«D’un vespaio sociale…»: San Vito all’indomani dell’Unità, in San Vît, LXXXVII Congresso...

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«D’UN VESPAIO SOCIALE…»: SAN VITO ALL’INDOMANI DELL’UNITÀ 511 riproposero in primo luogo l’ annosa vicenda delle soppressioni conventuali. In base alla legge 7 luglio 1866 erano infatti nazionalizzati tutti i beni mobili ed immobili del convento di clausura delle Salesiane (o Visitandine) di San Giuseppe 1 , già trasformato in Casa di Educazione Femminile durante il dominio napoleonico, secolarizzazione poi azzerata dal ritorno degli Austriaci. Le monache, che tenevano un educan- dato per ragazze di famiglie nobili o abbienti, chie- sero di rimanere ad abitare nel monastero divenuto ormai demaniale; dopo che esse ebbero ottenuto la concessione legale, il 15 luglio 1867 il Comune fece domanda di assegnazione di una parte dei locali per potervi ospitare la scuola elementare laica. Si scatenò così un’ accesa querelle 2 tra gli anticlericali, detti Baiardi, e quelli dell’ opposto partito filocle- Era trascorso poco più di mezzo secolo sotto la casa d’ Austria, quando nel 1866 San Vito al Tagliamento entrò a far parte del Regno d’ Italia. Dopo la pace di Vienna del 3 ottobre, un plebiscito unanime – l’ esito e l’ atto di omaggio al nuovo sovrano furono letti dal conte Gherardo Freschi – ne sancì ufficialmente il passaggio al neonato Regno italiano, di cui avrebbe seguito da allora le sorti. Estendendo i provvedimenti legislativi già in vigore nel resto della penisola, gli esordi del nuovo corso STEFANIA MIOTTO «D’ UN VESPAIO SOCIALE…»: SAN VITO ALL’ INDOMANI DELL’ UNITÀ La chiesa di San Giuseppe e il convento della Visitazione lungo via 24 luglio, Società filologica friulana, Fondo cartoline.

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«D’ UN VESPAIO SOCIALE…»: SAN VITO ALL’ INDOMANI DELL’ UNITÀ 511

riproposero in primo luogo l’ annosa vicenda delle soppressioni conventuali. In base alla legge 7 luglio 1866 erano infatti nazionalizzati tutti i beni mobili ed immobili del convento di clausura delle Salesiane (o Visitandine) di San Giuseppe1, già trasformato in Casa di Educazione Femminile durante il dominio napoleonico, secolarizzazione poi azzerata dal ritorno degli Austriaci. Le monache, che tenevano un educan-dato per ragazze di famiglie nobili o abbienti, chie-sero di rimanere ad abitare nel monastero divenuto

ormai demaniale; dopo che esse ebbero ottenuto la concessione legale, il 15 luglio 1867 il Comune fece domanda di assegnazione di una parte dei locali per potervi ospitare la scuola elementare laica. Si scatenò così un’ accesa querelle2 tra gli anticlericali, detti Baiardi, e quelli dell’ opposto partito filocle-

Era trascorso poco più di mezzo secolo sotto la casa d’ Austria, quando nel 1866 San Vito al Tagliamento entrò a far parte del Regno d’ Italia. Dopo la pace di Vienna del 3 ottobre, un plebiscito unanime – l’ esito e l’ atto di omaggio al nuovo sovrano furono letti dal conte Gherardo Freschi – ne sancì ufficialmente il passaggio al neonato Regno italiano, di cui avrebbe seguito da allora le sorti.Estendendo i provvedimenti legislativi già in vigore nel resto della penisola, gli esordi del nuovo corso

STEFANIA MIOTTO

«D’ UN VESPAIO SOCIALE…»: SAN VITO ALL’ INDOMANI DELL’ UNITÀ

19 - Ecco Stefania Miotto. Lo impaginiamo per ora senza foto. È il contribuito che ti dicevo, con le note inserite "manualmente". Se impaginandolo puoi dare un occhio a che non saltino. Grazie.

La chiesa di San Giuseppe e il convento della Visitazione lungo via 24 luglio, Società filologica friulana, Fondo cartoline.

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mento esiste un convento di salesiane di rigorosa clausura, ove le conventuali si dedicano all’ educa-zione di fanciulle i cui genitori hanno denari da spen-dere, ergo riservato alle famiglie signorili. Quale sia il genere di educazione che si conduce lo diremo in altro momento; ora dobbiamo richiamare la pubblica attenzione sopra un fatto ben deplorabile. Incomin-ciamo dal dire non recarci meraviglia che il clero, compresi gli ex frati rosminiani, non badi a disono-rare il paese; ma bensì ci desta sorpresa vedere in lega con esso uno scienziato come Gio. Battista Zuccheri, al quale avremmo potuto dire da ieri in giù macula non est in te […]».Rispetto agli altri sostenitori del partito designato con il nome di paolotto (a capo del quale vi era una sorta di «stato maggiore, diretto da un certo A.M.», l’ imprenditore Antonio Morassutti)4 la posizione dello Zuccheri5, interessante figura di geologo, numi-smatico e archeologo, era infatti defilata al punto da ricevere attestazioni di stima, non certo facili da otte-nere, da intellettuali di opposta tendenza, tra cui con-verrà fare subito il nome di Giovanni Orlandini6.Tipografo e letterato triestino, sanvitese d’ adozione, quest’ ultimo scatenò a sua volta un bilioso diverbio a colpi di libelli con don Cicuto, polemica che si intrec-ciò con le pubblicazioni inerenti all’ utilizzo del mona-stero femminile. Convinto anticlericale, l’ Orlandini aveva frequentato i maggiori nomi dell’ Indipendenza italiana, molti dei quali scrissero per il giornale «La Favilla», periodico di tendenza liberale da lui fon-dato nel 1836. Dopo la partecipazione alla difesa di Venezia nel 1848-1849, non venne compreso nella lista di proscrizione austriaca e poté ritirarsi in una sorta di volontario esilio nella villa di famiglia del

ricale guidato da don Antonio Cicuto. I primi si pre-sero addirittura la soddisfazione di veder pubblicato un articolo3 nel quotidiano politico «La Riforma», fondato a Firenze novella capitale del Regno il 4 giu-gno 1867. Il 16 settembre dello stesso anno, nella rubrica «Eco delle provincie» si portava infatti a conoscenza dei lettori che «in San Vito al Taglia-

Intorno all’opuscolo che s’intitola Della cristianizzazione degli idoli pagani ecc. del cittadino Giovanni Orlandini triestino comunista di S. Vito. Cicalata di p. A. Cicuto, Portogruaro, Tipografia Castion, 1868, Collezione Severino e Deny Danelon, San Vito al Tagliamento.

