Bowling a Columbine: Reconstructing a Carnage

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Università degli Studi dell’Insubria Facoltà di Giurisprudenza Corso di Laurea in Scienze della Mediazione Interlinguistica e Interculturale BOWLING A COLUMBINE: RICOSTRUZIONE DI UNA STRAGE Tesi di Laurea di Alice Castiglioni Matricola 713825 Relatore: Prof. Paolo Luca Bernardini Anno Accademico 2012 / 2013

Transcript of Bowling a Columbine: Reconstructing a Carnage

Università degli Studi dell’Insubria

Facoltà di Giurisprudenza

Corso di Laurea in Scienze della Mediazione Interlinguistica e Interculturale

BOWLING A COLUMBINE:

RICOSTRUZIONE DI UNA STRAGE

Tesi di Laurea di Alice Castiglioni

Matricola 713825

Relatore: Prof. Paolo Luca Bernardini

Anno Accademico 2012 / 2013

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Ai miei genitori che mi hanno sempre sostenuto con

tutto l’amore e la forza possibili, consentendomi di

essere qui in questo giorno speciale per raggiungere

questo traguardo.

A mio fratello che ha sopportato i miei sbalzi d’umore

e, tra una litigata e l’altra, è sempre stato pronto a

darmi i consigli giusti.

Allo zio Rino per avermi aiutato e per essere sempre

disponibile. Come dice lui: “gli zii servono a questo”.

Alla zia Miriam che mi ha supportato nei momenti più

difficili.

A tutti i miei Amici, quelli con la A maiuscola, sempre

pronti a farmi sorridere e che non dovranno più

chiedermi: “Aly, ma quando ti laurei?.

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INDICE

SUMMARY 5

INTRODUZIONE 6

1. LA STRAGE: 20 APRILE 1999 9

1.1 - I giorni dopo il massacro 14

1.2 - I due assalitori: Eric Harris e Dylan Klebold 16

1.3 - La religione: Columbine, il paese di Dio; Cassie Bernall 19

1.4 - L’influenza della musica 22

1.5 - L’influenza dei videogiochi e “Super Columbine Massacre” 24

2. LA NOTIZIA DIVULGATA DAI PRINCIPALI QUOTIDIANI 28

2.1 - New York Times 28

2.2 - Denver Post 32

2.3 - La Repubblica 36

2.4 - La Stampa 43

2.5 - Il Corriere Della Sera 46

2.6 - Il mio commento 52

3. BOWLING FOR COLUMBINE 55

3.1 - Michael Moore 56

3.2 - Il film-documentario 58

3.3 - Le critiche 66

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4. POSSEDERE UN’ARMA NEGLI USA 73 

 

5. COLUMBINE 10 ANNI DOPO: LA PREVENZIONE NELLE SCUOLE 78 

5.1 - La prevenzione 78 

5.2 - Il Virginia Student Threat Assessment Guidelines 79

5.3 - Il Virginia Student Threat Assessment Model 80

5.4 - Il Safe2Tell 84

6. CONCLUSIONE 86 

 

BIBLIOGRAFIA 88 

 

FILMOGRAFIA 88 

 

SITOGRAFIA 88 

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SUMMARY

On 20th April 1999, in the small town of Littleton in Colorado, two high-school seniors, Dylan

Klebold and Eric Harris, enacted an assault on Columbine High School.

Their plan was to kill hundreds of their peers with guns, knives, and bombs. When the massacre

was done, twelve students, one teacher, the two murderers were dead and 21 more students were

injured.

Apparently the two boys seemed to be normal, but they were psychologically instable. They hated

everybody and they were depressed. Eric and Dylan, with other students that were called “the

Trenchcoats Mafia” have been the laughing stocks of the Columbine High School for long time and

so they wanted revenge.

It was not so difficult for Eric and Dylan to get weapons for the massacre. In the United States

people can buy every guns model with ease. For example, anybody can buy weapons online giving

only the name, the surname, the credit card number and then wait the courier at home.

In this case, the media played the hands down of buying guns as something else. The News about

the massacre reached all newscasts and newspapers of the world. Heavy metal music, the singer

Marilyn Manson, Adolf Hitler, violent videogames and films were identified as the causes of the

Columbine massacre. But they are all pretexts to deviate one real problem of the United States.

Michael Moore’s documentary Bowling for Columbine, through interviews and videos, explains this

situation clearly.

After the massacre of 1999, prevention in American schools increased; for example a lot of them

placed metal detector in the hall and tightened some rules, but the problem is that government

doesn’t give sufficient consideration to students’ psychological support.

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INTRODUZIONE

Il presente elaborato si pone l’obiettivo di analizzare quanto accaduto il 20 Aprile 1999 alla

Columbine High School nella Southern Jefferson County, vicino a Denver, nel Colorado.

L’analisi è stata condotta basandosi su documentari, filmati, articoli di giornale ed informazioni

estrapolate da libri, risalenti all’epoca dell’evento e agli anni successivi, e realizzati sia negli Stati

Uniti che in Italia.

In particolare, è risultato di rilevante importanza il documentario Bowling for Columbine, girato dal

regista americano Michael Moore nel 2002, al quale viene dedicato un paragrafo specifico.

La mattina del 20 aprile 1999 due studenti della Columbine High School, Eric Harris e Dylan

Klebold, si recarono a scuola armati di tutto punto ed aprirono il fuoco. Alla fine del massacro si

contarono 13 morti e 21 feriti oltre ai due assalitori finiti suicidi. Le indagini condotte in seguito

dalla polizia, stabilirono che il loro obiettivo era quello di vendicarsi di tutti i torti, presunti o reali,

subiti in particolare ad opera dei loro compagni ed in generale della Columbine High School,

sebbene questa fosse considerata una delle scuole più prestigiose della contea.

Nonostante in America omicidi e sparatorie siano all’ordine del giorno, questa strage ha avuto una

risonanza mediatica mondiale ed ha profondamente sconvolto l’opinione pubblica americana tanto

che, in seguito ad essa, il sistema scolastico statunitense sulla prevenzione della violenza è stato

drasticamente rinnovato. Inoltre, sull’onda della forte emozione provocata, è stato prodotto anche

un CD musicale con lo scopo di raccogliere fondi a favore delle vittime e realizzato con tracce

molto toccanti composte anche da alcuni studenti che quella mattina vissero lunghe ore di panico.

Nel primo capitolo, oltre ad una dettagliata cronologia degli eventi, viene descritta

approfonditamente la personalità dei due assalitori che si può riassumere con due termini: il

depresso e lo psicopatico. All’apparenza, i due sembravano dei normalissimi adolescenti ma,

indagando successivamente su quanto pubblicavano nei loro blog, su come trascorrevano il tempo

libero, sulle loro letture, sui loro trascorsi e frequentazioni, si compone un quadro che descrive due

personalità profondamente contorte e disturbate. Eric, in particolare, era fortemente depresso tanto

da dover assumere pesanti dosi di antidepressivi, come venne dimostrato anche dall’autopsia.

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Si passa quindi all’analisi dei motivi che avrebbero potuto spingere i due giovani a compiere

un’azione così feroce. Certamente ebbero un ruolo fondamentale il loro rapporto con la religione ed

il conseguente odio verso tutti coloro che avevano fede, l’ascolto ossessivo della musica metal, la

forte dipendenza da videogiochi molto violenti e l’ammirazione per Adolf Hitler.

Il capitolo 2 mostra come i quotidiani, americani ed italiani, hanno riportato la sconvolgente notizia.

La maggior parte di essi collega quanto avvenuto con il problema della relativa facilità con la quale

si entra in possesso di armi in America. Si distingue il Denver Post, il giornale locale, che invece ha

trattato la notizia in maniera più dettagliata soffermandosi anche sulla disperazione suscitata nella

popolazione.

La facilità con la quale in America si entra in possesso di armi viene ampiamente dimostrata nel

documentario di Michael Moore, oggetto del terzo capitolo della tesi. Il tema conduttore di Bowling

for Columbine, prodotto nel 2002 negli Stati Uniti e girato fra Stati Uniti e Canada, è infatti la

questione del possesso e dell’uso di armi da fuoco tra la popolazione nordamericana. Da questo

documentario si evince che gli 11.127 omicidi all’anno commessi negli USA avvengono perché i

media, trasmettendo di continuo notizie relative ad aggressioni e violenze, creano un clima di alta

tensione sociale. La popolazione reagisce ad esso armandosi in quanto non si sente sufficientemente

protetta dal governo.

Secondo Moore, ciò è avvalorato dal fatto che in Canada vi siano solo 165 omicidi all’anno. La

legge sul possesso delle armi è identica a quella degli Stati Uniti ma i media canadesi dedicano la

loro attenzione più alla situazione socio-economica del loro Paese piuttosto che alla cronaca nera.

Il capitolo 4 è quindi dedicato proprio alla facilità con la quale si può acquistare un’arma in

America. Un’operazione che risulta ora ancora più semplice grazie all’avvento di Internet, dove è

sufficiente fornire solo nome, cognome e numero di carta di credito per il pagamento. In questo

capitolo viene anche ripercorsa la storia americana al fine di analizzare il rapporto degli USA con le

armi da fuoco fino ad arrivare alla promulgazione del tanto criticato Secondo Emendamento della

Costituzione degli Stati Uniti che recita: «A well-regulated militia being necessary to the security of

a free State, the right of the people to keep and bear arms shall not be infringed» ovvero «Essendo

necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia ben regolamentata, il diritto dei cittadini di

detenere e portare armi non potrà essere infranto».

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L’ultimo capitolo, il capitolo 5, è dedicato alle misure di prevenzione adottate dalle scuole nelle

scuole americane in seguito alla vicenda della Columbine. Inizialmente, oltre ad aver aumentato il

personale di sicurezza e, in alcune scuole, l’aver installato metal detector agli ingressi, venne

imposta la politica di “tolleranza zero” verso tutti quegli atteggiamenti e quei costumi che potevano

essere considerati “devianti” e quindi pericolosi.

In seguito, approfonditi studi effettuati dall’Università della Virginia portarono all’adozione del

sistema denominato Virginia Student Threat Assessment Guidelines che, a fronte di atteggiamenti

violenti da parte di uno o più studenti, prevede la costituzione di un team di esperti interno alla

scuola che ha il compito di valutare la gravità del comportamento ed approntare conseguentemente

un piano personalizzato per la risoluzione del caso.

A partire dal 2003 la prevenzione si incentra sul sistema Safe2Tell, un servizio al quale chiunque

può segnalare comportamenti sospetti o violenti in maniera totalmente anonima.

Riguardo le fonti utilizzate per la ricostruzione della strage alla Columbine, è stato fatto ricorso al

libro Columbine di Dave Cullen, pubblicato nel 2009, che analizza dettagliatamente l’evoluzione

dell’evento. Molto interessante e ricco di particolari inediti ed immagini si è rivelato inoltre il libro

del 2007 Comprehending Columbine di Ralph W. Larkin. Infine, altra fonte preziosa è stata il

saggio edito nel 2011 New direction for youth development. Columbine a Decade Later. The

Prevention of Homicidal Violence in Schools, scritto da Dewey G. Cornell e Herbert Scheihauer,

che è incentrato sulle forme di prevenzione adottate nelle scuole americane.

Fondamentale è stata la visione del documentario Bowling for Columbine e di altri filmati reperiti

on-line che ricostruivano nel dettaglio la strage e fornivano immagini registrate quella mattina dalle

telecamere di videosorveglianza della scuola.

Per la raccolta degli articoli dei quotidiani sono stati consultati i rispettivi archivi web.

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1. LA STRAGE

Questa è la cronaca di quanto accadde il 20 aprile 1999 nella Southern Jefferson County

(erroneamente indicata da tutti i media come Littleton) vicino a Denver nel Colorado in una scuola

superiore del distretto amministrativo di Columbine: la Columbine High School.

Come ogni altra mattina, anche quel giorno gli studenti della Columbine High School si recano a

scuola per seguire le lezioni.

Nessuno si aspetta qualcosa di diverso dalla solita giornata monotona e noiosa.

Nessuno tranne due ragazzi: Eric David Harris e Dylan Bennet Klebold.

I due erano usciti di casa alle 6 del mattino per andare a fare una partita a bowling prima di dare

inizio alla azione eclatante che avevano ormai da tempo programmato per guadagnarsi un posto

nella storia e scalare la classifica della selezione naturale: compiere una vera e propria strage. È

infatti da un anno che collezionano armi, creano e testano bombe, scrivono liste, disegnano piani e,

soprattutto, fantasticano sulla vendetta che hanno intenzione di pretendere dalla Columbine.

Vogliono che il massacro che hanno in mente di compiere sia paragonato alla Seconda Guerra

Mondiale e che la concentrazione dei media ricada solo su di loro, così da potersi guadagnare una

fama imperitura.

Sono le 11:08 quando scocca l’ora del terrore.

I due arrivano a scuola in automobili separate; ognuno ha con sé un vero e proprio arsenale. Eric ha

un fucile a pompa Savege-Springfield 67H e una carabina Hi-Point 995; Dylan porta una pistola

semi-automatica Intratec Tec-9 e un fucile a canne mozze Stevens 311D. Hanno anche diversi

coltelli, che nascondono nelle cinture, oltre ai caricatori calibro 9 e i caricatori per i fucili a pompa.

Entrambi calzano degli stivaletti da combattimento ed indossano l’abbigliamento tipico del gruppo

di cui fanno parte: la Trenchcoat Mafia.

Oltre al lungo trench di pelle nera, sotto il quale nasconde tutte le sue armi, Dylan indossa dei

pantaloni lunghi con tasconi laterali ed una maglietta nera con scritto “Wrath” (“ira”). Eric, oltre al

medesimo trench nero, ha una maglietta bianca con la scritta “Selezione Naturale”.

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Harris ha lasciato l’auto nel parcheggio degli Junior e Klebold in quello dei Senior, entrambi in

posti a loro non assegnati. È una posizione strategica: i due hanno così un’ampia visuale dell’entrata

della mensa e possono controllare una delle uscite principali dell'edificio per poter sparare agli

studenti che tentano la fuga. Poco prima di arrivare alla Columbine, Harris e Klebold hanno posto

in un campo vicino alla scuola una piccola bomba che avrebbe dovuto detonare alle 11:14 creando

un diversivo per il personale di emergenza. L'ordigno esploderà solo parzialmente, causando un

piccolo incendio subito spento dai pompieri.

L’obiettivo principale di Eric e Dylan è quello di cancellare la Columbine dalla faccia della terra

per tutte le umiliazioni che ha provocato loro durante gli anni. Eric e Dylan non sono mai riusciti ad

inserirsi nella comunità scolastica della Columbine: si sentono messi all’ultimo posto, hanno

pochissimi amici, sono isolati da tutti. I tipi più in vista della scuola sono quelli che hanno abiti

firmati, indossano il cappellino bianco perché fanno parte della squadra di baseball e circolano

sempre affiancati da belle ragazze. I due ragazzi sono carichi di rabbia repressa e provano un odio

feroce soprattutto verso coloro che indossano il cappellino bianco da baseball e verso tutti gli atleti

che fanno parte delle squadre della Columbine. Entrare a far parte di una squadra è sempre stato un

loro desiderio ma non si è mai realizzato.

Giungono a scuola alla quarta ora ed uno dei pochi amici di Eric, Brooks Brown, lo raggiunge alla

sua macchina per chiedergli il motivo della sua assenza quella mattina. I due avevano avuto un

diverbio in passato ma, fortunatamente per Brooks, avevano fatto pace pochi giorni prima. Infatti

Eric consiglia al suo amico di allontanarsi dalla scuola al più presto.

Il piano preparato per il massacro ha così inizio. I due piazzano nella mensa due ordigni al propano

da 7 kg circa ciascuno (un potere detonante sufficiente a distruggere l'intera mensa e far crollare la

biblioteca poco distante) programmati per esplodere alle 11:17. Per loro fortuna, nel momento in

cui entrano nella sala, il custode sta sostituendo la cassetta della videocamera di sorveglianza che

non registra l’attimo in cui mettono le bombe. Quando la nuova cassetta comincia a registrare sono

però ben visibili i borsoni contenenti le bombe. I due ragazzi si recano poi ognuno alla propria auto

in attesa delle esplosioni degli ordigni. Hanno pianificato di aprire il fuoco contro gli studenti che,

in preda al panico, cercheranno scampo dalle esplosioni fuggendo dalle uscite principali. Ma

qualcosa va storto: alle 11:19 non si è ancora verificata nessuna esplosione. Il piano di Harris e

Klebold viene mandato all’aria perché i detonatori che hanno approntato seguendo alcune istruzioni

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lette su internet sono difettosi. La sparatoria comincia proprio allorquando i due realizzano che le

bombe in mensa non esploderanno. A quel punto si incontrano presso l'auto di Harris dove si

armano ulteriormente e si dirigono verso la mensa.

Saliti in cima alle scale dell'entrata ovest, il punto più alto del campus, estraggono i loro fucili a

pompa e cominciano a sparare sui compagni di scuola. I primi ad essere colpiti sono Rachel Scott e

Richard Castaldo: sono seduti su una collinetta d'erba a consumare il loro pranzo all’aperto, quando

all’improvviso vengono colpiti da una raffica di proiettili. Rachel perde subito la vita ed è la prima

vittima del massacro mentre Richard, gravemente ferito, rimane immobile a terra così che i due

assassini, pensando che sia morto, non sparano altri colpi al suo indirizzo.

Dopo la prima serie di proiettili, Harris si toglie il trench nero di pelle, estrae la carabina semi-

automatica e si dirige verso l’entrata ovest, colpendo tre studenti con una raffica di colpi. Tutti e tre

gli studenti cadono per terra feriti. Poi Harris e Klebold sparano verso altri cinque studenti seduti su

una collinetta adiacente alle scale. Klebold si dirige verso la mensa per capire come mai le bombe al

propano non sono esplose. Non appena raggiunge anche egli la mensa, Harris comincia a sparare

giù dagli scalini verso diversi studenti seduti vicino all'entrata. I due folli poi si incontrano e

provano a colpire altri studenti in piedi vicino al campo da calcio, mancandoli. Poi lanciano dei

tubi-bomba, anch’essi preparati in casa, verso il parcheggio, sul tetto e sulla collina a est ma

nessuno di questi esplode.

Nel frattempo Patti Nielson, un’insegnante, vedendo cosa sta succedendo ma non avendo

completamente compreso la gravità della situazione invita i propri studenti a mantenere la calma

pensando che si trattasse soltanto di una bravata o del montaggio di un video per il corso di

cinematografia. Quando realizza che alla Columbine sta avvenendo un vero e proprio massacro,

chiama il 911 (il numero americano per i casi di emergenza) e si nasconde dietro la cattedra della

biblioteca. Le pattuglie raggiungono l’edificio e Gardner, lo sceriffo della polizia giunto sulla scena

per primo, comincia a sparare dal parcheggio verso la finestra della mensa all’indirizzo di Harris e

Klebold. Scoppia così uno scontro a fuoco tra i due ragazzi e il poliziotto.

Altre cinque pattuglie di emergenza raggiungono il parcheggio della scuola. Nessuno però si reca

all’interno della struttura: in base alla procedura delle forze dell’ordine americane, in una situazione

di crisi viene data priorità al contenimento. I due ragazzi imboccano il corridoio in direzione della

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biblioteca sparando fuori dalle finestre verso l'entrata est della scuola. Dopo aver ripetuto il

percorso più volte, sparando a chiunque fosse in vista ma senza colpire nessuno, giungono in

prossimità della biblioteca dove l’insegnate di educazione fisica, William Dave Sanders, uno dei

docenti più amati, sta tentando di portare in salvo i suoi studenti. Harris e Klebold lo vedono e lo

colpiscono al petto, ferendolo gravemente. Mentre i due ragazzi ritornano nel corridoio nord,

Sanders si trascina verso la classe di scienze. L'insegnante lì presente lo porta in un'altra classe dove

due studenti gli prestano i primi soccorsi e provano a contattare la polizia all'esterno. Sanders,

tuttavia, morirà alle 15:00 circa. Il massacro si sposta poi nella biblioteca.

L'insegnante Patti Nielson è ancora al telefono con il servizio di emergenza; racconta loro quanto

sta accadendo mentre cerca di far nascondere gli studenti sotto i banchi. Alle 11:29 i due assalitori

fanno irruzione nella biblioteca dove cinquantadue studenti, l’insegnante e tre addetti, oltre che

sotto i banchi, cercano riparo all’interno di alcune stanzette circostanti. Appena entrato, Harris spara

ad un espositore di vetro che si trova dall'altra parte della sala. Poi grida a tutti di alzarsi e di uscire

allo scoperto. Nessuno osa farlo.

Giunge il momento di ricaricare le armi per poi sparare all’impazzata fuori dalla finestra agli

studenti che tentano di fuggire da quell’inferno e agli agenti della polizia. Sparano anche all’interno

della biblioteca, sotto i banchi, senza guardare in faccia le loro vittime anzi deridendole al grido di

“peek-a-boo” (il corrispondente del nostro “bu-bu-settete”). Harris cammina verso la fila di

computer più bassa, dove spara in testa a Cassie Bernall. Il rinculo della sua stessa arma lo colpisce

al volto rompendogli il naso. L’uccisione di Cassie rappresenta un episodio molto particolare in

tutta la tragedia. Prima di essere uccisa le viene chiesto se crede in Dio, ed un semplice “si” in

risposta le costa la vita.

Successivamente, Klebold individua un gruppo di ragazzi tutti molto popolari alla Columbine in

quanto bravi atleti. Klebold e Harris li sbeffeggiano e insultano, anche con epiteti razzisti e con

citazioni di frasi di Adolf Hitler dato che uno dei ragazzi è di colore. Poi sparano ancora. È la volta

di due ragazze che, dopo essere state definite patetiche da Eric in quanto popolari e sempre

affiancate dai migliori atleti della scuola, vengono colpite da una scarica di proiettili. Harris, dopo

aver nuovamente ricaricato le sue armi, nota uno studente lì vicino, gli intima di identificarsi. Lo

studente è John Savage, un loro amico. Decidono di risparmiargli la vita invitandolo a scappare

velocemente.

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L'ultima vittima del massacro è Corey DePooter il quale si è adoperato per cercare di far mantenere

la calma durante la sparatoria al gruppo di amici con cui si trovava. Harris e Klebold vengono uditi

fare commenti su come non trovino più elettrizzante sparare alle vittime ed esprimono il desiderio

di iniziare a colpire i loro compagni usando i numerosi coltelli di cui sono in possesso. Poi i due

lasciano la biblioteca cercando di far detonare altre bombe ma senza successo.

Alle 12:05 i due tornano in biblioteca e sparano ancora qualche colpo fuori dalla finestra nel

tentativo di colpire qualche poliziotto. Si spostano verso un tavolo vicino ai corpi di Matthew

Kechter e Isaiah Shoels e lì pongono inspiegabilmente fine al brutale massacro suicidandosi.

Klebold si uccide con un colpo alla tempia sinistra esploso dalla sua TEC-DC9. Harris si spara in

bocca con il suo fucile da caccia. Sono le 12:08.

A mezzogiorno circa le squadre della SWAT stazionano ancora all'esterno della scuola; le

ambulanze hanno cominciato a portare i feriti agli ospedali vicini. Nel frattempo i familiari delle

vittime e il personale scolastico si radunano nella vicina Scuola Elementare di Leawood per

ricevere informazioni. Alle 13:45 le squadre SWAT penetrano nell’edificio e cominciano a

controllare ogni stanza della scuola esaminando zaini e banchi. Alle 16:30 la scuola viene dichiarata

sicura ma un’ora dopo vengono individuate altre bombe nel parcheggio e sul tetto. Alle 18:15 la

polizia trova un’ultima bomba in un'auto nel parcheggio. Lo sceriffo decide allora di proclamare

l'intera scuola "scena del crimine". Alle 22:45 la bomba nell'auto parcheggiata esplode mentre un

poliziotto sta tentando di disinnescarla. Fortunatamente nessuno si ferisce.

Alla fine si conteranno, oltre ai due assalitori, 13 morti e 21 feriti.

MORTI: Corey DePooter, Lauren Townsend, Isaiah Shoels, William Dave Sanders (insegnante),

Daniel Mauser, Kelly Fleming, Kyle Velasquez, Cassie Bernall, Matt Ketcher, Rachel Scott (la

prima vittima), Daniel Rohrbough, Steven Curnow, John Tomlin.

FERITI: Richard Castaldo, Sean Graves, Lane Kirklin, Michael Johnson, Mark Taylor, Anne Marie

Hochhalter, Brian Anderson, Patti Nielson (insegnante), Stephanie Munson, Evan Todd, Patrick

Irleand , Daniel Steepleton, Makai Hall, Kasey Ruegsegger, Lisa Kreuz, Valeen Schnurr, Mark

Kintgen, Nicole Nowlen, Jeanna Park, Jennifer Doyle, Austin Eubaks.

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1.1 - I giorni dopo il massacro

Il giorno seguente la sparatoria lo sceriffo di Littleton, John Stone, spiegò che altre persone avevano

senza dubbio contribuito alla realizzazione della strage perché i due ragazzi non potevano, da soli,

posizionare tutta quella quantità di esplosivo. Infatti, di lì a poco, Chris Morris, amico di Harris e

Klebold e capo dei Trenchcoat Mafia, venne arrestato con l’accusa di aver posizionato una delle

bombe. L’intera nazione era sconvolta. L’attacco alla Columbine non aveva precedenti per portata e

ferocia. La strage rimase la notizia d’apertura di tutti i telegiornali, i quotidiani e i programmi

televisivi per diversi giorni.

Gli amministratori delle scuole erano terrorizzati e reagirono aumentando il numero di pattuglie e di

personale di sorveglianza agli ingressi degli istituti dove vennero anche installati metal detector e

telecamere. Alcune misure di sicurezza andarono anche ad annullare, nei confronti degli studenti, il

Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, quello sulla libertà di parola.

In seguito a ciò, l’Unione Americana per le Libertà Civili (ACLU) venne sommersa di telefonate da

parte di studenti e genitori che protestavano contro la sospensione dalle lezioni subita da quanti

avevano scritto saggi satirici, indossato a scuola trench, abbigliamento nero o magliette di Marilyn

Manson nei giorni successivi alla strage. Se lo scopo di Eric e Dylan era quello di diffondere caos

nell’intera comunità, c’erano sicuramente riusciti.

La Columbine era considerata la miglior scuola presente sul territorio. Dopo la strage ci furono

molte polemiche nei confronti del comportamento della polizia, accusata di aver atteso troppo

tempo prima di intervenire. I poliziotti entrarono nella scuola ben due ore dopo aver sentito gli

ultimi spari, quelli del suicidio dei due assalitori.

