Da Gallerio a Driulini, sul filo dei versi

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DA GALLERIO A DRIULINI, SUL FILO DEI VERSI 657 Quando, verso l’autunno del 1880, don Giuseppe Driu- lini viene scelto quale cappellano di Vendoglio, parroco del paese collinare è un altro prete originario di Tricesi- mo, don Giovanni Battista Gallerio. Il cooperatore, che aveva ricevuto l ’ ordine presbiterale il primo agosto di quell ’ anno, passerà soltanto alcuni mesi accanto al più anziano sacerdote: nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1881, questi sarà improvvisamente stroncato da un colpo apoplettico. Quello che ha fatto incrociare le strade dei due poeti di cui si parla in questo contributo è stato dunque un tratto di tempo molto breve: quasi trascurabile nella lunga carriera vissuta da Gallerio in larghissima parte a Vendoglio, e invece collocato all’inizio di una intermi- nabile serie di peregrinazioni nel caso di Driulini, di ben quarantadue anni più giovane. Tuttavia quei pochi mesi costituiscono, forse non soltanto idealmente, una sorta di passaggio di consegne tra due sacerdoti che in modi molto diversi hanno arricchito la letteratura friulana con contributi poetici originali e densi di motivi di interesse. Due vite, non sempre parallele Per quanto collocate su archi temporali soltanto in parte coincidenti, le vicende biografiche di pre Tite Galeri e di GABRIELE ZANELLO DA GALLERIO A DRIULINI, SUL FILO DEI VERSI Il paesaggio dei nostri poeti: il Çuc di San Pieri.

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DA GALLERIO A DRIULINI, SUL FILO DEI VERSI 657

Quando, verso l ’ autunno del 1880, don Giuseppe Driu-

lini viene scelto quale cappellano di Vendoglio, parroco

del paese collinare è un altro prete originario di Tricesi-

mo, don Giovanni Battista Gallerio. Il cooperatore, che

aveva ricevuto l ’ ordine presbiterale il primo agosto di

quell ’ anno, passerà soltanto alcuni mesi accanto al più

anziano sacerdote: nella notte tra il 16 e il 17 gennaio

1881, questi sarà improvvisamente stroncato da un

colpo apoplettico.

Quello che ha fatto incrociare le strade dei due poeti

di cui si parla in questo contributo è stato dunque un

tratto di tempo molto breve: quasi trascurabile nella

lunga carriera vissuta da Gallerio in larghissima parte

a Vendoglio, e invece collocato all ’ inizio di una intermi-

nabile serie di peregrinazioni nel caso di Driulini, di ben

quarantadue anni più giovane. Tuttavia quei pochi mesi

costituiscono, forse non soltanto idealmente, una sorta

di passaggio di consegne tra due sacerdoti che in modi

molto diversi hanno arricchito la letteratura friulana con

contributi poetici originali e densi di motivi di interesse.

Due vite, non sempre parallele

Per quanto collocate su archi temporali soltanto in parte

coincidenti, le vicende biografiche di pre Tite Galeri e di

GABRIELE ZANELLO

DA GALLERIO A DRIULINI, SUL FILO DEI VERSI

Il paesaggio dei nostri poeti: il Çuc di San Pieri.

GABRIELE ZANELLO658

il giovane manifesta apprezzamento per la fisica e la

matematica, che continuerà a studiare per tutta la vita,

ma ottiene risultati eccellenti in tutte le materie e ri-

sulta particolarmente versato nello studio delle lingue,

tanto che il vescovo di Udine, mons. Emmanuele Lodi,

lo invita ad apprendere anche l ’ ebraico, oltre al latino

e al greco. Un percorso senza traumi, dunque, assai

distante da quello di Driulini, il quale da chierico deve

affrontare tre anni di servizio militare a Trapani, in una

Sicilia ancora oppressa dal brigantaggio. In seminario,

peraltro, si distingue “ per la sua intelligenza aperta,

per prontezza, acume, serenità e versatilità di mente

penetrativa, per il suo ingegno semplice e per la sua fede

tenace ” (Gatti 1951, 19). Infine, ricevuti gli ordini sacri,

inizia ad associare al ministero l ’ attività di insegnante,

secondo una formula abituale per il clero dell ’ Ottocento

e oltre: jò ’ ne salût di fiâr / e plen di bon volê, / alegri ’ o

scombatevi / in scuèle a plui podè (Melchior 1999, 141);

un servizio svolto con energia, entusiasmo e risultati

proficui ad Amaro, a Vendoglio, ad Artegna e a Lusevera

(e ancora, negli incarichi successivi, nella scuola serale

per i giovani; cfr. Gatti 1951). Ma nei versi la passio-

ne pedagogica affiora insieme con un vero e proprio

affetto per gli alunni, un affetto analogo a quello che

il parroco di Vendoglio dimostrava nello svolgere il

proprio servizio pastorale con i più giovani, come scrive

Biasutti: “ Era maestro nel tenere la dottrina cristiana,

in friulano, ai fanciulli; coi quali sapeva parlare da pari

a pari, suscitando in essi un affetto filiale, che li faceva

accorrere in festa al suo passaggio per le vie ” (Biasutti

, ). D ’ altra parte molte delle opere di Gallerio

sono concepite proprio in ottica educativa, e non è

fortuito il fatto che la sua copiosa produzione poetica

nasca sempre all ’ insegna della cantabilità, della varietà

Siôr Barbe presentano diverse analogie. Sono comuni,

innanzitutto, le origini contadine. La famiglia in cui

Gallerio vede la luce, a Monastetto il 24 giugno 1812,

è di piccoli possidenti benestanti, ma il 1817, anno di

fame, lascerà i suoi segni anche sul fisico del piccolo Gio-

batta, apparso ben presto inidoneo al lavoro dei campi

(Brusini 1988, 65). L ’ inizio degli studi nel seminario di

Udine – un destino piuttosto consueto in quegli anni per

coloro che, nelle famiglie rurali più abbienti, mostravano

una certa propensione allo studio – è peraltro alquanto

tardivo, e il sacerdote stesso ricorderà anche da adulto

le notti di carnevale trascorse a ballare con la fidanzata

(Brusini 1988, 65). Il 29 marzo 1854 – Gallerio è già da

quasi quattordici anni parroco di Vendoglio – Driulini

nasce a Fraelacco “ da una famiglia di poveri agricoltori ”,

come sottolinea lui stesso in una breve autobiografia

(Giuseppe Driulini 1949, 116; Pascolo 1963, 3); la sua

infanzia attraversa gli eventi convulsi della seconda guerra

di indipendenza, ma di quegli anni i suoi versi ricorde-

ranno soprattutto la quotidianità di una vita familiare

vissuta all ’ insegna di una umile e onesta operosità, di

un ‘ ora et labora ’ fondato sul timor di Dio, sul rispetto

delle istituzioni, sulla pacifica convivenza: si lavore e si

pree, / si trate ben il puar e il siôr, / si pae l ’ esatôr, / si

cîr di fà ce che al Signôr i plâs (Floreanade XIX, 17-24;

Melchior 1997-1998, 111). In un ambiente così pro-

fondamente cristiano, sul quale aleggia la presenza di

almeno quattro sacerdoti (tre fratelli della madre e un

prozio, Pietro Driulini, che lo battezza), la scelta della

carriera ecclesiastica non stupisce, ma lascia intendere

motivazioni alquanto diverse da quelle che verosimil-

mente stavano alla base della vicenda di Gallerio.