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chi dei protestanti che vanno attorno sulle gerle dei librivendoli girovaghi». Nella polemica intervenne il dalmata Lodovico (Ljudevit) Vuličević12, inquieto personaggio che, dopo aver ottenuto la secolarizza-zione dall’ abito francescano, era stato incardinato nella diocesi di Concordia-Pordenone stabilendosi tra la fine del 1867 e gli inizi dell’ anno successivo a Savorgnano presso San Vito al Tagliamento. Pubbli-cando All’ autore dell’ opuscolo La cristianizzazione: risposta di Lodovico abate Vuličević13, spiegava dun-que all’ Orlandini di aver replicato al suo scritto «per-ché sono sacerdote cattolico a cui avete offeso la reli-

Canedo, presso Prodolone. A pochi chilometri, in quel di Bagnarola, svolgeva dal 1862 il suo ministero di pastore il già ricordato don Antonio Cicuto7. Pri-vato nel 1850 dell’ insegnamento teologico nel Semi-nario di Portogruaro, per aver dimostrato senti-menti di avversione nei confronti della dominazione austriaca, vi era stato riammesso nuovamente come prefetto degli studi e insegnante di materie lettera-rie nel 1859; dopo tre anni lasciò definitivamente l’ incarico per la parrocchia di Bagnarola, non rinun-ciando tuttavia ad animare la vita diocesana con i suoi scritti polemici.Nel 1868 l’ Orlandini diede dunque alle stampe, presso la tipografia Gatti8 di Pordenone, il libello Sulla cri‑stianizzazione degli idoli del paganesimo, compresovi quella di Santowit trasformato in San Vito9, in cui lan-ciava a briglia sciolta i cavalli di battaglia dell’ anti-clericalismo risorgimentale10 per attaccare senza riserve la religione cristiana «la quale, fondata oggi sull’ intolleranza, l’ ignoranza e la superstizione, tende sempre ad arrestare nelle sue vie naturali i progressi dell’ umano incivilimento, segnandone spesso col sangue la lotta»; dura era inoltre la condanna della «lussuria di reliquie che deturpò e deturpa ancora la vera religione di Cristo». Alla negazione di qualsiasi carattere soprannaturale del cristianesimo, ridotto ad una mera evoluzione di culti pagani, don Cicuto non mancò di replicare immediatamente con forza nel suo Intorno all’ opuscolo che s’ intitola Della cri‑stianizzazione degli idoli pagani ecc. del cittadino Gio‑vanni Orlandini triestino comunista di S. Vito11, defi-nito già nel titolo una cicalata, in sostanza una deri-sione del fanatico oppositore e delle sue tesi, consi-derate «quasi tutta borra schiumata dagli Almanac-

Ljudevit Vuličević (Cavtat,1839 – Napoli, 1916).

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malvagi?». Rivendicava quindi l’ appartenenza «a una grande famiglia cristiana la quale procede leale e generosa», professandosi nel contempo né ateo «per-ché non ho negata l’ esistenza di un essere supremo», né deista «perché credo inutile occuparmi di ciò che la ragione non sa darmi conto», né materialista o spi-ritualista «perché non ho trovata ben determinata la linea di demarcazione tra questi due principi»: non ancora scettico, confessava tuttavia di essere «sulla via di divenirlo, perché, secondo me, non credono che i disperati e gli imbecilli […]». Orlandini accu-sava inoltre il Cicuto di utilizzare triviali insulti e calunnie senza ribattere sul piano dottrinale, men-tre invece si diceva onorato che il suo scritto avesse ricevuto «nella chiesa dominicale in giorno di festa,

gione», e perché a San Vito «sono straniero come voi; uno straniero ha offeso i principi sacri del paese in cui vive, è giusto che l’ altro risarcisca all’ offesa». Nella sua trattazione egli accusava il triestino di con-fondere «l’ elemento umano col divino, la nebbia del tempo col sereno dell’ eternità», senza discernere tra le debolezze degli uomini e la santità del cristiane-simo, confutando con serrate argomentazioni la parte relativa al culto dei santi e delle reliquie.Nell’ ottobre 1868, sempre avvalendosi della stampe-ria Gatti, l’ Orlandini replicò ad entrambi. Con Il prete Cicuto in collera14 attaccava duramente l’ arciprete di Bagnarola già nel lapidario passo evangelico (S. Mat-teo 12, 34) prescelto per il frontespizio: «Progenie di vipere, come potete parlare di cose buone essendo

Antonio Morassutti, Il Municipio di S. Vito in faccia al suo paese. Corrispondenza epistolare, Padova, Stab. Prosperini, 1869, Collezione Severino e Deny Danelon, San Vito al Tagliamento.

Il mio paese. Considerazioni di un patriota, Venezia, Tip. Perini, 1869, Collezione Severino e Deny Danelon, San Vito al Tagliamento.

Antonio Cicuto, Gli Ostrogoti in San Vito al Tagliamento. Frammento primo di cronaca contemporanea, Tipografia del Seminario M. Bruniera, 1869, Collezione Severino e Deny Danelon, San Vito al Tagliamento.

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impulso alle scienze ed alla letteratura chiamandole scienze del diavolo […]».Il Cicuto rispose a sua volta, dando sfogo alla pro-pria vis polemica nel libello D’ un vespaio sociale in genere, e d’ una larva in specie18, in cui sottolineava «la spinta sovversiva e antisociale» dell’ ateismo, riba-dendo come la religione sostenga «gli stessi principi sui quali si regge la società mettendo loro un chiodo sacro che per nove decimi delle coscienze val più che