In seguito alla strage di Columbine si aprì un lungo dibattito tra gli organi di polizia per riformare le

procedure da adottare in casi simili. Le nuove norme consentono ora alle squadre speciali

d’intervenire e di fare irruzione negli edifici anche se ci sono degli ostaggi all’interno e di sparare ai

responsabili delle stragi in totale autonomia invece di attendere, delimitare la zona e cercare di

aprire una trattativa, come stabilivano le linee guida precedenti.

Sono stati realizzati anche diversi progetti per commemorare quanto accaduto tra cui il CD benefico

Lullaby for Columbine prodotto dal compositore/produttore Michael Tamburello. Lo scopo del CD

era quello di raccogliere fondi a favore delle vittime della tragedia. Inizialmente doveva contenere

solo una traccia, un brano scritto dalla figlia del produttore, ma, giunti a conoscenza del progetto,

molti altri artisti vollero prenderne parte. Il CD completo comprende quindi 17 tracce. La più

famosa è quella scritta da due studenti della Columbine: i fratelli Jonathan e Stephen Cohen.

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Il titolo è Columbine Friend of mine ed il testo così recita:

Columbine, flower blue, tenderly I sing to you.

Columbine, rose blood red, heartbreak overflows my

head.

Columbine, flower blue, Columbine there's hope for

you.

Columbine, friend of mine.

Turn our pain to your gain,

Keep our hearts on the mark

Comfort us with your love again

Comfort, Peace and sweet release,

Must come from you,

Where it's true, I hide myself in you.

Columbine, friend of mine.

Peace will come to you in time,

Columbine, friend of mine.

Columbine, flower blue, tenderly I sing to you.

Columbine, rose blood red, heartbreak overflows my

head.

Columbine, friend of mine.

Peace will come to you in time.

Columbine, friend of mine.

 Columbine, fiore blu, io canto teneramente per te.

Colombine, rosa rosso sangue, il crepacuore

trabocca dalla mia testa. 

Columbine, fiore blu, Columbine c'è speranza per te.

Columbine, amico mio.

Trasforma il nostro dolore a tuo vantaggio,

Mantieni i nostri cuori nel segno

Confortaci di nuovo con il tuo amore

 Conforto, Pace e dolce liberazione,

Devono provenire da te,

Dove è il vero, io mi nascondo in te.

Columbine, amico mio.

La pace verrà a te in tempo,

Columbine, amico mio.

Columbine, fiore blu, io canto teneramente per te.

Colombine, rosa rosso sangue, il crepacuore

trabocca dalla mia testa. 

Columbine, amico mio.

La pace verrà a te in tempo.

Columbine, amico mio.

  16 

1.2 - I due assalitori: Eric Harris e Dylan Klebold

L'adolescenza può essere definita come l'età più instabile a causa della tormentata ricerca di

un'identità sessuale intesa come maturità emotiva. E' un'età nella quale si è facilmente influenzabili

dalla società, nel bene e nel male. 

Per capire come possa essere accaduta questa strage e cosa l’abbia innescata è importante esaminare

attentamente l’ambiente familiare dei due ragazzi, l’aspetto psicologico della loro crescita, il loro

percorso alla Columbine, i rapporti che avevano con i loro compagni e i loro comportamenti prima

dell’assalto.

ERIC HARRIS - Si conosce poco di Eric, soprattutto della sua vita prima di arrivare alla

Columbine. È nato a Wichita nel Kansans il 9 aprile 1981. I suoi genitori si chiamano Wayne e

Katy e suo fratello, maggiore di tre anni, Kevin. Suo padre è pilota di aerei per la United States Air

Force. Proprio per via del lavoro del padre, nel 1993 la famiglia si trasferisce nella Southern

Jefferson County. La famiglia di Eric sembra una famiglia perfettamente equilibrata con la mamma

che è sempre rimasta a casa ad accudire i suoi bambini.

Eric e l’adolescenza

Eric e Dylan erano molto amici, e in molte occasioni hanno registrato dei video insieme. Dylan

faceva quasi sempre il cameraman mentre Eric era il protagonista. Visivamente appariva come un

tipico adolescente con capelli corti, jeans e T-shirt, la maggior parte delle quali comprate a concerti

di musica Rock. In tutti i video Eric parlava normalmente di ragazze, musica, scuola e automobili.

Sorrideva sempre. L’unico dettaglio che fa capire che Eric aveva un lato oscuro è la maglietta del

suo gruppo preferito i KMFDM "Keine Mehrheit für das Mitleid" (letteralmente "nessuna

maggioranza per la pietà" che potrebbe essere interpretato come “la compassione è per pochi”) una

band industrial metal tedesca. Eric amava quella musica e aveva studiato un po’ di tedesco. Nel suo

sito internet infatti postava frasi in quella lingua, soprattutto citazioni di frasi di Adolf Hitler,

personaggio che Eric adulava. Era evidentemente un filo-nazista tanto da pianificare l’attacco alla

Columbine proprio nel giorno dell’anniversario della nascita del dittatore nazista. La frase che

rispecchia maggiormente la complessa mentalità di Eric è quella da lui più volte pubblicata “sono

pieno di odio e lo amo”. Eric, quando inizia a frequentare la nuova scuola, non è felice perché, per

via del lavoro del padre, era stato costretto a cambiare molti istituti e ogni volta significava dover

ripartire da zero per conoscere nuove persone. La squadra di baseball della Columbine era una delle

più forti ed entrare a farne parte non era facile. Fisicamente Eric rispecchiava l’atleta modello ma,

nonostante questo, non riuscì mai a realizzare il suo desiderio. A seguito di questa frustrazione Eric

iniziò a mostrare segni di problemi psicologici.

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Il 30 gennaio 1998 venne arrestato, insieme al suo compagno Dylan, per aver scassinato un

furgoncino dal quale avevano rubato delle attrezzature elettriche. Accusati di furto con scasso e

appropriazione indebita, furono condannati a seguire dei corsi riabilitativi. Eric non ne uscì mai

completamente; aveva evidentemente bisogno di un supporto psicologico. Venne visitato da uno

psicologo della zona e gli venne diagnosticato un disturbo ossessivo-compulsivo. Gli venne

prescritto un antidepressivo, lo Zoloft, indicato proprio per questa tipologia di disturbi. Lo assunse

per 6 settimane ma senza alcun miglioramento; anzi manifestava apertamente l’intenzione di fare

del male a sé stesso e agli altri. Secondo il giovane, questa era una reazione dovuta al farmaco;

anche i medici furono d’accordo così la terapia venne sospesa. Senza un supporto farmacologico

però non poteva andare avanti. Gli prescrissero un altro farmaco, il Luvox, ma l’unica differenza

col precedente stava solo nel nome. Dopo il massacro, gli venne prelevato un campione di sangue

da analizzare dal quale risultò che il ragazzo aveva assunto una dose molto alta del farmaco.

Eric pubblicò sul suo sito internet anche delle invettive rivolte al suo amico Brooks Brown,

arrivando a minacciare di ucciderlo e postò anche il suo numero di telefono. Il ragazzo, spaventato

da quello che trovò scritto sul sito, decise di parlarne con i genitori i quali denunciarono Eric.

Questo accadeva 1’anno prima della strage alla Columbine. Da quel momento Eric inizia a

compilare quella che chiama la “S-hot List” nella quale scriveva i nomi degli studenti che, per

svariati motivi, odiava. Eric scriveva sul suo sito che viveva a Denver e che avrebbe voluto uccidere

tutte le persone che abitavano lì. La sua tendenza è omicida e suicida.

Durante il massacro alla Columbine indossava una maglietta con scritto “Natural Selection”; infatti,

sempre nel suo sito internet, scrisse che l’unica cosa che amava era la selezione naturale

definendola come l’unica cosa bella che fosse accaduta sulla faccia della terra. Per lui la selezione

naturale era un valido meccanismo per eliminare i deboli e gli stupidi. Da quanto è deducibile da

alcune immagini pubblicate sul sito, entrambi i ragazzi si professavano seguaci di Satana. Eric

odiava tutte le persone deboli che non riuscivano a vendicarsi e tutti coloro che si facevano mettere

i piedi in testa dai più forti. Voleva dimostrare la sua superiorità rispetto a tutto il genere umano. La

sua adulazione per Hitler derivava dall’abilità del dittatore nazista di sterminare tutti coloro che non

avevano la sua stessa visione del mondo. Le fantasie di Eric erano caratterizzate proprio dal volere

ammazzare tutti coloro che sono “snob“. Voleva essere qualcuno, ma nella vita reale lui sentiva di

non essere nessuno. Eric e Dylan si consideravano allo stesso livello di Dio perché erano dotati di

autoconsapevolezza, che generava il rifiuto dell’interpretazione convenzionale della realtà

sostituendola con la loro ideologia di opposizione.

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DYLAN KLEBOLD - È più difficile capire la personalità di Dylan rispetto a quella di Eric. Dylan

era più riservato e timido. Nonostante questo aveva anche egli un sito internet su cui scriveva i suoi

pensieri, anche se in maniera meno frequente rispetto ad Eric. Dylan è nato l’11 settembre 1981 a

Eglewood nel Colorado. I suoi genitori si chiamano Tom e Sue e suo fratello Byron ha tre anni in

più di lui. Dylan e suo fratello non hanno mai avuto un bel rapporto; anzi, sono sempre stati in lotta

tra loro. Il matrimonio dei suoi genitori era un matrimonio misto, essendo suo padre protestante e

sua madre ebrea. L’ambiente familiare non era molto gioioso. Dylan tendeva sempre a stare isolato

quando entrava in contatto con gli altri bambini. I suoi compagni lo descrivono come riservato,

insicuro e immaturo. L’unico ragazzo con cui ha un rapporto sodale è Eric, avendo i due adolescenti

in comune il fatto di essere stati rifiutati come atleti nelle varie squadre della scuola e quindi di non

far parte dell’élite studentesca.

Dylan e l’adolescenza

Dylan aveva problemi di identità. La differenza di religione dei suoi genitori non era mai stata un

problema per lui sino a che non incontra Eric: con una madre ebrea risultava difficile rapportarsi al

suo migliore amico che adulava Hitler e ne condivideva l’odio verso gli ebrei. La confusione di

Dylan nasceva probabilmente proprio da qui: lui doveva definirsi protestante, ebreo o ateo? Dylan

tenne sempre nascosto all’amico il fatto di essere per metà ebreo. Lo rivelò per sbaglio proprio una

settimana prima della strage. Durante il massacro Eric e Dylan colpirono a freddo tutti coloro che,

in risposta alla loro precisa domanda, affermarono di credere in Dio. L’antisemitismo e il razzismo

erano molto diffusi alla Columbine. Tutta l’azione del massacro è stata punteggiata da frasi e

citazioni razziste, in particolare nel momento in cui uccidono un ragazzo nero. Un altro motivo di

confusione per Dylan era la sua identità sessuale. Nel profilo di una chat, si registrò come

bisessuale. Come il suo amico Eric, faceva parte della Trenchcoat Mafia e ne frequentava

assiduamente il sito internet. I suoi professori descrivono Dylan come un soggetto dal carattere

ripugnante e che, a differenza di Eric, non è neanche fisicamente attraente.

I due ragazzi insieme

I due non avevano le stesse abilità atletiche, lo stato sociale ed economico, le potenzialità sociali e

gli interessi che contraddistinguevano quanti facevano parte dell’élite all’interno della scuola. In

una popolazione scolastica di 1800 studenti, gli emarginati erano circa 20 e facevano tutti parte del

gruppo della Trenchcoat Mafia. Nonostante fossero degli emarginati, Eric e Dylan preferivano

isolarsi dagli altri invece che cercare di incontrarne i favori. Avevano amici nella TCM ma non ne

fecero parte fin da subito. Cosa attrae i ragazzi l’uno all’altro? In comune avevano l’interesse per i

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videogiochi. Dylan è attirato da Eric perché è brillante, eloquente e fisicamente attraente. Ma quello

che è piaciuto maggiormente a Dylan di Eric è la sua ironia, la sua sicurezza. Per Eric invece Dylan

era un discepolo. Il loro rapporto assume quasi la connotazione di una relazione omosessuale.

Anche se Eric, nelle sue pagine del diario, si presenta come eterosessuale e omofobico. Eric ha

avuto anche una relazione con una ragazza ma finì a causa del lato oscuro e violento del ragazzo.

Dylan, invece, non ha mai avuto nessuna fidanzata.

Omosessuali o meno una cosa è certa: Dylan era fortemente dipendente da Eric.

Il depresso e lo psicopatico

Le personalità dei due ragazzi sono molto differenti. Dylan Klebold viene definito depresso e

suicida. Un vero e proprio autolesionista a causa dei suoi problemi. Eric Harris invece è più

complesso. Viene definito psicopatico. Ha un viso molto dolce ed è molto bravo a parlare, ma in

realtà è freddo, calcolatore e omicida. La loro maggiore differenza sta nel fatto che Dylan internava

tutti i suoi problemi mentre Eric li esternava. Anche durante il massacro assumono atteggiamenti

diversi: Dylan dipende evidentemente da Eric e non agisce se non sotto i suoi comandi.

1.3 - La religione: Columbine, il paese di Dio; Cassie Bernall

Columbine è il nome con cui si indica il territorio in cui è situata la più prestigiosa scuola della

contea di Jefferson. Viene indicato come “il paese di Dio” per due motivi: il primo perché è situato

ai piedi delle Rocky Mountains e il secondo perché vivono qui molti cristiani evangelici, anche se la

più chiara espressione di spiritualità è la West Bowles Community Church una congregazione

evangelica presbiteriana. In questo quartiere le maggiori forme di governo del territorio sono le

scuole e le chiese.

Le persone qui sono estremamente religiose. La prima immagine che si ha della contea a Sud di

Jefferson è quella di molti bravi Cristiani che vivono in armonia gli uni con gli altri. Ci sono circa

60.000 abitanti e 70 chiese cristiane. Facendo un calcolo, corrisponde ad una chiesa ogni 200-250

famiglie. Delle 70 chiese, 23 sono protestanti e 4 cattoliche; ma la confessione più popolare è quella

Battista. La grande religiosità di questa zona si riflette anche nella maggior parte degli studenti della

Columbine High School.

Il massacro ha generato molte controversie soprattutto di carattere religioso. Nei video che

realizzavano in continuazione i due futuri assassini, gli insulti a Dio e a coloro che avevano fede

erano frequenti.

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Un aspetto singolare del massacro riguarda l’uccisione di Cassie Bernall ed il conseguente tentativo

di trasformare la studentessa in una martire. Per la ragazza e la sua famiglia la giornata del 20 aprile

1999 era cominciata come ogni altro giorno. Verso mezzogiorno però giungono a casa Bernall le

prime telefonate allarmanti per via di una possibile sparatoria alla Columbine High School che

viene confermata qualche minuto dopo. Da qui iniziano quelle che gli stessi genitori di Cassie,

Misty e Brad, hanno definito “36 ore d’inferno”. Dopo 22 ore di ansia, una donna dell’ufficio del

medico legale comunica che era stato trovato e riconosciuto il corpo senza vita di Cassie.

Da alcune testimonianze rese dagli studenti sopravvissuti, Cassie venne uccisa per aver pronunciato

un semplice “si” alla domanda che le venne posta da Klebold il quale le chiese se credeva in Dio.

Dicono che la sua voce era forte, non tremava. Un altro ragazzo disse che l’intonazione della

domanda rivolta a Cassie gli fece pensare che forse lei stava pregando.

Cassie nacque nel 1981, crebbe sempre amata e ben voluta dai suoi genitori e da suo fratello minore

Chris. Ma, con il passaggio all’adolescenza, cominciò a prendere sempre più le distanze da loro e

un giro di cattive compagnie la portò in poco tempo su una brutta strada. Tre anni prima della

tragica sparatoria, la madre di Cassie si imbatté casualmente in una serie di lettere, scritte da

un’amica della figlia, fitte di oscenità, di invocazioni sataniche, di istigazione all’automutilazione,

all’uso di droga e all’omicidio di insegnanti e genitori. Cassie era entrata a far parte di un gruppo di

ragazzi sbandati che ricercavano nella violenza, negli stupefacenti, nella musica satanica e nei riti

magici un senso alla loro esistenza. Tempestivo fu l’intervento dei genitori di Cassie, che fecero di

tutto per recidere queste dannose frequentazioni.

La reazione di Cassie fu ovviamente esplosiva. Minacciò più volte di suicidarsi, si auto inflisse

delle ferite, dovette essere sorvegliata a vista perché tentò di fuggire, ebbe frequenti momenti di

rabbia isterica. Brad e Misty decisero così di iscriverla ad una scuola privata cattolica in modo che

potesse ricostruirsi una vita. Qui scoprì che nessuno la odiava e si fece dei nuovi amici. Jamie fu

una delle prime persone con cui legò. Dopo la sua morte, Jamie raccontò che Cassie si portava a

scuola una lima di metallo, con la quale lei e un suo amico si infliggevano delle ferite e poi

fumavano marijuana.

La rabbia era l’argomento principale delle conversazioni tra le due amiche. Cassie raccontava dei

tempi trascorsi con i suoi vecchi amici. Si sentiva ancora molto legata a loro ed era arrabbiatissima

con i suoi genitori per averla tolta dalla vecchia scuola ed essere stata allontanata da loro. Dopo

aver conosciuto Jamie sembrò esserci una grande svolta per Cassie. Le due ragazze frequentavano

un gruppo religioso giovanile. Molti di questi ragazzi vestivano punk ed erano tipi alternativi con

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capelli molto strani. Gli incontri con questi ragazzi si tenevano ad Estes Park sulle Montagne

Rocciose. I temi di conversazione erano le tentazioni del male e il rifiuto di una vita egoistica;

inoltre erano previsti molti momenti di riflessione e preghiera. Furono questi momenti che

probabilmente aprirono una breccia nel cuore di Cassie.

Dopo aver condiviso molti di questi momenti insieme, Cassie iniziò a raccontare alla sua amica

tutte le sciocchezze commesse, dicendosi pentita e preoccupata. Alla fine dell’estate del 1997,

vedendo grossi miglioramenti nella ragazza, i genitori decisero di farla trasferire dalla scuola

privata alla Columbine. Con il cambio della scuola, cambiarono molto anche gli interessi di Cassie.

Se prima era ossessionata dalla morte, dai vampiri e dall’autolesione, ora si interessava di

fotografia, poesia, natura e Shakespeare.

Cassie si rivedeva molto in una frase di San Francesco “Non si dovrebbe cercare tanto di essere

amati quanto di amare“. Lei pensava che solo il rapporto con Dio la potesse realizzare. Rifiutava di

cadere, ed era determinata a superare i suoi problemi guardando oltre. I suoi nuovi compagni della

Columbine dicono che, anche se lei prendeva molto sul serio la propria fede riscoperta, non attirava

mai l’attenzione su di sé parlandone. Aggiungono anche che quello che ha fatto Cassie è veramente

ammirevole: difendere ciò in cui si crede. Cassie è colei che decide di crocifiggersi per il mondo,

un’adolescente che si è preoccupata soltanto di essere gradita a Dio, che chiedeva di essere usata da

Lui, che avvertiva la Sua presenza come essenziale.

Sei mesi dopo la strage, la madre della Bernall scrisse un libro di memorie intitolato She Said Yes: il

Martirio inverosimile di Cassie Bernall. Nel libro, la madre sostiene che Cassie, prima di essere una

martire, è stata un’adolescente, anche alquanto turbolenta, divenuta poi un grande esempio per

molti ragazzi. Non appena il libro venne pubblicato, una studentessa, Emily Wyant, che si

nascondeva nelle vicinanze della Bernall durante la strage, disse al giornalista Dave Cullen che la

famosa domanda di Klebold a Cassie non era mai stata formulata. Sembrerebbe che Emily, che si

stava nascondendo sotto un tavolo accanto a Cassie quando il tutto avvenne, sia l'unica persona

vivente che in realtà abbia assistito alla morte della Bernall. Le due ragazze stavano studiando

insieme in biblioteca quando Eric e Dylan fecero irruzione. Dopo essersi rifugiate sotto un tavolo,

Cassie iniziò a pregare ma venne immediatamente uccisa da Dylan senza che nessuna domanda le

fosse posta

Altre testimonianze dicono che il “si” di Cassie sia stato confuso con quello pronunciato da Valeen

Schnurr, un altro studente che era inginocchiato a pregare e che era già stato colpito da 34 pallini da

caccia, ma che dopo il suo “si” alla domanda “credi in Dio?” il folle Dylan avrebbe solo ricaricato il

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fucile senza sparargli risparmiandogli così la vita. Nonostante i dubbi, la storia di Cassie Bernall

rimane estremamente importante e delicata per la comunità di Columbine anche se il mito del suo

martirio sembra nascere da un episodio che in realtà non è stato mai comprovato.

1.4 - L’influenza della musica

Uno degli argomenti che provoca sempre una reazione tra i difensori della libertà di espressione

musicale è la responsabilità che si deve attribuire ad alcuni generi musicali collegati a certi fatti di

cronaca nera. Ci sono coloro che pensano che la musica sia uno dei fattori principali che portano

alcuni individui a macchiarsi di un crimine e ci sono poi coloro che pensano che essa non debba

essere assolutamente chiamata in causa.

Molto significativa è una frase pronunciata nel 2000 da Michael Greene, presidente e

amministratore delegato della Recording Academy: ”La musica è un regalo magico che dobbiamo

nutrire e coltivare nei nostri figli, specialmente ora che l’evidenza scientifica prova che

un’istruzione artistica potenzia l’apprendimento degli studenti in matematica e in scienze, migliora

l’intelligenza spaziale nei neonati e, infine, non dimentichiamo che l’arte è una soluzione vincente

contro la violenza adolescenziale”. Ci sono però fatti delittuosi come quello della Columbine che

sembrano smentire questa affermazione. In questo caso sembrerebbe che certe musiche aggressive o

ipnotiche abbiano risvegliato in Eric Harris e Dylan Klebold pulsioni rabbiose sfociate in violenza e

omicidio.

I due ragazzi erano fans sfegatati di due band industrial rock tedesche: i KFMDM e i

RAMMSTEIN.

I primi sono nati nel 1984. I temi trattati dai brani di questo gruppo sono il terrorismo, il suicidio, lo

stupro, il satanismo e la guerra. L’acronimo del loro nome significa “Kein Mehrheit Für Die

Mitleid” ovvero “la compassione è per pochi“. La sparatoria alla Columbine è avvenuta proprio il

giorno dell’uscita del loro album intitolato “Adios”. Eric sul suo sito Internet ripeteva

continuamente che la musica industriale tedesca era la migliore. Il giorno dopo il massacro, il

rappresentante del gruppo musicale rilasciò comunque una dichiarazione alla stampa esprimendo il

proprio dispiacere per quanto avvenuto. Disse che i membri del gruppo erano disgustati e sconvolti,

ma che i KMFDM erano una forma d’arte e non un partito politico; che la loro musica è sempre

stata una denuncia contro la guerra, l’oppressione, il fascismo e la violenza contro gli altri. Anche

se alcuni membri della band sono tedeschi, nessuno approva le ideologie naziste. Però le parole di

una loro famosa canzone, Piggybank, incisa nel 1990, rispecchiano esattamente ciò che hanno fatto

Eric e Dylan al termine del massacro: “If I had a shogun I’d blow myself to hell” che tradotto

significa “se avessi avuto un fucile avrei spedito me stesso all’inferno“.

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Il secondo gruppo, i RAMMSTEIN, si sono formati a Berlino nel 1994. Anche essi sono stati

accusati di simpatie neonaziste che hanno però sempre smentito. Impressionante è il testo di una

loro canzone Weißes Fleisch (carne bianca) del 1995 nella quale la prima strofa sembra riportare

esattamente ciò che è accaduto la mattina del 20 aprile 1999 alla Columbine High School:

“Du auf dem Schulhof “Tu nel cortile della scuola

Ich zum Töten bereit io sono pronto ad uccidere

Und teine hier weiß e nessuno qui sa

Von meiner Einsamkeit” della mia solitudine

Anche loro, il giorno dopo il massacro, hanno diffuso un comunicato stampa nel quale esprimevano

le loro condoglianze e si dichiaravano innocenti. In un’intervista fatta qualche mese prima per MTV

manifestavano la loro totale consapevolezza sul fatto che alcuni testi potessero influenzare

determinati comportamenti, ma sottolineavano il fatto che i membri del gruppo hanno dei figli che

educano con valori sani e non violenti.

Quello che è certo è che Eric e Dylan hanno brutalmente interrotto la vita di 13 persone oltre alla

loro e ne hanno cambiato il corso a molti altri. Rimane però ancora da determinare quanto certe

ideologie, diffuse anche da certa musica, abbiano influenzato il loro agire.

Nei giorni seguenti la strage molti cittadini e giornalisti espressero critiche anche al cantante

Marilyn Manson, controverso esponente dello industrial metal e dello alternative metal americano.

Egli ha fatto della trasgressione e della provocazione le sue armi fondamentali di successo

discografico anche se ha sempre affermato che l’obbiettivo dei suoi testi non è ispirare le persone

all’odio, ma solo ad avere una propria opinione e a porsi delle domande. Dopo la strage alla

Columbine l’opinione pubblica gli attribuì comunque una sorta di “responsabilità morale” su quanto

accaduto. In seguito però si scoprì che egli era detestato dai due giovani assassini.

Per contro, il cantante accusò George Bush e Al Gore di avere usato questa strage in campagna

elettorale per parlare in favore della diffusione delle armi in America.

Al Gore proponeva l’istituzione di una licenza con foto per l’acquisto di una nuova pistola, però era

contrario ad una legge che sarebbe andata a toccare cacciatori o sportivi che possedevano già

carabine, fucili da caccia o armi di piccolo calibro. Sostenne che le armi debbano finire nelle mani

giuste e fece riferimento alla strage della Columbine parlando di una donna che sembrerebbe avesse

acquistato le armi da fuoco al supermercato per conto di Eric e Dylan e che avrebbe in seguito

affermato che, se avesse dovuto fornire il proprio nome e riempire un modulo nel negozio, non lo

avrebbe fatto.

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Di parere opposto era Bush che non era assolutamente favorevole ad una forma di controllo tramite

l’emissione di licenze con tanto di foto per l’acquisto di una nuova pistola. Egli pensava che la

strage alla Columbine fosse avvenuta per una questione di cultura che con il tempo aveva portato le

persone a non avere più rispetto per la vita. Per lui le leggi sulle armi erano importanti, ma quello

che era maggiormente importante era l’amore dei genitori per i figli, l’educazione data in giovane

età e la trasmissione di valori.

Il cantante trova quindi assolutamente paragonabile il loro atteggiamento a quello da lui adottato nei

suoi testi: esprimere semplicemente le proprie idee, che siano esse contrarie o a favore della

violenza.