In quest ’ ultimo, tuttavia, non si può riscontrare qual-

che forma di renitenza: sin dagli anni del seminario

DA GALLERIO A DRIULINI, SUL FILO DEI VERSI 659

anche dal carteggio, conservato presso l ’ archivio parroc-

chiale di Vendoglio, fra Gallerio e il vescovo di Udine;

tuttavia l ’ appoggio e la stima del presule sono costanti,

come dimostra la pronta accoglienza della rinuncia al

vicariato, nell ’ ottobre del 1840, e la successiva nomina

a parroco di Vendoglio, giunta già il 19 novembre. Nel

1892, invece, la popolazione di Lusevera elegge Driu-

lini quale proprio vicario curato; in realtà egli, che era

giunto in quella località nel 1886 quale cappellano

curato, è l ’ unico concorrente per la sede. Anche lui, nel

1893, rinuncia all ’ incarico, ma nel suo caso i toni della

metrica, di un ’ indole intimista garantita efficacemente

anche dall ’ (ab)uso dei diminutivi. Che una tale scelta

debba essere riconosciuta come consapevole lo si deduce

da una lettera del dicembre del 1878, scritta da Gallerio

a Vincenzo Joppi per ringraziarlo di avergli inviato

una “ pregevole memoria ” (non meglio identificata) e

per invitarlo a studiare, con competenza di filologo,

le parole con cui i bambini friulani si rivolgono ai loro

genitori nei primi anni di vita (Gallerio 1891a; ma cfr.

Chiurlo 1907, 23). Non è accessoria a questa sensibilità

neppure la simpatia con cui Gallerio guarda all ’ Opera

della Santa Infanzia, a beneficio della quale escono, fra

1861 e 1863, due (e forse tre) opuscoli di preghiere la cui

paternità va assegnata al parroco di Vendoglio (anche

Il furlan a messe o meditazions e prejeris par assisti cun

devozion al sant Sacrifizi de l ’ altar, del 1862, con tutta

probabilità non è di don Pietro Benedetti, come invece

sostiene Toller 1962, 16-19).

Un ’ altra delle esperienze comuni ai personaggi di cui

ci occupiamo va riconosciuta nel ministero pastorale

prestato presso le “ Ville Schiave ”, ossia le dieci filiali

della pieve di Tarcento che ormai da secoli compone-

vano il vicariatus sclaborum: Ciseriis, Zomeais, Stella e

Malmaseria, Coja, Sammardenchia, Sedilis, Cesariis,

Pradielis, Villanova, Lusevera. Inviato nel 1835, subito

dopo l ’ ordinazione, quale cooperatore domestico presso

il pievano di Tarcento mons. Pisolini, Gallerio riceve nel

1838 l ’ incarico di vicario di tali paesi, ma a differenza dei

suoi predecessori è tenuto a risiedere a Ciseriis. Nel tem-

po le vicissitudini delle “ Ville Schiave ” e le tensioni con

la pieve di Tarcento, percepita in loco come antagonista,

hanno sollevato preoccupazioni sempre maggiori nelle

autorità diocesane e nei pastori d ’ anime a esse assegnati.

Dissapori con la deputazione comunale si intuiscono

Don Giuseppe Driulini in un bel ritratto dello Studio Fotografico L. Pignat

di Udine.

GABRIELE ZANELLO660

ra, che tradisce subito una conflittualità accesa con le

gerarchie ” (Melchior 1999, 142). Dopo il paese della

Stradalta, l ’ itinerario comprende il santuario della Ma-

donna delle Grazie a Udine e le cappellanie di Leonacco,

Collerumiz, Farla di Majano, Cerneglons (poi elevata a

vicaria) e Bonzicco, fino ai quindici anni di quiescenza

trascorsi a Fraelacco nella completa cecità (Ermacora

1944): quanto di più lontano si possa immaginare dalla

tranquilla sedentarietà vissuta da Gallerio a Vendoglio

per quattro decenni scanditi soltanto da brevissimi

viaggi, dalla pubblicazione delle poesie religiose, dalla

stesura dei discorsi e dei versi composti nelle più diverse

occasioni, in particolare negli ingressi dei parroci, negli

anniversari, nelle cerimonie funebri e nelle inaugura-

zioni. In pieno consenso alle direttive dei superiori,

Gallerio dimostra tutta la propria sollecitudine pastorale

in una predicazione vivace, nella catechesi in friulano

e nell ’ approfondimento della teologia, della filosofia e

della storia moderna per conciliare le nuove scoperte

scientifiche con la fede; sui giornali cattolici “ Il Cittadino

Italiano ” e “ L ’ Eco del Litorale ” ha modo di esprimere,

ma senza sterile sdegno, la propria passione di vigoroso

apologeta e polemista (Biasutti 1958, 43). Apprezzato

dalle autorità diocesane e amato dalla gente del paese, in

virtù della sua oratoria semplice e chiara viene chiamato

in numerose località del Friuli a predicare le missioni

al popolo, che per lui diventano occasione preziosa per

esortare i fedeli a una fede impavida e granitica.

D ’ altronde anche la notorietà di Siôr Barbe travalica,

grazie ai versi, i confini angusti delle cappellanie. La

cerchia dei lettori che lo ammirano allarga ampiamente

quella dei fedeli, che spesso si trovano ad avere a che fare

con un carattere spigoloso, con un ’ indole poco disposta

ad accettare una religione vissuta superficialmente,

richiesta non sottacciono una situazione tesa: “ Dopo

un settennio di immediato contatto con Lusevera e le

annesse borgate della Vicaria, attentis adiunctis, il sac.

