"Adele" di Federigo Tozzi: Storia di una nevrosi

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI CORSO DI LAUREA IN LETTERE Dissertazione finale ADELE DI FEDERIGO TOZZI: STORIA DI UNA NEVROSI Relatore Prof. Beatrice Manetti Candidata: Sara Marzana Anno accademico 2014/2015

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI

CORSO DI LAUREA IN LETTERE

Dissertazione finale

ADELE DI FEDERIGO TOZZI: STORIA DI UNA NEVROSI

Relatore

Prof. Beatrice Manetti

Candidata: Sara Marzana

Anno accademico 2014/2015

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Indice

Introduzione p. 3

1. La logica dell’inconscio in una realtà frammentata

1. Storia editoriale e genetica p. 6

2. Una grinza nell’infinito p. 11

3. Frammento e romanzo p. 20

2. Malattia e cura della coscienza tozziana

1. Una volontà alterata da leggi invisibili p. 25

2. L’autobiografismo «en travesti» p. 32

3. Storia di una nevrosi p. 35

4. James e la cultura scientifica di Tozzi p. 45

3

Introduzione

Adele è un romanzo in frammenti di Federigo Tozzi, pubblicato postumo nel 1979

da Vallecchi, a cura di Glauco Tozzi, il figlio dell’autore. L’opera è il primo tentativo

dello scrittore senese di avvicinarsi alla misura romanzesca, abbandonato, secondo la

critica, per dedicare maggiore attenzione al più avvincente intreccio di Con gli occhi

chiusi, il romanzo pubblicato nel 1919.

La protagonista di Adele è una giovane donna afflitta da una dichiarata isteria, che

non si riconosce nella realtà circostante ed è incapace di intrattenere rapporti

armonici con gli altri. La sua vita procede inesorabile, mentre Adele tenta invano di

raccapezzarsi nel «sogno insopportabile» dal quale non si può svegliare, fino a

quando la solitudine e l’incolmabile vuoto non la condurranno al suicidio: nessuno se

ne accorgerà fino alla mattina seguente. L’analisi di questo romanzo è stata svolta

nell’ottica del fondamentale binomio Tozzi-James, ovvero alla luce dell’influenza

che il lavoro di William James, filosofo e psicologo americano, ha esercitato

sull’opera di Federigo Tozzi. L’autore lesse le opere di James sin dal 1904, e rimasto

affascinato dalle nuove scoperte psicologiche sul flusso di coscienza, la volontà

inibita e il misticismo dei casi eccentrici di psicopatologia religiosa, decise di

riportarne le sfumature tra le vite disperate dei suoi personaggi.

Le opere di James, tra cui i Principii di psicologia, Le varie forme della coscienza

religiosa e La volontà di credere, si rivelano dunque essenziali alla comprensione

dell’enigmatica opera tozziana, in particolare della protagonista di Adele: vittima

della sua corrente interiore continuamente in bilico tra presa di coscienza e ricaduta

patologica, uno dei personaggi più jamesianamente connotati.

Il mio intento è stato dunque ricostruire il quadro di questo romanzo in frammenti,

ponendo un’attenzione particolare al confronto tra l’opera di William James e

l’impianto narrativo di Adele, sulla scorta delle indicazioni fornite dallo studio di

Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia. Il primo capitolo è dedicato

alla ricostruzione della storia genetica ed editoriale di Adele, alla cui stesura lo

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scrittore senese si è dedicato nel primo periodo della sua produzione letteraria, tra il

1908 e il 1914, più precisamente tra il 1912 e il 1913, preservandone soltanto un

abbozzo. Glauco Tozzi, il figlio dello scrittore, ha curato l’opera rilegandone i

frammenti sparsi e riorganizzandone la struttura, operando sia secondo le indicazioni

lasciate da Tozzi sia sulla base di alcune scelte personali, come ho mostrato nel

primo paragrafo. L’intreccio di questo romanzo in frammenti si svolge attorno alle

vicende dei genitori della protagonista, Domenico e Zaira, la domestica Caterina e il

giovane Fabio, del quale Adele si innamora senza la possibilità di poter veramente

amare, vittima di una realtà in cui ogni scopo di vita è assente. Adele è appunto la

storia di una volontà alterata: Tozzi vi restituisce l’immagine di un’anima incapace di

dispiegarsi nella corrente della vita, descritta nel secondo paragrafo. Negli anni di

produzione giovanile, durante i quali l’autore ha diretto il periodico «La Torre», la

scrittura di Tozzi è stata molto influenzata dalla poetica vociana del frammento, che

ritroviamo negli aforismi di Barche capovolte. Nel terzo paragrafo si ipotizza che

l’influenza di James sia già presente in Barche capovolte, dove Tozzi si propone di

seguire attraverso la scrittura i movimenti dell’anima e l’inarrestabile flusso di

coscienza, con l’intenzione di non imporre un controllo razionale sulla materia

psicologica.

Dopo l’infatuazione per il frammentismo vociano, Tozzi dichiara la necessità di

superarlo per approdare al genere romanzesco; egli non vede nel frammentismo un

fine, ma un mezzo per aprirsi ad altro, un’inevitabile sosta. L’intento dello scrittore

senese non consiste unicamente nel recupero di un genere letterario ma nella scelta di

svuotarlo dall’interno, rinnovando decisamente la forma del racconto e lo stesso

flusso narrativo. Adele dunque, al contempo insieme di frammenti e romanzo

compiuto, è il primo tentativo tozziano di avvicinarsi al genere del romanzo, dove

l’autobiografismo dell’autore incontra l’interesse culturale.

Ho iniziato il secondo capitolo, che si addentra più analiticamente nella cultura

psicologica di Tozzi, con la descrizione di Adele, che presenta molti degli elementi

distintivi studiati da James nell’analisi di casi patologici: è un personaggio iper-

inibito, «incapace di fare ciò che non potrà mai fare»; è inoltre un caso di

5

psicopatologia religiosa, continuamente colto da «esaltazioni mistiche». È dunque

evidente l’intento tozziano di attribuire ad Adele le anomalie psichiche studiate dallo

psicologo americano narrando la storia di un personaggio femminile: l’autore ha di

fatto scelto una donna non solo per raccontare ma anche per raccontarsi, proponendo

nel testo un forte conflitto tra la protagonista e suo padre, che ricalca quello vissuto

dall’autore stesso. Ho descritto altre componenti autobiografiche che Tozzi

riconduce ad Adele nel paragrafo L’autobiografismo «en travesti»: il misticismo, la

passione per la letteratura e la malattia agli occhi che colpì lo scrittore senese nel

1904. Tuttavia il filo conduttore di questo romanzo è l’isteria della protagonista: nel

paragrafo Storia di una nevrosi sono indagate principali caratteristiche della

patologia isterica, così come sono state individuate e descritte dagli psicologi

francesi Théodule Ribot e Pierre Janet e successivamente da Freud, per fare luce

sugli aspetti più dolorosi della malattia che affligge Adele.

Nell’ultimo paragrafo, ho ricostruito in che modo lo scrittore venne a contatto con

le opere di James, l’entusiasmo che queste suscitarono in lui, insieme alla volontà di

approfondire maggiormente le sue conoscenze tramite gli studi di Ribot, Janet e

Freud. Dal punto di vista tozziano, leggere le recenti opere riguardanti la malattia

nervosa e i meccanismi dell’inconscio, significava non solo coltivarsi e migliorare la

propria cultura in materia ma anche curare se stesso, indagare nell’intimo della

propria anima tormentata. Da questa matrice psicologica sono nati i personaggi

“folli” dei romanzi di Tozzi, vittime di una visione disperata della vita: la stessa che

non ha mai abbandonato l’autore.

6

1. La logica dell’inconscio in una realtà frammentata

1.1 Storia editoriale e genetica

Adele è un abbozzo di romanzo di Federigo Tozzi, pubblicato postumo dal figlio

Glauco nel 1979 per Vallecchi. Il testo è curato dal figlio dell’autore, Glauco Tozzi,

con un’introduzione di Carlo Cassola. La genesi del romanzo, risalente al periodo

1908-1914, si colloca nel “sessennio di Castagneto”, secondo la suddivisione

effettuata dalla critica per definire i due periodi di produzione di Federigo Tozzi, e

più probabilmente tra il 1912 e il 1913.

In ogni caso c’è per Adele un preciso riferimento alla data a quo,

quanto meno per una importante parte del lavoro: in una

interessante lettera dell’autore alla moglie, scritta a lapis da

Civitavecchia, col timbro postale dell’1-VI-09, tuttora inedita,

descrivendo il suo viaggio in bicicletta da Siena verso Roma,

l’autore le diceva, tra l’altro: “Ho passato con le barche due fiumi,

perché mancavano i ponti”.1

Proprio nelle ultime pagine del romanzo, leggiamo che l’avvocato Belcolori, in

compagnia del figlio Fabio, durante il viaggio in macchina da Siena verso Roma,

attraversando l’Aurelia, supera il fiume Ombrone passando «sopra un chiatta».

Dacché non si è a conoscenza di altri viaggi in cui lo scrittore, dirigendosi verso

Roma, abbia avuto occasione di attraversare l’Aurelia, tranne quello citato, pare

evidente che questa vicenda sia stata narrata in Adele successivamente al giugno

1909. Inoltre, la breve durata delle descrizioni romane esclude, per quanto concerne

il contenuto, una data posteriore al 1914, giacché il trasferimento definitivo a Roma

permise allo scrittore di dilungarsi in rappresentazioni della città maggiormente

esaustive e minuziose.

Sono presenti inoltre alcuni riferimenti all’epoca di Novale, la raccolta di lettere

1 Glauco Tozzi, postfazione, in Federigo Tozzi, Adele, Vallecchi, Firenze 1979, p. 85.

7

che Federigo Tozzi scrisse alla fidanzata Emma, pubblicata cinque anni dopo la

morte dell’autore, nel 1925, che confermano la precocità di Adele rispetto alle opere

successive; ad esempio il nesso tra la descrizione della protagonista che mangia sola

nella casa dei suoi genitori con ciò che l’autore racconta di se stesso alla fidanzata

Emma. Ancora più evidenti sono i legami con quello che diventerà l’intreccio di Con

gli occhi chiusi, i quali portano ad ipotizzare che prima di proiettare se stesso nel

testo sopra citato, Federigo Tozzi tentò di esprimersi in Adele. Secondo l’ipotesi del

curatore, il tentativo fu abbandonato quando l’autore identificò nelle vicende di

Pietro e Ghisola, protagonisti di Con gli occhi chiusi, una trama più avvincente

rispetto alle vicissitudini di Adele e Fabio.

Nel contempo, Tozzi era fermamente convinto che molte pagine di Adele fossero

altamente significative, da salvare dunque, anche singolarmente. Il curatore racconta,

infatti, come queste non furono distrutte né cancellate; anzi lo scrittore le racchiuse

tra grosse righe a matita rossa e verde, attribuendo buona parte dei brani così salvati

un numero, sempre a matita rossa o verde.

Va subito aggiunto che questa numerazione, che non copre dunque

neanche tutti i brani “salvati”, cioè non cancellati nelle pagine superstiti,

dà alcuna idea su ciò che l’autore intendesse fare dei brani così numerati.

Si ha anzi la certezza che le cifre siano state messe non per costituire un

nuovo ordine, ma solo per contraddistinguere i più notevoli tra i passi del

romanzo che dovevano scampare.2

La numerazione inizia al principio del manoscritto con il numero 9, ma come

spiega il curatore non siamo a conoscenza del motivo, e prosegue di brano in brano,

fino al 18 compreso, ordinatamente. Troviamo in seguito uno dei molti frammenti

“salvati” privi di numero, che si suppone fosse il primo ma che non è compreso nel

testo. Dopo il brano numero 18 troviamo il brano numero 2, seguito dai numeri 3, 4,

5, 6, 7 e dal numero 8, attribuito alla chiusa del romanzo. A lato dell’ordine sopra

descritto, il curatore indica per ogni episodio numerato le parole iniziali e quelle

finali.

2 Ivi, p. 89.

8

Glauco Tozzi prosegue ipotizzando che l’unica spiegazione di questa numerazione

consista nell’interpretazione già accennata: iniziando da dove ha collocato il

supposto numero 1, seguito dal numero 2, l’autore ha inteso esclusivamente

discernere, in vista di una qualsiasi diversa collocazione futura, i brani da salvare

fino alla fine; e dopo la chiusa, contrassegnata dal numero 8, ha ricominciato dal

principio del testo a contrassegnare altri brani con i numeri compresi tra il 9 e il 18.

Una riprova ancora che l’autore non intendeva arrivare ad un preciso

intreccio diverso, è data, indirettamente, da certe modifiche che

evidenziano come, non ostante tutto, egli intendesse ulteriormente

operare sempre nell’ambito dell’intreccio originario.3

La più importante di queste modifiche interviene nella descrizione della malattia e

dei funerali di un personaggio che prima era Zaira, la madre di Adele, e in seguito,

nella correzione successiva, diventa la nonna della protagonista. La variazione era

probabilmente funzionale al mantenimento fino al termine della vicenda del

contrasto tra Adele e la madre, che l’autore però non ha più avuto occasione di far

ricomparire.

Glauco Tozzi ricorda ancora che su una specie di copertina, costituita da un

leggero doppio foglio e contenente varie indicazioni a matita rossa e blu, spicca

l’annotazione autografa «Frammenti», preceduta da un’altra, di mano di Emma, che

recita: «Primo abbozzo di romanzo». Accanto vi è il titolo Adele, probabilmente

autografo. Infine Emma ha annotato per sé, sempre su tale copertina: «Cavati dei

brani», intendendo così ricordarsi di aver eseguito una copia a macchina di alcuni

estratti, della quale tuttavia non vi è più traccia.

Il testo che rimane, raccolto nella stessa copertina, è costituito da pagine

dattiloscritte con numerazione autografa a lapis, che procede fino alla pagina 158,

dove finisce il romanzo. Di queste pagine dattiloscritte ne restano soltanto 76 e

presentano numerose “correzioni” successive per “tagli”, le quali si distinguono

chiaramente dalle precedenti cancellature per “normale correzione”. Sono dunque in

3 Ivi, p. 90.

9

tutto 82 le pagine mancanti, in base alla numerazione originaria, rimosse in varie

parti del testo e segnalate dai curatori. Glauco Tozzi specifica che alle 76 pagine

dattiloscritte superstiti sono state ancora aggiunte altre 9 cartelle manoscritte, che si

frappongono tra i brani “salvati”, nonostante l’autore non le avesse comprese nella

sua numerazione. In conclusione, le pagine contenute nel testo sono in tutto 85 oltre

la copertina, circa la metà del materiale originario.

Durante il lavoro di edizione, Glauco Tozzi si è reso conto che, pur essendo

necessario distinguere nettamente i brani che l’autore intendeva salvare,

naturalmente nel loro ordine originario, fosse altrettanto importante riportare tra

parentesi quadre i passi che nelle pagine dattiloscritte superstiti risultano soppressi

per “taglio”.