Anche se i due assassini odiavano Manson, praticavano come lui il “darwinismo sociale”, la

filosofia della Church of Satan, quella secondo cui solo più forte ha il diritto di vivere mentre il

debole deve perire. Quindi le idee di Manson e quelle dei due assassini della Columbine, di fatto,

combaciavano. Manson, nell’intervista rilasciata a Michael Moore, dice: «Satanismo non significa

adorare il diavolo. Significa che l'uomo deve essere il proprio Dio sulla terra. Non si deve adorare

niente e nessuno, tranne sé stessi». Eric e Dylan infatti si sentivano superiori a tutti, allo stesso

livello di Dio. Manson inoltre, nella sua adolescenza, frequentava un ambiente scolastico

fortemente cristiano e proprio per questo sviluppa il suo desiderio di andare controcorrente

scrivendo fumetti pornografici e diffondendo audiocassette di gruppi rock proibiti dalle autorità

della scuola. Anche se Manson non era il loro cantante preferito, è innegabile che vi siano molti

punti in comune tra la vita e le ideologie della rockstar e quelle dei due omicidi della Columbine.

1.5 - L’influenza dei videogiochi e “Super Columbine Massacre”

Dopo il massacro di Denver, la Casa Bianca cercò di correre ai ripari convocando l’industria della

comunicazione.

Il Presidente Bill Clinton, due settimane dopo la strage, aveva indetto un incontro con produttori e

registi della comunità cinematografica e televisiva, creatori di videogiochi e siti Internet, psicologi,

religiosi, educatori, lobbisti e oppositori dei fabbricanti di armi per discutere sui motivi che portano

i teenager americani a ricorrere sempre più spesso alla violenza invece di cercare una soluzione

pacifica alle loro angosce.

Il massacro alla Columbine ha di fatto riaperto il dibattito sul legame fra la violenza reale e quella

del cinema, della tv e dei videogiochi. Le parole di Clinton sono state immediatamente accolte da

Hollywood, che ha avviato un’autoanalisi sull’eccessiva violenza contenuta nei suoi prodotti di

massa. Nonostante ciò, il pensiero più comune negli americani è che il problema principale sia la

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facilità di circolazione delle armi. Ciò è supportato dal fatto che anche in Europa e Canada vengono

trasmessi gli stessi show televisivi, proiettati gli stessi film e venduti i medesimi videogiochi,

eppure in nessuno di questi paesi si registra il livello di violenza che esiste negli USA.

Cosa abbia spinto realmente i due ragazzi a compiere questo gesto folle non sarà mai una certezza.

Quello che si sa è che quando Eric scriveva per il suo blog non lo faceva per citare i suoi film, libri

o autori preferiti, ma pubblicava le liste delle persone che voleva uccidere. Eric passava la maggior

parte delle sue giornate davanti al computer. Navigava in Internet ma soprattutto amava giocare e

programmare videogiochi come DOOM e QUAKE. Ed è anche a causa di questi giochi molto

violenti che i due ragazzi sviluppano l’idea fissa che un uomo non sarebbe stato un vero uomo

senza una pistola e che più pistole possedeva più era migliore. Durante il massacro loro si

immedesimano nei protagonisti di questi due videogiochi.

DOOM, creato nel 1993 dalla ID Software, viene definito il padre degli “sparatutto in prima

persona”. Il giocatore impersona un marine spaziale, deportato su Marte per aver assalito un

superiore che gli aveva ordinato di sparare su civili disarmati. Costretto a lavorare per la Union

Aerospace Corporation, il protagonista viene inviato ad indagare su un terribile incidente avvenuto

in seguito ad esperimenti militari sul teletrasporto tra le due lune Phobos e Deimos: orde di mostri

hanno cominciato ad uscire dai portali di teletrasporto e il satellite Deimos è sparito. Il personale

residente su Phobos, inoltre, è stato trucidato o trasformato in zombie. Una volta arrivato alla base

su Phobos, il giocatore è lasciato all'esterno per mantenere le comunicazioni con Marte mentre il

resto della squadra entra nell'edificio. Presto però il contatto radio con gli altri membri del team

cessa e il protagonista si trova davanti a un mucchio di cadaveri di marines. DOOM è molto

conosciuto per l’alto tasso di violenza e per i riferimenti a Satana presenti nei vari livelli di gioco. È

un gioco dalla grafica molto realistica nel quale il giocatore si immedesima nel protagonista come

se tutto fosse reale. È stato addirittura definito “simulatore d’omicidio“ dal Killogy Research

Group, un gruppo di studio fondato da un ex militare.

Un'ulteriore fonte di controversie è stata la grafica utilizzata per riprodurre una parte di pavimento

nel quarto livello che ha un disegno a forma di svastica.

Tali controversie si fecero più acute quando si venne a sapere che Eric e Dylan erano patiti del

videogioco. Qualcuno disse anche che Eric Harris aveva creato dei livelli aggiuntivi in preparazione

alla strage, con tanto di rappresentazione grafica dell'edificio scolastico e dei compagni di classe,

ma ciò non è stato mai dimostrato. Nel 1999 questo videogioco è stato ritirato dal commercio.

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QUAKE, l’altro videogioco preferito dei due ragazzi, appartiene anch’esso alla categoria “sparatutto

in prima persona”. Il giocatore interpreta un soldato senza nome che deve dare la caccia ad un’entità

aliena chiamata, in codice, Quake. È proprio il giocatore l’unica speranza di sconfiggerla.

Considerato il fatto che è differente sparare con un fucile vero e fare la stessa cosa con una consolle

di gioco, non si comprende come un giovane possa desiderare di riportare le stesse esperienze

virtuali nella realtà. Questo fenomeno sembra essere limitato all’Occidente, anche se in Oriente il

consumo di videogiochi è ben più radicato e diffuso. Parte dell’opinione pubblica e dei giornalisti

hanno individuato nei videogiochi un capro espiatorio, ma in realtà ciò che ha consentito ai due

giovani di compiere il massacro sembrerebbe essere stata più la facilità delle procedure di acquisto

e possesso di armi da fuoco che la frequentazione di videogiochi seppur particolarmente violenti.

In questa triste vicenda è accaduto anche qualcosa che ha dell’incredibile: un certo Danny Ledonne,

sette anni dopo il massacro, decise di creare un gioco di ruolo dove i protagonisti erano proprio

Dylan Klebold ed Eric Harris. Il massacro di Columbine è quindi diventato un videogioco gratuito

scaricabile dal web denominato Super Columbine Massacre RPG. Il gioco ripercorre le varie fasi

della strage, dall'uccisione dei compagni di scuola fino all'epilogo della storia, vale a dire il suicidio

dei due assalitori. L'intero videogioco contiene numerose immagini prese da quotidiani e

telegiornali. In una sua scena, addirittura, si può leggere: “Hai trovato un disco di Marilyn Manson!

I suoi testi di sicuro ti indicheranno la via giusta per aggressività impulsiva e rabbia”.

Inevitabili le proteste nate nei giorni seguenti alla sua uscita con i familiari delle vittime

comprensibilmente indignati. L’America però si è divisa in due parti: oltre ai detrattori, c’è infatti

chi invece sostiene che questo videogioco fa parte di un nuovo tipo di normalità, legata alle nuove

tecnologie. L’autore ha ricevuto via Internet fiumi di insulti e, addirittura, minacce di morte. Il

direttore dell’Istituto per i media e la famiglia, sostiene che i giocatori non sono osservatori passivi

ma che si chieda loro di agire. Essi si calano nei panni di Eric e Dylan, entrano nella scuola,

scovano i compagni, li abbattono. È quindi un gioco che glorifica comportamenti antisociali e

violenti ed è pertanto inaccettabile sul piano etico. L’autore del videogioco si è detto dispiaciuto,

ma non pentito. Egli ha creato il gioco non per lucro, in quanto esso è disponibile gratuitamente in

rete, ma perché si sentiva attratto dalle figure dei due autori del massacro. Li definisce intelligenti e

molto sensibili, solitari, disadattati ed emarginati dai loro compagni. Sostiene che anche lui ha

subito lo stesso tipo di prevaricazioni e quindi si sente come loro.

Per quanto riguarda il cinema, occorre citare Natural Born Killers (Assassini Nati) un film del 1994

diretto da Oliver Stone ed interpretato da Juliette Lewis e Woody Harrelson.

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Sembrerebbe essere questa pellicola ad aver ispirato Eric e Dylan nel compimento del massacro. Il

film racconta infatti la storia di due giovani, un ragazzo e una ragazza, che seminano il panico e la

morte. Sono serial killer senza scrupoli e senza una vera e propria ragione. Verranno imprigionati

dopo il 54° omicidio, diventeranno dei divi della televisione e riusciranno a fuggire.

Esattamente quello che Eric e Dylan volevano: uccidere per non essere dimenticati, per essere due

nomi noti nella storia dell’umanità, ed infine uccidersi per non dare spiegazioni.

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2. LA NOTIZIA DIVULGATA DAI PRINCIPALI QUOTIDIANI

2.1 - New York Times

“In America: Addicted to Violence”

by Bob Herbert

published: April 22, 1999 

Again. This time the massacre occurred at a high school in Littleton, Colorado, a normally quiet

suburb of Denver. The killers drove a BMW and were armed with handguns, semiautomatic

weapons, a shotgun and home-made explosive devices. Along with their weapons they carried a

collection of grievances, which they would seek to satisfy by killing somebody.

Welcome to America, a land where the killing is easy. We are so familiar with this kind of story

that news organizations across the country moved effortlessly to cover it. In the middle of the

horror, some kids inside Columbine High School were on their cell phones, updating reporters.

They were petrified but they also understood the drill. They'd seen it before.

We've all seen it before. Few things are as familiar to Americans as homicide. In fact or in fantasy -

- en masse or one killing at a time -- it is the stuff of both our history and our everyday lives. It

fascinates us, and many of us enjoy it, in one form or another. The kids who opened fire on their

schoolmates at Columbine were said to have been giggling as they killed. A junior named Crystal

Woodman said in a television interview: ''Every time they'd shoot someone they'd holler, like it

was, like, exciting.''

We make it exciting. We celebrate it, romanticize it, eroticize it, and mass-market the weapons that

bring murder within easy reach of one and all. It's no big deal. Just pick up that handgun and drive

down to the video store for a couple of exciting flicks about killing women. And if somebody cuts

your car off along the way, shoot him.

Handgun Control, a lobbying organization in Washington, offers the following astonishing fact: ''In

1996, handguns were used to murder 2 people in New Zealand, 15 in Japan, 30 in Great Britain,

106 in Canada, 213 in Germany and 9,390 in the United States.''

We have a problem.

President Clinton said on Tuesday: ''We must do more to reach out to our children and teach them

to express their anger and resolve their conflicts with words, not weapons.''

But that's not easy in a country that has always been proud of its willingness to use force --

sometimes legitimately, sometimes illegitimately -- to get its way. One of the earliest lessons of

childhood in America is that it is normal, at least in some circumstances, to reach for a gun. And

that insidious credo is relentlessly reinforced by the firearms manufacturers and their lackeys who

  29 

seem at times to want to put a gun in the hands of every man, woman and child in the nation. At last

count there were 192 million firearms in the hands of private citizens in the U.S.

If the kids in America could be induced to look up from the violence of their video games or away

from the violence on TV, and gaze back over the history of violence in this country, they would be

occupied for a long, long time. They would see the armed misfits and the lone gunmen and the

street gangs and the drug gangs and the serial killers and the madness of the militias and assorted

mad bombers and the celebrated outrages of organized crime and the terrifying uprisings in the

cities and the outlaw heroes like Bonnie and Clyde and Billy the Kid and the lynchings of blacks,

Jews and Catholics in the South and elsewhere and the massacre of the Indians and the enslavement

of the Africans and so forth.

Columbine High is in the news, but our problem is far greater than the slaughter of the innocents in

the schools. We are addicted to violence. It sustains and entertains us. And every now and then

when it erupts in a place where we think it shouldn't -- a suburban high school in a nice quiet

neighborhood -- we throw up our hands and wonder what went wrong.

''How can it happen here?'' we ask.

We'll move on from this, just as we did after the riots and the assassinations of the 1960's, and the

soaring crime rates of the 70's and 80's, and the massacre on the Long Island Rail Road and the

bombing of the Federal Building in Oklahoma City in the 1990's. We'll move on until the next time,

when another dozen or so kids are killed, or something worse happens. Then we'll throw up our

hands again and ask what went wrong.

It's like that with an addiction. Nothing happens until you admit you have a problem.

“Terror in Littleton: the motives. When Violent Fantasy Emerges as Reality”

by Erica Goode

published: April 25, 1999

They are Hollywood words, describing fantasies of revenge that flicker, in some form, through the

minds of thousands of hurt and raging adolescent boys, yet are almost never acted on. ''You all

better hide in your houses because I'm coming for everyone, and I will shoot to kill and I will kill

everything.''

But Eric Harris, who is believed to have written these phrases last year in an Internet message, did

not stop at words, but crossed into the world of action. And as experts in child psychology struggled

last week to extract some kind of meaning or lesson from the terrifying events at Columbine High

School, in Littleton, Colo., it is this passage -- and the environment that nourished it -- that they

sought to understand.

  30 

Too little is known about Mr. Harris and Dylan Klebold, the other student identified as a gunman in

the massacre, for mental health experts to say anything about them as individuals. Nor do most feel

comfortable speculating about people they have not interviewed.

Yet, the experts said that school shootings, perhaps the one in Littleton most of all, raise wider

questions about how adults can best help children negotiate the difficult tasks of adolescence.

Among those tasks is learning to sort through and deal with strong emotions and fantasies -- and to

control the impulses to act on them -- in a society where images of violence are ubiquitous, morality

increasingly relative, and the stresses on teen-agers much greater than they once were.

Such tasks are all the more difficult in a culture where the message children receive in movies,

music, and even news broadcasts is that acting violently is a usual, or even preferred, way to deal

with anyone who offends or challenges you.

One has only to listen to the lyrics of popular music to appreciate the intensity of the messages with

which children are bombarded.

Exactly what propels young perpetrators like those in Littleton, Jonesboro, Ark., and other

communities, remains largely a mystery. Though psychologists and psychiatrists can in hindsight

identify warning signs of serious trouble, no one can predict which troubled child will express rage,

alienation and impotence in small ways, which in extreme and violent actions.

Money for research on school violence -- and for mental health services for vulnerable children --

lags far behind public concern, experts said. ''This country doesn't think as much about its children

and their future as it does about how to clean up streams,'' said Dr. Donald Cohen, director of Yale

University's Child Studies Center.

For many parents, the challenge is to distinguish the experimentation and idiosyncratic leaps that

are characteristic of normal adolescents testing their independence from the signs of more serious

difficulty. In the Columbine High shootings, for example, reporters have drawn attention to the

Gothic culture, video games like Doom, violent movies and the popularity of figures like Marilyn

Manson. But none of these things is by itself evidence that something is wrong, said Dr. Cohen.

''There are many adolescents who go through periods where they dress funny, wear trench coats, put

things in their noses and ears, and dye their hair pink,'' he said. More worrisome, he noted, is when

it becomes clear that a teen-ager's family relationships are breaking down, or when adolescents

become aggressive, seriously depressed or highly anxious. And in some cases, he and other experts

said, parents are neither aware of the problem, nor can they be blamed.

''You can blame a parent only until you've become a parent,'' he added.

In an ideal world, even when parents do not recognize the signals of trouble, other adults in the

community will. But Dr. William Damon, director of Stanford University's Center on Adolescence

and author of ''Greater Expectations'' (Free Press, 1995), said many communities have lost the

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necessary social cohesion. The question that haunts him about Littleton, he said, is, ''Where were

the grown-ups?''

Many people like neighbors, coaches, ministers, police officers, who once did not hesitate to

become involved in the lives of others' children, Dr. Damon said, now worry about intruding or are

simply too busy and overwhelmed in their own lives to pay much attention.

''We are letting a lot of kids in our communities get isolated for long periods of time,'' he said.

Adults play a crucial role, said Dr. Gordon Harper, associate professor of psychiatry at Harvard

University, in offering children reality testing and balance as they absorb images in the media and

on the Internet.

''The play between fantasy and reality is part of life for everybody,'' he said. ''But historically,

excursions into fantasy occurred in the context of relationships in which the fantasies could be

grounded. The child heard the fairy tales read to him by an adult, and the kids sitting around the

campfire were in a group with a leader.''

In contrast, Dr. Harper said, the Littleton gunmen ''did not seem to have a counterbalancing force.''

In normal development, the process of learning to distinguish fantasy from reality begins at an early

age, said Dr. Cohen, of Yale. The boundaries are defined in a thousand small moments, a thousand

interchanges between adult and child.

When a 3-year-old boy, for example, tells his mother, ''I hate you and I want to kill you,'' the mother

might respond: ''I know. You're angry because you want to go out and it's raining outside. But we'll

go out tomorrow.''

Through this interplay, Dr. Cohen said, the parent is both letting the child know that it is acceptable

to have and to speak about angry thoughts and fantasies, and indicating that such fantasies need not

be acted on.

In an adolescent version of this exchange, a teen-ager might tell a parent: ''My teacher hates me. I

know he's out to get me.'' The parent, in turn, might respond by encouraging the child to entertain

another perspective: ''I wonder why the teacher might be acting this way toward you.''

At 17 and 18, the Littleton gunmen were clearly old enough to have a firm grasp of death's

permanence. ''These were big kids,'' Dr. Cohen said. Yet the two students, he said, ''obviously had

fundamental failures in the development of their sense of reality and fantasy.''

In such a case, said Dr. Steven Marans, also at Yale's Child Study Center, the normal work of

adolescence -- which includes achieving autonomy, building a capacity for intimate relationships,

and learning to regulate emotions and impulses -- becomes derailed. And if the adolescent finds a

kindred spirit who identifies with his rage and isolation, what conscience and self-control is left

may erode, fantasy and reality merge. The result, in Littleton, was disaster.

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2.2 - Denver Post

“Two killers rampaged as 6 officers awaited aid”

by Mark Obmascik and David Olinger

published: May 16, 1999

While Eric Harris and Dylan Klebold casually murdered classmates in the Columbine High library,

at least six Jefferson County sheriff's deputies waited outside the school for help.

Two of those deputies already had traded gunfire with the killers in the opening moments of the

attack. But by the time the first SWAT team trailed Harris and Klebold inside Columbine, the worst

school shooting in U.S. history already was over.

According to a vast crime report released Monday by the Jefferson County Sheriff's Office, a

disturbingly swift and vicious crime was followed by a methodical police response.

Harris and Klebold took only 16 minutes to kill 13 people and wound 21 others. Police took three

hours and 14 minutes to find them.

The report says deputies did the best they could on April 20, 1999, under extremely difficult

circumstances.

"Upon receiving a briefing about the law enforcement response to this horrible crime, U.S. Attorney

General Janet Reno commented that these professionals had "shown the nation and the world

America's finest in crisis,'- " said the report signed by Sheriff John Stone and Undersheriff John

Dunaway. "We agree, and wish to express our deep appreciation for their assistance." In the chaos

of the crime scene, sheriff's deputies heard dozens of conflicting reports about the killers' identities

and locations. While bombs detonated, alarms blared and hundreds of students ran for their lives,

police struggled to coordinate a rescue.

A supposed sniper on the school roof turned out to be a air-duct repairman. There also were false

reports of 17 hostages in an auditorium, six to eight heavily armed gunmen in body armor and

shooters in a science room.

The report said such conflicting information hurt the department's ability to quickly rescue students.

Among the report's findings:

- Sheriff's 911 dispatchers heard teacher Patti Nielson plead for help in the school library from

11:29 to 11:36 a.m., but no police rescuers arrived until 3:22 p.m. That means that the li brary,

where 10 students were murdered and 12 wounded in those 7 1/2 minutes, was "the last area to be

checked" by SWAT rescuers.

- After dispatchers heard for hours how teacher Dave Sanders was severely wounded and being

treated by two Eagle Scouts in a science room, a SWAT team finally reached him at 2:40 p.m.

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While Sanders continued to bleed, two SWAT officers waited "20 to 30 minutes" for paramedics to

arrive. By then, he was dead.

- The first SWAT team commander on the scene did not know that a major school renovation had

moved the library and cafeteria, sites of the most mayhem, to a new location on the opposite end of

the building. As a result, the first SWAT team entered Columbine from the far side of the school

and never encountered Harris or Klebold.

More than a year after the crime, a judge ordered Jefferson County to release the crime report

Monday. Contained on a single CD-ROM disc with dozens of hyperlinks, the report would have

spanned 700 pages if it were a paper document.

Sheriff's officials declined to comment on the report because the case is the subject of so much

litigation. Fifteen families of Columbine victims and survivors have sued the county over its

response.

"There aren't a lot of high expectations on this report," said Sam Riddle, spokesman for the family

of slain student Isaiah Shoels. "The Shoels family feels strongly that there needs to be an unbiased

investigation by the U.S. Department of Justice, not by someone with a vested interest in protecting

his political green stamps." According to the sheriff's report, Harris and Klebold fired their first

shots outside Columbine at 11:19 a.m. and killed their last victim inside the library at 11:35 a.m.

Harris killed Kelly Fleming, Steve Curnow, Cassie Bernall, Isaiah Shoels and Daniel Mauser, the

report said, while Klebold killed Daniel Rohrbough, Kyle Velasquez, Matt Kechter and John

Tomlin.

A spray of bullets and shotgun pellets from both Harris and Klebold was reported to have killed

Corey DePooter, Rachel Scott, Lauren Townsend and teacher Dave Sanders.

The sheriff's report concluded that Harris and Klebold had not planned to shoot classmates studying

in the school library. They expected to shoot fleeing students after a devastating pair of homemade

propane bombs blew up the school cafeteria.

But their bombs, placed in the cafeteria just before lunchtime, failed to explode. Harris and Klebold

sat in the parking lot, waiting. At 11:19 a.m. they stopped waiting.

"Go, go," the killers shouted outside the school as they opened fire on classmates outside the

cafeteria during a lunch hour.

Within seven minutes of the first shots, two deputies had traded gunfire with Harris. The first was

Neil Gardner, the school resource officer. Responding to a "female down" call, he spotted Harris at

the school doors. At 11:24 a.m., Harris emptied his 10-round rifle at the deputy, striking two nearby

police cars. Gardner returned four shots before Harris disappeared into the school.

Two minutes later a second deputy was locked in a gunfight with Harris. Paul Smoker, who had

been writing a speeding ticket nearby when the 911 call came, found Harris shooting at him from a

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broken window in a set of double doors to the school. Smoker fired three rounds before Harris

disappeared again.

By 11:30 a.m., there were four other deputies at the school. Scott Taborsky had arrived to help

Smoker tend to wounded students. Paul Magor had set up a roadblock to the school. Rick Searle

had joined the rescue effort, tending to students behind the cover of Taborsky's patrol car. Kevin

Walker was stationed outside the cafeteria, ready to rescue or cover for escaping students.

Steve Davis, a spokesman for the sheriff's department, declined to say why none of those officers

entered the high school, calling that issue beyond the scope of the report.

At 11:29 a.m., the gunmen walked into the library, where 56 people had taken refuge. In the next 7

1/2 minutes, they killed 10 people and wounded 12 others.

Their last victim was shot one minute before the first SWAT team leader, Lt. Terry Manwaring,

arrived and set up a command post.

Manwaring led the SWAT response into what seemed a war zone with a rough sketch of the school

interior. He mistakenly believed the cafeteria was on the east side of the school. It along with the

library had been relocated four years earlier to the west side.

At 12:06 p.m., the first SWAT team entered the east side of Columbine.

Harris and Klebold had spent the previous half-hour wandering from the library to the cafeteria

below, where they repeatedly tried to set off the giant propane bomb that failed earlier. At 12:05

p.m., they exchanged gunfire one last time through the library windows with police outside. Then

they lit a Molotov cocktail, put guns to their heads and, by 12:08 p.m., killed themselves.

Police didn't know the killers had committed suicide, in part because a 911 dispatcher had

disconnected a live phone line inside the library.

While panicking students fled the school, SWAT teams methodically searched classrooms. At 2:40

p.m, more than three hours after teacher Dave Sanders was shot while evacuating students, a SWAT

team found two Eagle Scouts, Aaron Hancy and Kevin Starkey, trying to save the teacher's life with

first aid.

Earlier, another teacher had held up a sign in the classroom window: "1 bleeding to death." Though

the two Scouts were "reluctant to leave the teacher behind," a SWAT officer took the teens from the

school, the report says. Sanders died while two other SWAT officers waited for a paramedic.

A lawyer for Sanders' daughter Angela said he was dismayed by the police response to the dying

teacher.

"What is so disturbing is that they consciously decided to leave Dave Sanders there, bleeding to

death, notwithstanding a myriad, a multiple different ways to rescue him, including SWAT teams

going in through any of one of the 25 exterior entrances or including going through the glass

through the window" said lawyer Peter Grenier.

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The overall attack left the Columbine building and grounds riddled with spent bullets and shotgun

shells. Harris fired 121 rounds, 96 from his short-barreled rifle, 25 with a sawed-off shotgun.

Klebold fired 67 times, 55 with a TEC-DC9 assault pistol, 12 with another sawed-off shotgun.

Twelve law enforcement officers from Jefferson County, Denver and Lakewood fired a total of 141

rounds. All but 20 were fired by Denver police.

According to the report, nobody was killed or wounded by police fire. That finding contradicts a

claim by Daniel Rohrbough's family, who filed a lawsuit against Jefferson County claiming that law

enforcement agents killed their son.

The official report confirmed previous accounts that Klebold and Harris seemed to enjoy

themselves.

As the killing began, witnesses heard one of the gunmen shout, "This is what we always wanted to

do. This is awesome!" Other witnesses reported hearing them laugh as they fired."While this report

establishes a record of the events of April 20, it cannot answer the most fundamental question -

WHY?" the sheriff's report states. "That is, why would two young men, in the spring of their lives,

choose to murder faculty members and classmates? The evidence provides no definitive

explanation, and the question continues to haunt us all."

“Parents link suicide to massacre”

by Neil H. Devlin, Denver Post High School Sports Editor

published: May 19, 2000

Greg Barnes, the Columbine High student who committed suicide earlier this month, may have

suffered from post-traumatic stress syndrome from last year's shootings, his family said.

In their first public statements since the May 4 death of their 17-year-old son, Mark and Judy

Barnes on Thursday thanked the community "for all the support during this difficult time. The

outpouring of love and sympathy has been tremendous."

They also urged the community to understand "that the ramifications of the Columbine tragedy run

much deeper than we may realize."

"Please make every effort to reach out through family, friends or counsel to release and seek to heal

any deep underlying feelings. No teenager should ever have to witness the level of destruction and

distress that Greg was exposed to."

