Antependio argenteo dell'altare maggiore della cattedrale di Parenzo

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395 ANTEPENDIO ARGENTEO DELL’ALTARE MAGGIORE DELLA CATTEDRALE DI PARENZO Ivan Matejčić Ivan Matejèiæ Akademija primijenjenih umjetnosti Sveuèilišta u Rijeci S. Krautzeka b.b. 51000 Rijeka, Croatia Gold gilded silver antependium of the main altar in Poreè cathedral has not been preserved in its original form. Certain Giovanni Furlan robbed church silver ware in 1699 and on this occasion ripped out the parts of antependium. He was caught with those parts on him, so antependium was repaired. In 1906. A. Venturi determined that the architectural frame is older than the figures of the saints in niches: they must be the result of the reparation in 1699. Antependium was once again devastated in 1974: the same baroque style relieves of the saints (St. Mary And Child, St. Mauro, St. Eleutherius, St. Peter and St. Paul) were stolen. Photographs show how the antependium looked like before the last theft. The parts preserved till today mainly belong to the authentic layer of the art work from 1451 till 1454. Documented decisions of the town council and in particular information from the will of the contemporary Poreè bishop Ivan (1440 – 1454) tell us about the origin of the antependium. According to that will bishop Ivan contributed 200 ducats for antependium produced in Venice. Prior to Poreè Ivan was a bishop in Rab (1433 till 1440) and before that he was a vicar and egzaminator on The University in Padua. Early Renaissance features of the details on Poreè antependium can be easily connected to Early Renaissance artistic innovation introduced in the same period in Padua, from where they were shortly spread to Venice. Keywords: Poreč - Parenzo, Eufrasiana, altar, antependium, renaissance sculpture, goldsmithing, Venezia - Venice Nella basilica Eufrasiana, che costituisce l’elemento di maggiore rilievo del complesso cattedrale di Parenzo, oltre all’architettura e alle decorazioni datate alla meta ` del VI secolo ormai note a livello in- ternazionale, si conservano anche altre opere pertinenti ai periodi storici successivi. Si tratta innanzi tutto del ciborio ornato da mosaici risalente al XIII secolo e dell’imponente antependio dell’altare maggiore costituito da un bassorilievo realizzato in argento dorato. Quest’ultimo, purtroppo perve- nutoci in uno stato di conservazione precario dovuto a due episodi di grave devastazione, q collocato sulla facciata anteriore dell’ampio altare e risulta scarsamente visibile a causa della copertura protet- tiva in vetro. L’altare, molto probabilmente realizzato nel XVIII secolo, corrisponde alle dimensioni dell’antependio. Tale manufatto, seppure sia stato preso in considerazione nell’ambito di numerosi contributi, ci riserva ancora aspetti inediti che possono mettere a fuoco in modo piu ` significativo le avverse vicende che ne caratterizzarono il destino, permettendo anche di aggiungere ulteriori nuove riflessioni in merito alle caratteristiche stilistiche dell’opera nel contesto dell’arte veneziana della meta ` del XV secolo 1 . Secondo alcune fonti documentarie, in primo luogo quelle riportate dallo storico parentino Andrea Amoroso, il manufatto in argento dorato fu realizzato all’epoca in cui occupava la cattedra di Parenzo il vescovo Giovanni VI, parentino di nascita. Lo stesso Amoroso, infatti, annoto ` che l’idea di sostituire 1 Si veda l’edizione piu ` recente, benché piuttosto concisa di M. WALCHER, Orafi veneziani, XV secolo, Paliotto, in Istria. Citta` maggiori, a cura di G. PAVANELLO - M. WALCHER, Trieste, 2001, p. 151. Breve nota in M. PELC, Rene- sansa, Zagreb, 2007, p. 416.

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ANTEPENDIO ARGENTEO DELL’ALTARE MAGGIOREDELLA CATTEDRALE DI PARENZO

Ivan Matejčić

Ivan MatejèiæAkademija primijenjenih umjetnosti Sveuèilišta u RijeciS. Krautzeka b.b.51000 Rijeka, Croatia

Gold gilded silver antependium of the main altar in Poreè cathedral has not been preserved in its original form. Certain Giovanni Furlan robbed church silver ware in 1699 and on this occasion ripped out the parts of antependium. He was caught with those parts on him, so antependium was repaired. In 1906. A. Venturi determined that the architectural frame is older than the figures of the saints in niches: they must be the result of the reparation in 1699. Antependium was once again devastated in 1974: the same baroque style relieves of the saints (St. Mary And Child, St. Mauro, St. Eleutherius, St. Peter and St. Paul) were stolen. Photographs show how the antependium looked like before the last theft. The parts preserved till today mainly belong to the authentic layer of the art work from 1451 till 1454. Documented decisions of the town council and in particular information from the will of the contemporary Poreè bishop Ivan (1440 – 1454) tell us about the origin of the antependium. According to that will bishop Ivan contributed 200 ducats for antependium produced in Venice. Prior to Poreè Ivan was a bishop in Rab (1433 till 1440) and before that he was a vicar and egzaminator on The University in Padua. Early Renaissance features of the details on Poreè antependium can be easily connected to Early Renaissance artistic innovation introduced in the same period in Padua, from where they were shortly spread to Venice.

