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Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento scienze aziendali e sociali Centro competenze tributarie Novità fiscali L’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale www.supsi.ch/fisco N° 12 Dicembre 2013 Diritto tributario svizzero I nuovi poteri dell’Ufficio di Comunicazione in materia di riciclaggio e l’uso delle informazioni nell’ambito dell’accertamento tributario estero 3 Diritto tributario italiano Fisco e indagini finanziarie: i limiti alla tutela della privacy e la questione delle presunzioni legali 10 Diritto tributario internazionale e dell'UE Il riciclaggio fiscale, diritto svizzero ed italiano, esame comparato 13 La (auspicabile) rinegoziazione della Convenzione italo-svizzera per evitare le doppie imposizioni 18 Offerta formativa Seminari e corsi di diritto tributario 28

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Scuola universitaria professionale della Svizzera italianaDipartimento scienze aziendali e socialiCentro competenze tributarie

Novità fiscaliL’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale

www.supsi.ch/fisco

N° 12 Dicembre 2013

Diritto tributario svizzeroI nuovi poteri dell’Ufficio di Comunicazione in materia di riciclaggio e l’uso delle informazioni nell’ambito dell’accertamento tributario estero 3

Diritto tributario italianoFisco e indagini finanziarie: i limiti alla tutela della privacy e la questione delle presunzioni legali 10

Diritto tributario internazionale e dell'UEIl riciclaggio fiscale, diritto svizzero ed italiano, esame comparato 13

La (auspicabile) rinegoziazione della Convenzione italo-svizzera per evitare le doppie imposizioni 18

Offerta formativaSeminari e corsi di diritto tributario 28

I rapporti tra Svizzera e Italia, con riferimento agli averi di clienti italiani depositati in Svizzera: ecco il filo conduttore, di stringente attualità, dell’ulti-mo numero del 2013 di Novità fiscali. Maurizio Di Salvo e Filippo Piffaretti si interrogano sui possibili contenuti di una implementazione degli standard internazionali in materia di cooperazione fiscale in una nuova convenzione di doppia imposizione tra Svizzera e Italia, nonché sulle implicazioni che ne scaturirebbero, in particolare anche sulle “black list” italiane. Rispetto alla abbondante letteratura esi-stente in materia di assistenza amministrativa, la prospettiva scelta dagli autori è interessante, poiché non si concentra soltanto sulla relazione tra mo-dello di riferimento dell’OCSE e diritto svizzero, ma abbraccia anche il punto di vista dello stato contra-ente, nel caso concreto l’Italia, il cui diritto è a sua volta soggetto a delle limitazioni sovranazionali, in particolare alla giurisprudenza della Corte di giu-stizia dell’Unione europea che restringe la facoltâ degli stati membri di attuare misure (black list) che ostruiscono la libera circolazione dei capitali, anche in favore di paesi terzi quale la Svizzera. Elena Ar-lotta propone una riflessione sulle conseguenze che potrebbero scaturire, in particolare per i contribuen-ti italiani, da una trasmissione di informazioni tra autorità antiriciclaggio svizzere ed italiane. Sempre in tema di riciclaggio, Giovanni Guastalla propone alcuni spunti sulle novità legislative di prossima at-tuazione, in Svizzera e in Italia. In particolare, ven-gono fornite indicazioni sul dibattito in corso in Italia sulla punibilità dell’autoriciclaggio. Simone Covino ci immerge infine nel flusso, totalmente schiuso a seguito del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 25 marzo 2013, di scambio delle informazioni tra gli intermediari finanziari italiani e l’Agenzia delle entrate. Buona lettura.

Giovanni Molo

RedazioneSUPSICentro di competenzetributariePalazzo E6928 MannoT +41 58 666 61 75F +41 58 666 61 [email protected]/fisco

ISSN 2235-4565 (Print)ISSN 2235-4573 (Online)

Redattore responsabileSamuele Vorpe

Comitato redazionaleElisa AntoniniPaolo ArginelliRocco FilippiniRoberto FranzèGiordano MacchiGiovanni MoloAndrea PedroliSabina RigozziCurzio ToffoliSamuele Vorpe

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IntroduzioneNovità fiscali12/2013

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La modifica alla Legge federale relativa alla lotta contro il riciclaggio di denaro, volta a permettere una miglio-re collaborazione tra gli Uffici di comunicazione, rag-giunge l’obiettivo che si è posto il legislatore o presta solamente il fianco ad usi arbitrari delle informazioni?

1. Le modifiche proposte alla LRDIl Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale o Financial Ac-tion Task Force on Money Laundering (di seguito GAFI) ha avviato nell’ottobre del 2009 una revisione delle proprie raccomanda-zioni, tra cui le numero 26 e 40, a seguito della quale si è resa necessaria una modifica della vigente Legge federale relati-va alla lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo nel settore finanziario (di seguito LRD). Più in dettaglio, la Raccomandazione n. 26 prevede che gli Uffici di comunicazione in materia di riciclaggio dei singoli Paesi (Finan-cial Intelligence Unit [di seguito FIU]) – gli unici servizi centrali nazionali autorizzati a ricevere, analizzare ed eventualmente inoltrare le relative comunicazioni di sospetto – possano atti-vamente richiedere ed ottenere informazioni dagli intermedia-ri finanziari. Nelle precedenti versioni di tale Raccomandazione era prevista una riserva a tale potere, data dal diritto nazionale, ove quest’ultimo non consentisse alla FIU di rivolgere tale ri-chiesta all’intermediario soggetto agli obblighi antiriciclaggio.

La revisione delle raccomandazioni ha eliminato questa riser-va, obbligando quindi i legislatori nazionali a conferire a tutte le FIU, che non lo avessero già, il potere di richiedere agli in-termediari finanziari ulteriori informazioni a complemento di quelle già ricevute a seguito di un Suspicious Activity Report o di un Suspicious Transaction Report. La maggior parte dei membri del gruppo di lavoro del GAFI ha sottolineato che solo per-mettendo alle FIU di richiedere informazioni addizionali esse sarebbero in grado di svolgere il proprio ruolo e di combattere efficacemente il terrorismo ed il riciclaggio. Il diritto vigente svizzero non prevedeva questa possibilità; per far sì che ve-nisse attribuito questo potere all’Ufficio di comunicazione era quindi necessaria una modifica della LRD.

Per quanto concerne la Raccomandazione n. 40, la sua mo-dificazione ha come fine, tra gli altri, di spingere le FIU a

scambiarsi anche le informazioni finanziarie in loro posses-so, scambio vietato dalla precedente formulazione della LRD, data la protezione del segreto bancario. Anche per poter dar seguito a questa richiesta era necessaria una modifica del-la LRD, non essendo sufficiente una nuova interpretazione della stessa, come ben chiarito anche nel messaggio conte-nuto nell’avamprogetto di legge. Tale messaggio menziona, a sostegno della necessità di modificare la legge interna, la Convenzione del Consiglio d’Europa n. 198, ratificata dalla Svizzera. La Convenzione sottolinea come un accesso rapido alle informazioni finanziarie sui beni patrimoniali delle or-ganizzazioni criminali sia fondamentale per il successo delle misure preventive e repressive e costituisca il mezzo migliore per fermare tali organizzazioni. L’articolo 46 paragrafo 5 di tale Convenzione prevede che la FIU che riceve una richiesta debba mettere a disposizione tutte le informazioni specifi-che, compresi i dati finanziari disponibili e le informazioni in possesso delle autorità inquirenti richieste per mezzo della domanda, senza che sia necessario presentare una richiesta formale ai sensi dei trattati tra le due parti. La Svizzera aveva ratificato tale Convenzione nel 1993 riservandosi però il di-ritto di non applicarla in questa parte in quanto in contrasto con il diritto nazionale. Apparve quindi chiara la necessità di una modifica della legge.

2. Le conseguenze in caso di mancata modificazione della LRD e il contenuto della nuova leggeGli aspetti relativi alla disponibilità e allo scambio di informa-zioni tra FIU analizzati dalle Raccomandazioni n. 26 e n. 40 sono particolarmente importanti nella lotta al riciclaggio in-ternazionale e al terrorismo. La Svizzera era l’unico membro del Gruppo Egmont (il gruppo – informalmente costituito – che riunisce le FIU dei più importanti paesi) che non consen-tiva lo scambio di informazioni finanziarie tra FIU e per que-sta ragione il Gruppo ha richiesto con fermezza una modifica della legislazione interna svizzera: la presidenza ha proposto infatti ai membri di formulare – nell’ambito di una procedura di non-compliance – un avvertimento nei confronti dell’Ufficio di comunicazione svizzero (il Money Laundering Reporting Office Switzerland [di seguito MROS]), minacciando la sospensione dal gruppo. L’avvertimento era collegato all’ingiunzione di di-

Diritto tributario svizzeroI nuovi poteri dell’Ufficio di Comunicazione in materia di riciclaggio e l’uso delle informazioni nell’ambito dell’accertamento tributario estero

Elena ArlottaAvvocato, Master of Advanced Studies SUPSI in Tax LawCredit Suisse AG

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mostrare entro un anno (ossia nel luglio 2012) che la Svizzera aveva avviato la procedura legislativa necessaria a modificare la legge vigente.

Per tutta risposta la Svizzera comunicò di aver incaricato l’ufficio competente (la Fedpol) di avviare una procedura di modifica e di aver creato a tal proposito un gruppo di lavoro affidandogli l’incarico pertinente. Ciò non fu giudicato suf-ficiente e il Warning of Suspension venne emesso. La sospen-sione avrebbe avuto gravi ripercussioni in quanto l’Ufficio di comunicazione avrebbe perso il proprio diritto di voto in seno al gruppo e non avrebbe avuto più accesso all’Egmont Secure Web, un sistema elettronico per lo scambio particolarmen-te protetto. Tale circostanza avrebbe potuto indurre le FIU a non scambiare più informazioni con l’Ufficio di comunica-zione, conseguenza questa che sarebbe derivata anche dalla applicazione da parte di molte FIU del principio di reciprocità, in virtù del quale le FIU non avrebbero trasmesso alla Svizzera le informazioni finanziarie che non avrebbero ricevuto a loro volta in caso di richiesta. Questo sarebbe stato un problema piuttosto grave, visto che la maggior parte delle attività d’a-nalisi dell’Ufficio concernono vicende che hanno a che fare con l’estero.

Inoltre, uscendo dal Gruppo Egmont, l’Ufficio di comuni-cazione non avrebbe avuto più la possibilità di informare il Gruppo sulle FIU che non rispettano le regole sull’uso corretto e confidenziale delle informazioni scambiate, né il diritto di intraprendere i passi necessari per avviare una procedura di non-compliance nei confronti di tali FIU, aspetto questo che sta particolarmente a cuore alla Svizzera. Infine, la sospensione dal Gruppo dopo tredici anni di appartenenza avrebbe nociu-to alla reputazione della piazza finanziaria. Il capo del Dipar-timento federale di giustizia e polizia ha quindi deciso di pro-cedere alla modifica del diritto federale concernente l’Ufficio di comunicazione (Raccomandazione n. 40) senza attendere l’approvazione formale di tutte le raccomandazioni del GAFI. In sintesi ecco le modificazioni più importanti introdotte dalla legge entrata in vigore il primo novembre.

2.1. Articolo 11a LRD (nuovo)La legge vigente prima della modifica già permetteva di chie-dere ulteriori informazioni, ma sempre e solo all’intermediario finanziario che aveva fatto la segnalazione e nel caso in cui la segnalazione fosse incompleta. Non si tratta di chiedere informazioni estranee alla comunicazione di sospetto inviata, ma di richiedere informazioni sempre strettamente connesse con quelle inviate con la segnalazione. L’invio di documen-tazione aggiuntiva non richiedeva l’intervento di nessuna autorità giudiziaria se si riferiva alla medesima relazione già segnalata e se la richiesta era diretta allo stesso intermedia-rio. L’articolo 11a capoverso 2 LRD attribuisce ora all’Ufficio di comunicazione il diritto di richiedere informazioni finanziarie ad un intermediario terzo, trasmettendogli le informazioni confidenziali ricevute dal segnalante.

Tale diritto nasce sempre e comunque da una segnalazio-ne. Può accadere ad esempio che l’Ufficio sia in possesso di una segnalazione relativa a una certa persona e che riceva

più tardi una richiesta di informazioni da una FIU estera che menziona altri intermediari finanziari. Oppure può accade-re che l’Ufficio di comunicazione riceva una segnalazione di sospetto e svolga quindi nella propria banca dati una ricerca scoprendo una richiesta precedente da una FIU estera che fa-ceva riferimento ad una relazione tra la persona sospetta ed un intermediario finanziario terzo. Tutti questi sono casi di in-dividuazione indiretta di intermediari finanziari terzi che sono però sempre legati ad una segnalazione ricevuta dall’Ufficio di comunicazione. In altre parole l’Ufficio non è autorizzato a richiedere informazioni ad intermediari finanziari se non sono collegate con una segnalazione.

2.2. Articoli 30 e 31 LRD (nuovi)Tali articoli autorizzano di fatto l’Ufficio di comunicazione a scambiare le informazioni finanziarie[1] in suo possesso con tutte le FIU estere, prescindendo dalla loro natura (ammini-strativa, investigativa, giudiziaria) e dal fatto che siano mem-bri del Gruppo Egmont. Tale autorizzazione allo scambio di informazioni, seppure più limitata, è attualmente prevista dall’articolo 32 LRD, che in futuro disciplinerà solo la coopera-zione con le autorità di perseguimento penale. A condizione che siano adempiuti i requisiti di cui al capoverso 1 dell’arti-colo 30[2], l’Ufficio trasmette al proprio omologo estero tutte le informazioni ricevute dall’intermediario finanziario e quel-le addizionali che eventualmente abbia richiesto allo stesso o quelle che potrà richiedere a intermediari terzi – secondo la nuova formulazione. Il contenuto di tali informazioni varia naturalmente da segnalazione a segnalazione.

Non sempre la segnalazione richiede l’invio di tutta la docu-mentazione. Per esempio, l’indicazione delle transazioni ef-fettuate sui conti in questione verrà inviata solo se rilevante. Lo stesso dicasi per i saldi. In ogni caso, a norma di tale ar-ticolo l’Ufficio di comunicazione sarà legittimato ad inviare, spontaneamente o su richiesta, tutta la documentazione bancaria in proprio possesso, con l’eccezione del nome della persona che effettua la segnalazione.

La nuova formulazione dell’articolo 30 specifica inoltre quale è l’uso che l’omologo estero può fare di tale informazioni. Il testo della legge chiarisce infatti che le informazioni possono

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essere usate dalla FIU estera solo per scopi “di analisi”. Per le FIU che non hanno natura investigativa questa precisazione non riveste un’importanza fondamentale, perché è presumi-bile che tali FIU non potranno che utilizzare queste informa-zioni per supportare la propria analisi di segnalazioni simili o attinenti che possano aver ricevuto, salvo inviarle poi ad altri organi investigativi, come fa normalmente l’Unità di informa-zione finanziaria (di seguito UIF) italiana[3]. Tale precisazione è molto più significativa se la si pensa diretta a FIU con natura investigativa.

Il capoverso 4 dell’articolo 30 rafforza le garanzie per la parte in causa in caso di segnalazioni trasmesse a omologhi esteri introducendo precise limitazioni alla loro ulteriore trasmissio-ne. Tale capoverso è, nell’intenzione del legislatore, probabil-mente il capoverso più importante del nuovo articolo. Secon-do la nuova formulazione della LRD, la UIF – per continuare con l’esempio italiano – dopo aver utilizzato le informazioni ricevute dall’omologo svizzero per analizzare eventuali se-gnalazioni già presenti nel proprio sistema, se ritiene che vi si-ano sufficienti ragioni per investigare sui fatti descritti le invia al Nucleo speciale di polizia valutaria (di seguito NSPV) e alla Direzione investigativa antimafia (di seguito DIA) che a loro volta le invieranno alla Procura della Repubblica, se del caso. Il capoverso in parola specifica, però, che in un caso come quello appena citato ad esempio tali informazioni potranno essere utilizzate dalle altre autorità solamente per scopi di analisi, per avviare un procedimento penale per riciclaggio, per i suoi reati preliminari, per criminalità organizzata e per finanziamento del terrorismo o per comprovare una richie-sta di assistenza giudiziaria in procedimenti penali per i reati summenzionati.

La definizione di reati preliminari al riciclaggio si basa natu-ralmente sul diritto svizzero. Questo punto viene specificato nella lettera b del capoverso 4 e ciò esclude allo stato attuale quasi tutti i reati fiscali. Il NSPV non potrà quindi – conti-nuando con l’esempio italiano – trasmettere tali informazio-ni alla Guardia di finanza, affinché inizi ad investigare su una possibile evasione o frode fiscale commessa dal segnalato o da altri soggetti (anche persone giuridiche) menzionati nella documentazione.

Il capoverso 4 prevede dunque che le informazioni trasmesse non potranno mai essere notizia di un reato tributario, al-meno nel proposito del legislatore svizzero. Tale disposizione stabilisce anche che le suddette informazioni non potranno mai essere una prova, in nessun tipo di procedimento, sia esso penale o tributario. La nuova formulazione dell’articolo è stata dettata dal tentativo di prevenire l’utilizzo fiscale di tali informazioni per vincere la prevedibile opposizione politica a tale modifica legislativa e per dare una certa coerenza alla legislazione svizzera che ad oggi non include quasi nessun re-ato fiscale tra i reati a monte del riciclaggio.

Ad ogni modo, qualsiasi sia stato l’obiettivo di tale limitazio-ne, qui ci interessa soprattutto capire se essa è sufficiente a tutelare le ragioni del contribuente, come vedremo in seguito. Tornando nuovamente al caso italiano, il magistrato che ri-ceva tali informazioni dall’UIF dovrà quindi avviare una roga-

toria internazionale – per i casi in cui la legislazione attuale lo consente – per ottenere le medesime informazioni in un formato utilizzabile contro l’indagato.

