Brogliano nell'Ottocento, in Brogliano nell'età contemporanea, a c. di Silvano Fornasa, Cornedo...

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BROGLIANO NELL’ETÀ CONTEMPORANEA Comune di Brogliano a cura di Silvano Fornasa

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BROGLIANONELL’ETÀ CONTEMPORANEA

Comunedi Brogliano

a cura diSilvano Fornasa

BROGLIANO NELL’OTTOCENTO

Silvano Fornasa

1. Dalla caduta della repubblica di Venezia all’unità d’Italia

Un ventennio di rapidi cambiamenti (1797 - 1815)

Dopo quasi quattro secoli di dominio veneziano, l’arrivo delle truppe francesi in terra veneta – nell’aprile del 1797 – diede vita alla breve stagione democratica delle Municipalità provvisorie. Venezia era corsa tardivamente ai ripari: per la vallata dell’Agno l’ordine di arruolamento e di resistenza all’invasione imminente giunse il 2 aprile 1797, tentativo disperato e per molti versi patetico di fermare il tempo. Arrivò nel capoluogo di vicariato, Valdagno, il conte Ottavio Porto, che tenne un discorso dai toni vibranti, fra gli ‘evviva San Marco’ dei convenuti e incessanti spari di moschetto, tanto che – annotò il Bocchese con tagliente ironia – «i era mezi sordi dai gran sbari»1. Radunò i volontari del distretto e nei giorni seguenti – come ci informa il parroco di Castelvecchio don Antonio Maria Sperman – fece suonare le campane a martello in tutte le comunità della collina e della valle, dalla sera del 21 ininterrottamente fino al mezzogiorno seguen-te2. Radunati gli uomini dai 16 ai 60 anni, vennero condotti in marcia contro i Francesi a Montebello in condizioni indecorose, armati «con pichi, con menaro-ti, con palli»3. La truppa dei nostri valligiani non arrivò nemmeno a destinazione e dopo una settimana «sono scapati tutti da paura che capita i Francesi»4.

1. BOCCHESE 2001, I, p. 143.2. CISOTTO 1979, p. 12.3. BOCCHESE 2001 I, cit., p. 145.4. BOCCHESE 2001 I, cit., pp. 144-5.

18 19BROGLIANO NELL’ETÀ CONTEMPORANEA Silvano Fornasa, Brogliano nell’Ottocento

È stato giustamente rilevato dalla storiografia come le idee scaturite dalla Rivoluzione francese e poi la simpatia per Napoleone Bonaparte, si fossero dif-fuse nella città e territori della repubblica di Venezia in modo tutt’altro che uni-forme, con profondissime distinzioni tra le classi sociali e influenzate anche da peculiarità localistiche. In genere, comunque, l’appoggio accordato ai Francesi e le rivendicazioni municipalistiche aggregarono esponenti della nobiltà delle città suddite, borghesi, gruppi di intellettuali e una parte del clero, mentre invece dal movimento democratico e dalle idee rivoluzionarie il mondo rurale delle piccole comunità, come le nostre, rimase praticamente escluso. I sussulti di rivolta che vedremo fra poco erano indirizzati proprio contro chi da oltralpe portava novità percepite come elementi di rottura rispetto ai tradizionali rapporti con le istitu-zioni superiori ed all’altrettanto consuetudinario sistema di economia morale.

Per quanto riguarda specificatamente le comunità di Brogliano e di Quargnenta – che saranno ancora per qualche anno due comuni autonomi – non ci sono fonti documentarie che ci informano se anche nelle nostre comunità venne in-nalzato l’albero della libertà, simbolo immediato delle nuove idee di Uguaglianza e Libertà arrivate dalla Francia. Non conosciamo neppure la posizione assunta dai parroci di Brogliano e Quargnenta sui tumultuosi avvenimenti di questi mesi: è noto infatti quanto fosse importante, soprattutto nei centri rurali del territorio, il pensiero dei sacerdoti. Il clero della Valle dell’Agno era diviso, come abbiamo già avuto modo di constatare; anche il parroco di Valdagno si era espresso, fin dagli anni precedenti, contro le novità d’oltralpe; il parroco di Cerealto aderì invece alle nuove idee e diede alle stampe un Discorso molto vicino alla corrente degli evangelici-giaco bini, che conciliavano senza alcun problema i principi della Rivoluzione con i fon damenti della religione cristiana5. Si schierò senza tenten-namenti anche il parroco di Castelgom berto don Francesco Trettenero, che pub-blicò una lettera «ad eccitamento dei tiepidi o paurosi Preti»6.

Il repentino e traumatico cambio di regime produsse un convulso fiorire di iniziative in tutti i settori della vita sociale e politica. Tutto questo sfiorò solo marginalmente la grandissima parte della popolazione rurale e quindi anche le nostre comunità: le pur limitate e timide riforme (soppressione di alcuni conven-ti, abolizione del pensionatico, eleggibilità del parroco, riforma della giustizia e del fisco) non ebbero il consenso sperato. Pur avendo Napoleone promesso «che li Popoli saranno felici, e contenti e fratelli», scriveva con sarcasmo il parroco

5. Discorso al popolo del cittadino Stanislao Bernardi parroco di Cerealto sul vicentino, s.a., Vicenza.6. Il Vicentino tra rivoluzione giacobina ed età napoleonica (1797-1813) 1989, doc. 66, p. 83.

di Castelvecchio, il ceto popolare protestava contro le continue requisizioni a favore delle truppe occupanti e non vedeva miglioramenti tangibili nelle con-dizioni di vita; in particolare, «svanì ogni consenso in tutti li villici» quando i Francesi ordinarono la consegna di tutte le armi7. L’entusiasmo per i Francesi calò repentinamente e numerosi tumulti scoppiarono in varie zone del territorio vicentino. Questi disordini rivestivano senza dubbio un carattere antifrancese, ma ad esso si accompagnavano e si sovrapponevano motivazioni di segno di-verso. Le comunità collinari della media Valle dell’Agno, da Quargnenta a Piana ed a Muzzolon, si rifiutarono di pagare le decime: questi fermenti furono im-mediatamente interpretati come attentati eversivi del nuovo ordine politico ed il 26 luglio il Governo centrale emanò un proclama per reprimere le richieste che venivano dalle popolazioni, nell’intento di «militarizzare democraticamente il territorio» e subordinare le campagne al potere politico egemone della città8. A Quargnenta in particolare, i contadini pensarono fosse giunto il momento di esimersi da tale obbligo anacronistico, come invano avevano tentato di fare quasi tre secoli prima, ma anche questa volta l’iniziativa si risolse in un nulla di fatto: il governo centrale respinse tali richieste e ripristinò velocemente l’obbligo di versare la decima. Un anno dopo, i contadini di Quargnenta, costituitisi in consor-zio, inoltrarono nuovamente una formale procedura con l’obiettivo minimo di respingere le pretese del conte Teodoro Trissino, detentore di questo antichissi-mo privilegio nelle loro terre, sui «beni redutti novali», cioè sulle terre ridotte da poco a coltura9. La protesta, ormai innescata, era destinata ad acuirsi negli anni successivi: nel luglio del 1802, il parroco di Brogliano, cui spettava una piccola quota di decima, esternava alle autorità le resistenze sempre più marcate dei suoi fedeli a pagare tale onere10.

Con il trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797, Napoleone cedette il Veneto all’Austria: anche nelle nostre piccole comunità rurali ebbe termine la breve e convulsa esperienza delle Municipalità democratiche, vennero bruciati gli alberi della libertà e qualche parroco abiurò in fretta e furia le convinte adesio-ni agli ideali transalpini. Si tornò in parte alla precedente organizzazione ammini-strativa e negli anni a seguire, fino al termine della prima dominazione austriaca (1805), non ci furono da noi episodi di particolare rilevanza: gli amministratori di Quargnenta e Brogliano, che sotto i Francesi erano detti presidi e che con gli

7. CISOTTO 1979, p. 13.8. FIORAVANZO 1989, p. 57.9. ASVI, Notai Vicentini, not. Matteo Rasia Dal Polo, b. 4364, 20 e 25 luglio 1798.10. BBV, ms. 3494.

20 21BROGLIANO NELL’ETÀ CONTEMPORANEA Silvano Fornasa, Brogliano nell’Ottocento

Austriaci tornarono a chiamarsi sindaco e governatori, furono subito impegnati a trovare risorse per far fronte alla grave crisi di sussistenza culminata negli anni 1801-1802, una crisi provocata dalle continue requisizioni operate dalle truppe napoleoniche, cui si sommarono due anni di cattivi raccolti e la crescente pres-sione fiscale dei nuovi dominatori austriaci, impegnati su più fronti contro la potenza francese. Il 21 giugno del 1801, si ritrovarono i governatori di Quargnenta «in un canton de la piazza» (nella storia della nostra comunità di collina non ci fu mai una casa comunale), per reperire le risorse necessarie ai poveri del paese, in quella «lacrimevole triste stagione»; altrettanto fecero due mesi dopo quelli di Brogliano per far fronte alle «ingiurie della presente critica stagione»11.