Di più: il curatore ha poi ritenuto, d’accordo con l’editore, che ai fini

della conoscenza del metodo di lavoro dell’autore, fosse utile perfino

riprodurre anche brani cancellati entro il contesto “salvato” dall’autore:

qui facilmente riconoscibili, anche questi, perché anche essi stampati tra

parentesi quadre. […] Se ne può dedurre che, per il suo intento artistico,

il singolo frammento non vale se lo scrittore non è convinto che esso sia

anche parte necessaria del tutto.4

Per la stessa ragione, specifica il curatore, in quattro note sono state ricostruite

alcune scene come apparivano prima della modifica apportata dall’autore: quella

delle percosse dei genitori di Adele, la prima descrizione del giardino della famiglia

Belcolori, la scena che segue l’uccisione del cane Toppa e il suicidio di Adele.

Non ostante questo, è sembrato pur sempre necessario inserire dove era

opportuno, in carattere corsivo e in corpo minore, alcuni collegamenti e

chiarimenti che il curatore, dopo aver più volte riletto il tutto, era in

grado di dare per agevolare una comprensione più immediata possibile

della trama.5

La seconda edizione di Adele, che risale al 1993, è curata nuovamente da Glauco

4 Ivi, p. 94. 5 Ivi, p. 95.

10

Tozzi ed è pubblicata da Vallecchi insieme a Paolo, un poema in prosa scritto da

Federigo Tozzi nel 1908. L’opera non presenta modifiche rispetto alla prima

edizione. Nella sua introduzione, Marco Marchi sostiene che queste due opere

giovanili, Paolo e Adele, nella loro precocità rappresentino scritti non meramente

preparatori, ma artisticamente validi in se stessi; tutt’altro che “minori” e dotati

ambedue di punte espressive in cui l’autore è al meglio di se stesso. I due testi sono

accumunati da una forte componente autobiografica: Adele sarebbe dunque l’alter

ego femminile di Tozzi, che nello stesso periodo si proietta anche in Paolo.

Anche se i personaggi di Tozzi “non sono altro che fenomeni di

superficie, sotto ai quali scorre un magma comune”, ciò non toglie che

l’autore “senta l’autoritratto in veste femminile come il più consono

all’esplorazione degli istinti”. 6

Il femminile è percepito da Tozzi come «una forza primigenia potentissima,

anteriore alla cultura dell’uomo». 7 Tozzi sceglie dunque Adele per addentrarsi nella

realtà del profondo con una sensibilità diversa, quella femminile, attraverso la quale

è possibile instaurare un contatto differente con le cose. Ciò che colpisce

maggiormente in Adele è la presenza di un forte conflitto tra il maschile e il

femminile, tra un padre e una figlia che seppur vicini, colpiti dalla stessa disgrazia (la

morte della nonna), non riescono a trovarsi, a riconoscersi nel loro legame

sentimentale. Questo contrasto, che emerge sin dalle prime pagine del romanzo, non

si risolve mai, fino alla morte della protagonista. Si tratta dello stesso contrasto che

attanaglia la vita dell’autore, della stessa impotenza che Federigo Tozzi sente nei

confronti del padre, un uomo autoritario, concreto e violento. È interessante notare

come lo scrittore abbia deciso di analizzare il suo più grande conflitto interiore

presentando innanzitutto nel romanzo un personaggio femminile, quindi una figlia, e

secondariamente introducendo un rapporto così minato e irrecuperabile come quello

tra Adele e il padre.

6 Marco Marchi, introduzione a Federigo Tozzi, Paolo. Adele, Vallecchi, Firenze 1993, p. 23. 7 Ibidem.

11

È quasi una necessità per la ricerca che lo scrittore ha iniziato passare

attraverso la donna, colei che abita nel seno della natura con minori

problematismi allontananti e paure del maschio, essa stessa generatrice,

continuatrice e tramite dell’opera voluta, sua complice e sua potenziale

antagonista.8

1.2 Una grinza nell’infinito

«Un romanzo è una cosa che si racconta, e l’atto di raccontare non è altro che

mettere in evidenza le strutture portanti, o almeno quelle che si rivelano come tali al

lettore»9, sostiene Luigi Baldacci. Adele è il racconto di una giovane donna isterica,

la quale vive rapporti conflittuali con se stessa, con i propri genitori e con l’ambiente

circostante. Si tratta di un romanzo frammentato, pieno di parentesi quadre, pagine

eliminate, scarti narrativi e conseguenti riprese.

La storia, ambientata a Siena, inizia con l’introduzione del personaggio di Adele,

figlia del dottor Freschi. Durante la descrizione del ritorno a casa della giovane,

sull’impallidire del giorno, comincia la sua analisi psicologica: «Tutta la sua vita le

sembrava limitata dall’indomani; tutta la sua impazienza era impigliata come da un

divieto fatale. Le pareva che la morte fosse prossima, sopra le colline di Siena, così

alta»10. Adele si avvia verso casa e allo stesso tempo indugia, poi si affretta, teme di

essere inseguita, si ferma per riprendere fiato. È una passeggiata serale per le vie

della sua città, un cammino acustico, animato di suoni e gorgoglii d’acqua.

Attraverso una nota frammentaria dell’incipit, è reso noto che il racconto inizia nel

mese di settembre. Viene poi presentato il padre di Adele, Vincenzo, un medico che

non gode di nessuna stima da parte dei colleghi. Egli è insensibile nei riguardi dei

malati, incomprensibile agli occhi degli altri; soltanto il tono di voce collerico lo

contraddistingue. Adele ricorda, quando contro la volontà del padre, aveva deciso di

8 Ivi, p. 24. 9 Luigi Baldacci, Tozzi moderno, Einaudi, Torino 1993, p. 4. 10 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 5.

12

trasferirsi a Firenze:

E tutta Firenze acquistò per lei una delizia imparagonabile. Il suo cielo

profondo sopra i marmi luccicanti, i suoi piani verdi, dove si distingue

bene la bianchezza dei pioppi sottili, e le sue colline furono amati da lei

insaziabilmente.11

Di ritorno a Siena, la protagonista vive in conflitto con i suoi genitori, soffre di

manie di persecuzione, al punto da pensare che essi, d’accordo con la domestica,

vogliano avvelenarle il vino. Quando la giovane, rientrata a casa, si rivolge alla

domestica chiedendole se abbia riferito ai genitori dei suoi sospetti riguardo alle loro

intenzioni di avvelenarla, la donna non risponde. Adele diviene violenta e scuotendo

per la manica la donna le grida: «L’ho detto perché lo sapessero!». Quindi comincia

a mangiare riflettendo su cose profonde e mistiche e cadendo in un abisso di

disperazione proprio nel momento in cui le pare di accostarsi sempre di più al

concetto che desidera avere della divinità.

Secondo gli studi di Marco Marchi e Luigi Baldacci, confermati dai dati estratti

dai registri del prestito della Biblioteca Comunale di Siena, la lettura delle Varie

forme della coscienza religiosa di William James, risalente al 1902, ha influenzato

notevolmente la composizione tozziana di testi come Paolo e Adele, fortemente

connotati dal connubio tra misticismo e psicologia. Nella sua opera, James pone le

basi per una rivisitazione in chiave psicologica dell’esperienza religiosa, secondo una

prospettiva per cui i termini delle fede religiosa sono definiti dell’individuo stesso:

più precisamente dalla sua profonda esigenza di trovare un punto di riferimento

alternativo dinanzi a un futuro che appare indecifrabile. Nei casi eccentrici di

psicopatologia religiosa, come quello del personaggio di Adele, questa esigenza è

ancora più accentuata: «La religiosità di Adele è una jamesiana religiosità morbid-

minded, ovvero il termine specifico con il quale il filosofo e psicologo americano

William James definì i casi eccentrici di psicopatologia religiosa»12.

Il padre accusa la giovane d’essersi disonorata tornando a casa; la madre, per

11 Ivi, p. 11. 12 Marco Marchi, introduzione a Federigo Tozzi, Paolo. Adele, cit., p. 25.

13

quattro mesi, tutte le mattine s’inginocchia dinanzi alla statua di un santo, e

compiendo ripetutamente questa devozione riesce a trovare un po’ di pace, riuscendo

così a ignorare la condotta della figlia. Adele d’altro canto non trova in nessun libro

cattolico una preghiera degna della sua divina soavità e bellezza: «Soltanto le ultime

cantiche di Dante potevano esprimere tale paradiso e tale verità eterna» 13 . Nel

frattempo giunge un periodo di quiete famigliare, durante il quale, nonostante la

giovane Adele non si occupi di nulla né porti alcun contributo alla vita domestica, la

sua soggettività è tollerata da entrambi i genitori. La tranquillità del focolare non si

protrae a lungo, l’isteria di Adele peggiora, le voci che continua a sentire aggravano

il suo stato d’animo e le recano sofferenza. Pertanto la protagonista non riesce più a

trovare un accordo con i genitori e, travolta dallo sconforto, rinuncia a uscire di casa.

Una cupa disperazione la invase, ma tutti credevano ch’ella fosse per

divenire idiota. Non poteva pregare se in chiesa fosse stata anche un’altra

persona qualunque; ella riusciva e vi tornava, finché non avesse potuto

inginocchiarsi da sola.14

Adele è perseguitata dal dolore. Tutto procede tranquillamente intorno a lei, fuori

di lei, senza di lei. Non c’è alcuna interazione attiva fra l’ambiente circostante e il

suo patimento.

Il padre giunge a casa con un medico pronto a visitare Zaira, la madre di Adele,

che nel frattempo si è ammalata, il quale annuncia che la donna sia colpita da febbri

infettive; non appena Caterina esce per comprare le medicine necessarie, Adele si

sente nuovamente bene, prende in mano alcune rose di carta e provando una

sensazione di calore ricorda il giorno del suo compleanno «così bianco di sole». La

protagonista avverte tutte le sensazioni di quel momento così puro, rimpiangendo

quel tempo colmo di affetto. Adele ritorna alla sua infanzia, si lascia trasportare da

questo salto nella memoria e una volta accortasi di ciò, si sente umiliata, addolorata.

Presto la delusione si trasforma in odio «contro quelle cose, che sono ancora intatte e

13 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 15. 14 Ivi, p. 17.

14

non possono curarsi di lei; che le sembrano brutte e false»15.

L’improvviso ingresso di Adele nel mondo dell’infanzia, dove gli spettri

della memoria si materializzano e traumi profondi mostrano le loro reali

origini, rievoca chiaramente il meccanismo di una seduta ipnotica

freudiana durante la quale i segni di un passato infantile rimosso

riemergono repentinamente dalla dimensione inconscia per mostrare

nette distorsioni al limite della patologia.16

Il racconto torna al tema della morte della nonna, che prima della correzione

autografa vedeva protagonista la madre (uccisa dal tifo). Durante il funerale,

Vincenzo e Adele proseguono in una carrozza chiusa, tuttavia la giovane non vede

l’ora di andarsene, non potendo sopportare la vista del padre che si aggira intorno

alla cassa mentre gli amici lo consolano.

Il rapporto tra la giovane e il padre migliora nettamente dopo la morte della

nonna. Egli accetta pienamente la figlia in virtù del suo bisogno emotivo, e Adele si

sente di nuovo libera, «come se le cose, intatte e spirituali, tornassero a lei»17. La

protagonista sente di dover distruggere qualunque oggetto legato alla nonna e

rifiutando ogni aiuto inscatola tutti gli abiti e i ritagli di stoffa. Al semplice tocco,

avverte che nessuna di quelle cose le appartiene.

Il padre, assicuratosi che non trascurava l’andamento della famiglia, la

lasciò fare; quantunque si acuisse in lui il desiderio di viversene da solo.

Le loro relazioni superficiali divennero di un’ottima cordialità, che

permetteva alle loro indoli così opposte una reciproca sopportabilità.18

Adele si ritrova a pregare soltanto la domenica. Lentamente scompare in lei ogni

sintomo di quell’esaltazione mistica procurata dalla malattia isterica. Così la giovane

trascorre i suoi giorni, tra serenità e inquietudine, reminiscenze e realtà, perdendosi e

ritrovandosi per poi perdersi ancora una volta; è colta da un forte senso d’inutilità, da

15 Ivi, p. 22. 16 Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, Olschki, Firenze 1999, p. 119. 17 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 26. 18 Ibidem.

15

una marcata estraneità verso tutto ciò che la circonda.

Come illustra Salomon Resnik a proposito della storia del termine isteria,

Sigmund Freud aveva analizzato i fenomeni di regressione, nella nevrosi e nella

psicosi, come risposte di un io infantile che, posto davanti a una situazione difficile

da affrontare, si rifugia nel passato: in questo caso regredire equivale a tornare in

un’epoca della propria vita personale in cui ci si sentiva protetti: «Il soggetto in stato

di regressione riprende il suo ruolo di bambino che cerca un luogo, nella propria

“storia” e topografia corporale, dove poter essere protetto dall’impatto della vita

presente»19.

Caterina dedica alla giovane tutte le attenzioni, la circonda di affetto e prevede per

lei un matrimonio con un giovane ricco. Adele, diffidente, contesta la sua

affermazione. Attraverso il racconto della modesta storia di Caterina, l’autore

rappresenta maggiormente il personaggio, che si rivela alquanto segnato dai propri

trascorsi ma incapace di confrontarsi con le proprie emozioni, con le proprie

mancanze, di risolversi. La domestica era una volta sposata con il contadino Martino,

il quale un giorno, recandosi al bosco di Lecceto per prendere della legna, conobbe

un boscaiolo vecchio e curvo, di nome Fiorenzo. Durante la conversazione, entrambi

realizzarono di essere più vicini di quanto credessero: Fiorenzo si rivelò, infatti,

essere il padre di Caterina. Egli aveva avuto da giovane un rapporto con la bella

Maria di Rienzo, la madre della donna, una vecchia contadina morta da parecchi

anni. Martino invitò Fiorenzo al podere, regalandogli l’opportunità di rivedere la

figlia. In seguito lo comunicò alla moglie, la quale provò vergogna e nello stesso

tempo contentezza, non essendo mai venuta a conoscenza di chi fosse il suo vero

padre. Dieci anni dopo tutte le persone vicine a Caterina erano morte. «Una volta,

Adele le chiese: - Pensi mai tu alla tua mamma? - Chi è morto non c’è più»20, è la

risposta della domestica.

Dopo tre pagine mancanti compare la famiglia Belcolori, residente in una vasta

tenuta un po’ fatiscente, non lontano dalla famiglia della protagonista. Fabio, il figlio

19 Salomon Resnik, Isteria, in Enciclopedia, Einaudi, Torino 1979, vol. VII, p. 1025. 20 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 39.

16

dell’avvocato Belcolori, incontrando Adele per la prima volta, se ne innamora:

«L’innamorarsi, molte volte abbatte, ma può anche procurare un senso di ebrietà

piacevole e gaudiosa che esalta l’anima, e la rende come un istrumento capace di far

vibrare l’infinito. E non è possibile contenersi»21.