in presenza di molti spettatori, una confutazione dall’ altare nel mezzo della messa grande, che durò un’ ora, fatta dal Vicario Don Giovanni Trevisan»15, vantando inoltre che don Tommaso Zamparo16, sti-mato insegnante nel Seminario portogruarese, ne avesse sottolineato la pericolosa influenza sulla gio-ventù di San Vito.L’ opuscolo Al prete Lodovico Vuličević ex frate france‑scano felice scopritore della quadratura del circolo17 gli servì invece sostanzialmente per demolire la figura dell’ odiato avversario Cicuto, presentato come spre-giatore degli italiani d’ Istria e Dalmazia per aver usato ripetutamente infelici espressioni in cui, per colpire il triestino, lo sollecitava allo studio del voca-bolario italiano «e non quello di là dal Judri» e via dicendo. Rivolgendosi dunque al Vuličević, l’ Orlan-dini lo invitava già nella premessa a «far conoscere a quel vostro collega che al di là del Judri v’ è ancora un tratto non indifferente di famiglia friulana; v’ è l’ intero territorio di Gorizia, l’ industriosa Trieste, l’ italianissima Istria e l’ eroica Dalmazia, popola-zioni tutte che aspirano con costanza all’ unione con la patria comune. Dite signore ad esso, che colui che insulta alla sventura è più che codardo; dite a questa banderuola di ogni vento, che io Triestino, quindi ita-liano, assumo interamente sopra di me l’ insulto ver-sato sopra gl’ Italiani transjudrini per ottenerne una soddisfazione […]». A rafforzare le proprie tesi, gli ricordava inoltre che il cristianesimo «ha dimenti-cata assolutamente la fratellanza fra gli uomini inse-gnata da Gesù Cristo», «ha insegnato l’ amore del prossimo con la Santa Inquisizione e con la strage di San Bartolomeo per non contare infiniti altri eccidi perpetrati in nome della religione stessa», «ha dato

Un curioso documento, ossia, Una lettera del cavaliere dott. Giacomo Moro al carissimo Nicolò Fadelli commentata dall’autore dell’opuscolo Il mio paese a beneficio degli ipocondriaci, Venezia, Tip. Perini, 1869, Collezione Severino e Deny Danelon, San Vito al Tagliamento.

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maticali negli opuscoli del suo antagonista.Nella vicenda, uscita ormai dall’ ambito municipale, intervenne anche Niccolò Tommaseo. Il Vuličević,

che nell’ ottobre 1867 si era recato a Firenze per chiedere aiuto al suo illustre conterraneo, «punto di riferimento e nume tutelare in Italia di Dalmati e Slavi meridio-nali»19, insistendo per ottenere un impiego come insegnante gli mandò da Savorgnano alcuni suoi scritti, compreso l’ opuscolo di risposta all’ Orlandini. Il lette-rato dalmata aveva invece rice-vuto i libelli recenti del Cicuto da Pierviviano Zecchini20, al quale lo legava una profonda amicizia: dopo aver collaborato entrambi a «La Favil la», aveva scritto infatti alcune pagine in appen-dice al volume Quadri della Grecia moderna (1864) del patriota san-vitese, nonché un componimento d’ occasione per le nozze del figlio di questi Alfonso (1868)21. Il Tom-maseo inviò quindi all’ amico Zec-chini una lettera22, in cui spen-deva in particolare parole di lode

la polizia e la sua forza armata»; con acrimonia e un linguaggio pregno di accenti offensivi, egli eviden-ziava inoltre le storture teologiche, erudite e gram-

Manifesto stampato a Padova dalla tipografia Bianchi nell’aprile 1869. Considerato lo stile, è ragionevole attribuirlo al Cicuto, Collezione Severino e Deny Danelon, San Vito al Tagliamento.

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lasciati tutti i locali che presentemente possedono ed occupano […]». La proposta, ritenuta «inconcreta», venne respinta e la Giunta incaricò il cavalier Gia-como Moro25, primo sindaco di Casarsa e deputato (oggi diremmo consigliere) provinciale, di esporre al Morassutti le modificazioni da apportare: fermo restando che «le scuole femminili comunali si faranno nel monastero e le signore ex monache non avranno in queste alcuna ingerenza», alla Società si offriva di sostenere le spese «a compenso dei locali per scuole maschili, che il Municipio non occuperebbe del Con-vento». Ne seguiva una controproposta del Moras-sutti, atta a salvaguardare il convento dall’ occupa-zione, e la prevedibile risposta negativa della Giunta, che la respingeva all’ unanimità incaricando il Moro di comunicare l’ esito negativo alla Società.Le sorti del convento sanvitese stavano a cuore altresì all’ anonimo autore de Il mio paese: considerazioni di un patriota26, il quale si chiedeva se si potesse com-binare il vero interesse della comunità, «rimediare alle sue necessità, provvedere ad ogni bisogno senza muovere una guerra accanita e vile alle Signore ex monache, togliendo loro l’ Istituto, che formava la loro gloria e insieme l’ onore e non poca utilità del paese». Elencando altri edifici di proprietà del Comune che si potevano adibire a scuola pubblica, egli ribadiva come «le mendicate utilità del paese, il bisogno fit-tizio di nuove scuole maschili e femminili, le alti-sonanti parole di istruzione popolare, di coltura del popolo, di moto progressivo» altro non fossero che una maschera «per nascondere le malvagie inten-zioni del cuore». Presentando le Salesiane come vit-time innocenti amate dal popolo, l’ autore tuonava sdegnato che «maggiore delicatezza di tratto, più

per l’ opuscolo dell’ abate Cicuto sul monumento al conte Nicolò di Maniago23, esortando l’ autore a far sentire sovente la sua voce per fornire insegnamenti «con gli esempi del bene, piuttosto che con la ripro-vazione del male», dal momento che «certi errori si confutano eloquentemente da sé; e questa fede che noi crediamo, ritrova apologie non cercate nelle gof-faggini dei suoi avversarii […]».La missiva venne trasmessa dal conte Pierantonio d’ Attimis Maniago – primo sindaco del comune maniaghese dopo l’ annessione e committente dell’ opera scultorea per la chiesa dell’ Immacolata Concezione – al «Giornale di Udine», che la pub-blicò il 5 gennaio 1869: era iniziato da pochi giorni l’ anno che avrebbe visto il Comune di San Vito ber-sagliato dalla stampa di polemici libelli, atti a criti-care l’ affaire delle Salesiane.Appartenente ad una famiglia dichiaratamente filo-clericale, il già citato imprenditore sanvitese Antonio Morassutti diede alle stampe Il municipio di S. Vito in faccia al suo paese24, per fornire un resoconto della corrispondenza epistolare tra la Giunta Municipale e la Società che egli aveva costituito allo scopo «di conservare all’ onore e al decoro del paese l’ Educan-dato femminile delle benemerite ex Monache Sale-siane nella sua integrità». In sostanza il Morassutti, insieme ad altri sanvitesi, nel febbraio 1869 aveva offerto alla Giunta di erigere a proprie spese un fab-bricato contiguo alle scuole comunali, ad amplia-mento delle stesse, a condizione che venisse conser-vato «l’ attuale tanto onorevole Educandato Salesiano, il quale torna di vero ornamento ed interesse al paese, e che continui sotto la medesima Direzione delle ex Monache, alle quali dovrebbero per tal’ offerta venir