Nel dicembre del 1805, il Veneto tornò a Napoleone e nei primi mesi dell’an-no seguente venne aggregato al Regno Italico. I successivi otto anni del nuovo regime politico furono un periodo straordinario e per molti aspetti esaltante, denso di innovazioni e di riforme. Tutti gli aspetti della vita civile, economica, sociale e religiosa vennero investiti e le reazioni furono spesso di segno opposto: si alternarono esultanza e rabbiose ribellioni, speranze di cambiamento e tenace attaccamento alle consuetudini ed alle tradizioni radicate. Mutò radicalmente, in-nanzitutto, l’assetto istituzionale ed amministrativo del territorio. Vennero estese al Veneto le disposizioni legislative già in vigore nel Regno d’Italia: la novità più importante fu l’introduzione del sistema amministrativo napoleonico, articolato in dipartimenti, distretti, cantoni e comuni, collegati tra loro e con il Governo centrale secondo rigidi principi gerarchici. Queste circoscrizioni territoriali erano amministrate rispettivamente da un prefetto, un vice-prefetto, un cancelliere del Censo, un podestà (per i comuni di I e II classe) o un sindaco (comuni di III clas-se). Nel 1807, nel nostro territorio nacquero due comuni di III classe: Brogliano, che aveva appena superato la soglia dei 500 abitanti e Quargnenta unito a Piana (insieme contavano 1643 abitanti). Dopo secoli di storia, praticamente dalla sua origine medievale, Quargnenta non era più comune autonomo.

Nei primissimi anni del Regno Italico venne istituito il comune, nel suo si-gnificato moderno di amministrazione locale inserita in un ordinamento statale unitario e centralizzato. Di impronta decisamente autoritaria e centralistica, era l’effetto di un preciso piano di razionalizzazione del territorio: sindaci e consi-glieri erano di nomina regia e questo doveva garantire una stretta sorveglianza dello Stato sulle amministrazioni periferiche. Il sindaco non doveva più essere, nelle intenzioni del legislatore napoleonico, l’espressione di determinati gruppi di famiglie, tese a preservare il loro predominio sociale all’interno della comu-

11. ASVI, Notaio Matteo Rasia Dal Polo, bb. 4364 e 4365, alle date.

nità, ma l’informatore e l’estensore di ordini e direttive che partivano dal potere centrale. All’interno del nuovo organismo di governo centrale operava un appa-rato di funzionari ed impiegati, stipendiati dal comune, ma anch’essi controllati dal potere centrale.

Venne allestito quindi anche nel Veneto un apparato amministrativo efficiente e ben organizzato; fu introdotto il codice napoleonico, un complesso di norme civili e penali che si basava su alcuni principi della Rivoluzione francese; si aboli-rono le barriere doganali e si diede esecuzione a numerose opere pubbliche. Fu avviata un’opera di sistematica espropriazione delle proprietà terriere apparte-nenti agli enti religiosi, ma questa operazione, che urtò la sensibilità delle popo-lazioni venete legate alla Chiesa, non ebbe esito nelle nostre due comunità, dove non c’erano patrimoni terrieri ecclesiastici e di monasteri.

La caduta della repubblica veneta ed il rapido avvicendarsi di nuovi regimi politici provocò invece, anche nelle nostre comunità, un forte ridimensionamento delle vecchie famiglie aristocratiche e conseguentemente – lo si vedrà più avanti – un consistente passaggio di patrimoni fondiari verso l’emergente classe borghese e gli esponenti più intraprendenti del ceto popolare. L’esempio più vistoso, a Brogliano, è rappresentato dal complesso di contrà della Bregonza, costituito da palazzo padro-nale e annessi agricoli, che i Piovene cedettero al notaio locale Matteo Rasia Dal Polo negli anni 1802-1803: il nuovo proprietario e la prima rappresentazione carto-grafica compaiono nella cosiddetta Mappa napoleonica, in realtà redatta nel 1817; nella Mappa austriaca del 1838 figurano la «casa civile», la «casa colonica» e la possessione, di proprietà dei numerosi figli di Matteo, morto due anni prima.

Ma i notevoli cambiamenti avvenuti in quegli anni nella proprietà fondiaria e lo spostamento di ricchezza economica dal ceto aristocratico all’emergente classe borghese, non toccarono la grandissima parte della popolazione ed il ceto con-tadino non percepì il benché minimo sintomo di reale miglioramento delle con-dizioni di vita. Furono poi fortemente avversati i provvedimenti che elevarono la pressione fiscale, finalizzati a finanziare il complesso apparato burocratico e le campagne militari napoleoniche. Gli eventi principali che investirono fortemente anche Brogliano e Quargnenta durante il Regno Italico (1806 - 1813) furono le violente insorgenze antifrancesi e la gravissima carestia, eventi già analizzati in un precedente lavoro sulle nostre comunità, al quale si rimanda12.

12. FORNASA 2009, pp. 309-315.

22 23BROGLIANO NELL’ETÀ CONTEMPORANEA Silvano Fornasa, Brogliano nell’Ottocento

La dominazione austriaca

Verso la fine del 1813 tornarono gli Austriaci, ma il trapasso dal Regno Italico alla seconda dominazione austriaca non fu brusco e traumatico: i nuovi domina-tori mantennero per un po’ inalterato il quadro di potere esistente, affrettandosi peraltro a sostituire le principali autorità politiche e istituzionali. Il Congresso di Vienna del 1815 sancì l’inserimento delle province venete nell’Impero Asburgico ed anche il nostro territorio entrò a far parte del Regno Lombardo-Veneto, con un governo centrale stabilito a Venezia. Venne allora modificato, ancora una volta, l’assetto amministrativo periferico e si tornò alla divisione per distretti; le nostre due comunità facevano parte del distretto di Valdagno e nel 1816 subiro-no un’ulteriore modifica, che durerà solamente tre anni: Brogliano, Quargnenta e Piana vennero uniti in un solo comune.

Non sappiamo come reagirono gli abitanti dei due paesi, quando le autorità mutarono per la terza volta in pochi anni il loro assetto amministrativo: il primo gennaio 1819 Brogliano e Quargnenta furono definitivamente uniti in un unico comune.

Con l’instaurarsi della seconda dominazione austriaca – ma nella stessa direzio-ne avevano operato anche i regimi politici precedenti – cambiò radicalmente il sistema di amministrazione comunale: da allora in avanti fu il requisito del censo a legittimare i governatori locali e la classe dei maggiori estimati del comune, nobili e borghesi, rafforzò il proprio ruolo e il proprio peso sociale, egemoniz-zando di fatto l’amministrazione locale. Esisteva ancora un organo deliberativo ampio, che raccoglieva tutti i possidenti, grandi e piccoli; ma l’organo esecutivo era una Deputazione composta da tre membri, eletta sì dall’assemblea, ma dove il primo amministratore doveva essere uno dei tre maggiori estimati del paese.

Erano passati solo vent’anni dalla fine della repubblica veneta: per quasi quat-tro secoli Brogliano e Quargnenta avevano esercitato le loro competenze dentro un sistema giuridico che lasciava margini di autonomia nella gestione della cosa pubblica all’interno della comunità. Non abbiamo sufficienti strumenti per co-noscere come le nostre comunità abbiano reagito al nuovo sistema amministra-tivo introdotto dai Francesi prima e poi con la seconda dominazione austriaca, dove la novità prima ed eversiva fu la definitiva esautorazione dell’antico organo di autogoverno locale, la generale convicìnia. Sappiamo indirettamente che le nuo-ve autorità centrali chiesero a tutti i comuni sudditi – era il luglio del 1816 – di esternare le loro «osservazioni e proposizioni» sulla nuova organizzazione ammi-nistrativa: le risposte furono improntate ad una certa nostalgia per il passato e ad

una malcelata insofferenza per la pur efficiente burocrazia asburgica13. In parti-colare i nuovi governatori locali lamentarono la minor autonomia di cui godeva-no i comuni rispetto ai tempi passati: la diminuzione delle competenze impediva un rapido intervento sulle cose urgenti che si presentavano. Criticarono poi il nuovo Compartimento territoriale che aveva conglobato antiche piccole comunità in un unico comune – come nel nostro caso – perché le frazioni non potevano essere «provvedute con quella sollecitudine che è necessaria». Affiorava poi, in queste risposte, il rimpianto per un perduto «modello paternalistico» che, nelle società di antico regime, regolava il commercio dei cereali di base nei momenti di crisi economica, come quella gravissima che si stava vivendo allora anche da noi: in quei momenti veniva favorito un passaggio il più possibile diretto del prodot-to, in modo da tenere bassi i prezzi per la popolazione povera14.