3. L’utilizzo delle informazioni per fondare un avviso di accertamento in ItaliaNella nuova formulazione della legge, le informazioni scam-biate dalle FIU possono essere usate dalla FIU o da altre auto-rità amministrative per scopi di analisi in materia di riciclaggio e reati presupposti secondo la definizione svizzera e – se usa-te in campo penale – possono solo consentire l’avvio o la pro-secuzione di indagini relazionate con il reato di riciclaggio e i reati presupposti, non già come mezzo di prova per sostenere l’accusa in giudizio. Tali mezzi di prova possono infatti essere acquisiti solo ed esclusivamente attraverso i canali messi a disposizione dalle leggi in materia, ovvero a norma della Leg-ge federale sull’assistenza internazionale in materia penale (di seguito AIMP) e, nel caso dell’Italia, a norma degli articoli 723-729 Codice di procedura penale. Questo vale sia per il procedimento per riciclaggio instauratosi o che si instaurerà a seguito della segnalazione e del successivo scambio di infor-mazioni, sia per gli eventuali procedimenti in qualche maniera connessi al precedente relativi ai reati presupposti anche dif-ferenti da quelli oggetto della segnalazione e identificati dalla magistratura inquirente sulla base di tale segnalazione, ma in ogni caso reati presupposti secondo la definizione che ne dà la legge svizzera.

Corollario di ciò è la inutilizzabilità in Italia delle informazioni bancarie trasmesse a norma della nuova legge svizzera da un punto di vista fiscale, sia in campo penale che in campo tribu-tario. Non è ipotizzabile, nell’intenzione del legislatore sviz-zero, nemmeno l’utilizzo delle informazioni per l’apertura di un procedimento penale per “truffa in materia fiscale”[4] allo stato attuale, non essendo la frode fiscale un crimine secondo il diritto svizzero e quindi un reato presupposto. Senza l’aper-tura di questo procedimento, che ad oggi è l’unico cammino – in campo penale tributario - che consente di ottenere le stes-se informazioni attraverso una rogatoria internazionale alla Svizzera, le informazioni inviate dall’Ufficio di comunicazione rimarranno fiscalmente inutilizzate, secondo quanto previsto dalla nuova formulazione della LRD. Se la realtà giuridica non frapponesse ostacoli a tale visione del legislatore svizzero, la trasmissione delle informazioni bancarie non porterebbe mai ad una estensione dei reati presupposti del riciclaggio ai reati fiscali, secondo il diritto svizzero.

Per comprendere meglio quella che invece pare essere la re-altà, per lo meno secondo il diritto italiano, bisogna chiedersi quali effetti possano avere sulle norme processuali tributarie italiane una legge interna svizzera e degli accordi internazio-nali e, soprattutto, quali siano le sanzioni processuali per la violazione di tali norme.

Che questo sia un tema di difficile definizione è provato anche dall’evoluzione storica dell’uso di tali informazioni nel diritto italiano[5]. La tutela della riservatezza del segnalante rap-presenta un cardine del sistema antiriciclaggio, che verreb-be minato ove si consentisse un indiscriminato utilizzo delle

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segnalazioni a fini di lotta all’evasione fiscale, anche nel caso di segnalazioni puramente “domestiche”. Questa esigenza è stata rigorosamente recepita e ribadita dal Decreto Legisla-tivo (di seguito D.Lgs) n. 231/2007 (che disciplina la lotta al riciclaggio), coerentemente con il dettato del 32esimo consi-derando della Terza Direttiva antiriciclaggio.

L’utilizzo dei dati antiriciclaggio ai fini di contrasto dell’eva-sione è stato variamente disciplinato nel tempo. La Legge (di seguito L.) n. 197/1991, sanciva la non utilizzabilità a fini tri-butari anche dei dati acquisiti con poteri di polizia valutaria. Nello stesso anno, un provvedimento di poco successivo, la L. n. 413/1991, stabiliva però che i soggetti pubblici incaricati istituzionalmente di svolgere attività ispettive o di vigilanza, nonché gli organi giurisdizionali e amministrativi che vengo-no a conoscenza di fatti che possono configurarsi come viola-zioni tributarie devono comunicarli al Comando della Guardia di finanza. Con riguardo a tale norma, si è ritenuto che essa abbia ricompreso le attività amministrative svolte in materia di antiriciclaggio fra quelle potenzialmente generatrici di co-municazioni a fini di accertamento fiscale; di conseguenza, il diritto interno esclude l’utilizzo diretto dei dati antiriciclag-gio in accertamenti tributari – come prove, ma consente che essi costituiscano un qualificato spunto di fatti che possono configurarsi come reati tributari. Ciò sarebbe invece escluso nel caso di informazioni ricevute dall’Ufficio di comunicazione svizzero a norma di una legge straniera.

È quindi necessario chiedersi se da un punto di vista pratico è quello che effettivamente succede. E inoltre, anche suppo-nendo che l’UIF italiana si attenga a questa regola e trasmet-ta solo al NSPV (che non è la Polizia tributaria, ma quella valu-taria, quindi con altre competenze) le informazioni relative al reato di riciclaggio e che questa le trasmetta poi alla Procura, ecco che nuovamente una legge interna consente l’inoltro delle informazioni all’autorità fiscale a prescindere dall’uso che questa ne faccia. La legge italiana consente – infatti – al Pubblico ministero nell’ambito delle sue competenze di tra-smettere le informazioni raccolte in sede penale (tra cui quel-le ricevute dalla UIF/NSPV) all’Agenzia delle Entrate. Non è pensabile che il Pubblico ministero non inoltri le informazioni perché così previsto dalla legge svizzera. A norma del diritto interno tali informazioni – trasmesse correttamente dal Pub-blico ministero – possono essere utilizzate come prove dalla Agenzia delle Entrate per fondare un avviso di accertamento.

Qualora le informazioni fossero arrivate in Italia per via am-ministrativa attraverso il MROS ciò non dovrebbe essere possibile, giusta la nuova formulazione della LRD. E se invece venissero utilizzate come mezzo di prova – come è probabile – chi potrebbe far valere l’inutilizzabilità in campo tributario? Di certo non lo Stato svizzero, né il MROS, né le autorità di perseguimento penale svizzere. L’unico legittimato a conte-stare tale utilizzo sarà il contribuente che in sede di processo tributario potrà impugnare l’avviso di accertamento, ma con quali risultati?

Nel sistema giuridico italiano l’eventuale processo tributa-rio che si instauri a seguito di un avviso d’accertamento non verte quasi mai sull’utilizzabilità della prova; a differenza che

nel procedimento penale, le eccezioni procedurali sono molto limitate in sede tributaria. Persino le irregolarità procedurali dell’Agenzia delle Entrate – cui si accenna nello Statuto del Contribuente – porterebbero solamente a delle sanzioni a carico del funzionario che non ha rispettato le norme di leg-ge, senza arrivare all’illegittimità dell’avviso di accertamento. A maggior ragione quindi, un’informazione inviata all’Agenzia delle Entrate dal Pubblico ministero potrebbe a buon diritto essere considerata acquisita in maniera legittima e utilizza-ta[6]. Il giudice tributario potrà poi forse porsi un problema di responsabilità dello Stato Italiano a fronte di accordi in-ternazionali, ma difficilmente un problema di inutilizzabilità dell’informazione, che nel processo tributario è un concetto non previsto dalla legge. La giurisprudenza sostiene in ma-niera prevalente che i vizi procedurali nel processo tributario rilevano solo in caso di diritti costituzionalmente garantiti, come il diritto all’inviolabilità del domicilio, il diritto alla confi-denzialità della posta, inclusi gli email e alla libertà personale. Solo una violazione di uno di questi diritti, come nel caso di accesso all’abitazione senza le necessarie autorizzazioni, po-trebbe rendere nullo l’avviso di accertamento[7]. L’Ammini-strazione può porre a fondamento della propria attività co-noscitiva ogni dato comunque in suo possesso. Ciò che rileva, afferma la Cassazione, è solo l’attendibilità delle fonti di prova acquisite in quanto “la prova non subisce gli effetti della illegittimi-tà, come conseguenza necessaria della eventuale illiceità dell’acquisi-zione” (fra le tante, cfr. sentenza n. 8344/2001). La Cassazione afferma infatti che, comunque sia e in ogni caso, la sola cosa importante è l’attendibilità delle prove, non già il modo in cui sono state acquisite. Ancora la Cassazione (cfr. sentenza n. 8273/2003) ha affermato, poi, che “in materia tributaria non vige il principio, presente invece nel codice di procedura penale, secondo cui è inutilizzabile la prova acquisita irritualmente, pertanto gli organi di controllo possono utilizzare tutti i documenti dei quali siano venuti in possesso salvo la verifica dell’attendibilità”.

L’utilizzabilità in sede di processo tributario concerne i docu-menti e le informazioni che siano state trasmesse dall’auto-rità penale all’Agenzia delle Entrate sia in forma di rapporto ricevuto dall’Ufficio di comunicazione attraverso la UIF sia in forma di documento bancario richiesto successivamente dal-la Procura per mezzo di rogatoria internazionale.

Dobbiamo infatti immaginare ora un altro scenario: il Pub-blico ministero riceve le informazioni bancarie (a norma del nuovo testo della LRD) in forma di rapporto dall’Ufficio di comunicazione – attraverso l’UIF – e sulla base di ciò avvia una rogatoria internazionale per ottenere i documenti ban-cari originali, per sostenere l’accusa di riciclaggio. Il Pubbli-co ministero trasmette queste informazioni all’Agenzia delle Entrate – la documentazione originale, non più il rapporto originariamente ottenuto dalla UIF – come previsto dal De-creto del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 600/1973. Anche queste informazioni – il cui contenuto è il medesimo – sono soggette al vincolo della specialità (a nor-ma dell’AIMP e non più della LRD) e non potrebbero quindi essere utilizzate per fondare un avviso di accertamento. Qua-lora lo fossero, però, sarebbe molto difficile eccepire la nulli-tà dell’avviso, giacché l’utilizzo delle stesse avviene al di fuo-ri del processo penale. L’acquisizione di tali elementi in sede

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penale fa inoltre supporre che ciò sia stato fatto rispettando le garanzie di tutela dell’imputato (contribuente) previste dal codice di procedura penale. Sarà quindi difficile per il giudice tributario decidere per la non utilizzabilità. È chiaro che poi si porrà eventualmente un problema di rapporti internazionali tra i Paesi e di collaborazione tra l’UIF e l’Ufficio di comuni-cazione. L’Ufficio di comunicazione potrebbe legittimamente decidere di disattendere richieste future a seguito dell’utilizzo che viene poi fatto in Italia di tali informazioni, ammesso che ne venga a conoscenza. L’Ufficio di comunicazione potrebbe anche presentare il caso al Gruppo Egmont e richiedere san-zioni a carico dell’UIF. Ci si chiede però se in questo contesto internazionale ciò sia veramente un deterrente, posto che gli unici mezzi di difesa dei principi inseriti nel nuovo articolo 30 capoverso 4 LRD paiono passare solo ed esclusivamente per canali diplomatici e politici. Da un punto di vista del diritto vigente in Italia, la tutela del contribuente per il caso di abuso di tali informazioni è pressoché inesistente.

4. Conclusioni sulla modifica della LRDCerto è che in campo penale vi è un articolo che fa riferimen-to alle limitazioni nell’uso della documentazione acquisita per rogatoria: si tratta dell’articolo 729 del Codice di procedure penale italiano[8] che sancisce l’obbligo per l’autorità penale di rispettare i vincoli imposti dalle autorità straniere. Tale ob-bligo pare però riferirsi solo ai documenti acquisiti nell’ambito del procedimento penale e non ai documenti amministrativi acquisti per altre vie (legittime) dalla Guardia di finanza[9]. Il limite all’utilizzabilità si riferisce solo all’utilizzabilità nel pro-cedimento penale, dove le guarentigie previste per l’imputato sono molto più intense che nel processo tributario. Nel pro-cesso tributario, per contro, pare prevalere – come detto – l’interesse dello Stato al recupero delle imposte; tale interesse passa in secondo piano solo a fronte di diritti costituzional-mente garantiti, come il diritto all’inviolabilità della persona (articolo 13), il diritto al domicilio (articolo 14) e alla libertà ed alla segretezza della corrispondenza (articolo 15). Anche la dottrina che insiste per la nullità degli atti fondati su prove irritualmente acquisite sottolinea come le norme procedurali dettate (soprattutto dal DPR n. 600/1973) per l’acquisizione di tali prove hanno l’obiettivo di tutelare esclusivamente di-ritti costituzionalmente garantiti[10]. Coloro che sostengo-no la validità dell’atto di accertamento basato su prove irri-tualmente acquisite sottolineano come l’unica conseguenza dell’inosservanza delle norme stabilite dalla legge possa forse essere una conseguenza disciplinare nei confronti degli uffi-ciali che abbiano provveduto alla raccolta della prova senza rispettare le norme di legge (senza autorizzazione per l’ac-quisizione di documenti bancari, ad esempio)[11].

La dottrina non fa riferimento all’utilizzo ai fini fiscali di do-cumenti acquisiti per rogatoria internazionale o grazie alla cooperazione tra FIU, però ci si chiede in che maniera possa il contribuente far valere la categoria giuridica dell’inutiliz-zabilità, che non è prevista dalla legge tributaria, quando la violazione concerne una legge straniera o un trattato inter-nazionale. La violazione della legge straniera, se non recepita nell’ordinamento italiano (cfr articolo 729 del Codice di pro-cedure penale) renderebbe la sanzione dell’inutilizzabilità di difficile applicazione anche in campo penale, dove il concetto dell’utilizzabilità della prova trova ampio spazio (articolo 191 del Codice di procedura penale)[12].

Gli accordi internazionali hanno sicuramente una portata diversa rispetto alla mera legge straniera, visto che obbliga-no le parti in applicazione dell’articolo 26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, riassunto nel noto brocar-do pacta sunt servanda, ma è opportuno chiedersi se dalla loro inosservanza discenda la nullità dell’atto interno. Pare alquanto improbabile in assenza di una norma interna che lo recepisca. Vi sarà un problema di diritto internazionale, forse una richiesta di risarcimento di danni, benché vi sia autorevole dottrina che esclude anche questa conseguenza nel caso di violazione dei trattati contro le doppie imposizioni[13].

Resta da chiedersi quale può essere l’impatto della giurispru-denza della Corte Costituzionale relativa al nuovo art 117 della Costituzione sull’assenza di una norma nell’ambito del processo tributario che sancisca l’inutilizzabilità delle infor-mazioni ricevute in contesti diversi da quello nel quale sono state trasmesse. Tale articolo recita: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costi-tuzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comu-nitario e dagli obblighi internazionali” e la Corte ha statuito a riguardo che qualora una legge italiana obblighi ad, o am-metta, un comportamento contrario ad un accordo interna-zionale, tale norma debba essere considerata incostituziona-le per norma interposta (la norma pattizia). Considerazioni approfondite sulle implicazioni di tale giurisprudenza esulano dall’obiettivo di questo breve contributo, ma meritano sicu-ramente delle riflessioni approfondite, in un altro contesto.

Nel caso degli accordi alla base del Gruppo Egmont, ci si può immaginare che la costante violazione delle limitazioni impo-ste dalla Svizzera all’uso delle informazioni inviate dall’Uffi-cio di comunicazione possa portare ad una sanzione a carico dell’UIF e sicuramente ad un legittimo rifiuto dell’Ufficio di comunicazione di continuare con tale scambio, ma pare im-probabile che ci possano essere ulteriori conseguenze.

Ciò che deve essere sottolineato è che per quanto riguarda l’Italia, la difesa del contribuente italiano pare dipendere in-teramente da una previsione normativa interna che quanto meno introduca la categoria della utilizzabilità nel processo tributario e nella migliore delle ipotesi regolamenti anche l’u-so non idoneo delle informazioni giunte dall’estero. In assen-za di ciò la difesa del contribuente si baserà sulla visione del giudice e sui precedenti giurisprudenziali che però non paio-no dare molta importanza alle limitazioni derivanti dal diritto straniero o internazionale.

8 Novità fiscali / n.12 / dicembre 2013

In conclusione di questo breve excursus si può guardare alla modifica della LRD da due punti di vista:

◆ il primo concerne l’efficacia nella lotta al riciclaggio di da-naro, così come oggi lo si intende in Svizzera, e

◆ il secondo concerne l’utilizzo di informazioni coperte da se-greto bancario per fini che esulano da tale lotta, secondo il diritto vigente.

Il primo aspetto è essenziale per tutelare la reputazione di una piazza finanziaria come quella svizzera. È indispensabile collaborare internazionalmente in maniera efficace alla lotta contro il riciclaggio e poter sequestrare tempestivamente gli attivi provento di reato. Per fare ciò pare necessario che l’Uf-ficio di comunicazione sia dotato di qualche potere in più. È senz’altro da condividere in quest’ottica la modifica che con-sente all’Ufficio di richiedere ad altri intermediari informazioni in relazione a fatti già oggetto di una segnalazione (nuovo ar-ticolo 11a LRD). Non si vede perché in presenza di indicazioni concrete che rimandano ad un altro intermediario svizzero, l’Ufficio non possa rivolgersi a questo per approfondire una segnalazione e decidere se trasmetterla all’autorità penale. Si ritiene che se un intermediario ha deciso di segnalare una relazione bancaria e l’Ufficio non ha deciso immediatamente di archiviare la comunicazione, il sospetto di una provenienza illecita dei fondi sia sufficientemente fondato da rendere ne-cessario mettere in secondo piano la tutela del segreto ban-cario verso l’Ufficio e verso le autorità penali.

La modifica relativa all’introduzione dello scambio di infor-mazioni finanziarie suscita invece delle perplessità alla luce dell’attuale impianto legislativo svizzero in materia di rici-claggio e reati presupposti e non pare nemmeno migliora-re di molto l’efficacia della lotta al riciclaggio. Sarebbe forse necessaria una formulazione più dettagliata dell’articolo 30 LRD o una precisazione di alcuni aspetti salienti in una suc-cessiva ordinanza. Quello che lascia perplessi è l’assenza di un limite temporale durante il quale effettuare lo scambio di informazioni: tale scambio pare giustificato e necessario nel momento in cui l’Ufficio è l’unico ad essere in possesso di in-formazioni relative ad un possibile caso di riciclaggio e ritiene talmente fondato il sospetto da reputare necessaria una co-municazione tempestiva delle informazioni per consentire il perseguimento del reato e dei suoi autori, ma soprattutto il blocco degli averi (qui è evidente il beneficio in termini di effi-cacia). Quando le informazioni siano in possesso dell’autorità penale svizzera, al contrario, dovrebbe essere questa a valu-

tare la necessità e l’opportunità di tale inoltro di informazioni, soprattutto delle informazioni finanziarie, posto che ormai è trascorso del tempo dagli accadimenti segnalati e che si può presumere che l’autorità penale abbia valutato la necessità di muoversi a livello internazionale. Ciò pare previsto dalla legge (articolo 30 capoverso 5 LRD), ma data la delicatezza del tema, sarebbe opportuna una redazione più dettagliata del capoverso. In particolare, sarebbe utile capire in quali casi l’autorità penale potrà rifiutare l’autorizzazione alla trasmis-sione di informazioni. Presumibilmente solo nei casi previsti dall’articolo 31 LARD nella sua nuova formulazione e nei casi in cui sia necessario tutelare il segreto istruttorio.

