �sovrintende�. Su questo argomento cf E. PRINZIVALLI,«La Prima Lettera di Clemente: le ambiguità di un conflitto», in ASE 26 (2009) 23-46.

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ca3. Con questo studio intendiamo offrire una rilettura sistematica del-la parte centrale della lettera, quella appunto riguardante l�origineapostolica dell�episkopé.

1 UNA CHIESA INSERITA NEL MONDOROMANO, MA ATTACCATA ALLE PROPRIERADICI GIUDAICHE

Evidentemente la 1Clem è stata scritta per porre fine al conflitto sortonella comunità di Corinto. Se da una parte essa ci rivela la forma mentisdei mittenti romani, d�altro canto non poteva non tener conto della for-ma mentis dei destinatari, se voleva riuscire nel suo intento. Ora non vi èdubbio che la 1Clem rivela una Chiesa ben inserita nel mondo romano,ma fortemente attaccata alla proprie radici giudaiche. Alla fine degli anni�60 d.C. le comunità cristiane di Roma erano ancora in gran parte diorigine giudaica, ma comprendevano un buon numero di etnico-cristia-ni4. Non doveva essere facile la convivenza tra le due componenti, comelo dimostra la Lettera ai Romani di Paolo5. Egli aveva indicato chiara-mente come la fede in Gesù Cristo fosse l�unico contenitore capace di

3 L�opinio communis data la 1Clem all�ultima decade del I secolo, verso la fine delregno di Domiziano o subito dopo (95-98 d.C.). Benché gli argomenti a favore diquesta datazione siano notevoli, una minoranza di studiosi non ne è rimasta convinta eritiene più verosimile una datazione più alta (69-70 d.C.). Personalmente propendo perquesta seconda, e più precisamente ritengo che la lettera sia stata inviata alla fine del 69d.C., all�avvento dell�imperatore Vespasiano, come spero di esporre in un prossimoarticolo. Per una sintesi sulla questione, cf E. PRINZIVALLI, «La Prima lettera di Clemen-te...», cit., 28, la quale però sostiene la datazione agli anni �90.

4 Ci sono però opinioni differenti al riguardo. Quando Paolo in una data oscillante trail 55 e il 58 d.C. scrive da Corinto la sua Lettera ai Romani, i credenti in Gesù Cristo,presenti già da tempo, si riunivano certamente in varie ekklesìai domestiche (cf R. PENNA,Paolo e la Chiesa di Roma, Paideia, Brescia 2009, 51-70). Che tipo di legame avessero tradi loro, non è facile stabilirlo. Tuttavia lo stesso Paolo non dà nessun rilievo a questapluralità di �chiese domestiche�, come invece tendono a fare molti esegeti attuali, i qualici tengono a sottolineare la �frammentazione� di queste ekklesìai, ritenendole sostanzial-mente autonome (cf W.L. LANE, «Social Perspectives on Roman Christianity during theFormative Years from Nero to Nerva: Romans, Hebrews, 1 Clement», in K.P. DONFRIED -P. RICHARDSON (edd.), Judaism and Christianity in First-Century Rome, Eedermans, Cam-bridge 1998, 196-244). Questa frammentazione e autonomia non ha però nessun riscon-tro nei testi. Paolo nella sua lettera si rivolge ai �chiamati� di Roma (anche se non lidesigna come ekklesìa) come se fossero un�unica entità, sia pure composta da sottogruppi(giudei e greci), con varie tendenze. Cf CH.C. CARAGOUNIS, «From Obscurity to Promi-nence: The Development of the Roman Church between Romans and 1 Clement», in K.P.DONFRIED - P. RICHARDSON (edd.), Judaism and Christianity..., cit., 245-279, qui 252-260.

5 Cf PH.F. ESLER, Conflitto e identità nella lettera ai Romani. Il contesto socialenell�epistola di Paolo, Paideia, Brescia 2008.

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comporre tutti i contrasti esistenti, a partire da quello, allora acuto e aprima vista insormontabile, tra giudei e non-giudei (cf Rm 3,21-26). Lostesso problema doveva porsi per la Chiesa di Corinto, sia pure forse inproporzioni inverse. Ma, evidentemente, questo principio della fede cri-stologica faceva fatica a passare nella pratica. La 1Clem non ritorna, senon di sfuggita, sui fondamenti dell�identità cristiana, ormai recepiti, einsiste invece su quella che deve essere la coerenza del comportamento.Sullo sfondo sembra che ci sia a Corinto una rinnovata presenza di ele-menti giudaici, forse portata da nuovi venuti, molto gelosi della loroidentità e attenti a tutto ciò che poteva minacciarla6. La lettera sembravoler rassicurare questi componenti sul fatto che potevano continuare asentirsi legati alla radice santa di Israele7: la fede in Gesù non era unrinnegamento del loro passato religioso, ma piuttosto il suo inveramen-to. Perciò la lettera usa abbondantemente le sacre Scritture, non soloapplicandole a Cristo8, ma specialmente per trarre da esse un direttoinsegnamento morale. Questa appropriazione del passato di Israele (1Clemcf 4; 7-13; 17-18; 29-32; 51-53; 55,3-6), fino a risalire all�inizio dellacreazione (cf 19,2-3), congiunto con il proiettarsi verso la risurrezionefinale in Cristo (cf 24,1), poneva la base perché ciascuno, giudeo o greco,potesse riconoscersi in una grandezza più ampia9. Nello stesso tempopermetteva ai componenti della comunità più attaccati al giudaismo dinon sentirsi minacciati nella loro originaria identità10. D�altra parte, la

6 Su questa ipotesi, cf A. JAUBERT, «Thèmes lévitiques dans la Prima Clementis», inVigiliae Christianae 18 (1964) 193-203; ID., Clément de Rome, cit., 48-50; 80-83; B.ROCCO, «S. Clemente Romano e Qumran», in Rivista Biblica Italiana 20 (1972) 277-290; A.E. WILHELM-HOOIJBERGH, «A Different View of Clemens Romanus», in HeythropJournal 16 (1975) 266-288; ID., «Clemens Romanus imitating the seditious Corin-thians?», in Studia Patristica 16/1 (TU 129), Akademie Verlag, Berlin 1985, 206-208.Qualcuno ha ipotizzato che il conflitto di Corinto sia sorto proprio tra questi �leviti�che aspiravano all�episkopé (cf N. SPACCAPELO, La lettera ai Corinti di S. Clemente diRoma [excerpta ex diss.], PUG, Roma 1974).

7 Il linguaggio della 1Clem è inclusivo dell�identità israelitica: Abramo è «il nostropadre Abramo» (31,1); Giacobbe è «il nostro padre Giacobbe» (4,8); vi è sempre unsolo «popolo di Dio» (cf 8,3; 59,4; 64,1), che è l�antico Israele (cf 8,3; 29,2; 31,4;43,5.6; 55,6).

8 Il caso più macroscopico è la citazione per intero del quarto canto del servo di Is53,1-12 e del Sal 21,7-9 (1Clem 16). Cf più avanti, nota 42.

9 Sull�importanza del tempo (passato, presente, futuro) nella formazione dell�identi-tà sociale, si veda PH.F. ESLER, Conflitto e identità..., cit., 38-41; 306-325. Il modo concui la 1Clem parla della futura risurrezione può sembrare piuttosto ingenuo ai moder-ni, ma in realtà rispecchia una concezione del tempo dove «il nesso tra presente efuturo era inteso normalmente nei termini di un processo naturale» (ib., 318).

10 Dalla lettera di Clemente non traspare nessun elemento di contrasto o di tensionecon la comunità giudaica o con credenti in Gesù attaccati al giudaismo. Non è facile daqui risalire al contesto sociale.

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Scrittura viene invocata non per quelle sue particolarità che avevano fat-to dei giudei un genus a parte, ma per quelle virtù (umiltà, obbedienza,sottomissione) che anche un gentile poteva recepire senza difficoltà11.Come vedremo più avanti, l�autore sa bene che al culto sacrificale delTempio, con tutto ciò che esso comporta, è subentrato l�ordine nuovodell�evangelo, con tutto ciò che esso comporta, ma si guarda bene dalcondannare il primo, affermando piuttosto che tutto deriva dalla volon-tà di Dio12. A differenza della Lettera agli Ebrei, quella di Clemente nonparla mai di una �nuova alleanza� contrapposta alla �prima� (cf Eb 8,6-13), e non dice mai che l�antico culto è inefficace per l�espiazione deipeccati (cf Eb 10,1-18). Quanto alla posizione paolina circa la giustifica-zione mediante la fede e non per le opere della legge � posizione bennota a Roma e che poteva anche essere travisata, creando contrasti con igiudei osservanti � essa viene recepita13, ma a scanso di equivoci è subitobilanciata dalla necessità dell�agàpe, anch�essa esigenza prettamente pao-lina, come si legge in Rm 13,8-10 e nell��inno alla carità� di 1Cor 1314.Inoltre, l�opposizione tra �giudeo� e �greco�, che attraversa tutta la let-tera di Paolo ai Romani, è assente dalla 1Clem, che non usa mai questitermini. Come autodesignazione (inclusi i Corinzi), la lettera parla dei«chiamati in Cristo Gesù» (32,4; cf 65,2), indicati come «gregge di Cri-sto» (16,1; 44,3; 54,2; 57,2), «eletti di Dio» (1,1), ovvero «eletti suoi» [=di Gesù Cristo] (46,8), «diletti [da Dio]»15. Altre designazioni come «san-

11 Così, ad esempio, la figura di Abramo, essenziale nel giudaismo, è richiamata perle sue virtù: obbedienza a Dio, fede, ospitalità (1Clem 10), umiltà (17,2), senza nessunaccenno alla circoncisione come invece aveva fatto Paolo in Rm 4,9-12.