Fabio è un ragazzo introverso, taciturno, a tratti insofferente e molto sensibile.

Soltanto dopo aver conosciuto Adele ogni cosa diventa incantevole per lui, vede il

mondo intero attraverso la sua figura, ma teme che questa bellezza possa sfuggirgli

da un momento all’altro. Egli comprende il perché di quell’inquietudine che

accompagnava le sue giornate prima di allora e si rammarica di aver incontrato Adele

così tardi. La protagonista invece, dopo aver rivisto Fabio, sente la sua vita

sdoppiarsi, a causa del fenomeno della paramnesia, un disturbo della memoria che si

esprime con il ricordo di momenti non vissuti o situati erroneamente nel tempo.

Onde credette la vita sdoppiata a modo di un raggio e della sua

rifrazione. Come se le sue sensazioni continuassero ad avere un’esistenza

propria, fuori dello spirito; eterne, appunto perché prodotte da lui. Allora

si chiese se dopo la morte, le proprie sensazioni sopravvivessero.22

Durante un temporale, nel corso del quale sente di dover morire da un momento

all’altro, Adele è sopraffatta dall’inquietudine e prega che termini presto. Quando il

sole torna splendere la giovane incontra Fabio, i due rimangono talmente folgorati da

non riuscire a parlare l’uno con l’altra, e due ore dopo la fanciulla riceve un mazzo di

fiori, sentendosi felice come non era mai stata. Adele è innamorata, impaziente,

euforica, ma si chiede quanto durerà. Il personaggio è psichicamente frantumato,

scisso, quindi iper-ricettivo.

Ma un’altra volta, la sua giovinezza le apparve lontana e inafferrabile.

Comprese allora che la sua esistenza era limitata da molte leggi invisibili,

che non si sarebbero piegate giammai. Come la pietra che è infissa nel

suo luogo, come la nuvola che si sperde, ella doveva adattarsi a quello

che le avrebbero preparato. La vita era così immensa che ella non aveva

più la voglia né il coraggio di guardarla. E tutta questa vita era

21 Ivi, p. 44. 22 Ivi, p. 45.

17

indifferente per quello che ne provava.23

Quelle «invisibili leggi» da cui è afflitta e che dominano su di lei non le

permetteranno mai di abitare la vita nella sua interezza; saranno sempre il

campanello d’allarme per una realtà da cui non può che fuggire, perché percepita

come sconfinata e destabilizzante. Baldacci scrive che

Adele è già, come saranno molti altri romanzi di Tozzi, la storia di una

nevrosi, dell’estraneità dell’uomo di fronte al mondo e alle cose. La

protagonista avverte che non c’è più una relazione storica, cioè

logicamente temporale, tra se stessa e gli oggetti che la circondano, e a

questo rilievo corrisponde un’illuminazione dolorosa.24

Adele è prigioniera della sua solitudine, avverte la mancanza di qualcuno che si

occupi di lei, è indotta a vivere un’esistenza limitante dove l’innocenza e l’autenticità

hanno già lasciato spazio alla polvere della vecchiezza: «Tutto le produceva

stanchezza»25.

In un brano la cui prima parte è tra quelle in seguito cancellate, troviamo Adele

intenta a osservare i segatori dalla sua loggia. Per la prima volta la protagonista sente

la sua esistenza collegarsi con tutto ciò che vede intorno a sé; in quel momento si

chiede cosa gli altri pensino di lei. L’incontro successivo tra Adele e Fabio avviene

mentre lei sta innaffiando le piante in giardino e accortasi che il ragazzo la sta

spiando si vergogna di continuare. I due cominciano a parlarsi e a ridere, ad

avvicinarsi l’uno all’altro intanto che il sole splende: «Nelle mani di lei cadde tutta la

luce. Ed essi si baciarono cento volte, nel desiderio ancora puro e intatto»26:

In Adele, come era già avvenuto in Paolo, l’erotico e il religioso sono le

due facce della stessa medaglia, con la conseguente intercambiabilità dei

patrimoni linguistici e simbolici che si è avuto modo di notare. Il sole che

riscalda ed illumina (e spesso brucia e abbacina) è il simbolo paterno

della divinità, ma è anche l’annuncio dell’eros; il connubio mistico è

23 Ivi, p. 54. 24 Luigi Baldacci, Tozzi moderno, cit., p. 66. 25 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 55. 26 Ivi, p. 65.

18

intriso di sensualismo, così come la voluttà è vissuta nei termini della

devozione. 27

Dopo uno spazio bianco, ci informa Glauco, segue la storia dei contadini

dell’avvocato Belcolori, i quali dopo la mietitura uccidono il loro cane perché non

mangi l’uva che sta per maturare. L’episodio è molto crudele. La motivazione non

regge. Essi dibattono sull’uso dell’arma e infine decidono di legare la bestia a un

albero di fico; il cane, abituato ai maltrattamenti, non riesce però a comprendere il

perché di quella piccola corda che gli stringe il collo e diviene triste.

Nel mondo primitivo di Tozzi non ci sono differenze fra le diverse

creature, fra uomini e bestie. È un mondo originario, creaturale, appunto.

Tutte hanno la stessa dignità data dal dolore di vivere, e conoscono la

stessa miseria. Il cane diventa triste come Adele: perché non capisce

niente.28

Dopo due colpi di fucile sparati dal giovane contadino, Toppa è ancora vivo;

continua a guardare negli occhi il suo assassino e tenta ancora di alzarsi, ma senza

pietà il vecchio lo colpisce sul capo con quattro colpi di vanga e l’animale muore.

Nel capitolo successivo l’avvocato Belcolori si trova costretto a recarsi Roma per

lavoro e decide di portare con sé il figlio Fabio, il quale, colto di sprovvista, non

trova il tempo di avvertire Adele. Il giovane si avvia verso casa dell’amata e le

annuncia il suo viaggio di lavoro. I due cominciano un dialogo amoroso in cui

espongono i propri sentimenti e si regalano certezze inverosimili prima della

partenza.

Fabio subisce il rapporto con il padre, non vorrebbe accompagnarlo ma

nonostante ciò non si oppone, non riesce a prendere alcuna posizione. Spera soltanto

che questo disagio possa miracolosamente terminare e non sa quando. Egli soffre di

psicastenia, alla quale è ricondotta la sua sensazione di impotenza psichica.

Il padre gli disse: - Che cosa hai? Tu non sei venuto volentieri. Egli cercò

27 Marco Marchi, Ipotesi e documenti, Marietti, Genova 1993, p. 31. 28 Romano Luperini, Federigo Tozzi. Le immagini, le idee, le opere, Laterza, Roma 1995, p. 102.

19

di sorridere e di scusarsi; ma l’oppressione era immensa come quel sole

infocato. Egli ripensava ad Adele, ripeteva tutto quel che le aveva detto;

ed il suo dispiacere di non averla vicino era tale che egli si disperava e se

ne struggeva. Sarebbe tornato in dietro, subito, se avesse potuto.29

Guardando il mare, Fabio vede Adele. È consapevole della realtà ma si lascia

trasportare dall’allucinazione; è travolto dal suo male. L’avvocato Belcolori decide di

tornare a Siena la sera stessa e il figlio si ritrova colto da un senso di impotenza

fortissimo: «Ogni scopo di vita era assente, disperso non si sa dove e per sempre»30.

Dopo un ultimo spazio bianco, il racconto torna ad Adele. La giovane, sconvolta a

seguito dell’ultima conversazione con Fabio, sembra stimolata da un’esaltazione

mistica in cui le pare di sentire in tutto il suo ardore la benedizione della vita. Il

giorno dopo, invece, Adele è impaurita, pensa che egli non tornerà; ne conclude che

il fuoco di quell’amore si sia già spento e decide che Fabio non la rivedrà più.

Gli iper-inibiti rappresentati da Tozzi non sono destinati ad alcun cambiamento; è

loro preclusa ogni forma di redenzione perché la loro volontà è incapace di credere.

Adele è di nuovo raggiunta da un’irragionevole disperazione, sente che nulla più le

appartiene, soprattutto ciò che potrebbe renderla felice: Fabio, l’amore, il bene; ogni

cosa accade al di fuori di lei.

Tozzi ricavò senza dubbio dalla pagina di James l’immagine della mente

malata che avverte il peso insostenibile della vita, “la soma del male”, ma

se per lo psicologo americano i mali “sono la chiave” migliore al

significato dell’esistenza […] la sola cosa che ci può aprire gli occhi

sugli abissi più profondi della verità”, questo è vero per Tozzi solo in

parte, allorché, per seguire fino in fondo la parabola dell’esperienza

mistica di Adele, siamo costretti a vederla ‘chiudere gli occhi’ sul mondo

e sulla vita, perché essa aveva finalmente compreso “che tutto andava per

conto proprio, al di fuori di lei”.31

Così Adele prende la rivoltella, chiude ogni imposta per guadagnarsi una

completa solitudine, e si uccide. Sino al sorgere del nuovo giorno nessuno se ne

29 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 75. 30 Ivi, p.78. 31 Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p. 174.

20

accorge.

La morte per Adele non è la realizzazione di un sogno, come per Paolo,

ma il segno di un’avvenuta, insopportabile, dissociazione fra io e mondo.

Le cause della morte non vengono lasciate nel vago, ma assumono la

forma del suicidio visto come esito conclusivo di una “patologia”.32

1.3 Frammento e romanzo

La vita di Tozzi è interamente dedicata alla scrittura: «stando alla sua stessa

poetica, è appunto in essa che deve risolversi la fortissima istanza morale»33 Tra le

due fasi della sua ricerca, ovvero il periodo senese, che dura sino al 1914, e il periodo

romano, che inizia nel 1914 e termina con sua la morte, nel 1920, non vi è una

rottura ma un’evoluzione, scrive Luperini. Si tratta tuttavia di due periodi

caratterizzati da differenze notevoli: il primo è contraddistinto dalla direzione del

periodico «La Torre», mentre il secondo trova la sua più importante manifestazione

nel lavoro al «Messaggero della domenica», dove Tozzi è immerso in un mondo

culturale più ampio, circondato da personalità di rilievo nazionale e internazionale.

La rivista fiorentina «La Voce», protagonista del dibattito intellettuale dalla fine

del 1908, con il tempo mostra un’attenzione sempre più vasta ai problemi della

produzione di testi creativi:

Questa letteratura sperimentava inediti modi espressivi, spesso si poneva

in un’ottica d’avanguardia parallela a quella del futurismo rifiutandone

però il culto ossessivo della modernità. La letteratura più

specificatamente definibile come «vociana» si avvolge in un’inquieta e

sofferta indagine nelle pieghe dell’io e dei suoi difficili rapporti con il

mondo.34

La scrittura di Tozzi è inizialmente molto influenzata dalla poetica vociana del

frammento, dove le vibrazioni del sentimento e la ricerca formale procedono di pari

passo, oltrepassando nel lirismo e nella brevità dei componimenti i confini tra prosa e

32 Romano Luperini, Federigo Tozzi. Le immagini, le idee, le opere, cit., p. 102. 33 Ivi, p. 47. 34 Guido Ferroni, L’esperienza letteraria in Italia, Einaudi scuola, Milano 2006, p. 411.

21

poesia. Negli aforismi di Barche capovolte, elaborati nel biennio 1910-11, ritroviamo

la poetica giovanile dello scrittore, dedicata all’esplorazione dell’anima come essa si

rivela abitualmente, senza alcun criterio di valutazione. In nessun altro autore del

Novecento vi è un rapporto così intimo tra letteratura e psicologia. Secondo Delia

Garofano, parlare di “Tozzi aforista”, a rigore di termini, vuol dire parlare di Tozzi

come autore di un solo libro, Barche capovolte. È lo scrittore stesso ad attribuire a

questa sua raccolta di prose brevi, sospese tra misticismo lirico ed autoindagine

psicologico-intimistica, la definizione di “aforismi”, che egli riserverà ad altri suoi

testi di carattere frammentario quali Bestie, Cose e Persone. È pur vero, continua

Delia Garofano, che Tozzi in un’altra circostanza allude agli aforismi di Barche

capovolte anche come a un «libro di psicologia» o come ai propri «principi morali»,

evidenziando per primo la difficoltà di ricondurre a un genere preciso la propria

opera, come hanno concordemente dimostrato gli studi più recenti dedicati

all’argomento35. In questo testo l’autore si propone di permettere che l’anima si

mostri autonomamente, fuggendo da ogni condizionamento del proprio io:

Lasciate sempre che l’anima svolga energicamente le proprie funzioni.

Molte volte sorvoliamo uno stato mentale, che è interessante. Onde,

dopo, ricerchiamo invano riacquistarlo. L’anima vuol spendere bene il

suo tempo, ed è come le nuvole che continuamente cambiano la loro

forma. Quando state per raffigurare qualche cosa, l’anima si avanza con

un altro aspetto.36

Si crea un contrasto tra la levità dell’anima e la volontà di seguirla

affannosamente attraverso la scrittura, aderendovi in maniera spontanea, senza

opporsi al suo libero flusso. Questo corpo a corpo con l’anima per carpirne i segreti

può risolversi unicamente nell’aforisma o nell’appunto lirico, cioè nel frammento,

scrive Luperini. Questa è la linea della produzione giovanile in prosa, da Barche

capovolte a Bestie.37

A questo periodo di formazione nel clima vociano segue una presa di distanza;

35 Delia Garofano, Tozzi aforista, in «Moderna», a. IV, n. 2, 2002, p. 187. 36 Federigo Tozzi, Paolo. Barche capovolte, Empiria, Roma 2007, p. 94. 37 Romano Luperini, Federigo Tozzi. Le immagini, le idee, le opere, cit., p. 81.

22

come ricorda Fernando Marchiori, «egli si scaglierà dalle colonne della Torre contro

la rivista fiorentina puntando invece sul binomio sincerità-provincia e opponendosi

alla falsità di una letteratura malata, lontana dalla verità della vita 38 . Nel

frammentismo Tozzi non vede un fine ma un mezzo per aprirsi ad altro, ad un nuovo

che magari «già esiste fin dai primi secoli della nostra civiltà»39, come dichiara in un

articolo del 1918:

I così detti frammenti lirici, onde sono gremite le riviste e ormai anche i

giornali, sarebbero un segno miserevole se appunto non servissero a una

sosta; di cui non si poteva fare a meno. Ma se essi hanno un valore quasi

statico ed elementare, è evidente che danno anche tempo ad altri scrittori

d’arrivare, con una lentezza di ferita che si rimargina, a produrre con una

decisiva e accettabile lealtà che non si preoccupa delle inezie.40

Tozzi non metterà da parte il suo progetto aforistico durante il periodo romano ma

non a caso sceglierà di rinunciare alla pubblicazione dei frammenti di Cose e

Persone; egli continua a dedicarsi alla componente lirico-soggettiva della sua arte,

seguendo attraverso la scrittura la mobilità dell’anima con l’intenzione di trasporla

nel romanzo e nella novella. Secondo lo scrittore senese il frammentismo ha

rappresentato una sosta, all’interno della tradizione, di cui non si poteva fare a meno.

