CS 3/2011 - Di scena in scena

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COMUNICAZIONI SOCIALI Settembre-Dicembre 2011 Di scena in scena a cura di Paolo Braga e Armando Fumagalli VITA E PENSIERO

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In caso di mancato recapito si restituisca al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

Pubblicazioni dell’Università Cattolica

Largo Gemelli 1

20123 Milano

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UNIVERSITÀ CAUNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE MILANOTTOLICA DEL SACRO CUORE MILANO

Anno XXXIII Nuova serieSezione CinemaSezione CinemaN. 3 Settembre-Dicembre-Dicembre 2011

COMUNICAZIONI SOCIALIRivista di media, spettacolo e studi culturali

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© 2011 Vita e Pensiero - Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro CuoreProprietario: Istituto Giuseppe Toniolo di Studi SuperioriÈ vietata la riproduzione degli articoli senza il preventivo consenso dell’Editore

Prezzo del presente fascicolo: per l’Italia € 18,00 - per l’Estero € 24,00Abbonamento annuo:Privati - solo carta: per l’Italia € 46,00 - per l’Estero € 67,00

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Redazione e Amministrazione: L.go Gemelli, 1-20123 Milano (tel. 7234.2368 red.; 7234.2310 amm.)Direttore responsabile: Gianfranco Bettetini

Registrazione del Tribunale di Milano 30 novembre 1973, n. 446

Copertina: Andrea MussoComposizione: Gi&Gi, Tregasio di Triuggio (Mi)Stampa: Litografia Solari, Peschiera Borromeo (Mi)

Finito di stampare nel mese di maggio 2012Pubblicità inferiore al 45%

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COMUNICAZIONI SOCIALIOMUNICAZIONI SOCIALIRivista di media, spettacolo e studi culturaliRivista di media, spettacolo e studi culturali

A CURA DEL DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE EDELLO SPETTACOLO E DELL’ALTA SCUOLA IN MEDIA, COMUNICAZIONEE SPETTACOLO

pubblicazione quadrimestrale

Anno XXXIII Nuova serieAnno XXXIII Nuova serieSezione CinemaSezione CinemaN. 3 SettembrN. 3 Settembre-Dicembre-Dicembre 2011e 2011

Comitato ScientificoPIERMARCO AROLDI, CLAUDIO BERNARDI, CHRISTIAN BIET, GIOVANNI BOCCIA ARTIERI,JEROME BOURDON, ANNAMARIA CASCETTA, FRANCESCO CASETTI, FAUSTO COLOMBO,JOSÉ ANGEL CORTÉS LAHERA, RUGGERO EUGENI, MARIAGRAZIA FANCHI,ARMANDO FUMAGALLI, CHIARA GIACCARDI, ALDO GRASSO, MATTHEW HIBBERD,PEPPINO ORTOLEVA, SILVANO PETROSINO, GIORGIO SIMONELLI

DirettoreGIANFRANCO BETTETINI

RedazioneCHIARA GIACCARDI, coordinatoreCARLA BINO, PAOLO BRAGA, ROBERTA CARPANI, MASSIMO LOCATELLIELENA MOSCONI, MASSIMO SCAGLIONI, BARBARA SCIFO,SIMONE TOSONI, MARINA VILLA, NICOLETTA VITTADINILAURA PEJA, segretario

Dall’annata 2009, «Comunicazioni sociali»ha adottato il sistema di blind peer review.

PAOLO BRAGA - ARMANDO FUMAGALLIIntroduzione

ALFONSO MÉNDIZ NOGUEROIl ‘doppio adattamento’ di «Amadeus»: dalla storia al teatro e dal teatro al cinema

PAOLO BRAGA«A Few Good Men»: quando l’adattamento realizza l’originale

LAURA COTTA RAMOSINO - LUISA COTTA RAMOSINOUn drammaturgo rilegge un drammaturgo. «Il caso Winslow» di David Mamet

ANNAMARIA ROMANA PERENZIN«Hamlet» in 3D

RAFFAELE CHIARULLIUn’altra giovinezza. L’adattamento di «The Man Who Was Peter Pan» nel film «Finding Neverland»

GIULIA GIBERTONI«Frost/Nixon»: Davide contro Davide

Note biografiche

Indice ragionato 2011

Sommario

Di scena in scenaa cura di Paolo Braga e Armando Fumagalli

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«Comunicazioni sociali», 2011, n. 3, 247-250© 2011 Vita e Pensiero / Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Se è vero che la pratica di adattamento è un terreno ideale per comprendere lo specifico espressivo del cinema, l’adattamento da teatro è l’ambito in cui questo specifico può es-sere colto nelle sue pieghe più fini, e definito in pieno dettaglio. Il motivo è che lo studio di un adattamento da teatro impone una maggiore attenzione al particolare.