In realtà, sarebbe auspicabile un controllo ulteriore dell’au-torità penale quando si è già instaurato un procedimento in Svizzera, data la necessità di lottare efficacemente contro il riciclaggio proteggendo la riservatezza dei dati ed impedendo gli abusi all’estero che porterebbero alla arbitraria inclusione dei reati tributari tra quelli presupposti del riciclaggio, per lo meno finché il legislatore non deciderà scientemente di con-siderare l’utilizzo di proventi dell’evasione riciclaggio. Inoltre, se l’obiettivo è la lotta al riciclaggio, perché indugiare scam-biando informazioni che non possono essere mezzi di prova e che non tutelano il segnalato per l’assenza di un controllo da parte di un organo giurisdizionale?

Sarebbe poi opportuno regolamentare meglio lo scambio di informazioni nel caso in cui l’Ufficio riceva una richiesta che si riferisce ad una segnalazione che esso ha deciso di archiviare. Pare arbitrario che l’Ufficio possa trasmettere informazioni bancarie relative a segnalazioni archiviate in assenza di fatti nuovi che portino a rivedere la decisione. Sarebbe più oppor-tuno che in tali casi l’Ufficio avesse il potere di trasmettere solo le informazioni personali e la descrizione dei fatti. Ciò do-vrebbe essere sufficiente per lo scopo di analisi che pare esse-re alla base dello scambio di informazioni secondo il Gruppo Egmont.

Per quanto concerne l’utilizzo arbitrario di tali informazioni per fini che esulano dalla lotta al riciclaggio, non pare che ci sia formulazione legislativa che possa aiutare, quanto meno nei Paesi ove i limiti di utilizzabilità della prova in materia tribu-taria non sono conosciuti, come l’Italia. Mentre è sicuramen-te opportuno includere nei nuovi articoli le limitazioni all’uso delle informazioni, anche per dare alla Svizzera la possibilità di far valere le proprie ragioni in seno al Gruppo Egmont e a livello internazionale, non pare che queste precisazioni pos-sano aiutare il contribuente – per lo meno quello italiano – a far valere le proprie ragioni di fronte all’autorità tributaria. La modifica contiene infatti all’apparenza delle norme tutelanti, ma un’analisi approfondita dei limiti all’utilizzo delle informa-zioni secondo il diritto italiano ci dimostra che tali tutele sono fragili. Per questa ragione sarebbe auspicabile una maggior prudenza nello scambio di tali informazioni, per lo meno fino a quando la maggior parte dei reati tributari continuerà a non essere preliminare del riciclaggio secondo il diritto svizzero.

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Elenco delle fonti fotografiche:http://f.blick.ch/img/news/origs2328520/1598555401-w900-h900/Die-MROS-darf-Finanzinformationen-weitergeben-Symbolbild-.jpg [20.12.2013]

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http://www.055firenze.it/cms/userfiles/100005/images/guardia-di-fi-nanza-1.jpg [20.12.2013]

Per maggiori informazioni:Buratti Bruno, L’Attività di controllo ai fini antiriciclaggio e le connessioni con l’azione di contrasto all’evasione fiscale, in: Cappa Ermanno/Cerqua Luigi Do-menico (a cura di), Il Riciclaggio del denaro, Milano 2012

Legge federale relativa alla lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanzia-mento del terrorismo nel settore finanziario (Legge sul riciclaggio di denaro, LRD), modifica del 21 giugno 2013, Termine di referendum: 10 ottobre 2013, entrata in vigore 1. novembre 2013, in: Foglio federale 2013 4049, http://www.admin.ch/opc/it/federal-gazette/2013/4049.pdf [20.12.2013]

Marcellini Luca/Galliani Maria, Il Riciclaggio di denaro nel codice penale, in: Erez Tamara/Giorgetti Nasciuti Flavia (a cura di), Compliance management. Una guida pratica per il settore finanziario, Basilea 2010

Ufficio federale di polizia (fedpol), Modifica della legge sul riciclaggio di de-naro (Cooperazione fra l’Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro e le autorità estere). Rapporto esplicativo e avamprogetto, Berna, dicembre 2011, in: http://www.admin.ch/ch/i/gg/pc/documents/2158/LRD_Rapporto-espl_it.pdf [20.12.2013]

[1] Ai sensi dell’articolo 30 capoverso 2 LRD “L’Uf-ficio di comunicazione è autorizzato a trasmettere se-gnatamente le informazioni seguenti: a. il nome dell’in-termediario finanziario, a condizione che sia garantito l’anonimato dell’autore della comunicazione o della per-sona che ha adempiuto l’obbligo d’informare sancito dalla presente legge; b. il nome del titolare del conto, il numero del conto e il saldo del conto; c. l’avente econo-micamente diritto; d. indicazioni sulle transazioni”.[2] Ai sensi dell’articolo 30 capoverso 1 LRD: “L’Uf-ficio di comunicazione può trasmettere a un ufficio di comunicazione estero i dati personali e le altre infor-mazioni di cui è in possesso o che è autorizzato a racco-gliere conformemente alla presente legge, se l’ufficio di comunicazione estero: a. garantisce che utilizzerà le in-formazioni esclusivamente a scopo di analisi nel conte-sto della lotta contro il riciclaggio di denaro, i suoi reati preliminari, la criminalità organizzata o il finanziamen-to del terrorismo; b. garantisce che accoglierà richieste analoghe della Svizzera; c. garantisce che rispetterà il segreto d’ufficio o il segreto professionale; d. garantisce che trasmetterà a terzi le informazioni ricevute soltanto con l’esplicito consenso dell’Ufficio di comunicazione; e rispetta le condizioni e le restrizioni d’uso dell’Ufficio di comunicazione”.[3] L’UIF è la Financial Intelligence Unit per l’Italia; essa è stata istituita presso la Banca d’Italia il 1. gennaio 2008, ai sensi del D.Lgs. n. 231/2007 emanato in attuazione della Direttiva n. 2005/60/CE (cosiddetta Terza Direttiva antiriciclaggio), il quale ha soppresso l’Ufficio italiano dei cambi che svolgeva precedentemente le funzioni di FIU. L’organizzazione e il funzionamento dell’UIF sono

disciplinate con regolamento della Banca d’Italia.[4] Secondo l’articolo 3 capoverso 3 AIMP vi rien-trano la truffa in materia fiscale per le imposte di-rette e la frode fiscale per le imposte dirette. Solo la truffa qualificata in materia fiscale di cui all’ar-ticolo 14 capoverso 4 della Legge federale sul di-ritto penale amministrativo (di seguito DPA) è un crimine e quindi reato presupposto del riciclaggio.[5] Si veda il seguente link: http://www.bancadi-talia.it/homepage/notizie/uif/Castaldi_090312.pdf [20.12.2013].[6] Il caso delle liste rubate – che parrebbe esse-re diverso – è stato trattato in: Novità fiscali, n. 6/2013, Manno, giugno 2013, pagine 3 e seguenti.[7] I casi nei quali la Corte di Cassazione ha deciso per l’inutilizzabilità delle prove riguardano per lo più accessi domiciliari illegittimi, il rinvenimento di documenti all’interno di un’autovettura di pro-prietà del contribuente e le perquisizioni personali illegittime (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 15230/2001; Corte di Cassazione, sentenza n. 16424/2002; Corte di Cassazione, sentenza n. 20253/2005).[8] L’articolo 729 del Codice di procedura penale italiano dispone quanto segue:“1. La violazione delle norme di cui all’articolo 696, comma 1, riguardanti l’acquisizione o la trasmissione di documenti o di altri mezzi di prova a seguito di rogato-ria all’estero comporta l’inutilizzabilità dei documenti o dei mezzi di prova acquisiti o trasmessi. Qualora lo Sta-to estero abbia posto condizioni all’utilizzabilità degli atti richiesti, l’autorità giudiziaria è vincolata al rispetto di tali condizioni.

1-bis. Se lo Stato estero dà esecuzione alla rogatoria con modalità diverse da quelle indicate dall’autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo 727, comma 5-bis, gli atti compiuti dall’autorità straniera sono inutilizzabili.1-ter. Non possono in ogni caso essere utilizzate le dichiarazioni, da chiunque rese, aventi ad oggetto il contenuto degli atti inutilizzabili ai sensi dei commi 1 e 1-bis”.[9] Per quanto concerne l’utilizzo in campo pe-nale tributario di dati non ottenuti per rogatoria, si veda Catania Alberto, Il reato di frode fiscale dribbla la rogatoria internazionale, in: FiscoOggi, 27 luglio 2012, in: http://www.fiscooggi.it/giuri-sprudenza/articolo/reato-frode-fiscaledribbla-rogatoria-internazionale [20.12.2013].[10] Stufano Sebastiano, Sulla utilizzabilità delle prove illecite o illegittime, in: Corriere Tributario n. 39/2002, pagina 3534; Pisani Mario, La valenza delle prove irrituali nell’accertamento tributario, in: Il Fisco n. 11/2005, pagina 1570.[11] Gallo Salvatore. Utilizzo di prove irregolar-mente acquisite nel corso di accessi domiciliari, in: Il Fisco n.36/2007, pagina 5307.[12] L’articolo 191 del Codice di procedura penale italiano, concernente le prove illegalmente acqui-site, dispone quanto segue:“1. Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate.2. L’inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento”.[13] Garbarino Carlo, Manuale di tassazione inter-nazionale, Milano 2009, pagina 140.

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La recente realizzazione di una anagrafe tributaria dei rapporti bancari risponde ad una logica di acquisizione di dati più o meno grezzi da parte dell’Amministrazio-ne finanziaria italiana, la quale tenta per questa via di rendere più efficace la lotta all’evasione. Più che i profili di privacy, il limite strutturale di questa tipologia di in-dagine sta nel fatto che la banca svolge il ruolo “passivo” di depositaria ed è ignara delle ragioni di versamenti e prelevamenti. Da qui l’introduzione di presunzioni le-gali pro fisco, secondo cui tutti i versamenti e i preleva-menti non spiegati dal contribuente si considerano sic et simpliciter come ricavi evasi

1. Indagini finanziarie ed assenza, in Italia, di un diritto costituzionalmente tutelato al segreto bancarioIl potere di chiedere agli istituti di credito informazioni sui con-ti bancari e sugli altri rapporti intrattenuti dai clienti[1] trae origine dalla vecchia normativa sulle cosiddette “deroghe al se-greto bancario”, che riguardava appunto richieste agli istituti di credito in merito alle movimentazioni bancarie dei clienti. Fino alle modifiche del 1991, la banca aveva il dovere di risponde-re esclusivamente previa autorizzazione del Presidente della Commissione Tributaria di primo grado[2], da rilasciare solo in presenza di fondati sospetti di evasione. Qualora la banca non fornisca le informazioni richieste entro i termini stabiliti, l’Amministrazione può disporre l’accesso diretto di propri fun-zionari presso gli uffici dell’istituto di credito. Dopo una serie di riforme, ed in particolare con l’ultimo Provvedimento del Direttore dell’Agenzia Entrate di cui diremo più avanti, il pro-cedimento è divenuto assai meno farraginoso.

Al potere di cercare presso le banche i conti del contribuen-te, non corrisponde però la certezza di trovare gli elementi cercati, e si può dubitare che le indagini finanziarie, ancorché molto utili, siano un’arma risolutiva contro l’evasione. Come diremo più avanti, i contribuenti potrebbero infatti non versare in banca le somme che intendono occultare all’Amministra-zione finanziaria (magari utilizzandole direttamente per spese personali) o comunque mascherare i versamenti “scomodi” su conti bancari intestati a prestanome o conoscenti. Per giunta, i movimenti bancari rappresentano dati “grezzi”, dei quali l’Am-

ministrazione finanziaria non conosce la causale e nei quali gli è quindi difficile orientarsi. Forse per rimediare a questa diffi-coltà, il legislatore prevede delle stringenti presunzioni legali, di cui diremo all’ultimo paragrafo.

Quanto al perimetro delle tutele previste per il contribuente, ricordiamo che la Corte Costituzionale, fin dalla sentenza n. 51/1992, aveva statuito che non vi è un diritto costituzional-mente tutelato al segreto bancario e che la tutela della mera “riservatezza” bancaria non può spingersi fino a comprimere al-tri precetti costituzionali, in particolare il dovere di contribuire alla spesa pubblica secondo capacità contributiva ex articolo 53 della Costituzione. La riservatezza, secondo la Corte, non deve costituire un baluardo insormontabile all’affermazione del principio di capacità contributiva, ostacolando l’accerta-mento potestativo dell’obbligo impositivo a carico dei con-tribuenti. Con la più recente ordinanza n. 260/2000, la stessa Corte Costituzionale rimetteva al legislatore ordinario l’ap-prezzamento dell’opportunità di proteggere il segreto banca-rio, tenuto conto della tutela della libertà economica e della proprietà privata, nei limiti però dei loro fini di utilità sociale e di giustizia sociale, sanciti agli articoli 41 capoverso 2 e 42 capoverso 2 della Costituzione.

L’insegnamento della Corte Costituzionale si riflette nell’arti-colo 32 D.P.R. n. 600/1973, il quale dispone una serie di cautele preventive volte a scongiurare un uso sconsiderato dei dati fi-nanziari personali, limitandolo ai casi in cui il rischio di evasio-ne è più pregnante, laddove cioè lo stesso sia indiziariamente già emerso nel corso di un accertamento. L’utilizzo di tali dati soggiace in ogni caso ad un preventivo controllo gerarchico, richiedendosi una preventiva autorizzazione.

Ribadito che in Italia non si è mai riconosciuto un diritto co-stituzionalmente tutelato al segreto bancario, le tutele alla ri-servatezza del contribuente fino ad oggi disegnate dalle nor-me[3] prevedono:

◆ l’obbligo di un preventivo avvio dell’accertamento fiscale nei confronti del contribuente di cui si vogliono indagare i rapporti e le operazioni finanziarie;

◆ l’obbligo della necessaria e motivata autorizzazione pre-

Diritto tributario italianoFisco e indagini finanziarie: i limiti alla tutela della privacy e la questione delle presunzioni legali

Simone CovinoAvvocatoDottore di ricerca in diritto tributarioStudio ACTA, Milano

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ventiva del Direttore centrale dell’accertamento dell’Agen-zia delle Entrate, o del Direttore regionale della stessa, ov-vero del Comandante regionale per il Corpo della Guardia di Finanza, dietro richiesta motivata da parte dei rispettivi uffici periferici procedenti all’accertamento fiscale;

◆ le particolari cautele di protezione informatica all’invio, all’uso ed alla conservazione dei dati;

◆ le restrizioni in relazione ai soggetti individuati dalla nor-ma, all’interno degli uffici procedenti e presso gli operatori finanziari, abilitati all’accesso a tali dati;

◆ le sanzioni in ordine alle violazioni di tali procedure;◆ le prescrizioni dell’Autorità garante della privacy, di cui ai

provvedimenti del 17 aprile 2012, del 15 novembre 2012 e del 31 gennaio 2013, sull’utilizzo dei dati finanziari previsto dal D.L. n. 201/2011.

2. Rovesciamento della prospettiva: prima l’accesso ai dati, poi l’eventuale controllo?A seguito del recente Provvedimento del Direttore dell’Agen-zia delle Entrate del 25 marzo 2013[4], di attuazione dell’arti-colo 11 D.L. n. 201/2011[5], gli intermediari finanziari hanno l’obbligo di trasmettere annualmente per via telematica all’ap-posita sezione dell’anagrafe tributaria prevista dall’articolo 7 capoverso 6 D.P.R. n. 605/1973 i dati dei rapporti e delle ope-razioni finanziarie dei loro clienti analiticamente indicati in ap-posita tabella[6]. Il capoverso 2 del citato articolo 11 stabilisce infatti che, a far corso dal 1. gennaio 2012, dovranno essere comunicate all’anagrafe dei conti le movimentazioni che han-no interessato i rapporti ed ogni altra informazione ad essi re-lativa e necessaria ai fini dei controlli fiscali, nonché l’importo delle operazioni.

Il capoverso 3 dello stesso articolo 11 consente poi di esten-dere la comunicazione ad altri dati ritenuti dall’Agenzia delle Entrate utili “ai fini dei controlli fiscali”. Si tratta, nello specifico, dell’obbligo di comunicazione:

a) dei dati identificativi di ogni conto e rapporto di natura fi-nanziaria, compreso il loro cosiddetto “codice univoco”, e dei soggetti che ne possono disporre;

b) del saldo annuale iniziale e finale di ogni conto o rapporto;c) della sommatoria annuale di tutte le operazioni rispettiva-

mente in entrata e in uscita sui conti o rapporti;d) del numero totale annuo di accessi alle cassette di sicurez-

za;e) dell’ammontare e del numero totale annuo di operazioni

extraconto effettuate;f) dell’ammontare e del numero totale annuo di operazioni di

acquisto o vendita di oro e metalli preziosi; eccetera.

Fin qui la novella legislativa parrebbe inserirsi nel solco dei po-teri ordinariamente già attribuiti all’Amministrazione finan-ziaria nell’ambito delle facoltà istruttorie di cui all’articolo 32 D.P.R. n. 600/1973, utilizzabili nel corso di un accertamento tributario già avviato: il legislatore ha infatti meglio definito la natura e il dettaglio dei dati da acquisire, l’automaticità e la periodicità di trasmissione all’anagrafe tributaria, le cautele tecniche di trasmissione, utilizzo e conservazione dei dati fi-nanziari.

Per altro verso, però, il D.L. n. 201/2011 consente ora (cfr. il ca-poverso 4 dell’articolo 11) all’Agenzia delle Entrate di utilizzare i dati relativi ai rapporti e alle operazioni finanziarie di tutti i contribuenti per elaborazioni statistiche informatiche di mas-sa, volte a far emergere possibili indicatori di anomalia in fun-zione della posizione fiscale individuale dei singoli contribuen-ti, e sulla cui base formare liste selettive di soggetti “a maggior rischio di evasione” da cui poter quindi estrarre i nominativi dei contribuenti da sottoporre a verifica fiscale.