Giuseppe Driulini ne ha quanto basta sia per l ’ anima

quanto per il corpo ” (ACAU, Serie “ Presbiteri dioce-

sani defunti nel secolo XX ”, fasc. pers. del sacerdote

Driulini Giuseppe, lettera del 15.3.1893); pochi giorni

dopo il sacerdote rinnova al vicario generale la supplica

( “ prego quindi Vostra Signoria Rev.ma a degnarsi di

tener parola in proposito con Sua Eccellenza, affine di

liberarmi da questo mio letto di Procuste ”) e chiede

che gli sia affidato “ un posto di cappellano-maestro,

preferibilmente nell ’ Alta di Udine, non però inter Slavos ”

(ivi, lettera del 7.4.1893). Un anno prima, nel 1892, su

suggerimento di persone devote aveva fatto giungere

a Lusevera l ’ immagine della Madonna di Pompei e

aveva chiesto il permesso di poterla benedire; essen-

dogli stato risposto che l ’ incombenza era prerogativa

del pievano, protestava ancora col vicario generale: “ A

che obbligare il parroco di Tarcento a recarsi in questa

bella stagione quassù a perdere una giornata intiera? Io

credo che tutti i Cappellani di montagna possano dirsi

Rectores Ecclesiarum o tanto o più del famoso ab. Conte

Romano di costà. Ma io sono un asino, come tutto il

clero della Diocesi. Lo ha detto Berengo [l ’ arcivescovo,

n.d.r.] e basta ” (ivi, lettera del 4.2.1891). Dopo questi

scambi, tutt ’ altro che sereni, con le autorità diocesane,

il 12 ottobre 1893 Driulini diventa parroco a Castions

di Strada.

La trafila di parrocchie che Driulini attraverserà, sem-

pre come cooperatore o cappellano dopo la parentesi

di Castions, non può non far sorgere il sospetto della

strategia punitiva, o almeno di “ un nomadismo certo

non volontario, non dovuto a una vocazione zinga-

DA GALLERIO A DRIULINI, SUL FILO DEI VERSI 661

1997-1998, 103); principi antitetici non soltanto alla

violenza, ma anche alla religione vissuta in modo for-

male o ipocrita dai fascisti e da coloro che a ’ jan cjolt il

Crist dai cûrs / par picjâlu su pai mûrs (Floreanade XVI,

apparato; Melchior 1997-1998, 93; Driulini 1955, 24).

I versi corrono di bocca in bocca, sussurrati tra amici

e confidenti; le minacce di provvedimenti da parte dei

superiori diocesani non tardano, ma la voce non si lascia

intimorire, e continua a denunciare soprusi e connivenze.

La critica più benevola ha apprezzato, in questi due

autori, anche i riferimenti ai modelli in lingua, cono-

sciuti sulla base di una cultura solida e ampia. Le carte

conservate a Vendoglio restituiscono per Gallerio nomi

e citazioni di poeti religiosi del Seicento e del Settecento

(Carlo Maria Maggi, Francesco De Lemene, Tommaso

Ceva), e naturalmente di quelli dell ’ Ottocento (Tomma-

so Grossi, Giovanni Prati, Aleardo Aleardi, Giuseppe

Giusti, Giacomo Zanella e Alessandro Manzoni), a

confermare un debito che già le grazie settecentesche e

l ’ ispirazione romantica della scrittura letteraria avevano

denunciato. Driulini si rivolge invece al poeta civile e

satirico ottocentesco per antonomasia, dedicandogli

anche una breve poesia: “ Risorgi, caro Giusti, / poeta

dei miei gusti, / e in una man la lira, / nell ’ altra lo

staffile, / a flagellar ti ispira / codesta età servile / che

canta libertà / e cosa sia non sa ” (Driulini 1955, 119;

Melchior 1999, 162).

Avvicinare e confrontare questi poeti accomunati dal-

la provenienza tricesimana spinge a soffermarsi sugli

aspetti più insoliti della produzione dell ’ uno e dell ’ altro,

non tanto con l ’ intenzione di esaminare qualche inedito,

quanto con quella di contribuire a un ritratto a tutto

tondo, di sottrarre il loro ricordo agli stereotipi entro

cui la critica talora li ha costretti o per una eccessiva

con un temperamento che, pur intriso di generosità

e disinteresse, non esita a far presente la situazione

di difficoltà economica del clero e a far valere i propri

diritti. E questo carattere insofferente alle regole e agli

ordini non condivisi è anche alla base degli attriti con

la curia udinese e con le gerarchie fasciste, contro le

quali Driulini si scaglia sia nelle poesie che circolavano

manoscritte, sia nei ventuno testi aspramente satirici

conosciuti come Floreanadis e scritti, tra il 1921 e il

1925, per “ Il Lavoratore Friulano ”, settimanale socialista

diffuso in tutta la regione. Tuttavia la fortuna di Siôr

Barbe ha respiro breve: dopo la morte, che il 6 gennaio

1949 lo coglie novantacinquenne, è scarso il successo

postumo delle poesie raccolte da Chino Ermacora nel

1955 (Comelli 1982, 318); conseguenza non soltanto

del carattere necessariamente occasionale della scrittu-

ra satirica, ma forse anche della volontà, presente nel

potenziale pubblico del dopoguerra, di voltare pagina

rispetto a ciò di cui quei versi parlavano.

In modi assai disparati, dunque, e a partire dalle ri-

spettive (e assai diverse) situazioni sociali, politiche

e religiose in cui si sono trovati a operare, Gallerio e

Driulini non si astengono dal dire la propria, a porre

la parola del Vangelo in stretto contatto con la realtà; e

se il primo preferisce i canali della predicazione e della

stampa cattolica per difendere la Chiesa e contrastare

il “ paganesimo socialista ” e l ’ anticlericalismo liberale,

riservando la poesia per l ’ ispirazione spirituale e con-

templativa, l ’ anticonformista e combattivo Driulini si

serve proprio dei versi satirici per una battaglia civile

profondamente ispirata ai principi evangelici: Jo, Ven-

turin, da bon cristian, / ’ o stoi de bande dal capelan, /

che mi à insegnât che, essint duc ’ fradis, / no vin di fâsi

mai baronadis (Floreanade XVIII, 37-40; Melchior

GABRIELE ZANELLO662

Per gioco

Nel maggio del 1875, durante una delle rare occasioni

in cui lascia Vendoglio, Gallerio si trova a Pontafel, in

Austria, subito al di là del confine di Pontebba, e in

quella località coglie l ’ occasione per scrivere a un inti-

mo amico un sonetto giocoso in italiano e in tedesco

(APV, busta “ Memorie e scritti del parroco e poeta don

G. B. Gallerio ”); protagonisti sono l ’ autore stesso e il

compagno di viaggio don Angelo Noacco (1832-1904),

nato a Rizzolo, professore nel Seminario di Udine,

appassionato progettista di numerosi luoghi di culto

edificati in tutto il Friuli secondo quel neomedievalismo

così in voga all ’ epoca, nonché parroco del vicino paese

di Cassacco; il destinatario, invece, è don Domenico

Pancini, il quale pochi anni dopo riceverà il compito di

pronunciare, nella parrocchiale di Vendoglio, l ’ orazione

funebre nel trigesimo della morte di Gallerio (Pancini

1881):

Al R.mo Parroco di S. Giorgio di Nogaro

Sonetto

D ’ oltre il confine ove suona il sì,

mando un saluto a Voi, caro Monsieur;

ve ’ l dice anche Noacco, anch ’ egli è qui,

un lebe wohl, e non sa dir di più.