Keywords: Poreč - Parenzo, Eufrasiana, altar, antependium, renaissance sculpture, goldsmithing, Venezia - Venice

Nella basilica Eufrasiana, che costituisce l’elemento di maggiore rilievo del complesso cattedrale di Parenzo, oltre all’architettura e alle decorazioni datate alla meta del VI secolo ormai note a livello in-ternazionale, si conservano anche altre opere pertinenti ai periodi storici successivi. Si tratta innanzi tutto del ciborio ornato da mosaici risalente al XIII secolo e dell’imponente antependio dell’altare maggiore costituito da un bassorilievo realizzato in argento dorato. Quest’ultimo, purtroppo perve-nutoci in uno stato di conservazione precario dovuto a due episodi di grave devastazione, collocato sulla facciata anteriore dell’ampio altare e risulta scarsamente visibile a causa della copertura protet-tiva in vetro. L’altare, molto probabilmente realizzato nel XVIII secolo, corrisponde alle dimensioni dell’antependio. Tale manufatto, seppure sia stato preso in considerazione nell’ambito di numerosi contributi, ci riserva ancora aspetti inediti che possono mettere a fuoco in modo piu significativo le avverse vicende che ne caratterizzarono il destino, permettendo anche di aggiungere ulteriori nuove riflessioni in merito alle caratteristiche stilistiche dell’opera nel contesto dell’arte veneziana della meta del XV secolo1.

Secondo alcune fonti documentarie, in primo luogo quelle riportate dallo storico parentino Andrea Amoroso, il manufatto in argento dorato fu realizzato all’epoca in cui occupava la cattedra di Parenzo il vescovo Giovanni VI, parentino di nascita. Lo stesso Amoroso, infatti, annoto che l’idea di sostituire

1 Si veda l’edizione piu recente, benché piuttosto concisa di M. WALCHER, Orafi veneziani, XV secolo, Paliotto, in Istria. Citta maggiori, a cura di G. PAVANELLO - M. WALCHER, Trieste, 2001, p. 151. Breve nota in M. PELC, Rene-sansa, Zagreb, 2007, p. 416.

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la pala dell’altare principale della basilica con una nuova scaturı proprio da questo vescovo. Secondo lo storico tale pala “stava dapprima appesa al tirante dell’arco posteriore del ciborio, ed ora serve di antependio dell’altare maggiore”. Amoroso esplicito nell’affermare che in origine si trattava di una pala d’altare che fu utilizzata come antependio solo in un secondo tempo. Informazioni importanti che, purtroppo, non riportano le fonti da cui sono state tratte2.

Ancora nel 1451 il vescovo Giovanni avvio una raccolta di fondi tra la cittadinanza, “nominando anche uno speciale procuratore per ottenere il concorso anche da parte del Consiglio cittadino”3. Nel 1452, durante il governo del podesta Andrea Quirini, il consiglio cittadino approvo la delibera con cui si permetteva la vendita della vecchia pala e di diversi manufatti in argento considerati “inutili” che si trovavano nella sacrestia della cattedrale per acquistarne una nuova. Il consiglio altresı delibero che per la nuova pala si poteva spendere al massimo 600 ducati di cui la meta, ossia i 300 ducati, li avrebbe raccolti il comune di Parenzo, mentre l’altra meta era stata promessa dal vescovo4. Un riferi-mento alla pala si trova nel testamento del vescovo Giovanni redatto nel 1457, dato questo che verra trattato in seguito5. Da un inventario della cattedrale si desume che la “pala argentea, commissionata dal vescovo di Parenzo” si trovava nella chiesa gia nel 14546.

2 A. AMOROSO, Basilica Eufrasiana, spigolature e reminiscenze. Pala d’argento dorato dell’altare maggiore, Parenzo, 1909, p. 10 (estratto dagli Atti e memorie della Societa istriana di archeologia e storia patria, XXV, 1908). Esiste un discreto nu-mero di opere d’arte analoghe per le quali difficilmente si puo constatare se in origine fossero intese come elementi da porre sopra l’altare, sul suo margine posteriore (pala, dossale, ancona, retablo ecc.) oppure se venissero sistemate a copertura della fronte dell’altare (antependium, ma anche pallium, pareametum, tabula ecc.). Sono noti alcuni esempi in cui, con il passare del tempo, la pala veniva trasformata in antependio, ma poteva verificarsi anche un procedi-mento opposto. A. Lipinsky molto esplicito in merito alla funzione dell’opera d’arte in questione, definendola come antependio (A. LIPINSKY, Goldene und silberne Antependien und Retabeln des Mittelalters in Italien (Letze Folge), in Das Münster, 13, 1960, 3-4, pp. 98-100), anche se nel suo testo sfiora l’ambivalenza di questi concetti: Retabel come Alta-raufsatz e Antependium come Altarvorsatz (Ibid, p. 90). In tutte le fonti storiche, sia quelle del XV, sia quelle della fine del XVII secolo, il manufatto di Parenzo viene menzionato con l’espressione “pala” (si veda nel prosieguo del testo).3 A. AMOROSO, Basilica Eufrasiana…, cit., p. 10.4 “Vadit pars quod pro complendo tam nobile opus, sicut est Pala cepta pro maiorı Altari Ecclesıae Cathedralis Parentinaa, destruatur Pala veter dı ctı Altarı s, et argentum ıpsius Palae, ac Calices ínutiles, Margarithae et alía ınutilia, ın Sacrístıa dı ctae Ecclesiaa exı stantía vendatur, praetıunque eorurn detur pro subsidío per ficiendi Palam. Cum hoc quod praetium dı ctae Palae non axcedat aliquo modo ducatos sexcentos, quorum Comnune Parentj solvat dimidios ducatos lrecentos auri, et Dominus Episcopus Parentınus alios trecentos sicat se ofertur“, (F. Polesini, Memorie storiche sacre e profane della chiesa e diocesi di Parenzo, manoscritto, archivio di famiglia). Ibid, p. 10.5 D. NEŽIÆ, Ivan Poreèanin, poreèki biskup 1440.-1457., nel libro Iz istarske crkvene povijesti, Pazin, 2000, p. 215.6 Ibid. L’autore non offre indicazioni sufficientemente dettagliate sulla fonte di questa informazione, ma possibile che si tratti di qualche documento dell’Archivio diocesano di Parenzo poiché cita la segnatura L. J. vol. VIII. p. 47.

