Condotte di non-verità. Biografie irregolari e confessione senza verità nel governo dei rifugiati

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Condotte di non-verità. Biografie irregolari e confessione senza verità nel governo dei rifugiati Seconda metà del XVIII secolo, Francia: il sistema delle Lettres de cachet da’ luogo a tutto un campo di saperi, un archivio biografico, spiega Foucault, tale per cui “attraverso queste lettere [...]una serie di banalità biografiche cominciano a divenire oggetto di un sapere ancora infra-epistemologico a quest’epoca” 1 . Biografie e condotte che restano infatti al di sotto della soglia di psicologizzazione dei soggetti così come del partage netto tra legale e illegale, e che vengono invece inscritte in un “grigiore appena irregolare”: condotte non colpevoli di infrazioni giuridicamente sanzionabili ma, piuttosto, di tutta una serie di comportamenti “irregolari” in quanto improduttivi, soggetti che si sottraggono o resistono ai meccanismi di produzione capitalista e che vengono catturati in un campo di sapere, registrate in un archivio fino ad allora inesistente “attraverso l’irregolarità” 2 . Senza mai nominare la nozione ‘verità’, nel Corso al College de France del 1972-1973, La société punitive, Foucault indirizza lo sguardo verso l’emergenza di un campo di sapere che si costituisce sui soggetti creando soglie e partages infra- epistemologici, che tracciano le soglie di accettabilità e regolarità delle condotte. “Tratti”, li definisce Foucault, le categorie di irregolarità (dissipazione, violenza, spreco, dissoluzione) attraverso cui “il potere esercitandosi su un 1 M. Foucault, La société punitive. Cours au College de France 1973-1973, Gallimard, Paris, 2013, p. 134. 2 Ivi, p.135.

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Condotte di non-verità.

Biografie irregolari e confessione senza verità nel governo dei rifugiati

Seconda metà del XVIII secolo, Francia: il sistema delle Lettres

de cachet da’ luogo a tutto un campo di saperi, un archivio

biografico, spiega Foucault, tale per cui “attraverso queste

lettere [...]una serie di banalità biografiche cominciano a

divenire oggetto di un sapere ancora infra-epistemologico a

quest’epoca”1. Biografie e condotte che restano infatti al di

sotto della soglia di psicologizzazione dei soggetti così come

del partage netto tra legale e illegale, e che vengono invece

inscritte in un “grigiore appena irregolare”: condotte non

colpevoli di infrazioni giuridicamente sanzionabili ma,

piuttosto, di tutta una serie di comportamenti “irregolari” in

quanto improduttivi, soggetti che si sottraggono o resistono

ai meccanismi di produzione capitalista e che vengono

catturati in un campo di sapere, registrate in un archivio

fino ad allora inesistente “attraverso l’irregolarità”2. Senza

mai nominare la nozione ‘verità’, nel Corso al College de

France del 1972-1973, La société punitive, Foucault indirizza lo

sguardo verso l’emergenza di un campo di sapere che si

costituisce sui soggetti creando soglie e partages infra-

epistemologici, che tracciano le soglie di accettabilità e

regolarità delle condotte. “Tratti”, li definisce Foucault, le

categorie di irregolarità (dissipazione, violenza, spreco,

dissoluzione) attraverso cui “il potere esercitandosi su un

1 M. Foucault, La société punitive. Cours au College de France 1973-1973, Gallimard, Paris, 2013, p. 134.2 Ivi, p.135.

individuo lo pone in una situazione di assoggettamento”.

Individui, corpi e condotte che diventano oggetto di un sapere

e che rientrano in ciò che a partire dal ’76 Foucault definirà

“regime di verità” – quello degli illegalismi – ma che non

sono tenuti a produrre un dire-vrai su se stessi. Condotte

registrate, archiviate e categorizzate per produrre una norma

di regolarità, margini di tolleranza degli illegalismi che

variano in funzione delle trasformazioni dei meccanismi di

produzione.

Discorsività e messa in discorso delle esistenze senza dire-vrai.

Per tracciare le genealogie del dire-vrai che Foucault

intraprende nelle conferenze tenute all’Università di Lovanio

nel 1981, Mal faire dire vrai, e nel Corso al College de France del

1980, Del governo dei viventi, vorrei partire in primo luogo dalla

discorsività senza dire-vrai attraverso cui certi soggetti, come

quelli descritti da Foucault ne La société punitive, vengono

prodotti al contempo come condotte governabili e oggetto di

sapere. In questo modo l’ingiunzione per il soggetto a dire la

verità su di sé che per Foucault caratterizza le società

occidentali può essere letto in relazione e a partire dal suo

limite, ovvero soffermandosi su meccanismi di potere e di

soggettivazione il cui regime di verità non prevede né rende

possibile una pratica di dire-vrai. Del resto, un’ analisi dei

regimi di verità nella loro molteplicità può andare oltre le

differenti modalità di articolare “manifestazione del vero e

soggetto che la opera”3 e reperire piuttosto dei meccanismi di

assoggettamento-soggettivazione in cui la produzione di verità3 M. Foucault, Del governo dei viventi. Corso al Collège de France, 1979-1980, Feltrinelli, Milano, 2014, p. 107.

non è necessariamente legata a un dire-vrai o si indirizza a

soggetti “incapaci” di verità. É per differenza e per scarto

rispetto ai meccanismi di assoggettamento-soggettivazione in

cui non vi è discorso di verità dei soggetti su di sé che le

genealogie del dire-vrai possono emergere nella loro specificità

tra la molteplicità di regimi di verità in gioco. In secondo

luogo, cercherò di mostrare come la centralità riservata da

Foucault nelle conferenze di Lovanio e nel Corso Del governo dei

viventi al dire-vrai, in quanto pratica costitutiva della produzione

di soggettività, sia il frutto di un déplacement dello sguardo

foucaultiano sia rispetto al piano delle relazioni di potere –

da un’analitica del potere ai rapporti tra governo di sé e

governo degli altri - sia in relazione al tipo

soggetto/individuo a cui questo si indirizza.