12 Questo dettagliato riferimento al Tempio di Gerusalemme e al culto che vi si svolge-va toccava un tasto a cui erano molto sensibili i giudei della diaspora: cf J.M.G. BARCLAY,Diaspora. I giudei nella diaspora mediterranea da Alessandro a Traiano (323 a.C. - 117d.C.), Paideia, Brescia 2004, 393-398; PH.F. ESLER, Conflitto e identità..., cit., 87-91.

13 1Clem 32,4: «Anche noi, dunque, chiamati in Cristo Gesù per volontà Sua [= diDio], siamo giustificati non da noi stessi, né per la nostra sapienza o intelligenza o pietào per le opere che abbiamo compiuto in santità di cuore, ma mediante la fede, mediantela quale Dio Onnipotente ha da sempre giustificato tutti». Qui l�insegnamento paolinosulla giustificazione per fede viene presentato come una costante dell�agire salvifico diDio lungo tutta la storia della salvezza. Evidentemente bisognava persuadere gli anti-paolini che esso non era una novità. Su questo punto ritorneremo nella conclusione.Inoltre, vedremo più avanti che anche l�istituzione di epískopoi e diákonoi è presentatanon come una novità, ma una cosa già prevista dalla Scrittura.

14 1Clem 33,1: «Che cosa faremo dunque, fratelli? Smetteremo di fare il bene e abban-doneremo la carità? Non sia mai che il Sovrano [Dio] permetta questo a nostro riguardo,ma affrettiamoci a compiere ogni opera buona con perseveranza e volentieri». Il temadella carità (agàpe) sarà ripreso lungamente nei cc. 49-50. Cf N. SPACCAPELO, «L�amore diDio non può essere spiegato (1Clem. 49,2)», in Parola Spirito e Vita 10 (1984) 217-229.

15 Gli appellativi di �chiamati�, �diletti�, �santi�, �eletti� sono tutti paolini (cf Rm1,6-7).

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tificati» (praescr.), «parte scelta» (29,1), «porzione santa» (30,1), «popolosanto» (8,3) sono tutti appellativi tratti dalle Scritture o in riferimento adesse, e quindi condivisibili anche da chi si rifà all�identità giudaica. L�as-senza di stereotipi linguistici pare dunque intenzionale16, con l�intento diridurre il più possibile i conflitti all�interno del gruppo, allargando labase di identità e riconducendo i contrasti nell�ambito del comportamen-to. Va pure notato che ci potevano essere anche altri motivi di tensionenella comunità di Corinto (come in quella di Roma), originate dal diver-so status sociale: poveri vs ricchi, illustri vs sconosciuti, giovani vs anzia-ni (cf 1Clem 3,3), nonché dalla presenza e dal ruolo delle donne17. Tutta-via il motivo principale dell�intervento romano, come esamineremo piùavanti diffusamente, è «la contesa per l�episkopé», cioè un problema diautorità o di leadership. Con queste premesse, sarà più facile capire ilsenso e la forza dell�argomentazione dei capitoli che ora esamineremo.

2 I CAPITOLI CENTRALI (1CLEM 40-44)

La 1Clem non si accontenta di esortare i Corinzi alla concordia eall�amore fraterno18, nel rispetto dei ruoli di ciascuno, ma nei cc. 40-44,che sono il centro ecclesiologico della lettera, essa mette a fuoco alcuneimportanti questioni sui ministeri e i loro rapporti con l�origine aposto-lica19. La struttura di questi cinque capitoli è molto significativa e consi-

16 Il termine Ioudaios manca nella 1Clem, così come il termine Christianòs. Neicommenti biblici è abituale usare i termini �giudei�, �cristiani� e �gentili�, con il ri-schio però di interpretazioni anacronistiche. PH.F. ESLER, Conflitto e identità..., cit., 85-98 propone di usare �giudaiti� invece di �giudei�; �seguaci di Cristo�, �movimento diCristo� invece di �cristiani� e �cristianesimo�; �stranieri� invece di �gentili�. Questonuovo linguaggio può essere molto utile per liberarsi da inveterati stereotipi.

17 Cf E. CATTANEO, «Le donne nella Lettera di Clemente ai Corinzi», inwww.mysterion.it 5 (2010) 20-31.

18 Cf N. SPACCAPELO, «Nella fraternità e nella concordia (1 Clemente)», in ParolaSpirito e Vita 11 (1985) 233-244.

19 Cf G. BRUNNER, Die theologische Mitte des ersten Klemensbriefs. Ein Beitrag zurHermeneutik frühchristlicher Texte (Frankfurter Theologische Studien, 11), J. Knecht,Frankfurt am Main 1972 (si veda la recensione di B. Dehandschutter in EphemeridesTheologicae Lovanienses 50 [1974] 105-107); J. LIÉBAERT, «La référence à la règle apo-stolique dans la lettre de Clément de Rome», in L�année canonique 23 (1979) 115-132.Molto riduttiva invece ci pare l�interpretazione di H.-G. LEDER, «Das Unrecht der Pre-sbyterabsetzung in Korinth. Zur Interpretation von 1. Cl. 44,1-6», in TheologischeVersuche 10 (1979) 107-127. Per una traduzione con note di commento dei cc. 40-44,si veda E. CATTANEO, I ministeri nella Chiesa antica. Testi patristici dei primi tre secoli,Ed. Paoline, Milano 1997, 251-260. Cf. R. MINNERATH, De Jérusalem à Rome. Pierre etl�unité de l�église apostolique, Beauchesne, Paris 1994, 568-572.

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ste in un doppio dittico, dove si alterna il confronto tra l�antico e ilnuovo ordine, secondo lo schema a, b, a�, b�.

a. L�antico ordine cultuale: i tempi, gli agenti e il luogo del culto sacrificale (cc. 40-41)b. L�ordine nuovo dell�evangelo (c. 42).a�. Come Mosè ha risolto la prevista contesa per il sacerdozio (c. 43)b�. Come gli apostoli hanno risolto la prevista contesa per l�episkopé (c. 44).

2.1. Il primo dittico (cc. 40-42)

Per appoggiare la sua argomentazione, l�autore fa un lungo e detta-gliato richiamo al sacerdozio dell�Antico Testamento. La conoscenzadi queste precise disposizioni cultuali, dice la lettera, non provienedall�investigazione umana, ma è rivelazione di Dio, e per ottenerlabisogna immergersi «nelle profondità della conoscenza divina (qe�ajgnèsewj)», cioè nelle sacre Scritture. Nell�antica alleanza, infatti, Diostesso ha stabilito:

- i tempi e i momenti del culto (40,1-2);- il luogo e le persone addette al culto (40,3);- in particolare Dio ha stabilito la distinzione tra: sommo sacerdote,

sacerdoti, leviti e uomo comune (la�kÕj ¥nqrwpoj);- chi non si attiene a queste precise disposizioni, pecca gravemente e

incorre nella pena di morte (40,4; 41,3).

Il testo sottolinea la tassatività delle norme date: nel culto divinoniente può «avvenire a caso e senza ordine» (40,2). Gli atti cultuali nonpossono essere compiuti: 1) né da chiunque (40,3.5); 2) né in qualsiasiluogo (41,2) e 3) né in qualsiasi tempo (40,1-2.4). Sembra qui che la1Clem abbia in mente il modello di Gn 1, dove Dio crea tutto con ordi-ne, nel tempo e nello spazio. Il culto terreno rispecchia e riproduce inqualche modo questo ordine originario. Così, non tutti possono faretutto: vi è una precisa gerarchia, formata dal sommo sacerdote, dai sa-cerdoti e dai leviti, ciascuno con il suo specifico ufficio; anche chi non faparte della gerarchia levitica, cioè l�«uomo comune» (la�kÕj ¥nqrwpoj)20,

20 L�aggettivo la�kÒj è un derivato dal sostantivo laèj, «popolo». Qui è la primaricorrenza in un testo cristiano. Nel periodo ellenistico lo si trova nei papiri egiziani perdesignare la popolazione indigena, distinta dall�amministrazione che la governa. Cf F.BERGAMELLI, «�Laico� nella prima lettera di Clemente Romano (1Clem. 40,5)», in A.AMATO - G. MAFFEI (edd.), Super fundamentun Apostolorum. Studi in onore di S. Em.Card. A.M. Javierre Ortas, LAS, Roma 1997, 127-141. Esso non si trova né nella Bib-bia greca (LXX) né nel NT, mentre è presente nelle altre versioni greche dell�AT (Aqui-la, Simmaco e Teodozione, II sec. d.C.) con il senso di �profano�, �non-santo�, riferitoa oggetti (pane, viaggio, terreno), non alle persone (1Sam 21,5; Ez 22,26; 48,15). Cf E.PERETTO, Clemente Romano..., cit., 219-220. Per la fortuna del termine nella prima

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che appartiene cioè al popolo (laèj), è tenuto ai «precetti comuni atutti» (la�ko�j prost£gmasin)21. Inoltre, non dappertutto si possonooffrire sacrifici a Dio, «ma solo in Gerusalemme», e non in qualsiasiparte della città, ma solo «davanti al santuario, all�altare dei sacrifici»(41,2). Infine, non in qualsiasi momento si offrono i sacrifici, ma «indeterminati tempi e momenti» (40,2). All�origine di questa obbligatorie-tà sta la volontà di Dio, che solo può stabilire le leggi per il culto a Luidovuto. Il testo lo ripete in diversi modi: «[...] il Sovrano [Dio] comandòdi compiere [...], ordinò [...], stabilì con il suo supremo consiglio [...],secondo il suo beneplacito [...], perché sia bene accetta alla sua volontà[...], seguendo le prescrizioni del Sovrano [Dio] [...]» (c. 40) 22.