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seguita dall’ istanza di 300 favorevoli (25 ottobre), entrambe inoltrate al Ministero; tardivamente dun-que (20 novembre), le monache offrivano «d’ aprire una scuola femminile alle fanciulle del paese in via d’ esperimento» da collocarsi, a detta dei curatori dell’ opuscolo, «nel piccolo, angusto e insalubre cor-tile del gastaldo». Nel gennaio dell’ anno successivo veniva pertanto nominata dal Prefetto della Provin-cia una Commissione30, che nel suo rapporto ribadì la ristrettezza e insalubrità dei locali in cui versa-vano le scuole maschili e femminili, il reale biso-gno di ottenere parte del soppresso convento non possedendo il Comune altri spazi adatti, la fattibi-lità della separazione dei locali richiesti dal rima-nente fabbricato, senza arrecare danni né alle mona-che né al Demanio. Lo stesso rapporto non mancava tuttavia di sottolineare che «ai particolari interessi ai quali potrebbe soddisfare l’ educandato, debba in ogni caso prevalere l’ interesse massimo della gene-rale istruzione di sì popolosa Comune, che i rappre-sentanti comunali devono e desiderano promuovere con zelo ed efficacia». Seguiva la trascrizione com-pleta dell’ atto notarile con cui la direzione compar-timentale del Demanio di Udine, in data 28 aprile 1868, cedeva al Comune la porzione di convento; riguardo poi alle trattative degli inizi dell’ anno suc-cessivo (offerte della Società Morassutti e relative controproposte) il quadro era fornito dalla pubbli-cazione integrale di una lettera, inviata dal già incon-trato deputato provinciale Giacomo Moro a Nicolò Fadelli31, che aveva fatto parte della suddetta Com-missione e quindi della Giunta Municipale.Nella missiva, inviata da Casarsa il 16 marzo 1869, il cavalier Moro motivava il suo operato e all’ accusa

urbanità avrebbe usato il nostro Municipio se, invece d’ aver a fare con un monastero benemerito del paese sotto tanti rapporti, avesse avuto a fare con una casa di tolleranza. Dunque, non fu che passione, non fu che bile cieca ed avvelenata che ispirò e diresse, in questo sporco affare, il nostro Municipio […]».Non poteva mancare all’ appello don Cicuto, che nell’ opuscolo Gli Ostrogoti in San Vito al Taglia‑mento27 considerava alla stregua di popoli barbari gli anticlericali del paese, «figli degeneri che dilapidano sciattamente la preziosa e sacra eredità dei padri»; nella sua cronistoria della vicenda citava sprezzante un deputato di Gemona (con ogni probabilità l’ ono-revole Gabriele-Luigi Pecile)28 con il quale i nostrani Ostrogoti si erano accordati «nel civile intendimento di tribolare le Salesiane».Per rispondere alle accuse ricevute dal «partito oscu-rantista, sotto speciosi pretesti, ma sempre nello scopo di conquidere i partitanti del progresso e della istruzione generale», l’ Amministrazione comunale decise pertanto di dare a sua volta alle stampe un opuscolo29 contenente un «sommario di atti e pra-tiche», corredato di documenti a riepilogo dei fatti. L’ excursus iniziava nel febbraio 1867, con l’ appog-gio dei consiglieri comunali all’ educandato «a condi-zione che dette signore aprissero scuole per le figlie del popolo seguendo l’ esempio delle ex religiose di Cividale e Gemona», proposta rifiutata dalle Salesiane che, dichiarando di non poter avviare una scuola pub-blica, offrivano in alternativa «d’ accogliere quali edu-cande tre fanciulle del paese a piazza gratuita, oppure sei a mezza». La successiva domanda della Giunta al governo di occupare i locali del convento solle-vava la protesta di 60 cittadini contrari (24 agosto),

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dimostrare la tendenziosità dell’ operato della stessa, che aveva volutamente ignorato l’ offerta delle mona-che, in data 20 novembre 1867, di aprire quattro classi di scuola femminile, rigettando la proposta senza istruire il Consiglio.Anche l’ autore di Un curioso documento, ossia, Una lettera del cavaliere dott. Giacomo Moro al carissimo Nicolò Fadelli commentata dall’ autore dell’ opuscolo Il mio paese34 asseriva che a muovere la Giunta non era stata l’ effettiva necessità di locali «sibbene il capric-cio, il puntiglio e la passione»; indispettito dal fatto di esservi citato a sproposito, metteva in ridicolo la lettera fatta stampare e copiosamente distribui ta dal Fadelli. Non doveva tuttavia trattarsi di una posi-zione unanime dei filoclericali contro il futuro depu-

di quanti sostenevano che alcuni membri del Consi-glio avessero votato a favore dei provvedimenti rela-tivi alle scuole «nel timore d’ incorrere nella impo-polarità», ricordava figurare tra di essi il conte Fran-cesco Altan32, «chiaro per fermezza e rettitudine di carattere, senno e coraggio civile».Come ormai consuetudine, il libello provocò a sua volta una sequela di pubblicazioni. L’ anonimo autore che sceglieva di firmarsi con le sole iniziali A.O.S.P., dichiarando di avere interessi a San Vito «benché non sia né il mio paese natio, né la mia patria adottiva», e sottolineando «di non essere mai stato né pao-lotto, né clericale, né oscurantista», dava alle stampe Due parole sull’ opuscolo acefalo testé pubblicato dalla Giunta municipale di S. Vito al Tagliamento33, al fine di

Gonfalone della Società Operaia di Mutuo Soccorso e Istruzione fondata a San Vito nel 1867, SOMSI, San Vito al Tagliamento.