"This community doesn't need any more Columbine victims - we have all suffered enough." Greg

Barnes, a junior, witnessed the shooting of teacher and coach Dave Sanders on April 20, 1999, and

was friends with slain student Matt Kechter. Barnes hanged himself in the family's garage. He was

the school's top varsity basketball player.

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A 6-foot-4 shooting guard, Barnes had already been offered a scholarship to the University of

Denver.

In a brief conversation Wednesday, Mark Barnes confirmed that his son left no suicide note and that

the family remains in shock and disbelief.

He said his son had been in therapy, but that the end of the basketball season in early March,

combined with the April 20 anniversary of the shootings, had left Greg deeply depressed.

But Greg showed no outward signs of trouble, even to his friends, most of whom attended his

funeral service May 9. And that is the scary thing, Mark Barnes said.

In its statement, the family said some initial reports about Greg's last day were incorrect.

While some students said they saw Greg at school earlier that day, Mark Barnes said "Greg did not

go to school" May 4.

Also, "Greg did not have a creative writing class with either (Dylan) Klebold or (Eric) Harris as he

was two years younger. He didn't even know them. Greg was repeatedly confused with another

Greg Barnes (who) graduated in 1999."

2.3 - La Repubblica

“Usa, strage in una scuola”

di Vittorio Zucconi

pubblicato: 21 aprile 1999

WASHINGTON - Ai piedi delle Montagne Rocciose l'incubo di un western che esce dallo schermo

e sbrana la vita di innocenti: una gang di studenti, alcuni vestiti di nero con l'impermeabile lungo,

altri in T-Shirt o in tuta mimetica militare danno l'assalto a una scuola, la loro scuola, il loro liceo,

forse per vendicarsi dei compagni che li disprezzano, forse per fare una "pulizia etnica" di neri,

latinos, nemici, forse per pura, incontrollabile rabbia. E' un'operazione paramilitare perfetta,

demenziale e suicida: bombe a mano, fucili da guerra, assalto con le armi automatiche in pugno

contro studenti inermi che dopo sei ore di atrocità lascia sul campo di battaglia almeno venticinque

morti confermati, venti feriti e i cadaveri di due degli aggressori, che scelgono la morte del

kamikaze e si suicidano dopo la strage. Nella sera delle Montagne Rocciose, questo liceo con il

bugiardo nome rasserenante di "Columbine", questo pacifico sobborgo della pulita, civile Denver

diventano un altro mattatoio senza senso di creature innocenti. Ancora dopo le sei ore di assedio,

non soltanto il "perché" di questa mattanza, ma anche il "come" restano senza spiegazione. Gli

studenti che erano dentro il liceo, un enorme complesso di aule, palestre, librerie, caffetterie che

ospita quasi duemila allievi e centinaia di adulti tra insegnanti e personale per questo sobborgo di

classe media e tanto per bene di Denver, raccontano adesso con lo sguardo vuoto e la voce

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monotona del profugo che i due "commando" di punta sparavano soprattutto a neri, a latino-

americani, a gente con la pelle un po' troppo scura e con gli occhi troppo neri e miravano agli

"stranieri". Molti dei ragazzi, degli agnelli designati per il sacrificio umano da questi giustizieri del

nulla, li avevano riconosciuti subito, quando li avevano visti entrare: dicono che erano compagni di

scuola e "soldati" della "Trench Coat Mafia", la confraternita dell' impermeabile, come si facevano

chiamare loro, una ventina di studenti uniti in una gang di vigilantes razziali, di mentecatti, di reietti

che i compagni chiamavano "la merda della terra". Da mesi minacciavano di vendicarsi, di "far

vedere a tutti chi erano". Preparavano in segreto l'assalto studiando vecchi manuali di tattica

militare e rivivendo battaglie della Seconda Guerra Mondiale, come confermano piani, bombe, armi

ed esplosivi trovati nella casa di uno di loro. E ieri lo hanno fatto. I due, o forse tre, commando di

punta sono entrati a mezzogiorno, l'ora dell' intervallo per la colazione, spalancando a calci la porta

della caffetteria, come avevano visto fare nei film, armi alla mano e all'altezza della vita. Gridavano

"Revenge!", vendetta, e tra le urla di quelli che avevano capito al volo e si gettavano sotto i tavoli e

dietro i banchi della mensa, hanno cominciato a sparare. Nei corridoi, negli atri e nei gabinetti

esplodevano le "bombe tubo" che avevano sistemato per seminare panico. I loro complici fuori dal

liceo lanciavano granate, forse bombe a mano, per creare il caos. I primi ragazzi cominciavano a

cadere nel loro sangue. Amici si buttavano sul corpo di amici feriti, di morose e di fidanzatini, per

proteggerli dalle pioggia dei pallettoni e dai proiettili di una machine pistole, forse una Uzi, che uno

dei due stringeva in pugno. Altri si lanciavano dalla finestra, fortunatamente al primo piano,

sfondando i vetri o fuggivano verso i corridoi, verso le loro classi, verso la vicina biblioteca della

scuola credendo di trovare lì, tra quei libri tanto noiosi e tanto familiari, la salvezza. Ma gli

assassini li braccavano, la libreria diventava la tonnara: il maggior numero dei corpi sarà trovato lì,

nella biblioteca, insieme con i cadaveri dei due kamikaze. Altri, più fortunati, riuscivano a rientrare

nelle loro classi, con gli insegnanti, e barricare la porta, mentre gli echi degli spari e delle esplosioni

facevano tremare i vetri. C'erano classi che pregavano, recitando i salmi della morte sotto la guida

dei professori, aspettando di vedere la porta spalancarsi, "...neppure se attraverso la valle della

morte avrò timore, perché il Signore è il mio pastore...", racconta una ragazza scampata. C'era chi

preferiva stare in silenzio, sdraiato a terra, la mano sulla bocca, sperando di non essere sentito dai

pazzi che perquisivano le stanze e le aule con le armi in pugno, ancora non sazi. C'era chi

telefonava, un ragazzo di cui conosciamo soltanto il primo nome, James, e che aveva con sé un

telefonino cellulare. E' riuscito a correre verso la sua aula deserta, a chiudersi dentro da solo,

sbarrando la porta con banchi e sedie e a chiamare la Cnn perché il centralino della polizia, il 911,

era bloccato dalle troppe chiamate. "Sento gridare.... sento correre nei corridoi... qualcuno urla... c' è

uno sparo... Cristo, un' esplosione" ansima il ragazzo nella diretta dall'aula e l'anchorman che gli

parla vince la tentazione dello scoop e gli consiglia di smettere, di non telefonare, perché i televisori

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potrebbero essere accesi, nella scuola del massacro e i predatori con l'impermeabile nero potrebbero

essere all'ascolto e stanarlo. Dentro era puro, squisito terrore senza nome. Pristina, Sarajevo,

Rwanda, Etiopia, le stragi degli innocenti, la storia umana. Fuori erano scene di guerra in Colorado.

Le squadre degli "Swat", le truppe d'assalto della polizia di stato, stringevano un cordone blindato

attorno alla scuola, appoggiati da mezzi corazzati della Guardia Nazionale immediatamente

mobilitata dal governatore dello Stato. Entravano in varie ali dell'edificio, ripulendole una a una

dalle granate e dalle bombe che i cani idrofobi con l'impermeabile avevano disseminato come

trappole. Liberavano la scuola aula per aula, aiutando a uscire diecine di studenti troppo terrorizzati

per fuggire da soli, tenendo lontane migliaia di genitori, di parenti, di amici che accorrevano al liceo

delle Colombine, assediando l'assedio. All'ospedale arrivava una ragazza con nove proiettili in

corpo, ancora viva. Si è salvata per uno di quegli strani, incomprensibili misteri del destino. A un

ragazzo erano estratti 15 pallettoni da caccia, nessuno dei quali aveva toccato parti vitali.

Un'insegnante aveva il cranio fratturato da una pallottola che era rimbalzata senza penetrare. Niente

di simile era mai accaduto, in America. E se i due - forse tre, uno sarebbe stato catturato dalla

polizia, ma le notizie si accavallano, confondono, le voci si rincorrono - che hanno fatto la strage

non parleranno più, i loro quattro o cinque complici che la polizia ha arrestato, che erano talmente

idioti da avere assistito all'attacco dai dintorni del liceo indossando la maglietta nera della loro

"uniforme" avevano la stessa faccia vuota, normale, banale della follia umana. Era la faccia del

ginnasiale di 15 anni che il 21 maggio del 1998 uccise a fucilate due compagni di scuola

nell'Oregon e poi tornò a casa, per ammazzare il padre e la madre. Gli occhi vacui e lontani del

diciassettenne "primo della classe" che nel Tennessee freddò a rivoltellate il compagno più somaro

ma più bello che gli aveva portato via la ragazza tre giorni prima del ballo finale della scuola. Le

figurine patetiche dei due bambini, uno di 11 e l'altro di 13 anni, che aprirono il fuoco sopra la loro

Media nell' Arkansas, ammazzando quattro compagni e un'insegnante. Sono i volti di coloro che

potrebbero essere i nostri figli e, soltanto per il mistero della provvidenza, non lo sono. Clinton, alla

sera, dirà che "è una cosa terribile" e lui prega e invita la nazione a pregare per le vittime, per questi

studenti.

Ma dove vanno i liceali idrofobi a procurarsi gli Uzi e le bombe a mano, presidente?

“Sparavano e ridevano”

di Arturo Zampaglione

pubblicato: 22 aprile 1999

NEW YORK - Ventiquattr'ore dopo il massacro del Colorado, i cadaveri di quattordici studenti e di

una professoressa erano ancora sotto i banchi e nei corridoi del liceo Columbine. Erano stesi nella

biblioteca e nel refettorio, in attesa che gli artificieri disattivassero le trappole esplosive e che la

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scientifica fotografasse i corpi sfigurati. Negli ospedali di Littleton, piccolo centro della periferia

benestante di Denver, altri trenta studenti combattevano contro la morte. Intanto, come svegliata da

un incubo, l'America faceva l'esame di coscienza, chiedendosi il perché dell'escalation della

violenza nelle scuole, che lunedì ha segnato un nuovo record dell' orrore. "Solo adesso, forse,

l'America si renderà conto delle dimensioni della sfida", ha detto Bill Clinton, parlando per la

seconda volta al paese in poche ore e chiedendo un minuto di silenzio per le vittime. "Se è accaduto

a Littleton potrebbe accadere ovunque: dobbiamo fare di tutto per evitarlo". Il presidente ha

mandato in Colorado il ministro della Giustizia e quello dell' Istruzione pubblica. La Casa Bianca,

ovviamente, insiste per l'adozione immediata di norme più severe per la vendita di armi da fuoco.

La strage scolastica più sanguinosa della storia americana è iniziata alle 11 e 30 dell'altro ieri.

Vestiti con tute mimetiche, un impermeabile nero fino ai piedi e armati di armi automatiche e

bombe, Eric Harris e Dylan Klebold, due liceali della Columbine, hanno cominciato a sparare dal

parcheggio della scuola. Diciassette anni uno, diciotto l'altro (quindi maggiorenne), avevano

programmato con cura la loro missione suicida, scegliendo il giorno (il compleanno di Hitler), il

look e soprattutto costruendo in gran segreto decine di bombe carta, incendiarie e a orologeria.

Forse erano stati anche aiutati da complici. Entrati nell'edificio, si sono diretti verso il refettorio,

mentre i compagni scappavano impauriti. Per quattro ore hanno seminato il terrore. Perché?

Nessuno è ancora in grado di dare una spiegazione. Qualche sociologo evoca lo spettro della

"generazione Y", che non ha più valori, né aspettative. Altri chiamano in causa la violenza della tv e

l'impatto dei gruppi neonazisti. Di sicuro, i resoconti dei sopravvissuti alla strage sono da brivido.

"Odio i negri", ha detto uno dei killer a un ragazzo afroamericano, scaricandogli una raffica in

faccia. Poi ha sghignazzato: "Ecco come è fatto il cervello di un nero". L'altro, intanto, cercava di

scovare gli studenti che si nascondevano dietro ai banchi: "Cucù", esclamava, prima di sparare e di

ridere. Una ragazza gli ha chiesto di risparmiargli la vita, lui si è divertito a colpirla ripetutamente

sul petto. "La polizia è arrivata dopo appena tre minuti", ha detto ieri il portavoce dello sceriffo

Steve Davis. Protetti da un mezzo blindato, tiratori scelti della polizia e i 'rambo' della guardia

nazionale del Colorado hanno cercato di mettere in salvo il maggior numero di studenti, poi di

recuperare i feriti, operati subito al Swedish medical center e negli altri ospedali della zona, e solo

alla fine hanno affrontato i due ragazzi. Ma non c'è stato bisogno di uno scontro a fuoco: i due si

erano ammazzati da soli, senza lasciare una spiegazione del loro folle gesto. La strage è subito

rimbalzata in diretta sulle televisioni nazionali, spodestando la crisi del Kosovo. Centinaia di

genitori sono corsi a scuola in lacrime: per alcuni è cominciata la terribile agonia dell' incertezza,

del dubbio, conclusa solo a tarda notte, quando la polizia ha chiesto le radiografie dei denti per il

riconoscimento dei cadaveri. Non è stato neanche facile ripulire la scuola dalle bombe, una trentina,

"costruite con molta fantasia e creatività", secondo quanto ha spiegato Davis. I due ragazzi- killer le

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avevano disseminate ovunque: una, ad orologeria, è scoppiata addirittura ieri mattina, senza però

fare altre vittime.

“Denver, hanno ucciso nel nome di Hitler”

dal nostro inviato Vittorio Zucconi

pubblicato: 22 aprile 1999

WASHINGTON - E dunque erano bravi ragazzi bianchi, i due ragazzi che hanno fatto strage di

ragazzi. Non erano cani randagi, mostri, alieni, barboni, non erano figli del ghetto emarginato,

zingari, serbi, albanesi, hippies, hezbollah, Hutu o Tutsi, bambini maltrattati da padri violenti o

abbandonati da madri alcolizzate. Dylan Klebold e Eric Harris avevano solo 17 e 18 anni, la faccia

bianca e foruncolosa dell'adolescente, i genitori premurosi, la villa nei sobborghi buoni, le due auto

in garage. E un intenso, divorante desiderio di morte nel cuore, una fame d'odio che hanno saziato

ieri l'altro in un ultimo "Gotterdammerung", un crepuscolo degli dei wagneriano ai piedi delle

montagne Rocciose "suicidando" sé stessi e il loro mondo, la loro scuola, il loro annoiato benessere.

Cancellando quel mondo che era stato con tanto orgoglio costruito per loro. Come vorremmo oggi

che ci fossero stampelle razziali, stereotipi sociologici, chiavi politiche alle quali appoggiarci per

non barcollare nello sbigottimento, per esorcizzare i volti dei nostri figli, di Eric e Dylan che ci

guardano dalle fotografie dell'annuario scolastico del "Columbine High School", una scuola tanto

politically correct da avere adottato non il nome di un condottiero, ma del fiore ufficiale dello Stato

del Colorado, la "columbine", una sorta di stella alpina minacciata di estinzione. Non possiamo

neppure maledire i videogame, Internet, la televisione, la disponibilità delle armi, perché c'erano

duemila studenti nel liceo della strage, tutti loro guardano la stessa TV, giocano agli stessi giochi,

adoperano gli stessi computer, avrebbero facile accesso alle stesse armerie se volessero. Ma soltanto

due di loro, soltanto Eric e Dylan hanno attraversato sparando ai compagni e dunque a sé stessi, il

ponte senza ritorno della morte. Dalla loro vita di ragazzi, dalle loro stanze luminose nel sobborgo

di Littleton dove i genitori li avevano portati per fondare la comunità della stella alpina e per

strapparli alle "città violente" oggi rovistate dalla polizia, spunta tutta la spazzatura che circola nelle

fogne delle nostre sottoculture e affiora negli striscioni degli stadi, nei graffiti, nel sottomondo che

preferiamo ignorare. Un anno fa Eric e Dylan avevano formato un gruppo di ragazzi e ragazze, una

ventina, una "cricca" come ce ne sono in tutte le scuole del mondo. Si erano battezzati la "Mafia del

Trenchcoat", dello spolverino da portare lungo, svolazzante e possibilmente nero, come in "C'era

una volta il West". Le madri glieli avevano comperati, sono tanto di moda, come negarli. Si

facevano fotografare in gruppo, con le loro ragazze, Nicole, Krista, Pauline, accompagnando la foto

con frasi da letteratura foruncolosa, "Non vivo senza la vita, non amo senza l'amore" e qualche,

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struggente, squarcio di malinconia profetica: "Noi ragazzi facciamo spesso cose delle quale poi

dobbiamo rammaricarci" aveva scritto Dylan, nell' annuario del liceo. Per sentirsi insieme, per

sentirsi meno soli nella luminosa solitudine del loro sobborgo. Eric, che era il leader, odiava i neri, i

latino americani, gli atleti delle squadre del liceo coccolati e arroganti e un giorno aveva

scoperchiato il tombino del liquame neo-nazi, sado-rock, ariano, "Gotico" come si dice oggi, che

gorgoglia sotto la superficie del nostro tempo. Ne era rimasto intossicato. Dal gioco

dell’impermeabile nero, dicono i compagni, era passato ad avventure sempre più estreme, sempre

più bizzarre. La sua "Mafia" aveva cominciato a perdere adepti, ultimamente erano rimasti soltanto

una diecina. Giocavano a "Dungeon and Dragons", fanta medioevo, a "Doom", all'apocalisse, un

video gioco popolarissimo tra tutti i ragazzi, dove si devono abbattere i nemici con il fucile a pompa

e farsi largo lanciando bombe e granate. Si mettevano al collo croci uncinate, parafernalia nazisti,

teste di morto SS, rifacevano le grandi battaglie della Guerra in Europa, ma facendo in modo che

questa volta vincessero i "nazi". Non sapevano nulla di storia vera, di dottrine, di ideologie, ma il

nazismo sembrava soddisfare come un hamburger, come una merendina carica di zucchero, la loro

fame di autodistruzione. A scuola studiavano il tedesco. Lo usavano come linguaggio segreto, come

codice: le pagine di Internet che avevano costruito e che frequentavano erano pieni di "ueber alles",

"sieg", "Juden raus". Fra loro si chiamavano gli "Auslaender", gli stranieri, gli estranei. Coloro che

vengono da un' altra terra. In cantina, con gli attrezzi del papà tanto contento di sentirli trafficare

laboriosamente, si costruivano bombe casalinghe, con pezzi di tubature di piombo, polvere presa

dai proiettili svuotati, fulminato di mercurio come detonatore. Erano ragazzi disciplinatissimi,

ordinati. Mai una nota a scuola, mai un' espulsione, una sospensione. Non reagivano alle

provocazioni: "Hey, Goti, andate a fare in..." gli dicevano i compagni quando attraversavano l'atrio,

tutti in nero. Loro restavano seri: "Un giorno la pagheranno cara" disse Eric a Brooks Brown, un

amico. Martedì mattina, prima di entrare al liceo per la strage, Brooks Brown fu avvertito da Eric:

oggi non andare a scuola. Tutti, i 13 compagni che sono morti, uccisi da loro che gridavano "Cucù

sei morto" prima di sparare, i 20 feriti, gli scampati per un miracolo, i 2000 liceali di Littleton

sarebbero potuti diventare Eric e Dylan. Le armi si vendono in Colorado come i gelati e anche

bloccando la vendita in tutto il Paese, come andrebbe fatto immediatamente, ne circolerebbero a

milioni di quelle vecchie per decenni. Detonatori e polvere sono diffusissimi in una terra di miniere.

Ma soltanto loro lo sono diventati i massacratori del liceo. Soltanto loro hanno preso sul serio il

"Gotico", le SS rivisitate dallo hard rock, hanno bevuto l'odio contro sé stessi e dunque contro gli

altri. Fino a quando non capiremo perché i bravi ragazzi uccidano, cadrà altro sangue sulle stelle

alpine.

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“Violenza nelle scuole la ricetta di Clinton”

di Silvia Bizio

pubblicato: 11 maggio 1999

WASHINGTON - Una bacchettata alla tv violenta, un occhio di riguardo per le eventuali

responsabilità della ricca lobby (e da sempre prodiga di finanziamenti ai democratici) del cinema e

una polemica a distanza dei produttori di armi. E' finito così il summit convocato ieri da Clinton alla

Casa Bianca sulle cause della violenza giovanile in America, all'indomani della strage del liceo

Columbine a Littleton, in Colorado.

All'incontro hanno partecipato circa 50 rappresentanti di associazioni dell' industria dello

spettacolo, genitori, studenti, educatori e fabbricanti di armi, questi ultimi però assai divisi e

polemici con il presidente: assente annunciata la potente National Rifle Association ("questo

summit è una burla", ha detto il direttore esecutivo LaPierre), ha disertato la riunione anche la

National Shooting Sports Foundation.

Fra i presenti, invece, la poetessa nera Maya Angelou, i presidenti di American Online, il presidente

della rete televisiva CBS, il direttore della Motion Picture Association of America Jack Valenti, i

capi della Associazione dell' industria discografica, televisiva e dell' Interactive Digital Software

Association.

Scopo dichiarato del summit era cercare soluzioni per evitare il ripetersi di tragedie come quella di

Littleton, dove due studenti hanno ucciso 13 ragazzi e un professore prima di suicidarsi.

Gli assassini, Eric Harris e Dylan Klebold, erano fan dei violenti videogiochi "Quake" e "Doom",

accusati ora di influenzare in modo drammatico i giovani.

"Non siamo qui per rinfacciare colpe, ma per trovare risposte che ci permettano di andare avanti

insieme", ha detto Clinton nel breve discorso di apertura, tranquillizzando così soprattutto i

rappresentanti dell'industria dell'intrattenimento. Ma un pesante avvertimento è stato invece rivolto

ai genitori, invitati "a tenere d' occhio ciò che guardano in tv" i loro figli e a "spegnere quando è il

caso il piccolo schermo".

Tra le misure annunciate dal presidente, un rapporto ordinato al ministro della Sanità (il primo da

dieci anni) che esamini le cause dell'ondata di violenza tra i giovani e una serie di campagne di

sensibilizzazione e informazione. Poi Clinton ha trovato il modo di ringraziare i fabbricanti di armi

con cui nei giorni scorsi ha trovato accordi su alcuni punti chiave, come lo spostamento del limite di

età per il porto d'armi (dai 18 anni ai 21), la responsabilità dei genitori e un maggiore sostegno alle

forze dell'ordine nel controllare l'uso di armi da fuoco, e ha ricordato gli accordi stipulati col

presidente della Cbs e con il 95 percento dei fornitori di servizi su Internet riguardo alla "V-chip", il

dispositivo che impedisce l'accesso ai programmi violenti in rete o in tv, con relative istruzioni per

l'uso ai genitori.

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Molte rassicurazioni, insomma, sul fatto che l'America ha davvero deciso di lottare per arginare il

fenomeno. Quanto al ruolo dell'industria cinematografica Jack Valenti ha sostenuto che le lezioni

morali cominciano a casa, a scuola e in chiesa: "Non sto dicendo che i film non abbiano un impatto"

ha detto. "Tutto quello che so è che altri paesi in cui i bambini guardano gli stessi film e programmi

tv hanno livelli di criminalità molto più bassi".

2.4 - La Stampa

“Pomeriggio di sangue a scuola: 25 morti”

di Franco Pantarelli

pubblicato: 21 aprile 1999

Denver: tre studenti sono entrati nell'istituto sparando all'impazzata e lanciando bombe.

Pomeriggio di sangue a scuola: 25 morti, suicidi due degli assalitori, 20 i feriti.

NEW YORK: Se ciò che ha detto lo sceriffo risulterà vero, quali a avvenuta ieri in un liceo del

Colorado è la più spaventosa delle «stragi scolastiche» che hanno scosso gli Stati Uniti nell'ultimo

paio d'anni. I morti potrebbero essere almeno 25, ha detto John Stone, lo sceriffo della contea di

Jefferson, il sobborgo di Denver in cui la Columbine High School si trova, ed anche gli autori di

quella strage, due studenti della stessa scuola, sono morti apparentemente uccidendosi l'un l'altro

«in perfetto stile missione suicida», ha detto lo sceriffo, forse dettata da motivi razziali. E' possibile

che un terzo killer sia stato arrestato. Si erano presentati nel refettorio della scuola alle 11,30, con

indosso impermeabili militari neri e con dei passamontagna, anch'essi neri, calati sul volto. Era l'ora

del pranzo, il momento più caotico e allegro della giornata scolastica, e gli altri ragazzi avrebbero

probabilmente scherzato sul loro abbigliamento, se ne avessero avuto il tempo. Appena entrati, i

due hanno subito cominciato a sparare all'impazzata e a lanciare granate, scatenando il finimondo.

«C'era chi fuggiva verso l'uscita, chi si gettava a terra, chi si nascondeva sotto i tavoli», ha

raccontato più tardi uno di loro. «Loro, con calma, hanno cominciato ad andare di tavolo in tavolo e

a sparare contro tutti quelli che trovavano. Cosi, senza ragione». In qualche caso hanno anche

mostrato pietà. «Uno mi ha puntato il fucile sulla fronte», ha detto una ragazza ancora tremante.

«Gli ho detto: per favore non sparare. Lui si è fatto una risata e mi ha lasciato andare». Nessuno ha

un'idea del perché di questo gesto. L'abbigliamento nero, a quanto pare, è caratteristico di una

«banda» che opera nella scuola, il cui nome è «Black Coat Mafia», ma finora, dicono gli studenti

sopravvissuti, i suoi membri si erano limitati a «qualche gesto di arroganza». Prima che ci si

rendesse conto delle proporzioni di questa tragedia sono passate molte ore, durante le quali si era

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pensato che le sole vittime della «missione suicida» fossero i 18 ragazzi che, feriti e aiutati da

qualche compagno, erano riusciti a scappare all'esterno. Erano stati portati in vari ospedali della

zona e la più grave appariva una ragazza raggiunta da nove proiettili. Per tutto il giorno la vicenda

si era svolta davanti alle telecamere, sicché molta gente aveva potuto seguire «in diretta» ciò che

accadeva. Molti degli studenti erano riusciti a fuggire, dicevano le cronache, ma molti altri erano

ancora dentro, forse tenuti in ostaggio dai due ragazzi in nero o forse nascosti per evitare di essere

ammazzati. Era una situazione pericolosissima, naturalmente, ma nessuno aveva la percezione di

ciò che era «già» accaduto. Lo stesso Bill Clinton, al momento di cominciare una conferenza

stampa per illustrare alcuni provvedimenti economici per «incrementare la nostra prosperità», aveva

fatto riferimento alla vicenda invitando a «pregare per gli studenti, per i genitori, per le famiglie».