La mancata osservanza di queste norme equivale a profanare le cosesante, e quindi implica incorrere nella pena di morte, come già si leggein Es 30,32-33.37-38; 31,14-1523. Segue poi il ragionamento a fortiori,ovvero il passaggio a minore ad maius: «Quanto maggiore è la cono-

letteratura cristiana, cf A. FAIVRE, Les laïcs aux origines de l�Eglise, Cerf, Paris 1984; E.DAL COVOLO (ed.), Laici e laicità nei primi secoli della Chiesa, Ed. Paoline, Milano 1995.Per la storia tempestosa del termine �laico� nell�età moderna e contemporanea, finoalla sua completa trasformazione, cf P. VANZAN (ed.), Il laicato nella Bibbia e nellastoria, AVE, Roma 1987; G. CANOBBIO, Laici o Cristiani? Elementi storico-sistematiciper una descrizione del cristiano laico, Morcelliana, Brescia 1992.

21 Il senso di 1Clem 40,5 sta proprio nel sottolineare che tutti sono soggetti ai «pre-cetti» del proprio stato (t£gma), e questa «regola» (kanèn) va rispettata senza travalica-re, se si vuole piacere a Dio (41,1); anche l�«uomo comune», dunque, è soggetto ai«precetti comuni» a tutti. Non mi convince per nulla A. FAIVRE, «Préceptes laïcs et com-mandements humains. Les fondements scripturaires de I Clément 40,5», in Revue desciences religieuses 75 (2001) 288-308, il quale sostiene che «precetti laici» deve essereinteso nel senso di �comandamenti umani�, condannati dai profeti Isaia ed Ezechiele.

22 Nel Pentateuco questo fatto è chiarissimo: prima c�è Dio che ordina («Faranno [...];farai [...]; farai [...]; farai [...]»: Es 25-30); poi c�è Mosè che esegue (Es 35-40). Vieneripetuto come un ritornello dopo ogni lavoro: «Fecero ogni cosa secondo ciò che ilSignore aveva ordinato» (Es 36,1); «[...] come il Signore aveva ordinato a Mosè» (Es39,5.7.21.26.29.32); «Mosè fece in tutto secondo quanto il Signore gli aveva ordinato»(Es 40,16). Non è possibile pensare che ci sia un atto cultuale non ordinato da Dio, maescogitato dall�uomo.

23 Al tempo di Gesù erano i sadducei, e specialmente i sommi sacerdoti sadducei, avigilare sulla sacralità del Tempio e dei sacrifici: «In confronto ai Farisei, ad esempio, iSadducei avevano un approccio molto più stretto alla purità rituale del Tempio, e asse-gnavano un maggiore significato al culto sacerdotale. Essi consideravano sia il Tempiosia il culto sacrificale come maggiormente esposti alla dissacrazione, e in un certo sensopiù sacri di quanto non li ritenessero i Farisei. Per i Sadducei, ogni possibile violazionedell�ordine cultuale, ogni potenziale dissacrazione del Tempio, erano considerate comeestremamente pericolose» (E. REGEV, «Temple Concern and High-Priestly Prosecutionfrom Peter to James: Between Narrative and History», in New Testament Studies 56[2010] 64-89, qui 86, trad. mia). Cf M. VITELLI, «Sadducei e sacerdozio nel giudaismodel Secondo Tempio», in Ricerche Storico Bibliche 21 (2009) 49-82. La 1Clem 40-41sembra che parli da questa prospettiva.

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scenza (gnèsewj) di cui siamo stati fatti degni, tanto maggiore è il peri-colo (kindÚnJ) a cui siamo esposti» (41,4).

Questo significa che nel nuovo ordine di cose � quello dell�evangelo �le esigenze e le responsabilità di fronte a Dio non sono diminuite, masono aumentate: e che cosa c�è di più grave della condanna a morte senon l�esclusione dal regno eterno di Cristo? Tale tipo di argomentazio-ne si trova anche nella Lettera agli Ebrei: «Quando qualcuno ha violatola legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due otre testimoni. Di quanto maggior castigo allora pensate che sarà fattodegno chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano il sanguedell�alleanza!» (Eb 10,28-29) 24.

La 1Clem non dice che il culto del Tempio è finito o che non ha piùnessun valore; anzi, lo dà come ancora vigente e corrispondente allavolontà di Dio. Dice però che ora c�è una nuova �conoscenza�, cioèuna nuova rivelazione, che supera quella precedente. Nell�argomenta-zione quanto magis, abbiamo in nuce tutta la teologia del rapporto tra idue Testamenti, quella che tiene insieme la linea della continuità e quel-la della discontinuità.

È chiaro allora che la comunità degli «eletti», «assemblea di Dio»(�kklhs�a toà qeoà) (praescr.) e «corpo in Gesù Cristo» (38,1), non èsemplicemente il prolungamento del popolo d�Israele, e quindi i ministridella Chiesa non sono un semplice prolungamento dei sacerdoti dell�an-tica alleanza. Nella ekklesía vi è un solo ed eterno Sommo Sacerdote, cheè Gesù Cristo25. Tuttavia vi è una continuità che unisce le due economie,e questa è data dalla «volontà di Dio», che ha disposto prima il sacerdo-zio aaronide e poi quello di Cristo. Pur nel cambiamento della disposi-zione salvifica � voluto da Dio nella direzione di una salvezza universale� permane una certa analogia, anche se ciò non permette di tracciare unquadro parallelo tra le due istituzioni, come a volte è stato fatto.

L�ordine nuovo voluto da Dio si impernia sulla missione di Cristo, ilquale manda a sua volta gli apostoli come annunciatori dell�evangelo:

«[42,1] Gli apostoli ci annunciarono l�evangelo da parte del Signore GesùCristo; Gesù, il Cristo, fu mandato da Dio. [2] Il Cristo dunque è da Dio egli apostoli dal Cristo: pertanto entrambe [queste missioni] sono avvenuteordinatamente a partire dalla volontà di Dio».

Questo mandato non si arresta agli apostoli scelti da Cristo; se cosìfosse, l�opera salvifica di Dio, indicata come predicazione dell�evange-

24 Cf Eb 9,13-14: «Se il sangue dei capri e dei vitelli [...] purificavano nella carne,quanto più (quanto magis) il sangue di Cristo [...]»; Eb 12,25: qui il confronto è rove-sciato (quanto minus).

25 1Clem 36,1: «Gesù Cristo, il sommo sacerdote delle nostre offerte», titolo ripresoin 61,3 e 64,1. In 32,2 la 1Clem sembra supporre un messianismo sacerdotale (cf A.JAUBERT, Clément de Rome..., cit., 48).

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lo, resterebbe incompiuta. Il punto delicato, che deve essere spiegato aiCorinzi, è proprio il passaggio dagli apostoli ai loro successori. La lette-ra descrive in dettaglio i vari passaggi, avvenuti non a caso, ma secondoun ordine preciso, guidato evidentemente da Dio stesso26:

(1) gli apostoli non hanno agito di loro iniziativa, ma dietro mandato del Si-gnore risorto e con la conferma dello Spirito Santo (42,3);

(2) la loro opera è stata anzitutto predicare il regno di Dio e battezzare i cre-denti (42,4);

(3) quindi gli apostoli hanno provveduto a dotare le comunità di epískopoi ediákonoi, cioè di �sovrintendenti� e �ministri� (42,4);

(4) questi ministri furono scelti tra i primi credenti (quindi erano �primizie�[¢parca�] nella fede) e furono istituiti dopo essere stati messi alla prova (ivi);

(5) questa istituzione di epískopoi e diákonoi non è una innovazione, perchéera già stata prevista dalla Scrittura.