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Lo stesso combattivo arciprete, in un altro scritto del 1869, Lo squarciamento del Monastero di S. Vito al Tagliamento in faccia alle leggi: osservazioni40, aveva condotto con consumata perizia un discorso emi-nentemente giuridico, atto a dimostrare l’ illegittimità e l’ arbitrarietà delle azioni intraprese dal Comune. L’ articolo 20 della Legge 7 luglio 1866 prevedeva infatti che i Comuni potessero fare richiesta, entro il termine di un anno dalla pubblicazione della legge stessa e giustificandone l’ effettivo bisogno, di fab-

tato al Parlamento del Regno se solo tre anni dopo, in occasione del matrimonio di Giacomo Moro con la nobile Giulia Gera35 di Conegliano, tra i molti ad omaggiare la coppia con pubblicazioni d’ occa-sione – l’ erudito udinese Vincenzo Joppi36, il depu-tato Domenico Concini37, don Giuseppe Barozzi38, fratello del più celebre Sebastiano, per fare qualche nome – ritroviamo don Cicuto, autore di una let-tera dedicata allo sposo sui comandamenti cristiani minacciati dall’ Internazionale39.

Luigi Coleoni, Piazza di San Vito del Tagliamento (1845), litografia su disegno di Marco Moro, Litografia Berletti, Collezione Severino e Deny Danelon.

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lari e non più depositarie dei voti solenni, ma solo di quelli semplici42.Enorme era stata la portata simbolica di una scuola pubblica laica nel luogo fino ad allora deputato all’ educazione delle fanciulle delle famiglie abbienti e precluso al resto della popolazione; per le oppo-ste parti in causa, sentimenti carichi di rancoroso livore, quali l’ inaudito affronto a secolari privilegi e l’ agognata rivalsa su altrettanto secolari umiliazioni, impedirono di fatto la ricerca di soluzioni alterna-tive condivise.Ben lungi tuttavia dallo smorzarsi con la conclusione della vicenda, gli infiammabili animi di Baiardi e filoclericali continuarono a esacerbare la vita poli-tica sanvitese43. Disattese restarono, e non solo a San Vito, le accorate parole rivolte dall’ inquieto Vuličević all’ Orlandini: «Italia questa bella e divina patria dolora e travaglia nella sua civile e politica trasfor-mazione, porgiamole aiuto colla conciliazione degli opposti e contrari, i partiti non si uccidono ma si armonizzano […]».Un appello alla concordia che, alle debite distanze di un imminente e discusso centocinquantesimo anniversario, ha trovato idealmente ascolto solo nei momenti più drammatici della nostra storia nazio-nale.

bricati dei conventi soppressi «quando sieno sgom-bri dai religiosi»; per ben tre motivi (la domanda risaliva al 15 luglio 1867, il Comune possedeva altri locali idonei allo scopo e le monache avevano otte-nuto, con il diritto a restare, il possesso giuridico di tutto l’ edificio) l’ atto di cessione del Demanio alla Municipalità di San Vito era da considerarsi nullo, come pure l’ operato della Commissione, priva di ogni autorità. La lucida argomentazione era tra-dita però dal malcelato «dispetto di voler invadere il cuore della casa, il suo bello, il suo meglio, ad uso di scuole popolari che si potevano allogare molto acconciamente in altre appendici della casa stessa senza guastare mostruosamente il più vasto e rego-lare edifizio del Paese ».Accuse e polemiche non scalfirono l’ Amministra-zione, irremovibile nelle sue decisioni: vanificate le trattative con la Società Morassutti, la vicenda giunse così all’ epilogo finale. Le monache, pagando un affitto al Demanio, conservarono parte del fab-bricato e del terreno, ma si proibì loro di seppellire le consorelle defunte nel piccolo cimitero interno alla struttura41; il tradizionale muro della clausura sul lato settentrionale fu abbattuto per fare spazio ad un mercato per il bestiame. L’ educandato soprav-visse fino al 1914, benché con le suore in abiti seco-

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tura editoriale, che uscì fino al 1846, crogiolo di speranze e propo-siti di friulani e triestini nonché vivaio di tutti i giornalisti che poi sostennero la lotta nazionale fino alla nascita del «Piccolo» (sul gior-nale: G. Bevilacqua, Da Mansuè alla libertà. Francesco Dall’ Ongaro direttore della “Favilla ”, Pordenone, Euro 92 Editoriale, 2003, con bibliografia precedente). Dopo la partecipazione alla difesa di Vene-zia e il ritiro nella casa del Canedo, l’ Orlandini visse in progressivo isolamento dagli amici di un tempo; solo dopo il 1866 poté final-mente recarsi a Venezia e quindi nel 1877 a Roma, dove si suicidò in un’ anonima stanza d’ albergo. Per la fama di mangiapreti, intorno alla sua figura e alla villa del Canedo si moltiplicarono superstiziose leggende che gli sopravvissero per decenni (cfr. Zotti, S. Vito nella storia. Uomini, 188; Mille protagonisti, ad vocem).

7 Sul sacerdote Antonio Cicuto (Arba 1818 - Bagnarola 1895): Elogio funebre del dott. d.n Antonio Cicuto arciprete di Bagnarola letto il giorno 20 luglio 1895 trigesimo della sua morte da d.n Roberto Biasotti nella chiesa parrocchiale di Bagnarola, San Vito al Tagliamento, Tipo-grafia Polo e C., 1895; Zotti, S. Vito nella storia. Uomini, 53-55; C. e G. Costantini, In memoriam. Don Antonio Cicuto. Notizie biografi‑che e saggi dei suoi scritti, Pordenone, Arti grafiche Cosarini, 1947; G. Stival, Carità non compresa. Don A.C. arciprete di Bagnarola, Sesto al Reghena, Amministrazione comunale di Sesto al Reghena, 1995. In merito al convinto rosminianesimo del prelato: S. Chia-rotto, Antonio Cicuto. Rosminianesimo e impegno politico, Porde-none, Edizioni Concordia Sette, 1992; P. Zovatto, Cultura cattolica rosminiana tra ’ 800 e ’ 900, Trieste, Parnaso, 1999 (da ora Zovatto, Cultura cattolica rosminiana), ad indicem.

8 Avviata a Pordenone dal veneziano Silvestro Gatti nel 1799 con un modesto torchio in legno, la tipografia conobbe il suo sviluppo con Antonio, nipote del fondatore, dopo l’ annessione al Regno d’ Italia nel 1866; dai torchi rinnovati della ditta Gatti uscì il 12 agosto 1871 il primo settimanale pordenonese, «Il Tagliamento» (cfr. G. Comelli, L’ arte della stampa nel Friuli Venezia Giulia, Udine, Istituto per l’ enci-clopedia del Friuli Venezia Giulia, 1980, 256; S. Agosti, Tipografie per l’ educazione nel Pordenonese, tra Otto e Novecento. 2. La tipogra‑fia Gatti, poi Arti Grafiche F.lli Cosarini di Pordenone, «La Loggia», n.s., 11 (2008), 11, 35-42).