In effetti, il passaggio dall’occupazione francese a quella austriaca avvenne senza proteste o partecipazione emotiva da parte della nostra comunità: quan-tomeno fino al 1848 non si registrarono particolari reazioni o, al contrario, en-tusiastiche adesioni: l’alleanza fra il Trono e l’Altare, punto di forza del nuovo regime, era ben vista dal clero e dal notabilato dei nostri paesi. Per quanto con-cerne il ventennio successivo, non abbiamo una documentazione diretta che at-testi la partecipazione di broglianesi ai moti risorgimentali fino all’annessione del Veneto al Regno d’Italia del 1866: sappiamo comunque che non pochi giovani della vallata dell’Agno vi presero parte e che anche nelle comunità più piccole la popolazione ebbe un qualche ruolo nella protesta antiaustriaca15.

Merita un cenno la vicenda di un personaggio di primo piano della scena politi-ca valdagnese durante la dominazione austriaca e nei primi decenni dell’Italia uni-ta, Gerolamo Tomba, che trascorse a Quargnenta l’ultimo periodo della sua vita, nei possedimenti di famiglia in contrà Gentilini, dove morì nel gennaio del 1887. Nacque a Valdagno nel 1810 da una delle più ricche e intraprendenti famiglie del paese: il padre, Clemente di Bortolo Tomba, possedeva – alla fine del XVIII secolo – un’avviata industria di panni con un centinaio di operai, la seconda a Valdagno per numero di dipendenti16. Intorno al 1820, come appare nei registri del Catasto Austriaco, l’imprenditore valdagnese acquisì una grande casa colonica con oltre 20 ettari di terra a Quargnenta, in contrà Gentilini (oggi contrà Tomba).

13. BBV, ms. DO 56.14. THOMPSON 1997, p. 64.15. CISOTTO 2001 (a), pp. 307-317; TRIVELLI 1991, pp. 174-175; FORNASA 2003, p. 48.16. Il dato si riferisce all’anno 1795 ed è fornito dalle Memorie di Bonaventura Mettifogo (MENATO 1980,

p. 87); cfr. anche ANTONIAZZI 2001, pp. 74 e sgg. e TRIVELLI 2007, pp. 13-15.

24 25BROGLIANO NELL’ETÀ CONTEMPORANEA Silvano Fornasa, Brogliano nell’Ottocento

Suo figlio Gerolamo ebbe incarichi di un certo rilievo nei primi decenni del Regno Lombardo-Veneto, anche se probabilmente già da allora era di senti-menti antiaustriaci. Nei giorni caldi dell’insurrezione del 1848, venne nominato commissario distrettuale provvisorio, su sollecitazione delle autorità locali e di Antonio Fiori in particolare; Giovanni Soster ricorda con particolare risentimen-to questo evento:

«Il Tomba si trovava qui appresso la sua famiglia senza impiego, perché era stato dimesso dal Governo Austriaco dal posto di Aggiunto al Regio Commissariato di Montagnana. Ora il paese tutto è venuto a conoscere il fine per cui il sig. Antonio Fiori ha voluto ad ogni costo che sia allontanato da Valdagno il Commissario sig. Giuseppe Faggioni; per farvi cioè nominare con broglio, in quel posto, il suddetto Gerolamo Tomba, figlio della sua antica favorita Veneranda Pasetti vedova Tomba»17.

Fu in prima linea, insieme al fratello Francesco, capo dei Crociati valdagnesi, nei giorni della ‘rivoluzione’ della primavera-estate 1848 ed anche su di lui verto-no i commenti del cronista valdagnese:

«1 settembre. Ora ch’è spento il fuoco rivoluzionario sono venuto a sapere le preme-ditazioni infami, le atroci vendette che macchinavano, e che mandavano ad effetto se per poco ancora continuata avesse l’anarchia, Antonio Fiori fu Andrea vero capo di briganti, assieme ai fratelli Girolamo e Francesco Tomba, figli della di lui favorita Veneranda Pasetti Tomba, contro varie famiglie ed individui del paese, i quali per essere veri galantuomini e persone onorate non potevano, né potranno mai essere del suo tristo pensare, né approvatori delle sue abominevoli azioni commesse non solo in queste circostanze di rivoluzione, ma da moltissimi anni addietro»18.

In seguito non nascose la sua posizione in favore della liberazione dal domi-nio straniero, e figurava costantemente tra i valdagnesi sorvegliati speciali dalla polizia austriaca19.

Fin da subito, all’indomani dell’annessione del Veneto all’Italia, Gerolamo Tomba partecipò attivamente alla vita politica valdagnese, tra le fila dei borghesi liberal-moderati, il cui principale esponente era Gaetano Marzotto, «anticattoli-ci», «rivoluzionari» o addirittura «eretici» come li definiva il Soster. Nella notte tra il 15 ed il 16 settembre 1867 subì un attentato dai contorni poco chiari: «Ad un’ora di notte, nel mentre che ritornava da Recoaro colla sua timonella e cavallo, in com-pagnia di sua moglie e di suo figlio, quando fu a mezzo miglio prima di arrivare a Valdagno, gli fu tirata una schioppettata che fortunatamente non restò offeso alcu-

17. BCV, Archivio Storico, Giovanni Soster, Memorie di Valdagno, Volume unico 1836-1853, c. 214.18. Ibidem, c. 245.19. ASVI, Delegazione Provinciale Austriaca, b. 768, fasc. 18.

no. S’ignora l’autore di tale attentato»20. Giovanni Soster aggiunse un paio di mesi dopo, nelle sue Memorie, una annotazione che suona quasi come una giustificazio-ne di quell’attentato e che rende bene l’idea del clima di aspra contrapposizione presente a Valdagno in quegli anni. In seguito ad uno stanziamento a favore della chiesa di Castelvecchio, approvato anche dai ‘marzottiani’ in consiglio comunale, scrisse: «Ora si domanda da qualcuno: come tanto favore e tanta condiscendenza per una spesa per la Chiesa? La risposta è facile a darsi. La dimostrazione fatta la sera del 15 settembre prossimo passato ha fatto un buonissimo effetto»21.

Alle elezioni politiche dei primi anni ’80, Gerolamo Tomba figurava tra i soste-nitori di Brunialti, oppositori alla candidatura di Gaetano Marzotto22. In occa-sione delle elezioni politiche suppletive del luglio 1883, il Tomba, che già viveva a Quargnenta, orientò senza dubbio l’esito del voto a Brogliano, dove Brunialti vinse sul Marzotto per 71 voti contro uno solamente23. Morì nella sua casa co-lonica di Quargnenta a 76 anni, «per causa di cancrena» e venne seppellito nel locale cimitero di San Lorenzo24.

Durante gli ultimi due decenni del Regno Lombardo-Veneto, il controllo po-liziesco si era fatto, anche nella Valle dell’Agno, ancor più ossessivo. Il delegato provinciale Antonio Piombazzi, dopo un non ben precisato «fatto grave» suc-cesso a Quargnenta nel 1851, inviò pattuglie per effettuare retate e accentuare la sorveglianza; ordinò ripetutamente di porre «taglie» sulla testa dei disertori e arrivò ad inviare a tutti i sindaci della valle, tramite il commissario distrettuale, proclami che arrivavano a sfiorare il ridicolo. Uno di questi, che anche i parroci di Quargnenta e Brogliano dovettero leggere dal pulpito, proibiva ai contadini di portare con loro, alla domenica e alle altre feste comandate, «gli strumenti

20. BCV, Archivio Storico, Giovanni Soster, Memorie di Valdagno, Volume V, cc. 126-127. Il Soster vide in questo episodio l’esito di una reazione della grande maggioranza della popolazione di Valdagno all’azione politica e amministrativa della «piccola setta» di Gaetano Marzotto - allora sindaco del pa-ese - ed in particolare alle «irriverenze o scandali» creati da alcuni durante la processione religiosa di quello stesso giorno. Scrisse infatti qualche giorno dopo: «Lo sdegno mostrato dal popolo religioso in quella occasione e il fatto avvenuto nella stessa sera hanno messo in riguardo li pochi eretici che di-sgraziatamente abbiamo nel nostro paese e più che tutti il sig. Marzotto, nostro sindaco che fa parte di quella piccola setta, e questo per la ragione che egli, per andare dal paese alla propria casa di abitazione, bisogna che percorra quel pezzo di strada ove fu sparata la schioppettata» (Ibidem, cc. 135-136).