Come ha scritto A.M. Javierre, «vi è qui un riassunto della storiaevangelica di sapore arcaico e ricco di risonanze neotestamentarie»27.L�azione degli apostoli, dietro mandato del Signore, è duplice: predica-re l�evangelo (il che implica il battesimo)28 e dotare i credenti di respon-sabili («sovrintendenti e ministri»)29, designati dagli stessi apostoli nonsenza un previo esame30. Queste persone sono indicate come «primizie»(¢parca�), termine che può designare sia i primi venuti alla fede, sia laparte �migliore�, la parte �scelta� della comunità, incaricata del servi-

26 Cf A.M. JAVIERRE, El tema literario de la sucesión en el judaismo, helenismo ycristianismo primitivo. Prolegómenos para el estudio de la sucesión apostólica, Pas Ver-lag, Zürich 1963, 444.

27 A.M. JAVIERRE, El tema literario..., cit., 444 (trad. mia).28 Il battezzare compare solo nell�antica versione latina: «Secundum municipia ergo

et civitates predicantes, eos qui obaudiebant voluntati dei baptizantes, preponebantprimitiva eorum». Secondo A. von Harnack (Das Schreiben der römischen Kirche an diekorintische aus der Zeit Domitians. I. Clemensbrief, Hinrichs, Leipzig 1929, 115), sa-rebbe questa la lezione originale. In effetti l�espressione obaudiebant voluntati dei con-tiene termini tipici della 1Clem (cf 9,1). Lo stretto rapporto tra predicazione e battesi-mo doveva certamente far parte del primo nucleo dottrinale (cf Mt 28,19; Mc 16,15-16; At 2,41). Per il testo dell�antica versione latina, cf C.Th. SCHAEFER, S. ClementisRomani Epistula ad Corinthios quae vocatur prima graece et latine, Peter Hanstein,Bonn 1941.

29 Il binomio �episcopi e diaconi� appare già in Paolo, Fil 1,1 e in Didaché 15,1. La1Tm 3,1-13 parla insieme di epískopos (al singolare, come in Tt 1,7) e diákonoi, e,separatamente, dei presbýteroi (1Tm 5,17-22). Cf E. CATTANEO, I ministeri..., cit., 228-248. L�antica versione latina della 1Clem non ha percepito diákonoi come un terminetecnico, e quindi non lo ha traslitterato in diaconus, ma lo ha tradotto con ministri.

30 In che cosa consistesse questa �prova� non è detto, ma certamente doveva esseredi ordine morale, cioè la verifica di quel �dominio di sé� (enkràteia), che dovrebbecaratterizzare la persona matura.

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zio31. Sembra che qui la 1Clem intenda tutt�e due le cose, e descriva inparticolare l�azione missionaria di Paolo32: intanto l�Apostolo potevaspostarsi da una città all�altra in quanto lasciava la nuova comunitàfornita di responsabili, scelti fra le «primizie»33, senza che avessero untitolo specifico (cf 1Ts 5,12-13), ma che potevano essere chiamati, se-condo i luoghi, o presbýteroi (cf At 20,17; Tt 1,5) o epískopoi e diáko-noi (cf Fil 1,1) o hegoùmenoi (cf Eb 13,7.17.24) 34.

L�ultimo punto (5) ha chiaramente una funzione rassicurante o pre-veniente contro la possibile critica circa l�istituzione dell�episkopé consi-derata come una novità. Il riferimento scritturistico non è letterale35, maè evidente l�intenzione di appoggiarsi all�autorità della Scrittura, segnodi un contesto in cui il riferimento al giudaismo era ancora ben vivo36.

Può sembrare strano che in questa presentazione della prima evan-gelizzazione non si parli di «anziani» (presbÚteroi). Ricordiamo peròche a quel tempo non c�era ancora una terminologia fissa per indicare ivari tipi di ministero. Dalla 1Clem risulta che nelle comunità c�era uncollegio di �anziani� (presbÚteroi), i quali avevano una funzione divigilanza o episkopé, funzione che non si erano data da loro stessi, né

31 È stato notato che già Paolo (1Cor 16,15) aveva usato il termine «primizia» (¢parc»)per indicare quelli da lui scelti per il servizio (e�j diakon�an) della comunità di Corinto.Cf L. HERTLING, «1 Kor 16, 15 und 1 Clem 42», in Biblica 20 (1939) 276-283.

32 Il fatto che in 1Cor 1,17 Paolo dichiari che Cristo non lo ha «mandato a battezza-re, ma a evangelizzare» e senta il bisogno di giustificare la sua limitata pratica del batte-simo a Corinto, indica che la sequenza evangelizzazione-battesimo era quello che tuttinormalmente si aspettavano da un missionario.

33 Cf G. BIGUZZI, «Paolo e la strategia apostolica della primizia», in Euntes docete 62(2009) 75-100. Biguzzi non pensa che l�espressione �primizie� designi i capi delle Chiesecome in Clemente Romano (82) e dà a �primizie� di Rm 16,5 e 1Cor 16,15 il senso di«priorità cronologica» con «il valore di promessa e garanzia» (81); non esclude peròanche un significato qualitativo «quali primizie peculiari e distintive» (ivi), capaci didiventare a loro volta �evangelizzatori� delle regioni in cui si trovano; inoltre il termineaparché rivestiva anche un significato cultuale (95-99). Sulla complessità del termine,oltre alla bibl. citata dal Biguzzi, si veda anche M. DEL VERME, «Didachè e giudaismo: la¢parc» di Did. 13,3-7», in Vetera Christianorum 28 (1991) 253-265.

34 In questo studio eviteremo di usare i termini �presbitero� e �vescovo� a motivodella connotazione precisa che hanno assunto a partire da Ignazio di Antiochia. Si vedail mio «La figura del vescovo in Ignazio di Antiochia», in Rassegna di Teologia 47 (2006)497-539.

35 Cf Is 60,17, che però dice (LXX): «E darò i tuoi capi (¥rcontaj) nella pace e i tuoisovrintendenti (�piskÒpouj) nella giustizia». Il testo masoretico è ancora più distanteda quello di Clemente: «E porrò come tuo sovrintendente la pace, e come tuo governa-tore la giustizia». La menzione dei diaconi è propria della 1Clem, che li nomina solo inquesto contesto, come se non ci fosse ancora una marcata differenziazione tra epísko-poi e diákonoi, entrambi di fatto assorbiti nella categoria di �anziani�.

36 Cf più sopra, nota 6.

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era stata loro conferita dalla comunità, ma che derivava da un mandatoavente la sua origine in Dio stesso, attraverso Gesù Cristo e gli apostoli.Da qui la parziale sinonimia tra presbýteroi ed epískopoi, in quanto èprobabile che non tutti gli «anziani» avessero l�incarico della episkopé,ma solo quelli «costituiti» tali (54,2)37. Essi sono chiamati capi o guide(¹goÚmenoi o prohgoÚmenoi: 1,3; 21,6)38, un termine molto generico,usato anche per indicare le autorità civili e militari39. In ogni caso, ben-ché sia impensabile un collegium che funzioni senza un primum, la fi-gura del mono-episcopo è del tutto assente dalla 1Clem40. Quello chel�autore sembra voler sottolineare è che l�episkopé � intesa ancora insenso collegiale � è di derivazione apostolica, un prolungamento dellamissione apostolica.

Questo primo raffronto tra l�ordine del culto gerosolimitano e ilnuovo ordine dell�evangelo evidenzia un parallelismo antitetico:

Volontà di Dio

culto sacrificale annunzio dell�evangelo

sommo sacerdote Gesù Cristo,Sommo Sacerdote dell�evangelo

sacerdoti apostoli dell�evangelo

leviti episcopi e ministri dell�evangelo

uomo laico Chiesa di Dio, tutta porzione santa

unico luogo di culto: l�evangelo universaleTempio di Gerusalemme

il culto solo in tempi il tempo dell�evangelo:e momenti stabiliti il regno di Dio sta per venire

37 Quindi si può dire che normalmente tutti gli epískopoi erano �anziani�, ma nontutti gli �anziani� erano epískopoi.

38 Nel NT questo termine al plurale per indicare i capi di una Chiesa ricorre solo inEb 13,7: «Ricordatevi dei vostri capi (¹goum�nwn)»; 13,17: «Obbedite ai vostri capi(¹goum�noij) e siate loro sottomessi»; 13,24: «Salutate i vostri capi (¹goum�nouj) e tuttii santi».

39 Cf 1Clem 5,7: «Paolo [...] ha testimoniato sotto i governatori (�p� tîn ¹gou-m�nwn)»; 32,2: «i capi (¹goÚmenoi) di Giuda»; 37,2: «osserviamo i soldati che stannosotto i nostri comandanti (¹goum�noij)»; 37,3: «ciascuno esegue gli ordini dell�impera-tore e dei comandanti (tîn ¹goum�nwn)»; 51,5: «tutti i comandanti (¹goÚmenoi) del-l�Egitto»; 55,1: «molti re e comandanti (¹goÚmenoi)»; 60,4: «fatti obbedienti [...] ainostri capi e comandanti (¹goum�noij)».