9 [G. Orlandini], Sulla cristianizzazione degli idoli del paganesimo, compresovi quella di Santowit trasformato in San Vito dai cristiani, Pordenone, Antonio Gatti Editore, 1868.

10 Cfr. L’ anticlericalismo nel Risorgimento: 1830‑1870, a cura di G. Pepe e M. Themelly, Manduria, Lacaita, 1966; E. Rossi, Pagine anticleri‑cali, Roma, Samonà e Savelli, 1966; G. Verucci, L’ Italia laica prima e dopo l’ Unità 1848‑1876. Anticlericalismo, libero pensiero e ateismo nella società italiana, Roma, Laterza, 1981.

11 Intorno all’ opuscolo che s’ intitola Della cristianizzazione degli idoli pagani ecc. del cittadino Giovanni Orlandini triestino comunista di S. Vito. Cicalata / di p. A. Cicuto, Portogruaro, Tipografia prem. Ditta Castion, 1868.

1 Sull’ insediamento conventuale: G. Trevisan, Storia del monastero delle RR. Monache Salesiane di S.Vito al Tagliamento, San Vito, Tipo-grafia Polo, 1880 (da ora Trevisan, Storia del monastero); G. Tasca, Storia del Monastero della Visitazione in San Vito al Tagliamento, in San Vît al Tilimint, 50n Congres, 16 setembar 1973, [a cura di L. Ciceri], Udine, Società filologica friulana, 1973, 55-63; Monastero della Visitazione: note storiche, San Vito al Tagliamento, Ellerani, 1990.

2 Cfr. R. Zotti, S. Vito nella storia del Friuli, Portogruaro, Castion, 1929, 114; R. Gargiulo, Storia di San Vito al Tagliamento, Porde-none, Edizioni Biblioteca dell’ Immagine, 2009 (da ora Gargiulo, Storia di San Vito), 163.

3 «La Riforma: giornale politico quotidiano», 1 (lunedì 16 settembre 1867), 105, 3. L’ articolo, pubblicato nella rubrica Eco delle provincie con intestazione San Vito al Tagliamento, 4 settembre, non è firmato. Il giornale era stato fondato pochi mesi prima da Francesco Crispi, Agostino Brentani, Benedetto Cairoli, Giuseppe Carcassi e Filippo De Boni, allo scopo di costituire la voce ideologica autentica della Sinistra storica; direttore fu nominato Antonio Oliva, gerente Luigi Borghi (cfr. Programma del giornale La Riforma: Firenze, 4 giugno 1867, s.l., Tip. della Riforma, G. Polizzi e C., 1867).

4 Nell’ articolo si ironizzava sull’ agguerrito stato maggiore, diretto dal Morassutti, che manteneva «una forte riserva nel centro della piazza di San Vito, con sentinelle morte al caffè dei Russi. Una cosiffatta dimostrazione battagliera è troppo necessaria per far fronte ad una lunetta guardata da un valente e generoso Corpo di bersaglieri, che dominano il fianco dell’ oste clericale del caffè del Progresso...». San-vitesi di recente immigrazione, i Morassutti avevano accumulato una notevole fortuna con la loro attività di ramai e con il commercio di legname e ferro; l’ esponente di maggior rilievo della famiglia fu un figlio di Antonio, Pietro, sindaco del Comune negli anni 1887-1888 e uomo di punta dello schieramento clericale, la cui casa era detta significativamente Vaticano. Sulla famiglia: R. Zotti, S. Vito nella storia. Uomini e famiglie notabili, Sacile, Tipografia editrice sacilese, 1926 (da ora Zotti, S. Vito nella storia. Uomini), 115; G. Roverato, Una famiglia e un caso imprenditoriale: i Morassutti, Vicenza, Neri Pozza, 1993; Mille protagonisti per 12 secoli nel Friuli Occidentale, Pordenone, EditAdria, 2000 (da ora Mille protagonisti), ad vocem; Gargiulo, Storia di San Vito, 164.

5 Su Giovanni Battista Zuccheri (San Vito al Tagliamento, 1783-1869): Zotti, S. Vito nella storia. Uomini, 188; Mille protagonisti, ad vocem.

6 Originale figura di patriota, Giovanni Orlandini (Trieste 1804 - Roma 1877) apparteneva ad una famiglia di librai. Nel 1836 insieme ad Anto-nio Madonizza fondò il giornale «La Favilla», al quale collaborarono tra gli altri Cesare Cantù, Francesco Dall’ Ongaro (che lo diresse dal 1838), Pacifico Valussi, Caterina Percoto, Niccolò Tommaseo, non-ché i sanvitesi Gherardo Freschi e i fratelli Pierviviano e Giambatti-sta Zecchini. Spirito irrequieto, abbandonò ben presto la sua crea-

NOTE

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eretto dalla gratitudine del conte Pietro Antonio d’ Attimis Maniago per opera del chiaro scultore Luigi Minisini: parole di d. A. Cicuto, Por-togruaro, Castion, 1868. Negli anni successivi Tommaseo e Cicuto intrapresero una corrispondenza epistolare, di cui ci informa lo stesso Zecchini: P. Zecchini, Galleria triestina di persone illustri, S. Vito al Tagliamento, Tipografia Polo e C., 1880, 10-11.

24 Il municipio di S. Vito in faccia al suo paese: corrispondenza episto‑lare di Antonio Morassutti, Padova, Stab. Prosperini, 1869.

25 Manifesta era la posizione del deputato provinciale Giacomo Moro a riguardo: nel 1867 infatti, sostenendo che «nella provincia negletta è l’ educazione femminile, giacché quella che s’ impartisce è poca, gretta, monacale», aveva propugnato in qualità di referente l’ istitu-zione di un collegio femminile nei locali dell’ ex convento udinese di Santa Chiara, poi divenuto Educandato Uccellis (Relazione e proposte dell’ Onorevole Deputato Provinciale Moro dottor Giacomo riguardo all’ attivazione di un Istituto Provinciale di Educazione Femminile, Udine, Tipografia Zavagna, 1867). Nel 1870 venne eletto deputato di San Vito al Tagliamento alla Camera (XI legislatura); schieratosi a destra del gruppo dei liberali moderati, atteggiamento comune a molti onorevoli nei collegi friulani, si dimise nel 1873, prima della scadenza del mandato parlamentare, per ragioni familiari. Cfr. C. Rinaldi, I deputati friulani a Montecitorio nell’ età liberale (1866‑1919). Profili biografici, Udine, La Nuova Base, 1979 (da ora Rinaldi, I deputati friulani), 317-318, con bibliografia precedente.