21. BCV, Archivio Storico, Giovanni Soster, Memorie di Valdagno, Volume V, c. 149. È interessante quanto scrive G.A. Cisotto sulla posizione del Soster e sul suo ruolo di impegno contro lo «strapotere» di Gaetano Marzotto senior in quegli anni e soprattutto nei decenni successivi (CISOTTO 2001 (b), pp. 2-8).

22. CISOTTO 2001 (a), pp. 324, 327.23. Ibidem, p. 328.24. APQ, Registro dei morti 1819-1900.

26 27BROGLIANO NELL’ETÀ CONTEMPORANEA Silvano Fornasa, Brogliano nell’Ottocento

dei quali si servono per coltivare le viti e gli alberi»; seguiva, in perfetto stile au-striaco, un dettagliato elenco: «falci, falcetti, potatoj, coltelli adunchi, coltelloni, coltellaccini, roncoletti, roncoloni»25.

Molto è stato scritto sulla sostanziale estraneità del mondo contadino alle lotte ri-sorgimentali e le autorità, nelle loro dichiarazioni, non mancavano di sottolineare questo atteggiamento di distacco, se non di favore, all’Austria: un atteggiamento strettamente connesso al cosiddetto ‘austriacantismo’ di gran parte del clero, soprattutto rurale. In questo senso, da parte dei liberali e della classe dei possi-denti, venne letto lo «scoppio di collera rurale» del 1860, in concomitanza con la definitiva abolizione dell’antichissimo diritto di pensionatico, che autorizzava i contadini a pascolare liberamente il proprio bestiame nelle terre del paese nei mesi invernali26. Anche nel Vicentino ci furono episodi violenti di ribellione e la sommossa più significativa, per quanto concerne la Valle dell’Agno, avvenne nei prati di Brogliano nell’ottobre 1860: ci furono arresti nel corso della giornata, retate e ulteriori incarcerazioni nei giorni successivi, eventi riportati nelle Memorie raccolte da Giovanni Soster:

«Carcerati per disobbedienza alla Legge Sovrana che abolisce il Pensionatico. 16 Ottobre 1860.Da moltissimi anni su di alcuni prati nei Comuni di Cornedo, Brogliano e Castelgomberto vi era come un diritto che qualcuno potesse mandare i propri animali bovini, pecorini ecc. a pascolare incominciando dal giorno di San Gallo, cioè dal giorno 16 di Ottobre; e se per quel giorno non fosse ancora stata rac-colta la terzegina, il proprietario di quei dati prati non poteva più avere il diritto di raccogliersela; ma poteva invece esser pascolata dagli animali di altre persone senza che il padrone o proprietario del fondo potesse aver titolo di reclamare o d’altro. Il Governo adunque, fino dal 1856, ha pubblicato una legge che, inco-minciando dal 1860, sia tolto assolutamente un tale abuso e stabilisce le pene per chi la trasgredisce. Infatti, venuto il giorno di San Gallo, 16 ottobre 1860, alcuni abitanti contadini del Comune di Brogliano, non abbadando né punto né poco alla Legge Sovrana, andarono in grosso numero coi loro animali bovini, pecorini, porcini ecc. al pascolo come il solito degli altri anni; del qual fatto avutone avviso le Autorità politiche di Valdagno, capoluogo di Distretto, si recarono immediata-mente sul posto coi gendarmi assistiti dalle Guardie di Finanza e ne arrestarono quattro di quei contadini, essendo gli altri fuggiti; ma nella notte andarono i gen-darmi nelle rispettive case e ne arrestarono altri dodici che, legati, furono condotti nelle prigioni di Valdagno. Queste misure pare abbiano fatto effetto, perché nel

25. BBV, ms. DO 56.26. FRANZINA 1980, pp. 697-698.

successivo giorno 17 ottobre non fu visto nessuno che si fosse azzardato di con-dur animali al pascolo»27.

Con la terza guerra d’indipendenza del giugno-luglio 1866, il Veneto si liberò del dominio austriaco. In tutti i paesi della provincia venne istituita la guardia na-zionale: a Brogliano si costituirono due compagnie, per un totale di 269 uomini. L’annessione definitiva del Veneto al regno d’Italia arrivò con il plebiscito del 21 e 28 ottobre 1866: a Brogliano ci furono 434 sì e nessun no28.

Dall’annessione al regno d’Italia alla prima guerra mondiale

La perdita dell’archivio comunale di Brogliano – evento causato da un incen-dio che nel 1937 distrusse il municipio, sul quale si sofferma Trivelli nelle pagine che seguono – non consente una ricostruzione, nemmeno a grandi linee, della vicenda amministrativa del paese nel primo cinquantennio dopo l’unità d’Italia.

Fra il 12 e 13 luglio 1866 gli Austriaci abbandonarono il Vicentino, che con il resto del Veneto entrò a far parte del regno d’Italia: l’annessione venne sancita con il referendum che si tenne un paio di mesi dopo e che a Brogliano registrò – come s’è già detto – un’adesione plebiscitaria.

Un decreto del commissario regio Mordini, del settembre di quell’anno, dettò le regole per l’elezione degli organismi amministrativi locali: il consiglio comu-nale di Brogliano era composto da quindici membri e per lunghi decenni si iden-tificò con le figure, per molti versi eccezionali, di Angelo Tomba di Brogliano in primo luogo e, in second’ordine, di Alessandro Albanello di Quargnenta.

Il padre di Angelo, Giuseppe Tomba, venne da Valdagno ad abitare a Brogliano poco prima del 1815, negli stessi anni in cui anche Clemente Tomba – un suo parente, di cui s’è detto poco sopra – acquistava casa e terre a Quargnenta29. A Brogliano Giuseppe Tomba possedeva terra ed un palazzo sul lato occidenta-le della piccola piazza del paese, proprio dirimpetto alla vecchia parrocchiale dell’Assunta: fu agente comunale di Brogliano per una quindicina d’anni e morì in Brogliano il 2 febbraio 1842 30.

Il secondogenito di Giuseppe, Angelo Tomba, nacque a Brogliano nel 1822. Nei primi anni ’60 del secolo venne nominato sindaco e mantenne ininterrotta-

27. BCV, Archivio Storico, Giovanni Soster, Memorie di Valdagno, cit., volume III, c. 104.28. Ibidem, volume IV, c. 355.29. L’arrivo di Giuseppe Tomba a Brogliano va collocato fra il 1812 ed il 1815: infatti nelle Notifiche del

1812 - dettagliato elenco di tutti coloro che possedevano beni a Brogliano e Quargnenta - non figura nessun Tomba, ma nel 1815 nasceva in Brogliano don Francesco Tomba, figlio di Giuseppe.

30. APB, Libro dei morti 1819-1851.

28 29BROGLIANO NELL’ETÀ CONTEMPORANEA Silvano Fornasa, Brogliano nell’Ottocento

mente questa carica per mezzo secolo («per dieci lustri» venne precisato nell’e-pigrafe della sua tomba, nel cimitero di San Martino). Nel 1884, per questa sua lunga azione di amministratore locale, fu nominato Cavaliere della Corona d’Ita-lia. La stampa locale sottolineò con particolare enfasi una delle sue innumerevoli elezioni a sindaco di Brogliano, quella del novembre 1889:

14.11.1889. A Brogliano. Splendida la vittoria dell’intelligente ed energico sindaco cav. Angelo Tomba che, per la prima volta, dopo più che 30 anni di lodevolissima amministrazione, combattuto con ogni arena e con vera oltrecostanza da pochi invidiosi, comprese vieppiù di quale affetto, di quanta venerazione lo sa circonda-re la popolazione intera, che con ammirabile compattezza si presentò alle urne. I campioni della lista avversaria e i pochi seguaci che, con superbia degna di miglior successo, tenevansi sicuri del proprio trionfo, restarono completamente battuti31.

Fig. 1 - Angelo Tomba

Guidò l’amministrazione comunale di Brogliano fino al 1910-11; morì, nella sua casa di Brogliano, nel 1917, a 95 anni d’età. Seguirono, nella carica di primo cittadino, Domenico Bonomo e dal 1917 Luigi Rasia. Dopo di lui, negli anni del dopoguerra, divenne sindaco Plinio Rasia Dal Polo, che nel 1926 – come scrive nel suo saggio Trivelli – divenne il primo podestà del paese.

Una vicenda altrettanto interessante fu quella di Alessandro Albanello, detto

31. «La Provincia di Vicenza», 10 novembre 1889.