Fig. 1. Antependio dell’altare principale della cattedrale di Parenzo – Eufrasiana, situazione attuale

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Attraverso i secoli veniva tramandata la consapevolezza della rilevanza della preziosa opera d’arte tanto che, ad esempio, viene menzionata anche dal vescovo Gaspare Negri (sulla cattedra di Parenzo nel periodo 1742 – 1778) nella sua esaustiva opera storiografica dedicata alla citta e alla relativa dio-cesi. Elencando i significativi investimenti del comune (porto, cisterne pubbliche) e quelli della chie-sa (sacrestia, inizio della costruzione del campanile della cattedrale) effettuati nel XV secolo, Negri annoto: … e furono pure lavori di questo medesimo secolo la ricca Palla d’Argento, e gemme, posta all’Altar Maggiore…7.

Il vero interesse per la pala del vescovo Giovanni inizio a svilupparsi nella seconda meta del XIX e all’inizio del XX secolo8. Una riproduzione fotografica del manufatto fu pubblicata nel secondo tomo dell’autorevole libro di Giuseppe Caprin intitolato Istria Nobilissima, stampato postumo nel 1907, quattro anni dopo la morte dell’autore. Nella sua opera Caprin scrisse lapidario: La pala del 1452; nel 49 il consiglio deliberava di farla eseguire vendendo la pala vecchia, i calici inutili e altri arredi preziosi della sagrestia9. evidente che l’autore riporta dati lievemente diversi, attinti con ogni probabilita da fonti diverse da quelle utilizzate qualche anno piu tardi da Amoroso. Va ribadito, inoltre, che Caprin attribuiva l’opera nella sua interezza al XV secolo. Che tale proposta fosse errata si seppe appena nell’autunno del 1906, quando lo storico d’arte Adolfo Venturi visito l’Eufrasiana. Questi, “osservan-do la pala concluse subito che cinque sezioni con le figure non fossero originali, ma realizzate in un periodo successivo“”10. Amoroso stabilı rapidamente un nesso tra la valutazione dello storico dell’arte e i dati d’archivio sino ad allora inediti. Da questi dati si deduce che il giorno 6 febbraio 1669 (?) un certo Domenico Furlan di Colloredo derubo la pala dell’altare principale e si porto via l’ostensorio e la pisside. Il delinquente fuggiasco, acciuffato a Cittanova e ricondotto a Parenzo, confesso le pro-

7 G. NEGRI, Memorie storiche della citta e diocesi di Parenzo, in Atti e memorie della societa istriana di archeologia e storia patria, III, 1887, p. 141. 8 T. H. JACKSON, Dalmatia, the Quarnero and Istria, vol. III, Oxford 1887, pp.319, 325-327; F. HAMILTON JACK-SON, The Shores of Adriatic, London 1908, p. 116; H. FOLNESICS – L. PLANISCIG, Bau-und Kunstdenkmale des Kün-stenlandes, Wien 1916, tav. 101b.9 G. CAPRIN, L’Istria nobilissima, II, Trieste, 1907, p. 38, nota 2, fig. alla p. 42.10 A. AMOROSO, Basilica Eufrasiana…, cit., p. 13.

Fig. 2. Antependio prima del danneggiamento del 1974 (fotografia scattata attorno al 1910)

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prie malefatte. Gli oggetti minori li seppellı nella chiesetta di S. Pietro presso Antena-le, mentre i Santi grandi li nascose sotto le rovine vicino alla chiesa di S. Agata che si trovava presso l’entrata di Cittanova. Tutti gli oggetti furono trovati e recuperati. Qual-che giorno piu tardi (19 febbraio) il ladro fu condannato alla pena capitale mediante la fucilazione e il suo corpo venne bruciato. La sentenza fu eseguita il giorno 23 dello stesso mese11.

Grazie alle informazioni di Amoroso ap-prendiamo quanto scritto alla fine del do-cumento in questione, ovvero che la pala, seppur tutta rotta, fu riparata e ricollocata al suo posto. I dati riportati da Amoroso su questo malaugurato evento possono essere integrati da altre fonti inedite rinvenute re-centemente nell’Archivio di Stato di Pisino dalla direttrice del Museo Civico di Parenzo Elena Vekiæ Uljanèiæ. Nella raccolta di docu-menti notarili di Parenzo si trova il verbale pertinente all’ultima volonta del condanna-to, steso il 22 febbraio 1699, dunque un gior-no prima dell’esecuzione. Nel documento si legge che Domenico Furlan ... ligato, mano e piedi... ...ritrovandosi in boni sentimenti san di mente senso loquela et Inteletto… dichiara di la-sciare tutti i suoi averi alla chiesa parentina

per riparare ai danni da lui arrecati12. Un mese piu tardi furono intraprese tutte le azioni necessarie per vendere a favore della chiesa i beni del rapinatore sacrilego che …diede motivi d’horore negl’habitanti, di