26 Il mio paese: considerazioni di un patriota, Venezia, Tip. Perini, 1869.

27 Gli Ostrogoti in San Vito al Tagliamento: frammento primo di cro‑naca contemporanea / per p. A.C., Padova, Tipografia del Seminario M. Bruniera, 1869.

28 Gabriele-Luigi Pecile (Fagagna 1826 - Udine 1902), agronomo, venne eletto deputato liberale per Gemona del Friuli e Portogruaro (X-XI legislatura), poi senatore del Regno (XIII legislatura); fu inoltre sin-daco di Udine (cfr. Rinaldi, I deputati friulani, 353-357).

29 Si tratta dell’ opuscolo acefalo che nel catalogo informatizzato della Biblioteca civica “Vincenzo Joppi ” di Udine compare con il titolo [Risposta da parte della Giunta municipale di S. Vito al Tagliamento alle critiche sui provvedimenti presi in relazione all’ ex‑convento delle monache Salesiane], Udine, Tip. G. Seitz, 1869.

30 Della Commissione facevano parte il cav. Domenico Carbonati prov-veditore provinciale delle Scuole, il dott. Michiele Morelli regio com-missario distrettuale, il dott. Giuseppe Ughi ispettore demaniale, il sindaco cav. Francesco Rota, due cittadini eletti dalla Giunta (l’ inge-gnere Paolo Polo e il possidente Nicolò Fadelli); vi intervenne anche il delegato mandamentale avv. Domenico Barnaba.

31 Non è da escludere che si tratti dello stesso Nicolò Fadelli che rico-prì, dal 1890 al 1897, l’ incarico di sindaco del paese.

32 Il conte Francesco Altan (1801-1871) subentrò nel 1869 al sin-daco Francesco Rota; la sua nomina con Decreto Reale «non fu che l’ interprete del suffragio di tutto il popolo Sanvitese» (Parole dette ai funeri del co. Cav. Francesco Altan dall’ avvocato Domenico dr. Bar‑naba, Udine, Tip. G. Seitz, 1871). Alla sua morte gli successe lo stesso avvocato Barnaba.

12 Sulla tormentata figura del religioso Lodovico Vuličević (Cavtat, 1839 - Napoli, 1916), uscito dalla Chiesa pochi mesi dopo la pub-blicazione del libello, per abbracciare in seguito l’ evangelismo val-dese: A. Tamborra, Ljudevit Vuličević tra Slavia e Italia, Roma, Isti-tuto per la storia del Risorgimento italiano, 1986 (da ora Tamborra, Ljudevit Vuličević).

13 All’ autore dell’ opuscolo La cristianizzazione: risposta di Lodovico ab. Vuličević socio corrispondente dell’ Accademia dei Quiriti in Roma e di onore del Gabinetto Letterario La Concordia in Lussino, Pordenone, Stab. Tip. Antonio Gatti, 1868.

14 Il prete Cicuto in collera / cenni di Giovanni Orlandini, Pordenone, Antonio Gatti, 1868.

15 Si tratta di don Giovanni Battista Trevisan, arcidiacono di San Vito (il titolo di vicario erroneamente attribuitogli dall’ Orlandini era stato in realtà abolito nel secondo decennio dell’ Ottocento); il sacerdote morì nel 1885 e autore della commemorazione fu ancora una volta il Cicuto (Elogio funebre del defunto D. Gio. Battista Trevisan arcidiacono di San Vito letto alla bara il 7 aprile 1885 da P.A. Cicuto, Udine, Tipografia A. Cantoni, 1885). Era fratello di don Giuseppe, parroco di Savorgnano e padre spirituale delle Salesiane per le quali scrisse la prima storia del monastero, dove era entrata anche una sorella dei due prelati (devo le notizie sui Trevisan alla squisita gentilezza di Fabio Metz).

16 Il prof. Zamparo, maestro di cappella nella cattedrale di Concordia, nonché insegnante di religione e filosofia greca e latina nel Semina-rio di Portogruaro, fu in corrispondenza con Antonio Rosmini (cfr. Almanacco diocesano di Concordia, San Vito, G. Pascatti tip., 1840, 8; Zovatto, Cultura cattolica rosminiana, ad indicem).

17 Al prete Lodovico Vuličević ex frate francescano felice scopritore della quadratura del circolo, del punto indivisibile e della differenza che passa tra lo scrivere libri ed il venderli / G. Orlandini, Pordenone, Antonio Gatti, 1868.

18 D’ un vespaio sociale in genere, e d’ una larva in specie / per p. A. Cicuto, Portogruaro, Tipografia Ditta Castion, 1868.

19 Tamborra, Ljudevit Vuličević, 21.20 Pierviviano Zecchini (San Vito 1801 - Chions 1882), medico, lette-

rato e patriota risorgimentale, partecipò alla guerra per l’ indipen-denza della Grecia dalla Turchia; fu amico di Giacomo Zanella, del Prati, dell’ Aleardi e del Ciconi, collaboratore de «La Favilla», non-ché autore di numerose pubblicazioni, tra cui una biografia del san-vitese Anton Lazzaro Moro (cfr. Zotti, S. Vito nella storia. Uomini, 178-182; L. De Rosa, Paolo Sarpi Pomponio Amalteo Anton Laz‑zaro Moro ed altri uomini illustri di S. Vito al Tagliamento, San Vito al Tagliamento, Ellerani, 1968, 23; Mille protagonisti, ad vocem).

21 N. Tommaseo, Nelle nozze di Alfonso Zecchini con Emilia Clinestz al dottor Pierviviano padre di lui: lettere, Firenze, Tipografia di G. Bar-bèra, 1868.

22 Della lettera si dava genericamente notizia, senza indicare dove fosse reperibile, in M. Lucchetta, Arte tipografica e movimenti politico letterari in San Vito al Tagliamento, Udine, Società filologica friu-lana, 1973, 29.

23 È l’ opuscolo, pubblicato nello stesso anno dei libelli contro l’ Orlan-dini, Nella inaugurazione del monumento al conte Nicolò di Maniago

STEFANIA MIOTTO524

33 [A.O.S.P.], Due parole sull’ opuscolo acefalo testè pubblicato dalla Giunta municipale di S. Vito al Tagliamento, Udine, Tip. Zavagna, 1869.