Mangiam Speknedel, Schinken tutto il dì, 5

e gutes Bier beviam di soprapiù:

Noacco molto, ed io così così,

reuchen i bon cigarren di quassù.

Ich bitte, herr Pfarrer, vollen trinken Wein,

una sehr schöne Kelnerin a me 10

dimanda. Io le rispondo: Ich denke, nein.

severità o per una indulgenza dettata dall ’ affetto e dai

toni celebrativi. Rileggere certe pagine satiriche di Gal-

lerio, per esempio, permette di prescindere da quello

sguardo oleografico che ci ha consegnato il ritratto di

un prete in qualche misura avulso dalla realtà concreta,

immerso nel proprio otium letterario, “ passeggiante fra

roncs e tavielis, un dito dentro il Breviario socchiuso,

un distico affiorante sopra i pensieri, il sereno cuore

di contadino spalancato alla contemplazione delle nu-

vole e degli orizzonti ” (Comini 1955, 13). Gallerio è

anche altro, come hanno segnalato in modo piuttosto

episodico anche i critici e come rivelano alcuni inediti

presenti fra le sue carte.

Don Giovanni Battista Gallerio nell’unico ritratto che ci è pervenuto.

DA GALLERIO A DRIULINI, SUL FILO DEI VERSI 663

intermedia fra la gravità del più giovane destinatario

Monsieur Pancini e le intemperanze di Noacco, incline

a gutes Bier e al goloso del succo della vite. A rincalzo,

la corposa sonorità di Speckknödel (gnocchi di pane al

lardo) e Schinken (prosciutto) completa anche sul piano

fonico la caratterizzazione della scenetta.

Dalla corrispondenza con il parroco di San Giorgio

intuiamo, oltre al grande attaccamento di quest ’ ultimo,

anche il fatto che la composizione di una breve poesia

era una delle consuetudini – quasi piccole ritualità – che

accompagnavano le uscite; così, infatti, Pancini scrive

a Gallerio il 29 settembre 1876 (e si osservi la data):

“ Appena tornato da Qualso trovai il sonetto, che giunse

col timbro di Pontebba. Lo rilessi con piacere e dissi

fra me e me: le trenta miglia che mi separano da chi ha

fatto questo sonetto con trenta miglia di gran seccatura.

Se invece di trenta fossero tre, sovente godrei qualche

ora di vero sollievo ” (APV, “ Memorie e scritti ”, lettera

di D. Pancini a G. B. Gallerio, 29.9.1876). L ’ amicizia

e la comune passione letteraria (associata a quella per

l ’ enigmistica, in particolare per rompicapi come i so-

netti logogrifi e le sciarade in versi) costituiscono un

importante diversivo per quell ’ indole malinconica che

il sacerdote adombra nella stessa missiva: “ Io quì me la

passo come sempre. Poco contento e poco addolorato ”.

Immancabili, nelle lettere, gli inviti a venire in visita a

San Giorgio e i saluti per la piccola cerchia degli amici

che vivevano o si incontravano nella canonica di Ven-

doglio: “ Mi saluti don Bastiano, Noacco, don Antonio

suo cappellano e Maria di lui sorella ” (APV, “ Memorie e

scritti ”, lettera di D. Pancini a G. B. Gallerio, 23.3.1876).

Le sollecitazioni disattese, in particolare da don Bazzara,

provocano vive proteste: “ Il bericchino di Capellanut

non volle portarsi a Carlino per S. Rocco, invece mi

Ma Noacco, goloso, che si sa,

del succo che la vite ognor ci diè,

le mostra il Krigel e le dice: Ja!

Pontafel, maggio 1875

All ’ apparenza, il foglietto volante che restituisce il com-

ponimento sembra non proporre nulla di più di uno

scherzo poetico, destinato a scorrere con leggerezza dalle

mani del suo autore a quelle del destinatario, per consu-

marsi fugacemente in un sorriso, in un attimo di svago.

Ma l ’ abile Gallerio mantiene una scrittura sorvegliata

e addirittura ricorre, certamente con consapevolezza,

a qualche espediente retorico di facile effetto. La scelta

del plurilinguismo può apparire scontata e funziona-

le alla situazione, ma al di là delle incertezze grafiche

(Speknedel per Speckknödel, vollen per wollen, Kelnerin

per Kellnerin, Krigel per Krügel, forse anche denke per

danke) conferma la consistenza di quel gusto per le

lingue straniere di cui già si è detto; un gusto sui cui

sembra giocare il contenuto stesso del sonetto, contrap-

ponendo alla relativa scioltezza linguistica e alle garbate

risposte dell ’ autore (Ich denke, nein) le esclamazioni

essenziali ma efficaci del Noacco: un lebe wohl ( ‘ stammi

bene ’ ) e soprattutto quello Ja!, esposto in punta di verso,

di strofa e di componimento, e accompagnato, a ogni

buon conto, dal gesto risoluto di mostrare il boccale

alla cameriera. Ma conta anche l ’ atmosfera disegnata

dagli endecasillabi tronchi del sonetto: una spontaneità

amicale un po ’ arruffata, goduta all ’ insegna di Bacco,

del tabacco e di una Venere che assume le sembianze

seduttrici della sehr schöne Kelnerin ( ‘ una cameriera

molto bella ’ ); una franchezza scomposta e incontrollata

nella quale Herr Pfarrer Gallerio, con i suoi dinieghi e i

suoi “ così così ”, sembra volersi garantire una posizione

GABRIELE ZANELLO664

A mal partito son così ridotto

che lis braghessis plui no mi stan su; 10

langue il mio corpo e tutto il capo ho rotto:

’ o soi propri il ritratt de la penurie;

e non potendo aver pazienza più,

’ o mandi là che ’ o sai plevàn e curie!

Se il risvolto formale lascia percepire la scrittura a quat-

tro mani, cosicché gli artifici risultano meno significativi,

è peraltro vivace il contrasto dei codici, che in qualche

caso si potenzia diventando anche frizione di registri

(nonostante le censure e gli eufemismi: par bio, là che ’ o

sai). Nell ’ interpretazione del componimento, invece, ci

vengono in aiuto le note di Costantini, il quale ha avuto

modo di ricostruirne allusioni e sottintesi: la misteriosa

“ carta ” di cui si parla, ricetta di veleno e bisturi insan-

guinato, è il documento che don Tita Miotti, prete

originario di Conoglano (classe 1818), doveva presentare

ogni sabato alla firma del parroco di Cassacco onde evi-

tare la sospensione a divinis; si trattava insomma di un

espediente escogitato dalla curia udinese per impedire

quelle che Costantini si limita a definire semplicemente

“ scappatelle ”, evitando, “ per carità di prossimo ”, di svelare

la vita del sacerdote e “ dire di lui tante cose buffe ed

alcune seriamente umoristiche ” (Costantini 1900-1901,

145). I versi ci presentano un uomo costretto a digiuni e

privazioni: ridotto “ a mal partito ”, illanguidito nel corpo,

smagrito al punto da perdere i pantaloni e da sembrare

un ritratto della miseria, Miotti perde la pazienza e

manda al diavolo parroco e curia. Sul carattere delle

“ scappatelle ”, benignamente sottaciuto anche dai versi

Gallerio e Pancini, non è affatto renitente Chiurlo quan-

do commenta il componimento friulano che da Pietro

Zorutti si fece destinare don Miotti in persona, prete

scrive che andrà non so con quale compagno a Zara.