40 Cf E. PRINZIVALLI, «La Prima lettera di Clemente...», cit., 29.

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Il vertice che lega i due quadri, come abbiamo, visto è la �volontà diDio�, origine di tutte le disposizioni sacre. La cosa singolare è che il fattonuovo dell�evangelo � centrato sull�annuncio della parola � venga messoin parallelo, non con il profetismo, ma con il sacerdozio41. Il senso delraffronto è però di tipo antitetico: il culto sacrificale gerosolimitano inquanto tale non ha più nessun ruolo nel nuovo ordine, come neppure ilsacerdozio aaronide. Al suo posto Dio ha mandato �il lieto annunzio�(evangelo) per mezzo del suo servo/figlio (pa�j)42 Gesù, il Messia (Cri-sto), l�unico vero Sommo Sacerdote che espia i peccati, non solo delpopolo, ma di tutti, e non più con il sangue di tori e capri, ma con ilproprio sangue43. Il filo scarlatto posto fuori della casa della prostituta diGerico (Gs 2,18) era un segno profetico «che per mezzo del sangue delSignore [Gesù] ci sarebbe stato il riscatto per tutti quelli che credono esperano in Dio» (12,7)44. Questo è il nuovo culto dell�evangelo, che nonè ristretto in nessun luogo, è universale, katholikòs, come dirà Ignazio diAntiochia della Chiesa45, e non è limitato a nessun tempo particolare, maè proiettato verso «il regno di Dio che viene». La Chiesa è così la «por-zione santa» (30,1), che ha per capo il Sommo Sacerdote Gesù Cristo, edunque in lei non vi è più nessun «laico», nel senso di «profano», masolo di appartenente al «popolo santo»46. Senza riprendere la strutturadell�antico popolo israelitico, la Chiesa di Dio continua a essere un cor-

41 Già Paolo aveva presentato l�opera di evangelizzazione in termini prettamentesacerdotali in Rm 15,15-16: «Da parte di Dio mi è stata concessa la grazia di essereministro sacro (leitourgÒn) di Gesù Cristo verso i gentili, esercitando l�ufficio sacerdo-tale (�erourgoànta) dell�evangelo di Dio, affinché i gentili diventino offerta (prosfor£)gradita [a Dio] (eÙprÒsdektoj), santificata (¹giasm�nh) nello Spirito Santo». Cf G.BIGUZZI, «Paolo e la strategia apostolica...», cit., 95-99. Pure Ignazio di Antiochia mettein parallelo il culto sacerdotale con la gerarchia ministeriale (Tralliani 7,2):

42 Cf 1Clem 59,2.3.4. Sul tema del �servo del Signore�, con la lunga citazione di Is53,1-12, cf D. BONO, «La citazione di Is 53 nella Prima Clementis», in Orientalia Chri-stiana Periodica 76 (2010) 103-120.

43 Si veda più sopra, nota 25. Cf PH. HENNE, La christologie chez Clément de Rome etdans le Pasteur d�Hermas, Ed. Universitaires, Fribourg Suisse 1992, 87-91.

44 Il sangue di Cristo è menzionato spesso nella 1Clem.: 7,4; 12,7; 21,6; 49,6. Cf. N.COCCI, «Il sangue di Cristo nella Lettera ai Corinti di Clemente Romano», in F. VATTIO-NI (ed.), Sangue e antropologia nella liturgia, II, Ed. Pia Unione Preziosissimo Sangue,Roma 1984, 845-901.

45 IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Lettera agli Smirnesi 8,2: «Dove compare il vescovo, là sia lacomunità, come là dove c�è Gesù Cristo, lì è la Chiesa cattolica».

46 Si veda più sopra, nota 20.

Chi è all�interno dell�altare,è puro (kaqarÒj);

chi invece è fuori dell�altare,non è puro (ouj kaqarÒj).

Cioè, chi intraprende qualcosa senzail vescovoe il presbiterio e i diaconi,

costui non è puro (oÙ kaqarÒj)nella sua coscienza.

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po ben ordinato, dato che anche l�evangelo, come l�antico culto sacrifi-cale, è indirizzato ultimamente alla gloria di Dio (cf 9,2; 32,4, ecc.).

2.2. Il secondo dittico (cc. 43-44)

Il punto centrale a cui tende il discorso della 1Clem sta tutto nel se-condo raffronto tra antico e nuovo ordine, nei cc. 43-44, attorno al temadella �contesa� (�rij) circa l�ufficio dell�episkopé. Il significato del c. 43 èracchiuso dalle due interrogazioni retoriche poste una all�inizio e una allafine. Il senso della prima è questo: «C�è forse da meravigliarsi se gli apo-stoli hanno costituito alcuni nell�episkopé, come continuatori della loroopera?» (cf 43,1). Segue l�esempio di come Mosè abbia risolto la questio-ne di quale delle tribù d�Israele fosse stata insignita dell�ufficio sacerdota-le. La seconda interrogazione retorica chiarisce tutto il procedimentousato: forse che Mosè non sapeva che Dio aveva già assegnato l�ufficiosacerdotale alla tribù di Levi? Certo che lo sapeva, e la conferma ne è cheegli lo ha scritto nei «sacri libri» (43,1); ma per evitare ogni contestazio-ne, fece fare la prova dei bastoni: ogni tribù doveva portarne uno coninciso il proprio nome; il giorno dopo i bastoni furono controllati davan-ti a tutta la comunità, e risultò che solo il bastone di Aronne era fiorito eaddirittura portava il frutto (Nm 17,16-26). Così tutti accettarono ladecisione senza discutere e «non ci fu sovvertimento in Israele» (43,6).Notiamo che questa prova del bastone fiorito segue immediatamente ilgrave episodio di ribellione contro Mosè e Aronne, capeggiato da Core,Datan e Abiron (Nm 16), episodio richiamato più volte nella 1 Clem47.

Ora come si applica questo procedimento al caso degli apostoli?Anch�essi «conobbero per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo che cisarebbe stata contesa (�rij) circa l�ufficio dell�episkopé» (44,1). Non sitratta dunque di una previsione umana, ma di una conoscenza ricevutada Cristo. Il riferimento non può essere che al Gesù prepasquale, fontedi questa conoscenza. Se andiamo infatti ai Vangeli, troviamo che effet-tivamente il gruppo degli apostoli ha fatto esperienza di una �contesa�su chi di loro doveva essere il più grande. La questione ritorna più voltenei Vangeli48. Era dunque presente nella memoria delle comunità l�esi-stenza di un problema circa la leadership apostolica già durante il mini-

47 1Clem 4,12; 51,3-4 e, indirettamente, in 43,2. Cf E. CATTANEO, «Il Signore cono-sce i suoi. La rivolta di Core, Datan e Abiram (Nm 16) nella prima letteratura cristia-na», in ID. - A. TERRACCIANO (edd.), Credo Ecclesiam. Studi in onore di A. Barruffo,D�Auria, Napoli 2000, 211-226. Core era un levita. Sull�episodio biblico si veda V.A.APPELLA, L�autorità contestata. Intrighi umani e progetto divino nella storia di Qorah,Datan e Abiram (Nm 16,1-35), PFTIM, Napoli 2009 (tesi dattiloscritta).

48 Cf Mt 18,1; 20,26-27; Mc 9,33-35; 10,43-44; Lc 9,46; 22,24.

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stero di Gesù. Un problema simile è attestato dalla paolina 1Cor 1,10-13, che rivela esserci nella comunità di Corinto «divisioni» (sc�smata)e «contese» (�ridej) attorno ad alcuni nomi (Paolo, Apollo, Cefa). Ilfatto che ci sia tra i Corinzi «gelosia e contesa» (zÁloj ka� �rij)49, èsegno che pensano ancora in modo umano, e cioè cercano di stabilireuna leadership secondo criteri umani, non divini. La soluzione prospet-tata da Paolo è questa: guardate a Dio e a Cristo, non a noi; io e Apollo,siamo solo diákonoi, «ministri, attraverso i quali siete venuti alla fede»(1Cor 3,5). È proprio questo episodio che è ricordato in 1Clem 47,1-4:

«Prendete la lettera del beato Paolo apostolo. Che cosa vi scrisse all�iniziodell�evangelo? In verità, divinamente ispirato vi scrisse di sé, di Cefa e diApollo, per aver voi anche allora formato dei partiti. Ma quel parteggiarevi procurò una colpa minore. Parteggiavate infatti per apostoli ben noti eper un uomo approvato da loro»50.

Mentre la prima contesa � quella al tempo di Paolo � riguardava chidei primi evangelizzatori fosse superiore nell�arte della parola51, ora lanuova contesa scoppiata a Corinto e testimoniata dalla 1Clem riguardaespressamente un problema di leadership. Chi doveva tenere l�episkopédella comunità, quelli che erano stati istituiti dagli apostoli (o dai lorocollaboratori), o quelli più dotati di conoscenza e di carismi? Bisognavadunque chiarire bene quale fosse la natura di quell�ufficio: se fosse cioètemporaneo, come nel sacerdozio giudaico, o a vita; se amovibile oinamovibile. In definitiva, si trattava di un problema di successione alministero, prolungamento di quello apostolico. Se il testo sottolineache la previsione di questa contesa fu trasmessa agli apostoli da Cristostesso, ciò significa che le disposizioni da loro date su questa questioneintendevano attuare la volontà di Cristo, che aveva invitato all�umiltà eal servizio. In definitiva, ecco il punto centrale:

49 Cf E. CATTANEO, «La �jalousie et l�envie� d�après la Lettre de Clément de Romeaux Corinthiens», in H. ROUILLARD-BONRAISIN (ed.), Jalousie des hommes, jalousie desdieux, Colloque de l�École Pratique des Hautes Études, Paris, 28-29 novembre 2008(in corso di stampa).