Per proseguire questo gioco di scarti tra differenti regimi di

verità torniamo al Corso La société punitive. Cambio di scena: non

più XVIII ma prima metà del XIX secolo, ancora Europa,

all’epoca in cui nascono e proliferano tutta una serie di

istituzioni di reclusione che vanno ben oltre le mura della

prigione. Sono istituzioni e forme sociali di controllo, dice

Foucault, “moltiplicatori di potere”4 che fissano gli individui

agli apparati di produttivi, per limitare le “condotte di

dispersione” e il rifiuto del lavoro, vere minacce di un

possibile inceppamento del sistema capitalista di produzione.

Reclusione che non mira come nel XVIII secolo (solo) ad

escludere, a marginalizzare, ma a re-inserire in un regime di

normalizzazione e di produzione. Piuttosto, si tratta di

4 La société punitive, p. 211

meccanismi di “sequestro” del tempo della forza lavoro dei

soggetti; una presa di potere sul loro tempo o meglio della

trasformazione della vita in forza lavoro: prendendo di mira

l’assioma marxista che vede nel lavoro l’esistenza concreta

dell’uomo, Foucault sottolinea che “il tempo e la vita de

l’uomo non sono lavoro per natura [...] è tutta questa energia

esplosiva che bisogna trasformare in una forza di lavoro

continua e continuamente offerta sul mercato. Bisogna

sintetizzare la vita in forza lavoro”5. Ora, queste

“istituzioni di sequestro” non funzionano tramite un discorso

di verità che il soggetto deve produrre su di sé e a cui deve

legarsi ma, piuttosto, attraverso il costituirsi di una sorta

di “costante antropologica”6 – l’apparizione del criminale come

nemico sociale – attorno a cui tutti i vari illegalismi di

condotta vanno a posizionarsi e a essere giudicati, esclusi,

tollerati o sanzionati. La produzione di norme che ne consegue

non corrisponde dunque al giuridicamente interdetto ma resta

in un campo più fluido e indeterminato che è quello degli

illegalismi popolari e dei comportamenti

tollerabili/intollerabili. Campo di norme che non definiscono

dei partages di verità attorno a cui corpi e condotte si

posizionano ma che inscrivono delle abitudini al livello del

corpo e del desiderio per neutralizzarne e gestirne

l’improduttività così come “l’irregolarità della mobilità

nello spazio”7. Insieme alle norme una nuova discorsività si

attiva, “il comportamento degli individui finisce per entrare

5 Ivi, p. 2366 Ivi, p. 2597 La société punitive, p.193

in un tipo di discorsività assolutamente nuovo”8. Questa messa

in discorso dei soggetti non è certo una novità del XIX

secolo, ci ricorda Foucault, ma una forma di presa sui corpi e

sulle condotte già pienamente all’opera nella pratica di

confessione. Tuttavia, e qui si situa il punto di maggiore

interesse per il nostro gioco di scarti, la discorsività che

si produce come effetto delle norme e dei meccanismi di

sequestro si differenzia in maniera sostanziale dalla tecnica

di confessione: quest’ultima, infatti “è caratterizzata dal

fatto che è il soggetto stesso a parlare; [essa] non lascia

mai alcun archivio [...] Al contrario ciò che appare nel IX

secolo è del tutto differente: si tratta di una discorsività

che riprende il quotidiano, l’individuale, l’intimo, il

corporeo, il sessuale all’interno di un certo spazio definito

dalle istanze di sequestro”9. In altre parole, la discorsività

che emerge dalle tecniche di sequestro serve a delineare “uno

spazio di contabilità morale quotidiana. La totalità del loro

tempo viene ripresa in tal modo all’interno di una

discorsività”. Una descrizione, peraltro, che sembra

approssimarsi non poco alla definizione di aveu fornita da

Foucault nella conferenza inaugurale di Lovanio: “la

confessione è un atto verbale attraverso cui il soggetto pone

un affermazione su ciò che è, si lega a questa verità, si pone

in un rapporto di dipendenza rispetto agli altri e modifica al

contempo il rapporto con se stesso”10. Ma proprio da questa

definizione emerge che l’istanza della produzione discorsiva è8 Ivi, p.2209 Ivi, p.221.10 M. Foucault, Mal faire dire vrai. Fonction de l’aveu en justice, Presses Universitaires de Louvain, Louvain, 2012, p.7