Gli dica che […] strada facendo per Zara si poteva

combinare d ’ arrivare anche un giorno da queste parti,

giacchè sarebbe stato tutto preparato per il trasporto.

Insomma ora è fatta, ma se me ne fa delle altre Perbacco!

sentirà il mio poetico furore ” (APV, “ Memorie e scritti ”,

lettera di D. Pancini a G. B. Gallerio, 5.8.1876). “ Non

ha torto ”, annota Gallerio.

Per scherzo

Agli attimi di svago concessi dall ’ amicizia con il parroco

di San Giorgio si deve un altro sonetto, che Giuseppe

Costantini, curatore dell ’ edizione più completa delle po-

esie friulane di Gallerio, ha ritenuto opportuno escludere

dalla silloge del 1900 (Gallerio 1900) preferendo darlo

alle stampe su “ Pagine friulane ” (Costantini 1900-1901).

Costantini, riconoscendo il valore di alcuni degli scherzi

poetici conservati presso il successore don Bazzara,

spiega anche che questo sonetto è stato improvvisato

nella canonica di Vendoglio da Pancini e da Gallerio,

che si sono alternati componendo rispettivamente i

versi in italiano e quelli in friulano:

La carta di don Tita

(soliloquio)

Questa carta, a dir vero, è maledetta!

È son sîs àins che l ’ ai culì cun me!

Di veleno mi sembra una ricetta

e plui no sai, par bio, ce fâ di jé.

Il giorno di bruciarla invan s ’ aspetta; 5

il plevàn mi ten dùr senze un parcè,

sangue mi cava come una lancetta:

l ’ è afàr di disperâssi, sì la fè!

DA GALLERIO A DRIULINI, SUL FILO DEI VERSI 665

No l ’ è po ’ stàd clamàd da la nature / par la letterature;

/ di politiche an sa màncul dai siei stivàij; / al à scienze

e criteri / in abondanze pa ’ l so ministeri; / valent nel

funzionâ, / passionàd pa ’ l çhantâ, / l ’ ame la glesie cun

grande devoziòn (Zorutti 1990, 564). Dopo una breve

carriera vissuta come cappellano in vari paesi del Friuli,

Miotti si ritira nella natìa Conoglano: Cumò di pôc in cà

/ ritiràd dal servizi, / al vîv a çhase so / occupansi di cûr

in ce ’ ch ’ al pô. Ma ritorniamo alla nostra poesia: anche

in questo caso la vicenda invita a restringere lo sguardo

sull ’ occasione della composizione: verosimilmente un

ritrovo di amici sacerdoti, con la presenza, oltre che di

Pancini e di Gallerio, anche del suo cooperatore Baz-

zara, di Noacco e di Miotti stesso (e questa presenza

può giustificare il riserbo). È peraltro singolare anche

la sorte riservata a don Noacco: proprio lui, che nel

sonetto precedente veniva benevolmente preso di mira

per i suoi eccessi, viene ora individuato quale garante

della buona e irreprensibile condotta del confratello.

Per sdegno

Mai largo di elogi nei confronti della poesia di Gallerio,

sovente criticata per “ quel vezzo diminutivo-vezzeg-

giativo ” che conferisce ai versi un sapore dolciastro e

un carattere infantile (Chiurlo 1940), Bindo Chiurlo

segnala la sottile vena di umorismo che anima le poesiole

profane dedicate ai piccoli animali (Gallerio 1881),

rilevando come tale vena abbondi invece nelle poesie

inedite che don Antonio Bazzara conservava con cura

gelosa tra le proprie carte (Chiurlo 1907). Lo studioso

cita il racconto giocoso di una gita di preti in Austria

(e potrebbe trattarsi del sonetto qui esaminato, o forse

di un altro analogo, come la consuetudine lascia pre-

sumere) e una umoristica Marchettade che finora non è

“ corto di cervello e di coltura, ma, in compenso, molto

soggetto alle tentazioni della carne, e pronto a fermarsi a

scherzare colle ragazze del paese, per cui teneva sempre

in tasca un involtino di mandulis ambrusinis ”. Insomma

“ un tipo di prete sui generis tra balordo e sensuale, non

discaro alle compagnie liete, che si divertivano alle sue

spalle, specialmente quando prendeva sul serio i compli-

menti ironici che gli rivolgevano ” (Zorutti 1990, 564).

Il ritratto di Zorutti sembra essere più clemente, ma

in realtà disegna una persona insulsa (al punto che la

poesia stessa, secondo Chiurlo, è insipida e stupida):

Don Giuseppe Driulini, Sior Barbe, in età avanzata.

GABRIELE ZANELLO666

buttait i Peress

in muel come i pess.

Su su a Racolane

chel çhioch di Lauzane 25

che al torni in preson

so fradi spion.

Chel porch di Osovan

nassut tal ledan

mandailu a fa foti. 30

E intant scampanoti

pur Rivis d ’ Arçhian

un uè e un doman:

din don e din dan.

No stait a sei frez 35

su su Colorez,

no no che in esili

no l ’ è pre Basili;

al ’ è capelan

a Rivis d ’ Arçhian. 40

Al va a spas pe vile,

al çhiante, al sivile,

e Pin e il speziar

al manda all ’ infiar;

e il sior di Rizzul 45

lu à la dal cul,

cu la so p…..,

cul çhioch di Lauzzane,

e so fradi lari,

spion, incendiari. 50

Peres rufian

cun dut l ’ Osovan

ju mande a fa foti.

E intant scampanoti

pur Rivis d ’ Arçhian; 55

stato possibile rintracciare. Decide, invece, di pubblicare,

sulla base della copia autografa in suo possesso, la po-

esia ferocemente satirica che qui si riproduce secondo

l ’ edizione comparsa su “ Le nuove pagine ”:

La partenza

del cappellano don Basilio Benedetti da Colloredo di

Mont ’ Albano nell ’ anno 1862 per Rive d ’ Arcano, dopo

discordie suscitatesi tra lui, il cappellano di Lauzzana

don Pietro Zuliani, Del Pino don Giovanni parroco

quiescente, il medico condotto di Colloredo Bertani e

alcuni signori del castello.