È necessario però superarlo:

Occorrerà recuperare dal passato la tradizione del genere per calare però

in essa il rinnovamento, tornare alla narratività – con la sua durata, la sua

interna articolazione, i suoi snodi – ma nello stesso tempo inventare un

nuovo tipo di narrazione, fondata sulla ricerca psicologica e sulla fedeltà

ai movimenti minimi dell’anima. Da un lato, quindi, dovrà esserci

l’invenzione dei personaggi e di situazioni che riflettano una determinata

“realtà umana e sociale”; dall’altro sarà necessario il rifiuto di una

narrativa basata prevalentemente sul racconto, a favore di una narrazione

capace di cogliere i “misteriosi atti nostri” e di creare “più moderne unità

38 Fernando Marchiori, Apparizione e transito: le bestie senza favola di Tozzi, in Federigo Tozzi,

Bestie, Manni, Lecce 2000, p. 71. 39 Ibidem. 40 Ibidem (la citazione è tratta da Federigo Tozzi, Realtà di ieri e di oggi, Amadeus, Montebelluna,

1989, p. 40).

23

psicologiche”. Questo progetto, volto non a restaurare il passato ma a

dotare l’Italia di una narrativa moderna di tipo nuovo, è il contributo

storicamente più rilevante che Tozzi, come critico e come elaboratore di

una poetica personale, abbia apportato alla narrativa

primonovecentesca.41

Per la prima volta con Adele, Tozzi cerca di superare il frammento avvicinandosi

alla misura romanzesca, scrivendo quello che resterà soltanto un abbozzo di

romanzo. L’evoluzione consiste non solo nel recupero di un genere letterario, ma

nella scelta di svuotarlo dall’interno, in modo da rinnovare decisamente la forma del

racconto e lo stesso flusso narrativo.42 Non è più necessario preoccuparsi dell’ordine

logico del discorso e delle esigenze della trama, perché secondo la prospettiva

tozziana la scrittura ha il compito di restituire immediatamente la corrente delle

sensazioni che attraversano la vita umana «in una qualunque porzione di realtà

guardata»43.

In Adele, sembra che l’autore abbia in mente una precisa storia da raccontare ma

non sappia dove collocare ogni singolo frammento di ciò che risiede nella sua

immaginazione:

Questa combinazione fra allucinazione e senso della realtà non è casuale.

L’abbandono alla logica dell’inconscio avviene pur sempre in presenza di

un progetto consapevole e del principio di realtà. La stretta correlazione

fra psicologia e forma viene assunta all’interno di un progetto, diventa

strategia di scrittura che, lasciando vuoti di significato e ampi varchi al

non-detto e al non-spiegato, abbandona il lettore in uno stato di leggera

ma costante vertigine.44

È proprio la vertigine a guidare la lettura di un romanzo che appare come un

collage, composto in parte dai brani “salvati” dall’autore e in parte da quelli non

compresi nella sua scelta, che Glauco Tozzi ha introdotto per rendere più agevole la

comprensione della trama. Procede inesorabile un continuo alternarsi di stati d’animo

41 Cfr. Romano Luperini, Federigo Tozzi. Le immagini, le idee, le opere, cit., p. 73. 42 Ivi, p. 83. 43 Ivi, p.87. 44 Ivi, p. 44.

24

e descrizioni, dove non è possibile soffermarsi; sembra quasi che Tozzi non voglia

concedere al lettore il diritto di comprendere ciò che accade nella storia, perché lui

stesso non lo comprende, o per meglio dire non lo domina.

Nel testo è particolarmente evidente ciò che Tozzi intende comunicare scrivendo

in Come leggo io che il «lettore ideale» non si lascia dominare dalla lettura: come

l’autore, egli deve dedicarsi alla profondità e non allo svolgimento dell’azione. «La

sua strategia di lettura non deve basarsi sulla successione lineare del racconto, bensì

sulla interruzione, sulla sospensione, sul ritorno all’indietro, sul salto in avanti45».

Strategia di lettura e strategia di scrittura si fondono dunque, costituendo un impianto

narrativo ancora più enigmatico in quanto frutto di continue doppie scelte:

dell’autore e del curatore. Insieme di frammenti e romanzo compiuto al tempo stesso,

Adele è il primo tentativo tozziano di consegnarsi in un’opera che ne racconti gli

studi, le letture, le ossessioni, i traumi. Si tratta di un esperimento che io considero

riuscito, perché dalle pagine di questo testo emerge tutta la realtà che Tozzi voleva

restituire: tagliente, frantumata, per niente consolatoria. L’impressione è che Tozzi

non scriva né per il lettore né per se stesso, per la vita piuttosto: per rendere omaggio

alla sua crudeltà, negarne l’importanza, acclamarla e intanto colpirla con urgenza, la

stessa di chi continua a cercare la forma più consona per narrare la storia dei suoi

personaggi. La ricerca di una forma narrativa che coniughi la durata romanzesca con

la frammentazione della coscienza moderna per rendere traducibili «i misteriosi atti

nostri» è il problema principale dell’intero percorso creativo di Federigo Tozzi, che

nel 1919, tracciando una sorta di bilancio del proprio lavoro, scriveva:

Molte volte mi sono domandato se nei nostri scritti, con i quali

esprimiamo più fervidamente il pensiero, non sentiamo che le parole

adoperate non hanno più con noi un’aderenza assoluta […]. A me sembra

che tutte le nostre parole, specie quelle più significative abbiano un non

so che di vieto che non vuole adattarsi allo sforzo che noi domandiamo.

C’è da sospettare che esse ci costringano ad un’angustia, da cui ci

vogliamo liberare a tutti i costi.46

45 Ivi, p. 90 46 Federigo Tozzi, Rerum fide, in «Il Messaggero della domenica», 19 gennaio 1919, citato in Delia

Garofano, Tozzi aforista, cit., p. 198.

25

2. Malattia e cura della coscienza tozziana

2.1 Una volontà alterata da leggi invisibili

Adele è la storia di una pazza47, scrive Luigi Baldacci. La protagonista di questo

romanzo è appunto una donna afflitta da numerose nevrosi, di cui Tozzi racconta la

storia avvalendosi della propria cultura di carattere scientifico-psicologico, in

particolare delle opere del filosofo e psicologo americano William James.

La parola nevrosi, assieme a nevrosismo, viene divulgata in Italia probabilmente

da Paolo Mantegazza, che la reputa «parola nuova, perché serve ad esprimere una

cosa che non esisteva, od era così rara da non fermar l’attenzione degli osservatori».

In verità la malattia nervosa era nota sin dalla fine del Seicento: si reputava fosse una

sofferenza della mente che coinvolgeva tutto il corpo, provocando agitazione e moto

continuo, anche del volto48. Secondo l’opinione comune, questa patologia affliggeva

in particolare le donne, che proprio per la loro costituzione delicata sono più portate

degli uomini all’agitazione nervosa e alla malattia mentale 49 . Tra i sintomi era

annoverato un «aumento della sensibilità, della immaginazione, della affettibilità,

della locomotilità, che caratterizza certi individui, ai quali per causa appunto di

siffatta suscettibilità si attribuisce il temperamento nervoso»50.

Adele è notoriamente uno dei personaggi tozziani dallo spessore psicopatologico

più marcato, un prodotto letterario che prende ispirazione dalle più importanti opere

jamesiane: Principii di psicologia pubblicato nel 1890, Le varie forme della

coscienza religiosa del 1902 e La volontà di credere del 1897. Il ritratto della

protagonista di questo romanzo in frammenti corrisponde alla figura di una giovane

donna che fatica a sopportare il peso della sua esistenza, non si riconosce in nessun

riflesso della realtà circostante, è un soggetto che infinitamente cerca quello che

47 Luigi Baldacci, Tozzi moderno, cit., p. 60. 48 Cfr. Anna Panicali, Del secolo «nevrosico», in «Critica letteraria», n. 1, 2005, p. 89 (la citazione da

Mantegazza è tratta da Il secolo nevrosico, Barbèra, Firenze 1887, p. 8). 49 Cfr. G.L. Mosse, L’immagine dell’uomo, Einaudi, Torino 1997, p. 80. 50 Cfr. Anna Panicali, Del secolo «nevrosico», cit., p. 91 (la citazione è tratta dal Dizionario

compendiato delle scienze mediche, Antonelli, Venezia 1829, p. 281).

26

disperatamente non trova. Un personaggio disperato dunque, che nessuno poteva

descrivere meglio di Tozzi, il quale come commenta Baldacci, «aveva una visione

disperata della vita. Penso anche che sia stato il primo scrittore italiano che senza

volere, sia stato esistenzialista»51. Senza volere appunto, perché la vita di Adele,

come la sua morte, non hanno alcun significato; trovarne uno sarebbe l’ennesima

allucinazione del lettore, che continuamente interrotto e lentamente frantumato dalle

stesse parole con cui viene descritta la triste storia della protagonista, non può che

abdicare al senso. Lasciarsi trasportare da Adele significa aderire alla sua follia

isterica, l’unico elemento per capire il puzzle tozziano di cui possediamo i

frammenti.

Lo scrittore senese, quindi, senza avere alle spalle specifici studi

scientifici, lesse le opere di James, forse, in parte, influenzato dalla

cultura fiorentina del tempo, forse per aggiungere un tassello alla sua

formazione culturale e forse anche per rispondere ad un’esigenza

personale, per appagare un’ansia di certezze, quella stessa ansia che, pur

diversamente gestita ed affrontata, è in fondo l’elemento motore di tutti i

suoi personaggi, delle sue bestie.52

Dallo psicologo americano, Tozzi eredita un concetto fondamentale, tale da

decidere le sorti di quasi tutti i suoi personaggi successivi: quello di volontà inibita.

Adele può innamorarsi ma non può amare, riesce a lasciare i genitori cercando

un’indipendenza che non troverà mai, per ritrovarsi al punto di partenza, di nuovo a

casa. Si rivela fin dall’inizio un soggetto iper-inibito: cammina veloce temendo di

essere inseguita e dopo poco si ferma per riprendere fiato; tuttavia Tozzi non le

permette di prendere fiato dalla sua incapacità di vivere, dalla sua isteria, dal

sentimento di morte che la insegue:

Le pareva che la morte fosse prossima, sopra le colline già oscure di

Siena, così alta. La morte che aveva ucciso anche la luna apparsa tra due

nuvolette su tra le cime dei cipressi, tra gli inviluppi dei roghi, tra gli

51 Luigi Baldacci, Tozzi moderno, cit., p. 111. 52 Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit. p. 55.

27

stecchi degli alberi senza foglie, tra i pioppi troppo bianchi che non

potevano difenderla, e qualche angolo di vigna.53

La giovane Adele, vittima dei suoi «impulsi impotenti», conosce stati di quiete

spesso piacevoli, ma ben presto ricade nell’abisso della sua immobilità.

Nell’alternanza di sforzi vani e dolorose frustrazioni si svolge, o meglio tenta di

farlo, l’azione manchevole delle creature inibite di Tozzi, tragicamente coscienti

della propria impotenza e, con essa, dell’immenso dramma della vita 54 . È

un’impotenza che per Adele diventa delirio, come quando «Non le è più possibile

pensare: sembra che a lei si sostituisca un’altra anima. E si abbandona. Tutto quel

ch’ella avrebbe bisogno di dire le sembra così strano e inutile che invece di

rispondere fa una risata»55.

Negli Studi sull’isteria del 1895, Freud aveva scoperto come l’Io si costruisca

delle difese per non vivere una rappresentazione intollerabile, che respinge e dissocia

affettivamente56. È lo stesso meccanismo di cui è vittima la protagonista quando si

sente attraversata da un sentimento più forte della sua capacità di vivere, poiché

«Tutte queste immagini luminose le restano nella mente, abbagliandola, bruciando

ancora come fiamme»57. Ciò nonostante, Adele non è una paziente, è un personaggio

di Tozzi; i suoi conflitti, le sue dissociazioni, le sue risate isteriche non sono e non

devono essere curabili, rimangono manifestazioni affascinanti e profonde dell’analisi

di una coscienza alla quale Tozzi non concede alcuna redenzione, solo «la crudele

verità del suo tartaro pregiudizio di dimostrare a se stesso e agli altri che non c’è via

d’uscita da una penosa e allucinante condizione umana»58.

L’autore senese non condivide l’ottimismo di James: come rimedio al doloroso

stato di una «volontà ostruita, lo psicologo americano propone l’antidoto della

«volontà di credere»59, ovvero la credenza che in ogni momento della nostra vita vi

53 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 5. 54 Cfr., Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, p. 135. 55 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 29. 56 Cfr. Salomon Resnik, Isteria, cit., p. 1020. 57 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 29. 58 Massimo Lippi, Federigo Tozzi: La nostalgia del vero, in «Moderna», a. IV, n. 2, 2002, p. 255. 59 Cfr. Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p. 136.

28

siano delle cose che realmente si decidono in essa e che «non si tratti semplicemente

del monotono tintinnio di una catena i cui anelli furono fabbricati nelle età

primordiali»60.

Il pensiero di James, autore di un’intera opera dedicata alla Volontà di

credere, filosofo disposto a riabilitare il libero arbitrio umano anche a

costo di disprezzarne l’esistenza, non poteva in questo senso funzionare

per l’opera tozziana drasticamente refrattaria a qualsiasi forma di

approccio ottimistico alla vita. Ancora una volta, dunque, seguendo

un’ottica e una visione del mondo tutte personali, Tozzi sceglie e censura

le pagine scientifiche di William James, estromettendole con

straordinaria facilità da un complesso discorso teorico, spesso destinato

ad approdare altrove.61

Tanto è vero che Adele non sentirà «l’intera sensazione della realtà» 62 , per

riempirsi di essa e farne parte integralmente, come soggetto attivo, ma lascerà che il

suicidio ponga fine alle sue sofferenze, allontanandosi da un mondo che mai le aveva

dato importanza. «La vita reale, che non aveva bisogno di lei, era divenuta come un

sogno insopportabile».63 La realtà di Adele prende la sembianza di un incubo a tre

dimensioni: lei, la sua isteria, i suoi genitori. Il rapporto della protagonista con la

madre e il padre, che fin dall’inizio appare compromesso, continuerà a peggiorare,

mentre l’atmosfera in casa diventerà insopportabile. Si tratta di legami tanto

disgregati e frammentati quanto i brani di questo romanzo, afflitti da

un’incomunicabilità quasi insuperabile, che conosce rarissimi momenti di quiete. I

genitori di Adele sono in collera con lei a causa del suo trasferimento a Firenze, che

avviene contro la volontà del padre; dal capoluogo toscano la protagonista torna

trovando una desolante accoglienza che suscita in lei manie di persecuzione:

60 Cfr. ivi, p. 136 (la citazione è tratta da William James, Principii di psicologia, traduzione italiana

con aggiunte e note di Giulio Cesare Ferrari, diretta e riveduta da Augusto Tamburini, Società

Editrice Libraria, Milano 2005, pp. 809-810). 61 Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p. 137. 62 Cfr. ivi, p. 136 (la citazione è tratta da William James, Principii di psicologia, cit., pp. 809-810). 63 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 18.