Quando infatti l’originale da riscrivere per lo schermo non è un testo letterario (un romanzo, una biografia), ma una pièce, la più stretta parentela espressiva tra testo di partenza e testo di arrivo – in entrambi i casi si tratta di arte drammatica – sollecita ad uno sforzo aggiuntivo: le differenze tra dramma e film si colgono e si spiegano con più difficoltà, perché sono state apportate ad una base già destinata alla messa in scena.

Quello che succede quando si accosta un adattamento da teatro, è che le somiglian-ze con il testo di partenza (personaggi concepiti per essere interpretati di fronte ad una quarta parete invisibile, la strutturazione in scene, i dialoghi ecc.) si impongono all’at-tenzione con forza particolare, così come, di converso, ha subitaneo rilievo l’irrompere degli elementi linguistici, scenografici, recitativi squisitamente cinematografici (il mon-taggio, i movimenti di macchina da presa, le location realistiche, le star che interpretano la parte). Meno evidente, invece, resta il sistema di modifiche, spesso sottili, in cui l’adattamento prende compiutamente corpo e anima cinematografici. Cogliere questo sistema di modifiche mette in conto una scansione più radente dei testi a confronto: spiegarlo frutta quindi un significativo incremento di nitidezza nella comprensione di ciò che significa ‘fare cinema’.

È quanto si sono prefissi i contributi raccolti in questo numero. I saggi sono dedica-ti all’analisi di una rosa di adattamenti variegata: generi diversi (dal biografico al legal drama); pur rimanendo nei limiti del cinema mainstream, pellicole rivolte a pubblici diversi (da film per un pubblico più di nicchia, colto e per certi versi simile a quello tea­trale, a film per un pubblico più ampio e predisposto soprattutto allo spettacolo); gradi diversi di modifica sull’originale teatrale (da film che cambiano solo snodi circoscritti del copione, ad altri che lo attualizzano in modo radicale).

Il metodo adottato dagli autori poggia in primo luogo sulla condivisione di com-petenze teoriche che, pur non menzionate esplicitamente nel discorso, ne sostengono ‘da dietro le quinte’ il punto di vista. Si tratta dei guadagni della semiotica sul tema dell’adattamento: un portato che identifica la chiave per la riuscita di questa operazio-ne di riscrittura nel suo essere adeguata all’attività fruitiva, cioè alla collaborazione interpretativa dello spettatore cinematografico1. Formulando ipotesi e integrazioni di

1 Il riferimento è alla corrente pragmatica della semiotica, che sull’adattamento trova in Italia riflessioni fondative in G. Bettetini, Tempo del senso, Bompiani, Milano 1979, e più recentemente, in U. eco, Dire quasi

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significato, il pubblico coopera infatti al senso di una pellicola in modo diverso, ma non meno decisivo, di quanto non faccia il lettore al senso di un romanzo. Anche rispetto alla fruizione del testo teatrale, la collaborazione interpretativa di chi vede un film assume un’accentuazione specifica: per esempio, dato il ruolo meno centrale dei dialoghi, il cinema per coinvolgere il pubblico deve contare di più sulla capacità dello spettatore di cogliere il sottinteso del comportamento visibile dei personaggi (il sottotesto).

Lo sfondo teorico al metodo delle analisi si completa con la condivisione da parte degli autori di un triplice assunto:

– l’asse che regge il senso di un film, e di una pièce, è quello narrativo; – è intrinseco al narrare lo sviluppo di un giudizio di valore sulle azioni dei perso-

naggi; – non potendo fare a meno di organizzarsi attorno ad un punto di vista morale –

pena la dispersione di senso e la perdita di rilievo dei propri contenuti – la narrazione consta sempre di una dimensione retorica: per allacciare il destinatario alle sue posizio-ni, e rendere rilevante ai suoi occhi la sorte dei protagonisti.