Din din e dan dan

un uè e un doman:

sintit lis çhiampanis

che sunin lontanis

di Rivis d ’ Arçhian. 5

No stait a sei frez;

su, su Colorez;

dait fuch al canon.

Mandait sior Berton

bricon e purcit, 10

a fa il çhialzumit,

a çhioli la zappe

a tignì su la grappe

lajù par Rizzul.

Mandait fur dal cul 15

chel bech di speziar:

netait chel seglar!

Fur fur di ché cove

Teresie chè scrove;

fur fur dal confin 20

chel bestie di Pin;

DA GALLERIO A DRIULINI, SUL FILO DEI VERSI 667

seglar!, più insolite rispetto alla pur prolungata litania di

epiteti zoologici: purcit (v. 10), bech (v. 16), scrove (v. 19),

bestie (v. 21), porch (v. 28, e con i pess del v. 23); questi

appaiono concentrati nella prima parte dell ’ invettiva,

e precedono la ripresa dei versi iniziali di esortazione:

No stait a sei frez; / su, su Colorez. La seconda parte,

anch ’ essa racchiusa fra la ripresa centrale e quella finale

del tema delle campane, ritorna su tutti i bersagli della

din din e din dan

un uè e un doman.

Afferma Chiurlo che “ Artisticamente la poesiola ha un

solo merito: che vi si sente solo lo sdegno. Del resto

questo si è espresso in modi troppo volgari, perché

possa piacere ” (Chiurlo 1907, 25); il critico segnala

altresì la plastica efficacia di espressioni come netait chel

Il paesaggio dei nostri poeti: la Cjassanìe.

GABRIELE ZANELLO668

Bruneti che al ven a Colored di Montalban laureat in Me-

disine (Zanello 2005, 139-43); i versi sembrano risalire

alla fine del 1880, mentre è di alcuni anni precedente

il brindisi per Capodanno inviato All ’ illustrissimo ca-

valiere professore medagliato signor Antonio Clocchiatti a

Gemona il 27 dicembre 1876 (Gallerio 1891b). In ogni

caso si tratta di testi che si avvicinano a quelle poesie

d ’ occasione di cui l ’ edizione del 1885 aveva dato ampio

saggio (Gallerio 1885, 257-93).

In omaggio

Per manifestare il proprio affetto filiale nei confronti

di Gallerio, a fianco del quale è vissuto per alcuni mesi

durante il proprio servizio pastorale a Vendoglio, Driu-

lini sceglie l ’ immagine della rondine, tanto cara al poeta

tricesimano da comparire non soltanto nelle due ben

note poesie a essa intitolate, La viarte o il salut alla cisile e

La siarade o l ’ adio a la cisile, ma anche nella produzione

religiosa, come attesta L ’ amor di Dio, dallo Svearìn ne

l ’ occasion del S. Giubileo 1865 del Plevan di Vendoi (Gal-

lerio 1865). Roberta Melchior, che nella tesi di laurea si

è occupata con puntualità e diligenza dell ’ edizione di

gran parte degli scritti friulani di Driulini, così descrive

il tono di questo componimento: “ Un ’ atmosfera dolce

e rarefatta, richiamata nel componimento dedicato a

Giovanni Battista Gallerio, poeta della natura e della

bontà cristiana, imitato da Driulini in Cisilute di Ven-

doi, e rinnovata nei versi stesi in occasione della morte

dell ’ amico Ellero ” (Melchior 1999, 159). È il versante

più intimo e personale della scrittura di Siôr Barbe, un

versante colmo non soltanto di ispirazione evangelica,

ma anche di partecipazione umana e intima fraternità.

La tesi della Melchior (Melchior 1997-1998, 192-94)

recupera il testo dalle Floreanadis di Siôr Barbe del 1955

prima, ma in modo più fulmineo e mettendoli in rela-

zione con don Benedetti.

Versi di questo genere solitamente si trasmettevano

manoscritti entro una piccola e riservata cerchia di amici,

ma nel caso in questione la scorrevolezza dei cinquan-

tasette senari in rima baciata (con eccezioni nelle tre

riprese) deve averne favorito l ’ apprendimento mnemo-

nico; e infatti veniamo a sapere ancora da Chiurlo che le

copie della satira ebbero insolita diffusione a Colloredo:

i preti e i laici che in essa venivano biasimati e svergo-

gnati probabilmente ritennero opportuno rivolgersi

alle autorità diocesane perché punissero il responsabile

della loro umiliazione, cosicché l ’ autore delle rime ven-

ne ‘ condannato ’ a una settimana di esercizi spirituali. Se

si riflette sulla vicinanza tra Vendoglio e Colloredo di

Monte Albano e soprattutto sulla familiarità di Gallerio

con l ’ amico Pietro di Colloredo Mels, si può facilmente

comprendere come la critica potesse avere un oggettivo

fondamento di verità e forse rispondesse anche alla

giusta indignazione del sacerdote per gli scandali di

cui era venuto a conoscenza.

Tra le carte di Gallerio sono state ritrovate altre due (e

più innocue) poesie friulane di argomento profano: si

tratta di una Vilote e di un Sonet offerti Al dotor Faustin

DA GALLERIO A DRIULINI, SUL FILO DEI VERSI 669

che la Viarte ’ e cjape pît.

Quan ’ che a jugn sarìn rivâz

e i biei tènars cisilins 30

a ’ saran dispatussâz,

mèniju, mèniju chêi ninins,

sot chê linde, a chel balcon,

e in chel mût che amôr al sa,

fàur cognossi il to paron 35

che lu devin rispietâ.

Prin di dîti: “ Mandi, mandi,

cisilute dal cûr gno! ”

une grazie ti domandi

e no stâmi a dî di no: 40

cheste sere, su chel len,

va là, pòiti par cjantâ

e al paron che ti ûl tant ben

tù tu mi âs di ricuardâ.

Chi ha avuto modo di leggere o ascoltare la coppia di po-

esie di Gallerio sulla cisile si renderà conto senza indugi

di come i versi di Driulini si assestino su un ’ imitazione

consapevole ed esplicita del modello, non soltanto per

la scelta delle quartine di ottonari tronchi nelle sedi pari

e in rima alternata, ma anche nella ripresa di alcuni dei

motivi che hanno fatto sì che esse siano, tra le poesie

non religiose, le più fortunate e le meglio conosciute.

Oltre al riuso di formule ben identificabili come Benvi-

gnude, cisilute (cfr. il v. 3 del modello), benvignude ancje

chest an (cfr. i vv. 4, 16 e 52), Mandi, mandi (cfr. il v. 5),

ritorna l ’ immagine del volatile impegnato a costruire

il nido, a nutrire sot chê linde i suoi cisilins fino ad averli

dispatussâz, a posarsi e cantare sul pujûl e sul balcon per

(Driulini 1955, 106-7):

Cisilute di Vendoi

(a pre ’ Zuanbatiste Galerio, plevan di Vendoi)

Benvignude, cisilute,

che tu svolis par Vendoi,

jo ’ o uei dîti une cjossute,

sin tan ’ ben a quatri voi.