Muraro. Nacque a Quargnenta nel 1809; si sposò molto giovane, ma rimase pre-sto vedovo, senza avere figli. Ancor giovanissimo, venne eletto nella Deputazione comunale di Brogliano nei primi anni ’30 dell’Ottocento e rappresentò la frazio-ne di Quargnenta ininterrottamente per oltre mezzo secolo, negli ultimi decenni della sua vita con la carica di assessore anziano. Morì a 77 anni d’età, nel 1886 e la stampa riportò il necrologio inviato da Giovanni Fiori di Valdagno:

«Irreparabile sciagura colpì ieri la piccola terra di Quargnenta del comune di Brogliano. Alessandro Albanello nella età di 77 anni, lasciava dopo lungo e cru-del morbo la vita. Fu onesto, operoso, ospitale, caritatevole. La sua casa non fu mai chiusa né al povero né al ricco. Fu cittadino esemplare e come preposto al Comune per oltre 50 anni prestò l’opera sua con amore. Questa schiera che ricorda i Patriarchi dei veneti costumi si va purtroppo spegnendo ed il paese ne risente lutto e danno. Di questo caro amico resterà indimenticabile la memoria»32.

Merita un accenno un’altra famiglia di Brogliano, Rasia Dal Polo: alcuni suoi esponenti hanno avuto un ruolo di rilievo a Brogliano nel XIX secolo. A Matteo Rasia Dal Polo, nato a Quargnenta il 22 dicembre 1767, s’è fatto cenno poco sopra. Esercitò l’arte notarile per lungo tempo e nei primissimi anni dell’Ottocento acqui-stò dai nobili Piovene la villa di contrà Bregonza, costituita da palazzo padronale e annessi agricoli. Morì a Bogliano il 29 novembre 1936.

Suo figlio Domenico fu medico a Cornedo per quasi mezzo secolo; fu padre di Matteo Rasia Dal Polo, volontario nelle guerre risorgimentali e uno dei mille di Garibaldi. Si dilettava a comporre poesie di circostanza ed è autore dell’epitaffio posto sulla tomba del padre nel 1836, ancor oggi murato sulla parete esterna della pieve di San Martino. In casa di Domenico si respirava evidentemente aria di libertà se anche un altro suo figlio, Giulio, studente universitario, fu attivamente impegnato in attività insurrezionali tra Padova e Venezia, dove venne imprigionato nel 185933.

Anche Riccardo Matteo Rasia Dal Polo, figlio di Santo e nipote del notaio Matteo, fu medico ed esercitò a Brogliano per 42 anni, dal 1870 al 1912, anno in cui morì. Fu insignito anch’egli del titolo di Cavaliere della Corona d’Italia.

32. «La Provincia di Vicenza», 15 aprile 1886.33. BCV, Archivio Storico, Giovanni Soster, Memorie di Valdagno, vol. II, c. 80. Per la vicenda del patriota

garibaldino, vedi TRIVELLI 2003, pp. 357-360.

30 31BROGLIANO NELL’ETÀ CONTEMPORANEA Silvano Fornasa, Brogliano nell’Ottocento

Fig. 2 - Riccardo Matteo Rasia Dal Polo

2 - Un’economia agrariaIl nuovo catasto

Per quanto riguarda le condizioni generali in cui versava l’agricoltura veneta del primo Ottocento, è opinione degli storici che in questo periodo di radicali trasformazioni le nostre terre fossero cambiate ben poco rispetto allo stato pre-cario in cui le aveva lasciate il dominio veneziano: nell’età della Restaurazione, la nostra agricoltura era per molti versi ancora estranea al clima di sperimenta-zione e di innovazioni che si andava affermando in altri paesi europei o nella vicina Lombardia. La crescita demografica e l’arretratezza del settore secondario ostacolarono lo sviluppo tecnologico nelle campagne, poiché l’abbondanza di braccia disponibili comprimeva i salari agricoli, in modo tale da rendere preferi-bile l’impiego del fattore umano, meno costoso di quello tecnico. I nuovi regimi politici non riuscirono a migliorare le condizioni di vita della popolazione conta-dina. Le innovazioni giuridiche non impressero reali cambiamenti nella proprietà fondiaria e la grande maggioranza dei contadini rimase regolarmente tagliata fuori dal circuito degli acquisti fondiari.

Lo stretto legame che vincolava la quasi totalità delle persone al lavoro dei campi e l’assenza di attività lavorative non legate all’attività primaria saranno

aspetti che caratterizzeranno ancora per molti decenni piccole realtà territoriali come Brogliano e Quargnenta: il passaggio di mano di buona parte della terra, che avvenne anche da noi – lo si vedrà tra breve –, non determinò un reale cambiamento nella gestione dei poderi e nelle tecniche di produzione agraria. Le analisi di cronisti e osservatori illuminati, in questi primi decenni dell’Ottocento, dipingevano ancora una società agraria legata a tradizionali modalità di condu-zione della terra e alle rese che si registravano nei secoli di antico regime. Anche le inchieste agrarie ed i suggerimenti degli agronomi colti, finalizzati a indurre miglioramenti nelle tecniche di appoderamento e quindi concreti miglioramenti nelle rese, cadevano in un contesto di arretratezza determinato da molteplici fattori: frammentazione dei poderi in gran parte del nostro territorio, soprattutto quello collinare, ricerca della sola rendita nei possedimenti rimasti in mano alla vecchia nobiltà cittadina, diffidenza contadina verso le scuole di agraria, ma an-che – da noi, come in tutta la vallata dell’Agno – una realtà territoriale eteroge-nea, determinata da una notevole varietà di microclimi e di condizioni dei suoli.

Scarna ed improntata ad una tradizionale visione idilliaca la descrizione che il Maccà fece del nostro territorio nel primo decennio del secolo:

«Brogliano giace in monte tutto vulcanico e parte in piano. (…) Il piano abbonda di mori detti volgarmente morari. Il monte in gran parte è ridotto in coltura ed il maggior prodotto consiste in uve e marroni». «Quargnenta è tutta montuosa e il suo monte è vulcanico. (…) Nulladimeno è in gran parte coltivata e vi sono alcuni piani fertili ed abbonda specialmente di uve. Vi sono pure in quantità alberi mori, marroni e frutti d’ogni spezie»34.

Più precise e significative le osservazioni di Camillo Valle del 1811, pubblicate negli Annali dell’agricoltura di Filippo Re: il nobile valdagnese, riferendosi alla Valle dell’Agno nel suo complesso, attribuiva la scarsa redditività dei terreni collinari alla testardaggine dei contadini, che – a suo dire – preferivano seminare cereali in ampie radure anziché terrazzare in modo corretto e destinare il suolo a colture specializzate, quali la vite e la frutta. «Il contadino infingardo – affermava il Valle – spaventato dalla fatica, non terrazza giammai, non si risolve di abbandonare l’aratro per prendere lo zappone e la vanga, istrumenti atti a lavorare il monte; non divide le rive con sostegni di masiere, e molto meno, come sarebbe meglio, con arginetti formati di sasso e coperti di terra»35. Imputava invece al regime della conduzione l’arretratezza dell’agricoltura nelle terre pianeggianti del fon-dovalle: «Avvi dei possidenti che, passando in campagna pochi giorni dell’anno,

34. MACCÀ 1815, p. 189.35. VALLE 1816, pp. 5-6.

32 33BROGLIANO NELL’ETÀ CONTEMPORANEA Silvano Fornasa, Brogliano nell’Ottocento

affittano a soldo costante i loro stabili per un corso di molti anni, metodo che porta un ostacolo rilevante all’avanzamento dell’agricoltura, atteso che l’affit-tanziere non cerca che di ricavare il più che sia possibile dal terreno, non fa mai lavori vantaggiosi, correndo così il fondo sempre più al deperimento»36.

Il terremoto politico che investì la società veneta in questo periodo influì diret-tamente anche sull’attività lavorativa primaria ed in particolare sul regime fondia-rio e della conduzione: con la seconda dominazione austriaca si consolidarono e si portarono a compimento le riforme avviate in precedenza. L’innovazione senza dubbio più dirompente fu lo sfaldamento del vecchio sistema censuario in vigore durante i quattro secoli della dominazione veneta: era un sistema che garantiva e perpetuava il privilegio dei patrizi veneziani innanzitutto e poi, all’in-terno delle singole città suddite, quello dei cittadini nei confronti di tutti gli altri abitanti del territorio.

Nei primissimi anni dell’Ottocento, venne avviato dagli Austriaci il nuovo pro-getto di catasticazione dei beni terrieri, proseguito in età napoleonica e condotto a termine ancora dagli Austriaci negli anni della Restaurazione: il nuovo criterio di tassazione prescindeva dalla collocazione sociale del proprietario e veniva le-gato invece al valore ed al rendimento della terra. Il definitivo catasto austriaco, che si concluderà con la pubblicazione delle Tariffe d’estimo del 1850, venne avvia-to nel 1826 e contemporaneamente fu condotta un’inchiesta molto accurata, sfo-ciata nella stesura degli Atti preparatori del catasto: di essa fanno parte le Nozioni generali territoriali e le Nozioni agrarie di dettaglio, documenti che ci consentono di conoscere bene il mondo agrario di Brogliano nel primo Ottocento37.