Si ammette quindi la possibilità di rovesciare il precedente qua-dro di riferimento, nel quale la compressione della sfera priva-ta e finanziaria dei contribuenti era possibile solo a seguito di un accertamento tributario già avviato, risolvendo tra l’altro (e una volta per tutte) la questione delle indagini finanziarie allargate a conti di terzi[7].

Tali norme non sono state in effetti abrogate, ma si rischia un loro aggiramento con il decreto citato, divenuto operativo grazie al suddetto provvedimento dell’Agenzia delle Entrate. In pratica, ciò può comportare un preliminare setaccio indi-scriminato[8] di tutti i risparmi, le operazioni ed i rapporti fi-nanziari di ogni cittadino; dopodiché, in caso di emersione di qualche anomalia, verrà avviato l’accertamento fiscale, ma-gari chiedendo un’autorizzazione gerarchica “postuma” all’ac-cesso ed utilizzo fiscale di quegli stessi dati sui conti, rapporti ed operazioni, che hanno “dato il là” all’accertamento stesso. Chiaramente il valore di tutela di un’autorizzazione, concessa dopo che il comportamento da autorizzare sia già stato posto in essere, è alquanto risibile, e si rischia di discriminare illegitti-mamente coloro che sono oggetto di una “fishing expedition”[9] rispetto ai destinatari di un accertamento bancario classico, retto cioè dalle norme e dai limiti sopra accennati.

3. Limiti strutturali delle banche dati finanziarie e loro superamento attraverso presunzioni legaliPiù in generale, ed al di là delle criticità di questo ampliamento delle modalità di controllo finanziario, il tentativo di utilizzare come grandi “banche dati” i conti bancari deve fare pur sempre

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i conti col fatto che la banca svolge solo un ruolo “passivo” di depositaria delle somme versate e non è in grado di informa-re l’Amministrazione finanziaria sulle ragioni di versamenti e prelevamenti. Le presunte “anomalie” di cui al paragrafo prece-dente potrebbero ad esempio risolversi in un nulla di fatto per motivi finanziari che nulla hanno a che vedere con l’evasione fiscale: come nel caso, assolutamente innocuo, di un frequente spostamento di fondi da un conto corrente ad un altro, allo scopo di tamponare scoperture su affidamenti su vari conti.

Le difficoltà strutturalmente connesse all’uso massiccio di ban-che dati – che spesso offrono all’analista dati troppo grezzi o troppo numerosi – sono alla base di presunzioni legali relative che la migliore dottrina definisce “vessatorie”, secondo cui “tutti i versamenti e i prelevamenti non spiegati dal contribuente, si consi-derano sic et simpliciter come ricavi o compensi evasi (art. 51 comma 2 decreto IVA e art. 32 n. 2 decreto 600). La disposizione, per molti versi irrazionale, soprattutto per la contraddittoria rilevanza reddituale dei prelevamenti, asseconda la tendenza degli uffici a considerare mec-canicamente i versamenti e i prelevamenti come ricavi, lasciando che il contribuente si tragga d’impaccio in sede giurisdizionale, cosa molto difficile vista la sbrigatività del processo tributario. Il carattere vessa-torio di queste presunzioni è attenuato solo dalla scarsità numerica di simili indagini”[10]. In particolare, i versamenti di cui il contri-buente (che eserciti un’attività di impresa o di lavoro autonomo) non riesce a dare giustificazione sono posti a base della rettifica fiscale e sono in pratica accertati come ricavi non dichiarati. I prelevamenti, dal canto loro, sono considerati come acquisti non contabilizzati. Vi è spazio, dato il riferimento simultaneo della normativa a “versamenti” e “prelevamenti”, ad accerta-menti in cui si considerano come ricavi entrambi tali movimenti bancari, con un effetto di duplicazione assolutamente distor-sivo della corretta determinazione della capacità contributiva.

Talvolta i verificatori acquisiscono infatti le copie dei conti ban-cari e si limitano a chiedere al contribuente di dimostrare le ragioni dei versamenti, accertando come reddito quelli non giustificati ed eccedenti i ricavi dichiarati. La convocazione del contribuente prima dell’emanazione dell’accertamento è del resto una mera facoltà discrezionale, “con l’ulteriore conse-guenza che il mancato esercizio di tale facoltà non trasforma in presunzione semplice la presunzione legale che riferisce i movimenti bancari all’attività svolta dal contribuente, su cui grava perciò l’onere della prova in sede contenziosa”[11].

È ben vero che talvolta le eccedenze dei versamenti bancari rispetto ai ricavi registrati possono riferirsi, in mancanza di più convincenti spiegazioni, a ricavi non contabilizzati: si pensi ad esempio a una costante eccedenza giornaliera dei versamenti bancari rispetto ai ricavi registrati. Bisognerebbe però analiz-zare il contenuto dell’attività svolta, ed il modo in cui i versa-menti si distribuiscono nel tempo: è molto più probabile che si riferiscano a ricavi occultati da un ristorante 90 versamenti da mille euro, distribuiti su 90 giorni consecutivi, di un versamen-to di 90 mila euro avvenuto “una tantum”.

È in ogni caso evidentemente disagevole per il contribuente ricostruire le ragioni di movimenti avvenuti in denaro o con assegni tratti su banche diverse da quella in cui il contribuente intrattiene il proprio conto. Poniamo ad esempio che il contri-buente versi presso il proprio conto intrattenuto con la banca A un assegno emesso su un conto della banca B[12]; in tal caso la banca A, con cui il contribuente è in contatto, non conserva l’assegno ma lo trasmette alla banca B dove l’emittente ha il conto, ed è quindi impossibile per il contribuente risalire a po-steriori alla relativa causale.

In conclusione rileviamo che, quand’anche venissero effettiva-mente rispettate le garanzie legislative descritte supra, la mi-gliore dottrina avverte che la normativa in esame rischia di per sé di mettere nei guai contribuenti che nulla hanno evaso, ma che non riescono, per disattenzione o imprevidenza, a dimo-strare a posteriori l’irrilevanza fiscale del versamento stesso. È quindi compito precipuo dell’Amministrazione finanziaria utilizzare cum grano salis queste tipologie di accertamento, po-tenzialmente distorsive dei principi di corretta determinazione della capacità contributiva.

Elenco delle fonti fotografiche:http://www.finanzaediritto.it/upload/approfondimenti/Befera.jpg [20.12.2013]

[1] Articolo 32 capoverso 1 numero 7 D.P.R. n. 600/1973, per le imposte sui redditi, e articolo 51 capoverso 2 numero 7 D.P.R. n. 633/1972, per l’IVA.[2] Organo giurisdizionale in materia tributaria.[3] Articoli 32 e 33 D.P.R. n. 600/1973, articolo 7 capoversi 6 e 11 D.P.R. n. 605/1973 sull’Anagra-fe dei rapporti finanziari e, infine, provvedimenti amministrativi attuativi: cfr. Marrone Francesco, Sono legittime le nuove norme di acquisizione e utilizzo dei dati finanziari?, in: Il Fisco, n. 19/2013, pagine 2877 e seguenti.[4] Protocollo n. 2013/37561. Si veda Bellinazzo Marco, Indagini finanziarie rafforzate, in: Il Sole 24 Ore del 26 marzo 2013.[5] Convertito, con modificazioni, dalla L. n. 214/2011.

[6] A regime, la scadenza annuale per la trasmis-sione telematica da parte degli intermediari è stata fissata al 20 aprile dell’anno successivo a quello a cui si riferiscono i dati. Mentre per i dati da trasmettere inizialmente, e cioè quelli per le pregresse annualità 2011 e 2012, la scadenza è stata fissata rispettivamente al 31 ottobre 2013 e al 31 marzo 2014.[7] Su cui si vedano, da ultimo, le sentenze della Corte di Cassazione n. 3762/2013 e n. 4904/2013.[8] Anche se l’articolo 8 capoverso 3 del Provvedi-mento rassicura che i dati finanziari verranno rac-colti “nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei contribuenti”.[9] L’espressione “fishing expedition”, attualmente molto in voga, si riferisce alla possibile raccolta in-

discriminata di informazioni sui contribuenti che hanno conti correnti all’estero; l’assistenza ammi-nistrativa in molti Paesi è attualmente ammessa solo nel caso in cui la richiesta concerna un singo-lo contribuente, con l’indicazione cioè dell’identità del presunto evasore e degli indizi che giustificano la richiesta.[10] In questi termini si veda Lupi Raffaello, Com-pendio di diritto tributario, Roma 2013, pagina 73.[11] Si veda Corte di Cassazione, sentenza n. 1682/2013.[12] Tutti gli esempi sono tratti da Bianchi Fiorel-la/Lupi Raffaello, voce Indagini finanziarie, Enci-clopedia “Il Diritto”, Il Sole 24 ore, 2008.

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Punibilità del reato fiscale quale presupposto al rici-claggio, alcuni cenni

1. Il riciclaggio nel diritto svizzero ed in quello italianoNell’esame della normativa per la lotta contro il riciclaggio di denaro occorre riferirsi alle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa[1], sviluppate nella dichiarazione dei principi del Co-mitato per la sorveglianza delle banche in seno alla Banca dei regolamenti internazionali[2] e nel rapporto del G-15 “Financial Action Force on Money Laundering” del 7 febbraio 1990.

Indubbiamente, sia per la Svizzera sia per l’Italia, la normativa antiriciclaggio prende forma durante gli anni ottanta, pur con comprensibili sfasamenti spazio-temporali, su pressione di vari Paesi ed in relazione a reati quali il traffico di stupefacenti svolto su scala internazionale ed il sequestro di persona, fonti di grandi guadagni.

Sia in Svizzera attraverso l’articolo 305bis del Codice penale svizzero (di seguito CP), sia in Italia attraverso gli articoli 648-bis e 648-ter del Codice penale italiano, le rilevanti discipline si prefiggono di contrastare il tentativo da parte dei riciclatori di trasformare i proventi ottenuti dall’attività criminale posta in essere in valori pecuniari “puliti”, anche al fine di immetterli nei normali circuiti finanziari. In effetti, colui che commette il reato di riciclaggio intende, attraverso operazioni di tipo finanziario, con maggiore o minore sofisticazione, agire per dissimulare l’origine illecita di tali valori e simularne invece una lecita, al fine anche di ricanalizzare detti valori nel circuito finanziario ordinario, bancario o parabancario.

Di fatto, come nella lotta al crimine organizzato, ove è priori-taria l’individuazione ed il contestuale sequestro del provento del reato, momento centrale è l’attività di repressione di com-portamenti propri di colui che si attiva per “ripulire” il denaro proveniente da reato, anche di natura fiscale.

La stessa Banca d’Italia ha stabilito che: “le violazioni delle norme tributarie sono strumento utilizzato per precostituire fondi di prove-nienza illecita da reinserire nel circuito economico, ovvero possono rappresentare una delle manifestazioni di più articolate condotte cri-

minose volte ad immettere in attività economiche apparentemente lecite disponibilità derivanti da altri illeciti. Operazioni connesse a condotte che non costituiscono delitto sotto il profilo fiscale posso-no comunque costituire strumento per occultare attività criminose di altra natura”.

Ed ancora, “l’ illecito fiscale, il fenomeno dell’evasione e la mancan-za di equità fiscale, supportato, in Italia, dal ricorso a continui scudi fiscali e condoni, sono elementi atti ad erodere le risorse di un Paese. Attraverso la sottrazione di risorse alla collettività, perpetrato con l’evasione fiscale, si crea corruzione, si falsano economia, mercati, concorrenza, nuocendo all’economia di un Paese”[3].

Infatti il riciclaggio di denaro, oltre ad essere lo strumento di cui si avvale la criminalità organizzata per potere mantenere e consolidare il proprio potere economico, reinvestendo i capitali illecitamente acquisiti nei vari settori dell’economia, produce effetti fortemente distorsivi per la concorrenza, alterando irri-mediabilmente il buon funzionamento dei mercati.

In Svizzera, l’appartenenza al GAFI, ha comportato e compor-ta una costante attenzione ed un continuo processo di ade-guamento normativo volto a reprimere e prevenire il fenome-no del riciclaggio, al fine di adeguare la legislazione vigente alle rivedute raccomandazioni ed ai nuovi standards internazionali in materia di lotta contro il riciclaggio di denaro ed il finanzia-mento del terrorismo.

Il recepimento da parte della Svizzera delle Raccomandazioni del GAFI ha comportato la proposta di un disegno di legge che ha trovato la sua applicazione nelle modifiche al CP, alla LRD, alla Legge sulle dogane (di seguito LD), alla Legge federale sul diritto d’autore e sui diritti di protezione affini (di seguito LDA), alla DPA e alla AIMP.

Un ruolo particolarmente importante è stato svolto dall’in-serimento del capoverso 4 nell’articolo 14 DPA, dalla modi-fica all’articolo 17 DPA sul favoreggiamento e dalla modifica dell’articolo 3 capoverso 3 AIMP. Modifiche queste frutto di una vivace esortazione da parte del GAFI che, in merito all’as-sistenza nei casi di contrabbando e riciclaggio di denaro de-rivante dai proventi del contrabbando, raccomanda ai Paesi

Diritto tributario internazionale e dell’UEIl riciclaggio fiscale, diritto svizzero ed italiano, esame comparato

Giovanni GuastallaLaurea in Economia e Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, MilanoMaster of Advanced Studies SUPSI in Tax LawManager presso Edge Consulting SA, Lugano

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membri di autorizzare l’estradizione in ragione del riciclaggio di denaro connesso appunto al contrabbando.

2. La Svizzera e le Raccomandazioni del GAFIDeterminante è la recente codificazione da parte dei Paesi membri dell’OCSE della nuova versione delle 40 Raccoman-dazioni del GAFI (pubblicate in data 16 febbraio 2012), nel cui ambito si rilevano le infrazioni fiscali gravi legate alle imposte dirette ed indirette quali reati presupposti al riciclaggio.

Interessante ora caratterizzare, dal punto di vista temporale, i fatti.

Nell’ambito del processo decisionale volto a definire la portata del reato fiscale in ragione di un rinnovato concetto di riciclag-gio, la Svizzera compie nell’anno 2009, a marzo, un importante passo. Il Consiglio federale decide in quell’anno di estendere l’assistenza amministrativa internazionale in materia fisca-le adottando lo standard previsto dall’articolo 26 del Modello OCSE di Convenzione fiscale sui redditi e sul patrimonio (di seguito Modello OCSE), attraverso due fondamentali momen-ti. Tale decisione implica (i) l’estensione del campo di applica-zione dell’assistenza amministrativa e (ii) la rinuncia al segreto bancario nei confronti delle autorità fiscali estere.

Tale approccio è volto al mantenimento di una piazza finan-ziaria definita “credibile”, individuandosi nel rischio reputazio-nale uno dei maggiori rischi con cui confrontarsi anche e so-prattutto in termini di danno economico.

Ora, la modifica della legge sul riciclaggio di denaro, volta ap-punto alla prevenzione di comportamenti criminosi in ambito finanziario, individua nella truffa fiscale qualificata nell’ambito delle imposte dirette e nella relativa estensione in quelle indi-rette, un nuovo reato preliminare al riciclaggio.

La volontà di estendere gli obblighi di diligenza degli interme-diari finanziari in ragione di una conformità sotto il profilo fi-scale si evince, oltre che dalla identificazione della truffa fiscale qualificata, dalla introduzione di un obbligo di annunciare i ti-tolari delle azioni al portatore e i titolari di azioni nominative di società non quotate in borsa al fine di aumentare la tra-sparenza delle persone giuridiche, da una rinnovata volontà di approfondimento e definizione del concetto di avente diritto economico, dal limite di 100’000 franchi per gli acquisti di beni immobili e mobili in contanti.

Occorre dire che la conformità fiscale è un concetto che pre-vede un esame del rischio in funzione di criteri che verranno nel tempo maggiormente definiti, atti a costituire l’ossatura di un’autodisciplina riconosciuta dall’autorità di vigilanza quale standard minimo, senza aprioristicamente definire obblighi ge-neralizzati per il cliente di autodichiarazione.

La Svizzera, nel definire il nuovo costrutto normativo, di fatto assimila le rivedute Raccomandazioni del GAFI sulla cui base i reati fiscali gravi saranno considerati reati preliminari al rici-claggio.

Il GAFI nasce nel 1989 durante il vertice di Parigi dei Capi di Stato e di Governo dei sette Paesi più industrializzati (G-7) e del Presidente della Commissione delle Comunità europee, durante il quale si ravvisò la necessità di istituire un organi-smo in grado di combattere e contrastare in modo efficace il riciclaggio di denaro ed averi connesso al traffico di droga ed il riciclaggio dei proventi illeciti, compresi quelli connes-si al terrorismo. Durante tale vertice parteciparono: Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Gran Bretagna, Stati Uniti d’America (di seguito USA) e la Commissione delle Comuni-tà europee. A tali Paesi si unirono poi altri otto Stati (Austra-lia, Austria, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Svizzera). Nel maggio rispettivamente del 1990 e del 1991 entrarono a farvi parte altri otto Paesi membri dell’OCSE (Da-nimarca, Finlandia, Grecia, Irlanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Portogallo e Turchia), nonché Hong Kong e il Consiglio di Coo-perazione del Golfo. Infine, nel 1993-1994 il numero degli Stati membri fu esteso comprendendo anche Islanda e Singapore.

Il primo rapporto GAFI risale al febbraio 1990 e concerne un’a-nalisi delle dimensioni e della natura del fenomeno del riciclag-gio e vi sono descritti gli strumenti antiriciclaggio adottati a livello nazionale ed internazionale. In tale ambito sono state stilate 40 Raccomandazioni di azioni utili a contrastare il reato in esame e tale documento è stato approvato da tutti gli Stati membri nel maggio del 1990 e sottoposto al Vertice di Huston del G-7.

La recente revisione di dette Raccomandazioni nell’ambito del Forum di Parigi, nell’anno della presidenza italiana, si è focaliz-zata sulla definizione di strumenti maggiormente incisivi per il contrasto dell’uso illecito del sistema finanziario, sulla pro-mozione di una maggiore trasparenza delle persone giuridiche e dei trusts e, per la prima volta, sull’individuazione dei reati fiscali, evasione inclusa, presupposti al riciclaggio.