opposta nei due casi: da un lato il sapere di normalizzazione

sulle condotte prodotto che si produce insieme alle

istituzioni di sequestro, dall’altro il soggetto che è

obbligato a produrre un discorso di verità su di sé e a

stabilire se stesso all’interno di un rapporto determinato a

una certa verità11. Tuttavia, a un’analisi più attenta non è

difficile rintracciare ulteriori differenze che ancor più

qualificano i due discorsi di verità. La discorsività del

sequestro che si produce sui soggetti in quanto vita tradotta

in forza lavoro12 ha una duplice funzione: moralizzare corpi e

condotte e, insieme, avere presa sul loro tempo. Di fatti, non

è semplicemente questione di un’inversione della direzionalità

del discorso – l’individuo come soggetto o oggetto del

discorso di verità – ma della sua funzione: nel caso delle

istanze del sequestro a essere in gioco non é una

verbalizzazione esaustiva delle condotte ma un governo della

loro temporalità; ovvero, come ostacolare e squalificare,

irregolarizzando o rinchiudendo, le condotte resistenti, i

comportamenti improduttivi e la dissipazione della classe

operaia. Quello che si produce è allora un dire che in quanto

non è tale legato a una o a piú verità ma che fissa un campo

di irregolarità a partire da una norma che altro non è che “lo

strumento attraverso cui gli individui sono legati a questi

11 P. Chevallier, Vers l’éthique. La notion de « régime de vérité » dans le cours Du Gouvernement des vivants, in Lorenzini, Revel, Sforzini, Michel Foucault : éthique et vérité, 2013, Vrin, Paris.. 12 Il tempo gioca in questo contesto il ruolo di echangeur tra vita emeccanismi di produzione : « da un lato il tempo diventa la materia discambio, dall’altra è la misura del tempo che permette la quantificazionedello scambio […] un fenomeno essenziale che consiste nell’introduzionedella quantità di tempo come misura e non soltanto come misura economica »(La société punitive, p.86).

apparati di produzione”13. É importante sottolineare che in

questo contesto il punto di applicazione del potere a cui

Foucault si riferisce è quello della gestione e della

moralizzazione delle classi lavoratrici, della

capitalizzazione delle vite in forza lavoro e della loro

fissazione ai meccanismi di produzione. In questo senso si può

affermare che se da un lato a essere oggetto delle tecniche di

controllo e moralizzazione sono i comportamenti individuali,

dall’altro la discorsività sulle vite prodotta dalle

istituzioni di sequestro delinea i margini di tolleranza del

“grigiore degli illegalismi” da parte di ciò che potremmo

nominare una popolazione irregolare.

Le relazioni di potere e i discorsi di verità che Foucault

prende in esame nell’analisi sulla nascita della società

punitiva passano a lato rispetto ai centri di potere statali

andando a posare lo sguardo su tutto un réseau di istanze di

sequestro di cui la prigione è solo una forma sociale interna

a un sistema capillare di produzione e gestione degli

illegalismi. Questo “dislocamento” rispetto all’istituzione,

come Foucault lo ha definito in Sicurezza, territorio, popolazione, è

ciò che qualifica la postura analitica di Foucault lungo tutta

la sua ricerca. Tuttavia, con l’introduzione nel 1978 del

paradigma del governo Foucault opera un déplacement rilevante

rispetto allo spazio di relazioni di potere che sono oggetto

delle sue genealogie: non le economie di produzione o di

quadrillage delle condotte – scuole, prigioni, industrie – ma il

campo di azione delle relazioni tra governanti e governati e i

13 La société punitive, p.242

processi di soggettivazione relativi a quelle obbligazioni -

sapere su di sé e produzione di una verità su di sé – a cui il

soggetto si trova legato. Da un’analisi della regolazione e

del controllo di resistenze collettive – o meglio, di

comportamenti individuali che tuttavia danno luogo a fenomeni

di illegalismo – e da una lettura dell’economia delle

condotte il focus si sposta nell’80 e ’81 sui modi in cui un

certo soggetto si trova costituito e preso all’interno di un

campo di rapporti di forza, così come sulle pratiche di

trasformazione del soggetto stesso esercitate nella duplice

forma governo di sé-governo degli altri.

Le genealogie del dire-vrai foucaultiane vanno dunque a loro

volta situate all’interno di questo déplacement di piano verso

cui Foucault indirizza lo sguardo per analizzare il gioco di

saperi-poteri, nell’80 e ’81 ridefinito in termini di “regimi

di verità”. Déplacement che viene ben sottolineato dal

differente modo in cui Foucault si approccia al giuridico e

rispetto a cui il dire-vrai assume la sua centralità nelle

riflessioni dell’ ’80-’81. Infatti, le analisi sulla società

punitiva sono strutturate su una triangolazione tra pratica

giudiziaria, teoria penale e pratiche di reclusione,

sottolineando come il funzionamento e la razionalità di queste

terze non possono essere dedotte dalle prime due. Non solo un

discorso di verità non è richiesto al soggetto ma nemmeno deve

essere formulato dai meccanismi di potere-sapere, che

funzionano attraverso la messa in atto di tecnologie di

normalizzazione e moralizzazione. Invece, in Mal faire dire vrai la

genealogia della tecnica della confessione e dunque della

funzione del dire-vrai nella formazione della soggettività

occidentale è intrapresa da Foucault precisamente a partire

dalla sua interdipendenza con la pratica giudiziaria. In

effetti il dire-vrai acquista una centralità assoluta all’interno

delle tecniche di governo nella misura in cui l’angolo di

analisi diventa il modo in cui “i soggetti si sono

effettivamente legati nelle e attraverso le forme di

veridizione in cui si impegnano”14 e rispetto a cui, come

Foucault precisa, la pratica giudiziaria svolge un ruolo

chiave o in ogni caso una prospettiva privilegiata di analisi:

“mi sembra che possa essere interessante collocare queste

pratiche penali innanzitutto come centro di un primo cerchio

di intelligibilità all’interno delle tecniche di governo.