Sono assunti che Wayne C. Booth ha esposto in un suo saggio fondamentale2 e che trovano suggestivo riscontro anche sul terreno dell’adattamento cinematografico da teatro, che è anche e soprattutto l’atto di riscrittura di una storia (dal copione alla sceneggiatura).

Nei saggi che seguono, questo insieme di presupposizioni teoriche è stato decli-nato in un operativo metodo di analisi. Ciò è stato possibile mettendo a frutto la sua totale compatibilità con i principi della tecnica di sceneggiatura, così come questa è esposta in manuali, soprattutto americani, scritti da professionisti dell’industria cine-matografica3. Si tratta di una finalizzazione pratica della teoria, di un riversamento della semiotica in concrete indicazioni di scrittura per il cinema, secondo l’approccio

la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Bompiani, Milano 2003. L’impostazione pragmatica nello studio dell’adattamento conosce conferme e sviluppi in area anglosassone nella linea di ricerca che si rifà al saggio inaugurale di G. BlUestone, Novel into Film, University of California Press, Berkeley­Los Angeles 1957. Per gli sviluppi di questa linea di riflessione cfr. K. cohen, Film and Fiction. The Dynamics of Exchange, Yale University Press, New Heaven 1979; tr. it. Cinema e narrativa. Le dinamiche di scambio, Eri, Torino 1982; D. Andrew, Concepts in Film Theory, Oxford University Press, New York 1984; B. McFArlAne, Novel to Film. An Introduction to the Theory of Adaptation, Clarendon Press, Oxford 1996. Sempre in area anglosassone, sull’attività fruitiva dello spettatore cinematografico sono essenziali le osservazioni che, in ottica cognitivista, ha formulato D. Bordwell: cfr. Narration in the Fiction Film (1985), Routledge, London 1990; id., Making Meaning: Inference and Rhetoric in the Interpretation of Cinema, Harvard University Press, Cambridge 1989.

2 W.C. Booth, The Rhetoric of Fiction, The University of Chicago Press, Chicago 1961; tr. it. Reto-rica della narrativa, La Nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi) 1996. Importanti anche gli sviluppi di questa posizione in id., The Company We Keep. An Ethics of Fiction, University of California Press, Berkeley-Los Angeles­London 1988. Abbiamo ripreso il punto di vista di Booth, secondo cui la narrazione ha sempre una valenza ‘pedagogica’, per articolare considerazioni sul racconto cinematografico e televisivo in G. Bettetini - A. FUMAGAlli, Quel che resta dei media. Idee per un’etica della comunicazione, Franco Angeli, Milano 1998 (2010 ed. aggiornata).

3 Cfr. in primo luogo, per la sua profondità argomentativa, R. McKee, Story. Substance, Structure, Style, and the Principles of Screenwriting, Harper Collins, New York 1997; tr. it. Story: contenuti, struttura, stile, principi della sceneggiatura, International Forum Edizioni, Roma 2000. Cfr. anche L. seGer, Making a Good Script Great, Samuel French, New York 1987; tr. it. Come scrivere una grande sceneggiatura, Dino Audino, Roma 1998; C. VoGler, The Writer’s Journey: Mythic Structure for Writers, Michael Wiese Productions, Studio City, Calif., 1992; tr. it. Il viaggio dell’eroe. La struttura del mito ad uso di scrittori e narratori di narrativa e cinema, Dino Audino, Roma 1999; D. MArKs, Inside Story: The Power of the Transformational Arc, Three Mountain Press, Studio City, Calif., 2007; tr. it. L’arco di trasformazione del personaggio, Dino Audino, Roma 2007. Specificatamente dedicato all’adattamento è il manuale di L. seGer, The Art of Adapta-tion, Henry Holt, New York 1992. Sul ruolo dello sceneggiatore nel cinema americano e in quello italiano, cfr. anche G. MUscio, Scrivere il film, Dino Audino, Roma 2009.

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che uno dei curatori di questo numero ha provato a definire in un saggio dedicato proprio all’adattamento4. I contributi qui raccolti dimostrano, ci pare, la fecondità di una simile procedura di analisi.