Il paesaggio agrario

Il comune di Brogliano, che allora già comprendeva Quargnenta, è situato fra i 150 ed i 750 metri sul livello del mare, e annovera di conseguenza tipologie di paesaggio molto diversificate. Brogliano venne classificato per 4/10 «piano», 3/10 «colle» e 3/10 «monte»: date queste caratteristiche, dominava – come si vedrà in seguito – l’aratorio vitato in basso, il bosco castanile da taglio sul monte. Ben diversa la situazione di Quargnenta, dove 2/3 del territorio venne definito «monte facile» ed 1/3 «monte scosceso»: nella comunità della collina predomi-navano l’aratorio - zappativo vitato in basso, il bosco ceduo e la brughiera in alto.

36. Ibidem, p. 8.37. ASV, Catasto austriaco, Atti preparatori, Nozioni generali e Nozioni agrarie del comune censuario di Brogliano;

Idem per Quargnenta: d’ora in avanti si citeranno solamente Nozioni generali e Nozioni Agrarie.

Il clima è definito «temperato», ma l’esposizione ai venti di tramontana lo ren-de a volte «rigido» a Brogliano, molto più spesso a Quargnenta, dove «la durata dell’inverno è lunga e le nevi vi persistono lungo tempo». D’estate si fa sentire la siccità, soprattutto nel mese di luglio, ma il terrore dei contadini sono le «tem-peste» della grandine: arrivano a cadenze ravvicinate, «atterrano il frumento, il grano turco e danneggiano le uve».

L’indagine agraria rilevò qualità e caratteristiche del suolo. In pianura il terreno è «forte» e i coltivi abbastanza profondi: per tirare l’aratro servono generalmente quattro buoi e per arare un campo occorre una giornata intera; nel colle, data la pendenza del suolo, un po’ di più. Se nella pianura e nel basso colle il terreno è abbastanza profondo, «in monte ha pochissima profondità»: è formato da «un piccolo strato di terra argillosa frammista a ghiaia e sotto vi sono macigni e rocce calcaree poste a strato». La zappa, la vanga e soprattutto lo zappone sostituiscono l’aratro nelle terre più impervie: tutto ciò, come si dirà fra poco, determina una larga varietà di rese.

Preziose ma particolarmente temute erano le acque dell’Agno, dei torrenti mi-nori e delle piccole valli, acque alle quali si dedicavano cure particolari. Si ha l’impressione che questo elemento indispensabile al lavoro e alla vita quotidiana, primaria fonte di energia, non fosse ancora stato efficacemente domato dall’uo-mo. Il torrente principale, l’Agno, «scorre in alveo poco inferiore agli adiacenti terreni» ed era quindi necessario costruire ripari lungo gli argini, per cercare di limitare i danni provocati dalle frequenti esondazioni, che portavano ghiaia e sassi sui terreni coltivati. I contadini frontisti non erano organizzati in consorzi, lo Stato non concorreva minimamente alle spese ed ognuno doveva far fronte al problema, approntando lungo gli argini «respingenti triangolari e stillate di legni di castagno inchiodati e pieni di sassi». Ma l’intero territorio comunale era interessato da numerosi altri torrentelli e valli, non meno dannosi nei momenti di piena. Tutte le acque erano di libero uso da parte dei frontisti e venivano sfrut-tate per far irrigare i campi; al contrario, nell’intero territorio comunale non era presente alcun mulino lungo le rogge o i torrenti. Tra le acque va annoverato uno stagno d’acqua, ora non più esistente, di cui resta il toponimo Lago di Quargnenta. Viene così descritto: «Trovasi nel monte un catino e recipiente d’acqua stagnante, del quale non se ne trae alcun profitto»; la sua superficie, nelle mappe del Catasto austriaco, è quantificata in 1740 mq, praticamente uno stagno di una cinquantina di m di diametro. Il territorio comunale era ricco di fonti ed una in particolare colpì il Maccà quando redasse la sua Storia nei primi anni dell’Ottocento, situata sulle sponde del torrente Arpega, «la quale ha un’acqua che molto si avvicina in

34 35BROGLIANO NELL’ETÀ CONTEMPORANEA Silvano Fornasa, Brogliano nell’Ottocento

qualità a quella di Recoaro, e se ne fa anche uso con profitto della salute»38.L’inchiesta del 1826 interessò anche le case, la cui tipologia lungo i secoli

dell’età moderna ho descritto nella precedente opera su Brogliano: in questo frangente i rilevatori annotarono, per le abitazioni di Brogliano, che «sono tutte edificate a muri con coperti di coppi, a riserva di alcune poche coperte di paglia». Diversa la situazione nel territorio di Quargnenta: «sono tutte edificate a muro e coperte parte a paglia parte a coppi». Le condizioni delle strade erano alquanto precarie, molto disagevoli nei luoghi più impervi. Il territorio comunale non era interessato da strade regie né commerciali; le strade comunali e quelle campestri erano percorribili «parte con carro e parte con animali da soma», ma esistevano ancora «sentieri per trasporto a spalle d’uomo».

Il regime fondiario, i contratti e la conduzione della terra

I Catasti dei terreni e dei fabbricati dei comuni censuari di Brogliano e di Quargnenta e le mappe relative, redatti intorno alla metà dell’Ottocento, durante la domina-zione austriaca, attestano il permanere del tradizionale regime fondiario della piccola e piccolissima proprietà nelle terre marginali e una forte ridefinizione della proprietà fondiaria nelle terre migliori, dove si manifestò evidente un tra-vaso dalle mani della antica nobiltà a quelle della nuova borghesia, soprattutto valdagnese39.

A Brogliano i Trissino erano ancora i proprietari maggiori, con 30 ettari di terra e una ventina di bosco, e venti ettari possedevano le contesse Maffei di Cornedo; le famiglie valdagnesi Facchin e Cengia-Bevilacqua acquistarono in quei decenni a Brogliano una ventina e quindici ettari rispettivamente; i maggiori possidenti locali erano i Bonomo (17 ettari), i Gonzati (14 ettari) e i figli del no-taio Matteo Rasia Dal Polo, che ai primi del secolo aveva acquistato villa e terre dei Piovene, alla Bregonza: otto famiglie locali detenevano oltre la metà dei fondi agrari e boschivi di Brogliano.

Più articolata la situazione a Quargnenta: in questo periodo si registra l’arrivo dei Tomba di Valdagno – di cui s’è detto nelle pagine precedenti – che acquista-no una grande casa colonica in contrà Gentilini, 17 ettari di terra e 6 di bosco. Il comune di Brogliano dispone ancora di beni comunali (6 ettari di terra e una trentina di bosco) e la parrocchia dispone di sei ettari di terra e 17 boschivi. Per il resto la proprietà fondiaria risulta ripartita in quote di media e piccola entità fra

38. MACCÀ 1815, p. 190.39. FORNASA 2009, pp. 319-320.

le tradizionali famiglie (Lazzarini, Rasia, Rasia Dani, Garello, Zarantonello, Dani, Battistin, Bruttomesso e Diquigiovanni le maggiori); assente completamente la proprietà nobiliare.

Le Nozioni generali territoriali sono molto dettagliate per quanto concerne la con-duzione della terra. Tra i vari sistemi, il più usato era quello della «economia a mano propria»: era cioè diffusissima la piccola proprietà contadina, costituita in genere, come abbiamo visto, da piccoli o piccolissimi poderi.

Il fitto a denaro era praticato in alcuni poderi a Brogliano, molto poco a Quargnenta. Il raccolto era «a rischio e pericolo» degli affittuali ed il proprietario non anticipava le sementi, ma era tenuto a riparare la casa colonica e gli annessi rustici.

Il sistema a partizione era diffuso in pochi poderi a Brogliano, ancor meno nella comunità della collina. Il regime mezzadrile prevedeva una partizione dei prodotti generalmente simile a Brogliano ed a Quargnenta. Il frumento veniva raccolto e battuto, dopodiché un undicesimo del prodotto pulito andava ai battitori ed il resto veniva ripartito a metà fra il colono ed il proprietario. La semente era a ca-rico del colono, cui competeva anche l’obbligo di condurre a casa del padrone la sua parte. Stessa sorte seguivano la segale, l’orzo, la fava e l’avena. Il mais («grano turco di primo frutto») seguiva la partizione paritaria dopo essere stato sfogliato nella cascina; il granturco di secondo frutto («cinquantino») veniva diviso come gli altri cereali, ma era seminato in pochissime quantità. Veniva coltivato ancora il grano saraceno, chiamato da noi «formenton nero» e introdotto nel corso del Cinquecento: si seminava nelle zone collinari ed era ripartito a metà.