Più tardi, la Casa Bianca ha annunciato per ieri sera un discorso alla tv con cui il Presidente avrebbe

cercato di consolare la nazione. Subito dopo che la notizia della sparatoria si era diffusa, lo spazio

adiacente la scuola era piombato nel caos. Erano arrivate decine di auto della polizia, mezzi dei

vigili del fuoco (le granate lanciate dai due avevano anche provocato un principio di incendio che

però poi non si è sviluppato), furgoncini delle Swat, le squadre di tiratori scelti, e naturalmente i

media. Non si sapeva chi fosse «in charge», non si sapeva che fare e i genitori dei ragazzi

continuavano ad arrivare in gran numero: quella scuola è frequentata da 1800 studenti. Le radio

hanno cominciato a lanciare appelli affinché i genitori evitassero di accorrere perché era ancora

pericoloso. «Chiamate la polizia e vi saranno date tutte le informazioni», dicevano gli appelli. Ma

non era facile obbedire, anche perché il telefono della polizia a quel punto era inservibile perché il

suo centralino era completamente intasato. Così sono stati stabiliti due «punti di incontro» dove i

ragazzi che uscivano venivano convogliati. Era infatti accaduto che le Swat erano entrate e avevano

preso a perlustrare la scuola. Ogni volta che trovavano un gruppo di ragazzi nascosti li portavano

fuori (invitandoli a tenere le mani alzate, in modo che i poliziotti appostati all'esterno non li

confondessero con gli assalitori). Loro finivano nelle braccia dei genitori in attesa, e ogni volta il

sollievo di alcune famiglie per la vista del proprio ragazzo si mescolava all'angoscia di quelle che

restavano nell'incertezza. Per 25 di loro, il sollievo non sarebbe mai arrivato. La strage forse per

motivi razziali In manette uno dei presunti assassini Alcuni testimoni: «Sparavano e ridevano» .

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“Strage nella scuola nel nome di Hitler”

di Franco Pantarelli

pubblicato: 22 aprile 1999

I due ragazzi cercavano soprattutto i neri. Clinton: insegniamo ai nostri figli che la violenza è

sbagliata.

Strage nella scuola nel nome di Hitler. Quindici i morti, l'esecuzione era preparata da giorni.

NEW YORK - «E' un buon giorno per morire. Vogliamo vedere tutti morti!»: erano le 11,30 di

martedì quando nella biblioteca della Columbine High School di Littleton, benestante sobborgo di

Denver, è risuonato quel grido, dando inizio alla strage i cui numeri ancora ieri erano imprecisi (non

più 25 morti, dice la polizia, bensì 15 o forse 16 e 20 feriti). Ma l'inizio «vero», il momento in cui

forse era ancora possibile fare qualcosa per evitare la tragedia, c'era stato 24 ore prima. Lunedì

mattina Eric Harris, l'autore dell'eccidio assieme al suo compagno Dylan Klebold, era seduto sul

pavimento del corridoio della scuola, era vestito come sempre di nero e faceva disegni su dei fogli

di carta. «Che fai?», gli ha chiesto Michael Vendegnia, uno di quelli che in genere lo prendevano in

giro proprio per lo strano abbigliamento. «Preparo le cose per domani», ha risposto Eric. «Perché,

che succede domani?», ha insistito Michael, e la risposta è stata un enigmatico: «Lo vedrai».

L'indomani l'hanno «visto» tutti. Dopo le prime uccisioni nella biblioteca i due sono scesi al piano

inferiore, nel refettorio, dove i ragazzi che vi si erano recati allegramente - la pausa del pranzo è

ovviamente il momento più atteso della giornata scolastica - erano già stati messi in allarme dalle

esplosioni che avevano sentito, ma erano ben lontani dall'immaginare che cosa fosse successo.

Senza dire una parola i due hanno preso a sparare. «Ho visto un ragazzo che stava scappando e tutto

a un tratto la sua caviglia ha cominciato a schizzare sangue», ha raccontato Don Arnold, un

sedicenne che si è salvato e ancora non sa come. «Poi ho visto la fuga di una ragazza stroncata

perché la sua testa è letteralmente esplosa. «Buttatevi a terra!», gridava qualcuno qua e là, e molti lo

hanno fatto, nascondendosi anche sotto i tavoli. Ma non è servito a molto. I due armati hanno

cominciato a frugare fra i tavoli e a sparare a quelli che trovavano. Cercavano soprattutto quelli con

la pelle nera, quelli che erano noti per le loro prestazioni nella squadra di football e quelli che per

lungo tempo li avevano presi in giro per via della loro abitudine di indossare sempre, qualunque

tempo facesse, il soprabito nero. Una ragazza, che non era nera e che evidentemente non li aveva

mai presi in giro, è stata graziata. Uno dei due le ha puntato il fucile in faccia ma poi, ridendo, le ha

detto di andarsene e ha raggiunto l'altro nella caccia a quelli da uccidere. A quel punto tutti hanno

cercato rifugi di fortuna: chi si chiudeva dentro i bagni, chi si barricava nelle classi, un gruppo si è

nascosto dentro un armadio a muro. Era diffìcile respirare, specialmente per uno di loro che soffriva

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di asma. Lo hanno issato sulle spalle affinché potesse essere più vicino alla bocca della ventilazione

sul soffitto. Ne sono usciti solo quando hanno sentito gli agenti delle squadre speciali gridare che

ormai non c'era più pericolo e che i due autori della «missione suicida» si erano sparati. Ma questo

accadeva molte ore dopo, quando ormai su Littleton stava calando la sera. Fuori, infatti, nessuno

aveva avuto la percezione della gravità di quanto era accaduto. L'idea era che gli armati tenessero in

ostaggio studenti e professori e le squadre speciali erano molto caute nell'intervenire, aspettando da

un momento all'altro le loro «richieste». Ma loro non avevano richieste. Tutto quello che volevano

era uccidere e hanno compiuto l'opera rivolgendo le armi contro se stessi e lasciando l'America e il

mondo sconvolti. «Forse non capiremo mai del tutto il perché», ha detto Bill Clinton con la voce

rotta e ha aggiunto: «Ciò che è accaduto dimostra che è necessario premere sui nostri figli perché

capiscano che la violenza è sbagliata, è male». Il Papa invece ha auspicato che «la società

americana sappia reagire all'ultimo atto di violenza fra i giovani, facendosi promotrice e

trasmettendo la visione morale e i valori che soli possano assicurare il rispetto per l'inviolabile

dignità della vita umana».

2.5 - Il Corriere della Sera

“Orrore a Denver”

di Alessandra Farkas

pubblicato: 21 aprile 1999

Hanno usato armi automatiche e granate. Due di loro si sono suicidati un terzo e' stato catturato.

Erano razzisti, noti come la "mafia degli impermeabili neri" Piazzati ordigni all' interno dell' istituto

Per bloccare la carneficina chiesto l' aiuto dei blindati.

NEW YORK - Nuova strage in un liceo americano. Ieri mattina all'ora di pranzo tre studenti

mascherati appartenenti a una sedicente "mafia degli impermeabili neri" hanno fatto irruzione nella

mensa della loro scuola in un sobborgo di Denver, in Colorado, e si sono messi a sparare

all'impazzata sui compagni, prima di lanciare delle bombe a mano sulla folla. Quando l'incubo e'

finito, molte ore dopo, le autorità hanno contato dozzine di feriti, alcuni molto gravi e almeno 25

morti, inclusi due killer, che si sarebbero poi tolti la vita. L'appuntamento con il terrore, per i 1800

studenti della Columbine High School di Littleton - un sobborgo medio - borghese di 35 mila anime

- e' iniziato verso le 11 e mezzo del mattino, quando la sala della "cafeteria" era gia' gremita per il

primo turno del pranzo. Tre giovani armati fino i denti - il volto coperto da un passamontagna e con

un identico impermeabile nero lungo fino ai piedi - hanno puntato i mitra al centro della sala,

aprendo il fuoco. Alcuni studenti hanno subito cercato riparo sotto i tavoli, altri si sono messi a

correre verso l'uscita. "E' scoppiato un pandemonio - racconta una studentessa - c'erano vetri e piatti

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rotti, cibo che volava e sangue dappertutto". "I feriti urlavano e piangevano trascinandosi per terra,

chiedendo di essere risparmiati - prosegue un compagno - poi abbiamo sentito l'esplosione delle

granate. Era peggio del Kosovo in tv". La banda si è poi spostata nella biblioteca della scuola, che e'

stata accerchiata da centinaia tra teste di cuoio e agenti speciali, mentre dozzine di elicotteri

sorvolavano la scuola. Protagonisti assoluti e discussi, ancora una volta, i media. Accorsi sul posto

prima delle autorità , che ad un certo punto li hanno intimati ad "abbandonare immediatamente la

proprietà scolastica". Ma la tragedia si e' praticamente svolta in diretta. Con la ripresa aerea

dell'arrivo degli agenti Fbi e dei "Swat team" in tuta mimetica. Dentro la scuola chi possedeva un

cellulare l'ha usato per telefonare a casa. "Sono nascosta dentro un armadio - ha balbettato Dale

Vest rassicurando il padre - sto bene". Quando è iniziata la sparatoria, alcuni professori hanno

cercato di mettere intere sezioni al sicuro dentro aule chiuse a chiave. "Il cuore mi batteva

all'impazzata - ha spiegato una ragazza - temevamo di essere scoperti". L'obiettivo di una

telecamera inquadra il corpo privo di vita di un giovane che penzola da una finestra. Più tardi una

ambulanza lo porta via, a sirene spiegate, verso il vicino "Ospedale Svedese" che si riempie di feriti.

Insensibili all'angoscia dei genitori in frenetica attesa fuori, alcuni reporter li assaltano per "un

commento a caldo". Arrivano persino i carri armati e dopo oltre sei ore di attesa, la suspense è

finalmente sciolta: la missione suicida ha risparmiato solo uno dei complici (che ha preferito non

avvolgersi il corpo di esplosivo), subito arrestato. A scoprire l'identità dei tre Terminator e' la Cnn.

"Fanno parte della "mafia degli impermeabili neri" - spiegano in tv alcuni compagni - sono dei

"gotici". Si radunano ogni mattina davanti al liceo e non si mescolano con gli altri". Mentre

sparavano, avrebbero gridato "vendetta, vendetta". Ma nessuno sa contro chi o che cosa.

"La guerra è qui: e la strage - tv fa dimenticare il Kosovo”

di Ennio Caretto

pubblicato: 21 aprile 1999

WASHINGTON - Traumatizzata dalla strage di Littleton, l' ennesima e la piu' spaventosa delle sue

scuole negli ultimi due anni, l' America ha ieri dimenticato quelle del Kosovo. Dalle 13 circa, le 19

in Italia, in diretta alle Tv via cavo, che non hanno dedicato piu' un minuto ai bombardamenti della

Serbia, il Paese ha seguito fino a tarda notte l'odissesa del liceo Colombine. Mentre nei Balcani si

consumava un' altra pagina della pulizia etnica di Milosevic, e piovevano altri bombe e missili, la

superpotenza si e' trovata improvvisamente sotto assedio. Le grandi reti tv hanno interrotto i

regolari programmi per trasmettere le immagini di questa tragedia. Persino il presidente Clinton ha

accantonato, sia pure brevemente, il Kosovo per invitare la nazione a rimanere unita, e a pregare per

gli studenti e gli insegnanti. Per l'America, e' stato come se il Kosovo fosse entrato nelle sue case.

Un odio insensato, odio di razza e per le istituzioni, sembra avere motivato i giovanissimi killer, in

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una suicida missione vendicatrice. Lo sceriffo di Littleton ha parlato di atrocita' e di follia: di

ragazzi assassinati per il colore della pelle o per l' abbigliamento, di corpi crivellati di proiettili e di

trappole esplosive. Scene strazianti hanno costellato il dramma alle tv. Padri e madri sconvolti che

urlavano invano i nomi dei figli, a mano a mano che gli agenti dell' antiterrorismo riuscivano a

portare degli studenti in salvo, feriti coperti di sangue che venivano caricati sulle autoamblanze,

sopravvissuti in lacrime. Era dall'attentato al Palazzo federale di Oklahoma City sei anni fa che

l'America non subiva piu' ferite simili. Allora morirono ben 167 persone, ma fu un caso isolato di

terrorismo politico interno. Le stragi nelle scuole si ripetono invece su scala sempre piu' ampia. E le

Tv conferiscono loro un' immediatezza lacerante. Ieri gli studenti e insegnanti che non riuscivano a

raggiungere la polizia con i cellulari dalle aule in cui si erano nascosti telefonavano alla Cnn e altri

canali. E questi li imploravano di non citare i loro nascondigli, nel caso gli assassini li stessero

ascoltando

I PRECEDENTI

- 1 ottobre '97 Pearl (Mississippi): un sedicenne uccide due compagni di scuola e ne ferisce un altro.

Poco prima aveva trucidato la madre.

- 1 dicembre '97 Paducah (Kentucky): un quattordicenne spara sui compagni di scuola durante un

incontro religioso. Morti 3 studenti, cinque feriti.

- 24 marzo '98 Jonesboro (Arkansas): due adolescenti, uno di undici e l'altro di tredici anni, aprono

il fuoco sui compagni. Quattro studenti e una insegnante perdono la vita.

- 24 aprile '98 Edinboro (Pennsylvania): un quattordicenne uccide il suo professore di scienze

durante una festa organizzata dalla scuola.

- 21 maggio '98 Springfield (Oregon): liceale di quindici anni spara nella scuola, due morti e

venticinque feriti. Subito prima dell'attacco l' assassino aveva ucciso i genitori.

“L'America ora invoca restrizioni sulle armi. Ondata di emozione nel Paese, ma Clinton non

osa sfidare le lobbies dei produttori.”

di Ennio Caretto 

pubblicato: 22 aprile 1999 

Il presidente: dobbiamo parlare ai nostri figli di tolleranza. E un deputato: non sarebbe successo se

gli insegnanti avessero avuto la pistola L' America ora invoca restrizioni sulle armi. Ondata di

emozione nel Paese, ma Clinton non osa sfidare le lobbies dei produttori

WASHINGTON - Un grido di protesta contro la libera circolazione delle armi si è levato ieri

dall'America dopo la strage del liceo Colombine che per 48 ore l'ha tenuta avvinta ai teleschermi.

Ai telefoni e su Internet, i genitori americani furenti hanno chiesto immediate restrizioni al possesso

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e alla vendita di pistole e fucili. Dietro la spinta della pubblica opinione, il Parlamento del Colorado

ha annullato la votazione su un progetto legge che consentirebbe ai cittadini non soltanto di tenere

armi da fuoco in casa, ma anche di girare armati. Al deputato Doug Dean, che sosteneva che la

strage sarebbe stata evitata se qualche insegnante avesse avuto una rivoltella, il collega Russell

George ha risposto: "La volontà popolare è di disarmarsi". E' la prima, leggera incrinatura nel muro

delle armi. Ma e' impensabile che esso crolli come il muro di Berlino e che liberi l'America dalla

traumatica spirale di violenza. Ha commentato Susanne Wilson, la madre di una ragazza assassinata

in una precedente strage scolastica a Jonesboro nell'Arkansas, lo Stato del presidente Clinton:

"Nella cultura della frontiera americana, quella di avere un'arma è ritenuta una libertà

fondamentale". Attonita e sconvolta per la strage, l'America si è ieri mobilitata per le vittime, le loro

famiglie, gli studenti e gli insegnanti di Littleton. Su tutti i pennoni, le bandiere sventolavano a

mezz'asta, alle finestre le candele brillavano nel buio, i nastri gialli, simbolo dell'atroce perdita,

apparivano sugli alberi e i cespugli. Dalle comunità in passato colpite da analoghe tragedie,

psichiatri, infermiere e sociologi sono affluiti nel sobborgo di Denver. Le scuole del Colorado sono

rimaste chiuse, e il Congresso a Washigton ha osservato un minuto di silenzio. Nelle chiese si è

pregato per i morti. Su Internet, dopo che il giornalista Matt Rudge aveva diffuso un messaggio

falso - "Esclusivo: gli assassini avevano preannunciato il massacro" - le società hanno fornito alla

polizia le registrazioni dei siti dei gruppi giovanili per aiutarla nelle indagini. Solo nel 95, dopo

l'attentato al Palazzo federale di Oklahoma City, che fece 167 morti, l'America era stata tanto

solidale. Si è notata un' unica eccezione: un indegno scherzo ("C'è una bomba in un armadio") che

ha indotto il liceo di Eagan nel Minnesota all'evacuazione. Nell'anno scolastico 97-98, quarantotto

studenti e insegnanti furono assassinati nelle scuole Usa: gli eccidi principali avvennero a Parucah

nel Kentuchy con tre morti, a Pearl nel Mississipi con tre e a Jonesboro con cinque. Durante quello

in corso, le vittime fino all'altro ieri erano state nove, e la piaga sembrava in procinto di

rimarginarsi. La strage di Littleton l'ha riaperta: davanti alle agghiaccianti immagini delle tv,

l'America è stata costretta a chiedersi in che cosa sbagli. Sei mesi fa, il presidente aveva organizzato

una conferenza sulla sicurezza nelle scuole. "Il rimedio - aveva ammonito il ministro della giustizia

Janet Reno - non sta soltanto nella limitazioni delle armi. Sta anche negli affetti familiari, le

strutture sociali, l'assistenza delle autorita". La Reno lo ha ripetuto ieri. I ragazzi che uccidono sono

l'espressione del proliferare dei sistemi alternativi, che si diffondono sempre più rapidamente su

Internet; della "cultura della morte" denunciata dallo speaker della Camera Dennis Hastert; dei

valori negativi della "Rambo generation", che ha imparato al cinema e alla tv a far valere le proprie

ragioni con le armi. Su questa tragedia americana Clinton è intervenuto due volte in 48 ore. Ma il

presidente, che vorrebbe recarsi a Littleton oggi, non ha potuto che invitare il Paese "ad abbracciare

i suoi figli", a spiegare loro "le oscure conseguenze della violenza", a insegnare loro "la tolleranza e

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il rispetto altrui". Teso in volto, Clinton, che considera l'integrazione razziale la sua missione, che

combatte gli odi etnici e di religione, non ha avuto la forza di lanciare una campagna contro le armi,

di riforma della scuola, di creazione di strutture per la gioventù. Assorbito dal Kosovo, in conflitto

con il Congresso sul bilancio, è apparso in preda alla paralisi. Paradossalmente, tra due settimane la

National Rifle Association, il club degli americani armati, una delle lobbies più potenti d'America,

si riunirà sotto la presidenza dell'attore Charlton Heston. Sarebbe una svolta storica se assumesse

l'iniziativa per togliere le armi ai minori. Ma la sua tesi è che si tratta di un compito di esclusiva

competenza dei genitori. Al liceo Colombine, intanto, è incominciato il pellegrinaggio. I fiori, i

telegrammi, le lettere, i doni provenienti da tutto il mondo si accumulano nel luogo dove sono state

stroncate quindici giovani vite. Tra gli altri, c'è uno striscione blu, quasi un sudario, con 2.400

firme: quelle degli studenti dei liceo Truman di Levittown in Pennsilvania, che nel '96 persero 16

compagni nel disastro aereo della Twa.

“STRAGE DI DENVER - Un membro della banda svela violenze e soprusi che il gruppo

doveva subire da parte dei compagni. La mafia del trench: <<Colpiremo lunedi>>. Un

messaggio dei killer preannuncia un altro massacro e accusa: <<Trattati da diversi>>”.

di Alessandra Farkas

pubblicata: 25 aprile 1999

LITTLETON (Colorado) - Un raggelante messaggio dall'oltretomba torna a seminare panico tra i

sopravvissuti alla strage della Columbine High School, con l'annuncio di un nuovo massacro, più

devastante del primo. "Il 26 aprile la morte e la distruzione saranno ancora più estese - mette in

guardia Eric Harris, "mente" del commando omicida, in un "testamento" finito in mano alle autorità

a caccia di complici prima che mettano a segno la profezia -. Speravate che l'orrore finisse col mio

suicidio - prosegue il giovane - ma non sarete tanto fortunati". La polizia non ritiene attendibile la

minaccia, anche se per domani sono previste particolari misure di sicurezza. La nota autografa

(datata lunedì, vigilia dell' assalto) spiega in toni allucinati e con qualche errore grammaticale i

motivi della carneficina. "Mentre leggerete queste parole la mia missione sarà compiuta - scrive

Harris - i vostri figli che mi hanno ridicolizzato, respinto e trattato come un lebbroso SONO

MORTI. La colpa è solo vostra, che gli avete insegnato a non accettare i diversi. Professori e

genitori: QUESTO MASSACRO PESERA' SULLA VOSTRA COSCIENZA FINO ALLA

MORTE". Più il tempo passa e più il Paese s'interroga angosciato sullo sconcertante scenario di

esclusione sociale, crudeltà psicologica e veri e propri abusi fisici - secondo gli esperti radicati in

ogni scuola americana - che avrebbe spinto Harris e l'amico Dylan Klebold al folle gesto. "La vita

per noi diversi è un inferno", punta il dito dalla prima pagina del "Denver Post" un membro della

cosiddetta "Mafia dell'impermeabile", anonimo perché terrorizzato dalla "vendetta dei jocks". Già,

  51 

proprio loro, gli atleti alti e griffati, biondi e muscolosissimi, che hanno le auto da corsa più costose,

le case più grandi e le ragazze più carine. L'autoeletta casta dittatoriale, che governa col terrore su

una dozzina di altri gruppi e "classi". Basta avere un fisico poco sportivo, il viso foruncoloso e

persino andare a casa a piedi piuttosto che in auto per finire nella loro lista nera, tra i reietti.

"Quando tornavamo a casa in bici, i jocks ci tamponavano accelerando, buttandoci addosso melassa

e sassi", rievoca lo studente. All'entrata del liceo chiunque era vestito in maniera diversa veniva

messo alla berlina di fronte a tutti, chiamato "finocchio" e gettato a pugni contro il muro. "Ero

terrorizzato dal dover fronteggiare quest'umiliazione continua - prosegue -. Cercavo di evitarli,

entrando dalla porta di servizio". Ma l'incubo ricominciava all'ora di pranzo. "Mi buttavano addosso

salse e purea di patate. Dovevo restare con le macchie sugli abiti per il resto delle lezioni". Eric e

Dylan avrebbero subito gli stessi tormenti. "Non giustifico assolutamente la loro vendetta contro i

jocks - racconta lo studente - voglio solo che il mondo sappia cosa abbiamo dovuto sopportare".

Ribellarsi era difficilissimo: i "jocks" sono tanto potenti che la maggior parte degli studenti li

emulano o tacciono, per paura. L'unico sfogo per i diversi è aggregarsi, sperando che "l'unione

faccia la forza". Ed è proprio così che nasce la "trenchcoat mafia": sette orsi timidi, solitari e

perseguitati che nel '96 prendono a frequentarsi fuori e dentro la scuola. Il gruppo cresce

rapidamente, per includere anche le ragazze, non immuni alla perfidia dei jocks. "Ci chiamavamo

"gli Anacronisti". E' stato un jock, nel '98, a ribattezzarci la "mafia dell'impermeabile". Loro

decidono di adottare quel nome, nella speranza che il suo macabro simbolismo tenga alla larga i

tormentatori. Lo stratagemma funziona: "Per un po' ci hanno lasciati in pace". Perche' allora la

strage? "L'idea non è nostra - replica lo studente -. Harris e Klebold non erano veri membri della

mafia. Mangiavano per conto loro, conducevano vite separate e indossavano l'impermeabile di rado:

erano più orsi di tutti noi". Erano, insomma, ai margini persino della frangia più marginale della

scuola. Consumati da un'alienazione e da un isolamento senza fine. "Non ho scelto questa vita ma

ho scelto come finirla, liberandomi dal pregiudizio", scrive Harris nel suo testamento. Si sbaglia.

Oggi i rappresentanti della Chiesa battista picchetteranno il servizio funebre in onore delle vittime

presieduto da Al Gore (che insieme a Clinton chiede leggi più dure per impedire ai ragazzi l'accesso

alle armi). "Vogliamo denunciare la cospirazione dei media e della comunità locale per nascondere

la componente omosessuale del massacro", urla il reverendo Fred Phelps. "Anche da morto non lo

lasciano in pace", sospira l'ex ragazza di Harris Tiffany Typher, oggi assillata dai sensi di colpa per

averlo lasciato. "Tempo fa andai a trovarlo a casa sua e lo trovai disteso in terra, accanto a una

roccia, in un lago di sangue finto. Voleva farmi credere che si era suicidato per amore. Scappai via

piangendo e insultandolo - conclude amara - ma forse avrei fatto meglio a restare".

I SIMBOLI:

L' ARMA - I killer hanno usato una Tec-9, definita l' arma che non muore mai.

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IL GIOCO - I due ragazzi passavano le ore a giocare con "Doom II", un videogioco violento

MUSICA - Erano appassionati del gruppo Rammstein (rock industriale).

TECNOLOGICI - Bravissimi nell'uso del computer. Usato per comunicare con altri membri o per

apprendere le formule per le bombe.

HOBBY - Anche se benestanti, si divertivano a lavorare part-time in una pizzeria della città.

ABITO - Hanno incominciato a indossare l'impermeabile quasi per caso e quando hanno scoperto

che era diventato un simbolo non lo hanno più abbandonato.

CARATTERE - Molto timidi, difficoltà nei rapporti con gli altri e per questo discriminati.

SOLITARI - I due trascorrevano molto tempo in casa.

2.6 IL MIO COMMENTO

Leggendo gli articoli tratti dall’archivio dei quotidiani dell’epoca su quanto accaduto il 20 aprile

1999 alla Columbine High School, si può immediatamente notare come Denver Post, New York

Times, La Repubblica, Il Corriere Della Sera e La Stampa abbiano incentrato i loro articoli

principalmente sugli effetti del possesso di armi negli USA.

Il New York Times scrive che il problema dell’America è la dipendenza dalla violenza e, come per

qualsiasi dipendenza, nulla accade finché non si riconosce di avere un problema. Difatti, in seguito

a questa tragica vicenda, il presidente Clinton suggerì alle famiglie di prestare più attenzione alla

crescita dei propri figli e di insegnare loro sia ad esprimere rabbia e malcontento sia a risolvere i

conflitti con le parole e non con le armi. E’ assolutamente condivisibile l’affermazione del New

York Times che ritiene superficiale limitarsi alla musica che si ascolta, al colore dei capelli, al

modo di vestire o ai tatuaggi e piercing di un ragazzo per poterlo classificare come violento e

capace persino di compiere stragi. Bisognerebbe invece approfondire le cause scatenanti di questi

gesti tragicamente estremi. Ritengo sia fondamentale analizzare il rapporto con i genitori che sono

anche le prime persone in grado di accorgersi di un mutamento caratteriale o dell’assunzione di

comportamenti anomali da parte di un figlio. È il genitore che ha la responsabilità di vigilare e

rendersi conto che il figlio trascorra troppe ore con videogiochi e film violenti sino ad esserne

ossessionato oppure se mostra sintomi di aggressività, depressione o attacchi d’ansia.