Governo inteso in senso ampio: [come] maniera di trasformare e

dirigere la condotta degli individui”15. Nel momento in cui

l’analisi foucaultiana si focalizza sull’asse

governanti/governati, il dire-vrai del soggetto e il legarlo

“alla sua propria verità, attraverso la sua verità e tramite

l’enunciazione da parte sua della sua propria verità” emerge

come cifra caratteristica del soggetto occidentale moderno16 e

come obbligazione socialmente e storicamente trasversale:

“questa obbligo di dire il vero su se stessi non è mai cessato

nella cultura cristiana, e verosimilmente nelle società

occidentali. Siamo obbligati a parlare di noi stessi per dire

il vero su di noi”17.

14 Mal faire, dire vrai, p.9.15 Ivi, p.12.16 Crf. Del governo dei viventi, Lezione del 19 marzo.17 Ivi, p. 313.

La centralità assegnata da Foucault a ciò che egli definisce

“la flessione del soggetto verso la propria verità” - e in cui

tale ‘propria’ verità è l’effetto di un certo regime di

sapere, quello psichiatrico-giuridico nelle società

contemporanee - è il frutto del déplacement dello sguardo

foucaultiano dall’economia delle condotte (im)produttive verso

lo spazio delle relazioni governanti-governati. A partire da

qui, ciò che vorrei provare a interrogare sono le forme di

soggettivazione che emergono, e il loro rapporto con pratiche

di dire-vrai, quando lo spazio delle relazioni governanti-

governati non è abitato da soggetti-cittadini ma da “biografie

irregolari” che di fatto sfuggono o non sono contemplate

nell’affermazione secondo cui vi sono “dispositivi [di verità,

N.d.A.] che informano ciò che costituisce la soggettività

cristiana, e di conseguenza la soggettività occidentale”.

Pratiche di mobilità, potremmo definirle, rispetto a cui

l’ingiunzione a dire il vero su di sé e a legarsi alla propria

verità si combina con tutta una serie di meccanismi di presa

sulla temporalità delle vite e sulla loro (im)produttività.

Del resto, l’equazione tra soggettività cristiana e

soggettività occidentale, o meglio la genealogia della seconda

a partire dalla prima, richiede oggi, anche all’interno dello

spazio europeo, una rivisitazione alla luce della dimensione

postcoloniale dell’Europa stessa. In tale contesto, le

migrazioni contribuiscono in maniera sostanziale a definire

tale condizione postcoloniale, in base a cui l’esistenza di

altri regimi di potere e governamentalità non è più (soltanto)

questione di ‘spazi altri’ ma implica direttamente quello

spazio europeo correlato di quella soggettività occidentale

oggetto delle analisi foucaultiane. Controllo sulla mobilità e

la temporalità delle vite dei migranti, frammentazione dei

progetti di migrazione, fissazione allo spazio e produzione di

forza lavoro irregolare si articolano con tecniche di governo

sulle condotte migranti che prevedono una messa in discorso

delle vite e delle storie di migrazione, insieme a una

classificazione, una ripartizione, di tali condotte in profili

di mobilità. In altre parole, i due sguardi dissocianti di

Foucault sulla produzione e sul governo di soggettività –

istanze di sequestro e regolazione temporale e ‘morale’ degli

illegalismi da un lato, obbligazione al dire-vrai e

coinvolgimento del soggetto nel produrre la verità su di sé

dall’altro – forniscono due coordinate da riassociare insieme

per analizzare la governamentalità delle pratiche (non

autorizzate) di mobilità. In tal modo si può cogliere inoltre

come gli stessi meccanismi disciplinari e il regime di

“governo attraverso la verità”18 risultano a loro volta

alterati, scomposti, riqualificati alla luce della presenza

delle “condotte irregolari” contemporanee. In particolare,

come cercherò di mostrare, nel caso specifico del governo dei

rifugiati la tecnologia della verbalizzazione si rivela una

paradossale confessione senza verità e il meccanismo di produzione

di soggettività e il discorso prodotto dal e sul soggetto

resta essenzialmente slegato ed esterno a esso.