11 Alli 6 Febbraio 1669 venne derubata la pala dell’Altare maggiore, L’Ostensorio, e la Pisside, da un certo Domenico Furlano da Colloredo. Appena accortasi la citta di tal furto, furono fatte le piu pronte indagini per rinvenire l’autore, e l’argenteria. Si scoperse che un forastiero erasi fatto vedere a Parenzo il giorno innanzi, e che era diretto per Torre. Infatti seguitato sino cola, si seppe che aveva passato il Traghetto, e che all’Osteria, non avendo moneta da pagare, aveva lasciato un pezzo di argento. Allora osservato questo metallo, e dedottasi la provenienza, nom vi poteva essere dubbio per seguitare le sue traccie, e quindi si seguı sino a Cittanova, ove erasi rivolto, e cola fu arrestato, e condotto a Parenzo. Chiamato nell’ufficio del Podesta, confesso di essere entrato in Chiesa per la porta piccola del Sacramento, e che perchiusa di dentro ando ad aprire quella che corrisponde alla vicina Canonica. Fatto tutto cio commise il sacrilego furto. Quando fu sulla terra di Cittanova, le cose piu minute seppellı nella chiesetta di S. Pietro, ch’era vicina alla cosidetta Carega del vescovo, luogo poco lungi dall’Antenale, e li Santi grandi li nascose sotto i ruderi presso la chiesa di S.’Agata, Furono fatte sull’istante le debite indagini, venne ritrovato il tutto, e ricu-perato. Allora il veneto Podesta fece invitare tutti gli avvocati, se volevano ed intendevano fare le consuete difese nel pubblico dibattimento; ma invitati per tre volte, non si trovo chi volesse difenderlo. Raccoltosi allora il Podesta Alessandro Barbaro ed il suo cancelliere, nel giorno19 febbraio del detto anno 1669, sentenzio il suddetto reo, pubblicando il dı seguente la sua sentenza cosı concepita: “condannato o morte Domanı co Furlan q.m, Beltrame da Colloredo, moschettato sı che muora, ed il dí lui cada-vere incendiato. Questa sentenza fu eseguita alli 23. Alessandro Barbaro – podesta.(F. Poelsini, Manoscritto citato).Ibid, p. 14. 12 Domenica 22. febbraio 1699 a Parenzo nella chiesa di S. Michele, con l’assistenza del sig. Antonio Sincich, giudice e di altri testimoni che apposero la loro firma. Ritrovandosi senato, nella Chiesa sudetta dalla parte sinistra poco discosto del Altar di S. Michiel Domenico Furlan quondam Beltrame di Coloredo di Monte Alban ligato, mano e Piedi cosi sentenziato da questa giustitia e sapendo che deve passare di questa e ad altra miglior vita et che ritrovandosi in Boni sentimenti san di

Fig. 3. Dettaglio dell’antependio, seconda sezionesul lato destro

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spetacoli nella sua morte, et incendio13. In ogni caso si deve sottol ineare il probabile errore di Amoroso nella trascrizione dell’anno (1669), poiché gli eventi ivi riportati si verificarono nel 1699.

Dai dati recuperati nelle fonti storiche e dai resti conservati si puo concludere che la pala durante la rapina fu compromessa in modo grave, ma non fu completamente distrutta. Gia la formulazione …venne deru-bata la pala dell’Altare maggiore… suggerisce che non fu alienato l’intero manufatto, ma solo alcuni suoi elementi. Infatti, dal do-cumento traspare con evidenza il distacco dei Santi grandi, descrizione che poteva ri-ferirsi esclusivamente ai cinque bassorilievi raffiguranti i santi, collocati all’interno di altrettante nicchie. meno chiaro inve-ce a che cosa si riferisce l’espressione …le cose piu minute. Si potrebbe forse trattare dell’ostensorio e della pisside, ma anche dei medaglioni con bassorilievi dell’architrave e delle pietre preziose incastonate negli archi della pala. Con ogni probabilita il manigol-do cerco di strappare quanto piu poté, per-tanto c’ da chiedersi davvero quanto fosse rimasto dell’originale. Evidentemente nella ricostru zione alcune parti originarie furono reimpiegate, mentre le figure dei santi ven-nero realizzate ex novo. Solo con una certa