Il Denver Post si concentra molto meno sulla facilità di acquisire un’arma negli USA e pubblica un

resoconto dettagliato e ricco di particolari su quanto avvenuto alla Columbine, mettendo in risalto la

rabbia dei genitori delle vittime che sostengono che l’intervento delle squadre di sicurezza non sia

stato efficiente. Ciò anche a causa del fatto che le squadre di pronto intervento non erano state

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informate dello spostamento della mensa e della biblioteca e quindi hanno fatto irruzione dalla parte

sbagliata della scuola, perdendo tempo prezioso. Un anno dopo la strage, il Denver Post ritorna a

scrivere della Columbine affrontando un argomento molto toccante: il suicidio di uno studente.

Sicuramente i ragazzi presenti quel giorno alla Columbine hanno passato delle ore terribili e la loro

mente ne è rimasta profondamente scossa. Sarebbe stato forse opportuno finanziare sedute di

psicologia o organizzare dei programmi volti a cercare di restituire un equilibrio a questi ragazzi

costretti a convivere con il pensiero che, in un Paese dove le armi sono alla facile portata di

qualsiasi folle, un evento del genere potesse ricapitare in qualsiasi momento. Se, per i quotidiani

americani, notizie di questo tipo sono piuttosto frequenti, diverso è per i giornali italiani, Paese nel

quale possedere un’arma non è cosi abituale e semplice. La strage alla Columbine viene indicata

come “un western che esce dallo schermo”, “un’operazione paramilitare perfetta, demenziale e

suicida”.

La Repubblica, Il Corriere Della Sera e La Stampa (i principali quotidiani italiani) improntano i

propri articoli sull’aspetto razziale sottolineando il fatto che Eric e Dylan, fanatici sostenitori di

Adolf Hitler, sparavano soprattutto a neri, latino-americani o, genericamente, a ragazzi con la pelle

un po’ troppo scura. Le vittime vengono indicate come “agnelli designati al sacrificio umano dai

giustizieri del nulla”.

Per comprendere come questa strage abbia colpito così profondamente l’immaginario collettivo

basta leggere il commento pubblicato dal Corriere Della Sera. Si scrive che Eric e Dylan volevano

vendetta per tutti gli anni passati tra insulti e prese in giro da parte dei compagni e che la strage alla

Columbine fosse peggio di quella in atto Kosovo che veniva mostrata in TV nello stesso periodo (si

stima che in Kosovo vi siano stati più di 11.000 morti proprio in quei giorni!). Viene inoltre

pubblicato un articolo nel quale sono riportate le parole di un deputato americano il quale sostiene

che la strage si sarebbe potuta evitare: bastava che anche gli insegnanti fossero stati a loro volta

armati. Tutto questo contribuisce a creare una situazione di estrema confusione nella quale si

afferma tutto ed il suo contrario.

Da una parte il Presidente Clinton esorta a crescere i propri figli trasmettendo loro dei valori e non

indirizzandoli alla violenza. Contemporaneamente si insinua che sia necessario armare gli

insegnanti. La volontà popolare americana sembrerebbe intenzionata a disarmarsi, ma ha di fronte

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come nemici la lobby dei produttori di armi spalleggiata dalla potente National Rifle Association (il

club degli americani armati) che sostiene che disarmare i minori o impartire ai ragazzi un rifiuto

della violenza sia compito esclusivo dei genitori e che quindi il sistema americano non ha alcuna

colpa.

Come sia possibile evitare che i figli crescano con l’idea di difesa attraverso l’uso della violenza

quando i genitori sono abitualmente in possesso di un’arma è ancora tutto da stabilire.

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3. BOWLING FOR COLUMBINE

Titolo originale Bowling for Columbine

Paese Canada/Stati Uniti d’America /Germania

Anno 2002

Durata 120 min.

Genere Documentario

Regia Michael Moore

Sceneggiatura Michael Moore

Casa di produzione Alliance Atlantis Comminications, Dog Eat Dog

Films, Iconolatry Productions Inc., Salter Street

Films International, TiMe Film- und TV-

Produktions GmbH, United Broadcasting Inc.,

Vif Babelsbeger Filmproduktion GmbH & Co.,

Zweite KG

Distribuzione (Italia) Mikado

Protagonisti Michael Moore

Charlton Heston

Marilyn Manson

Matt Stone

Chris Rock

James Nichols

Fotografia Mike Desjarlais, Kirsten Johnson, William

Rexer

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3.1 - Michael Moore

Il nome completo è Michael Francis Moore. Nasce a Flint nel Michigan il 23 aprile del 1954. Oltre

ad essere regista è anche sceneggiatore, attore, produttore cinematografico e autore di best-seller.

Nel 2002 vince l’Oscar per il miglior documentario con il film Bowling for Columbine (il titolo

della versione italiane è Bowling a Columbine: una nazione sotto tiro).

Il padre e il nonno di Michael lavorano nella fabbrica della General Motors e anche lui sembra

destinato a seguirne le orme. Si iscrive però all’Università anche se abbandona presto gli studi per

dedicarsi alla scrittura di articoli per alcuni giornali locali. Alla chiusura della fabbrica dove

lavorano il padre e il nonno, realizza un filmato per mostrare quello che ha significato il taglio di

trentacinquemila posti di lavoro. Nasce così il suo primo documentario Roger & Me che viene

distribuito nelle sale cinematografiche nel 1989. Grazie al successo di questo primo lavoro, la NBC

gli propone la realizzazione di un programma televisivo, che egli intitola TV Nation, con lo scopo di

divertire ma anche informare gli spettatori.

Nel 1996 pubblica il libro Downsize This! Random Threats from an Unarmed America, (edito anche

in Italia con il titolo Giù le mani! L’altra America sfida potenti e prepotenti) nel quale affronta il

tema delle grandi compagnie che chiudono le fabbriche negli Stati Uniti per trasferirle all’estero

con lo scopo di ridurre in questo modo i costi del lavoro. Nel 2001, esasperato dai risultati delle

elezioni del 2000 e dall’amministrazione Bush, Moore scrive Stupid White Men. Successivamente,

nella primavera del 2002, presenta in concorso al Festival di Cannes il documentario Bowling for

Columbine, incentrato sulla proliferazione delle armi e sulla violenza presente negli Stati Uniti, che

vince all’unanimità il Premio del 55° anniversario. E’ l’inizio di un cammino trionfale. Dopo due

anni torna in concorso al Festival di Cannes con Fahrenheit 9/11, incentrato sui presunti legami tra

la famiglia Bush, la famiglia reale saudita e la famiglia Bin Laden, evidenziando quelle che,

secondo lui, sono state strumentalizzazioni politiche degli attentati dell’11 settembre 2001, con i

conseguenti interventi militari americani in Afghanista ed Iraq. Il film viene premiato con la Palma

d’Oro. Moore realizza poi un altro documentario, Sicko, nel quale affronta il tema del diritto alla

salute rispetto al problema del sistema sanitario statunitense controllato dalle società private di

assicurazione medica e mettendolo a confronto con i vari sistemi sanitari a livello mondiale. Nel

2009 realizza quello che sinora è il suo ultimo documentario Capitalism: a Love Story (ovvero

Capitalismo: una storia d’amore). Il tema trattato è la crisi economica in America nel 2008,

analizzata attraverso l’intreccio tra finanza e politica.

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- Documentari

1989: Roger & Me

1992: Pets or Meat: The Return to Flint (Bestiole da coccole o da macello: il ritorno a Flint)

1997: The Big One

1998: And Justice for All

2002: Bowling for Columbine (Bowling a Columbine: una nazione sotto tiro)

2004: Fahrenheit 9/11

2007: Captain Mike Across America - rieditato in una nuova versione nel 2008 con il titolo

Slacker Uprising

2007: Sicko

2009: Capitalism: a Love Story (Capitalismo: una storia d’amore)

- Fiction

1995: Canadian Bacon (Operazione Canadian Bacon)

- Attore

Oltre ad apparire nel ruolo di sé stesso in tutti i suoi documentari e film, Moore ha partecipato come

attore ad altre pellicole:

1999: Ed TV - commedia, regia di Ron Howard

2000: Lucky Numbers - commedia, regia di Nora Ephron

2004: The Fever - drammatico, regia di Carlo Gabriel Nero

- Televisione

Moore ha scritto e presentato i seguenti show televisivi:

1994-1995: TV Nation

1999-2000: The Awful Truth (La Repubblica Democratica Televisiva)

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- Libri

1996: Downsize This! Random Threats from an Unarmed American (Giù le mani! L'altra America

sfida potenti e prepotenti)

1998: Adventures in a TV Nation

2001: Stupid White Men

2003: Dude Where’s My Country? (Ma come hai ridotto questo Paese?)

2004: Will They Ever Trust Us Again? (Ingannati e traditi. Lettere dal fronte)

2004: The Official Fahrenheit 9/11 Reader

2008: Mike’s Election Guide (Chiedilo a Mike! Consigli al nuovo Presidente degli Stati Uniti)

3.2 - Il film-documentario Bowling for Columbine

Questo paragrafo è incentrato sulla descrizione e sull’analisi di Bowling for Columbine, il film-

documentario del 2002 diretto da Michael Moore. Il film si pone come obiettivo quello di

rispondere alla provocatoria domanda: "L’America è una nazione di maniaci delle armi, o

semplicemente di pazzi?". Per fare ciò Michael Moore analizza proprio la strage avvenuta alla

Columbine High School nel 1999. Il titolo deriva dal fatto che i due responsabili del massacro, Eric

Harris e Dylan Klebold, seguivano un corso di bowling in alternativa all’insegnamento scolastico di

educazione fisica e la mattina stessa del 20 aprile 1999, prima di compiere il massacro, hanno

giocato insieme a bowling. Bowling for Columbine è stato proiettato sugli schermi di diversi

festival, ottenendo in molte occasioni premi e riconoscimenti assegnati dalle giurie nazionali e

internazionali. Il film è stato proclamato:

- vincitore della 75^ edizione del Premio Oscar del 2003 come miglior documentario;

- vincitore della 74^ edizione dei National Board of Review Awards del 2002 come miglior

documentario;

- vincitore della 18^ edizione degli Independent Spirit Awards del 2003 come miglio

documentario;

- vincitore del premio della critica in occasione della 37^ edizione dei Kansas City Film Critics

Circle Awards del 2003 come miglior documentario;

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- vincitore del Premio del 55° Anniversario al Festival di Cannes del 2002;

- vincitore della 28^ edizione del Premio César del 2003 come miglior film straniero;

- vincitore del Premio del Pubblico della 50^ edizione del Festival di San Sebastian nel 2002.

Il film include immagini inedite prese dalle registrazioni delle telecamere a circuito chiuso della

mensa durante il massacro. Vengono anche intervistati alcuni studenti scampati alla strage che si

scagliano contro il sistema americano che consente di vendere troppo facilmente armi e munizioni

ed infine vengono poste anche delle domande all’attore Charlton Heston, presidente della NRA -

National Rifle Association (letteralmente Associazione Nazionale del Fucile) un'organizzazione che

agisce in favore dei detentori di armi da fuoco degli Stati Uniti di cui anche Moore, appassionato

cacciatore, fa parte.

Il documentario inizia proprio con una presentazione di Michael Moore nella quale egli spiega di

essere cresciuto nel Michigan, il paradiso per chi ama le armi. Da bambino era già un tiratore

provetto e vince anche il premio quale miglior tiratore dalla NRA. È proprio dal Michigan che

arriva anche Charlton Heston, attore di fama mondiale e presidente della NRA. Nel Michigan tutti

amano andare a caccia e nel documentario viene presentato il bizzarro caso di un uomo che,

andando a caccia, mette un fucile intorno al corpo del suo cane per fargli delle foto. Il cane si

muove e dal fucile parte un colpo che colpisce il lato destro dello stinco del padrone per poi uscire

dal polpaccio. Nessuna conseguenza per il cane in quanto la legge del Michigan stabilisce che solo

le persone possono commettere i crimini, non gli animali.

Il documentario prosegue con Moore che si reca in visita a casa di James Nichols, fratello di Terry

Nichols.

Terry Nichols e Timothy Mc Way facevano parte della Milizia del Michigan, uno dei numerosi

movimenti paramilitari di estrema destra diffusi in almeno 20 degli Stati americani. Gli iscritti si

dividerebbero in brigate e terrebbero esercitazioni militari mensili. Il comune denominatore tra le

varie milizie è il sospetto che una élite internazionale non meglio identificata stia per assumere il

potere. Questa élite priverebbe gli americani di libertà fondamentali quali quella di portare armi o

professare la propria religione.

La Milizia del Michigan divenne famosa quando il 19 aprile 1995 due residenti, Terry Nichols e

Timothy Mc Way appunto, fecero saltare in aria il palazzo federale di Oklahoma City uccidendo

178 persone. Timothy Mc Way venne giustiziato mentre Terry Nichols venne condannato

all’ergastolo. Anche James Nichols venne arrestato come responsabile all’attentato ma su di lui non

vennero trovate prove valide per poterlo condannare. Nella sua fattoria vennero rinvenuti detonatori

  60 

per dinamite, miccia, polvere nera per fucili ad avancarica, carburante diesel ma tutto ciò era

giustificato in quanto ritenuto normale che ve ne potesse essere in una fattoria.

Nell’intervista a Moore, James dichiara di sentirsi schiavizzato dal governo e di continuare a

possedere ancora molti fucili per potersi difendere. Tutte le notti dome con una 44 Magnum sotto il

cuscino; si giustifica asserendo che nessuno dice che non può tenerla, in quanto il possesso delle

armi è tutelato dalla Costituzione. Aggiunge: <<Possedere un’arma, qui negli Stati Uniti, è questione

di responsabilità; se non sei armato, sei un irresponsabile; se non difendi i tuoi figli e le persone a te

care, manchi al dovere di essere americano>>.

Il documentario si sposta poi ad Oscoda, sempre nel Michigan. Eric Harris passò qui grande parte

della sua infanzia. Viveva all’interno della base aeronautica dove suo padre prestava servizio come

pilota di aerei ai tempi della guerra del Golfo. Moore intervista due ragazzi chiedendo loro se hanno

dei ricordi di Eric. Uno di essi dice che andavano a scuola insieme e che era rimasto estremamente

sconvolto quando ha sentito la notizia del massacro alla Colombine al telegiornale.

L’altro ragazzo invece racconta la propria esperienza con la scuola. Dice che di non esserci andato

molto perché ha litigato con un ragazzo e di avergli poi puntato addosso un fucile, un 9 mm. Di

conseguenza è stato espulso per 380 giorni.

Dopo il massacro, anche la vita a Oscoda è cambiata; sono state addirittura compilate liste con i

nomi dei principali ragazzi che potevano creare problemi. Proprio uno dei due ragazzi intervistati da

Moore si trova al secondo posto di una di queste liste. Hanno incluso anche lui in quanto trovato in

possesso del Ricettario dell’anarchico, un libro che spiega come creare bombe. Ma egli afferma che

nella sua vita ha solo provato a costruire una piccola bomba.

Il numero 1 dell’elenco non si è mai conosciuto e lui cova del rancore perché avrebbe voluto essere

in cima alla lista; per una pura questione di orgoglio, per essere qualcuno in un paese così piccolo.

A questo punto Moore si reca alla South Jefferson County dove, nel 1999, è avvenuto il massacro

della Columbine. Nella stessa zona sono situati gli stabilimenti della Lockheed-Martin, la più

grande industria americana produttrice di armi. Vengono poste delle domande a Evan Mc Collum,

addetto alle relazioni pubbliche dell’azienda. Egli afferma che molti dipendenti hanno figli che

frequentano la Columbine e che nessuno riusciva ad immaginare come mai i ragazzi fossero ricorsi

alla violenza; molto probabilmente la radice è la rabbia. Per questo motivo la Lockheed Martin

aveva deciso di donare dei soldi, esattamente 100.000 dollari, alle scuole della contea di Jefferson

per far seguire agli studenti corsi per domare la rabbia nella speranza che essi la contengano

mediante altre soluzioni e non ricorrendo alla violenza.

  61 

Il documentario prosegue evidenziando, con una lunga lista di avvenimenti, come gli Stati Uniti

d’America abbiano hanno avuto una storia strettamente legata all’utilizzo di armi da fuoco:

- 1953: in Persia (l’attuale Iran) la CIA appoggia il colpo di stato militare che rovescia il primo

ministro Mossadeq e reinsedia lo scià Reza Pahlavi.

- 1954: sempre con la regia della CIA, viene rovesciato il presidente del Guatemala Arbenz,

democraticamente eletto. In seguito a ciò ci sono stati 200.000 civili uccisi.

- 1963: i servizi segreti americani, con l’avallo del presidente Kennedy, appoggiano l’assassinio del

presidente Sud-vietnamita Diem.

- 1963-1975: oltre alle svariate decine di migliaia di militari, si stima in almeno 4 milioni il numero

dei civili morti nella guerra che coinvolge non solo il Vietnam del Sud ma tutta l’area dell’Asia

sud-orientale.

- 11.09.1973: gli americani predispongono il colpo di stato in Cile. Il presidente Allende viene

assassinato e viene insediato il dittatore Pinochet. Ciò portò alla morte di 5.000 cileni.

- 1977: gli americani sostengono il regime militare di El-Salvador. 70.000 salvadoregni e 4 suore

americane vengono uccisi.

- anni ‘80: Osama Bin Laden ed i suoi seguaci vengono addestrati ad uccidere i sovietici.

La CIA finanzia l’operazione con 3 miliardi di dollari.

- 1981: il governo Reagan addestra e finanzia i “Contras”. Sono 30.000 i nicaraguesi morti.

- 1982: gli americani forniscono miliardi al dittatore dell’Iraq Saddam Hussein per le armi destinate

ad uccidere gli iraniani.

- 1983: la Casa Bianca dà segretamente le armi all’Iran per uccidere gli iracheni.

- 1989: l’agente segreto della CIA, nonché Presidente della Repubblica di Panama, Manuel Noriega

disobbedisce a Washington. Gli USA invadono Panama e destituiscono Noriega. 3000 civili tra i

morti panamensi.

- 1990: l’Iraq invade il Kuwait con armi provenienti dagli USA.

- 1991: gli americani entrano in Iraq dove Bush insedia nuovamente il dittatore del Kuwait.

- 1998: Clinton bombarda in Sudan una “fabbrica di armi“; in realtà la fabbrica produceva aspirina.

- dal 1991 al 2002 (anno di produzione del documentario): aerei americani bombardano l’Iraq

settimanalmente. L’ONU stima che, in quel lasso di tempo, circa 50.000 bambini iracheni

moriranno per i bombardamenti e per le privazioni inflitte dalle sanzioni internazionali.

- 2000-2001: gli americani danno all’Afghanistan, governato dai talebani, 245 milioni di dollari per

“aiuti”.

- 11 settembre 2001: Osama Bin Laden si avvale dell’esperienza del suo addestramento CIA per

uccidere 3.000 persone. Americane…

  62 

Proprio il 20 aprile 1999, giorno della strage a Columbine, avviene il più imponente

bombardamento americano nella guerra del Kosovo. Il Presidente Clinton era impegnato a tenere un

discorso alla nazione riguardo questo avvenimento, ma poco dopo dovette spostare l’argomento su

un altro tragico evento: il massacro alla Columbine High School.

Il documentario di Moore, a questo punto, ci fornisce immagini reali registrate dalle telecamere di

videosorveglianza della Columbine. Informa che le armi usate dai due ragazzi erano state acquistate

legalmente e i proiettili comprati dal ferramenta del quartiere di Littleton senza che i due ragazzi

incontrassero nessuna difficoltà. In un’intera nazione ancora sconvolta per quanto avvenuto e nella

quale si era appena tenuta una grande manifestazione contro le armi, creò scalpore il fatto che, dopo

soli 10 giorni dalla strage della Columbine, Charlton Heston era a Denver a presiedere un raduno

della NRA in favore delle armi nonostante che il sindaco gli avesse inviato una lettera con la quale

lo invitava ad annullare l’evento temendo il malcontento dei propri concittadini.

Attraverso alcune testimonianze degli abitanti, si viene a conoscenza del fatto che il messaggio che

i professori delle scuole trasmettono agli studenti è “non sbagliare sennò sarai povero e solo”. Eric e

Dylan venivano chiamati “finocchi” dai loro compagni e sapevano che sarebbe stato un nomignolo

che si sarebbero portati dietro per sempre e che quindi sarebbero stati per sempre poveri e soli.

Il documentario si sposta proprio all’interno della Columbine High School, dove viene posta ad

alcuni studenti una semplice domanda: “cosa ne pensi della scuola?“. Le risposte sono piuttosto

banali: “l’adoro”; “imparo”; “vengo preso in giro dai compagni” e “il preside è uno stupido”.

Interessante è il fatto che, dopo la sparatoria, le scuole abbiano adottato una politica di “tolleranza

zero” espellendo gli alunni per ogni minimo atto indisciplinato. Un ragazzo è stato sospeso per 10

giorni per avere portato in classe una tronchesina per unghie. In una scuola elementare un bambino

è stato sospeso per aver puntato un bastoncino di pollo contro la maestra simulando il suono di un

colpo di pistola. Un altro ragazzo in Virginia è stato rispedito a casa per essersi tinto i capelli di blu.

Inoltre, per ridurre la possibilità di presenza di armi, di tensioni tra bande e atti di indisciplina, viene

ritenuto fondamentale anche il vestiario che i ragazzi indossano per andare a scuola: un

regolamento apposito impone di infilare la camicia nei pantaloni per rendere visibile la cintura; di

non portare pantaloni larghi o mostrare loghi associati a bande.

Ma come accade che questi ragazzi si trasformino in mostri? Ogni esperto ha la propria opinione; le

più frequenti sono:

- la rabbia

- l’assenza dei genitori

  63 

- la società

- la vicinanza a Satana

- i troppi film e videogiochi violenti

- la musica Heavy Metal e la sottocultura

Il cantante metal Marylin Manson, infatti, venne accusato di essere moralmente corresponsabile

dell’accaduto in quanto ai due assassini della Colombine piaceva la musica Heavy Metal. Egli

dovette sospendere i suoi concerti a Denver dove ritornò solo nel 2001, suscitando, a due anni dal

massacro, ancora molte proteste. Moore intervista Manson. Lui dice di rappresentare ciò che tutti

temono ma che vorrebbero: “fare e dire quello che vogliono”. L’intervista si conclude con una

domanda riguardo a cosa Manson avrebbe voluto dire ai due assassini alla quale lui risponde che

non gli avrebbe detto nulla e che li avrebbe solo ascoltati, cosa che nessuno aveva mai fatto.

Moore intervista poi due ragazze che facevano lezione di bowling insieme ad Eric e Dylan, una

materia alternativa per avere un credito in ginnastica. Dicono che erano dei ragazzi strani, non

molto socievoli. La mattina prima dell’attacco si sono incontrati per giocare a bowling. Nessuno

però ha posto sotto accusa il bowling, anche se sembrerebbe altrettanto plausibile quanto accusare

Marylin Manson. Eppure, Marylin Manson viene ascoltato anche in altre parti del mondo, ed anche

i videogiochi violenti e i film violenti sono usati e visti in tutto il mondo.

Lo sterminio di 12 milioni di persone compiuto dai tedeschi, l’occupazione della Cina, il massacro

francese ad Algeri oppure la carneficina britannica in India sono solo alcuni degli esempi possibili

di violenza nel mondo. Ma è l’America che viene accusata di essere la nazione più violenta nella

storia. Sta di fatto che sono scioccanti i dati degli omicidi commessi negli USA con armi da fuoco

in un anno confrontati a quelli di altre nazioni avanzate:

- Germania: 381

- Francia: 255

- Canada: 165

- Regno Unito: 68

- Australia: 65

- Giappone: 39

- Stati Uniti: 11.127!

La domanda sorge spontanea: “Cosa c’è di diverso negli americani? Cosa c’è di radicalmente

diverso in America?” Guardando i telegiornali, l’America sembra il paese della paura. I programmi

televisivi trasmettono ed alimentano la paura dell’America bianca verso i neri. Le notizie

riguardano per la maggior parte atti di violenza compiuti dai neri. L’intrattenimento corrisponde

  64 

quindi al crimine del giorno. Delle ricerche mostrano che, nonostante il fatto che gli omicidi sono

scesi del 20%, le notizie sugli omicidi trasmesse dagli schermi sono aumentate del 600%. Gli

americani sono molto condizionati da ciò che vedono, quindi nonostante l’abbassamento della

quantità dei crimini, la paura cresce sempre di più.

Un’altra domanda che sorge spontanea riguarda il motivo per cui nel vicino Canada, Paese del tutto

assimilabile agli Stati Uniti, non ci siano più di 10.000 omicidi all’anno.

Moore si reca dapprima a Sarnia, una città dell’Ontario di 70.000 abitanti, dove non vi è stata

nessuna uccisione da arma da fuoco durante l’anno in cui è stato girato il documentario. Poi si

sposta in un'altra città canadese 5 volte più grande, Winsor, ma anche qui gli abitanti non ricordano

omicidi con armi da fuoco se non uno di 3 anni prima.

Moore ritorna a New York dove chiede agli abitanti cosa pensano dei canadesi in relazione alla

violenza da armi da fuoco. Una delle risposte è che i canadesi non guardano tanti film violenti come

gli americani. Ma questa non è la realtà dei fatti: anche lì gli adolescenti aspettano l’uscita nelle sale

di quel genere di film con la stessa inquietudine di quelli americani. Un’altra risposta riguarda il

fatto che in Canada non c’è la stessa povertà degli Stati Uniti. Ma anche questa non è una risposta

plausibile: il sindaco di Sarnia, Mike Bradley, afferma che c’è stato un tasso di disoccupazione

anche più alto rispetto a quello medio degli USA. Quando in Michigan era del 4%, lì era al 9%.

Un'altra risposta è stata che in Canada ci sono meno neri, ma anche questa è priva di fondamento: il

13% della popolazione è di colore.

Moore azzarda quindi la conclusione che, essendo la società canadese paragonabile a quella degli

Stati Uniti, la ragione dei pochi omicidi potrebbe essere il fatto che in Canada circolano poche armi.