Volendo sintetizzare, le principali novità scaturite dalla revisio-ne in seno al GAFI e afferenti l’ambito fiscale sono:

a) l’inclusione generalizzata dei reati fiscali tra quelli presup-posti al riciclaggio, con una spinta ad una maggiore armo-nizzazione delle norme nazionali ed al rafforzamento della collaborazione per il contrasto del fenomeno del riciclag-gio;

b) l’adozione di elementi atti a conferire maggiore trasparen-za alle strutture societarie, ai trusts, al fine di identificare il titolare effettivo e contrastare l’utilizzo illecito di veicoli so-cietari;

15Novità fiscali / n.12 / dicembre 2013

c) l’applicazione di nuovi parametri valutativi per la definizio-ne della cosiddetta persona politicamente esposta (di se-guito PEP), considerando tutti i soggetti investiti di cariche pubbliche a livello nazionale ed internazionale ed anche presso organismi internazionali.

3. Il concetto di reato fiscale grave quale presupposto al riciclaggio. Il gruppo Egmont. Brevi cenniImportante sottolineare come, contestualmente all’inseri-mento all’interno delle nuove Raccomandazioni dei cosiddetti “reati fiscali gravi” in materia di imposte dirette ed indirette, il GAFI precisi che saranno i Paesi membri a stabilire sulla base del loro diritto interno, quali reati fiscali ricadano nel campo di applicazione delle Raccomandazioni ed a stabilire gli elementi caratterizzanti il reato fiscale quale “reato grave” (“serious of-fence”).

Unitamente al GAFI, direi in maniera simbiotica, il Gruppo Eg-mont, lavora quale elemento di coesione tra le diverse autorità nazionali che si occupano del contrasto al riciclaggio, più pre-cisamente le singole FIU operanti nei vari Paesi membri.

Il Gruppo Egmont, istituito il 9 giugno 1995 presso il Palazzo Egmont-Arenberg di Bruxelles dove si è tenuta la prima riu-nione, su iniziativa di USA e Belgio con l’adesione iniziale di 24 Paesi, lavora alla stregua di una conferenza internazionale tra agenzie nazionali specializzata nella lotta al riciclaggio dei capitali illeciti.

Tale Gruppo ha una natura informale, basandosi sull’iniziativa spontanea delle FIU che ne fanno parte, è atto a favorire ed incentivare forme di collaborazione tra le FIU stesse, ed ha un ruolo di osservatore in seno al GAFI, intervenendo per la de-finizione delle funzioni e delle competenze delle FIU e dei loro standards operativi. Tali principi sono ben elaborati all’interno dei “Principles for Information Exchange Between Financial Units for Money Laundering Cases”.

Sempre con riferimento alle Raccomandazioni del GAFI, come rivedute nel 2012, per la Svizzera significativo sarà il biennio 2014-2015, durante il quale tali Raccomandazioni verranno adottate e durante il quale la Svizzera sarà oggetto di una specifica peer review[4]. Verifica che, se caratterizzata da esi-to negativo, potrebbe comportare rilevanti ripercussioni, sino all’inclusione della Svizzera nelle cosiddette “liste nere”.

Tornando al concetto di reato fiscale grave quale presupposto al riciclaggio, ovvero di reato fiscale annoverabile quale crimi-ne in ragione del CP, se è vero che il GAFI lascia spazio ai singoli Paesi per definirne la gravità in funzione del diritto interno, è anche vero che forte è la spinta per caratterizzare come grave ogni tipologia di reato tributario, si tratti di semplice sottrazio-ne come di truffa fiscale. E su tale approccio, che caratterizza molti dei Paesi aderenti tra i più influenti dal punto di vista politico-economico, la Svizzera deve confrontarsi con tali Pae-si, trovandosi di fatto di fronte ad un bivio.

Una possibile soluzione può essere l’abbandono della distin-zione tra sottrazione fiscale semplice, truffa in materia tribu-

taria e frode fiscale, oltretutto essendo stata estesa la possi-bilità di cooperazione tra le autorità fiscali anche al reato di sottrazione fiscale nell’ambito dell’articolo 26 Modello OCSE. Tale adeguamento, consistendo nell’introduzione di una clau-sola di assistenza amministrativa ai sensi dello standards OCSE, ovvero lo scambio di informazioni in base ad una domanda concreta e motivata, ha trovato la sua esecuzione procedurale nella Legge federale sull’assistenza amministrativa internazio-nale in materia fiscale (di seguito LAAF).

Dal punto di vista normativo, già ora sono considerate gravi le infrazioni fiscali quali la sottrazione continuata di importanti somme d’imposta ed i delitti fiscali, così come recita l’articolo 190 capoverso 2 della Legge federale sull’imposta federale di-retta (di seguito LIFD).

Volendo generalizzare, e con un occhio ad un futuro ormai prossimo, il concetto di gravità si definisce spesso in relazione alla commissione del reato per “mestiere ed in banda”, con-cretandosi l’esercizio per mestiere nella ripetitività delle azioni poste alla base del reato, secondo una prassi, economicamen-te rilevante, che per l’appunto ne conferma l’esercizio profes-sionale, e la banda essendo anche rappresentata dall’agire di due persone o più che sinergizzano il proprio operato per con-seguire il fine criminoso.

Dal punto di vista del diritto italiano, sulla base del Decreto Legge (di seguito D.L.) n. 74/2000, la dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2), la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3), l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 8), l’occultamento o la di-struzione di documenti contabili (articolo 10) e la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (articolo 11), rappresen-tano per loro natura ed in relazione al livello di punibilità, reati fiscali gravi.

4. La normativa italiana per la prevenzione del riciclaggio.Punibilità dell’autoriciclaggio fiscale?Con il D.Lgs. n. 231/2007, concernente l’attuazione della Di-rettiva n. 2005/60/CE per la prevenzione dell’utilizzo del si-stema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo e della Direttiva n. 2006/70/CE, di esecuzione, l’Italia si è dotata di validi stru-menti nella lotta al riciclaggio di denaro.

Nell’ambito delle procedure di controllo sul rispetto delle nor-me da parte degli intermediari, la Banca d’Italia svolge un ruo-lo di controllo, coordinando anche l’UIF, struttura autonoma e indipendente istituita all’interno della Banca d’Italia, foca-lizzata alla raccolta, analisi e trasmissione delle segnalazioni sospette agli organi investigativi.

Essendo l’UIF il nodo “di collegamento tra la componente privata del sistema di prevenzione (da cui riceve le segnalazioni per operazioni sospette), e la componente pubblica in specie gli organi investigativi nonché il sistema delle oltre cento FIU estere, con le quali scambia informazioni, in modo diretto e autonomo, senza la necessità di spe-cifici trattati internazionali o relazioni inter-governative”[5].

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La Banca d’Italia ha inoltre una fattiva partecipazione ai lavori del GAFI ed è attiva in seno ai gruppi di lavoro costituiti pres-so il Comitato di Basilea e nell’ambito dell’Unione europea (di seguito UE), per favorire un’armonica applicazione delle regole antiriciclaggio.

Pur nella indiscutibile e continua azione di contrasto del fe-nomeno del riciclaggio, la sostanziale non punibilità propria dell’ordinamento italiano di quel comportamento che viene definito con il termine di “auto riciclaggio” e che vede il coin-volgimento nel reato di riciclaggio dell’autore del reato pre-supposto, indebolisce nella sostanza l’azione di contrasto po-sta in essere dal legislatore e caratterizzata da pur dettagliata normativa, arrivando in alcuni casi a sterilizzarne la portata.

Nella relazione annuale dell’UIF si legge puntualmente: “Tale scelta dell’ordinamento italiano costituisce una delle cause di inef-ficacia della repressione penale del riciclaggio. In sede processuale, infatti, è necessario dimostrare la consapevolezza dell’illecita origine del denaro sostituito o trasferito e la contestuale estraneità dell’a-gente alla commissione del reato da cui lo stesso denaro proviene. Inoltre tenuto conto che la sanzione penale prevista per il reato di riciclaggio è normalmente più elevata rispetto a quella del reato pre-supposto, risulta più conveniente per il soggetto inquisito sostenere di avere (anche) concorso nel reato presupposto al fine di escludere l’imputazione per riciclaggio”[6].

5. L’istituzione del gruppo di studio sull’autoriciclaggio, verso una punibilità sempre più probabileCome succede in Svizzera si può osservare che l’autoriciclag-gio, normalmente, è colpito dai Paesi di common law e a livello europeo l’autoriciclaggio è colpito da Paesi quali Germania, Spagna, Portogallo e Regno Unito.

Di un certo interesse è la costituzione in data 8 gennaio 2013 di un Gruppo di studio sull’argomento dell’autoriciclaggio, con decreto del Ministro della Giustizia e con l’incarico di procede-re alla ricognizione, sistematizzazione e analisi critica e orga-nica del complesso degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle convenzioni e trattati internazionali in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio, inclusa la previsione di fattispecie di illecito connesse alla violazione di adempimenti contabili e finanziari e al cosiddetto autoriciclaggio.

Molto interessante il fatto che, nell’ambito degli incontri che il Gruppo ha tenuto tra gennaio ed aprile 2013, ci si sia fo-

calizzati, con rinnovata consapevolezza, sull’assunto che vede principalmente in una rappresentazione contabile falsa o fit-tizia di elementi economici la determinante rilevanza di quelle condotte definibili con il termine di riciclaggio.

Se è vero che il dibattito internazionale degli anni ottanta avvertiva il problema prioritario di contrastare l’immissione nell’economia di capitali delle organizzazioni criminali con-siderati nella loro portata destabilizzante per gli aspetti de-mocratici ed economici dei diversi Paesi, a partire dagli anni novanta la situazione è radicalmente mutata.

Si è assistito e si assiste nell’ambito delle attività finanziarie, alla trasformazione del denaro “pulito” (di origine lecita), in de-naro “clandestino”, al fine di eludere gli obblighi fiscali da un lato e di costituire nel contempo risorse finanziarie utili a porre in essere operazioni di market abuse, corruzione, pagamenti ri-servati, eccetera.

L’importanza di colmare adeguatamente la lacuna inerente alla punibilità del reato di autoriciclaggio, condotta tipica anche del-lo stesso riciclatore il quale prima di prestare i “servizi” di riciclag-gio apporta un rilevante contributo al compimento del reato presupposto concorrendovi con l’autore principale, è volta a re-primere coerentemente tutti quei fenomeni di evasione fiscale e corruzione che caratterizzano l’agire del proprietario o dell’e-sponente di un’azienda. Costui infatti si accorda nella situazione di specie con un terzo “riciclatore”, il quale gli mette a disposizio-ne società fittizie che emettono fatture false, atte a permettere di sottrarre risorse finanziarie all’azienda e quindi di ridurre il carico fiscale sui redditi, producendo disponibilità finanziarie da destinarsi ad uso personale, per finalità corruttive o altro.

L’ordinamento italiano, nell’attuale disciplina regolata dall’arti-colo 648-bis del Codice penale, tratta solamente della punibili-tà del riciclaggio “fuori dei casi di concorso nel reato” presupposto, avendosi come spiacevole conseguenza il fatto di non colpire il comportamento dell’autore del reato presupposto volto al riciclaggio dei proventi realizzati attraverso la propria attività.

Tale approccio è rappresentativo del fatto che si è teso sinora a considerare le operazioni poste in essere dall’autore del reato presupposto per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni e del denaro quali naturale prosecuzione degli stessi reati presupposto e quindi assorbiti nella fattispe-cie del reato presupposto.

Vi si aggiunga il fatto che, dato che la pena per il riciclaggio può essere molto più grave di quella per il reato presupposto, l’autore del reato presupposto potrebbe essere assoggettato ad una pena non correlata all’effettiva gravità di quest’ultimo, con una conseguente lesione del principio generale di propor-zionalità della pena.

Il Gruppo di studio, anche su sollecitazione dell’OCSE che ha rilevato la non punibilità dell’autoriciclaggio quale lacuna nor-mativa e del Fondo monetario internazionale, ha individua-to nell’autoriciclaggio una fattispecie di reato autonoma da includere nei delitti contro l’ordine economico e finanziario, trattandosi di reato contro l’amministrazione della giustizia.

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Interessante a tale proposito come il Disegno di legge n.1445 preveda un rinnovato testo dell’articolo 648-bis del Codice pe-nale italiano, rubricato riciclaggio ed impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, secondo cui: “chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non col-poso, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, ovvero fuori dei casi previsti dall’art. 648, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493”.

Elenco delle fonti fotografiche:http://www.europarl.europa.eu/resources/library/images/20121114PHT03568/20121114PHT03568_original.jpg [20.12.2013]

http://napoli.ogginotizie.it/GUI/file_contenuti/566786_finanza.jpg [20.12.2013]

[1] Raccomandazione n. 80 del Consiglio dei mini-stri del Consiglio d’Europa del 27 giugno 1980 “re-lative aux mesures contre le transfert et la mise à l’abri des capitaux d’origine criminelle”.[2] Titolo originale: “Basel Statement of Princi-ples concerning the prevention of criminal use of the banking system for the purpose of money laundering”.[3] Castaldi Giovanni, direttore dell’UIF.[4] La peer review consiste nell’esercizio di attività

ispettive, nel corso delle quali ogni Paese viene ve-rificato da parte di una delegazione composta da esponenti appartenenti ad altri Paesi che fanno parte della medesima organizzazione internazio-nale.[5] Tarantola Anna Maria, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, Roma, 10 maggio 2011, Scuola Superiore dell’economia e delle finanze, master in Etica nella Pubblica Amministrazione e contrasto

alla corruzione: “La prevenzione del riciclaggio nel set-tore finanziario. Il ruolo della Banca d’Italia”.[6] Commissione parlamentare d’inchiesta sul fe-nomeno della mafia e sulle altre associazioni cri-minali anche straniere, “L’azione di prevenzione e contrasto del riciclaggio”, Testimonianza del Diretto-re dell’UIF Giovanni Castaldi, Palazzo San Macuto, Roma, 28 giugno 2011.

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Esame di taluni aspetti legislativi e conseguenze eco-nomiche

1. IntroduzioneI dati di cronaca di questi giorni annunciano che la Svizzera va compiendo passi da gigante verso la discovery di patrimoni esteri amministrati.

Dall’altra parte, nel contesto della situazione politico-eco-nomica italiana, e nel più ampio contesto europeo, la crisi ha sicuramente acutizzato la necessità di dover ricorrere a stru-menti celeri per il recupero di base imponibile, sottratto negli anni alle casse dell’Erario da parte dei cittadini italiani, anche mediante il rafforzamento del contrasto alla cosiddetta “eva-sione fiscale internazionale”[1]. Già secondo i dati scaturiti dall’ul-tima versione dello “scudo fiscale” proposto in Italia negli anni 2009-2010, il 68 % dei capitali riemersi risultavano gestiti in Svizzera[2] e, secondo stime ufficiose riapparse recentemente in organi di stampa italiani, i capitali italiani attualmente de-positati a Lugano, Ginevra e Zurigo, ammonterebbero ad una somma compresa tra i 120 ed i 180 miliardi di euro[3].

È opinione degli autori, tuttavia, che la situazione emergen-ziale creatasi a causa della crisi economica, e quindi la con-seguente immediata necessità di “batter cassa”, non dovrebbe far dimenticare che, ai fini di una completa rivisitazione dei rapporti economici tra i due Paesi, solo una completa e celere rinegoziazione della Convenzione tra Italia e Svizzera per evi-tare le doppie imposizioni e per regolare talune altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio (di seguito CDI-ITA) porterebbe a risultati determinanti e duraturi.

A tal proposito, va considerato che – soprattutto nel corso degli ultimi anni - numerosi studi sono stati effettuati per identificare su base scientifica le conseguenze economiche derivanti dalla stipulazione di una Convenzione per evitare le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio (di seguito CDI), in particolare per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri. La letteratura non è comunque stata in grado di fornire una risposta univoca, illustrando risultati divergenti. Mentre in passato si era ritenuto che le CDI favorissero per loro stessa

natura gli investimenti, evitando la cosiddetta doppia imposi-zione giuridica internazionale, la dottrina più recente è giunta a ritenere che le CDI possano talora avere addirittura effetti negativi o neutri[4]. È innegabile, tuttavia, che lo strumento della CDI è da considerarsi ancora un meccanismo completo atto ad evitare non solo la più tradizionale “doppia imposizione internazionale”, ma anche la cosiddetta “concorrenza fiscale sleale internazionale”, quale conseguenza inevitabile della globalizza-zione dei mercati e quale causa dell’alterazione patologica dei meccanismi allocativi e di mercato, mediante – ad esempio – l’inserimento di articoli che regolamentano le transazio-ni tra imprese associate, lo scambio di informazioni tra Stati contraenti o, ancora, mediante l’introduzione di norme che limitano l’accesso a determinati benefici convenzionali. Non-dimeno, il costante aggiornamento dello strumento conven-zionale è elemento indispensabile, pena il suo inevitabile e completo declino.

Volgendo allora lo sguardo alla CDI-ITA, si rileva immediata-mente che la stessa è stata firmata a Roma il 9 marzo 1976, e ratificata negli anni successivi. È innegabile, quindi, che il qua-dro economico-politico, rispetto al decennio della sua ratifi-ca, è profondamente mutato, sicché una sua rinegoziazione porterebbe a risultati importanti non soltanto sul piano della maggiore cooperazione amministrativa, oggi tanto auspicata, ma anche a cambiamenti ed effetti diretti sul tessuto econo-mico dei due Stati e, più in particolare, delle regioni di frontiera.

Ritenuto infatti che la nuova CDI verosimilmente corrisponde-rà al Modello OCSE aggiornato al 2012[5], così come già acca-duto per altre recenti CDI concluse dalla Svizzera e dall’Italia, ma considerato altresì che il rapporto tra la Svizzera ed il con-testo comunitario, in cui l’Italia è inserita, ha subito importanti sviluppi dal 1976 (anno di sottoscrizione della attuale CDI-ITA), anche a seguito di una serie di accordi intervenuti negli ultimi 15 anni, in questo articolo gli autori desiderano:

1) indicare il quadro politico e giuridico esistente, compren-sivo delle particolarità derivanti dal diritto europeo a ga-ranzia dei diritti fondamentali tra i due Paesi, e quindi gli eventuali effetti di tale quadro sulla rinegoziazione della CDI-ITA;

Diritto tributario internazionale e dell’UELa (auspicabile) rinegoziazione della Convenzione italo-svizzera per evitare le doppie imposizioni

Maurizio Di SalvoAvvocato e Dottore Commercialista, Studio Vergallo, Brivio & Ass. in MilanoLL.M. International Taxation (Vienna)

Filippo Piffaretti Esperto fiscale diplomatoLL.M. International Taxation (Vienna)

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2) argomentare circa i possibili adeguamenti delle attuali nor-me contenute negli articoli 4 e 23 della CDI-ITA, da con-siderarsi quali clausole anti-abuso da applicarsi a persone residenti, i cui redditi non siano regolarmente tassati;

3) ipotizzare le modifiche dell’attuale articolo sullo scambio delle informazioni (articolo 27 CDI-ITA);

4) perorare la causa dell’inserimento di un nuovo articolo sulla collaborazione per la riscossione dei crediti fiscali;

5) fornire alcuni scenari di possibile modifica dell’accordo sui frontalieri.