In fondo, si potrebbe ripartire proprio dalle descrizioni di

Foucault dell’emergenza storica degli apparati di cattura e di

18 Mal faire, dire vrai, p.13.

moralizzazione per capire quanto l’esigenza di governare

pratiche di mobilità che diventano condotte irregolari e

dissidenti rispetto ai meccanismi di produzione sia alla base

di tutta una serie di tecniche e saperi di disciplinamento sui

corpi e sulle condotte. La “presa sul tempo” definisce uno dei

meccanismi principali di gestione e frammentazione dei

progetti di migrazione dei soggetti, ben prima di ogni

possibile messa in discorso richiesta ai migranti o effettuata

su di loro. E tuttavia, come accennato, lungi dall’essere

assenti, le tecniche di dire-vrai sono tra i tasselli che

compongono le geografie esistenziali dei migranti per come ri-

tracciate dalle politiche migratorie e narrate dalle politiche

di asilo che operano un triage tra soggetti vulnerabili e in

diritto di protezione e migranti economici. Quello su cui

invece vale la pena insistere é lo specifico regime di dire-vrai

in gioco nel governo dei rifugiati e i suoi effetti sulla

produzione di soggettività. Un regime di dire-vrai che si basa

essenzialmente su una presunzione di non-verità e che postula

dei soggetti incapaci di produrre un discorso di verità su di

sé. Se prendiamo in considerazione le storie che i richiedenti

asilo sono tenuti a raccontare di fronte alla commissione

territoriale che ha il potere di decidere se assegnare o meno

la protezione internazionale, queste non si presuppone che

siano storie 'vere’ ma ‘buone’. Ovvero, come sanno i migranti

in attesa del loro turno per l’ ‘esame di storie’, ciò che di

fatto viene chiesto a un richiedente asilo é di riuscire a

provare e a ricostruire una narrazione coerente della propria

esperienza di migrazione, che si inserisca a pieno titolo in

una dei ‘profili di mobilità’ fissati dalle politiche

migratorie – rifugiati, displaced persons, migranti economici,

soggetti vulnerabili... ‘Buone storie’ che devono rispondere e

conformarsi all’interno di una serie di categorie e condizioni

normative stabilite in anticipo dalla cartografia delle

mobilità irregolari tracciata dal regime delle migrazioni19. Al

limite si potrebbe dire che il governo delle condotte migranti

si esercita attraverso una produzione di ‘profili’: tutta una

serie infinita di complessità biografiche, percorsi di

migrazione, attraversamenti, numeri e esistenze in sospensione

vengono dissociate dalle singole condotte per essere

riassemblati in nuove categorie, in profili di mobilità

irregolare. Nonostante al richiedente asilo venga domandato di

dire la verità sulla propria storia di migrazione, in realtà

se il discorso di verità profferito non corrisponde né

risponde alle categorie di condotte migranti considerate

‘meritevoli’ e in diritto di protezione, il dire-vrai del

soggetto su di sé può addirittura risultare fonte di

esclusione dal sistema dell’asilo.

Il dire-vrai non é dunque in quanto tale condizione e tecnica di

‘guarigione’, integrazione o ‘salvezza’: piuttosto, a sua

volta il dire-vrai é subordinato a un regime di governo delle

condotte dove prioritario diventa domandarsi ‘la verità di chi

?’. Infatti, la verità e la messa in discorso richieste al

migrante non sono che la conferma di una adesione a una

‘verità già là’, quella attualizzata nei profili di mobilità

19 - Cfr. R. Beneduce Undocumented bodies, burned identities: refugees, sans papiers, harraga when things fall apart, in Social Sciences and Information, 2008, 47, pp. 505-527.

tracciati dalle agenzie di governo delle migrazioni e che

delinea un’economia e una geografia morali di pratiche

autorizzate e non autorizzate di migrazione. Al contrario, il

discorso del richiedente asilo viene postulato per principio

come non-vero, in quanto soggetto capace o sospetto di

mentire20. É solo attraverso un percorso narrativo che riesce a

evitare le incoerenze e le contraddizioni interne che il

discorso del migrante può eventualmente diventare una terapia di

verità. Su quest’ ultima nozione vale la pena soffermarsi per

individuare quel gioco di scarti presentato all’inizio di

questo intervento: “terapie di verità” le definisce Foucault

nella prima conferenza intitolata Soggettività e verità tenuta al

Darmouth College nel 1980 per indicare il “postulato,

generalmente accettato nelle società occidentali, secondo cui

per la propria salvezza ciascuno ha bisogno di conoscere il

più esattamente possibile chi é, e inoltre [...] deve dirlo il

più esplicitamente possibile”21. Ora, lo spostamento dello

sguardo sul governo dei rifugiati ci permette di interrogarci,

anche oltre il riferimento specifico alle migrazioni, se

effettivamente vi sia una ‘terapia’ prevista come esito del

discorso di verità richiesto ai soggetti oggi, o se invece sia

piuttosto l’impossibilita della norma a caratterizzare la

squalificazione di certi comportamenti e pratiche sociali. Nel

caso dei migranti questo interrogativo può essere presentato

20 Una “prova permanente”: così Foucault definisce la forma di sorveglianzaesercitata sulle classi lavoratrici e sulle condotte irregolari.“Un’inchiesta ma prima di ogni delitto, al di fuori di ogni crimine. Sitratta di un’inchiesta di sospetto generale e apriori dell’ individuo” (Lasociété punitive, p. 200).21 M. Foucault, Sull’origine dell’ermeneutica del sé, Cronopio, Napoli, 2012, pp. 32-33.

come una messa in discussione della logica di integrazione

presupposta in molte analisi politiche e teoriche

sull’immigrazione: l’eventuale protezione umanitaria o lo

status di rifugiato sono assegnati in cambio della

vulnerabilizzazione delle esistenze dei migranti, della loro

definitiva ‘migrantizzazione’. L’obbligazione a rendere il

proprio percorso di migrazione e di vita leggibile dalle

categorie governamentali non mira a ‘curare’ o ‘salvare’ il

soggetto incapace di dire il vero ma a descriverlo secondo un

certo schema diagnostico e ad assegnarlo a un determinato

spazio: la politica del reinsediamento che colloca i rifugiati

in paesi altri rispetto a quello dove hannoo ottenuto l’asilo

non è concepita sulla base in una logica di salvezza ma

piuttosto su una dislocazione e ricollocazione biopolitica

delle popolazioni migranti, dei corpi e delle esistenze.

Inoltre, i processi di soggettivazione legati alla produzione

di storie e di forme di confessione senza verità dipendono a

ben vedere come in rifrazione e in virtú dell’impatto con le

tecnologie e i saperi governamentali. In effetti, è sempre a

partire dalle geografie morali tracciate dal regime delle

migrazioni che un certo tipo di soggetto migrante viene detto

e raccontato, come migrante economico o rifugiato o rifugiato

diniegato: ad esempio, nella procedura di attribuzione

dell’asilo un ruolo fondamentale é giocato dalla lista UNHCR

in cui si distinguono Paesi di origine‘sicuri’ e ‘non sicuri’.