mente senso loquela et Intelletto… Il notaio gli chiese se lasciava qualcosa alla chiesa cattedrale, all’ospedale o ad altri istituti religiosi o alla Casa di Cattacumini di Venetia. L’accusato rispose dicendo che donava tutti i suoi averi alla Chiesa cattedrale di Parenzo, ossia la parte della casa che avrebbe dovuto ereditare a Colloredo nella contrada di Codogniella. La casa in questione, ad un solo piano, coperta in parte con paglia e in parte con tegole, doveva essere divisa con la madre e il fratello. Il valore della parte che gli spettava si aggirava attorno alle 500 lire. Domenico offrı la sua eredita per pagare i danni da lui arrecati alla Chiesa cattedrale. I presenti Christoforo Apolonio, canonico del-la chiesa di Parenzo, Mistro Biasio Biasi fu Valentino, Sime Ladavaz fu. Grga, Mattio Viezzoli fu Nicolo, Rev. Paulo Velouich, parroco. Il notaio che redigeva il testamento era Dionisio Salviati. L’ultima volonta fu presa in consegna dal podesta di Parenzo Alessandro Barbaro (Arhcivio di Stato di Pisino, Contenitore 46, Battaia Pietro not. Pub. Pa-renzo, Instrumenti dell’anno 1705, Libro 21. 10., 35 r et v).13 Illustrissimo S. re. S.r. Pon. Col.mo.Con svalegio sacrilegio fu spogliata questa Chiesa Catedrale dal quondam Domenico Furlan delle cose piu pretiose, e sacre che vi teneva, mentre fracassata l’antichissima sua Palla d’argento indorato, rubbati, e sminuzzati l’ostenzorio, e Pisside dal Ta-bernacolo, diede motivi d’horore negl’habitanti, di spetacoli nella sua morte, et incendio, et di dammo ireparabili nella povera Chiesa. Essendo prossimo a dar le pene dovute all’enorme suo eccesso, feci la sua ultima dispositione, nella quale instituı herede la Chiesa depredata, accio con quel pocco di facolta che s’atrovava on questo mondo, potessi redintegrare in parte possibile i di lui danni, e suffragar l’anima sua agonizante gia nella Chiesiola. Item se ne viene Domenico suo fatto intentionato a voler far eschitare di una casa priondivisa tra lui e la madre et il quel tato e di ricavar denaro da ogni altro effetto, che vi fossi di lui raggione. A questo che stimiamo di diferente natura del fatto abbiamo con procura publica dato l’incombeza di intervenire a solievo della Chiesa sudetta tenendone Noi l’incarico, et autorita da questo Illustrissimo Cons.o con le piu precise premure. E per non mancare ad alcuna parte del nostro obligo, et all’espertazione del Cons:o medesimo si faciamo lento (?) di supplicare

Fig. 4. Dettaglio dell’antependio, capitello del pilastro e medaglione con il bassorilievo raffigurante S. Paolo

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approssimazione, dunque, possiamo definire quali tratti della pala sono genuini e quali risalgono al periodo che seguı la devastazione del 1699, soprattutto a causa della seconda rapina messa a segno nel 1974. In quell’occasione dall’antependio furono strappati i bassorilievi dei santi, i medaglioni con le figure dell’architrave e tutte le pietre preziose tranne una. L’aspetto del manufatto antecedente al 1974 puo essere ricostruito sulla base delle fotografie esistenti, la migliore delle quali risulta quella scattata da Alinari nel 1910. Valutando quanto sfuggito a vari danneggiamenti e con l’aiuto delle immagini si puo attribuire quasi l’intero manufatto attualmente conservato alla fase piu antica. Cio si deduce chiaramente per il basamento, l’epistilio e i pilastri con relativi capitelli. Probabilmente ori-ginali, o almeno in parte sono tali, anche le superfici dello sfondo accanto ai personaggi, le conchiglie eseguite in bassorilievo con archi e bordure laterali. Al XV secolo possono essere attribuiti con cer-tezza i bassorilievi dei santi all’interno dei medaglioni ubicati negli spazi compresi tra le arcate. Per l’argomento trattato in questo contributo appaiono di maggiore interesse proprio i tratti originari in quanto essi, sia per la composizione figurativa estremamente chiara, sia per il repertorio delle deco-razioni, rientrano appieno tra le tendenze artistiche in voga all’epoca della realizzazione della pala.

Oltre a quanto finora detto, la figura del vescovo Giovanni da Parenzo, committente della pala argentea, trattata anche in altri documenti. Cosı nel testamento di sua madre Nemarna del 1425, si parla di Giovanni ancora sacerdote e assente da Parenzo. Baldassino, figlio del fratello del vescovo, Antonio, per lunghi anni ricoprı la carica di fattore dei possedimenti diocesani. Sia Antonio che Bal-dassino portavano il cognome Mohor ereditato dal padre e dal nonno. Il “sacerdote Giovanni di Mo-hor” menzionato nel verbale della seduta del capitolo parentino del 12 aprile 1419, durante il quale

Signoria Illustrissima donato gl’atti del suo fervoroso zelo nel miglior servizzio del Signor Iddio, e della sua Chiesa, facendo usar ogni diligenza non solo, perche segua la vendita della Casa sopradetta, ma anche per venir in cognizione distinta di ogni altra atione appartenente all’heredita del predetto Domenico, ad oggetto di poter con le alienazioni ricavar denaro, e riscovrir i danni, meglio che si possa, di essa Chiesa. Signoria Illustrissima d’ogni applicazione che impiegara in quest’ opera pia havra da S. D. M. piena ricompensa, et oblighera tutta questa Citta a professargli dovere distintissimo, et a vivergli in comune, quali noi a nome di tutti con preferendissima (?) riverenza si firmiamo. Di Signoria Illustrissima / Parenzo il 22 Marzo 1699 (Arhcivio di Stato di Pisino, Contenitore 46, Battaia Pietro not. Pub. Parenzo, Instrumenti dell’anno 1705, Libro 21. 10., 33 r et v.). Ringrazio la dottoressa Uljanèiæ-Vekiæ per avermi concesso le trascrizioni di questi documenti inediti.