29

L’indomani disse: - Questo vino è avvelenato! La serva si tacque. – Tu

credi che io non me ne avveda! Ma dillo anche a loro. Se seguitano così,

griderò dalla finestra che vogliono avvelenarmi. La serva richiuse l’uscio.

Ed ella pensò: «Perché non mi ha risposto? Vuol dire che è vero quel che

penso io. Dovrei essere folle se io sbagliassi». E si accasciò nella sua

poltrona. Ma dentro di sé vantavasi di quel tempo trascorso a Firenze, e

decise di non parlare più a nessuno di quei di casa.64

La madre di Adele, una figura non altrettanto presente quanto quella del padre ma

comunque percepibile nel suo conflitto con la protagonista («Bastava che vedesse la

madre per divenire furibonda»65), è ugualmente contraria alla condotta della figlia; la

donna si affida alla preghiera e alla devozione religiosa per rendersi indifferente al

comportamento di Adele. Vi è un punto d’incontro, forse l’unico nel testo, dove

madre e figlia entrano in relazione, perché sono entrambe donne di fede. Eppure,

Adele si rivela nuovamente eccentrica: Tozzi non le risparmia le numerose

«esaltazioni mistiche» 66 favorite dalla malattia isterica, ed essa jamesianamente

partecipa, sostiene Martina Martini, ad una dimensione religiosa in cui la concezione

di Dio è consapevolmente personale:

Sentiva le sue vene come aperte da uno sforzo; ed era indignata. Poi

penso: «Dio mi conduce dove vuole; ma essi non conoscono il mio Dio».

E cominciò a mangiare riflettendo a cose profonde e mistiche. Le pareva,

in questo abisso di disperazione, accostarsi sempre di più al concetto che

ella voleva avere della divinità. 67

Si entra quindi nel mondo della soggettività, dove tutti gli uomini differiscono tra

loro, e l’intensità del loro credo religioso si rafforza in funzione delle proprie

esigenze personali68. Si tratta a mio avviso di una religione paradossalmente umana,

poiché di ogni uomo sono le debolezze, le contraddizioni, le speranze; è umano voler

credere, anche se la protagonista di questo romanzo supererà tale concezione

64 Ivi, p. 12. 65 Ivi, p. 15. 66 Ivi, p. 27. 67 Ivi, p. 14. 68 Cfr. Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p. 157.

30

precipitando nel buio: «Sia che cerchi l’amore sia che cerchi Dio, il personaggio

tozziano si risolverà costantemente in un personaggio di tipo tragico»69. Stipulando

un fondamentale compromesso tra spiritualismo ed esistenzialismo, poiché «i

migliori seguaci del metodo critico non confondono mai il problema esistenziale con

quello spirituale», si entra appunto in una dimensione soggettiva, in cui le linee della

fede religiosa sono decretate dall’individuo, ovvero dalla sua innata esigenza,

amplificata nei casi eccentrici di esasperazione patologica, di crearsi un punto di

riferimento rassicurante in alternativa ai grandi quesiti posti da un futuro

indecifrabile70. Adele fa parte delle «morbid minds», il termine con il quale William

James definisce i casi eccentrici di psicopatologia religiosa che affollano il vasto

panorama delle tipologie umane presenti tra le pagine tozziane71.

La chiesa le pareva quasi un deserto silenzioso, di cui la Madonna di

Giovanni avesse avuto bisogno. E le pareva che la divinità la incitasse a

perseverare, finché anche ella non fosse creduta sacra. Le pareva che

qualcuno avesse dovuto esclamare, scorgendola: «Questa donna era

attesa da noi! Lasciamola predicare! Non udite come predica? Predica,

dunque, predica!» E le sue parole erano udite dovunque avesse voluto.

Tutte le città si volgevano a lei, che rispondeva: «Aspettate. Vedrete

quale sono io. Vi farò il più grande miracolo che io vi possa fare». E si

sbalordiva accasciandosi, con un dolore insistente dentro la testa; un

dolore che la perseguitava perché doveva simbolizzare qualche cosa. 72

Il destino di Adele, prima di risolversi in un esito tragico, incontra quello di un

altro personaggio, altrettanto malato, di cui la protagonista s’innamora. Si tratta di

Fabio, il figlio dell’avvocato Belcolori: un ragazzo introverso, molto sensibile,

affetto da psicastenia. Il loro amore è struggente, conosce momenti di grande

romanticismo, Tozzi ne regala un’immagine più spirituale che carnale. Appare però

evidente che Fabio e Adele non sono due innamorati come tanti altri, poiché

entrambi afflitti da una patologia psichica. Nel brano in cui il figlio dell’avvocato

69 Marco Marchi, Ipotesi e documenti, cit., p. 28. 70 Cfr. Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p. 159. 71 Cfr. ivi, p. 168. 72 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 17.

31

Belcolori si trova costretto ad accompagnare il padre durante un viaggio di lavoro a

Roma, lo scrittore senese, più che altrove, ricorre una cultura psicologica

sapientemente bilanciata tra James e Janet, riuscendo a descrivere con precisione i

sintomi di una patologica condizione inibitoria.73

Fabio non avrebbe voluto accompagnare il babbo, ma egli era in quello

stato d’animo passivo che lascia scorrere gli avvenimenti, subendoli con

disagio, ma senza alcuna iniziativa di opposizione. Soltanto si aspetta che

questo malessere, quasi volontario, abbia termine presto a costo di

qualsiasi cosa; ma si assomiglia a chi non ha più la forza di risalire onde

costantemente è disceso; e quel che occorre si aspetta che capiti,

soffrendo molto intanto. […] Tale indolenza dolorosa è un fenomeno di

psicastenia. Ma ecco che dopo i primi chilometri, i suoi sentimenti

ebbero il sopravvento sì che egli provò una reazione emozionale.74

Fabio ripensa ad Adele e si dispera perché non può averla vicino, mentre la

giovane, temendo di non vederlo più tornare, rinnega il suo stesso sentimento: i due

amanti non si rivedranno più. Il loro è un amore fatale che non avrà seguito, perché

la protagonista morirà:

«Perché doveva morire? Perché tutte le cose andavano in una lontananza

che non le apparteneva più?». Tutte le ombre della vita la chiusero nella

loro vanità e la eccitarono a compiere quello che la sua volontà alterata

aveva parecchie volte considerato come un adempimento finale. Fabio

era lontano come tutte le altre cose belle, le quali erano chiuse in un

ritmo a cui ella non poteva partecipare; tutta la vita era in un ritmo

estraneo a lei. Bisognava dunque trovare una vita differente!75

Francesca Sanvitale scrive che con Tozzi scompare l’assoluta conoscenza del

mondo da parte dell’autore: sembra infatti che i suoi personaggi a volte inventino se

stessi, seguendo in maniera autonoma le loro pulsioni. Essi si trasformano, agiscono,

muoiono e intanto conducono l’autore e i lettori non a spiegare l’enigma ma

unicamente a prendere atto della sua presenza.

73 Cfr. Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p. 140. 74 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 72. 75 Ivi, p. 81.

32

L’enigma, infatti, non è conoscibile, né l’autore può credere di tenere e

muovere i fili delle marionette, di essere il loro dominatore perché è il

primo a non sapere, a non conoscere, a non credere nella propria

lungimiranza narrativa e psichica. Non crede più al suo potere. Ed è per

questo che Tozzi ha indicato molte strade della modernità.76

2.3 L’autobiografismo «en travesti»

Come dubitare che Adele sia lo stesso Federigo Tozzi? La novità di

Tozzi è proprio questo autobiografismo en travesti. […] Tozzi rifiuta

l’oggettivazione del personaggio, e tutte le volte che egli deve scendere

nel profondo di una figura femminile, vi trasferisce se stesso.77

Secondo Luigi Baldacci, e dello stesso avviso sono tutti i critici di Tozzi, Adele

non è che l’alter ego dello scrittore: una figura femminile la cui psiche

profondamente turbata rappresenta il rifugio dell’anima tozziana. La pazzia della

protagonista nasce però da un sentimento critico dell’autore: è l’annuncio del fallito

tentativo di uscire da se medesimo che egli aveva immaginato possibile in Novale,

scrivendo in una lettera del 1907: «ho desiderato spesso divenire uno stocco di

granoturco»78. In Adele, per uscire fuori di sé, Tozzi diventa una donna e lo fa nel

modo più insolente, continuando ad attribuire alla protagonista una sensibilità e

un’impronta culturale sociologicamente impossibili, come ad esempio il riferimento

alla lettura del Paradiso dantesco79: «Soltanto le ultime cantiche di Dante potevano

esprimere tale paradiso e tale verità eterna. Ne aveva una adorazione così sincera che

cominciò ad esserne fanatica».80

L’indizio più esplicito dell’autobiografismo di Adele è il rapporto della

protagonista con il padre, riflesso di quello tra lo scrittore e Ghigo del Sasso, nel

quale la rivolta del figlio, come scrive Luperini, sembra assumere l’aspetto della

trasgressione piuttosto che quello della radicale rottura e della ribellione drastica e

76 Francesca Sanvitale, Federigo Tozzi: La rivolta psichica del personaggio e altre divagazioni, in

«Moderna», a. IV, n. 2, 2002, p. 239. 77 Luigi Baldacci, Tozzi moderno, cit., p.50. 78 La citazione è tratta da Federigo Tozzi, Novale, p. 158. 79 Cfr. Luigi Baldacci, Tozzi moderno, cit., p. 60. 80 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 15.

33

definitiva81. In Adele, la protagonista si trasferisce a Firenze contro la volontà del

padre, trasgredendo quindi alle regole da lui imposte, ma anche la sua partenza non

assume le forme di un vero distacco dalla dipendenza emotiva e dall’autorità paterna:

tornerà di fatto a Siena per vivere nuovamente a casa dei genitori. Adele porta

insomma la stessa croce dell’autore, il suo conflitto con il padre riflette quello di

Tozzi e Ghigo, che termina, e mai completamente, soltanto con la morte di

quest’ultimo. Così, prima di riportarlo brutalmente tra le pagine di Con gli occhi

chiusi attraverso la figura di Pietro Rosi, Tozzi lo impone a un soggetto femminile

afflitto da patologia isterica. Marco Marchi scrive che

Se Tozzi fa di se stesso il personaggio di Adele prima di calarsi nel Pietro

di Con gli occhi chiusi (ma è interessante che qui Tozzi sia anche lo

psicastenico Fabio, il giovane che Adele vorrebbe amare) è

sostanzialmente per andare più a fondo nella comprensione delle regole

che il suo Dio ha imposto a lui e all’universo. O meglio: perché il

nichilismo appurato nei rapporti con il padre sia davvero assoluto.82

Qualora l’autore voglia approfondire le regole che Dio gli ha imposto, o invece si

proietti nel personaggio di Adele perché la donna, colei che abita nel seno della

natura, è più lontana dalla problematicità e dalle paure del maschio83, ciò che appare

indiscutibile è che le risorse personali a cui Tozzi attinge implichino una complessa

strategia di distanziamento che gli permette di creare storie, personaggi e modalità

narrative diversi: di essere Paolo e Adele, come pure Pietro Rosi e Leopoldo Gradi,

protagonista dei Ricordi di un impiegato, e molti altri ancora84.

Adele ha pertanto realizzato di essere «dimenticata come una cosa inutile e a

posta», di non essere veduta e neppure udita, nel suo urlo disperato, nella sua ricerca

di senso, e compiendo un atto escatologico vince la sua solitudine con la morte. Si

tratta di un passaggio obbligato per eseguire la vendetta paterna e accedere alla

totalità di quella «vita differente». Dal padre Adele ha imparato a chiudere gli occhi

81 Cfr. Romano Luperini, Le immagini, le idee, le opere, cit., p. 5. 82 Marco Marchi, Ipotesi e documenti, cit., p. 29. 83 Cfr. ivi, p. 29. 84 Cfr. Marco Marchi, introduzione a Paolo. Adele, cit., p. 9.

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per attendere un calcio o un pugno in testa; chiudere gli occhi per sempre, per lei, è

anche un infantile chiudere gli occhi per non essere vista. E tuttavia le ossessioni di

Adele, la sua frequentazione degli istinti portata al diapason di una «disperazione

folle», trovano al suicidio una motivazione lucidissima: «Essa soltanto aveva dato

importanza a se stessa»85.

Il potere del padre coincide, per Tozzi, con quello di Dio, e ad esso si possono

contrapporre soltanto la lettura e la scrittura: «leggere per esistere, scrivere per

esistere»86. Allo stesso modo per Adele, plasmata secondo le stesse inclinazioni del

suo autore, «Soltanto le ultime cantiche di Dante potevano esprimere tale paradiso e

tale verità eterna»87. Lo scrittore senese, pur non dominando i suoi romanzi, echeggia

in ogni angolo della realtà rappresentata; nelle pagine finali si accosta anche a Fabio,

il giovane psicastenico innamorato della protagonista.

Nel 1904, Federigo Tozzi è colpito da una malattia agli occhi che lo costringe per

alcuni mesi all’oscurità e all’isolamento, caratterizzato unicamente dai continui

contrasti con il padre. Da questa lunga notte, sofferta anche dal punto di vista

intellettuale, Tozzi esce profondamente cambiato e inizia a dare ascolto ad un

fermento religioso interiore. Durante questi mesi frequenta assiduamente la

Biblioteca Comunale di Siena, imbattendosi nelle Varie forme della coscienza

religiosa di William James, come confermano le date delle richieste di prestito.88

Il dramma di Tozzi diventerà quello di Adele, la cui segregazione in casa è

aggravata dalla sopravvenuta malattia agli occhi, come ricorda Glauco Tozzi in una

nota. Adele non desidera che la madre le tenga compagnia in questo difficile

momento, si lascia trasportare dalle sue esaltazioni mistiche, e ciò che più la

tormenta è che tutto proceda inesorabile senza di lei: «Ma intorno a lei, la vita si

svolgeva con lo stesso vigore tranquillo. La natura rigogliosa non si preoccupava di

quel volto dimagrito e bianco e de’ suoi occhi coperti dalle grosse bende»89.

85 Cfr. Id., Ipotesi e documenti, cit., p. 32. 86 Marco Marchi, Leggere ed esistere. Ancora sulla cultura di Tozzi, p. 142. 87 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 16. 88 Cfr. Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, p. 188. 89 Federigo Tozzi, Adele, cit., p.19.