La canapa era anch’essa divisa a metà fra coltivatore e proprietario, ma la spesa per il maceratoio era a carico del primo.

Dei primi due tagli di fieno, al padrone andavano i 2/3 per i terreni in pianura, la metà per quelli di collina; il terzo taglio era effettuato solo nei prati irrigui della pianura: in questo caso la partizione era alla metà, altrimenti il pascolo che sosti-tuiva il terzo taglio era riservato al colono.

Il vino era il prodotto più diffuso in tutto il territorio, tranne che nella collina più alta. La lavorazione delle uve spettava al colono ed il vino «appena estratto dal tino» era del proprietario per i 2/3 se il terreno era pianeggiante, nel colle la metà; al padrone competeva l’impianto delle viti e «refilare» viti e alberi quando morivano.

Castagne e marroni venivano divisi a metà appena battuti. Di questa pianta era prezioso anche il legno: il primo impianto spettava al padrone, che aveva diritto di tenersi la pianta morta; la coltura, la «rimondatura» dei rami e il legno che ne risultava spettavano al colono.

La foglia, sempre nel sistema a mezzadria, spettava per intero al padrone; se

36 37BROGLIANO NELL’ETÀ CONTEMPORANEA Silvano Fornasa, Brogliano nell’Ottocento

però il colono allevava bachi da seta poteva utilizzare la foglia prodotta nel fondo che conduceva: la seta prodotta era alla fine divisa a metà.

Era presente, infine, il regime agrario ad economia, che si applicava sia a poderi completi che ad appezzamenti isolati. Nelle possessioni più grandi, il proprieta-rio utilizzava il proprio bestiame e braccianti fissi, da noi detti «obbligati»: erano generalmente contadini del paese, percepivano il vitto quotidiano e un salario giornaliero di 25 centesimi di Lira austriaca. Ricevevano inoltre dal padrone la cosiddetta «zappa», che da noi consisteva in due campi di granturco ed uno di cinquantino, di cui dovevano però corrispondergli 1/4 del prodotto; avevano altresì diritto alla battitura del frumento, per la quale percepivano l’undicesima parte del prodotto. Negli appezzamenti più piccoli, gli eventuali braccianti as-sunti erano «giornalieri alla giornata». Provenivano anch’essi dal paese e questa è un’ulteriore conferma dell’eccedenza di mano d’opera e della disponibilità a fornire prestazioni bracciantili da parte di tutta la schiera dei piccoli possessori. Quando erano assunti percepivano il vitto e 28 centesimi d’inverno, 57 d’estate, ma non disponevano dei campi alla zappa e del diritto alla battitura, e soprattutto non avevano alcuna certezza d’impiego.

Uso del suolo, colture e prodotti

Negli Atti preparatori al Catasto austriaco venne censita, nel comune di Brogliano globalmente, una superficie agraria pari a 1140 ettari, corrispondente a quella pub-blicata alla fine dei lavori, nelle Tariffe d’estimo del 1850 e analizzate da Giorgio Scarpa.

Metà circa della superficie produttiva era costituita dai seminativi, tra i quali la preminenza spettava alla coltura promiscua della vite con i cereali: l’aratorio arborato vitato, la classica e secolare piantata veneta, costituiva un terzo della superficie totale. Modesta appare invece la quota destinata al prato (13%), di cui solo una minima parte era irriguo: è una conferma di quanto emerge dalle ricerche sull’agricoltura veneta del primo Ottocento, che evidenziano la scarsa propensione dei nostri contadini ad investire sul prato e la preferenza accordata invece alle colture cerealicole.

Un buon terzo del territorio era coperto dal bosco e dall’incolto sterile, soprattutto nella frazione di Quargnenta, dove permanevano gli ultimi beni collettivi di tutto il paese: 43 ettari circa di bosco e di zerbo. Queste ampie porzioni di territorio, unite al pascolo (2%), costituivano la riserva comunale per tutti gli abitanti, che vi conducevano gli animali del piccolo allevamento domestico. La disponibilità di queste terre diminuì sensibilmente nel corso di questo periodo, anche sotto i colpi dei nuovi indirizzi agronomici, che a poco a poco eliminarono un po’ ovunque

i beni comunali di libero accesso. L’uso civico dei terreni era anche garantito dal ‘regime a campi aperti’, tramontato ormai nei più avanzati Stati europei, ma che da noi consentiva ancora a tutti gli abitanti del paese di pascolare nelle terre priva-te dopo il raccolto, dal 16 ottobre al 15 marzo successivo. Erano comunque diritti destinati a scomparire: l’abolizione dell’ultimo degli ‘usi civici’, vale a dire il diritto di pensionatico che garantiva il libero pascolo sulle terre nel periodo autunno-inver-no, suscitò a Brogliano – come s’è visto nelle pagine precedenti – vivaci reazioni contadine e qualche arresto.

Tabella 1 - Forme di utilizzazione della superficie agrarianel comune di Brogliano. Anno 1850 *

ettari %aratorio e aratorio adaquatorio 148 13%aratorio arborato vitato 357 31%zappativo 29 3%zappativo arborato vitato 6 1%

totale seminativi 540 48%prato 107 10%prato adaquatorio 42 3%pascolo 21 2%castagneto 23 2%bosco castanile da taglio 53 4%bosco ceduo 229 20%incolto produttivo 113 10%incolto sterile 7 1%

totale 1135 100%

* Nostra elaborazione da SCARPA 1963, appendice IV.

Il quadro generale prospettato dalla tabella 1 è quello di un territorio caratteriz-zato da una varietà di colture, che da un lato perpetuava la tradizionale economia di sussistenza tipica delle nostre terre e dall’altro impediva la specializzazione e quindi il decisivo salto di qualità dell’attività agraria. Tutto questo, se garantiva comunque un reddito sicuro nel breve periodo, non forniva adeguate garanzie contro le annate sfavorevoli che ciclicamente colpivano il lavoro dei contadini e nel lungo periodo non permetteva l’accumulo di capitali da reddito agricolo, da riversare in altre attività economiche.

La rotazione delle colture variava, anche di molto, a seconda della natura del

38 39BROGLIANO NELL’ETÀ CONTEMPORANEA Silvano Fornasa, Brogliano nell’Ottocento

suolo, della sua ubicazione ed anche delle tradizioni locali. La maggior parte dell’aratorio e della piantata a Brogliano, per esempio, «vengono avvicendati in ruota d’anni 5»: come primo frutto si seminavano mais il primo e terzo anno, e frumento il secondo, quarto e quinto anno; falciati il grano o il mais, al loro po-sto si seminavano trifoglio, cinquantino o fagioli. Per la concimazione del terreno agrario veniva utilizzato il letame; si ricorreva inoltre al sovescio di trifoglio ed al gesso, estratto nel Recoarese ed utilizzato già dalla fine del ‘700.

Nonostante la cura nella rotazione e lo sforzo di concimare adeguatamente, anche le terre migliori della pianura e del colle dolce offrivano rese modeste, che non si scostavano da quelle dei secoli precedenti. Traducendo i dati nelle attuali unità di misura, nell’aratorio di pianura e di colle basso si utilizzavano all’incirca 150 kg di semente di frumento per ettaro e 125 kg negli zappativi della collina, per raccogliere poi rispettivamente 5-6 q per ettaro e 3-4 q per ettaro di prodot-to. I rapporti tra seminato e raccolto erano, di conseguenza, ancora quelli di tre secoli prima: 3-4 per 1 nella pianura, 2 per 1 nello zappativo del monte. Un po’ meglio andava nell’aratorio servito dall’irrigazione, dove si potevano raccogliere quasi 8 q per ettaro e raggiungere così un rapporto di 5 di raccolto per 1 di se-minato40. Per avere concreti termini di paragone, oggi – nelle terre migliori del paese – si raccoglie dodici, tredici volte tanto, cioè intorno ai 60-70 q per ettaro.

Le rese del mais erano, si sa, molto più elevate. Si utilizzavano 40 kg circa di semente per ettaro nelle terre migliori della pianura e 25 sulla collina, per arrivare ad un rapporto di produzione alquanto elevato nei campi di mais irrigati della pianura (oltre 40 di raccolto per 1 di seminato), rapporto che scendeva a 20-25 per 1 negli aratori asciutti e via via fino a 6-8 per 1 nei magri zappativi del monte. In termini assoluti, il raccolto del mais nel comune di Brogliano variava da un massimo di 16-17 q per ettaro, fino a superare di poco il quintale di prodotto nelle zone più sterili. Va detto infine che frumento e mais rendevano, rispettiva-mente, 1/5 e 1/8 in meno nella piantata, a causa dell’ombra procurata dai filari di viti e alberi.