Detti temi saranno presi in considerazione in un quadro am-pio, e non strettamente collegato – almeno in questa sede – al contesto normativo specifico dei due ordinamenti fiscali.

2. Il quadro politico-legislativo

2.1. In generaleLa globalizzazione dei mercati e l’aumento degli scambi transfrontalieri ha imposto la creazione di norme per evi-tare che si creino ostacoli alle operazioni economiche tran-sfrontaliere e che i redditi di un contribuente vengano tassati contemporaneamente in più Stati; è un dato di fatto, quindi, che nell’attuale scenario le norme siano di diretta creazione, oltre che dei “tradizionali” organismi di carattere nazionale, anche di quelli sovrannazionali o internazionali (ad esempio, l’EU e l’OCSE).

In altri casi, poi, il diritto interno impone dei limiti (in senso territoriale) alla propria stessa applicazione mediante l’adat-tamento ai trattati bilaterali e/o multilaterali[6], ovvero uni-formandosi a raccomandazioni emanate da organismi di di-ritto internazionale (come, per esempio, nel caso del Modello OCSE per le CDI). In quest’ultimo ambito, sono state quindi sviluppate le CDI, vale a dire strumenti di politica internazio-nale tributaria, sotto forma di trattati tra due o più Stati, sulla base delle quali si regolano rapporti tributari tra soggetti che operano o che intrattengono rapporti comunque connessi agli Stati firmatari della CDI; questi ultimi si impegnano ad implementare il contenuto di dette CDI[7], adattando di con-seguenza il diritto interno.

2.2. L’attuale quadro bilaterale tributario tra Italia e SvizzeraLe relazioni bilaterali tra la Svizzera e l’Italia si basano attual-mente su un complesso corpus di trattati.

Per quanto riguarda le questioni fiscali, la CDI-ITA attualmente in vigore, come detto datata 1976, venne, per un lungo lasso di tempo, considerata un buon compromesso per conciliare le posizioni contrastanti dei due Paesi[8].

Più di recente, in seguito alle note pressioni subite da clien-ti esteri delle banche svizzere da una parte ed alle esigenze dell’Amministrazione tributaria italiana di adeguarsi al conte-sto europeo di maggiore trasparenza, anche i rapporti tra Ita-lia e Svizzera si sono fatti più distanti. Nonostante la decisione della Confederazione elvetica di adottare il Modello OCSE re-

lativo allo scambio delle informazioni, intervenuta nel marzo 2009, infatti, l’Italia considerava le proposte svizzere, ed in particolare quella relativa alla conclusione di un accordo bila-terale sulla base del Modello “Rubik”, non accettabili in quanto in controtendenza rispetto allo scenario europeo dell’ultimo decennio, che tende ad affermare i principi della trasparenza e di uno scambio effettivo di informazioni.

Per questo motivo, superata l’“epoca Tremonti” nel maggio 2012, le autorità dei due Paesi hanno ricominciato ad incon-trarsi affrontando temi specifici, vale a dire:

◆ l’accesso ai mercati finanziari;◆ la regolamentazione delle norme black list esistenti;◆ la revisione della CDI-ITA;◆ l’accordo relativo all’imposizione dei frontalieri.

Inoltre tra i temi di discussione, per così dire “pretesi” dalla Con-federazione elvetica, vi sono:

◆ una convenzione sulla regolarizzazione dei valori patrimo-niali detenuti illecitamente in Svizzera da contribuenti non residenti;

◆ la (contemporanea) introduzione di un’imposta alla fonte sui futuri redditi da capitali[9].

È un dato di cronaca, quindi, che dal 2012 ad oggi i colloqui tra i due Paesi siano divenuti più intensi[10] ed il mondo fi-nanziario elvetico ha cominciato a lanciare i primi timidi se-gnali verso un cambiamento di prospettiva. E così, mentre è oramai innegabile che i principali attori della piazza finanzia-ria elvetica si vanno strutturando per divenire perfettamente “tax compliant”, senza quindi voler più attrarre e gestire averi non dichiarati nel Paese del cliente, dall’altra parte del confi-ne si discute ancora su quali possano essere i migliori sistemi per la corretta tassazione dei capitali all’estero, valutando le prassi internazionali di altri Paesi (e quindi ipotesi quali il Mo-dello “Rubik”, gli sviluppi della cooperazione amministrativa in senso automatico e per gruppi di contribuenti, o il persegui-mento di sistemi di “voluntary disclosures” dietro le pressioni di sistemi di controllo internazionale, come il recente progetto Planet annunciato dalla Guarda di Finanza).

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3. La Svizzera ed il suo nuovo ruolo nei rapporti con l’UE: possibili effetti in sede di rinegoziazioneCome detto in premessa, è prevedibile che la rinegoziazione della nuova CDI-ITA prenderà spunto dal Modello OCSE, anche nel solco del maggiore consolidamento della posizione della Confederazione elvetica nello scenario internazionale[11].

Determinanti e dirimenti a quel fine saranno anche (i) la de-cisione del 13 marzo 2009 con la quale il Consiglio federale ha deciso di riprendere lo standard OCSE nell'assistenza am-ministrativa in materia fiscale, (ii) l’approvazione da parte del rappresentante della Svizzera della modifica del 17 luglio 2012 dell’articolo 26 del Modello OCSE, in materia di domande rag-gruppate e, non da ultimo, (iii) le dichiarazioni della Consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf, dimostratasi interessa-ta allo scambio automatico di informazioni basato su di uno standard globale, accettato da ogni Paese[12].

A parere di chi scrive, non va tuttavia dimenticato che, rispet-to all’anno 1976, lo scenario dei rapporti tra Svizzera ed Eu-ropa è profondamente mutato e che la Svizzera non è più un Paese “terzo” come all’epoca della sottoscrizione della vigente CDI-ITA.

Va ricordato ad esempio che, nell’ambito degli accordi bilaterali con l’UE, in data 21 giugno 1999 è stato firmato l’Accordo tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e la Comunità eu-ropea ed i suoi Stati membri, dall’altra, sulla libera circolazione delle persone, in base al quale i cittadini svizzeri e quelli degli Stati membri UE possiedono il diritto di scegliere liberamente il Paese in cui lavorare e soggiornare, senza che all’esercizio di tale libertà possano essere frapposti ostacoli (ad esempio, d’ordine fiscale).

Alcuni anni più tardi, il 26 ottobre 2004, sono stati conclusi ulteriori nove accordi bilaterali tra Svizzera e UE, uno dei quali concepito per evitare la doppia imposizione degli ex funzionari in pensione dell'UE ed un altro, l’Accordo tra la Confederazione Svizzera e la Comunità europea che stabilisce misure equiva-lenti a quelle definite nella direttiva del Consiglio 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi, che all’articolo 15 prevede misure equivalenti alla Direttiva n. 90/435/CEE, concernente il regi-me fiscale comune applicabile alle società madri e figlie. e alla Direttiva n. 2003/49/CE, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni.

In questo contesto di maggiore integrazione, le autorità ita-liane sono oggi tenute ad osservare scrupolosamente le nor-me d’ordine fiscale contenute nel Trattato sul funzionamento dell’UE[13] (di seguito TFUE) e, in particolare, quelle sulla libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali all'interno dell'UE, tra le quali la libera circolazione dei capitali, giusta l’articolo 63 TFUE, dev’essere garantita anche tra Stati membri e Paesi terzi, come la Svizzera.

Da notare che la garanzia della libera circolazione dei capi-tali non è da considerare come un diritto supplementare per il cittadino europeo: essa tende, invece, a vietare ogni tipo di

restrizione ai movimenti dei capitali e si applica quindi al movi-mento di capitale stesso. La libera circolazione dei capitali non concerne solo le norme interne che regolano i movimenti di fondi – trasferimenti, pagamenti, controlli alla frontiere e simili – ma anche ogni altra norma interna che possa impedire un investimento, come ad esempio operazioni in relazione al tra-sferimento della proprietà di un bene, investimenti in azioni o altri strumenti finanziari, patrimonio immobiliari, investimenti di portafoglio e prestiti, comprese le norme di ordine fiscale.

La lista più attendibile delle operazioni coperte dalla libera cir-colazione dei capitali si trova all’Allegato 1 della Direttiva n. 88/361, oggi non più in vigore[14]. In ogni caso, l’articolo 63 TFUE riproduce oggi il contenuto dell’articolo 1 Direttiva n. 88/361 ed è quindi ragionevole che lo stesso possa essere in-terpretato alla luce del predetto allegato, il quale perciò man-tiene tutt’ora lo stesso valore indicativo per definire cosa possa essere compreso nel concetto di “libera circolazione dei capitali”.

Ciò premesso, occorre comunque precisare che, anche per le garanzie relative alla libera circolazione dei capitali, vi sono dei limiti.

L’articolo 64 capoverso 1 TFEU statuisce che le restrizioni in forza alla data del 31 dicembre 1993, in virtù delle legislazio-ni nazionali o della legislazione dell'UE per quanto concerne i movimenti di capitali provenienti da Paesi terzi o ad essi diretti, rimangono riservate, vale a dire che, nel caso in cui queste re-strizioni vengano mantenute in vigore in forme simili, sebbene rappresentino una restrizione della libera circolazione dei ca-pitali, le stesse non violano la libera circolazione dei capitali da e verso Paesi terzi.

In aggiunta, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE (di seguito GGUE), in caso di restrizioni che riguarda-no più libertà fondamentali, è stato introdotto un “test di pre-ponderanza”, in base al quale quando la restrizione della libera circolazione dei capitali è da considerarsi un’inevitabile conse-guenza della limitazione di un’altra libertà fondamentale, essa non è applicabile[15], poiché prevale l’altra libertà fondamen-tale, che non si estende al Paese terzo.

In altre parole, e a titolo d’esempio, questo risultato è stato raggiunto nella sentenza Cadbury Schweppes, una causa rela-tivo alla disciplina sulle “Controlled Foreign Companies” (CFC)[16]

21Novità fiscali / n.12 / dicembre 2013

in vigore nel Regno Unito, dove si è osservato che la norma contestata era applicabile in forza della presenza del controllo partecipativo da parte di un contribuente su una società con-trollata, tale da conferire al contribuente una sicura influenza, capace di indirizzarne le attività e di influenzare le decisioni della controllata[17] e, conseguentemente, si è concluso che il diritto di stabilimento dovesse prevalere[18] sia sulla libera circolazione dei capitali che sulla libera circolazione dei servi-zi. Considerato quanto precede, anche in merito alle norme sulle “thin cup rules”[19] applicabili ai rapporti con Paesi ter-zi, la libera circolazione dei capitali non entra in considera-zione[20], a condizione che queste norme anti-abuso siano applicabili solamente in virtù di un investimento diretto nel-la società figlia, vale a dire di un rapporto di partecipazione che possa permettere di condizionare il management della società figlia[21]. In altre parole, nei rapporti tra Stati dell’UE e Paesi terzi, quali ad esempio la Svizzera, occorre valutare attentamente quale libertà fondamentale è applicabile e nel caso in cui più liberà fondamentali possano essere considera-te, occorre stabilire quale prevale e quindi è effettivamente da salvaguardare. Solamente se dopo questo test la libera circo-lazione dei capitali dovesse prevalere, l’operazione diverrebbe oggetto di protezione contro ogni restrizione ingiustificata, giusta l’articolo 63 TFUE.

In questo nuovo contesto, visti gli accordi tra la Svizzera e l’UE e la legislazione propria dell’UE, di primo acchito potrebbe ap-parire che la rinegoziazione della CDI-ITA, non susciti parti-colari complicazioni, tanto più ove si adotti il Modello OCSE. Tuttavia, altre potrebbero essere le ragioni delle difficoltà che i rappresentanti dei due Stati dovranno superare nella negozia-zione della nuova CDI.

4. Norme anti-abuso contenute negli articoli 4 e 23 della CDI-ITA In linea generale, una volta che una CDI viene ratificata, si pone l’annoso problema dei limiti dell’applicazione della me-desima CDI.

Sul punto, la dottrina non è concorde nel definire quali limiti possa uno Stato decidere di porre all’applicazione delle regole convenzionali, ovvero per non accordare i vantaggi conven-zionali: a tal proposito, ed in via preliminare, due aspetti sono particolarmente rilevanti, ovvero (i) la definizione di abuso[22] e (ii) la posizione delle norme per prevenire l’uso improprio del-le CDI[23].

Il termine abuso è di difficile definizione poiché dipende dal contesto linguistico e dalle norme di ogni singolo Paese; la Commissione dell’UE descrive l’abuso in materia di imposte facendo riferimento alle sentenze della CGUE nelle cause Emsland-Stärke e Halifax, dove, nonostante l’osservanza delle disposizioni in questione, lo “spirito” delle stesse non è stato rispettato da parte del contribuente che aveva in tal modo ottenuto un vantaggio fiscale[24]. Con riferimento al secondo tema, secondo un’autorevole dottrina, le norme anti-abuso di diritto interno non dovrebbero applicarsi a situazioni con-venzionali, poiché ridurrebbero o eliminerebbero la funzione stessa della CDI (in applicazione del criterio per cui “pacta sunt

servanda”)[25]. In aggiunta, ogni Stato è tenuto al rispetto del principio di “buona fede”, ai sensi dell’articolo 31 della Con-venzione di Vienna sul diritto dei trattati, il quale impedisce che uno Stato contraente interpreti in modo irragionevo-le una convenzione a proprio vantaggio, sebbene numerosi Stati riconoscano la possibilità di applicare il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, nel caso in cui, altri-menti, il risultato ottenuto sia contrario ai principi di giustizia. Anche il Commentario al Modello OCSE riconosce che uno Stato non sia tenuto ad accordare i benefici convenzionali in caso di artifici abusivi[26]; d’altra parte, nel Commentario OCSE all’articolo 1 si consiglia di introdurre nelle CDI norme speciali anti-abuso, per combattere possibili comportamenti elusivi[27], le quali devono comunque essere completate da regole speciali che garantiscano la loro non applicazione nei casi di buona fede.

La CDI-ITA attualmente in vigore, ad esempio, contiene nu-merose norme anti-abuso tendenti ad escludere un certo tipo di contribuenti dai benefici convenzionali. L’articolo 4 capover-so 5 lettera a CDI-ITA impedisce l’ausilio di interposte persone o fiduciari, quali beneficiari apparenti per eludere la tassazio-ne presso una data persona fisica di redditi derivanti dall’altro Stato. La norma di cui all’articolo 4 capoverso 5 lettera b della stessa CDI esclude le persone residenti che non siano assog-gettate ad imposta nel proprio Stato di residenza sui proventi derivanti dall’altro Stato, norma intesa ad evitare che le perso-ne imposte secondo il dispendio potessero accedere ai bene-fici convenzionali senza che i proventi derivanti dall’altro Stato contraente venissero tassati nello Stato di residenza. L’articolo 23 capoverso 1 CDI-ITA concerne le società e introduce nor-me anti-abuso atte a assicurare che i benefici convenzionali possano essere richiesti solamente qualora tali redditi possie-dano una reale connessione con l’altro Stato e siano (quindi) ivi regolarmente tassati. Il capoverso 2 del medesimo articolo tende ad evitare l’utilizzo di società a tassazione speciale quali “conduit”, rispettivamente società a tassazione privilegiata[28].

Ritenuto che le norme testé citate sono già contenute nella vigente CDI-ITA, la loro rinegoziazione non dovrebbe porre difficoltà particolari e quindi esse potrebbero divenire parte anche della nuova CDI.

Da parte della Svizzera vi è comunque la consapevolezza che un’epoca è terminata, infatti, nel maggio 2013 è stato pubbli-cato il rapporto preliminare sulle misure da adottare per raf-forzare la competitività fiscale del Paese, nel quale si afferma quanto sia opportuno sostituire gli statuti fiscali cantonali[29] con nuove norme speciali che riscuotano un consenso inter-nazionale maggiore rispetto a quelle attuali e che non conten-gano elementi di “ring fencing”[30] e che tendano ad evitare la doppia non imposizione internazionale. In altre parole, a livello interno elvetico, è in atto uno sforzo enorme per armonizzare il sistema fiscale a quello dei Paesi vicini, quindi ai principi del libero mercato UE.

D’altra parte, per evitare ogni tipo di abuso, lo scambio di in-formazioni, ad esempio, permetterà di verificare in maniera precisa dove le funzioni di una certa impresa sono svolte e quindi dove queste dovranno essere sottoposte a tassazione.

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In merito alla tassazione delle persone fisiche, le pressioni a livello internazionale sono ancora moderate relativamente ai “High Net Worth Individuals”, poiché gli sforzi maggiori per con-trastare gli abusi sono stati indirizzati al mondo delle imprese. Per la Svizzera occorrerebbe comunque valutare la possibilità di eliminare ogni incentivo da considerarsi anacronistico e non compatibile, dal punto di vista dell’equità, con un moderno si-stema fiscale.

Facendo seguito al piano di azione contenuto nel rappor-to pubblicato dall’OCSE in data 12 febbraio 2013, Addressing Base Erosion and Profit Shifting, il sistema della tassazione glo-bale potrebbe non essere conforme al nuovo trend dell’OCSE che ha, come uno dei suoi scopi prioritari, la prevenzione dei casi di “double non-taxation”[31] e che spinge le autorità fisca-li nazionali a implementare meccanismi virtuosi attraverso lo sviluppo di attività volte alla volontaria “disclosure” di attività economiche e finanziarie illecitamente detenute.

Ritenuto quanto precede, il sistema fiscale svizzero è in grande fermento per meglio integrarsi nei sistemi fiscali internazionali rispettando il principio delle pratiche fiscali eque; di conse-guenza, non appena gli strumenti che oggi sono ancora vi-sti come elusivi saranno eliminati, non vi sarà più il bisogno di mantenere norme anti-abuso specifiche nella CDI-ITA. Quan-to precede significa che, inesorabilmente, i privilegi fiscali di cui oggi godono le società a tassazione privilegiata e fors’anche i contribuenti tassati sulla base del dispendio sono destinati a scomparire.