Fig. 5. Dettaglio dell’antependio, trabeazione e capitelli dei pilastri

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fu presa la decisione di inviargli la richiesta di tornare a Parenzo e di assumere l’incarico di canonico14. Ulteriori dati relativi al vescovo e alla pala si possono dedurre dal suo testamento redatto il 3 gennaio, tre giorni prima del decesso avvenuto il 6 gennaio 1457. Tale importante documento fu analizzato da Dragutin Nežiæ, defunto vescovo di Parenzo, nella sua opera sopra citata15. Nelle ultime volonta di Giovanni da Parenzo vi un’esplicita nota in cui si afferma che il vescovo dono 200 ducati per la pala realizzata a Venezia (dalla delibera del Consiglio cittadino risulta la sua promessa di 300 ducati). interessante notare che dal testamento emerge in modo significativo da parte del vescovo l’esigenza di spiegare che le sostanze devolute a scopi benefici, ivi comprese anche quelle per la pala, non fu-rono accumulate nel corso del suo episcopato di Arbe (1433-1440), né durante lo svolgimento della funzione analoga che ricoprı a Parenzo (1440-1457), ma adottando una “particolare cura e impegno, mentre a Padova gestiva una parrocchia, teneva le prediche e faceva parte del collegio di esaminatori della facolta di teologia”16. Sulla sua lastra funeraria, scolpita poco dopo la morte, si legge che prima di diventare vescovo egli ottenne il magistero della Sacra Scrittura e il dottorato in scienza17. In altre parole Giovanni nel periodo antecedente al 1433, quando venne nominato vescovo di Arbe, per lun-ghi anni fu professore e parroco a Padova, molto probabilmente gia dal 1419.

Ma ritorniamo alla pala d’altare, ossia all’antependio e alle sue caratteristiche formali e stilistiche, alla luce di tutti questi dati che definiscono il periodo (1451-1454) e il luogo (Venezia) in cui fu rea-lizzato il manufatto, mettendo in risalto la figura e la cultura del suo committente.

Nel campo centrale della pala (lunga 2,8 m e alta 1,25 m) prima dell’ultima depredazione si trova-va un bassorilievo raffigurante una Madonna con Bambino, affiancato rispettivamente da S. Pietro e da S. Mauro da un lato, da S. Marco e da S. Eleuterio dall’altro. L’intera composizione consiste di cinque campi suddivisi tra loro da pilastri rettangolari con basamenti profilati e capitelli decorati da foglie di acanto. I pilastri recano le classiche scanalature rudentate. Il bordo superiore degli archi era ornato da gemme e da vetri incastonati (sopra la Madonna con il Bambino vi sono 9 gemme e sopra

14 D. NEŽIÆ, Ivan Poreèanin… (cit), pp. 211-213.15 Ibid, pp. 213, 215.16 Ibid.17 La lastra, conservata nella cattedrale di Parenzo, inserita nella pavimentazione del presbiterio ove fu collocata in seguito all’intervento di restauro effettuato negli anni Trenta del secolo scorso. Secondo Caprin l’epigrafe si legge-rebbe in questo modo: hic iacet r(everen)dus in (Christo) pater d(ominus) I(o)h(an)es / de Pare(n)tio e(pisco)pus Parentinus q(ui) sacre pagine magisterium ac arcium insigne docroratum / ad de(p)tus qua(m) Arbense [ep(iscop)]atum p… / … an ob]tinuit o[bit a(n)no d(omi)nice nativitatis mCCCCLVII die sesto Ienuari (G. CAPRIN, L’Istria Nobilissima, II, appendi-ce, p. I). Sulla lastra funeraria si veda anche V. EKL, Gotièko kiparstvo u Istri, Zagreb, 1982, p. 150; M. WALCHER, in Istria citta maggiori.,., cit., pp. 154-157; M. PELC, Renesansa, Zagreb, 2007, p. 309.

Fig. 6. Costruzione prospettica dei pilastri sull’antependio

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ogni santo 5 o 6 gemme). Nei triangoli tra gli archi e gli architravi, nei medaglioni tondi, si trova-no i bassorilievi raffiguranti la Madonna e i Santi, realizzati con l’ausilio di stampi, di cui alcuni si ripetono. Delle dieci figure originarie ne sono rimaste solo sei: Cristo con la croce, la Madonna con il Bambino, un santo con il libro e la spada (S. Paolo), un santo con la chiave (S. Pietro) ripetuto tre volte. L’epistilio, di forma e di proporzioni classiche, consiste di un architrave a cinque gradini con decorazione terminale a forma di cimasa18. Lungo il fregio erano applicati tredici medaglioni con bas-sorilievi raffiguranti il Cristo, collocato al centro, e dodici Apostoli di cui solo quattro rimasero al loro posto fino al furto del 1974. Attualmente sono visibili solo i resti di due cornici rettangolari prive di figure. Nel tratto piu alto dell’epistilio si alternano serie di astragali, di ovuli, due file di dentelli e la cimasa terminale. Le superfici piu ampie sono campite da tre tipi di lastrine a bassorilievo tra cui si distinguono tre motivi. Sull’architrave e a livello della base prevalgono le lamelle recanti un reticolo di piccoli cerchi nei quali iscritto un rettangolo con lati convessi e una rosetta al centro. Ognuna di tali lamelle bordata da file di granuli. Accanto alle figure grandi si trovano lunghe lastre con due serie di sinuosi viticci intermittenti, con girali e foglie di varie dimensioni. Il terzo tipo di lamelle non presenta un ornamento realizzato in serie, ma campito da una rete romboidale realizzata grosso-lanamente a mano libera. Si tratta delle riparazioni improvvisate della pala, visto che tali lamelle fu-

18 Mi sembra eloquente confronto con l’architrave quasi identico dell’altare per la cappella Ovetari a Padova di Ni-colo Pizolo (1449).