35

Debenedetti, che disponeva di un numero di testi tozziani assai inferiore rispetto a

quello a cui possiamo attingere oggi, ricorda Baldacci, pensava che solo attraverso

l’autobiografia, cioè la rappresentazione della propria nevrosi, Tozzi sia diventato il

grande scrittore che conosciamo:

Naturalmente un’autobiografia per simboli, come in Paolo, Adele,

Ricordi di un impiegato, Con gli occhi chiusi, Bestie, Cose, Persone.

Un’autobiografia che non aveva il compito di fare chiarezza. Anzi il

contrario: fissare in punti oscuri, non razionalizzabili in termini di

superficie, la presenza di verità sommerse, che fossero avvistate ma non

descritte dal segno letterario.90

Adele è dunque un’altra figlia disperata, un’altra figura mutilata, per cui «ogni

scopo di vita era assente», uno dei tanti personaggi-figli di Tozzi, che prima di essere

padre dei suoi romanzi, ne è soprattutto figlio. «Perché fare i figliuoli crocifissi?»,

scrive Tozzi a Emma in una lettera di Novale, il 20 ottobre 190791. Al crescere

dell’universalità di un quesito, aumenta il nostro tormento nel trovarvi una risposta.

2.3 Storia di una nevrosi

In una recensione a Cose e persone del 1982, Luigi Baldacci scriveva: «Adele è

già, come saranno molti altri romanzi di Tozzi, la storia di una nevrosi,

dell’estraneità dell’uomo di fronte al mondo e alle cose» 92 . Tozzi sceglie di

raccontare la malattia nervosa presentando un soggetto femminile che ne subisce le

fatali conseguenze; si tratta di una decisione che potrebbe avere rilevanza storica se

Adele non fosse il primo di una lunga lista di personaggi folli messi in scena

dall’autore.

Nel diciannovesimo secolo, infatti, si pensava che la nevrosi colpisse soprattutto

la donna, giacché trovava origine da uno squilibrio del sentire, da un eccesso di

sensibilità:

90 Luigi Baldacci, Tozzi moderno, cit., p. 86. 91 Cfr. Marco Marchi, Ipotesi e documenti, cit., p. 36. 92 Cfr. Luigi Baldacci, Tozzi moderno, cit., p. 66.

36

Immagino che tutti più o meno conoscano le bizzarrie di carattere delle

donne nervose. Tutti i loro sentimenti sono portati all’eccesso. L’evento

più insignificante può scatenarne l’entusiasmo o la disperazione. Nessuno

come loro piange con tanta facilità. Sembra addirittura che esse

possiedano la chiave delle lacrime. 93

La protagonista del romanzo tozziano corrisponde alla suddetta descrizione:

«Tutte le cose tristi e penose, quantunque lontane, assumevano un’importanza

patologica in lei, influendo nel suo carattere» 94 . Per una società fondata

sull’equilibrio e sul buon senso come quella ottocentesca, che guardava con sospetto

ogni forma di eccesso, i «nervi a pezzi» erano una seria minaccia, in quanto simbolo

di mancanza di freno e misura, commenta Anna Panicali. Non è una coincidenza che

il medico si avviasse a diventare un giudice della moralità. Verso la metà

dell’Ottocento i disturbi nervosi vengono messi in rapporto con la decadenza dei

costumi e si parla di degenerazione 95 . Bénédict Morel, nel Trattato delle

degenerazioni fisiche, intellettuali e morali del 1857, dichiara il suo sconcerto di

fronte al costante progredire in Europa non soltanto della pazzia ma di tutte le

condizioni anormali, in relazione diretta con l’esistenza del male fisico e morale nella

società. Di conseguenza, rappresentare la donna moderna equivale a restituire di essa

l’immagine data dagli studi della scienza positiva ottocentesca, per cui «il mistero

spirituale si concretizza in vibrazioni nervose, inafferrabili stati d’animo,

incongruenze e stranezze», ad esplorare un universo estraneo, la psiche femminile,

cimentandosi nel «tradurre in linguaggio comunicativo la sua incomunicabilità»96.

Tozzi sceglie dunque una strada difficile, si potrebbe dire azzardata, se non si

conoscesse la vastità delle sue letture scientifico-psicologiche, da cui ha preso

ispirazione per narrare non solo la storia di Adele ma quella di moltissimi personaggi

che portano il peso di un’esistenza malata, che non conosce logica ma soltanto

93 La citazione è tratta da Charles Robert Richet, Le indemoniate del nostro tempo, in S. Ferrari,

Psicologia come romanzo, Alinea, Firenze 1987, p. 136. 94 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 80. 95 Cfr. Anna Panicali, Del secolo “nevrosico”, cit., pp. 92-93. 96 Cfr. ivi, p. 101 (la citazione è tratta da Carlo A. Madrignani, Teresa, «povera pazza», in Luigi

Capuana, Tortura, Sellerio, Palermo 1992, pp. 52-57).

37

sensazioni: «Ciascuno ha in sé un mondo, che è indeterminabile. Ciò che ne

mostrano i raccoglimenti o le improvvise realizzazioni è una piccola cosa, rispetto

alla parte destinata a rimanere sepolta per sviluppare quel che soltanto diviene

superficie visibile»97, recita Intorno all’anima, un aforisma di Barche capovolte.

La conoscenza cui Tozzi e la sua scrittura si affidano partecipa dunque,

fin dagli inizi, con i suoi bagagli di intuizione e di certificabili notizie,

alle ipotesi noetiche avanzate dalla civiltà moderna: a quelle,

principalmente, insoddisfatte degli esiti del razionalismo, schierate dalla

parte dei sentimenti e degli istinti e comunque interessate al rilevamento

di una loro ineludibile presenza. Anima e psiche finiscono per Tozzi con

il confondersi.98

È dagli aforismi di Barche capovolte, quello che Tozzi confessa essere un

«piccolo libro di psicologia», che prende inizio la storia della vocazione psicologica

dell’autore, fortemente condizionata dalle letture di James. Baldacci ha perciò intuito

la modernità dello scrittore senese, accogliendo con entusiasmo gli studi di Marco

Marchi grazie ai quali oggi si può ricostruire con sicurezza il quadro della cultura

psicologico-scientifica di Tozzi, in cui è assolutamente centrale il rapporto Tozzi-

James. Di fatto, soltanto in base alle scoperte di Marchi all’interno dell’archivio

tozziano di Castagneto, la critica ha potuto tramutare le precedenti opinioni in

dimostrabili certezze.99

Martina Martina scrive che tali appigli scientifici (l’opera di James, ma è

necessario citare anche quella di Pierre Janet, Jean-Martin Charcot e Sigmund

Freud), sono diventati per l’autore l’unico mezzo attraverso il quale egli è riuscito ad

esprimere il proprio disagio, ad esorcizzare la propria pazzia che, priva del supporto

di un’analisi psicologica, sarebbe rimasta inespressa, condannata al silenzio di

un’interiorità inibita e indecifrabile. Il suo desiderio di conoscenza lo porterà a

superare i limiti della sua sofferta patologia, spingendolo a cercare risposte culturali

al proprio dramma. Non è un caso, continua Martina Martini, se la guarigione di

97 Federigo Tozzi, Paolo. Barche capovolte, Empiria, Roma 2007, p. 130. 98 Marco Marchi, introduzione a Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p.

XVI. 99 Cfr. ivi, p. 11.

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Tozzi, o meglio la presa di coscienza del suo stato interiore, coincide con un

intenzionale ritorno in Biblioteca, come lo scrittore rivela alla fidanzata Emma in una

lettera di Novale:

Ho studiato assai in biblioteca, e sono quasi a raggiungere il nuovo

mondo, che sentivo muoversi dentro di me. Vorrei che tu credessi come

io a qualche cosa di nuovo che io porterò nel pensiero. Leggendo, ora mi

tornano tutte le sensazioni, che prima si perdevano in tutto il male che era

penetrato fino alle ossa della mia anima.100

«Tozzi non ha altra esperienza che di se stesso; cioè dei propri traumi; ma

dovendo illuminare quei traumi propri, deve per forza rappresentare gli altri», scrive

Baldacci101. In Adele, Tozzi assume le sembianze di una giovane isterica, che con la

stessa intensità avverte gli istinti di vita e di morte, senza riuscire a scinderli, a

prenderne il necessario distacco. Vi è una follia dunque, che minaccia costantemente

la pagina tozziana e i suoi protagonisti, quella che alcuni hanno voluto attribuire

personalmente all’autore, altri unicamente al personaggio, ma che necessita piuttosto

di essere riconosciuta all’insegna di una reciproca interrelazione di biografia e

letteratura, patologia e cultura scientifica102.

Il personaggio di Adele recita il dramma dell’impotenza, degli sforzi della volontà

che non hanno seguito, delle vane speranze che faticano a trasformarsi in

soddisfacenti realtà. In questo senso è centrale il pensiero di Alberto Moravia, di cui

Baldacci ricorda le parole in Tozzi moderno: «Tozzi è fisiologico perché sente la vita

come dolore del corpo prim’ancora che dell’anima»103. Sofferenza dunque ma anche

squilibrio; fra gli studiosi dell’isteria, Thomas Syndenham considera la malattia

appunto come l’espressione di una mancanza di equilibrio tra la mente e il corpo104.

La minaccia che Adele percepisce nella porzione di realtà all’interno della quale si

sente imprigionata è sempre un insieme di stati mentali e sensazioni corporee che

100 La citazione è tratta da Novale, p. 80. 101 Luigi Baldacci, Tozzi moderno, cit., p. 38. 102 Cfr. ivi, p. 64. 103 Ivi, p. 78. 104 Salomon Resnik, Isteria, cit., p. 1012.

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non si accordano mai:

Adele si indugiava al sole, provando quelle debolezze repentine che

sembrano soffocanti; ma le ombre erano ancora piene di brividi freddi. Si

accarezzò tutte le braccia; poi salì di corsa in casa, a mangiare quel che

era avanzato del pranzo. […] Non può andare a letto senza assicurarsi

che la gabbia dei canarini è stata attaccata dentro il salotto; ma non vuole

che l’oda Caterina, che sonnecchia aspettando il padrone. Rientra in

camera, provando un benessere profondo che ha atteso da tanto tempo. Si

guarda a lungo nello specchio, non preoccupandosi se alcuni ricordi

smuovono il suo pudore ma trepida, senza sapere il perché, ed entra

piangendo sotto le coltri. Ma il suo pianto è delizioso e inebriante, è

come se disciogliesse una cosa amara; è uno di quei pianti che

somigliano alla voluttà. Le pare di far bene così. Poi ha il bisogno di

trarre giù le coperte e di restare con le ginocchia in alto, piegate, e con le

mani accanto ai fianchi.105

I ricordi smuovono Adele: una volta, due volte, infinite volte, perché Tozzi la

condanna a condurre un’esistenza schiava di essi, che addolorano, umiliano,

provocando una «repugnanza violenta». È vano per la protagonista il tentativo di

dimenticare, per trovare infine pace nell’oblio: la coscienza del passato, afferma

Martina Martini, interviene ad inibire ogni sforzo di fuggirne gli indesiderati effetti

che trapassano eternamente la soglia del tempo. «Sono i ricordi a proibire di far

tabula rasa del passato negativo per illudersi di ricominciare una vita migliore, quei

fantasmi imprevisti ed improvvisi che costantemente minacciano e limitano lo

slancio dell’esistenza umana»106.

Per curare gli individui affetti da isteria, scrive Salomon Resnik, l’approccio di

Freud si fonda proprio sulla memoria contro il processo di rimozione. Il paziente

isterico presenta difficoltà nel ricordare, eppure soffre di reminiscenze, come già era

stato notato da Moebius, Strumpell e Janet. Non si tratta solo di risvegliare il ricordo

del malato in questione, significa anche «dare parola» all’affettività, trasformare la

sua amnesia in storia vissuta. L’atto del «ricordare» presuppone una distinzione: la

riproduzione può essere isolata e depersonalizzata, e in questo caso si tratta di un atto

105 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 27. 106 Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p. 113.

40

sans affectivité; al contrario, se ricordare appare doloroso, fatto «col cuore», il gesto

è compiuto avec affectivité107.

Il personaggio tozziano, comincia a ricordare, senza l’aiuto di un vero e proprio

analista, bensì per mano di un abile scrittore armato di studi psicologici: è così che

l’autore riporta in superficie l’affettività della protagonista. Quando Zaira, la mamma

di Adele è colta da febbri infettive, Adele si sente «come una cosa inutile e a posta»,

quasi dimenticata dai suoi affetti più cari, e inizia a ripercorrere il piacevole passato

mentre osserva gli oggetti attorno a sé:

E riprovò il sapore dei molti confetti mangiati, e rivide tutti gli abiti delle

invitate che si stringevano intorno a lei, ricordandosi di una vecchia che

emanava un odore forte di canfora e di spigo. Ritrovò, dunque, di quel

tempo un affetto intenso; di cui aveva un’acredine d’invidia. […] Allora

ella ebbe una di quelle mattinate, quando tutta la vita sembra lieve come

un sogno solitario. Anche una foglia tenue che sia rimasta in cima agli

stecchi di un albero fa piacere. I canarini mangiavano molto. Ella li

guardò e sorrise. Poi entrò in un altro salotto, non ricordandosi più di

nulla.108

Dalla denuncia di un senso di impotenza di fronte al flusso associativo dei ricordi,

al tentativo di indagare scientificamente le origini più profonde del meccanismo

mnemonico, afferma Martina Martini, lo scarto è assai breve: Federigo Tozzi, sulla

scorta della teoria psicologica di James, non si lascia intimorire dalle zone oscure e

indefinibili a cui conduce l’indagine sulla psiche umana, ma si lascia affascinare da

una dimensione in cui il meccanismo della rimozione giustifica le molteplici e

improvvise «rispondenze simboliche» che occupano il mondo dei ricordi109.

È opportuno notare, che la parola «inconscio», appare già nel 1895, nei freudiani

Studi sull’isteria. Pierre Janet, il neurologo francese direttore del laboratorio di

psicologia patologica della Salpétriere, utilizzava in quegli anni il termine

«subconscio» (sous la conscience), adottato per breve tempo anche da Freud e

107 Cfr. Salomon Resnik, Isteria, cit., p. 1018. 108 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 21. 109 Cfr. Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p. 114.

41

sostituito successivamente con quello più appropriato di «inconscio» 110 .