50 Da questo passo, sembra proprio che non sia passato molto tempo dalla lettera diPaolo, come se la 1Clem si rivolgesse alle stesse persone. Cf A.E. WILHELM - HOOIJBER-GH, «A Different View...», cit., 273-274. È vero che si può sempre invocare un usoretorico del �voi�, però così si perderebbe la forza del richiamo. Notiamo che la 1Clemnon mette Cristo tra i capi-partito, come alcuni esegeti suppongono da 1Cor 1,12.

51 Questo aveva naturalmente anche delle ricadute sulla leadership della comunità.Cf M. PASCUZZI, «Baptism-based Allegiance and the Division in Corinth: A Reexamina-tion of 1 Corinthians 1:13-17», in The Catholic Biblical Quarterly 71 (2009) 813-829.L�autrice sostiene che gli avversari di Paolo, seguaci di Apollo, ritenuto di superioreeloquenza, accusavano l�Apostolo di essere un «mero battezzatore». Questa tesi nonconvince pienamente: l�attività di Paolo come predicatore era troppo nota; piuttosto isuoi avversari lo accusavano di essere �debole� nel parlare (cf 1Cor 2,1).

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«Per questo motivo, dunque, [gli apostoli] avendo ricevuto una perfettaprescienza, costituirono quelli di cui si è detto, e inoltre diedero disposizio-ne (�pinom»n) che, quando costoro si fossero addormentati [nel Signore],altri uomini provati avrebbero ricevuto per successione (diad�xontai) illoro ministero» (44,2).

Questa è la �norma� che deve togliere di mezzo ogni discussione eogni rivalità52. Il confronto con l�operato di Mosè, esposto nel c. 43, èilluminante: lì infatti viene prospettato il momento in cui tutte le tribùavrebbero potuto aspirare a diventare la tribù sacerdotale; Mosè peròsapeva che Dio aveva già scelto la tribù di Levi, e lo aveva messo nei«sacri libri», confermati dai profeti53; ma per evitare ogni contestazio-ne, mise in atto il �segno prodigioso� del bastone miracolosamente fio-rito54. Stabilita dunque quale fosse la tribù sacerdotale, nessuno piùpoteva aspirare al sacerdozio, perché si era sacerdoti solo per nascitanella tribù di Levi. Nel nuovo ordine dell�evangelo, invece, non contapiù la nascita carnale, e ciò significa che tutti potrebbero aspirare al-l�episkopé. Ecco allora la norma della successione stabilita dagli aposto-li55. Questo testo è molto interessante perché da una parte mette inparallelo l�episkopé cristiana con il sacerdozio aaronide, ma poi diceche l�episkopé si �trasmette per successione�, cosa che non avvenivanella tribù sacerdotale, dove il sacerdozio si trasmetteva per nascita.Dove allora trovare nell�antico ordine un esempio di successione, chefosse insieme istituzionale (come il sacerdozio) e profetico (cioè anima-to dallo Spirito)? Lo si trova proprio in Mosè, che prima di morirericevette da Dio il comando di istituire Giosuè come suo successore,mediante l�imposizione delle mani, segno di partecipazione dello Spiri-to, «perché il popolo non restasse senza pastore» (Nm 27,17). Dio in-fatti aveva stabilito che Mosè morisse prima di entrare nella terra pro-

52 Sui problemi posti dal termine �pinom»n, cf A.M. JAVIERRE, El tema literario..., cit.,449, nota 48: «Per quanto la tradizione manoscritta sia incerta (il codice A porta epito-me, H epidomen, S epì dokimen, e K non permette di precisare il termine greco corri-spondente), senza dubbio i critici concordano nel vedere dietro questa espressione l�ideadi legge, precetto, mandato, ordinamento; in effetti, il contesto lo richiede, e lo confermal�antica e fedelissima versione latina con la sua traduzione legem dederunt» (trad. mia).

53 A questo proposito si può citare Mal 3,24 (LXX): «Ricordatevi della legge di Mosè,mio servo, al quale ordinai sull�Oreb statuti e norme (prost£gmata ka� dikaièmata) pertutto Israele». Il binomio prost£gmata ka� dikaièmata è ripreso in 1Clem 2,8; 58,2.

54 L�episodio è preso da Nm 17,16-26, ma molti particolari presenti nel racconto diClemente sono assenti dal testo biblico (cf E. CATTANEO, I ministeri..., cit., 258, nota 31).

55 Il senso tecnico di diad�comai è: accipio per alium aliquid ab eo relictum. Questa�successione� non può essere che personale, e quindi costituisce una catena ininterrot-ta, che risale a Cristo stesso. Cf R. MINNERATH, De Jérusalem à Rome..., cit., 570: «Così,a ogni successione, il carattere �apostolico� del ministero ecclesiale è rimesso in luce.Ogni nuovo eletto per il servizio dell�episkopé appare così come inviato dal Cristo»(trad. mia).

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messa; bisognava dunque che un altro fosse scelto per guidare il popo-lo. Il rito di successione descritto in Nm 27 non si ripeterà più. Giosuèalla sua morte non designerà nessuno a succedergli, perché il compito èfinito: il popolo è entrato nella terra promessa. Dopo questo ingresso cisarà un periodo di gestione �carismatica�, quello dei �giudici�, che avràuna conduzione molto irregolare e tormentata; poi verrà la gestionemonarchica e infine, durante e dopo l�esilio, quella sacerdotale. Gliapostoli, dunque, se da una parte sono equiparati ai sacerdoti giudaici,dall�altra, scegliendo dei successori, si comportano come Mosè, e que-sta successione durerà finché ci sarà bisogno di guidare il gregge diCristo, cioè fino alla venuta del regno, la terra promessa escatologica.Lì la norma della successione finirà.

Questa norma tocca anzitutto la durata del ministero dell�episkopé,che è a vita, come era a vita il ministero di Mosè e quello degli apostoli:in altre parole, solo dopo l�addormentarsi nel Signore, cioè dopo lamorte, quelli che hanno l�episkopé possono avere dei successori. Il testoprospetta anche la possibilità che alcuni di quelli istituiti direttamentedagli apostoli � ma non tutti � siano già morti, e quindi abbiano avutodei successori, costituiti «da altri uomini segnalati (�llog�mwn), con l�ap-provazione di tutta la Chiesa» (44,3). Questo testo getta un po� di lucesu come doveva avvenire una �ordinazione� all�episkopé: gli apostoli oaltri «uomini segnalati» sceglievano i candidati, li mettevano alla provae poi li �costituivano�, mentre l��assemblea tutta� approvava56. Questointervento di tutta la Chiesa sottolinea il carattere pubblico dell�ordina-zione al ministero ed evita di intendere la successione nell�episkopé comeuna trasmissione segreta o esoterica57.

Conformemente a questa linea pubblica, la 1Clem testimonia chel�ufficio dell�episkopé non era inamovibile58: esso infatti era sottopostoa un controllo e a una verifica da parte della Chiesa, sia prima sia dopol�istituzione al ministero. Prima, perché i prescelti dovevano essere «uo-mini provati» (dedokimasm�noi ¥ndrej), e dopo, perché dovevano aversvolto «il loro ministero in modo irreprensibile nei riguardi del greggedi Cristo, con umiltà, in modo pacifico e affabile, ricevendo buona te-stimonianza da parte di tutti per un lungo periodo di tempo» (44,3).

56 È praticamente certo che tale istituzione avvenisse con l�imposizione delle mani:questo gesto è radicato nella tradizione biblica e giudaica; Giosuè è costituito �succes-sore� di Mosè tramite l�imposizione delle mani (Nm 27,18-23); Timoteo è costituitocollaboratore e �vicario� di Paolo tramite l�imposizione delle mani (1Tm 4,14; 2Tm1,6); gli apostoli impongono le mani ai sette di At 6,6. Evidentemente, gli «uominisegnalati» (�llÒgimoi) di cui parla la 1Clem dovevano essere dei collaboratori degliapostoli, come Barnaba, Sila, Timoteo e Tito.

57 Sarà questo il caso delle �successioni� presso gli gnostici del II secolo.58 Non mi sembra confacente parlare di �inamovibilità dal ministero� («Unabsetz-

barkeit vom Amt») come fa G. BRUNNER, Theologische Mitte..., cit., 111-120.

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59 Da qui è chiara la differenza con il sacerdozio giudaico. In effetti, il sacerdoziogiudaico era inamovibile (perché si era sacerdoti per nascita), ma il suo esercizio eratemporaneo (dai 30 ai 60 anni circa). Invece, il ministero degli apostoli (e dei lorosuccessori nell�episkopé), non è limitato nel tempo, ma è amovibile, cioè si può essernerimossi, come è avvenuto a Giuda, che ha perso l�episkopé apostolica con il suo tradi-mento (cf At 1,16-20.25).