In estrema sintesi, si tratta di affrontare l’analisi dell’adattamento mettendo a fuoco come il film abbia tradotto, esteso, riformulato il conflitto di valori inscritto nel prota-gonista della pièce. Un conflitto su cui il teatro per sua natura può sostare in termini più tematici ed intellettuali, esplorando direttamente stati d’animo, aspettative, dubbi e insicurezze dei personaggi – si pensi ai monologhi. Un conflitto che, invece, il cinema deve rendere con un’azione nitida, lineare, di intensità crescente, scandita da svolte che sviluppano la vicenda, secondo un canone ormai acquisito, in tre atti.

C’è infatti sostanziale consonanza tra gli addetti ai lavori rispetto ad un punto fon-damentale: il cinema rende al suo meglio quando racconta una parabola di cambiamento del protagonista. Un percorso di maturazione, o comunque di cimento del personaggio principale per vincere le sue debolezze e realizzare se stesso. Nei film riusciti, questo percorso, che nel finale svela tutte le sue implicazioni, diventa, grazie all’empatia che la pellicola ha alimentato con il personaggio principale, accresciuta percezione nello spettatore di ciò che dà senso alla vita: dei valori a cui conviene orientarla.

Questa formula generale, meno necessaria al racconto teatrale, lo diventa invece per il cinema, per ragioni espressive, ma anche per ragioni industriali. Il cinema, infatti, implica investimenti produttivi che pongono questioni di mercato, e l’impostazione nar-rativa appena descritta è quella che storicamente si è mostrata più capace di toccare nel profondo – quindi di richiamare – pubblici numerosi, pubblici di Paesi e culture diversi in caso di produzioni con ambizioni di circuito internazionale.

Anche di questi aspetti i contributi che seguono hanno tenuto conto, perché erano questioni che gli autori degli adattamenti considerati avevano ben presenti mentre lavo-ravano ai loro film.

Un dato oggi particolarmente interessante, ai fini di questa pubblicazione, è che sta cambiando la percezione che il mondo professionale del cinema ha del teatro. Dall’epoca d’oro della Hollywood degli anni Trenta e Quaranta, quando le major letteralmente saccheggiavano la scena teatrale, portando dietro le quinte autori e sullo schermo opere della scena teatrale (sono adattamenti teatrali, solo per fare qualche nome fra mille, classici imperituri del cinema come Casablanca, Scrivimi fermo po-sta, Scandalo a Filadelfia, La signora del venerdì)5 si era passati negli anni Settanta e Ottanta a una situazione in cui il sentire comune (ne è testimonianza uno dei libri della Seger citati in nota) metteva in guardia dal voler adattare per il cinema opere di teatro: questo tipo di adattamento era considerato, fino a circa dieci anni fa, una trappola tanto attraente quanto vischiosa e letale, perché avrebbe dato origine a testi cinematografici soffocanti e chiusi, non adatti a un mezzo dinamico come il racconto per il grande schermo. Ebbene, le cose negli ultimi anni forse stanno cambiando. Ne sono testimonianza una serie di film tratti da lavori teatrali che sono unanimemente considerati fra i più interessanti della produzione contemporanea: si va dal pluripre-miato Il discorso del re, la cui prima stesura, mai rappresentata ufficialmente, era teatrale, a film come Le idi di marzo, cruda parabola sui rischi della corruzione umana

4 A. FUMAGAlli, I vestiti nuovi del narratore. L’adattamento da letteratura a cinema, Il Castoro, Milano 2004.

5 Sul continuo e fruttuosissimo scambio fra teatro e cinema dell’epoca classica di Hollywood è in corso di elaborazione un’ampia ricerca di Raffaele Chiarulli, uno degli autori dei saggi di questo numero, che spe-riamo possa essere presto pubblicata.

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e politica, diretta con mano ferma da George Clooney. Di questa auspicabile nuova era sono espressione proprio alcuni dei film qui analizzati.

Se e quanto, diventando film, una pièce guadagni o perda in termini artistici, il lettore lo potrà valutare nelle pagine che seguono. Risulterà chiaro, ad ogni modo, un punto: come l’adattamento di un testo letterario, così anche l’adattamento di un testo teatrale implica sempre, in qualche modo, una ricreazione dell’originale che ha portato sullo schermo.

P.B. - A.F.

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