Ma anche questo non è corretto: anche in Canada gli abitanti sono cresciuti con la cultura della

caccia e della pesca. Su una popolazione di 30 milioni di persona, composta da 10 milioni di

famiglie, la stima è che vi siano ben 7 milioni di armi da fuoco. Inoltre, anche in Canada le armi

sono facilmente acquistabili, basta avere il porto d’armi in regola. Moore stesso, seppure cittadino

straniero, si reca in un grande magazzino della catena Walmart e acquista dei proiettili. Avrebbe

potuto comprarne la quantità che voleva.

A seguito di un sondaggio, si è stabilito che da Walmart, dopo l’attacco alle torri gemelle del 2001,

le vendite di armi da fuoco si sono alzate del 70% e quelle di munizioni del 140%. Ciò nonostante,

una caratteristica del Canada è che la maggior parte degli abitanti non chiude la porta di casa con la

serratura, nonostante sia stata più volte derubata. Una grande differenza rispetto agli Stati Uniti,

dove, per esempio, lo stesso Moore ha 3 serrature alla porta. Anche a Toronto, città di 2,7 milioni di

  65 

abitanti, la situazione è la stessa. La spiegazione è che il livello di paura dei cittadini canadesi è

molto basso. Non temono il vicino; anzi, quando chiudono la porta a chiave, si sentono come in

prigione.

Tutta questa situazione a Michael Moore sembra molto strana. Una sera si reca in un bar canadese e

casualmente assiste ad un telegiornale: i politici parlano in modo per lui strano e pacato così che i

canadesi non si sentono minacciati dal governo; le notizie principali riguardano il livello di

assistenza agli anziani, l’assistenza durante il giorno, l’assistenza sanitaria. Il messaggio che il

governo canadese vuole trasmettere è che non si vince bastonando il più debole.

Il documentario di Moore prosegue con un’intervista a Richard Castaldo e Mark Taylor, entrambi

rimasti feriti durante il massacro alla Colombine. Richard si ritrova su una sedia a rotelle, mentre

Mark è in piedi a malapena dopo i numerosi interventi. Moore propone loro di andare alla sede

centrale dei grandi magazzini Kmart per restituire i proiettili da 9 mm con i quali erano stati feriti. I

ragazzi accettano. Vogliono incontrare Chuck Conorway, il presidente della catena Kmart, e

presentargli anche la richiesta di ritirare definitivamente dalla vendita i proiettili da 9 mm. Il

presidente non è rintracciabile ma vengono ricevuti dall’addetta alle relazioni con i media. Ai

ragazzi però non vengono date risposte concrete. Decidono quindi di rimanere alla Kmart ma, dopo

4 ore di attesa, non hanno ancora ottenuto alcun risultato. Si recano quindi ad un negozio Kmart e

qui acquistano tutti i proiettili da 9 mm disponibili. Convocati tutti i media, tornano alla sede

centrale con i proiettili. Il risultato è stupefacente: la Kmart, con un comunicato ufficiale, si

impegna a diminuire gradualmente la vendita di armi da fuoco e, entro i 90 giorni successivi, a non

avere più munizioni in vendita all’interno dei loro magazzini.

Per concludere il documentario, Moore acquista una mappa con l’ubicazione delle abitazioni dei

divi di Hollywood e si reca a casa di Charlton Heston dove riesce ad ottenere un incontro con

l’attore. Durante l’intervista, Heston afferma di tenere molte armi in casa per una questione di

protezione. Anche se non è mai stato aggredito, le sue armi sono sempre cariche. Sostiene che, se

un’arma deve essere usata per autodifesa, serve che sia carica. Il 2° emendamento gli dà il diritto di

tenere i fucili carichi e lui si sente più tranquillo con il fucile pronto all’utilizzo.

Gli viene chiesto come mai, secondo lui, in Canada, pur essendoci tutti quei fucili, non ci si

ammazzi con la stessa facilità con cui ciò accade in America. Heston dice che la storia americana è

una storia violenta ed ha le mani insanguinate. Egli pensa che probabilmente il problema stia anche

nel fatto di avere un’etnia più mista rispetto ad altri paesi. Quando Moore gli chiede di scusarsi con

la città di Columbine per essersi recato lì subito dopo il massacro per un congresso a favore delle

armi, lui volta le spalle e se ne va abbandonando l’intervista. Questo è l’epilogo del documentario.

  66 

3.3 LE CRITICHE

Negli Stati Uniti la critica cinematografica si trova d’accordo nel lodare il film-documenario di

Michael Moore. Proprio negli Stati Uniti il film registra in totale un incasso di oltre 58 milioni di

dollari già nei primi giorni. Sono molte le critiche positive. Qui di seguito ne vengono riportate

alcune espresse dai principali critici cinematografici statunitensi:

Roger Ebert è uno dei più famosi, apprezzati e seguiti critici cinematografici americani.

Il 18 ottobre del 2002 scrive:

Michael Moore's "Bowling for Columbine", a documentary that is both hilarious and sorrowful, is

like a two-hour version of that anecdote. We live in a nation of millions of handguns, but that isn't

really what bothers Moore. What bothers him is that we so frequently shoot them at one another.

Canada has a similar ratio of guns to citizens, but a 10th of the shooting deaths. What makes us kill

so many times more fellow citizens than is the case in other developed nations? Moore, the jolly

populist rabble-rouser, explains that he's a former sharpshooting instructor and a lifelong member

of the National Rifle Association. No doubt this is true, but Moore has moved on from his early

fondness for guns. In "Bowling for Columbine," however, he is not so sure of the answers as in the

popular "Roger & Me," a film in which he knew who the bad guys were, and why. Here he asks

questions he can't answer, such as why we as a nation seem so afraid, so in need of the reassurance

of guns. Noting that we treasure urban legends designed to make us fearful of strangers, Moore

notices how TV news focuses on local violence ("If it bleeds, it leads") and says that while the

murder rate is down 20 percent in America, TV coverage of violent crime is up 600 percent. Despite

paranoia that has all but sidetracked the childhood custom of trick or treat, Moore points out that

in fact no razor blades have ever been found in Halloween apples.

Moore's thoughtfulness doesn't inhibit the sensational set-pieces he devises to illustrate his concern.

He returns several times to Columbine High School, at one point showing horrifying security-

camera footage of the massacre. And Columbine inspires one of the great confrontations in a

career devoted to radical grandstanding. Moore introduces us to two of the students wounded at

Columbine, both still with bullets in their bodies. He explains that all of the Columbine bullets were

freely sold to the teenage killers by Kmart, at 17 cents apiece. And then he takes the two victims to

Kmart headquarters to return the bullets for a refund.

This is brilliant theater and would seem to be unanswerable for the hapless Kmart public relations

spokespeople, who fidget and evade in front of Moore's merciless camera. But then, on Moore's

third visit to headquarters, he is told that Kmart will agree to completely phase out the sale of

  67 

ammunition. "We've won", says Moore, not believing it. "This has never happened before". For

once, he's at a loss for words.

The movie is a mosaic of Moore confrontations and supplementary footage. One moment that cuts

to the core is from a standup routine by Chris Rock, who suggests that our problem could be solved

by simply increasing the price of bullets--taxing them like cigarettes. Instead of 17 cents a piece,

why not $5,000? "At that price", he speculates, "you'd have a lot fewer innocent bystanders being

shot."Moore buys a Map to the Stars' Homes to find where Charlton Heston lives, rings the bell on

his gate, and is invited back for an interview. But Heston clearly knows nothing of Moore's track

record, and his answers to Moore's questions are borderline pathetic. Heston recently announced

he has symptoms associated with Alzheimer's disease, but there is no indication in this footage that

he is senile; it's simply that he cannot explain why he, as a man living behind a gate in a protected

neighborhood, with security patrols, who has never felt himself threatened, needs a loaded gun in

the house. Heston is equally unhelpful when asked if he thinks it was a good idea for him to speak

at an NRA rally in Denver 10 days after Columbine. He seems to think it was all a matter of

scheduling.

"Bowling for Columbine" thinks we have way too many guns, don't need them, and are shooting

each other at an unreasonable rate. Moore cannot single out a villain to blame for this fact,

because it seems to emerge from a national desire to be armed. ("If you're not armed, you're not

responsible," a member of the Michigan militia tells him.) At one point, he visits a bank that is

giving away guns to people who open new accounts. He asks a banker if it isn't a little dangerous to

have all these guns in a bank. Not at all. The bank, Moore learns, is a licensed gun dealership.

Note: The movie is rated R, so that the Columbine killers would have been protected from the

"violent images," mostly of themselves. The MPAA continues its policy of banning teenagers from

those films they most need to see. What utopian world do the flywheels of the ratings board think

they are protecting?

Come prima cosa egli afferma di trovare il documentario sia divertente che doloroso. Sottolinea che

Moore non è infastidito dal fatto che negli Stati Uniti ci siano milioni di armi da fuoco, ma che le

persone siano estremamente violente e si sparino l’un l’altra. Il regista si pone delle domande alle

quali non riesce a dare effettivamente una risposta.

Il critico inoltre termina la recensione dicendo che l’organizzazione americana dei produttori

cinematografici ha vietato ai teenager la visione delle immagini violente di Eric e Dylan riprese

  68 

dalle telecamere a circuito chiuso per tutelarli e sottolinea quanto trovi strano pensare che si possa

pensare di poter tutelare questi ragazzi se non viene messa loro davanti agli occhi la realtà dei fatti.

Altri commenti, tutti estremamente positivi, espressi da giornali e reti televisive americane:

“Bowling for Columbine is riveting and scary, and its vision of a society racked by fear, riven by

inequality and armed to the teeth is neither comforting nor easily wished away”.

"Bowling for Columbine è avvincente e spaventoso, e la sua visione di una società tormentata dalla

paura, lacerata dalla disuguaglianza e armata fino ai denti non è né confortante né facilmente

auspicabile lontana".

A. O Scott, The New York Times.

“Screamingly funny one moment and unexpectedly moving the next“.

“Un momento è divertentissimo e un momento dopo diventa inaspettatamente commovente”.

New York Post.

“Thought-provoking, terrifying and absurdly hilarious”.

“Stimolante, terrificante e assurdamente divertente”.

Craig Outhier, Orange County.

“A volcanically funny and seriously scary look at America’s obsession with guns that is meant to

shake us up good. And it does”.

“Uno sguardo vulcanicamente divertente ma seriamente spaventoso all’ossessione che ha l’America

per le armi che è destinata a turbarci per bene. E lo fa“.

Peter Travers, Rolling Stone.

“Brilliant… Daring… Michael Moore delivers a masterful documentary that one minute makes you

laugh out loud, and then shocks you the next with a frankness that cuts to the core”.

“Geniale… coraggioso… Michael Moore offre un documentario da maestro che un minuto ti fa

ridere di gusto e poi ti turba con una schiettezza che ferisce fino al midollo”.

Steve Oldfield, Fox-TV.

“Provocative… when Moore turns his caustic wit on America’s trigger-happy culture, the result is

by turns absurd and chilling”.

“Provocante… quando Moore rivolta il suo spirito caustico contro la felice cultura Americana del

grilletto, il risultato è assurdo e spaventoso”.

Joelle Diderich, Reuters

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“Rollicking, incendiary!!”.

“Allegro, provocatorio!!”.

Daily Variety

“Terrific… a rambunctious, disturbing, and often hilarious autopsy of American gun culture.

Columbine has loads of entertainment value”.

“Terrificante… una turbolenta, inquietante e spesso divertentissima analisi della cultura americana

delle armi. Columbine ha un forte di valore di intrattenimento“.

Richard Corliss, Time.

“Michael Moore has done it again, the years most powerful documentary. An eye opener“.

“Michael Moore l’ha fatto di nuovo, il documentario più potente dell’anno. Fa aprire gli occhi”.

Jim Ferguston, KMSB-TV (FOX).

“Michael Moore’s Best Yet! The camera is mightier than the gun!”.

“Michael Moore ancora al meglio! La telecamera è più potente delle armi da fuoco !”.

Josephine Cheng, King-TV (NBC).

“It may be one of the most effective political/polemic films ever“.

“Potrebbe essere uno dei film più politicamente polemici di sempre“.

Michael Wilmngton, Chicago Tribune.

Anche in Italia la critica non si è risparmiata nel pubblicare recensioni entusiastiche su un film così

provocatorio e allo stesso tempo divertente e scioccante. Un documentario che ha messo a nudo le

debolezze della nazione più potente del mondo. Moore però non rinnega mai la sua nazione di

appartenenza; sostiene infatti di essere cresciuto anche lui con la cultura della caccia e delle armi.

I critici a loro volta sostengono che la vera forza del film sta nel non fermarsi ad un formale atto

d’accusa contro la libera circolazione delle armi in America, ma nello scavare fino alle radici più

profonde del popolo americano per trovare i veri motivi che hanno portato ad un episodio così

violento come quello della Columbine High School. I nomi di alcuni critici italiani che hanno

pubblicato recensioni di questo documentario sono: Maurizio Porro per il Corriere della Sera,

Alberto Crespi per l’Unità e Lietta Tornabuoni per La stampa.

Michael Moore viene definito un documentarista che agisce nel sociale, un agitatore politico, un

uomo di spettacolo, un grillo parlante nel senso più nobile e positivo del termine, un uomo che

andrebbe in “mezzo alle gambe del diavolo” per strappare un’intervista ma soprattutto un uomo che

non si nasconde dietro al falso mito dell’oggettività.

  70 

Apprezzato dai critici è anche il fatto che, nonostante la dichiarata adesione del regista alle idee del

Partito Democratico, non si possa accusare il documentario di essere eccessivamente di parte. Viene

infatti sottolineato come nel documentario venga inserito il brano riguardante il discorso del

Presidente Clinton dello stesso 20 aprile 1999 che coincideva proprio con il giorno in cui gli Stati

Uniti hanno sganciato il maggior numero di bombe in Kosovo.

Il regista viene ritenuto anche abilissimo nel far riflettere lo spettatore senza adottare un tono

saccente, ma facendo uso di una grande dose di ironia. Come già scritto, in America il film è stato

fortemente apprezzato; ci sono state alcune critiche di destra che l’hanno definito antiamericano.

Queste però non sono rivolte tanto ai contenuti quanto alla strumentalizzazione di cui ha fatto uso

Moore nel montaggio di alcune scene. Ad esempio nella parte in cui lui entra in una banca e riceve

un fucile in regalo dal cassiere per aver aperto un conto corrente. La scena in realtà non si è svolta

esattamente come viene mostrata nel film: il fucile infatti gli viene consegnato in un altro edificio.

Il critico Luca Baroncini su www.spietati.it scrive la sua recensione individuando il momento più

folgorante del documentario quando si cerca di spiegare la differenza tra i comportamenti degli

abitanti degli Stati Uniti e del vicino Canada. Ciò che colpisce è vedere la paura che regna tra gli

abitanti degli Stati Uniti, una paura ingigantita dai media che diventano i responsabili di una

“strategia del terrore” finalizzata al controllo dell’individuo. I media americani continuano a

trasmettere servizi che generano nello spettatore la paura estrema del vicino sia in strada che a

scuola, al supermercato, in vacanza, insomma: ovunque. Tutto questo è evidente quando si mostra

che i casi di cronaca nera sono diminuiti, ma lo spazio che viene loro dedicato dai mezzi di

comunicazione è aumentato. Moore pensa che si vogliano far vedere le cose in un unico modo per

uno scopo prettamente economico: spaventare i cittadini ed indurli così ad acquistare armi da fuoco.

Anche in Italia sono state poche le valutazioni non del tutto positive. Secondo alcuni critici il

documentario è stato sopravvalutato e, come afferma il critico Mario Sesti sulla pagina dedicata alla

critica cinematografica del quotidiano La Repubblica, <<non è un bel documentario>>. Secondo lui,

un documentario dovrebbe presentare una situazione in maniera chiara, completa e acritica.

L’autore dovrebbe astenersi dall’esprimere la propria opinione. Moore invece parte dalla sua

opinione riguardo l’eccessiva violenza negli USA, ovvero la facilità nel procurarsi un’arma da

fuoco, e fa l’impossibile per dimostrare di avere ragione. Il regista rischia però di esprimere la

stessa opinione degli “esperti” proprio quando la sua visione dei fatti vacilla. Infatti in Canada ci

sono molte armi da fuoco ma i canadesi non si sparano addosso l’un l’altro così frequentemente

come negli Stati Uniti. Egli ritorna quindi sui suoi passi finendo però per sfiorare l’inconcludenza e

soprattutto finendo per sottovalutare quella che invece sembra essere la ragione più plausibile della

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grande differenza tra i due stati: la serietà dei politici e la serietà dei loro programmi.

Anche il critico Luca Perotti, sul sito internet www.offscreen.it dedicato alla critica cinematografica,

espone quelli che sono secondo lui i diversi lati negativi del documentario. Partendo dalla parte

finale dove c’è la contrapposizione del corpo goffo ma imponente di Moore con quello esile di

Charlton Heston, chiaramente affetto da Alzheimer.

Heston fugge all’interno della sua proprietà, abitata momentaneamente da Moore che viene definito

solo un intruso che non fa altro che umiliarlo, invadere la privacy e accusarlo di essere un

responsabile indiretto della morte di una bambina di 6 anni in quanto presidente della NRA (la

National Rifle Association). Il critico sostiene che sarebbe stato fondamentale il mantenimento di

una neutralità critica, invece la distanza viene azzerata. Nella realizzazione del documentario Moore

capisce che una semplice constatazione oggettiva degli avvenimenti di cronaca e un banale

riassunto degli eventi storici più importanti sarebbero poco convincenti e quindi decide di usare

l’arma della malafede e affrontare i misfatti a tu per tu. Moore accusa anche i media per poi

spostarsi sulla musica rock e metal. Ma si sa, la ricerca del capro espiatorio più improbabile non è

pratica comune solamente in America.

In conclusione:

il documentario Bowling for Columbine è incentrato sul tema della proliferazione delle armi e

soprattutto della cultura della violenza negli Stati Uniti. Nonostante tratti una problematica così

delicata, il regista sceglie di alternare momenti drammatici ad episodi ironici. Il suo stile narrativo

non giudica: sono i protagonisti che si descrivono da soli.

Facendo un paragone con la situazione di paesi come l’Italia, dove possedere un’arma non è così

semplice e così diffuso, si potrebbe giungere alla conclusione che sia proprio la facilità con cui si

può entrare in possesso di un’arma a far crescere in maniera esponenziale le vittime da arma da

fuoco. Però, quando Moore si sposta in Canada per approfondire il tema dell'uso delle armi in un

Paese che ne ha una diffusione pari a quella degli Stati Uniti, la tesi comincia a vacillare. Infatti qui

la differenza è che i morti all’anno sono 165 contro gli 11.127 degli Stati Uniti.

Una nutrita serie di interviste consente di capire l’origine di questa enorme differenza di

comportamento. Il documentario conferma che anche in Canada le persone sono in contatto con le

armi fin dalla nascita per via della forte propensione dei canadesi alla caccia. Anche la presenza di

stranieri, di neri in particolare, sul territorio è omogenea così come la diffusione dei film e

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videogiochi violenti. I dati sulla disoccupazione confermano che la situazione è uguale o addirittura

più preoccupante in Canada che negli U.S.A. La vera differenza quindi risiede nel modo di

affrontare queste problematiche da parte dei media statunitensi e canadesi. In America le notizie

raccontano principalmente di omicidi e violenza, nonostante il tasso di criminalità si sia abbassato

del 20% negli ultimi anni. In Canada invece i telegiornali si occupano principalmente di sanità, di

assistenza ai malati, di assicurazioni sociali e servizi alla persona. Di conseguenza i cittadini si

sentono protette dal loro governo e quindi non hanno paura del vicino, chiunque egli sia. Di fronte

ad un problema si cerca di risolverlo tranquillamente e non estraendo immediatamente la pistola.

Moore giunge quindi alla conclusione che non è l'arma in sé a creare il crimine, ma la paura del

crimine stesso che negli Stati Uniti, attraverso i suoi mezzi d'informazione e l'uso politico delle

differenze sociali, porta chiunque a diffidare del prossimo, trascinando questi contrasti a forme di

difesa personale eccessiva.

I media giocano quindi un ruolo fondamentale all’interno di una società e le notizie da loro

trasmesse influenzano le opinioni e i comportamenti dei cittadini. Non sono però solo loro a

determinare il pensiero della popolazione. Sicuramente ha un ruolo determinante l’educazione

impartita dai genitori ai figli e le compagnie che questi ultimi frequentano. Quasi tutte le famiglie

americane possiedono un’arma, ma non tutte hanno un’indole violenta che porta alcuni dei propri

componenti a compiere gesti estremi. Anche se il pensiero diffuso in molti americani è che l’arma

sia qualcosa che aiuta a proteggere l’individuo nei diritti fondamentali, non è corretto generalizzare

i loro comportamenti.

Tale generalizzazione è l’unica vera critica negativa che si può rivolgere al documentario di

Michael Moore.

  73 

4. POSSEDERE UN’ARMA NEGLI USA

«A well-regulated militia being necessary to the security of a free State, the right of the people to

keep and bear arms shall not be infringed». Questo è quello che recita il secondo emendamento

della Cosituzione americana, ovvero «Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una

milizia ben regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere

infranto».

Il possesso delle armi in America è un tema sempre attualissimo che solleva l’interesse

dell’opinione pubblica anche a livello mondiale. La popolazione americana si suddivide in due

correnti di pensiero: c’è chi sostiene che per ridurre la criminalità e soprattutto le stragi sia

fondamentale adottare norme più restrittive per limitare il numero di armi presenti nel Paese e c’è

chi sostiene che, richiamandosi al secondo emendamento sancito nel 1791, uno Stato con più armi,

detenute legalmente, è uno Stato più sicuro.

La storia del rapporto degli statunitensi con le armi comincia da una data simbolica, il 6 settembre

1620, quando un ristretto gruppo di 102 padri pellegrini inglesi e olandesi sbarcarono sul suolo del

Nuovo Mondo, dando inizio all’esodo di massa verso quelle terre da parte di tutti i Paesi

nordeuropei, ed alla conquista di territori su territori grazie all’uso delle armi da fuoco sconosciute

ai nativi.

A partire dalla fine del XVIII secolo i rapporti fra i coloni e la madrepatria divennero tesi a causa

dell’alta tassazione e dei vincoli commerciali che venivano imposti alle tredici colonie: infatti a loro

era consentito il commercio solo ed esclusivamente con la Gran Bretagna. Questi contrasti

sfociarono nella Guerra di Indipendenza con la quale i futuri statunitensi, combattendo contro i loro

“padri” e potendo contare anche sull’aiuto dei francesi, costruirono per la prima volta una vera e

propria identità nazionale. Nel 1787 venne ratificata la Costituzione, la quale garantisce il diritto

alla libertà e alla ricerca della felicità di ogni cittadino.

Con il tempo il concetto di libertà assunse quello più ampio di eliminazione degli ostacoli tra

l’individuo e la libertà e, con questo, anche l’eliminazione degli altri individui che potevano

minacciare la propria felicità. La Carta dei Diritti contiene i primi dieci emendamenti della

Costituzione. Il secondo di questi garantisce il diritto di possedere armi, senza però specificare se si

  74 

tratti di cittadini privati o milizie statali. Solo nel 2008, dopo accesi dibattiti, la Corte Suprema degli

Stati Uniti diede ragione all’ipotesi che si parlasse di privati.

Storicamente, l’evento in cui per la prima volta gli USA rivelano le loro impressionanti potenzialità

distruttive, fu durante la guerra civile del 1861. I principali elementi che la contraddistinguono sono

l’utilizzo di armi estremamente potenti e gli esiti sanguinosi che ne derivavano, il loro avanzamento

tecnologico, la guerra combattuta per terra e per mare ed il combattimento portato sino alle estreme

conseguenze utilizzando ogni uomo e ogni risorsa prima di arrendersi.Ma ciò che ha condizionato e

favorito la cultura dell’utilizzo delle armi da fuoco nel corso dei secoli è il forte senso della

proprietà privata, da tutelare con ogni mezzo e senza intermediari. Di conseguenza, sono numerose

le leggi promulgate per regolare il possesso e l’utilizzo delle armi da fuoco. Il National Firearms

Act del 1934, che impone delle tasse per la produzione e il trasferimento di alcune armi da fuoco, il

Gun Control Act del 1968 e il Gun Free School Zone Act del 1995 che proibisce la detenzione di

un’arma in un luogo che possa essere ritenuto dal possessore un ambiente scolastico, sono solo

alcuni esempi.

Ogni Stato ha le proprie regole, più o meno restrittive, ma in linea di massima tutte stabiliscono che

le armi da fuoco devono essere ben visibili e senza il colpo in canna. Tuttavia, ci sono alcuni Stati

che danno ai cittadini la possibilità di portare armi nascoste, ma solo con l’autorizzazione da parte

delle istituzioni. Un grafico pubblicato sulla rivista Cristian Science Monitor nel marzo 2012

mostra la situazione della legislazione che regolamenta il permesso ai cittadini di portare armi da

fuoco nascoste. Si va dagli Stati più permissivi, quelli di colore azzurro e celeste, in cui basta

ottenere un’autorizzazione per girare con le armi nascoste, all’Illinois dove questa pratica è proibita.

  75 

Le lobby americane delle armi fanno leva, per prosperare, sul senso di insicurezza della

popolazione. Questo è generato anche dalle numerose stragi avvenute sul suolo americano. Non a

caso in seguito alla strage di Newtown del 14 dicembre 2012, nella quale Adam Lanza, un ragazzo

di 20 anni che, dopo aver ucciso la madre, uccise anche 20 bambini alla scuola elementare “Sandy

Hook” per poi suicidarsi, la vendita di armi, giubbotti anti-proiettile, zainetti speciali e piastre

protettive leggere per bambini ebbe un notevole incremento. Il problema nasce quindi da ragioni

culturali e sociali, prima che da ragioni economiche. Da una parte c’è la lobby delle armi che,

strumentalizzando il secondo emendamento, cerca di assicurarsi un mercato più ampio, dall’altra

parte il forte senso di proprietà privata del Paese non fa rinunciare al diritto di difendere la propria

persona e le proprie cose dalle possibili minacce. Ciò nonostante che il prezzo da pagare sia la vita

di altre persone.

La più importante lobby americana di armi fu fondata nel 1871 con il nome di American Rifle

Association, oggi conosciuta come NRA (National Rifle Association). Si occupa della promozione

e della sicurezza nell’uso delle armi, organizza corsi di maneggio ed eventi sportivi sempre relativi

alle armi da fuoco, finanzia anche campagne politiche e si batte per la difesa del diritto

costituzionale al possesso e al porto delle armi da fuoco. Attualmente il suo presidente è David

Keene. Benché le regole per l’acquisizione di armi cambino da Stato a Stato, in buona parte di essi

la procedura per ottenere un’arma è simile. Chiunque abbia compiuto i 21 anni può acquistare una

pistola, mentre a partire dai 18 anni si possono acquistare solo fucili. I minorenni non hanno

accesso diretto a fucili o pistole ma possono accedere senza problemi alle armi ad aria compressa.