Tale criterio geopolitico va ad articolarsi con una

valutazione delle storie individuali rispetto a cui, come

sopra menzionato, i soggetti sono presupposti incapaci di

produrre un discorso di verità: a caratterizzare l’esame delle

domande di asilo è di fatti la non credibilità e la non

fondatezza della parola del rifugiato22. Quella del richiedente

asilo è per definizione una condotta non vera, che deve essere

passata al vaglio della geografia morale del sistema esclusivo

dell’asilo, provando una sorta di adesione asintotica ai

profili di mobilità stabiliti, al fine di poter ottenere il

riconoscimento nella geografia dell’umanitario. Ma confessione

senza verità non significa che non vi sia obbligo a mettere in

discorso la propria esistenza e il proprio percorso: al

contrario, al richiedente asilo é richiesta un’incessante

verbalizzazione fino al momento della decisione finale, una

messa in discorso che si rivela innanzitutto una messa alla

prova della consistenza e della coerenza della narrazione e

della corrispondenza tra eventi vissuti e racconto. Il

fondamentale discredito che accompagna l’esame delle storie

dei rifugiati si traduce in una sorta di ‘colpevolezza fino a

prova contraria’: il richiedente asilo deve convincere, più

che dimostrare, attraverso una serie di narrazioni coerenti,

che il suo caso costituisce un’eccezione rispetto alla

geografia morale in cui la sua esperienza di migrazione si

colloca. La confessione senza verità non comporta che il

soggetto si leghi al discorso su di sé e al modo in cui

verbalizza la propria esperienza di migrazione: a differenza

della corrispondenza tra discorso e soggettività che la

confessione psichiatrica richiede,23 nel governo dei rifugiati

22 Cfr. D.Fassin, The Precarious Truth of Asylum, in Public Culture, 2013, 25(1), pp. 39-63.23 Cfr. Mal faire dire vrai, conferenza del 2 aprile 1981

non importa che il soggetto autentichi se stesso attraverso un

coinvolgimento rispetto a quel discorso su di sé. In secondo

luogo, come Foucault spiega, la confessione, sia come tecnica

religiosa che nella sua variante secolare, mira a disciplinare

e governare il soggetto attraverso la sua individualizzazione24

o trasformazione25, e la sua adesione a un patto sociale: ad

esempio, la pratica della confessione nel contesto giuridico

comporta che il soggetto non solo riconosca il crimine ma

anche la validità della punizione e, di conseguenza, il patto

sociale in cui, attraverso l’atto di confessione, chiede di

essere reintegrato. Nel caso delle storie dei richiedenti

asilo, i minuziosi dettagli biografici a loro richiesti e le

prove psicologiche non mirano a estrarre una verità nascosta

del soggetto confessore ma a forzare quelle biografie in una

cartografia morale pre-esistente. La forza e l’obiettivo della

confessione senza verità sta nel suo effetto normalizzatore,

vale a dire nel riuscire a far aderire l’individuo a una certa

categoria di mobilità non ottenendo il suo consenso ma

inscrivendo il suo racconto di vita in essa. O, quando le24 Per una riflessione critica sul meccanismo di invididualizzazione percome tematizzato da Foucault si veda F. Sossi, Migrare. Spazi diconfinamento e strategie di esistenza, IlSaggiatore, Milano, 2007: “Quelloche non è del tutto tematizzato in Foucault è il fatto che l'archiviodell'individuale nasce con lo stato-nazione e con un raccontoindividualizzante della nazione che , mentre include in sé l'io prigionieroo l'io folle, propone anche un più inglobante noi cittadini, individuale egenerale al contempo, che ha come risvolto un voi stranieri a sua voltaarchiviato” (p.125).25 Infatti, l’obiettivo delle tecniche di confessione, anche nella loroversione contemporanea e secolare, comportano come spiegato da Foucault inMal faire, dire vrai, che il soggetto produca un sapere su di sé al fine di unasua trasformazione e per modificare la sua relazione con la propriamalattia o crimine. Al contrario, il l’ingiunzione discorsiva imposta airichiedenti asilo non ha per obiettivo la trasformazione del soggetto o unsuo engagement rispetto alle categorie di mobilità e di condotte entro cuisi cerca di inscrivere la sua biografia.

singolarità e i loro racconti eccedono e mal si collocano

rispetto allo spettro delle partizioni categoriali esistenti,

il diniego della protezione internazionale si combina a una

sostanziale invisibilizzazione di quei soggetti.

Ma al tempo stesso è precisamente questa discrasia che spesso

si verifica tra l’ epistemologia sottesa alla governamentalità

delle migrazioni e gli intricati percorsi di migrazione, non

inscrivibili in uno di quei profili o di quelle verità già là

che produce continue crisi nell’apparato discorsivo di cattura

delle pratiche di movimento, costringendolo a reinventarsi.

Dal lato delle istanze di potere, la proliferazione discorsiva

é altrettanto significativa: l’invenzione di nuove categorie e

profili di mobilità per stare al passo con la complessità e

l’eterogeneità delle pratiche di migrazione, nonché degli

intricati percorsi di vita fa sì che si assista a un costante

rinnovamento dei partages normativi tra condotte regolari e

irregolari, o comunque tra illegalismi (di mobilità) da

tollerare o sanzionare. In fondo, su cosa si applica e che

tipo di normalizzazione produce la norma di disciplinamento

delle condotte migranti ? Si potrebbe dire che é una norma che

regolarizza, e piú precisamente che regolarizza le irregolarità; non

regolarizzando giuridicamente gli illegalismi di mobilità ma

inscrivendoli in un regime gestionario di sapere che codifica

e ha presa su quelle condotte come ‘migrazioni da governare’.