Abbiamo visto che Mosè, per evitare ogni contestazione circa l�uffi-cio sacerdotale, aveva posto in atto, davanti a tutto il popolo, il segnoprodigioso del bastone fiorito. Nel nuovo ordine dell�evangelo, quale�segno� hanno posto gli apostoli per togliere ogni contestazione? Que-sto segno non sta in qualche prodigio, ma è nella santità che fiorisce eporta frutto nella vita stessa dei veri ministri dell�evangelo. Il testo insi-ste proprio su questo punto: i ministri devono «offrire i doni in modoirreprensibile e santo» (44,4); devono avere una «buona condotta» eaver «onorato il loro ministero in modo irreprensibile» (44,6)59. La Chiesadi Roma dunque esprime un giudizio non solo sulla regolarità dell�ele-zione dei presbýteroi corinzi, ma anche sul loro comportamento; e que-sto è un segno che essa non solo era bene informata sui fatti, ma che ilgiudizio sui presbýteroi, e quindi sulla loro eventuale deposizione, nonpoteva essere un atto privato, ma pubblico e ufficiale.

Poste queste premesse, la conclusione è chiara e categorica: allonta-nare dall�episkopé, prima della loro morte, persone regolarmente istitu-ite (dagli apostoli o dai loro collaboratori) e che hanno svolto il loroministero in modo irreprensibile e santo non solo è una cosa ingiusta,ma è anche una violazione grave dell�ordinamento voluto da Dio (cf44,4). Alla Chiesa di Roma interessa sottolineare che, come l�istituzio-ne dei ministri fu dovuta agli apostoli e non alla comunità, così la co-munità non ha il potere di giudicare e deporre i ministri che hannosvolto in modo degno il loro ufficio, anche se nel frattempo sono sortepersone più dotate di doni spirituali. Quindi la deposizione dei ministriavvenuta a Corinto è illegittima e viola la norma della tradizione apo-stolica. Ne segue, anche se il testo non lo dice espressamente, che l�ele-zione dei nuovi ministri in sostituzione di quelli destituiti è invalida.

Riassumiamo queste analisi con uno schema del dittico dei cc. 43-44:

CONTESA

prescienza di Mosè prescienza degli apostoli

sacri libri norma (non scritta) della successione

segno prodigioso santità dei ministri

illegittimità di ogni contestazione illegittimità di ogni contestazione

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Dal c. 44 possiamo ricavare anche alcune indicazioni conclusive cir-ca la natura dell�episkopé. Essa è indicata come una «liturgia» (leitourg�a44,2.3.6), cioè un servizio cultuale pubblico60; inoltre il testo di 44,3 fariferimento all�immagine del vero pastore, colui cioè che fa pascolare«il gregge di Cristo» senza spadroneggiare, «ma con umiltà, in modopacifico e affabile» (44,3)61. Dunque il compito degli epískopoi è quellodi essere pastori, cioè guide e responsabili della comunità e di rappre-sentarla nel culto liturgico. Infatti, l�«offrire doni» è un atto tipicamentesacerdotale62 e deve essere compiuto «in modo irreprensibile e santo»(44,4). In una comunità cristiana l�unico atto cultuale che comporti una�offerta di doni� non può essere che la �cena del Signore� o eucaristia,dove si portava il pane e il vino e si operava la condivisione dei beni63. Indefinitiva, questi epìskopoi sono insieme pastori e sacerdoti, così comelo erano stati gli apostoli, tutti mandati dall�unico «Sommo Sacerdote epastore64 delle nostre anime, Gesù Cristo» (1Clem 61,3; 64).

3 CONCLUSIONE

Nel dibattito moderno sulla formazione dell�ordinamento ecclesia-stico, la 1Clem con i suoi cc. 40-44 è stata al centro di vivaci contrap-posizioni65. In campo protestante essa è stata quasi sempre giudicata

60 Cf C. SPICQ, Note di lessicografia neotestamentaria, vol. II, Paideia, Brescia 1994,45-52. Il termine, qui come in 41,1, riprende il vocabolario del sacerdozio giudaico(LXX), utilizzato ad esempio in 40,2.5. La stessa cosa può essere osservata a propositodi leitourge�n (servire), che in 43,4 si rapporta al servizio cultuale antico e in 44,3 allefunzioni cristiane, così come per tÒpoj nel senso di �rango�, �funzione� (40,5 // 44,5)e di prosf�rein (offrire doni) di 41,2 e 44,4.

61 Cf 1Pt 5,1-3: «Esorto gli anziani (presbut�rouj) che sono tra voi [...]: pascete ilgregge di Dio che è in mezzo a voi sorvegliandolo (�piskopoàntej) non per forza mavolentieri secondo Dio, non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggian-do su quelli che vi sono stati assegnati, ma facendovi modelli del gregge». Notiamo cheanche qui, come nella 1Clem, vi sono dei presbiteri che hanno l�ufficio della episkopé.

62 Cf Eb 5,1: «Ogni sommo sacerdote viene costituito [...] per offrire doni e sacrificiper i peccati»; cf anche 8,3; 9,9.

63 La qualifica dell�eucaristia come �sacrificio spirituale�, al posto dei sacrifici pre-scritti dalla Legge mosaica, è implicito in questa terminologia (cf Didaché 14). Il conte-sto sacrificale della cena del Signore è già presente in Paolo, 1Cor 10,16-21.

64 Il termine «protettore» (prost£thj, in latino antistes, come traduce l�antica ver-sione) indica anche chi �sta sopra�, ed è di fatto un sinonimo di epìskopos, che designal�ufficio proprio del pastore, che �veglia-sopra� il gregge, e quindi deve stare più inalto. L�uso di antistes invece di episcopus è conservato nel Canone Romano (IV sec.).

65 J. FUELLENBACH, Ecclesiastical Office and Primacy of Rome: an Evaluation of Re-

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negativamente, come il primo decisivo passo di allontanamento dallaconcezione paolina di una Chiesa guidata solo dai liberi carismi delloSpirito, verso una visione giuridico-istituzionale di Chiesa (= protocat-tolicesimo)66. Da parte cattolica, alcuni vi leggevano la prima «manife-stazione del primato romano»67.

Nella seconda metà del secolo scorso prevalse tra studiosi, sia catto-lici che protestanti, la tendenza a minimizzare la portata di tale inter-vento. Si disse che si trattava solo di una �esortazione fraterna� traChiese sorelle; oppure si affermò che tale intervento non aveva un si-gnificato ecclesiologico estrapolabile dal preciso contesto, cioè dallostretto legame esistente tra la città di Roma e quella di Corinto, coloniaromana. Si è pure portata la lettera come prova che la struttura ministe-riale della Chiesa romana comportasse solo un collegio di presbýteroi,mentre l�episcopato monarchico (o mono-episcopato) non sarebbe ap-parso a Roma prima della metà o addirittura della fine del II secolo68.

cent Theological Discussion of First Clement, The Catholic University of America Press,Washington D.C. 1980.

66 Questa in particolare è la posizione assunta da R. Sohm (1841-1917), che sostene-va l�incompatibilità tra concezione carismatica e concezione giuridica di Chiesa. A. vonHarnack (1851-1930), pur negando la validità di questa rigida contrapposizione e so-stenendo la necessità storica di un ordinamento giuridico per la Chiesa, lo riteneva unosviluppo determinato da fattori umani, non regolato da un �diritto divino�. Cf O.B.KNOCH, «Die Ausführungen des 1. Clemensbriefes über die kirchliche Ferfassung inSpiegel der neueren Deutungen seit R. Sohm und A. Harnack», in Theologische Quar-talschrift 141 (1961) 385-407; ID., «Clemens Romanus und der Frühkatholizismus. Zueinem neuen Buch», in Jahrbuch für Antike und Christentum 10 (1967) 202-210. Èvero che nella 1Clem non vi è traccia del profetismo cristiano, ma anche la paolinaLettera ai Romani ne fa solo un rapido accenno (cf Rm 12,6).

67 P. BATIFFOL, La Chiesa nascente e il cattolicesimo. Introduzione del Card. J. Da-niélou, Vallecchi, Firenze 1971, 132.

68 Cf M. SIMONETTI, «Roma cristiana tra vescovi e presbiteri», in Vetera Christiano-rum 43 (2006) 5-17. Si deve certamente ammettere che il monoepiscopato è apparsosolo gradualmente, ma l�ufficio dell�episkopé, comunque sia stato esercitato, è statosempre percepito come di istituzione apostolica. Il punto debole della ricostruzione diSimonetti mi pare che stia nel vedere alle origini della Chiesa una «struttura federati-va», dove «ogni comunità era di fatto autonoma rispetto alle altre» (6); in particolare,la Chiesa di Roma è presentata come coacervo di gruppi «non omogenei per etnia etradizione [...] anche dottrinale»; una Chiesa con «poca disciplina interna», con «unmodesto quoziente di coesione» (9); solo con papa Vittore e poi con Callisto (inizio IIIsec.) sarebbe finito quel «pluralismo dottrinale e istituzionale che in precedenza avevacontraddistinto tanto a lungo la vita della comunità cristiana di Roma» (14). Trovo chequesta ricostruzione non tiene nel debito conto il forte senso di unità che c�era tra leprime comunità cristiane. Cf W.A. MEEKS, I Cristiani dei primi secoli. Il mondo socialedell�apostolo Paolo, Il Mulino, Bologna 1992, 207: «Un tratto peculiare delle primecomunità cristiane è dato dal modo in cui la loro vita � per così dire � rinserrata inrapporti di strettissima e riservata intimità era poi vista simultaneamente come facenteparte di un movimento o di un�entità molto più ampia, anzi di un�entità che, in defini-

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Quindi la successione episcopale, personale e individuale, non sarebbedi �diritto divino�, ma solo frutto di un�evoluzione sociologica.