Il vero problema è che nessuna legge vieta a un genitore di mettere una pistola vera in mano ai

propri figli.

L’acquirente deve presentare un documento di identità per consentire a chi gli vende l’arma di

registrare i suoi dati e associarli a quelli dell’arma. Se il cliente vuole comprare più armi in un

periodo di tempo inferiore ai cinque giorni, l’esercente deve inviare una notifica al Bureau of

Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives. Dal 1968, grazie al Gun Control Act, chi ha particolari

precedenti penali ha più difficoltà a entrare legalmente in possesso di una pistola o di un fucile. I

colpevoli di reati, i latitanti, gli immigrati clandestini, le persone soggette a ordinanze restrittive e

coloro che non sono cittadini statunitensi non possono acquistare o possedere un’arma. Altre

limitazioni sono previste per chi fa uso di particolari medicinali o di sostanze stupefacenti.

  76 

Acquistare le armi, soprattutto a New York e in particolare dopo la strage di Newtown è molto

semplice. Uno dei negozi più conosciuti e “West Side Rifle & Pistol Range” nel centro di

Manhattan, all’apparenza il negozio sembra un ferramenta. Qui le armi si possono addirittura

affittare, costano dai 15 agli 80 dollari al giorno a seconda dell’articolo. La struttura offre anche

ottimi corsi di tiro a segno, ed è frequentata anche da molte ragazze. A New York le leggi per

acquistare armi sono tra le più restrittive, è molto più semplice in altri stati come l’Oklahoma o il

Texas. Ma la via più semplice per comprare un’arma è farlo via Internet. Basta indicare nome,

cognome e pagare subito. Le poche forme di restrizione non vengono quasi mai applicate. I siti più

famosi sono le aste online nelle quali si possono trovare tutte le tipologie di armi. Alla fine dell’asta

l’arma viene spedita all’acquirente direttamente a casa, anche se le leggi federali prescrivono che le

armi comperate sul web debbano essere spedite presso un’armeria o un conoscente in possesso della

licenza. Nessun documento è richiesto. Secondo la legge americana, compratore e acquirente

devono avere entrambi un permesso per l'invio di armi tramite posta. Inoltre chi compra deve

sempre fornire un documento d'identità.

Su Internet tutto questo sfugge ad ogni controllo: nessuno si preoccupa dell’eventualità di armare

un criminale o un minore. Ciò che importa è concludere l'affare.

Rispetto agli Stati Uniti, in Europa il possesso di armi da parte dei cittadini è regolato in modo più

ristretto. E’ infatti presente un sistema più articolato che vieta, di fatto, la vendita diretta di armi

online. Inoltre i venditori autorizzati di pistole e fucili devono tenere traccia per 20 anni delle

informazioni su ogni arma da fuoco come, ad esempio, il numero di matricola, gli acquirenti, i dati

delle spedizioni della vendita e del trasporto oltre i confini nazionali di ogni stato. Per acquistare

una pistola bisogna essere maggiorenni e, a seconda delle leggi nazionali, possedere un porto

d'armi. Anche in Europa comunque le armi sono piuttosto diffuse. Secondo la classifica mondiale,

dopo USA e Yemen, troviamo Svizzera e Finlandia.

Per quanto riguarda l’Italia, anche qui i controlli sono molti stringenti ma questo non toglie il fatto

che armi possano essere illegalmente acquistate al mercato nero o tramite organizzazioni di stampo

mafioso. Per importare legalmente un’arma dagli USA bisogna individuare sul Catalogo Nazionale

la scheda dell’arma oggetto dell’importazione, individuare il modello corrispondente in vendita

negli USA, prendere contatti con un armiere esportatore USA e stabilire caratteristiche, prezzo

dell’arma, costo della spedizione e modalità di consegna in Italia. Una volta concordato in maniera

assolutamente certa il tutto, bisogna farsi comunicare il numero di matricola dell’arma, che è

  77 

fondamentale, e poi presentare la richiesta di Licenza di Importazione alla propria Questura,

seguendo lo schema fornito da loro. Una volta ottenuta la Licenza di Importazione, si invia la

comunicazione al venditore USA, si compilano gli ultimi documenti e, aggiunti i dati della carta di

credito, si dovrà far tradurre in Inglese la licenza di importazione e la licenza di porto d’armi ed

inviarle negli Stati Uniti. Solo a questo punto l’arma potrà essere inviata in Italia secondo gli

accordi presi.

  78 

5. COLUMBINE 10 ANNI DOPO. LA PREVENZIONE NELLE SCUOLE

Quali misure di prevenzione l’America ha deciso di adottare all’interno delle scuole dopo la strage

della Columbine?

Quanto tragicamente accaduto nel 1999, ispirò le successive stragi all'interno delle scuole. Non solo

in quelle americane ma anche in quelle di altre nazioni. Ad esempio in Germania, a Erfurt, nel 2001

accadde qualcosa di molto simile anche se la maggior parte di questi casi di violenza si sono

registrati negli Stati Uniti rappresentando così il più alto livello di violenza sociale in quella

nazione. A 10 anni di distanza, i numerosi studi scientifici volti ad identificare efficaci misure di

prevenzione, hanno identificato dei tratti comuni in questi attacchi: gli autori sono vittime di

bullismo o hanno un forte interesse per i videogiochi violenti; essi esprimono la propensione

all’istinto omicida nei saggi assegnati dagli insegnanti come compito oppure in poemi, canzoni o

disegni. Inoltre, lo sviluppo informatico ha fornito ulteriori canali, come le chat e i post su internet,

attraverso i quali gli studenti esprimono il loro disagio.

5.1 La prevenzione

Fortunatamente il cammino per escogitare, pianificare e mettere in atto una strage richiede molto

tempo; questo significa che è possibile riconoscere diversi indizi che consentono l’identificazione

dei soggetti più a rischio ed offrono numerose opportunità di intervento e di prevenzione.

I sistemi di prevenzione per questi problemi sono solitamente classificati in 3 gruppi:

- universali: forniscono benefici all’intera popolazione

- selezionati: rivolti ad un sottogruppo della popolazione

- indicati: rivolti alle persone che mostrano chiari segni di disagio

Due esempi di programmi d’identificazione sono, rispettivamente in Germania e negli Stati Uniti, il

progetto denominato "NETWASS" ovvero Network Against School Shootings e il Virginia

Sudents Threat Assessment Guidelines.

Tali progetti hanno appunto come obiettivo principale quello di stabilire delle modalità atte ad

identificare i comportamenti allarmanti degli studenti.

Ciò ha permesso di identificare che i principali fattori di rischio sono:

- Disturbi mentali: alcuni ragazzi, all’interno dell’ambiente scolastico, manifestano sindromi

depressive che giungono fino al suicidio. Questi soggetti si sentono rifiutati, isolati e circondati da

una società di narcisisti. Essi sono riconducibili principalmente a tre forme di patologie: il gruppo

più nutrito include ragazzi delinquenti e antisociali che sfogano la loro rabbia architettando rapine e

furti; il secondo gruppo, anch’esso numeroso, è composto da coloro che soffrono di cambiamenti di

personalità, di stati depressivi, che hanno vissuto esperienze di bullismo o abuso che risolvono per

  79 

vendetta con atti di violenza; infine il terzo gruppo, quello meno numeroso, che comprende coloro

che hanno veri e propri disturbi psicologici profondi e commettono crimini spinti da delusione o da

allucinazioni.

- I media: le fantasie degli studenti possono essere innescate o stimolate anche dalla violenza che

spesso viene trasmessa attraverso media. Ad esempio le sparatorie nelle scuole o la diffusione di

informazioni sull’acquisto di armi o sulla realizzazione di ordigni “fai da te”.

- Esperienze negative: tra queste, la più diffusa è l’essere rifiutati dai compagni e il bullismo; ma

non vanno sottovalutate anche è l’assenza dei genitori o la loro totale indifferenza verso i figli.

- Il libero accesso alle armi: molti autori di stragi avevano la possibilità di entrare facilmente in

possesso di armi da fuoco a causa del fatto che qualche familiare ne faceva utilizzo abitualmente.

Solitamente le armi da fuoco vengono possedute legalmente (ma non è così difficile procurarsele

illegalmente) e vengono chieste in prestito ad amici, genitori o conoscenti.

5.2 Il Virginia Student Threat Assessment Guidelines

Due mesi dopo la sparatoria alla Columbine High School, l’FBI indice una conferenza per stabilire

se fosse stato possibile costruire il profilo comportamentale di un potenziale studente omicida. Ciò

sarebbe stato utile per prevenire altre sparatorie all’interno delle scuole. Sia lo studio dell’FBI sia

un altro studio condotto dai Servizi Segreti americani, sono arrivati alla conclusione che la maggior

parte degli studenti si sente vittima e rifiutata dai suoi compagni, maltrattata dalle autorità

scolastiche e non amata dai propri genitori. Di conseguenza molti di loro passano la maggior parte

del tempo libero visionando film violenti, ascoltando musica aggressiva e giocando a videogiochi

dove lo scopo è sparare e ammazzare.

L’FBI arriva alla conclusione della conferenza con questo pensiero:

<<One response to the pressure for action may be an effort to identify the next shooter by

developing a “profile” of the typical school shooter. This may sound like a reasonable preventive

measure, but in practice, trying to draw up a catalogue or “checklist” of warning signs to detect a

potential shooter can be shortsighted, even dangerous. Such list, publicized by the media, can end

up unfairly labelling many non violent students as potentially dangerous or even lethal. In fact, a

great man adolescents who will never commit violent acts will show some of the behaviours or

personality traits included on the list.>>

<< Una reazione alla pressione per agire con misure di prevenzione può essere provare ad

identificare il prossimo aggressore , sviluppando “ il profilo del tipico tiratore scolastico”. Questa

può sembrare una misura di prevenzione ragionevole, ma in pratica creare un catalogo o una lista

di segnali d’allarme per rilevare un potenziale assalitore può essere poco chiaro e anche

pericoloso. Questa lista, pubblicizzata dai media, potrebbe finire per etichettare ingiustamente

  80 

come pericolosi o anche letali molti studenti che in realtà non sono violenti. Quindi un bravo

adolescente che non ha mai commesso atti violenti potrebbe comunque mostrare alcuni tratti di

comportamento e personalità che fanno parte della lista >>.

Molti giovani sono descritti anche come narcisisti, paranoici, manipolatori, alienati e depressi.

Studiati questi comportamenti l’FBI e i Servizi Segreti americani sono arrivati alla conclusione che

non era possibile tracciare un vero e proprio profilo e tantomeno fare un elenco di studenti violenti

in quanto alcune caratteristiche possono essere comuni ad altri studenti che non hanno però alcuna

intenzione di compiere una strage.

Un’altra ricerca, sempre condotta dall’FBI e dai servizi segreti americani, ha rilevato che tutti gli

studenti che vogliono attuare una strage comunicano le loro intenzioni ad altre persone prima di

realizzare l’attacco. La maggior parte degli studenti omicidi infatti impiega gran parte del proprio

tempo a contemplare, pianificare e preparare il piano d’attacco. La necessità di far conoscere le

proprie intenzioni agli altri, fa quindi crescere la possibilità che le sparatorie possano essere

prevenute attraverso un processo investigativo che è stato denominato“Threat Assessment”. Questo

processo è diverso dall’identificazione del profilo di comportamento generale degli studenti; infatti

le ricerche sono concentrate su un soggetto specifico e non su di una categoria dalle caratteristiche

generiche.

Fortunatamente non tutte le minacce pronunciate da uno studente si trasformano in stragi. Come

afferma l’FBI <<all threats are not created equal>> e cioè <<non tutte le minacce sono create allo

stesso modo>>.

Gli adulti sono diversi dai ragazzi. Gli adolescenti sono molto più impulsivi e poco razionali. La

politica di “tolleranza zero”, che è stata adottata da molte scuole americane come forma di

prevenzione e di maggior sicurezza nelle scuole, è stata considerata inadatta, e quindi abbandonata,

a causa delle conseguenze assolutamente inappropriate alle quali essa è giunta. Ad esempio ci sono

stati casi di sospensione per studenti che hanno portato a scuola una pistola giocattolo o un coltello

di plastica da usare durante il pranzo per tagliare il cibo oppure per aver puntato il dito contro un

altro compagno come se fosse un’arma.

5.3 Il Virginia Student Threat Assessment Model

Le linee guida sviluppate dall’Università della Virginia indirizzano le autorità scolastiche ad agire

attraverso un processo composto da 3 decisioni da prendere allo scopo di risolvere un conflitto o un

problema generato da una minaccia formulata da parte di uno studente. Dopo una valutazione

preliminare della minaccia riportata, l’amministratore scolastico decide se il caso possa essere

  81 

facilmente risolto come “minaccia fugace” oppure richieda un intervento più complesso con

specifiche azioni di protezione. Nei casi più seri una squadra multidisciplinare interna all’istituto

conduce una valutazione di sicurezza che include l’applicazione della legge e la valutazione dello

stato mentale dello studente.

Ogni scuola deve quindi avere la propria squadra di valutazione pronta ad intervenire in caso di

minacce. Essa è composta da un amministratore principale, un rappresentante per l’applicazione

della legge e uno o più professionisti della salute mentale come, ad esempio, psicologi. Un team di

questo tipo è consigliato per diversi motivi:

- capacità di intervento immediato in caso di minacce serie; se uno studente minaccia di ucciderne

un altro, la scuola non può permettersi di perdere tempo aspettando una squadra di specialisti

esterna.

- la maggior parte delle minacce non sono sufficientemente gravi da necessitare della convocazione

di una squadra esterna. Il team scolastico, nei casi più gravi, può però consultare squadre esterne per

ricevere un aiuto aggiuntivo.

- la corretta valutazione di una minaccia necessita un’attenta considerazione della situazione e del

contesto in cui avviene. Un team di questo tipo conosce bene l’ambiente scolastico, gli avvenimenti

che sono capitati a scuola recentemente e gli studenti coinvolti.

Il processo Threat Assessment segue uno schema composto da 7 livelli, che è illustrato in un

manuale contenente anche esempi specifici, che sono:

- livello 1: l’amministratore principale (il leader) del team intervista lo studente che ha pronunciato

la minaccia. L’intervista è composta da una serie di domande standard che possono essere adattate a

seconda della situazione. Le domande non riguardano la minaccia in maniera specifica, ma sono

principalmente rivolte al contesto generale in cui la minaccia è avvenuta.

- livello 2: il leader deve fare una distinzione importante, ovvero decidere se la minaccia è

considerata sostanziale e quindi può essere un fattore di rischio per gli altri anche nel futuro.

Queste sono identificate secondo dei parametri decisi dall’FBI:

- la minaccia è stata pianificata dettagliatamente e quindi ha un orario, un posto e un piano

di assalto specifico

- la minaccia e stata programmata da molto tempo e comunicata ad altre persone

- lo studente ha dei complici

- lo studente ha invitato gli altri compagni ad assistere a ciò che ha pianificato

- lo studente intende fare uso di pistole, coltelli, bombe o qualsiasi altro tipo di arma

  82 

- livello 3: le minacce ritenute invece transitorie, espresse con comportamenti di rabbia e

frustrazione, si risolvono non appena lo studente ha tempo di riflettere e ammettere l’errore

commesso. Il leader induce quindi lo studente a scusarsi e pentirsi di ciò che ha fatto.

- livello 4: si decide se la minaccia sostanziale è grave o meno grave. È considerata grave quando vi

sia la possibilità di avere delle vittime. In questo caso si passa al

- livello 5: nel quale le autorità sono obbligate ad agire e proteggere le vittime potenziali. Il team

deve contattare i genitori del ragazzo sospettato ed obbligarli a tenerlo sempre sotto controllo al di

fuori degli orari scolastici.

-livello 6: è riservato alle minacce considerate estremamente pericolose. Il team deve intervenire

immediatamente con misure di protezione.

- livello 7: il team completa l’opera di valutazione dello studente tramite la realizzazione di un

piano si sicurezza a lungo termine. Esso consiste nel valutare se il soggetto ha violato la legge. Lo

psicologo deve fare urgentemente una valutazione dello stato mentale del ragazzo. Dopo

l’applicazione del piano creato su misura per lo studente interessato, il leader decide se egli può

continuare a frequentare la scuola o deve essere indirizzato in un istituto di recupero.

Tra i 188 casi accaduti all’interno di una delle scuole che hanno aderito al progetto durante un anno

scolastico, circa il 70% sono stati risolti come minaccia transitoria e quindi con le scuse e il

pentimento da parte dell’autore. Il rimanente 30% delle minacce sono state classificate come

“sostanziali” e quindi richiedenti azioni di protezione con la creazione di un piano specifico

dedicato ai problemi che hanno spinto lo studente a pronunciare la minaccia. Solo a 3 studenti è

stata imposta una sospensione di lunga durata mentre la metà di essi ha ricevuto una sospensione

breve (solitamente da 1 a 3 giorni). A Memphis nel 2007 sono stati esaminati 209 casi che

rappresentano le violazioni disciplinari più serie commesse dagli studenti in un totale di 103 scuole:

il 29% riguardavano il colpire o picchiare qualcuno, il 23% di accoltellare, il 15% di sparare, il 14%

di uccidere, il 7% per violenza sessuale e il 12% per aver fatto esplodere o dato fuoco alla scuola.

Nel 2007 è stato condotto un censimento negli Stati Uniti per stabilire il numero di scuole che

avevano adottato le linee guida del Virginia Threath Assessment: il 34% delle scuole si era affidato

a tali linee guida, il 47% aveva seguito delle procedure locali e il 19% ha dichiarato di non affidarsi

a nessun tipo di valutazione.

Le scuole che si sono affidate alle linee guida del Virginia Threath Assessment hanno tutte

registrato una diminuzione delle minacce ed evidenti miglioramenti nel comportamento degli

studenti.

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  84 

5.4 Il Safe2Tell

Poco dopo la sparatoria alla Columbine, il governatore del Colorado istituì la Columbine Review

Commission, affidandole il compito di ricostruire quanto accaduto. Il resoconto della commissione

ha evidenziato che i due assassini, Eric e Dylan, hanno lasciato una serie di indizi nei diciotto mesi

prima dell’attacco. Ci sono stati quindi numerosi segnali di disagio che i due ragazzi hanno

mandato ma che sono stati ignorati. Ad esempio la creazione di un sito internet con messaggi video

colmi di odio, minacce dirette a studenti ben identificati e indicazioni per la realizzazione di bombe

fatte in casa.

La commissione ha osservato inoltre che alla Columbine vigeva una sorte di codice del silenzio,

una cultura in cui la fedeltà verso gli amici escludeva la responsabilità di segnalare potenziali

comportamenti pericolosi. Inoltre Eric e Dylan erano evidentemente vittime del bullismo. In virtù di

tali fatti la commissione ha consigliato l’installazione di un sistema di comunicazione anonimo in

cui, studenti e non, potessero rivolgersi alle autorità e condividere le loro preoccupazioni riguardo

possibili minacce di violenza o altri comportamenti dannosi. Un dato statistico indica che nell’81%

dei casi di attacco gli amici degli esecutori siano a conoscenza dei vari piani ma evitano di

denunciarli per paura.

In risposta ai suggerimenti indicati dalla commissione, è stato costituito nel 2003 un sistema

denominato Safe2Tell. Sulla pagina del sito ufficiale possiamo trovare la seguente didascalia:

“SAFE2TELL® is designed to help YOU anonymously report any threatening behaviour that

endangers you, your friends, your family, or your community”. La missione di Safe2Tell, sistema

riconosciuto come organizzazione no-profit, è quella di garantire a studenti, genitori, insegnanti e a

tutti i membri della comunità, la possibilità di comunicare qualsiasi loro preoccupazione in maniera

sicura e anonima. Il servizio è attivo 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Non sono necessari la creazione di

caselle di posta o di un profilo. Tutte le informazioni sono prese seriamente in considerazione e, in

risposta a informazioni credibili, azioni appropriate vengono subito messe in atto. Il personale

dell’ufficio di comunicazione è stato convenientemente preparato per verificare se la chiamata è

autentica.

L’iniziativa è unica per tre motivi: l’anonimità di chi chiama è legalmente protetta, ci sono della

chiamate successive per comunicare quali misure di azione sono state prese e c’è una componente

educativa progettata per dare autorità allo studente e incoraggiarlo nell’uso di Safe2Tell.

Ogni comunità, distretto o scuola ha il suo modo per pubblicizzare Safe2Tell. Il metodo più diffuso

è riportare i contatti su retro dei tesserini scolastici di ogni studente, dare loro un braccialetto con il

  85 

numero di telefono scritto all’interno, esporre poster all’ingresso delle scuole e nelle classi e

distribuire biglietti da visita da tenere nel portafoglio. Ci sono poi adesivi, calamite, portachiavi e

altri gadget.

Il servizio è stato attivato nel settembre del 2004. Nei primi due anni di attività sono state ricevute

circa 100 chiamate. Durante il terzo anno il numero di chiamate è triplicato e nel quarto ha

raggiunto il numero di 500. In totale, tra il 2004 e il 2010, le chiamate sono state 782 per situazioni

di bullismo, 492 per droga e alcol, 361 per minacce di violenza, 210 per possesso di pistole o armi,

216 per molestie sessuali, 187 per violenza sui minori, 138 per aggressione, 49 per atti di

vandalismo da parte di gang organizzate, 38 per furti, 28 per violenza domestica e 13 per violenza

contro animali. Dati successivi hanno rivelato che l’83% di questi casi sono stati risolti in maniera

positiva.

Attualmente il servizio riceve circa 100 chiamate al mese. È stato stimato che questo programma

anti violenza ha prevenuto 28 stragi nelle scuole. L’iniziativa dona autorità agli studenti che,

facendosi coraggio, condividono informazioni importanti che danno alle forze dell’ordine e al

personale scolastico la possibilità di collaborare e agire velocemente, evitando la violenza e

salvando delle vite.

  86 

6. CONCLUSIONE

L’obiettivo del presente elaborato è, partendo dall’analisi di quanto accaduto il 20 aprile 1999 alla

Columbine High School nella Southern Jefferson County vicino a Denver nel Colorado, affrontare

la questione del libero possesso di armi negli Stati Uniti e le misure di prevenzione adottate dalla

maggior parte delle scuole Americane proprio in seguito a quel tragico evento.

Eric e Dylan, due adolescenti isolati dal resto della popolazione studentesca e per questo stravolti

dall'odio e accecati dal desiderio di vendetta, hanno compiuto una strage tra gli insegnanti e i

compagni di scuola usando esplosivi e armi automatiche portando sino alle estreme conseguenze un

evento di sangue, durato ore e preparato da mesi, che si conclude con il loro suicidio.

Persino l’adesione ad un gruppo di studenti che si contraddistinguevano per indossare, in qualsiasi

stagione, un trench nero di pelle non era per loro un fattore di aggregazione ma solo un modo per

allontanarsi dalla maggioranza essendo esso composto proprio da quanti erano già emarginati dal

resto della scuola.

Ma indossare un trench nero di pelle lungo fino ai piedi non è sufficiente a classificare come

pericolosi due ragazzi dall’apparenza tutto sommato “normale”. Anche l’ascoltare musica metal o

prediligere film e videogiochi violenti non possono essere considerati cause scatenanti. Semmai,

sono segnali di un disagio più o meno evidente. Se Eric e Dylan sono arrivati a compiere un gesto

del genere, uccidendo 13 compagni e ferendone altri 21, i motivi devono avere origini ben profonde

che vanno ricercati nel disagio provocato dal non sentirsi parte di una società composta da ragazzi

fatti “con lo stampo”: alti, occhi azzurri, con i muscoli scolpiti ed accerchiati dalle ragazze più belle

perché membri della squadra di baseball; ragazzi che assumono certi comportamenti esclusivamente

per piacere agli amici e compiacere gli insegnanti. Se non si possiedono tali caratteristiche, si è

considerati dei “losers”, dei perdenti.

In questo disagio, gioca un ruolo importante anche il rapporto con i genitori, la loro presenza

nell’educare e la loro capacità di recepirne i segnali nei propri figli e a fornire loro il sostegno

necessario a superare le difficoltà. E, non ultimo, insegnare loro che le armi rimangono oggetti

molto pericolosi anche seppur così diffusi.

  87 

Ed è proprio la diffusione e la relativa facilità di accesso delle armi in America che il regista

Michael Moore analizza nel suo documentario del 2002 Bowling for Columbine.

Con la sua macchina da presa, egli giunge alla conclusione che la società americana, allarmata ed

impaurita dai media che trasmettono ossessivamente notizie riguardanti aggressioni, uccisioni,

sangue e violenza, non si senta sufficientemente protetta dal governo, che è prevalentemente

orientato a risolvere problematiche inerenti la guerra e le armi, ricorrendo quindi essa stessa a

queste ultime per elevare il proprio tasso di sicurezza.

In Canada, invece, il governo e i media sono maggiormente concentrati su tematiche sociali come le

pensioni e l’assistenza ai malati. Le soluzioni alle problematiche vengono ricercate con il dialogo e

non con le armi. Questo contribuisce a costruire una società che si sente più al sicuro ed è questa,

sempre secondo Moore, la spiegazione ai due numeri, 11.127 e 165, che sono gli omicidi causati da

armi da fuoco in un anno rispettivamente negli Stati Uniti e in Canada seppure le leggi che

regolamentano il possesso di armi siano praticamente identiche.

Infine, la prevenzione nelle scuole. Ci sono sicuramente state delle innovazioni a partire dal 1999,

ma queste riguardano per la maggior parte gli strumenti per la sorveglianza e la denuncia di

atteggiamenti devianti e comportamenti violenti.

Poco è stato fatto in termini di educazione alla non violenza ed all’informazione sulla pericolosità

delle armi. Sarebbe auspicabile che il sistema americano intraprendesse un percorso, sicuramente

lungo, che inizi dai livelli scolastici più bassi, volto a formare una società finalmente libera dalla

“legge del giudice Colt” tipica dell’epopea del Far West.

  88 

BIBILIOGRAFIA

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Larkin, Ralph W. Comprehending Columbine, Temple University Press., Philadelphia, 2007.

Cornell, Dewey G. / Scheithauer Herbert. Columbine a Decade Later:The Prevention of Homicidal Violence in Schools. New Directions for Youth Development, Jossey-Bass, Stati Uniti, 2011.

FILMOGRAFIA

Moore, Michael. Bowling a Columbine. Alliance Atlantis Communications, Dog Eat Dog Films, Iconolatry Productions Inc., Salter Street Films International, TiMe Film-und TV-Produktions GmbH, United Briadcasting Inc., Vif Babelsberger Filmproduktion GmbH &Co. Zweite KG., USA, 2002.

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