Fig. 7. Venezia, cappella Mascoli nella chiesa di S. Marco, mosaico con la scena della Morte di S. Maria

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rono utilizzate per ricoprire tutti i tratti su cui in origine si trovava la lamiera recante gli ornamenti appartenenti al primo dei sopra descritti gruppi decorativi. Sui rivestimenti in lamina originali l’or-namentazione, tipica dell’arte gotica, prodotta mediante stampi pressati in serie. Elementi analoghi dal punto di vista della tecnica e della forma si ritrovano anche nel Trecento, pertanto non escluso che possano essere individuati su qualche altro prodotto orafo coevo o anche piu antico. Al mondo gotico appartengono altresı i contorni dei medaglioni sull’epistilio. Nella tradizione medievale rientra l’idea generale dell’opera in questione, che si presenta sotto forma di polittico con la figura principa-le lievemente piu grande posta al centro e affiancata ai lati da una serie di santi collocati negli spazi delimitati da cornici dotate di una pregiata ornamentazione. Queste ultime nella maggior parte dei casi assumono la forma di arco che un topos presente nell’arte per secoli. Ha dunque ragione Lipin-sky nel ribadire il consueto concetto medievale della pala parentina che egli colloca alla fine di quella serie plurisecolare “in cui ogni generazione di orefici e di gioiellieri da Costantino e attraverso tutto il medioevo ebbe l’occasione di realizzare preziosi ornamenti d’altare”19.

Il tema tradizionale fu profondamente ravvivato dalle novita del nuovo lessico figurativo, una moda figurativa che chiamiamo Rinascimento. Va subito notata l’organizzazione dello spazio delle nicchie (destinate ad accogliere figure eseguite a bassorilievo) che risponde ai principi della prospettiva geometrica o centrale. Ad accrescere la sensazione della profondita (quella reale del rilievo di 4 cm) contribuisce anche l’inclinazione particolarmente obliqua del “pavimento”. La superficie del “soffit-to”, decorato da ghirlande, presenta invece un angolo d’inclinazione minore. Si tratta di un’imposta-zione che forse prevedeva un punto di osservazione basso degli spettatori. L’analisi della diffusione dei raggi della costruzione geometrica rivela che la prospettiva non presenta un solo punto focale, aspetto che tuttavia non sminuisce affatto l’impressione di una “scatola spaziale” unica. Inoltre, si puo osservare che la conchiglia al centro di ogni sezione presenta una costruzione spaziale individuale con un proprio punto focale di convergenza. In ogni caso, non da escludere che tali conchiglie fos-sero state realizzate in occasione del restauro del 1699. Tutte queste osservazioni conducono verso la definizione del linguaggio figurativo e dello stile proprio dello strato originale dell’antependio. L’in-sieme della composizione risponde ad una concezione medievale tradizionale, realizzata mediante parziale applicazione di formule figurative del primo rinascimento. Tale impostazione trova confer-ma nella conseguente scelta di repertori decorativi, tutti di origini classiche. Gli astragali, gli ovuli, la cimasa e il pilastro classico sono, infatti, elementi consueti della decorazione architettonica classica tanto cari ad una corrente di artisti con uno spiccato gusto antiquario attestati in Veneto attorno alla meta del secolo. Con ogni probabilita da questa cerchia provengono gli artisti che elaborarono i disegni per i bassorilievi dell’antependio di Parenzo. Lo “stile moderno” o “all’antica”, che raggiunse l’apice proprio nel quinto decennio del XV secolo, naturalmente a Padova. Questo il periodo della “centralita di Padova”, citta da cui le nuove idee figurative rinascimentali si diffusero in tutta l’Ita-lia settentrionale20. Sotto tale punto di vista importante ricordare che il vescovo Giovanni, com-mittente dell’antependio, trascorse un lungo periodo della sua vita proprio a Padova, probabilmente fino al 1433, pertanto, del tutto plausibile un ipotetico successivo riallacciamento di rapporti con ambienti padovani. I rapporti con la citta veneta potrebbero spiegare la modernita e l’aspetto quasi avanguardistico rispetto all’ambiente locale, dell’espressione figurativa di alcuni dettagli della nostra pala realizzata tra il 1451 e il 1454. In effetti, pare che i suoi autori avessero accolto le novita che a Padova rappresentavano Mantegna e Pizzolo, impressionati dal potenziale mimetico e simbolico della costruzione geometrica illusionistica sulla traccia dell’esempio di Donatello.

Probabilmente l’opera di Donatello per l’altare nella chiesa del Santo - con la sua geometria esatta degli impressionanti spazi unificati sotto gli archi a tutto tondo, all’interno dei quali sono rappresen-

19 A. LIPINSKY, Goldene und Silberne…, cit., p. 90.20 A. DE MARCHI, Centralita di Padova: alcuni esempi di interferenza tra scultura e pittura nell’area adriatica alla meta del Quattrocento, in Quattrocento adriatico. Fifteenth-century art of the Adriatic rim. Papers from a colloquium held at the Villa Spelman, Florence, 1994, Villa Spelman Colloquia, vol 5, C. DEMPSEY ed., Bologna, 1996, pp. 57-80.