Cisilute inamorade, 5

benvignude ancje chest an,

sestu tù chê furtunade

che tu stâs là dal Plevan?

Cisilute tù tu cjantis…

Baste, baste, ’ o ài za capît, 10

nissun ’ altre in dutis quantis

no à cjatât un plui biel sît.

Ce tant cjare che tu j sês,

ce tant ben ch ’ al dîs di te,

ti à spietade mês e mês 15

dal setembar fin a uè.

Cisilute sta sigure,

sta contente, tenti in bon;

use dute la primure,

vê bon cûr cul to paron. 20

Tenlu simpri in aligrie,

pòiti e cjante sul pujûl,

fâsij buine compagnie,

chest al brame, chest al ûl.

Sù prepare, sù lavore 25

tôr la fabriche dal nît:

sù prepare ch ’ e je l ’ ore,

GABRIELE ZANELLO670

fluidità della vena poetica e la gentilezza dei sentimenti

denotano la piena e convinta continuità tra le prove dei

due autori, anche se una datazione precisa tornerebbe

utile per raggiungere conclusioni più puntuali. Afferma

Corrado Gatti che questa “ graziosa e delicata lirica ” era

stata scritta da Driulini “ in risposta a la Viarte o il salût a

la cisile del Gallerio medesimo, comparsa sul “ Cittadino

Italiano ” nella primavera del 1878 ”, e deduce che essa

“ ci è del tutto preziosa perchè è una fra le assai rare che

ci sono pervenute della musa giovanile di Siôr Barbe ”,

allora ventiquattrenne (Gatti 1949, 5; cfr. anche Gatti

1951, 19). La lacunosa consistenza delle raccolte del

periodico in questione non permette di verificare la

data precisa in cui è comparsa prima delle due poesie

di Gallerio (poi inclusa, nel 1885, nella prima silloge

ampia: Gallerio 1885, 249-51), ma in ogni caso anche

questo dato non offrirebbe certezze di datazione al di

là di un vago termine a quo. Gatti – purtroppo senza

esplicitare un fondamento documentario – si spin-

ge oltre, e scrive senza indugi che “ Il pio sacerdote di

Vendoglio, che aveva preso ad ammirare e ad amare il

chierico Driulini, fino da allora aveva preconizzato in

lui il futuro cantore della friulanità ” (Gatti 1951, 19).

In memoria

Ma Driulini non ama proporsi come vate e neppure

esibire patenti di ispirazione poetica; anzi, ha perfino

l ’ umiltà di manifestare pubblicamente, senza pose o

atteggiamenti di elitaria complicità, la propria ammi-

razione verso mons. Giuseppe Ellero (1866-1925), al

quale lo univa un ’ amicizia arricchita da reciproca stima.

Originario pure lui di Tricesimo, ma di una dozzina

d ’ anni più giovane di Driulini, Ellero muore a Udine il

31 gennaio 1925; il grande concorso di popolo trasforma

fare compagnia al padrone presso il quale è ritornato;

ed è presente anche qui, nelle ultime due quartine, la

nota elegiaca finale, che corrisponde, nelle poesie di

Gallerio, all ’ invito a condividere pene, amore e dolori

(La viarte) e alla raccomandazione di andare a cercare

nel cimitero una croce e una sepoltura presso le quali

pregare al momento del ritorno primaverile (La siarade).

Benché da un lato le zeppe e le ridondanze denuncino

una certa immaturità della prova, dall ’ altro la sponta-

neità del verso, l ’ immediatezza della lingua popolare, la

Copertina delle Floreanadis di Siôr Barbe, edizioni “La Panarie”, uscito in timp di

vendeme dal 1955 con postfazione di Chino Ermacora.

DA GALLERIO A DRIULINI, SUL FILO DEI VERSI 671

Il paesaggio di Siôr Barbe:

da Fraelacco verso Nanarià.

GABRIELE ZANELLO672

sorridente, Driulini accantona per un attimo l ’ ispira-

zione satirica per concentrarsi sull ’ illustre schema del

sonetto e ricreare un clima elegiaco, velato di innocenza,

beatitudine e rimpianto:

In memorie di mons. Ellero

’ O m ’ impensi di te, nobil figure

di predi, di poete e leterât;

ma plui m ’ impensi de la tô bontât,

de la tô gran bontât, anime pure.

Inzenoglât ai pîs de sepulture 5

che il to cuarp vergjnâl ’ e ten siarât,

a Dio Signôr, che vive al à stampât

in te l ’ imagjn de la sô nature,

’ o fâs ùmil preiere e vôz insieme

ch ’ al mandi chì in Friûl animis buinis, 10

che di lôr ’ o sintìn bisugne estreme:

animis che cul ben vìnzin il mâl,

animis santis che ancje tra lis spinis

’ ne lûs a ’ spandin clare e celestiâl.

Una figura complessa, quella di Giuseppe Ellero, che

Driulini ha saputo delineare con tratti essenziali ma

decisi, mettendone in luce prima di tutto la nobiltà in-

teriore; la terna di sostantivi (nella redazione originaria

avevamo: “ di predi, di furlan, di leterât ”, cfr. Melchior

1997-1998, 124) compendia con efficacia l ’ opera di

una personalità versatile: innanzitutto prete, ricordato

principalmente quale poeta, ma anche letterato meri-

tevole, scrittore di prosa e di teatro, ricercato oratore e

saggista, studioso e insegnante di grammatica, filologia

classica, storia ecclesiastica ed eloquenza in seminario.

il suo funerale in un imponente e corale tributo di affetto

e di ammirazione, quasi un risarcimento postumo per le

sofferenze ingiustamente patite nel momento più deli-

cato della repressione del modernismo, quando l ’ ansia

per la verità e per la libertà della ricerca scientifica gli era

costata il temporaneo allontanamento dalla docenza nel

Seminario di Udine (Marchetti 1979, 840-50; Comelli

1982, 319-22; Ellero 2008, 279-82).