Irregolarità prodotte e poi catturate all’interno di una

tassonomia di illegalismi articolati attorno a una norma che

non parte da una ‘soggettivita normale’ ma che in principio

definisce profili di condotte fuori posto. Di fronte alla

presenza di illegalismi che in un certo momento si rivelano

intollerabili per l’economia di potere e del discorso,

‘regolarizzare le irregolarità’ significa essenzialmente

evitare che quelle condotte di mobilità possano disturbare,

alterare, interrompere l’architettura dei meccanismi di

disciplinamento e risultare impreviste.

La stessa nozione di verità passa in parte in secondo piano

rispetto all’idea di una esposizione e constatazione di fatti,

ossia di un’oggettività presentata più come il risultato di

un’evidenza fondata su saperi standardizzati che non come una

realtà inintelligibile da portare alla luce. Questa

esteriorità del regime di veridizione rispetto al soggetto,

ciò che potremmo definire una dislocazione della produzione di

verità rispetto al soggetto stesso – al migrante non viene

richiesto di legarsi a quel discorso che produce, né é

supposto essere un soggetto capace di verità – non significa

peraltro che ogni possibilità di resistenza sia preclusa. Al

contrario, il rifiuto di aderire o di conformarsi a uno dei

profili di mobilità, o il mandare in crisi tali categorie con

storie che impediscono di essere ricondotte fino in fondo

entro uno schema di intelligibilità ‘diagnostica’, fanno sì

che spesso il partage e l’economia morale delle condotte

migranti fallisca nel tentativo di ‘dire la verità sul tipo di

‘soggettività irregolare’ che si trovano di fronte. É

precisamente l’assenza di una “relazione significante” tra il

soggetto, la condotta, e il discorso prodotto su di sé che, a

differenza di quanto è in gioco nelle forme di confessione

secolare26, permette in parte ai soggetti di disimpegnarsi e

sganciarsi rispetto alla soggettività che il sapere

diagnostico-governamentale della razionalità umanitaria

ascrive. Rifiuto che può essere messo in atto attraverso ciò

che Fanon ha definito un’ “orchestrazione della bugia”27 o più

in generale resistendo alla possibilità che una ‘diagnosi’

possa essere effettuata: un impedire la presa da parte del

discorso categorizzante che si dispiega al livello dei corpi –

difficolta di attestare i segni di vulnerabilità o di violenza

– che al livello delle storie, delle confessioni senza verità

strategicamente articolate dai richiedenti asilo. L’elusività

di alcune storie e la loro radicale non linearità rendono

certe biografie ‘illeggibili’ né traducibili in profili (di

mobilità) o narrabili in storie dal regime di veridizione.

Alla base del dire-vrai come tecnologia specifica legata alla

produzione di soggettività in occidente, sta il presupposto

secondo cui l’individuo deve produrre un sapere su di sé,

instaurare un rapporto di sapere rispetto a se stesso. Il

soggetto confessore non é soltanto oggetto di un sapere

psicanalitico, giuridico o medico ma è esso stesso soggetto di

conoscenza attraverso una costante esplorazione di sé28, a

differenza del soggetto non-sapiente catturato dalle istanze

26 Cfr. Mal faire, dire vrai.27 F. Fanon, Condotte di confessione in Nord Africa, in Scritti sulla follia, Ombre Corte, Verona, 2012.28 Cfr. Del governo dei viventi, Lezione 6 febbraio 1980, dove Foucault definisceil regime di verità in termini di obbligazione e costrizione: “il regime diverità è ciò che costringe gli individui a un certo numero di atti diverità” (p.91), nel senso che i soggetti si trovano legati a manifestare sestessi come oggetti di verità. Su questo tema si veda anche D. Lorenzini,What is a regime of truth ?, in Foucaultbloghttp://www.fsw.uzh.ch/foucaultblog/blog/28/what-is-a-regime-of-truth

di sequestro e su cui può solo prodursi un sapere

normalizzante. Tuttavia, a fianco di questa produzione di

sapere del soggetto su di sé, troviamo, ad esempio nel

contesto del governo dei rifugiati, meccanismi di produzione

di un non-sapere radicale del soggetto rispetto al proprio

spazio e alla propria futura collocazione. Di fatti,

nonostante le molteplici conoscenze relativi ai loro diritti o

ai tempi delle procedure amministrative, questo sapere si

rivela essere una sostanziale ignoranza di fronte

all’effettivo funzionamento dei meccanismi e dei tempi del

sistema dell’asilo. Insieme a questo, lo spazio in cui anche

solo temporaneamente ai richiedenti asilo e rifugiati viene

concesso di stare o in cui vengono arenati per mesi in attesa

che la loro domanda venga processata, risulta sostanzialmente

inutilizzabile per loro: l’impossibilità di ottenere

un’indipendenza economica rende ad esempio ineffettivo ed

escludente la loro presenza in quello spazio. Di conseguenza,

l’impossibilita di un dire-vrai su di sé è accompagnato da un

fondamentale non-sapere sulle loro vite e riguardo allo spazio

in cui i rifugiati stessi sono arenati, bloccati o

temporaneamente sospesi.