Un attento e, per quanto possibile, obiettivo esame della 1Clem inun quadro più ricco di informazioni e di conoscenze storico-esegetiche,permette di vedere la giustezza di alcune interpretazioni del passato. R.Sohm ha colto molto bene il senso della lettera, quando ha detto che «la1Clem proclamava il diritto divino della gerarchia investito dagli apo-stoli»69; ma si è sbagliato pensando che ciò fosse in netta contrapposi-zione con la Chiesa delle origini, dove non l�unica regola sarebbe stataquella della libera manifestazione dello Spirito. Oggi più nessun esege-ta riterrebbe valida una simile contrapposizione. Del resto, l�ausilio dellescienze sociologiche applicate a questi testi antichi ha permesso nuoveprospettive più aderenti alla situazione reale. Così si è capito che pro-cessi di istituzionalizzazione sono presenti fin dall�inizio e che sonosoggetti a sviluppo; proprio i conflitti all�interno delle comunità e tra lecomunità hanno portato a consolidare quegli aspetti istituzionali cheprecedentemente erano presenti solo in germe70. È significativo che lastessa 1Clem faccia risalire l�istituzione dell�episkopé non direttamentea Cristo, come se tutto fosse stato fissato fin dall�inizio, ma agli aposto-li, i quali in questo modo, cioè con la norma della successione, hannointerpretato la volontà di Cristo di voler stare in mezzo ai suoi sino allafine del mondo (Mt 28,20).

Volendo riassumere la concezione del ministero che si ha nella 1Clem,appare chiaro che in quel momento non esiste ancora una terminologiatecnica e definitiva. Gli apostoli, mandati da Cristo, hanno fondato leChiese con l�annuncio dell�evangelo, e hanno dotato queste comunità di«guide» (hegoumeni o prohegoumeni), che sono gli �anziani� per età,fedeltà e santità di vita, in vista dell�annuncio e del culto. Questi �anzia-ni� (epískopoi e diákonoi)71 hanno ricevuto l�ufficio pastorale dell�episkopésia direttamente dagli apostoli, sia da uomini apostolici. Esso è dunqueun ministero che non viene dalla comunità, anche se significativamente

tiva, si estendeva a tutto il mondo»; «... il concetto di appartenenza ad un unico popolouniversale di Dio, che distingueva in così alto grado i cristiani delle chiese paoline daaltre associazioni e da altre religioni, era di diretta provenienza giudaica» (285). Cfanche V. FUSCO, Le prime comunità cristiane. Tradizioni e tendenze nel cristianesimodelle origini, EDB, Bologna 1995, 262-268.

69 Citato da P. BATIFFOL, La Chiesa nascente..., cit., 139.70 Cf H.O. MAIER, The Social Setting of the Ministry as Reflected in the Writings of

Hermas, Clement and Ignatius (Studies in Christianity and Judaism, 11), W. LaurierUniversity Press, Waterloo (Ontario, Canada) 2002, 87-146.

71 La 1Clem nomina espressamente il binomio epískopoi e diákonoi solo in due passi,che rimandano uno a una fonte biblica, l�altro a una fonte apostolica, ma non sembrache usi una terminologia tecnica già accettata (cf più sopra, nota 29).

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coinvolta, né lo si assume per propria iniziativa, ma lo si �riceve� da chilo ha a sua volta ricevuto, e lo si può dunque �trasmettere� a chi verràdopo. In questo senso è una istituzione essenzialmente collegiale72.

Inoltre, le analisi che abbiamo fatto sul �doppio dittico� dei cc. 40-44 hanno messo in evidenza il parallelismo antitetico tra antico sacer-dozio sacrificale e nuovo ministero dell�evangelo, e ci siamo chiesti achi poteva essere diretta una tale argomentazione: certamente a perso-ne provenienti dal giudaismo, per le quali le Scritture erano ancora unpunto di riferimento importante73. Il modo con cui la 1Clem argomentafa capire che il legame della Chiesa con le Scritture giudaiche non eraun fatto di circostanza, ma un elemento essenziale della sua identità, eche il rapporto con il giudaismo non doveva essere necessariamenteconflittuale. Sotto questo aspetto la 1Clem fornisce un insegnamentoche va al di là del caso concreto di Corinto. Purtroppo, la datazionebassa ritenuta dalla maggioranza degli studiosi (96 d.C.) ha finito perrendere insignificante l�apporto proprio di questa lettera: essa infattiindica una terza via, diversa sia dal giudeo-cristianesimo intransigente,sia anche da un�interpretazione troppo rigida della posizione paolina.Paolo infatti, pur cercando di mantenere l�identità giudaica, aveva fattouna presentazione per alcuni versi così negativa della Legge e così cupadel periodo da Abramo a Cristo, che c�era il rischio di scivolare su po-sizione estremistiche74. Una soluzione possibile per permettere ai disce-poli di Gesù di origine giudaica di mantenere a un grado soddisfacentela loro identità era mostrare come la �giustificazione per fede�, impli-cante la testimonianza delle opere �buone�, fosse voluta da Dio già dasempre e non si era attuata solo in Abramo75. In altri termini, se Cristo

72 Ciò varrà anche quando emergerà la figura del vescovo unico (monepiscopato oepiscopato monarchico) per ogni Chiesa locale. Infatti per ordinare un vescovo ci vorràsempre almeno un altro vescovo.

73 Cf 1Clem 45,2-3: «Avete scrutato le sacre Scritture, quelle vere, quelle ispiratedallo Spirito santo. Sapete bene che nulla di ingiusto né di falso è scritto in esse».Questo passo sembra supporre che circolassero anche altre scritture, considerate false efuorvianti. Cf 53,1: «Conoscete, diletti, conoscete bene le sacre Scritture, e avete scru-tato le parole di Dio. Vi scriviamo queste cose solo per richiamarvele alla memoria».

74 L�esito marcionita a metà del II secolo e quello di Lutero nel XVI lo dimostrano (cfPH.F. ESLER, Conflitto e identità..., cit., 421-422.428; sulla persistenza della lettura�luterana� di Paolo, cf F. BELLI «L�interpretazione della Lettera ai Romani nell�ermeneu-tica biblica odierna», in Rivista di teologia e scienze religiose 21 [2010]167-187). Tutta-via, a lungo andare una certa interpretazione della posizione di Paolo rese di fattoinsostenibile la sopravvivenza dei giudeo-cristiani all�interno della Chiesa dei gentili, ealla fine il �giudaismo� come categoria religiosa fu giudicato incompatibile con il cri-stianesimo non solo per gli etnico-cristiani, ma anche per i giudeo-cristiani (cf V. FUSCO,Le prime comunità cristiane..., cit., 250-253).

75 Affermazione fondamentale di 1Clem 32,4 (più sopra, nota 13).

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con il suo sangue ha reso universale la salvezza promessa, cioè ha datoa tutti la capacità di aderire alla volontà di Dio, tuttavia tale capacitàera già operatante positivamente nel culto del Tempio, ed era stata te-stimoniata dalla lunga serie dei �giusti� anche prima di Cristo. Sembraevidente per la 1Clem che anche questi giusti erano connessi con lafede in Cristo venturo, poiché credevano nella speranza di una promes-sa, così come si legge in Eb 11. La mediazione universale di Cristonell�opera di salvezza sembra dunque fuori discussione76.

In definitiva, il caso di un�autorità contestata a Corinto, tra intrighiumani e progetto divino, ha permesso alla Chiesa di Roma di mostraremolto presto, con grande carità e fermezza, quanto Dio si sia impegna-to nella storia umana con la sua Chiesa. Solo con questa consapevolez-za � espressa più tardi con l�assioma extra ecclesiam nulla salus77 � sicapisce perché la Chiesa di Roma, depositaria di un mandato apostoli-co � certamente non unico, ma singolare � abbia potuto esigere dallaChiesa sorella di Corinto un atto di obbedienza che fosse, identicamen-te, obbedienza a Dio, pena l�esclusione dal numero dei salvati. Il mini-stero dell�episkopé, prolungamento di quello apostolico, è così un ele-mento essenziale della Chiesa �pellegrina� nella storia, perché la tieneunita agli apostoli e a Cristo, sia pure in mezzo alle contese umane.

76 Cf H.E. LONA, «Excursus 6: Die Christologie der I Clem», in ID., Der erste Cle-mensbrief..., cit., 398-407, spec. 403-404.

77 Cf S. MAZZOLINI, Chiesa e salvezza. L�extra Ecclesiam nulla salus in epoca patristi-ca, Urbaniana University Press, Roma 2008.