5. Il possibile adeguamento della CDI-ITA all’articolo 26Modello OCSE (2012)L’attuale impianto della CDI-ITA risente del fatto che la stes-sa è ispirata al “vecchio” Modello OCSE, nella versione iniziale dell’anno 1963. In quel contesto, per quanto attiene più spe-cificatamente all’articolo 26 Modello OCSE, riprodotto nell’ar-ticolo 27 CDI-ITA, lo scambio di informazioni, utilizzato come strumento prodromico all’applicazione delle CDI e delle norme tributarie interne, era rilevante soltanto con riferimento alle persone residenti dei due Stati contraenti. Peraltro, l’artico-lo 27 CDI-ITA presenta un ambito di applicazione ancor più ristretto rispetto a quello dell’articolo 26 Modello OCSE del 1963, essendo lo stesso limitato allo scambio di informazioni necessarie all’applicazione della CDI-ITA (cosiddetta “minor in-formation clause”[32]) e non esteso allo scambio di informazioni rilevanti ai fini dell’applicazione del diritto interno degli Stati contraenti. Il testo dell’articolo 27 capoverso 1 primo periodo CDI-ITA dispone che “[l]e autorità competenti degli Stati contraenti potranno scambiarsi le informazioni (che le legislazioni fiscali dei due Paesi permettono di ottenere nel quadro della prassi amministrati-va normale) necessarie per una regolare applicazione della presente Convenzione”.

È evidente, quindi, che l’attuale formulazione dell’articolo 27 CDI-ITA pone seri ostacoli alla trasparenza dell’azione am-ministrativa tributaria, potendo gli Stati contraenti ricorrervi solo nel caso di applicazione di norme convenzionali e limita-tamente alle informazioni concernenti a persone residenti in Italia, in Svizzera o in entrambe gli Stati.

Come noto, è solo con la revisione del 1977 del Modello OCSE che vengono eliminate le suddette limitazioni soggettive allo scambio di informazioni e, successivamente, è con la revisione del 1992 che lo scambio di informazioni comincia ad assumere le caratteristiche per poter contribuire ad una prima concreta attuazione delle politiche OCSE volte a garantire un’effettiva trasparenza in materia tributaria e, dunque, per poter essere d’ausilio alla lotta all’evasione e all’elusione.

Più avanti negli anni, inoltre, sempre a livello OCSE, venivano eliminate una serie di restrizioni che limitavano l’accesso alle informazioni bancarie ai fini fiscali (il primo Modello OCSE a recare significative innovazioni è quello del 2005).

Nel corso di questi lunghi decenni, nonostante non siano man-cati accordi tra il 2000 e il 2010 che indirettamente incidevano sulla complessa materia dello scambio delle informazioni tra amministrazioni fiscali (come nel caso dei citati nove accordi bilaterali tra Svizzera ed UE in materia di fiscalità del rispar-mio), i rapporti tra i Ministeri delle finanze italiani e svizzeri rimanevano tuttavia quelli regolati dalla CDI-ITA del 1976.

In questo quadro, tuttavia, non va dimenticato che la Confede-razione elvetica ha avuto (e tuttora ha in corso) una sua pro-gressiva e meditata apertura verso la materia dello scambio di informazioni che qualche autore in dottrina – non a caso – ha definito un vero e proprio “big bang” o rivoluzione[33].

Il punto di partenza può farsi senz’altro coincidere con la deci-sione del 13 marzo 2009, con la quale il Consiglio federale ha deciso di riprendere lo standard OCSE sull'assistenza ammini-strativa in materia fiscale. Da quella data, infatti, la Svizzera – sotto l’innegabile ed incessante pressione di Stati e organismi internazionali quali G-20, OCSE, USA, UE e Consiglio d’Europa – ha cominciato il lento adeguamento di rinegoziazione delle proprie CDI[34].

Adeguamento costellato da una serie di critiche internaziona-li, nel periodo 2009-2010, – tra cui quelle del Governo italia-no – verso l’atteggiamento di mancata apertura del sistema fiscale svizzero alle richieste di maggiore trasparenza fiscale, soprattutto in materia di segreto bancario: in particolare, tra l’ottobre 2010 e il giugno 2011, la Svizzera è stata oggetto di una severa critica da parte del Global Forum che, operata una generale revisione dei sistemi di adeguamento dei nuovi trattati svizzeri al Modello OCSE[35], ha giudicato la pratica dello scambio di informazioni da parte dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC) ancora inadegua-ta rispetto al modello internazionale.

Da quella data, tuttavia, la Svizzera si è costantemente adegua-ta ai richiami dell’OCSE, inserendo nei nuovi trattati (alcuni dei quali non ancora ratificati) le cosiddette “antifrustration clause”, miranti a rendere effettivo lo scambio di informazione median-te l’abolizione di quelle prassi interpretative che ostacolano di fatto la trasmissione delle informazioni, nonché la disposizione recata dall’articolo 5 capoverso 5 del Tax Information Exchange Agreements elaborato dall’OCSE nel 2002, il quale prevede l’ob-bligo di scambio di informazioni su richiesta, anche quando le informazioni richieste non siano rilevanti per fini fiscali interni.

23Novità fiscali / n.12 / dicembre 2013

Non solo: il 6 marzo 2012 il Parlamento federale svizzero ha reso per la prima volta ammissibile, mediante approvazione di uno specifico Protocollo di modifica della CDI tra Svizzera e USA, il sistema dello scambio di informazioni per gruppi di contribuenti, adottando una serie di cautele per evitare la co-siddette “fishing expeditions”.

Nel luglio 2012, il Modello OCSE ed il relativo Commentario venivano aggiornati dall’OCSE e – in quella stessa occasio-ne – anche i significati di richiesta per gruppi di contribuenti venivano chiariti, senza che la Svizzera apponesse alcuna os-servazione alla parte del Commentario all’articolo 26 Modello OCSE che esplicitamente ammetteva la liceità della richiesta di informazioni per gruppi di contribuenti.

Da ultimo va ribadito che il 9 ottobre 2013, la Consigliera fede-rale Eveline Widmer-Schlumpf, capo del Dipartimento federale delle finanze (di seguito DFF) ha comunicato che il Consiglio federale ha deciso di firmare la Convenzione multilaterale di Strasburgo sull'assistenza amministrativa in materia fiscale (conclusa nel 1988 e emendata nel 2010; di seguito Conven-zione di Strasburgo) e di licenziare un nuovo progetto di man-dato di negoziazione con l'UE ai fini della revisione dell’Accordo sulla fiscalità del risparmio. Il 15 ottobre 2013 la Svizzera ha sottoscritto la predetta Convenzione di Strasburgo.

A tal proposito, occorre rammentare che le disposizioni sullo scambio delle informazioni della Convenzione di Strasburgo sull’assistenza amministrativa di Strasburgo sono più ampie rispetto all’articolo 26 Modello OCSE[36]; in particolare si pre-vede la facoltà di stipulare accordi bilaterali per lo scambio au-tomatico (articolo 6) e l’obbligo di comunicazione spontanea nei casi in cui precise condizioni siano date, ad esempio qualora “la première Partie a des raisons de présumer qu’il existe une reductio ou une exonération anormales d’impôt dans l’autre Partie”[37].

E dunque, stando almeno alle dichiarazioni programmatiche ed ai primi passi mossi, il Consiglio federale sembra davvero aver inserito tra i primi punti della propria agenda l’apertura allo scambio di informazioni verso altre amministrazioni fiscali.

Operato questo quadro ricostruttivo, non rimane allora che chiedersi come potrebbe presentarsi l’articolo 27 della futura CDI-ITA, alla luce dei predetti sviluppi nella politica svizzera sullo scambio di informazioni in materia fiscale?

A parere di chi scrive un precedente storico di sicuro interes-se, sul fronte italiano, è quello della CDI tra Italia e San Ma-rino, ratificata nel corso del 2013: anche San Marino, infatti, ha intrapreso un percorso di riforme del proprio ordinamento interno e di quello internazionale che ne ha sancito il pieno al-lineamento, in tema di trasparenza fiscale, con i Paesi membri dell’OCSE.

Ebbene, non sarà difficile presumere che – sulla falsariga di quanto avvenuto in quell’occasione e quindi del Modello OCSE del 17 luglio 2012 – il nuovo articolo 27 della CDI CDI-ITA (post eventuale negoziazione) si preoccuperà non solo di attuare lo scambio di informazioni tra Stati contraenti ai fini della legisla-zione interna in materia di imposte disciplinate dalla CDI, ma

anche ai fini della corretta attuazione delle singole disposizioni della stessa CDI. E quindi, lo scambio avverrà ai fini della pre-venzione della doppia imposizione, ma anche per la semplice applicazione del diritto interno dello Stato richiedente.

Quanto a limiti allo scambio, è evidente che dovranno essere adottate le stesse cautele utilizzate in altri ambiti convenzio-nali, per cui – pur venendo preservata la cosiddetta “exhaustion rule” e la tutela dei segreti commerciali, industriali e professio-nali e dell’ordine pubblico – detti limiti dovranno essere intesi in senso reciproco, e non nel senso di escludere il dovere delle autorità di uno Stato contraente di comunicare determinati dati (ad esempio in presenza di una disciplina nazionale che tuteli il segreto bancario) quando il limite invocato non sia le-gittimamente operante anche nell’altro Paese.

Inoltre, essendo stato il Modello OCSE rivisto nel luglio 2012 anche nel relativo Commentario, la nuova CDI-ITA potrà be-neficiare del fatto di avere definitiva e chiara esplicazione dei requisiti positivi della cosiddetta “prevedibile rilevanza” delle in-formazioni fiscali da richiedere/ottenere, di quelli negativi delle cosiddette “fishing expeditions” e di quelli utili ad individuare la legittimità delle richieste da parte dell’altro Stato su possibili categorie (o gruppi) di contribuenti, di cui trasmettere deter-minate informazioni[38].

Le procedure e le competenze saranno parimenti le stesse di cui all’articolo 26 Modello OCSE.

Qualche riflessione maggiore, nondimeno, merita la possibi-le implementazione del capoverso 5 dell’articolo 26 Modello OCSE, proprio in materia di segreto bancario, tenuto anche conto che il concetto di scambio di informazioni in sé appa-re comunque nuovo nel contesto dei rapporti italo-svizzeri. È evidente, a parere di chi scrive, che l’acritica trasposizione del capoverso 5 del suddetto articolo 26 nel contesto dei rapporti tra Italia e Svizzera potrebbe offrire ancora una possibile base per rifiutare lo scambio di informazioni.

A tal proposito, va ricordato che il capoverso 5 dell’articolo 26 Modello OCSE afferma che uno Stato contraente non può rifiutare lo scambio di informazioni solo perché queste sono detenute da una banca, da un’altra istituzione finanziaria, da un mandatario o una persona che opera in qualità di agen-te o di fiduciario, o perché dette informazioni si riferiscono a

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partecipazioni in una persona. Nondimeno, detto capoverso 5 non preclude allo Stato contraente la possibilità di invocare il capoverso 3 dell’articolo 26 Modello OCSE, ai fini di un rifiuto legittimato dal fatto che l’informazione è detenuta, ad esem-pio, da un professionista tenuto nei confronti del proprio clien-te a tenere l’informazione riservata (e quindi tenuto al proprio segreto professionale)[39].

È evidente che, da un punto di vista di politica fiscale, una maggiore riflessione su questi aspetti si imporrà ai redattori della futura CDI-ITA, perché vi sarà da parte italiana la sicura esigenza di garantire a livello convenzionale l’apertura del se-greto bancario, ma da parte elvetica la pari necessità di garan-tire eventuali segreti professionali, nei confronti di contribuenti o gruppi di contribuenti[40].

Ma non vi è dubbio che questi cambiamenti provocheranno un radicale cambiamento nel mondo bancario e della gestione patrimoniale elvetica, così come già successo con clienti resi-denti in altri Paesi (ad esempio Francia e Germania).

Gli istituti bancari, memori delle vicissitudini incorse nei rap-porti con gli USA, dovranno valutare attentamente i rischi re-putazionali e di standing derivanti dalla gestione di patrimo-ni non dichiarati: verosimilmente, quindi, imporranno ai loro clienti “non tax compliant” di provvedere a regolare i propri rapporti fiscali con l’autorità fiscale del proprio Paese di resi-denza, in ragione dell’aumentato rischio di ricevere dall’altro Stato contraente delle richieste amministrative, volte a sco-prire l’identità di evasori fiscali; pena l’estinzione forzata della relazione bancaria.

6. L’inserimento di un nuovo articolo sulla collaborazione per l’incasso dei crediti fiscaliL’attuale CDI-ITA non include al proprio interno un articolo che disciplini, in un più ampio quadro di sistemi collaborativi tra i due Paesi, la cooperazione finalizzata alla riscossione dei cre-diti fiscali e che permetta quindi l’assistenza reciproca tra gli Stati per il recupero e l’incasso delle imposte dovute dai reci-proci contribuenti in situazioni “crossborder”.

La ragione risiede nel fatto che il Modello OCSE che per primo ha previsto la disposizione di cui all’articolo 27 sull’assisten-za nella riscossione delle imposte è stato quello pubblicato dall’OCSE il 28 gennaio 2003 e, quindi, in data successiva alla data di conclusione della vigente CDI-ITA, basata sul Modello OCSE del 1963.

D’altro canto, l’esigenza di perequare le CDI con un sistema “bilanciato” che preveda la mutua assistenza sia in fase di ac-certamento (scambio di informazioni), sia in fase di riscossione (assistenza nel recupero), era stata storicamente avvertita sin dai primi anni sessanta[41]. Di contro, con la negoziazione de-gli accordi bilaterali basati sul Modello “Rubik”, la Svizzera ha lasciato intendere di voler privilegiare un sistema collaborativo di riscossione dei crediti fiscali con i Paesi contraenti, attraver-so l’implementazione di un sistema di “prelievo alla fonte” (così è attualmente, per esempio, con il Regno Unito e l’Austria). Ma, sempre sul piano internazionale, con l’adesione del 15 ottobre

2013 alla Convezione di Strasburgo da parte del Consiglio Fe-derale, la Svizzera ha nuovamente ribadito la propria volontà di volersi allineare agli standards internazionali: la Convenzione di Strasburgo, infatti, agli articoli 11 e seguenti, disciplina la cooperazione amministrativa tra le Autorità fiscali degli Stati contraenti finalizzata alla riscossione dei crediti tributari.

L’allineamento della futura CDI-ITA all’articolo 27 Modello OCSE sembrerebbe pertanto inevitabile.

Dal punto di vista economico, allora, è evidente che i rifles-si positivi di una tale interazione tra i due Paesi, in termini di effettivo recupero di base imponibile, sarebbe altrettanto in-negabile.

Infine, la possibilità per Svizzera ed Italia di poter estendere la propria potestà impositiva sul territorio dell’altro Stato, in termini di recupero dei crediti tributari, anche mediante l’ado-zione di misure conservative sul patrimonio del proprio contri-buente (come previsto dal capoverso 4 dell’articolo 27 Modello OCSE), ad avviso di chi scrive, finirebbe per garantire la traspa-renza fiscale sul piano operativo.

7. Alcune idee per la modifica dell’Accordo tra la Svizzera e l’Italia relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieriLa materia dell’imposizione in Svizzera dei lavoratori frontalieri è disciplinata dall’articolo 15 capoverso 4 CDI-ITA e, al contem-po, dall’Accordo tra la Svizzera e l'Italia relativo all'imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a fa-vore dei Comuni italiani di confine, concluso il 3 ottobre 1974.

Detto accordo prevede che i salari percepiti da persone resi-denti in Italia nei comuni a ridosso del confine (all’interno della cosiddetta “fascia dei 20 chilometri”) siano tassati unicamente in Svizzera giusta le tariffe (aliquote) corrispondenti a quelle applicabili alle persone residenti nel Cantone Ticino (rispetti-vamente nei Cantoni di Vallese e dei Grigioni). All’Italia è ver-sato un ristorno del 38.8% calcolato sul totale delle imposte prelevate. Nel 2012 tale ristorno si è attestato ad un valore di circa 50 milioni di franchi.

Per contro, il salario dei frontalieri residenti in un comune sito oltre i 20 chilometri dal confine è generalmente soggetto ad imposizione alla fonte in Svizzera e poi nuovamente tassato in Italia. Tuttavia, le imposte pagate in Svizzera sono detratte dall’imposta italiana.

Tale sistema ha creato delle distorsioni evidenti, basti ricordare che le aliquote in vigore in Italia sono sensibilmente più elevate

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rispetto alle aliquote applicabili in Svizzera e, di conseguenza, il prelievo d’imposta per gli italiani residenti oltre i 20 chilome-tri dal confine è sensibilmente più elevato e, di conseguenza, rende meno attrattiva l’assunzione di un impiego in Svizzera (questo è vero anche ove le imposte italiane siano computate su un reddito “convenzionale” – generalmente inferiore al sa-lario effettivo – giusta l’articolo 51 capoverso 8 bis D.P.R. n. 917/1986). Da un punto di vista prettamente economico i due sistemi comportano risvolti diversi, in particolare, sul mercato del lavoro ticinese e sull’importo globale incassato dalle auto-rità fiscali, i quali hanno generato malcontenti e vibranti pro-teste sul mercato locale.

Ciò premesso, non è certo che questa concezione dualistica venga mantenuta, a seguito della conclusione di una nuova CDI-ITA e ad un probabile rinnovo dell’Accordo sui frontalieri; soprattutto, non è certo che il problema dei frontalieri sia desti-nato a trovare una definizione all’interno della nuova CDI-ITA.

Si prospettano per questo due scenari: il mantenimento dell’attuale sistema, oppure l’assoggettamento di tutti i fron-talieri ad imposta sia in Svizzera, che in Italia. Da un punto di vista economico, non sono noti studi che abbiano analizzato dettagliatamente e statisticamente la questione, ma la piazza economica ed industriale ticinese vorrebbe mantenere il siste-ma attuale, preoccupata del previsto aumento (indiretto) del costo del lavoro che conseguirebbe allo stralcio dell’Accordo sui frontalieri[42]. Dal punto di vista politico, mentre l’Italia ha sempre legato il tema alle questioni relative alla cooperazione amministrativa, in Ticino prevarrebbe un’attitudine protettiva, ossia l’intenzione di optare per il cambiamento di sistema, in modo da rendere meno attraente per i lavoratori italiani l’e-sercizio di un’attività di lavoro dipendente in Svizzera.