34 Un curioso documento, ossia, Una lettera del cavaliere dott. Giacomo Moro al carissimo Nicolò Fadelli commentata dall’ autore dell’ opu‑scolo Il mio paese a beneficio degli ipocondriaci, Venezia, Tip. Perini, 1869.

35 Giulia Gera era figlia del nobile coneglianese Bartolomeo France-sco Gera (1807-1873) e di Elena Bellati di Feltre, nipote del vescovo Manfredo che resse la diocesi di Ceneda per 27 anni: cfr. V. Ruzza, Dizionario biografico vittoriese e della sinistra Piave, Vittorio Veneto, Sistema bibliotecario del Vittoriese, 1992 (da ora Ruzza, Diziona‑rio biografico), ad vocem. Le nozze Moro-Gera vennero celebrate il 10 gennaio 1872.

36 Lettera sui confini del Friuli scritta alla Signoria di Venezia da Giu‑lio Savorgnano: 1 settembre 1583, a cura di V. Joppi, Udine, Tip. di G. Seitz, 1872.

37 D. Concini, Per le nozze del cavaliere dottor Giacomo Moro depu‑tato al Parlamento colla nobile signora Giulia Gera, Mondovì, Tipo-grafia di Gio. Issoglio e C., 1872.

Domenico Concini (1836-1907), esule in Piemonte durante la domi-nazione austriaca, dopo l’ annessione del Veneto all’ Italia fu il primo sindaco di Conegliano e in tale veste nel 1867 ricevette Garibaldi nel palazzo di Bartolomeo Gera durante la sua visita in città; dalla X alla XII legislatura venne eletto deputato al Parlamento del Regno (cfr. E. Brunetta, Storia di Conegliano, Padova, Il Poligrafo, 1989, ad indicem; T. Sarti, I rappresentanti del Piemonte e d’ Italia nelle tre‑dici legislature del Regno, Roma, A. Paolini, 1880, 278; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale. Profili e cenni biografici di tutti i deputati e senatori eletti dal 1848 al 1890, Roma, Tipografia Pintucci, 1896, 301; Ruzza, Dizionario biografico, ad vocem).

38 G. Barozzi, In occasione delle faustissime nozze del cav. Giacomo Moro con la nob. Giulia Gera: memoria di Pietro II. Gera patriarca d’ Aquileia, Conegliano, Tipografia Cagnani, 1871. Giuseppe Maria Barozzi (1829-1879), convinto patriota risorgimentale come il fra-tello Sebastiano, fu parroco di Pianzano dal 1858 fino alla morte; la pubblicazione era dedicata dal sacerdote al padre della sposa, «per quella cortesia con la quale mi concedeste l’ uso della ricca vostra biblioteca» (sui fratelli Barozzi: cfr. Ruzza, Dizionario biografico, ad vocem).

39 A. Cicuto, Lettera all’ onorevole cavaliere dottor Giacomo Moro depu‑tato al Parlamento italiano quando si sposava alla nob. giovinetta Giulia Gera, Portogruaro, Castion, 1872. Significativa è la parte finale della pubblicazione, in cui l’ autore si congratula perché la sposa prescelta

«esce da una famiglia ed entra in un’ altra dove si osservano i vecchi Comandamenti di Dio, che in fondo stan saldi e fanno prova da tre dozzine di secoli e che si troveranno in piedi da qui a tre altre doz-zine meglio che mai, intantoché saranno sfumate tutte le secrezioni cerebrali dei matti. Il tuo aff.mo amico P.A. Cicuto». L’ arciprete era in amicizia con la famiglia: già nel 1861 aveva dedicato a Gio.Batti-sta Moro, padre di Giacomo, alcuni versi in occasione del matrimo-nio della figlia Teresa con il nobile Vincenzo Burovich (Per nozze Burovich‑Moro, Portogruaro, Castion, 1861). Al neo deputato non mancò dunque di inviare a Firenze lettere di fuoco contro le pretese guarentigie che portarono alla presa di Roma (cfr. Zovatto, Cul‑tura cattolica rosminiana, 604).

40 Lo squarciamento del Monastero di S. Vito al Tagliamento in faccia alle leggi: osservazioni / di p. A.C., Padova, Tipografia del Semina-rio M. Bruniera, 1869.

41 Trevisan, Storia del monastero, 126-127. Il sacerdote, padre spiri-tuale delle monache, era stato incaricato dalle stesse di redigere la storia dell’ insediamento sanvitese dopo l’ elevazione di S. Francesco di Sales a Dottore della Chiesa (19 luglio 1877); preferì dunque non riaprire dolorose ferite e «tirare un velo sui fatti di quei due anni», sottolineando la capacità delle Salesiane di adattarsi con cristiana rassegnazione ai tempi avversi.

42 Solo nel 1902 il sindaco Pio Morassutti (cfr. Mille protagonisti, ad vocem) si fece patrocinatore di una delibera del Consiglio Comunale per rivendere alle Suore della Visitazione il monastero di cui erano state espropriate alcuni decenni prima; nel 1914, tuttavia, papa Pio X stabilì la chiusura dell’ educandato, visto il mancato riconoscimento da parte dello Stato italiano dei titoli di studio rilasciati dagli istituti religiosi.

43 Altrettanto memorabile dei precedenti fu lo scontro motivato dalla col-locazione, nel 1882, di una lapide dedicata a Paolo Sarpi «dai sicari della cvria romana / per odio pertinace trafitto», voluta dalla locale Società Operaia di Mutuo Soccorso (cfr. [G. Polo], Cose di S. Vito: dispensa prima‑decimasettima, San Vito, Tipografia Polo e comp., 1882; Risposta alle Cose di Sanvito per Marco Polo, Porde-none, Tip. Gatti, 1882). Sul sodalizio, fondato nel 1867: La stretta di mano: SOMSI S. Vito al Tagliamento 1867‑1967, San Vito al Taglia-mento, Grafica Primon, 1967.

Per inciso, tensioni e polemiche caratterizzarono anche la realizza-zione del monumento a Paolo Sarpi a Venezia, significativamente inaugurato il 20 settembre 1892 (cfr. E. Cecchinato, L’ anticlerica‑lismo come ideologia e il laicismo come metodo nell’esperienza della Giunta Selvatico, in Venezia nell’ età di Riccardo Selvatico, a cura di T. Agostini, Venezia, Ateneo Veneto, 2004, 53-98).