Volgendo lo sguardo sul governo dei rifugiati per interrogare

il funzionamento e le genealogie del dire-vrai consente di

riarticolare l’asse governanti-governati e lo spazio del

regime di veridizione “connesso alla soggettività”29 insieme

alla dimensione del governo della popolazione. Come noto il

tema del governo emerge in Foucault nel 1978 precisamente al

29 Del governo dei viventi, p. 90.

punto di incontro tra governo delle popolazione e governo

delle condotte, poi nella riflessione sulle tecniche di dire-vrai

e sui processi di soggettivazione a esso collegati, il piano

della popolazione passa decisamente sullo sfondo a favore,

come già detto, delle relazioni governo di sé/governo degli

altri e in particolare secondo forme di relazione a due.

Invece, l’attenzione sulla tecnologia di governo dei rifugiati

e sulla partizione di condotte migranti, così come il

suggerimento a mettere in risonanza le lezioni dell’ ’80-’81

con i meccanismi di regolazione delle condotte descritte da

Foucault nel Corso del ’73, riportano in primo piano quel

livello di analisi. Di fatti, la stessa tecnica della

confessione senza verità non può essere compresa nel suo

funzionamento se non inserita al punto di giuntura tra governo

delle popolazioni migranti e governo delle condotte,

biopolitica delle popolazioni non-nazionali e delle condotte

di non-verità. Il governo dei rifugiati non è in fondo che il

tentativo di assegnare spazi di mobilità o di collocazione

nello spazio legittima e illegittima, ricollocando o

rigettando esistenze migranti, a partire dalle loro “biografie

irregolari”.

Di fronte alla squalificazione della messa in discorso delle

esistenze migranti, il rigiocare strategicamente le categorie

di cattura e di fissazione delle pratiche di mobilità è senza

dubbio una delle principali forme di resistenza

quotidianamente agite dai richiedenti asilo. Tuttavia, le

‘crisi’ dell’apparato di cattura categoriale e di partage

normativo delle pratiche di movimento vengono solitamente

spesso superate attraverso l’invenzione e la proliferazione di

nuovi profili di mobilità che cercano di stare al passo con la

singolarità dei percorsi di migrazione. E in ogni caso non è

nei termini di un’altra politica di verità, in opposizione a

quella governamentale, che è possibile interrompere ciò che

Arnold Davidson definisce “un regime di verità scientifica che

mira a governare la nostra condotta”30. Piuttosto, é rispetto

al regime di veridizione che le condotte di non-verità dei

migranti (talvolta) fanno saltare ogni possibile narrazione

normalizzante sulle loro vite: con la loro presenza non

prevista in alcuni luoghi o muovendosi in base a una

temporalità dissonante rispetto ai ritmi imposti dalle

politiche di mobilità selezionata o dai canali umanitari, le

condotte di “mobilità irregolare” invalidando le aspettative

statistiche e costringono i “meccanismi di sequestro” a

ricomporsi inventando nuove prese sul loro tempo. Di fatti, se

torniamo alle descrizioni nel Corso del ’73 è facile notare

come queste rendano possibile un’ inversione di prospettiva

nell’analizzare gli apparati di governo e di controllo della

mobilità: gli illegalismi su cui il potere disciplinare si

applica riguardano “tutto ciò che é dell’ordine

dell’irregolarità, della mobilità nello spazio”31, in modo

particolare laddove queste assumono una forma collettiva. I

dispositivi di sequestro che mirano a controllare e ad avere

presa sulla temporalità delle condotte migranti corrispondono

a un meccanismo di regolazione, imbrigliamento e30 A. Davidson, La fin de l’herméneutique de soi, in Lorenzini, Revel, Sforzini (a cura di), Michel Foucault: éthique et vérité, Vrin, Paris, 2013.

31 La société punitive, p. 193.

capitalizzazione di pratiche di rifiuto e di movimento; vanno

a definire una “penalizzazione dell’esistenza”, o meglio delle

esistenze irregolari la cui presenza nello spazio è fuori

posto. In tal modo, anziché partire dalle tecniche di

soggettivazione con cui i migranti vengono ripartiti in

differenti profili di mobilità, si può provare a invertire lo

sguardo soffermandoci su come alcune pratiche di

soggettivazione e di movimento vengono catturate, regolate o

irregolarizzate attraverso gli apparati di sequestro.

Questa traiettoria nello spazio delle condotte migranti invita

a complicare le genealogie della soggettività e del dire-vrai

moderni che, con Foucault, siamo interessati a tracciare

all’interno di una prospettiva di storia del presente,

concentrandosi su meccanismi ed esistenze ai confini di quel

“noi” sottinteso da Foucault nel suo riferirsi alle società

occidentali32. Infatti, i potenziali rifugiati non

rappresentano l’altro del soggetto-cittadino o delle

soggettività politiche; essi emergono come condotte di governo

a partire dal partage tra migranti e rifugiati, e dalla

moltiplicazione di differenti gradi di (non)protezione che

danno luogo a una cartografia morale instabile delle biografie

irregolari accettabili o intollerabili.

32 Sulla riattualizzazione dell’idea di ‘storia del presente’ si vedaJ.Revel, “What are we at the present time?” Foucault and the question of the present, inFuggle, Lanci, Tazzioli (a cura di) Foucault and the history of ourpresent, Palgrave, London, 2014, in cui Revel sottolinea il compito diintrodurre una discontinuità all’interno del presente stesso. Un’analisidelle genealogie del dire-vrai e delle forme di soggettivazione che partedall’impossibiltà del dire-vrai nel contesto del governo dei rifugiatipermette precisamente di introdurre tale discontinuità come differenzacostitutiva nel funzionamento e nella formazione delle società occidentali.