Con l’aratorio arborato vitato si entra nel regno della vite, diffusissima dal piano al colle, fin dov’era possibile e anche oltre: la produzione riusciva a soddisfare la domanda locale ed una buona metà veniva venduta nei paesi vicini. Assente

40. Si può fare un confronto con le rese calcolate per l’Estimo generale del 1655: anche allora le terre migliori in assoluto rendevano intorno alle 9-11 staia di frumento per campo vicentino, corrispondenti a circa 5 q per ettaro (ASVI, b. 1637). I dati non si discostano nemmeno dalle rilevazioni di Camillo Valle del 1811, pubblicate negli Annali dell’agricoltura di Filippo Re: il nobile valdagnese indicava, per la Valle dell’Agno, una resa media di 10-12 staia di frumento per campo per le terre di pianura e di 3-5 per il monte (VALLE 1816, p. 12).

il sostegno a palo secco, le viti erano appoggiate a piante di oppio (acero cam-pestre), due per pianta. Queste piante di sostegno erano posizionate a circa 5 m una dall’altra ed i filari distavano tra loro dai 15 ai 20 metri; nel colle le viti ed i filari erano più ravvicinati. Di conseguenza, un ettaro in pianura poteva ospitare dalle 200 alle 250 viti, che in collina potevano arrivare anche a 500. L’uva era per la maggior parte nera ed il Valle fornisce l’elenco delle più diffuse del distretto: corbina, cavrara, dovenzana, croaja, negrara, canosa bianca e lenese41. Le rese e la qualità variavano di molto: un ettaro delle migliori piantate forniva 5-6 q di uva, che si dimezzava sul colle per la scarsa profondità del terreno. La vite novella impiega-va quindici anni prima di dare frutto e moriva in genere dopo mezzo secolo di vita. La qualità dell’uva, quasi tutta nera, lasciava parecchio a desiderare, anche quella posta in collina: «Non gode gran reputazione in commercio, essendo per-lopiù di mediocre qualità»

Non so quanto sia attendibile il «grandioso aumento del bestiame» che il Valle attribuiva nel 1811 genericamente a tutto il distretto: vero è che il prato artificiale, irrigato e ingrassato con il gesso, era da noi 1/4 della superficie totale destinata a tale uso e veniva irrigato ogni quindici giorni ordinariamente e settimanalmente d’estate, fornendo nei casi migliori tre tagli di fieno. In genere, però, la terza erba veniva lasciata a pascolo.

I contadini di Brogliano ricavavano dai campi, in gran parte arborati, il legname per i mobili e gli attrezzi, e la legna da ardere. C’erano poi, come s’è visto, estese superfici di bosco ceduo ed il bosco castanile da taglio: i castagni da legna, i cantili, servi-vano in massima parte a riparare gli argini dei torrenti e venivano tagliati ogni 25 anni. Il bosco ceduo veniva invece tagliato ogni 7 anni ed un campo forniva dalle 100 alle 300 fascine, trasportate nelle contrade con il carro o «a spalla d’uomo».

C’erano poi, in quantità non trascurabile (23 ettari), i castagneti veri e propri, dislocati «tutti in monte e sparsi qua e là in piccoli appezzamenti». Erano gene-ralmente piante «di mediocre fusto», vivevano all’incirca un secolo e se ne con-tavano in media 150 per ettaro, fra castagni produttivi, novelli e vecchi: la resa media si aggirava sui 2.5 kg per pianta. «Non vi è l’uso di seccare le castagne», osservava il perito: venivano quindi consumate fresche, vendute subito o conser-vate per qualche mese nelle rizzaie appositamente approntate.

La coltura del gelso era una componente rilevantissima nell’economia agraria del Veneto ed anche del nostro territorio: i morari erano ospitati in numero mol-to consistente nell’arativo semplice, nella piantata e nel prato asciutto e irriguo. Nella rilevazione effettuata per il catasto austriaco vennero contate 1393 piante

41. Ibidem, p. 24.

40 41BROGLIANO NELL’ETÀ CONTEMPORANEA Silvano Fornasa, Brogliano nell’Ottocento

di gelso a Quargnenta e 1913 a Brogliano; nel corso della prima metà del secolo, pur rimanendo una risorsa importante, probabilmente diminuirono di nume-ro, parallelamente alla crisi della seta: nel 1850, infatti, tutta la zona occidentale Chiampo, Agno e Timonchio, di cui faceva parte anche Brogliano, annoverava solamente 44.825 piante. La quantità di foglia prodotta, stando ai dati ricavati dalle Tariffe d’estimo del 1850 ed alla ricerca del Forti del 1826 sulla Valle dell’A-gno, variava dai 30 ai 40 kg per moraro42.

La gelsibachicoltura era un’attività diffusa a livello familiare da parecchi secoli, ma le prime piccole filande sono documentate a Brogliano a partire dagli anni ’30 dell’Ottocento. Un accenno indiretto, ma interessantissimo, lo si trova nelle carte d’archivio relative alle direttive diffuse in occasione dell’epidemia di colera scoppiata nel 1836. Il 25 giugno di quell’anno, il commissario distrettuale ema-nò un’ordinanza diretta a tutti i comuni della valle, per conoscere le condizio-ni delle filande e impartire norme di igiene relative alle medesime43. Risposero tutti i comuni dove esistevano filande: i deputati comunali di Brogliano, Rasia Dani e Albanello, visitarono «le poche e piccole filande di seta esistenti in questo comune, le quali si trovano in situazioni quanto basta eccentriche», vale a dire sufficientemente fuori del centro abitato, e due settimane dopo inviarono la loro relazione. In essa dichiararono, in osservanza delle severissime direttive emanate, di aver «formalmente diffidati i filandieri a dover tenere colla maggior possibile nettezza le tratture, a dover effettuare il lavacro delle crisalidi allo spuntar del giorno in torrenti ove scorra liberamente l’acqua»; per quanto riguardava gli opi-fici, trovarono che i «locali dove dormono le filatrici si riscontrano bene ventilati e bastantemente netti»; ingiunsero infine ai proprietari delle filande di «cambiare la biancheria dei letti di otto in otto giorni, somministrare alle filatrici dei cibi e delle bevande sane, che i locali sieno tenuti netti e mondi e che le filatrici si ten-gano nette indosso».

La lavorazione della seta riveste per il nostro territorio un’importanza parti-colare, in quanto fu l’unica attività industriale fino al secondo dopoguerra. Una filanda – e fu l’unica – di rimarcabili proporzioni venne aperta a Brogliano, in alcuni locali dell’ex villa Piovene-Rasia Dal Polo di contrà Bregonza, nel 1908: in quell’anno nei registri della vecchia mappa austriaca rettificata risultavano esserci

42. FORTI 1826, p. 14.43. BBV, ms. 3507.

una «filanda di seta» di 920 mq ed un «fabbricato a tre piani e gallettiera»44. Nel 1916 l’opificio occupava un centinaio di dipendenti45 e continuò a lavorare nei decenni successivi.

Se il grano, il mais, l’uva, la foglia di gelso e il fieno sono indicati nelle Nozioni generali come le colture più importanti per Brogliano e Quargnenta, una serie di altri prodotti sostanziavano il sistema della varietà delle colture agrarie, supporto indispensabile dell’ancora imperante economia di autoconsumo. Nella collina, dove frumento e mais stentavano, erano seminati l’avena, il grano saraceno, il sorgo rosso (saggina) e il miglio, e dappertutto si coltivavano i fagioli e, in misura minore, fave, ceci e lenticchie.

Un discorso a parte merita la patata. Non viene mai nominata negli Atti pre-paratori del 1826, il che indica una sua presenza ancora poco significativa. Ma certamente era coltivata e da una decina d’anni consumata anche dall’uomo. È del 1811 il primo riscontro documentario: Camillo Valle registra la sua presenza nel distretto valdagnese, ma il prodotto era poco apprezzato, «e ciò per la diffi-coltà di smerciarle, ricusando il contadino di cibarsene»46. Era stata la tremenda crisi agraria degli anni 1814-1817 a spingere i nostri contadini a coltivare e a consumare le patate: la produzione si impose lentamente, ma in modo diffuso, e il tubero americano entrò definitivamente anche nella dieta dei nostri contadini.

44. ASVI, b. 25, Mappa del comune censuario di Brogliano, rettificata nell’anno 1845 (e con successive integrazioni fino al 1908); b. 399, Catasto dei terreni e dei fabbricati del comune censuario di Brogliano, anno 1850 (con suc-cessive integrazioni).

45. ADV, Visitationum, Visita pastorale del vescovo Rodolfi, b. 3, fascicolo Brogliano (anno 1916) e b. 14, fascicolo Quargnenta (anno 1916).

46. VALLE 1816, p. 14.

42 BROGLIANO NELL’ETÀ CONTEMPORANEA

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