Le conseguenze di una modifica di sistema sono imprevedibili: il cambiamento potrebbe spingere numerosi lavoratori italiani a rilocalizzare il loro domicilio nel Cantone Ticino, con possibili effetti negativi sul prezzo degli immobili. D’altra parte, il fron-talierato perderebbe d’attrattività ed alcune imprese a basso valore aggiunto, potrebbero abbandonare il Canton Ticino.

8. ConclusioneAbbiamo evidenziato alcune ragioni per le quali la CDI-ITA non è ancora stata rinegoziata. Nondimeno, in una prospetti-va futura, le previste modifiche del sistema fiscale svizzero ed il suo progressivo avvicinamento al sistema europeo registra-tosi negli ultimi quindici anni senza dubbio non potranno che agevolare l’avvicinamento dei due diversi contesti socio-po-litici. Resterà comunque da sciogliere il nodo della tassazio-ne dei frontalieri, reso particolarmente intricato dalla grossa differenza del livello di imposizione delle persone fisiche nei due Paesi.

Gli autori sono comunque fiduciosi, anzi sicuri, che i rispettivi governanti sapranno tracciare una via per meglio integrare le economie dei due Paesi, in modo da permettere che anche la variabile fiscale possa fungere da volano per stimolare le rispettive economie, o quanto meno, quelle delle regioni di confine.

Da un punto di vista strettamente economico, infatti, la mo-difica degli articoli della CDI-ITA in ambito di scambio di infor-mazione renderanno il quadro di cooperazione tra le autorità competenti dei due Stati simile al contesto proprio dell’UE.

Ne conseguirà, per esempio, che, come è stato stabilito dalla CGUE, il rifiuto categorico di concedere un’agevolazione fisca-le ad un contribuente dell’altro Paese che goda di una liber-tà di movimento ai fini dell’esercizio di un’attività economica non sarà più giustificato, dal momento che nulla impedirà più all’autorità fiscale di esigere dal contribuente le prove che essa reputi necessarie per la corretta determinazione delle imposte e, se del caso, di verificare tali informazioni tramite una richie-sta d’assistenza amministrativa[43].

Nella stessa direzione, la nuova CDI-ITA dovrebbe concludere l’epoca delle misure “anti-abuso” (vale a dire l’epoca delle paure svizzere derivanti dalle “black list” italiane). A tal proposito vale la pena citare nuovamente la giurisprudenza della CGUE, in particolare la sentenza emanata nella causa Commissione contro Repubblica italiana, relativa al pagamento di dividendi a socie-tà fiscalmente non residenti in Italia e stabilite (anche) in Stati non membri dell’UE. Ebbene, secondo la CGUE il trattamento fiscale meno favorevole a cui sono sottoposti i pagamenti di dividendi destinati a società residenti in Stati “non cooperativi” è da considerarsi una restrizione alla libera circolazione dei capi-tali – disciplinata dal TFUE – giustificata dalla necessità di con-trastare la lotta contro la frode fiscale. La CGUE ha precisato che, in detto caso, i principi relativi alle restrizioni all’esercizio della libertà di circolazione dei capitali tipici dell’UE, non posso-no essere applicati ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e gli Stati terzi, in quanto essi si collocano in contesti giuridici differenti, in forza della mancata cooperazione amministrativa tra Autorità fiscali. La norma in esame deve quindi essere con-siderata giustificata per il motivo imperativo di interesse gene-rale riguardante la lotta contro la frode fiscale, nonché idonea a garantire la realizzazione di detto obiettivo senza eccedere quanto necessario per conseguirlo[44]. Di converso, tali restri-zioni non sono giustificabili qualora tra gli Stati membri UE e gli Stati terzi sia in vigore un efficace sistema di scambio di in-formazioni (come, sperabilmente, sarà in futuro tra l’Italia e la Svizzera), il quale garantisca agli Stati membri UE la possibilità di verificare, al fine di evitare situazioni abusive, le informazioni fornite dai contribuenti attraverso la cooperazione ammini-strativa dell’Autorità fiscale dello Stato terzo interessato.

Pertanto, la Svizzera dovrà fornire in futuro un’assistenza ef-ficiente ed efficace, vale a dire, simile a quella che caratterizza l’ordinamento giuridico europeo, la quale (i) impone termini per la trasmissione, (ii) prevede la collaborazione tra funzio-nari dei suoi Stati, (iii) nonché diciplina i casi di consultazione e di comunicazione delle esperienze (best practices). Sostanzial-mente una cooperazione tra Stati leale. Ove tutte quelle con-dizioni si riterranno soddisfatte, nell’ottica di quanto stabilito dalla stessa CGUE[45], non vi saranno più restrizioni alla libera circolazione dei capitali giustificate dalla necessità di contra-stare la lotta contro la frode fiscale.

Un’ultima puntualizzazione di cronaca merita il fatto che ne-gli ultimi mesi la stampa ha lasciato intendere che le autori-

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tà italiane starebbero lavorando ad un progetto di “voluntary disclosure”, per riportare alla luce capitali non dichiarati e at-tualmente gestiti presso istituti bancari esteri. A parere degli autori, pur mancando notizie ufficiali in proposito, potrebbe esservi in corso la predisposizione di un progetto di “voluntary disclosure”, il quale prenderà verosimilmente spunto dal piano d’azione “Base Erosion and Profit Shifting” pubblicato dall’OCSE, il cui punto 12 consiglia gli Stati membri dell’OCSE di elaborare delle metodologie per favorire la dichiarazione spontanea di strutture di pianificazione fiscale aggressive[46]. Questo nuo-vo meccanismo tenderà a riportare alla luce strutture e redditi abusivamente occultati. Esso dovrebbe permettere allo Stato italiano di recuperare le imposte sottratte, offrendo quale in-centivo, verosimilmente, una riduzione in serie delle sanzioni amministrative e penali applicabili al caso di specie[47].

Tutta questa materia, al momento in cui si manda in stam-pa questo contributo, costituisce sicuro oggetto di verifica da parte dei competenti organi di governo e parlamentari.

Sarebbe tuttavia auspicabile, a parere di chi scrive, che le re-lative iniziative non vadano ad ostacolare i veri processi di ne-goziati della nuova CDI-ITA, come avvenuto in passato, sede idonea di permanente collocazione di quei rapporti.

Elenco delle fonti fotografiche:http://www.swen.ch/tl_files/swen/images/aktuell/Apr13/Bankgeheim-nis.jpg [20.12.2013]

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http://static.a-z.ch/__ip/2Y9i-51-oMcrFpYa7boxf4zMOvM/caf2a2a29b7b27524c2901262f79cf160b44d743/assetRelationTeaser-detail/schweiz/nun-wackelt-das-bankgeheimnis-auch-in-der-schweiz-126652877 [20.12.2013]

http://www.sigarettaelettronica.biz/wp-content/uploads/2013/07/Depositphotos_19476783_s-620x280.jpg [20.12.2013]

http://diepresse.com/images/uploads/8/1/4/493588/bankgeheim-nis20090708193049.jpg [20.12.2013]

[1] Nel recente discorso per l’ottenimento della fiducia al Parlamento Italiano dell’ottobre 2013, il primo ministro Enrico Letta ha dichiarato di voler programmaticamente attuare un piano per un recupero dei patrimoni illegittimamente trasferiti all’estero.[2] Relazione del Ministro Giulio Tremonti al Parla-mento del luglio 2010, in merito ai risultati conclu-sivi dello scudo fiscale operante fra il 15 settembre 2009 e il 30 aprile 2010.[3] Così in “Italia-Svizzera nuovo round. Riparte il con-fronto tra Roma e Berna per arrivare ad un accordo”, articolo apparso in Il Sole 24 Ore, sezione Norme e Tributi, dell’11 ottobre 2013 a firma di Alessandro Galimberti [4] Per una rassegna completa di queste posizioni vedasi: Baker Paul, An Analysis of Double Taxation Treaties and their Effect on Foreign Direct In-vestment, Oxford 2012.

[5] Va ricordato in proposito che il primo Modello OCSE fu redatto dal Comitato per gli Affari fiscali dell’OCSE nel lontano 1963 e successivamente ri-visitato nel 1977, nel 1992 e, successivamente, nel 1995, 1997, 2000, 2002, 2005, 2008, 2010 e, infine, nel 2012.[6] Giova ricordare che, ai sensi dell’articolo 11 del-la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, le convenzioni divengono efficaci con la dichiarazio-ne di consenso degli Stati contraenti.[7] Lang Michael, Introduction to the Law of Dou-ble Taxation Conventions, Vienna 2013, pagina 32.[8] Ci si riferisce alla combinazione della Conven-zione tra la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera per evitare le doppie imposizioni e per re-golare talune altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, firmata a Roma il 9 marzo 1976 ed al relativo Protocollo aggiuntivo del 28 aprile 1978.

[9] Segretariato di Stato per le questioni finanzia-rie e internazionali (di seguito SIF): Svizzera e Italia concordano un dialogo sulle questioni finanziarie e fiscali, Comunicato stampa, Berna, 9 maggio 2012, in: http://www.news.admin.ch/message/index.html?lang=it&msg-id=44481 [20.12.2013][10] Dipartimento federale degli affari esteri, Il consigliere federale Didier Burkhalter in visita a Roma, Comunicato stampa, Berna, 17 gennaio 2013, in: http://www.news.admin.ch/message/index.html?lang=it&msg-id=47456 [20.12.2013]. Successivamente, per l’Italia, la comunicazione del Ministro Saccomanni da Washington nell’ottobre 2013 (si veda: http://www.internazionale.it/news/fisco/2013/10/10/avanti-negoziati-fisco-italia-svizzera-ma-berna-non-da-cifre [20.12.2013]).[11] È fatto di cronaca che nel secondo semestre dell’anno 2013 la piazza finanziaria elvetica sia stata animata da un autentico fermento tributa-

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rio, diretto alla sottoscrizione di una nuova ondata di accordi fiscali in stile OCSE.[12] SFI, La consigliera federale Widmer-Schlumpf riceve a Berna il commissario europeo Šemeta, Comunicato stampa, Berna, 17 giugno 2013, in: http://www.news.admin.ch/message/index.html?lang=it&msg-id=49313 [20.12.2013].[13] Trattato istitutivo della Comunità economi-ca europea, firmato a Roma il 25 marzo 1957; poi modificato da successivi Trattati, fra i quali si può rammentare in particolare il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992; il testo attuale è stato da ulti-mo modificato dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1. dicembre 2009. [14] CGUE, 16 marzo 1999, causa C-222/97, Trum-mer and Mayer, punti 20-21.[15] CGUE, 3 ottobre 2006, causa C-452/04, Fi-dium Finanz, punto 48. Sul tema dell’applicabilità della libera circolazione dei capitali a fattispecie che concernono rapporti partecipativi di controllo e di collegamento in società di Paesi terzi, si veda Arginelli Paolo, In tema di applicabilità della libe-ra circolazione dei capitali a dividendi provenienti da Stati terzi e relativi a partecipazioni di controllo o di collegamento, in: Rivista di diritto tributario, 2013, parte IV, pagine 114 e seguenti. [16] Le CFC sono norme anti-abuso secondo le quali i redditi conseguiti in uno Stato (tipicamen-te con regime fiscale privilegiato) da imprese, di-rettamente o indirettamente, controllate da un contribuente residente in un diverso Stato, sono tassati in capo a detto contribuente dal suo Stato di residenza, senza che tal fine sia necessaria una distribuzione degli utili conseguiti dal soggetto partecipato.[17] CGUE, 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y, punto 37.[18] CGUE, 12 settembre 2006, causa C-196/04 Cadbury Schweppes, punto 33. [19] Norme anti abuso in base alle quali (i) gli in-teressi che remunerano i finanziamenti di soci “qualificati” superiori ad una certa proporzione (ri-spetto al patrimonio netto della società) non sono fiscalmente deducibili e (ii) tale remunerazione per il socio percipiente è frequentemente riqualificata da interesse a dividendo.[20] CGUE, 13 marzo 2007, causa C-524/04 Thin Cap Group Litigation, punto 99. [21] CGUE, 3 ottobre 2013, causa C-282/12, Itelcar – Automóveis de Aluguer Lda, punto 31.[22] Su questi aspetti, sia consentito il richiamo del contributo di Piffaretti Filippo, The Application of Anti-abuse Rueles in Third-Country Situations, in Simader Karin/Titz Elisabeth (a cura di), Limits to tax planning, Vienna 2013, pagine 467 e seguenti.[23] Lang Michael, Introduction to the Law of Dou-ble Taxation Conventions, Vienna 2013, pagina 59.[24] Comunicazione COM(2007)785 del 10 di-cembre 2007 della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo: L’applicazione di misure antiabu-so nel settore dell’imposizione diretta – all’interno dell’UE e nei confronti dei Paesi terzi.[25] Lang Michael, op. cit., pagina 59.[26] Commentario all’articolo 1 Modello OCSE (2010), paragrafo 9.4.[27] Ibidem, paragrafo 9.6.[28] Per ulteriori dettagli, si veda Locher Peter, Einführung in das internationale Steuerrecht der Schweiz, Bern 1996, pagine 127 e seguenti.[29] Regole in vigore in taluni Cantoni elvetici, se-condo cui alcune particolari tipologie di società godono di una tassazione privilegiata.[30] DFF, Misure volte a rafforzare la competi-tività fiscale (Riforma III dell’imposizione delle

imprese), Rapporto intermedio dell’organo di co-ordinamento all’attenzione del Dipartimento fe-derale delle finanze (DFF), Berna, 7 maggio 2013, pagina 17, in: http://www.efd.admin.ch/themen/steuern/02720/index.html?lang=it [20.12.2013].[31] OCSE, Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting, Parigi 2013, capitolo 3, in: http://www.oecd.org/ctp/BEPSActionPlan.pdf [20.12.2013]. [32] Per una chiara distinzione tra “narrow exchan-ge” e “broad exchange”, si veda Lang Michael, op. cit., pagine 157 e 158.[33] Oberson Xavier, The Development of Inter-national Assistance in Tax Matters in Switzer-land: From Evolution to Revolution, in: European Taxation, 2013, pagine 368 e seguenti; Maraia Jean-Frédéric/Sansonetti Pietro, Exchange of in-formation and cross border cooperation between tax authorities, Switzerland Report, in: IFA Cahiers 2013, Volume 98b, Paesi Bassi 2013 pagine 739 e seguenti.[34] Esemplare, a tal proposito, fu il richiamo tra l’ottobre 2010 ed il giugno 2011 da parte del Glo-bal Forum dell’OCSE all’AFC, a seguito del quale il Consiglio federale ha deciso di modificare ulte-riormente il proprio approccio in senso meno re-strittivo verso lo scambio di informazione con altre autorità amministrative. [35] Ci si riferisce ai contenuti del rapporto Peer review report: Switzerland – Phase 1- Legal and regulatory framework, pubblicato dal Global Forum on transparency and exchange on information for tax purposes dell’OCSE nel giugno 2011.[36] Non a caso, un esimio autore della più recente dottrina internazionalistica ritiene che la struttura della Convenzione multilaterale costituisca il siste-ma migliore per passare da un sistema di coopera-zione amministrativa ad un migliore coordinamen-to in materia di scambio di informazioni, lasciando inalterati le sovranità impositive nazionali, ma per-mettendo una più equa distribuzione di gettito fi-scale tra i contribuenti, ed evitando l’erosione delle basi imponibili da parte delle multinazionali: così Owens Jeffrey, The Role of Tax administrations in current tax climate, in: Bulletin for International Taxation, 2013, pagine 156 e seguenti.[37] Convenzione di Strasburgo, articolo 7 capo-verso 1 lettera a.[38] Su questi aspetti, sia consentito il richiamo nel contributo di Di Salvo Maurizio, Exchange of infor-mation as an instrument to counter the abuse, in Simader Karin/Titz Elisabeth (a cura di), op. cit., pa-gine 163 e seguenti.[39] Sul punto merita un richiamo il recente pre-cedente domestico svizzero del Tribunale federa-le del 20 agosto 2012, sentenza n. 1B_380/2012, nonché quello del Tribunale penale federale, del 22 maggio 2012, sentenza n. BE.2011.5.[40] Sul medesimo tema, Macchi Giordano Fronta-lieri: possibili scenari futuri nei rapporti italo-sviz-zeri, in: Novità fiscali, n. 10/2011, Manno, ottobre 2011, pagine 15 e seguenti, http://www.supsi.ch/fisco/dms/fisco/docs/pubblicazioni/2010/Novita-Fiscali_ottobre/NovitaFiscali_ottobre_2010.pdf [20.12.2013].[41] Se ne trova per esempio traccia nella CDI sti-pulata tra il Belgio e Francia nel 1964; sul punto vedasi Bal Aleksandra, international – extraterri-torial enforcement of tax claims, in: Bulletin for In-ternational Taxation, 2011, pagine 598 e seguenti.[42] Dichiarazioni del direttore dell’Associazione Industriali Ticinesi (AITI), Stefano Modenini, mag-gio 2012, lette in: http://www.tio.ch/News/Tici-no/Attualita/684123/Accordo-fiscale-Italia-Sviz-zera-pesante-aumento-delle-tasse-ai-frontalieri [20.12.2013].

[43] CGUE, 28 ottobre 2010, causa C-72/09 Établis-sements Rimbaud, punti 45-50. [44] CGUE, 19 novembre 2009, C-540/07 Commis-sione c. Italia, punti 67-72, 74-75. [45] Ibidem, punto 72.[46] In proposito, va ricordato che – dopo la pro-nuncia della CGUE nella causa C-132/06 del 17 luglio 2008, Commissione c. Italia, difficilmente all’Italia sarà permesso un nuovo meccanismo condonatorio che possa garantire l’anonimato dell’evasore (sul Modello “Rubik”, o delle prece-denti versioni dei cosiddetti “scudi fiscali”), il quale sarebbe peraltro contrario alle tendenze affetaesi a livello OCSE. [47] E per gli aspetti critici rinvenibili nell’applica-zione pratica di tali sistemi in Italia, sia consentito un richiamo alle pregevoli pagine da 19 a 30 della relazione di Valerio Vallefuoco tratte dal convegno intitolato “La corretta tassazione dei capitali all’este-ro”, tenutosi a Campione d’Italia l’11 ottobre 2013.

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