Continuamente tormentata da paure inconsce, Adele durante la malattia della madre

è afflitta dal ricordo di un passato che non potrà più tornare, di un’infanzia perduta

per sempre:

Ma in quest’altro salotto, ecco la poltrona rossa della nonna, ed ecco la

sua fotografia incorniciata, che non ha niente a che fare con l’immagine

interiore che si produce in lei; ecco che le stoviglie fiorite che si

adoprano soltanto nei giorni solenni. Ed ella pensa: «Sono tornata

bambina mamma! Verrò a scaldarmi nel tuo letto, quantunque i miei

piedi ghiacci ti faranno andare in collera» […] Poi Adele si accorge di

questo trasporto nel passato, addolorandosi e umiliandosi. La porta della

madre è lì da vero, ma ella vi passa innanzi in punta di piedi, e si

allontana.111

Pierre Janet aveva parlato, scrive ancora Resnik, della «doppia coscienza» delle

isteriche e della loro sofferenza a livello della memoria: l’isterica soffre di

reminiscenze, è assalita dal suo passato, legata a certi fatti della sua biografia

personale che non può associare in modo adeguato. La rimozione di un fatto

importante, di una situazione traumatica, prevede l’ingresso di immagini molto varie

che si riallacciano allo stesso avvenimento; corrisponde spesso a un’amnesia a livello

di pensiero, legata a un dato evento che a sua volta nasconde un fatto coscientemente

rinnegato: è un «ricordo di copertura», secondo Freud. «Ma la cosa più curiosa

dell’isterico, per ritornare alla dissociazione, è che il corpo può esprimere,

separandosi dalla coscienza, certe situazioni nascoste ad essa»112. Le gambe di Adele

infatti, si allontanano silenziosamente dalla porta della camera della madre, perché

pur inebriandosi del ricordo di un’infanzia felice, la protagonista inconsciamente sa

di non averne vissuta una. Ha sostituito un ricordo doloroso rimosso con

un’immagine accettabile, ma non a caso si sente umiliata, addolorata. Il suo non è un

passato felice e tornare bambina non le regalerebbe mai la spensieratezza che non

trova nel presente. Sono numerose le battaglie perse contro i fantasmi del passato che

110 Cfr. Salomon Resnik, Isteria, cit., p. 1018. 111 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 22. 112 Salomon Resnik, Isteria, cit., p. 1023.

42

propone la pagina tozziana, ma l’effetto più incisivo è ottenuto come sempre quando

un delirio muta repentinamente in un’espressione patologica che ne amplifica gli

echi, come succede ad Adele:

Così passano i suoi giorni; ed ella, intanto, si fa capace di guardare quel

che avviene intorno a lei. Si ricorda di quando, bambina, pensava: «O

sole, voglio venire a trovarti!» E temeva di non riuscirvi mai, perché il

sole dubitava che ella avesse ridetto ad altrui quale sarebbe stato il suo

orgoglio giocondo. Ed ella gli prometteva sempre di stare zitta! E quando

esso era tramontato sotto, ella abbassava gli occhi e le pareva di essere

triste e inutile, così inutile come ora.113

Secondo Marchi, si tratta di un ricordo di separazione: «la pena resistente che

Adele ha di se stessa è la pena della distanza»114 dalla dimensione passata e da quella

presente, in cui la protagonista non riesce a trovare una collocazione, un qualunque

angolo di spazio reale in cui «raccapezzarsi». Tozzi ci suggerisce la soluzione

dell’enigma di Adele, o meglio ci lascia intravedere una possibilità di salvezza, che

tuttavia non concede alla protagonista: «Ci sarebbe stato da pensare ad altro, ma ella

non ne era capace»115.

Comprese allora che la sua esistenza era limitata da molte leggi invisibili,

che non si sarebbero piegate giammai. Come la pietra che è infissa nel

suo luogo, come la nuvola che si sperde, ella doveva adattarsi a quello

che le avrebbero preparato. La vita era così immensa che ella non aveva

più la voglia né il coraggio di guardarla. E tutta questa vita era

indifferente per quello che ne provava.116

Neppure l’amore riesce a destare la protagonista dalla sua follia isterica, anzi, ne

aumenta l’intensità fino a renderla inerme: quando l’amato Fabio le comunica di

dover partire per un viaggio di lavoro, Adele riesce a mantenere un certo controllo,

pur perdendosi nei meandri della malinconia romantica, ma resta comunque

113 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 30. 114 Marco Marchi, Ipotesi e documenti, cit., p. 32. 115 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 61. 116 Ivi, p. 54.

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sconvolta dal colloquio con il giovane. «Ebbe paura che Fabio non tornasse più; le

pareva già lungo tempo di non vederlo che ella si stupì di pensare a lui come a una

persona da cui potesse attendere qualche cosa117». È ancora Resnik a fornire una

spiegazione essenziale dell’eterno ritorno in cui è immersa la protagonista:

Nell’isteria, comunque, l’Io si sottrae alla sofferenza di un Io pulsionale

condannato al dispiacere o a un piacere «troncato». La rimozione, come

nelle altre nevrosi, consiste nel respingere l’angoscia e il dolore sino al

punto di fissazione predeterminato. Ma la componente narcisistica dell’Io

non accetta lo scacco, né la frustrazione di un piacere irraggiungibile, né

la perdita del proprio prestigio nei confronti di un Io ideale. L’isterico

cerca il suo oggetto ideale, il suo ideale dell’Io, dove il suo Io ideale

possa realizzarsi. Quest’ultima nozione, che in Freud anticipa quella di

Super-io, corrisponde ad un’immagine idealizzata del padre.118

Quando la pagina tozziana si addentra nei meandri dell’anima, scrive Martina

Martini, in essa scopre che «molte delle sue determinazioni, anche quelle che

sembrano improvvise, hanno le radici nei recessi del passato».119 La sensazione di

Adele che la conduce a pensare di essere invisibile, dimenticata, come una cosa

inutile, come un oggetto che si non si percepisce nella stanza, un mobile da sempre

presente nell’arredamento che mai sia stato riconosciuto come parte integrante

dell’arredo, è un’idea costante che tormenta la sua esistenza e trascinerà la

protagonista verso il suicidio. «Secondo Janet, le “idee fisse”, nell’isteria, rivelano

una persistenza della domanda o di certe preoccupazioni psichiche o somatiche»120.

Adele si affligge ma nessuno se ne avvede: il padre, la madre, Caterina, Fabio, non

sono che scie lontane dalla bufera patologica nella quale è immersa la protagonista,

la quale non è provvista di remi per navigare nella tempesta della propria anima.

Come «l’utero errante», anche l’isterico trova difficilmente il proprio

spazio e la propria ragione d’essere nel corpo sociale. A livello nevrotico

come a livello psicotico, egli arriva a strutturare il proprio mondo isterico

117 Ivi, p. 79. 118 Salomon Resnik, Isteria, cit., p. 1026. 119 Federigo Tozzi, Paolo. Barche capovolte, cit., p. 117. 120 Salomon Resnik, Isteria, cit., p. 1026.

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e a destrutturare e decomporre il mondo storico, il mondo della realtà.121

Fondamentale per lo studio di questa patologia diventa l’analisi della dimensione

onirica del soggetto isterico. La ricerca di Freud sull’isteria si collega a quelle

sull’inconscio e sul sogno; gli stati oniroidi dell’isteria, infatti, sono dei veri sogni

psico- e socio-drammatizzati che caratterizzano certi stati deliranti di personalità

isteriche con tendenza alla dissociazione schizoide. Non c’è da meravigliarsi dunque,

commenta Luperini, se nell’opera tozziana l’allucinazione e il sogno non sono solo

temi specifici, ma una sorta di condizione permanente. Onirismo e visionarietà sono

momenti essenziali dell’arte tozziana, la rappresentazione dell’interiorità profonda di

chi vive «con gli occhi chiusi» realizza l’effetto di un’incessante visione disturbata

del mondo.122 L’isteria notturna di Adele né è un esempio:

Poi il sonno la prende. I suoi sogni sono rapidi e pieni di emozioni. Uno è

tale che la desta. Allora di male voglia, poi che il sonno le pende sopra,

guarda il chiarore violento della luna piena. Sembra che i raggi abbiano

da dirle qualche cosa. Ma ella vorrebbe rispondere: «Dormite anche voi».

E si riaddormenta, mentre tutti i suoi sogni le fanno la stessa impressione

inspiegabile dei raggi.123

In un continuo alternarsi di sonno e veglia, per soffermarsi talvolta nell’arco di un

dormiveglia semicosciente, continua a svolgersi all’interno dell’opera di Tozzi il

jamesiano flusso dei pensieri, delle immagini e delle sensazioni, dando origine a esiti

certamente fra i più originali che la nostra letteratura primonovecentesca possa

vantare124. Tozzi si dimostra dunque analista visionario dei suoi torbidi romanzi,

individuo malato avido di cultura psicologico-scientifica, ma è prima di tutto un

uomo ha che dedicato l’intera vita alla scrittura, consapevole della propria modernità:

«In altre parole, Tozzi era capace di essere uno, nessuno, centomila; e noi dobbiamo

121 Ivi, p. 1029. 122 Romano Luperini, Federigo Tozzi. Le immagini, le idee, le opere, cit., p. 36. 123 Federigo Tozzi, Adele, cit., p. 28. 124 Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p. 99.

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vedere in lui prima il grande scrittore e poi il grande malato»125.

2.4 William James e la cultura scientifica di Tozzi

Negli ultimi anni, le prospettive critiche intorno all’opera di Federigo Tozzi hanno

subito un mutamento di rotta, soprattutto grazie alla pubblicazione di vari inediti e in

particolare di Adele, che ha costituito un punto di partenza fondamentale per

un’analisi ancora più profonda della cultura tozziana. Confermata la straordinaria

modernità dell’arte di Tozzi, ad essa si aggiunge la definitiva consapevolezza che

l’autore «non procedeva rabdomaticamente, come per lungo tempo si era creduto, ma

si abbeverava a fonti scientifiche ben precise, a quelle stesse fonti e a quella stessa

cultura scientifica alla quale si era ispirato l’inventore della psicanalisi»126.

La narrativa tozziana accoglie ed elabora in un singolare sistema creativo più linee

convergenti: la tradizione degli antichi scrittori toscani, l’afflato religioso dei mistici

senesi e una moderna sensibilità psicologica, che pone l’accento sulla patologia

nevrotica, trasferita dall’autore in una prosa che procede per giustapposizioni di

sensazioni ed immagini, fino a cogliere attimo per attimo il senso profondo e oscuro

dei «misteriosi atti» che governano l’esistenza. L’opera dello scrittore senese, letta

in questa chiave, rappresenta una delle più affascinanti e fortunate anomalie che

aprono il Novecento italiano alle influenze della cultura europea ed extraeuropea127.

Così, mentre Adele sfoglia petali di rosa, l’autore sfoglia libri: gli stessi che lo

aiutano a scrutare negli abissi della propria anima, a vedersi sotto una nuova luce, a

indagarsi scientificamente e umanamente, creando personaggi dichiaratamente malati

sulla scorta delle opere di William James.

Secondo Martina Martini, la cui posizione è condivisa da Marco Marchi, è Tozzi

stesso a parlarci del suo jamesismo, ora nascondendolo nella psicologia dei suoi

personaggi, ora facendone il filo rosso del suo aforistico «libro di psicologia» o

ancora esibendone la terminologia scientifica.

125 Luigi Baldacci, Tozzi moderno, cit., p. 42. 126 Giorgio Luti, presentazione di Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p. IX. 127 Ibidem.

46

E chi se non Tozzi stesso – fin dal «primo tempo» di Novale, e cioè dal

lontanissimo 1902, ha ormai trasformato la conoscenza di James in

scrittura, in una testimoniabile prassi quotidiana? «Potrei riportare a mio

comodo – comunica Tozzi alla sconosciuta Annalena, alias Emma

Palagi, nella lettera del 13 dicembre 1902 – una infinità di documenti

psicologici, che io ho la buona abitudine di fermare, ogni giorno, su la

carta quello che è passato nella mia anima».128

La produzione dello psicologo americano comprende soprattutto studi di matrice

scientifica più che veri e propri trattati di filosofia: James coltiva questa disciplina

privatamente e con gli amici del Metaphysical Club da lui fondato, nell’ambito del

quale ha origine il pragmatismo americano. Egli possiede uno spirito inquieto ed

insaziabile, costantemente alla ricerca di un «ideale di vita»: studia dapprima chimica

ad Harvard, successivamente segue corsi di anatomia e fisiologia e infine si laurea in

medicina alla Harvard Medical School, ma non eserciterà la professione.

Ancora non riusciva a cogliere la sua vocazione autentica: mentre la

filosofia gli appariva come qualcosa che avrebbe potuto incrementare

quella che lui stesso definiva la sua «malattia interiore», e cioè la

tendenza a perdersi in se stesso ed a staccarsi dal reale, d’altra parte

intuiva che c’era un modo di accostarsi anche positivamente al problema

dell’esperienza umana, al di là di ogni caduta metafisica o ipocondriaca,

attraverso gli studi di psicologia sperimentale che stavano portando

avanti i ricercatori tedeschi. Fu così che, nella primavera del 1867,

William James arrivò in Germania con l’obiettivo di studiare fisiologia

del sistema nervoso, fermandosi in particolare a Dresda, Berlino e

Heidelberg per vedere come Helmholtz e Wundt riuscissero a studiare

scientificamente gli stati di coscienza, registrandone le implicazioni con

le evoluzioni del sistema nervoso.129

Ancora una volta il dato biografico è prevalente: James stesso è stato per molto

tempo affetto da sindromi di carattere psicosomatico, crisi di ansia e istinti suicidi;

mentre il padre e i due fratelli maggiori erano per di più soggetti a disturbi nevrotici,

di cui lo psicologo durante gli anni dell’adolescenza ha avuto modo di osservare gli

128 Marco Marchi, introduzione a Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p.

XXI. 129 Ivi, p. 19.

47

effetti, scanditi dai ripetuti attacchi isterici della sorella Alice. James, dopo aver fatto

tesoro del tempo passato nelle università tedesche, in cui stava nascendo la «nuova

psicologia», decide di tornare ad Harvard, dove insegnerà fisiologia, allestendo poco

dopo un piccolo laboratorio di psicologia sperimentale e contribuendo in questo

modo a promuovere in America, l’idea che la psicologia dovesse essere prima di

tutto liberata da qualsiasi implicazione metafisica. L’autore dei Principii di

psicologia comprende ben presto che è necessario procedere verso direzioni mai

esplorate dallo sperimentalismo, al quale riconosce tuttavia i notevoli contributi alla

ricerca positiva ed il merito indiscutibile di aver liberato la psicologia dai limiti dello

spiritualismo130:

James capì allora che era necessario connettere la realtà psicologica

direttamente all’esperienza, recuperando così tutte quelle forme di

pensiero collocabili al di fuori della sfera strettamente scientifica ma

altrettanto determinanti nel contesto della storia umana. In questa

direzione la psicologia jamesiana arrivò ad occuparsi anche del pensiero

religioso, etico, poetico, sentimentale e finalistico, tutte esperienze che

avevano alla base una concezione personale del vivere, secondo

quell’ottica soggettiva da sempre invisa ai seguaci della scienza.131

Fino a quando Marco Marchi, attraverso le sue ricerche nell’archivio tozziano di

Castagneto, ha portato alla luce tutti i tasselli delle letture di Tozzi, pochi avevano

riconosciuto nel lavoro dello scrittore senese le incidenze di una ben determinata

cultura scientifica e in particolare dell’opera dello psicologo americano. In una

lettera di Novale del 13 dicembre 1902, Tozzi scrive alla fidanzata Emma: «Stasera,

per esempio, sono più disposto ad esporre un’analisi psicologica, che a cercare fiori

in immagini e fantasmi. Ciò dipende dal fatto che tutto il giorno ho letto un libro

dello psicologo americano James, ossia Gl’ideali della vita»132. Tozzi quindi appare

già, come scriverà Giuliotti, «scavare, nella tristezza della vita, a grande

130 Cfr. ivi, p. 19. 131 Ivi, p. 21. 132 Federigo Tozzi, Novale, in Opere, a cura di Glauco Tozzi, Vallecchi, Firenze 1984, VI, p. 25.