Ai giorni delle solenni celebrazioni esequiali dell ’ amico

risale il sonetto che qui si riporta nella versione delle

Floreanadis (Driulini 1955, 105), più scorrevole dal

punto di vista metrico rispetto alla prima stesura; “ Il

Lavoratore Friulano ” l ’ aveva pubblicata il 7 febbraio

1925 a corredo di un articolo che, con parole di com-

mossa partecipazione, ricordava lo scomparso come

un uomo “ evangelicamente francescano ”, “ al di sopra

dei partiti e degli stessi uomini ”, che “ viveva in una sua

purezza compiuta, “ indiandosi ” quasi verso quel cielo a

cui credeva, e verso cui si protendeva la sua anima eletta

in uno sforzo costante di perfezionamento ”; il giornale

socialista continuava ricordando che “ Ellero non fu sol-

tanto un sacerdote buono ”, ma anche “ poeta, nel senso

più alto della parola, e poeta di questo nostro Friuli,

di cui conosceva la storia come un erudito, ed i luoghi

come un pellegrino, e di cui seppe cogliere gli aspetti

in versi pieni di musicale dolcezza, con il candore di un

fanciullo e con la forza di un adulto ”. Parole che, sulla

pagina del settimanale socialista, si pongono in piena

sintonia con i versi di Driulini, mentre questi ultimi

(naturalmente non firmati) entrano in dialogo con

quelli che su un altro settimanale, “ La Vita Cattolica ”,

firmava pre Zaneto; non deve passare inosservato il

fatto che, mentre Schiff si avvale delle solite quartine di

settenari e non rinuncia a osservare Ellero con sguardo

DA GALLERIO A DRIULINI, SUL FILO DEI VERSI 673

carme CI: Multas per gentes et multa per aequora vectus):

la pietra tombale, le preghiere e i voti, il corpo definito

“ verginale ” (e, nella prima stesura, anche le lacrime:

Cun lagrimis o fâs umil preiere, v. 9) costituiscono una

sorta di rinvio obbligato in un epicedio per un culto-

re della classicità. Ma l ’ orizzonte classico accoglie fin

dalla seconda quartina la consapevolezza cristiana, e

in particolare l ’ idea, ricca di echi biblici e patristici, di

un Dio che ha impresso nell ’ uomo l ’ immagine vivente

della propria natura divina. Così anche preghiere e voti

prescindono dalla sfera del dolore personale e perfino

dall ’ omaggio al defunto; ricevono invece un respiro ben

più ampio, allargandosi a un bisogno non generico: lo

sguardo disincantato di Driulini coglie nel Friuli di

inizio Ventennio, in una realtà che continuava a essere

sempre più drammaticamente segnata dal male storico,

la necessità estrema di “ anime buone ” come quella di

Ellero (e ancora una volta la ripetizione, anaforica nei

vv. 12 e 13, mette in evidenza un altro aggettivo: santis).

Varianti significative coinvolgono anche l ’ ultimo verso,

nel quale, rispetto al motivo della luce chiara e celestiale

di questa stesura, appariva più felice quella precedente,

più aperta a molteplici legami semantici: animis santis

che ance fra lis spinis / spandin intôr l ’ arome spirituâl

(cfr. Melchior 1997-1998, 124; e spàndin intôr l ’ arome

celestiâl in Ermacora 1949, 119).

Come ricordava anche la Melchior nel proprio stu-

dio, non mancano, nella produzione di Driulini, altri

versi dedicati a figure sacerdotali: un Ritràt è riservato

al parroco delle Grazie mons. Pietro Dell ’ Oste, altro

esponente del clero udinese legato da antica amicizia a

Siôr Barbe (cfr. Dell ’ Oste 1932, e l ’ edizione commentata

in Melchior 1997-1998, 223-38). Si tratta peraltro di

componimenti nei quali affiora in varia misura, oltre alla

Le testimonianze di chi lo ha conosciuto ne ricordano

quella bontà che il quarto verso (quasi una anadiplosi,

amplificata da gran) associa alla purezza d ’ animo, ma

ne mettono in risalto soprattutto il candore di fanciullo.

Così lo ricordava il collega mons. Ivan Trinko: “ È questa

la sua santa infantilità, congiunta alla limpida freschezza

della sua vena che ci ingannò tutti: tutti sentendoci

invecchiare guardavamo a lui come ad una giovinezza

perenne. […] Morì povero perché visse povero nello

spirito. Aveva studiato le beatitudini per praticarle ”

(citato in Ellero 2008, 280); e l ’ allievo mons. Guglielmo

Biasutti: “ Povero sant ’ uomo! Non conobbe furberia e

men che meno cattiveria. E se lo sfioravano malignità

e discordia, più che aborrirne, ne piangeva. Talora let-

teralmente ” (Biasutti 1981, 12). Eppure anche Ellero

dovette soffrire molto in quel decennio trascorso fra

la fine della Grande Guerra e la morte; l ’ introduzione

della sua antologia postuma, curata nel 1950 da Pietro

Bertolla, Pietro Londero e Giovanni Zanier, ne colloca

la figura in quel difficile contesto adombrato anche da

Driulini nei propri versi: “ in virtù di quella profonda

coscienza religiosa […] quell ’ anima restò fanciulla e

trasmigrò dietro il richiamo delle cose belle, all ’ infan-

zia libera di dissidi, alla sua terra amata e sventurata;

trasmigrò dietro il sogno di rifare buoni gli uomini

richiamandoli dall ’ orrore dell ’ odio alla serenità d ’ una

nuova primavera ” (Ellero 1950, 16).

Anche Driulini, pur insistendo sul motivo della bontà,

si mantiene a distanza sia dalle visioni unilaterali che

dalle semplificazioni stilistiche o di maniera; anzi, va alla

ricerca di una tessitura composita e – in certa misura –

perfino dotta. Dopo la quartina di apertura, infatti, il

sonetto sembra voler cogliere suggestioni foscoliane (In

morte del fratello Giovanni) e dunque anche catulliane (il

GABRIELE ZANELLO674

Gallerio 1885 = Giovanni Battista Gallerio, Poesie dedicate a S. Ecc. Ill. e

Rev. Mons. G. Maria Berengo Arcivescovo di Udine, Patronato, Udine.

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completa dell ’ edizione Bosetti curata da Bindo Chiurlo integrata dal

corpus iconografico dell ’ edizione Delle Vedove e con una premessa di

Rienzo Pellegrini, Del Bianco, Udine.

confidenza e all ’ ammirazione per il compagno di studi

in seminario, anche quella lepida (altrove graffiante)

leggerezza di Driulini che ci è già familiare.

BIBLIOGRAFIA

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Ermacora 1944 = Chino Ermacora, La messa di «sior barbe», “ Ce fastu? ”,

20 (1944), 3-4, pagg. 208-12.

Ermacora 1949 = Chino Ermacora, Verso i cent ’ anni un poeta morale, “ La

Panarie ”, 17 (1949), 1, pagg. 42-43.

Gallerio 1865 = Giovanni Battista Gallerio, Svearìn ne l ’ occasion del S.

Giubileo 1865 del Plevan di Vendoi, Zavagna, Udine.

Gallerio 1881 = Giovanni Battista Gallerio, Poesie friulane. Per il solenne

ingresso del Molto Reverendo D. Antonio Bazzara da Gemona alla par-

rocchia di S. Michele Arcangelo di Vendoglio, Patronato, Udine.