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tati gli episodi della vita di S. Antonio - segna l’inizio di tante future soluzioni in cui le singole parti divise tra loro da cornici danno vita ad una composizione d’insieme riunendosi in un unico spazio.

proprio quello spirito delle correnti creative presenti a Padova in quel periodo, attestato in modo significativo nella pala di Giovanni da Parenzo, che potrebbe in effetti essere una conseguenza della lunga permanenza del vescovo nella citta veneta, nonché un legame con l’élite culturale padovana che continuo a coltivare. Tuttavia le fonti parlano esplicitamente della commissione della pala a Venezia. Tale dato non va messo in dubbio poiché non in contrasto con le sue caratteristiche stilistiche, dato che la citta lagunare nel corso degli anni Quaranta accolse in modo relativamente veloce, seppure non massiccio, le innovazioni provenienti dalla cerchia padovana. Non si conoscono prodotti orafi veneziani né bassorilievi di quel periodo tali da poter essere comparati con la pala di Parenzo, tutta-via si possono comunque individuare esempi nei quali attorno alla meta del secolo, in un contesto ancora tardogotico, si introducevano, senza o con compromessi, le novita formalmente contrastanti del rinascimento. In tal senso si puo citare innanzi tutto un ciclo musivo che senza dubbio rappre-senta l’esempio monumentale precoce (comunque dopo un episodio forse sporadico di Andrea del Castagno del 1442), se non il primo accoglimento di una nuova sensibilita rinascimentale nella citta lagunare. Si tratta della decorazione musiva della volta della cappella Mascoli a S. Marco, realizzata tra il 1430 e il 1449 (?). Dopo le scena della Nativita e della Presentazione della Beata Vergine al Tem-pio, eseguite in base ai cartoni del pittore tardogotico Michele Giambone, segue la rappresentazione della Visitazione con una piu solida architettura anticheggiante sullo sfondo (in collaborazione con Jacopo Bellini, ?). Il ciclo termina con la rappresentazione della Morte della Madonna collocata al centro dell’esplosione della costruzione prospettica architettonica impensabile senza l’influenza delle sperimentazioni condotte a partire dal 1449 da Nicolo Pizolo e da Andrea Mantegna nella cappella Ovetari a Padova. Proprio Pizolo viene sempre piu frequentemente menzionato come ideatore del cartone per la scena della morte della Madonna21. Non sara un caso che i pilastri della pala argentea di Parenzo, ognuno recante cinque grandi foglie di accanto su ogni lato, rappresentati in prospettiva siano identici a quelli del mosaico monumentale. Non manca nemmeno la analoga serie di ritratti nei medaglioni posti sull’epistilio.

Al vescovato di Giovanni da Parenzo risalgono anche alcune altre opere d’arte, tra cui il polittico di Antonio Vivarini del 1440. Pur non disponendo di notizie certe sul ruolo del vescovo Giovanni nell’ac-quisizione di questo manufatto, si parla comunque di una sua mediazione nell’acquisto. Nel quadro, che contrassegna l’inizio della creazione artistica di Antonio compaiono nella figura della Madonna attenuati elementi della voluminosita rinascimentale realizzati probabilmente sotto l’influenza di Masolino22. Nella letteratura i banchi intagliati del coro della cattedrale di Parenzo, attualmente col-locati nella cappella laterale, vengono riportati come prodotti del 1452 con ogni probabilita acqui-stati dal vescovo Giovanni. Qui si tratta di manufatti tipicamente tardogotici forse realizzati nelle botteghe di Venezia. Il coro che presenta maggiori analogie con quello parentino il coro di Arbe del 1445 (da notare che Giovanni occupava la cattedra di questa citta dal 1433 al 1440)23. Nonostante i banchi del coro e la pala d’altare possano apparire coevi, dal punto di vista stilistico si tratta invece di due mondi completamente diversi. Si giunge alla stessa conclusione quando si vuole comparare la pala e la lastra funeraria del vescovo Giovanni che un bassorilievo gotico convenzionale di tradi-zioni ancora trecentesche24.

21 E. MERKEL, Mosaici e pittura a Venezia, in La pittura nel Veneto. Il Quattrocento, I, (a cura di M. LUCCO), Milano, 1986, figg. alle pp. 229-234; A. DE MARCHI, Centralita di Padova…, cit., pp. 64-65; T. FRANCO, Intorno al 1430: Nichele Giambono e Jacopo Bellini, in Arte Veneta, 48, 1996, p. 13; B. AIKEMA, La Capella d’oro di San Zaccaria: arte, religione e politica nella Venezia del doge Foscari, in Arte Veneta, 57, 2000, p. 30.22 I. MATEJÈIÆ, nel catalogo della mostra: Tizian, Tintoretto, Veronese, veliki majstori renesanse, (a cura di R. TOMIÆ), Zagreb, 2012, pp. 65-66.23 A. QUINZI, Bottega zaratina (?), meta XV secolo. Stalli corali, in Istria. Citta maggiori, (a cura di G. PAVANELLO - M. WALCHER), Trieste, 2001, pp. 152-153.24 Si veda la nota 17.

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Nel territorio della penisola istriana la pala del vescovo di Parenzo rappresenta la piu precoce com-parsa dello stile rinascimentale nella scultura. Determinati elementi caratteristici dell’arte rinasci-mentale, per esempio la prospettiva centrale unica, non fecero la loro comparsa prima di quel periodo nemmeno nella pittura. Per tal motivo l’antependio occupa una posizione rilevante all’interno della storia dell’arte locale e, inoltre, presenta caratteristiche tali per cui andrebbe valutato attentamente il suo ruolo nell’ambito dell’arte veneziana, non solo nell’arte argentiera, ove a quanto pare occupa un discreto posto d’avanguardia.

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