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profondità»133. È ancora tra pagine di Novale che ritroviamo l’appassionata dedizione

con la quale lo scrittore senese si è avvicinato all’opera di William James, in

particolare nella lettera del 29 settembre 1907:

Stamani ho potuto trovare da comprare la mia psicologia a tre lire,

mensili. E ne sono contento per quanto potrò leggerla e la leggerò.

Adesso desidero tanto per precauzione come per un tuo adornamento

intellettuale, che il libro sia tagliato da te e stia nelle tue mani. Col solo

patto che sia toccato soltanto dalle tue mani, e veduto soltanto da’ tuoi

occhi.134

La presenza, nell’archivio di Castagneto, dei Principii di psicologia ha permesso a

Marco Marchi di decifrare l’interesse psicologico che Tozzi rivela in Novale; mentre

le ricerche di Loredana Anderson hanno chiarito il motivo per cui l’autore abbia

deciso di acquistare l’imponente opera di James, dopo averla presa in prestito alla

Biblioteca Comunale di Siena per ben quattro volte nell’arco di un anno e mezzo135.

Pagando a rate la sua cultura del profondo, Tozzi ha incontrato le tre grandi opere di

James: Gli ideali della vita, Le varie forme della coscienza religiosa, in cui è

rintracciabile la prospettiva psicologica jamesiana più innovativa, che condurrà il

personaggio di Adele alle sue frequenti esaltazioni mistiche, e i Principii di

psicologia.

Nel 1905 James partecipò tra l’altro al Congresso Internazionale di Psicologia,

che si svolse in Italia, e in quella occasione ebbe effettivi contatti con l’ambiente

culturale del tempo. Le parole di Giovanni Papini, che esprimono l’ammirazione con

cui i componenti del gruppo pragmatista fiorentino guardavano al proprio maestro,

sono utili a ricomporre il quadro della fortuna di William James in Italia:

Tutti quelli che cercano, tutti quelli che danno la maggior parte di sé allo

studio dell’anima, della conoscenza, della fede, hanno avuto fra le mani i

libri di William James – conclude infatti Papini – sanno che egli, dopo

avere dato il più originale libro di psicologia che abbiano gli

133 Marco Marchi, Ipotesi e documenti, cit., p. 57. 134 Ivi, p. 166. 135 Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p. 13.

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anglosassoni, è passato ai problemi più generali, si è affacciato alla

metafisica, è penetrato nel mondo misterioso delle credenze religiose, ha

restaurato […] quel vecchio metodo inglese di riflessione e di ricerca che

oggi si chiama pragmatismo.136

Tozzi non è un pragmatista. Tuttavia è uno scrittore avido di cultura psicologica,

di quei mondi recentemente esplorati dai più importanti indagatori dell’inconscio. Lo

scrittore senese era perfettamente consapevole della portata innovativa dell’opera di

James. Lo psicologo americano, ponendo l’accento sul «flusso di coscienza», aveva

individuato alla perfezione il fulcro della speculazione psicologica, meglio di quanto

non avessero fatto i suoi seguaci e ammiratori italiani, e si soffermava su argomenti

che trascendevano la concezione pragmatista in senso stretto, per offrire nuovi e

stimolanti spunti di riflessione su termini come «inibizione», «sforzo di volontà»,

«stati di eccitamento morboso», finendo per invadere un terreno dal fascino

inesauribile come quello della conversione religiosa e della «fede psicologicamente

motivata»137. Si tratta di concetti che appassionano il giovane Tozzi, il quale, a

seguito delle letture jamesiane, inibirà la volontà di Adele e quella di molti altri

personaggi successivi, la renderà impotente di fronte ai loro stati di esaltazione

mistica, ossessionata dall’idea di non appartenere al qui ed ora.

James non esitava a segnalare nei suoi lavori la sostanziale novità degli studi di

Pierre Janet relativi a casi di isteria, psicastenia e sdoppiamento di coscienza. In

questo fortunata triangolazione Tozzi-James-Janet ritroviamo le linee deliranti del

personaggio di Adele e dello psicastenico Fabio:

Quando Tozzi scriverà Adele, didatticamente, con un a capo un po’

goffo, ci terrà a caratterizzare la infrangibile soggezione di Fabio alla

volontà del padre e la sua protratta dipendenza, sentenziando con un

linguaggio tecnico da manuale che «Tale indolenza dolorosa è un

fenomeno di psicastenia», così come Adele, prima, ha percepito da

povera malata coincidenze di situazione «per il fenomeno della

paramnesia».138

136 Cfr. ivi, p. 31 (la citazione è tratta da Giovanni Papini, prefazione a William James, Saggi

pragmatisti, Carabba, Lanciano 1910, p.7). 137 Cfr. Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p. 35. 138 Marco Marchi, Ipotesi e documenti, cit., p. 59.

50

Una volta dimostrato come il pensiero di James abbia influenzato apertamente e in

modo non trascurabile l’opera di Federigo Tozzi, il binomio Tozzi-James può offrire

ancora numerosi spunti per indagare sulla cultura scientifica dell’autore. Sono

numerosi gli stimoli culturali che hanno permesso allo scrittore senese di ampliare la

propria cultura psicologica e di trasferirla conseguentemente tra le pagine dei suoi

romanzi139. L’aspetto più interessante di questa mediazione culturale transoceanica si

rivela in un singolare gioco di richiami e rinvii filosofici e letterari gestiti dall’autore

con estrema competenza:

Mentre dunque i Principii di psicologia, l’opera jamesiana più tecnica e

specialistica, divennero il facile veicolo dei nomi più rappresentativi

della cultura scientifico-psicologica del tempo, da Janet a Freud, in opere

come Gli ideali della vita e Le varie forme della coscienza religiosa, nate

dalla raccolta di conferenze rivolte ad un pubblico di giovani allievi, i

nomi di Tolstoj, Whitman, Sant’Agostino, D’Annunzio, costituivano quel

coinvolgente sostrato letterario che doveva facilitare all’inesperto

uditorio l’approccio con la materia psicologica.140

Non si può affermare con assoluta certezza che Tozzi abbia letto Tolstoj,

Whitman, Sant’Agostino e D’Annunzio grazie alle pagine di James, ma non si può

ignorare che il pragmatista americano fornì al giovane Tozzi una chiave

interpretativa di alcuni autori e delle loro opere, e più precisamente l’analisi

psicologica del loro pensiero. In questa prospettiva la categoria di cultura in base alla

quale la critica contemporanea propone il moderno ritratto di Federigo Tozzi

acquisisce un valore ancor più significativo nell’accezione di cultura consapevole e

attiva, capace di unire la tradizione letteraria europea con le più aggiornate intuizioni

della psichiatria, le pagine antiche dei mistici senesi con le complesse teorie della

nuova scienza psicologica.

Le letture di Tozzi sono straordinariamente varie: da Ribot a Freud, da Janet a

Emerson, passando appunto per Whitman, Tolstoj, Caterina da Siena, Bergson,

139 Cfr. Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, p. 245. 140 Ivi, p. 246.

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Pirandello, D’Annunzio, Leopardi, Nietzsche, Dante141. Théodule Ribot, professore

alla Sorbona e titolare della cattedra di psicologia sperimentale al Collège de France,

nonché direttore della rivista «Revue philosophique», è un nome che compare più

volte all’interno dei Principii di psicologia di James. Ribot aveva appunto indagato

sui più importanti meccanismi psicologici e sulla loro patologia:

Qui le nozioni di degenerazione e di ereditarietà tirate in ballo ad ogni

occasione come argomenti onnipotenti per la spiegazione delle

manifestazioni patologiche più disparate subiscono ulteriori contraccolpi.

[…] Tuttavia per Ribot alcune fobie si spiegano tramite la memoria

affettiva, che opera per associazione, di avvenimenti della vita passata, e

persino con un fatto dell’infanzia «di cui non si è serbato il ricordo».142

Nei capitoli dedicati alla coscienza dell’io e alla memoria, James cita lo psicologo

francese, richiamandosi al suo pensiero e illuminandone alcuni tra gli aspetti più

moderni: i concetti di sub-personalità incosciente, la dinamica della memoria

affettiva e il residuo emotivo latente. Tra le opere citate da James nei Principii e

nelle Varie forme della coscienza religiosa, troviamo Les maladies de la mémorie,

Les maladies de la personalité e la Psychologie des sentiments, tutte presenti

nell’interno dell’archivio tozziano di Castagneto.

Sulle stesse pagine jamesiane, Tozzi incontra il neurologo Pierre Janet, direttore

del laboratorio di psicologia patologica della Salpêtriere e titolare dal 1902 della

cattedra di psicologia sperimentale appartenuta in precedenza a Ribot. Dobbiamo agli

studi janettiani sull’automatismo psicologico e sulla nevrosi la collocazione di

fenomeni come l’isteria e la schizofrenia nella sfera delle patologie mentali e non più

in quella dell’ereditarietà biologica. I casi curati da Janet servono a James come

pratico riscontro delle sue considerazioni teoriche: egli citerà pagine intere

dell’Automatisme psychologique, opera janettiana del 1889, all’interno dei Principii.

Nel novembre del 1911 è Tozzi a citare Pierre Janet, in una cartolina

141 Cfr. ibidem. 142 Marco Marchi, Ipotesi e documenti, cit., p. 63.

52

indirizzata a Giuliotti in cui incarica l’amico di una ricerca bibliografica

che gli sta a cuore: «Quando capiterai a Firenze, bada se il Gonnelli ti sa

dire chi è l’editore di questo libro Janet – Le mentalità isteriche, ma

forse, c’è soltanto l’edizione francese; che sarebbe migliore»: L’état

mental des hystériques, appunto; e l’isteria è da tempo argomento per

romanzieri […] La vita delle isteriche ha tutti gli attributi del romanzo

anche per Janet […] che Tozzi ha cominciato a conoscere con ampiezza

tra le pagine dei jamesiani Principii di psicologia.143

In Adele le tracce di Janet sono molto evidenti: la protagonista è un’isterica;

Fabio, l’uomo che Adele non è riuscita ad amare, è uno psicastenico. Così Tozzi,

dopo aver letto le pubblicazioni del neurologo francese, ha introdotto nei frammenti

di questo romanzo i termini scientifici della sintomatologia nevrotica, che si

accostano alla definizione jamesiana del personaggio di Adele come «morbid

minded»144.

Il ritrovamento, nella biblioteca tozziana, di alcune pagine firmata da Freud in un

volume dal titolo emblematico Vita sessuale e malattie nervose, del 1911, abbina

inoltre il nome di Tozzi a quello del fondatore della psicanalisi, soprattutto per

quanto riguarda lo studio dei sintomi isterici e nevrastenici come fenomeni derivanti

da un conflitto tra la coscienza del malato e le sue tendenze istintive o complessi di

idee e di ricordi dotati di una forte tonalità affettiva145. Tra le letture di Federigo

Tozzi, nel 1905, troviamo anche Il carattere e la vita di Emerson: anche in questo

caso, l’ipotesi è quella di una mediazione culturale dell’opera jamesiana, dal

momento che il nome del filosofo, poeta e saggista statunitense compare in tutte e tre

le opere di James consultate dallo scrittore senese. Emerson, dipinto nell’opera di

James come grande indagatore dell’inconscio, ha sicuramente attirato la curiosità

dello scrittore dei «misteriosi atti nostri». Tuttavia Tozzi, ancora una volta, rifiuterà

l’ottimismo di Emerson, condiviso invece da James, il quale negli Ideali della vita

cita le parole del poeta:

143 Ibidem. 144 Cfr. Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., pp. 247-250. 145 Cfr. Marco Marchi, Ipotesi e documenti, cit., p. 67.

53

«Traversando un luogo comunissimo – sono parole di Emerson – con i

pattini da neve al crepuscolo, sotto un cielo di piombo, senza avere nei

miei pensieri alcuna causa speciale di essere allegro, mi sono dato ad un

pazzo riso. Sono lieto del mio cantuccio intorno al fuoco». La vita merita

sempre di essere vissuta, solo che si abbiano le sensibilità

corrispondenti.146

Per Tozzi, invece, le dolci sensazioni rappresentate dalle immagini floreali non

riescono a perdurare, se non nella fugace e disperata difesa di una consapevole

illusione: «Perché vuoi dirmi che la primavera non è venuta? Io vedo dovunque i

fiori. Che m’importa se tu mi dici che non ci sono? Vedi io li colgo anche per te»147.

Martina Martini fa però notare che nell’interpretazione jamesiana dell’ottimismo di

Emerson è presente un’evidente connotazione patologica, una moderna chiave di

lettura a sfondo psicopatologico che Tozzi aveva subito captato «e che anzi sarebbe

diventata per lo scrittore senese il prezioso éscamotage per accogliere una visione del

mondo e della vita altrimenti troppo ottimistica per poter trovare una qualsiasi forma

di conciliazione con la disperazione del suo universo “bestiale”»148.

L’invito dunque è a leggere Tozzi attraverso James ma non a vedere James,

sempre e solo James, nell’opera di Tozzi. L’autore dei «misteriosi atti nostri» ha

voluto che ogni lettura influenzasse la sua anima come un fiore da cogliere per

impreziosire il proprio giardino; ha coltivato le sue ossessioni, si è preso cura dei

suoi traumi, nella consapevolezza di potersi definire attraverso qualunque dettaglio

del suo percorso di vita. Tozzi stesso ha confidato ad Emma in una lettera del 14

marzo 1908: «Tutto è stato per me un passare tra la vita per giungere a completare la

mia anima»149.

146 Cfr. Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit. p. 254 (la citazione è tratta da

William James, Gli ideali della vita, traduzione dall’inglese del dottor Giulio Cesare Ferrari, Bocca,

Torino 1906, p.59). 147 Federigo Tozzi, Paolo. Barche capovolte, cit., p. 83. 148 Cfr. Martina Martini, Tozzi e James. Letteratura e psicologia, cit., p. 255. 149 Federigo Tozzi, Novale, cit., p. 225.

54

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Sigmund Freud, Studi sull’isteria, in Opere, vol. 1, Studi sull’isteria e altri scritti

(1886-1895), Bollati Boringhieri, Torino 2003.

Anna Panicali, Del secolo “nevrosico”, in «Critica letteraria», a. XXXIII, fasc. I, n.

126, 2005, pp. 89-107.