FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE STORICHE
TESI DI LAUREA IN STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE
MATRICI AMERICANE DEL DIBATTITO
COSTITUZIONALE FRANCESE (1787-1791):
LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI
RELATORE: PROF. SSA LEA CAMPOS BORALEVI
CORRELATORE:
PROF. ROLANDO MINUTI
CANDIDATA:MARGHERITA ANGELI
ANNO ACCADEMICO 2011-2012
INDICE
INTRODUZIONE..................................................................................................2
I. CAPITOLO: IL COSTITUZIONALISMO AMERICANO E FRANCESE
................................................................................................................................10
1.IL COSTITUZIONALISMO ANTICO...........................................................11
2. IL COSTITUZIONALISMO MODERNO....................................................24
3. IL COSTITUZIONALISMO AMERICANO COME MODELLO DEL
COSTITUZIONALISMO MODERNO.....................................................31
4.L'AMERICA NEL DIBATTITO DELLA FRANCIA
PRERIVOLUZIONARIA..........................................................................59
5.LA COSTITUZIONE FRANCESE DEL 1791 E LE DIFFERENZE COL
MODELLO AMERICANO.......................................................................71
II. CAPITOLO: LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI IN AMERICA E IN
FRANCIA.............................................................................................................87
1.LA NOVITÀ DEI BILLS OF RIGHTS AMERICANI (1776-1787)...............88
2.IL DIBATTITO COSTITUZIONALE FRANCESE SULLA DÉCLARATION
DES DROITS............................................................................................109
3.LA DÉCLARATION DES DROITS DE L'HOMME ET DU CITOYEN (1789)
..................................................................................................................141
APPENDICI........................................................................................................173
BIBLIOGRAFIA................................................................................................179
1
INTRODUZIONE
La Déclaration des droit de l'homme et du citoyen, approvata
dall'Assemblea Nazionale il 26 agosto 1789, è il documento simbolo della
Rivoluzione francese. Con la proclamazione dei diritti universali e naturali
dell'individuo gettava le basi della “nuova” Francia definendo le tappe del
processo di demolizione del sistema d'Ancien Régime. Con i suoi 17 articoli
dal carattere giuridicamente prescrittivo, la Déclaration infatti reagiva al
sistema di privilegi cetuali e di libertà particolari dell'Ancien Régime e
introduceva per la prima volta nel Vecchio Continente la concezione
dell'individuo come unico titolare di diritto.
Dunque sul piano storico-costituzionale l'incidenza della Déclaration
francese fu enorme. Ma quali furono le sue origini? Certamente il
Movimento dei Lumi aveva già introdotto e radicato in Francia l'idea
dell'uguaglianza, la tolleranza religiosa, la libertà quali diritti naturali e
universali di ogni uomo. Ma fino a quel momento non si era mai visto sul
Vecchio Continente un documento in cui questi diritti, elencati uno ad uno
in forma scritta, avessero assunto un chiaro valore giuridico e prescrittivo.
Questo infatti fu il valore che i costituenti francesi vollero dare alla
Déclaration anteponendola al testo costituzionale; in questo modo i diritti
dell'uomo divennero il fondamento dei nuovi poteri statali e il limite
intrinseco alla loro futura azione.
Se dunque la Dichiarazione francese rappresentò una novità assoluta nel
panorama europeo di fine Settecento, da dove i costituenti francesi ne
recepirono l'idea, la forma e i contenuti?
Contro chi sosteneva la totale originalità del documento francese, nel suo 2
Die Erklärung der Menschen und Bürgerrechte. Ein Beitrag zur modernen
Verfassungsgeschichte del 18951 Georg Jellinek allargò lo spettro
dell'indagine storica e indicò nei Bills of Rights americani le origini storico-
giuridiche della Déclaration dell'89. In questo saggio il giurista tedesco
dimostrava che non poteva derivare dalla filosofia di Rousseau l'idea che
l'uomo, entrando nello società statale, conservasse i suoi diritti naturali; egli
al contrario li alienava alla volontà generale, unico potere sovrano dello
Stato. Sarebbe stata questa, poi, secondo la sua legge, a concedere diritti e
libertà ai membri dello Stato. Quindi secondo Jellinek l'idea di una
dichiarazione dei diritti dell'uomo non derivava dalla filosofia rousseauiana,
bensì dall'esperienza costituzionale d'oltreoceano e in particolar modo dai
Bills of Rights che, tra il 1776 e il 1787, i tredici Stati americani avevano
anteposto alle proprie Costituzioni. Da qui, secondo l'autore, i costituenti
francesi avevano ripreso l'idea stessa di redigere una dichiarazione dei
diritti e di anteporla al testo costituzionale vero e proprio. Attraverso una
comparazione degli articoli della Déclaration con quelli rispettivi dei Bills
americani, Jellinek dimostrava anche la matrice americana della forma e
delle espressioni usate dall'Assemblea Nazionale nel documento dell'892.
Nonostante l'importanza del testo di Jellinek e del dibattito da esso
scaturito3, nel XX secolo la storiografia ha di fatto accantonato lo studio
1 GEORG JELLINEK, Die Erklärung der Menschen und Bürgerrechte. Ein Beitrag zur modernen Verfassungsgeschichte, 1895, trad. it. La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, a cura di Giorgio Bongiovanni, Bari, GLF Editori Laterza, 2002.
2 Dopo aver indicato nei Bills of Rights americani l'origine della Déclaration des droits francese, Jellinek rintracciava l'origine dell'idea stessa dei diritti individuali dell'uomo nelle lotte del XVI secolo per la libertà di religione e di manifestazione del proprio culto. La rivendicazione di questi diritti avrebbe poi assunto i connotati di una rivendicazione dei diritti politici alla libertà di associazione, alla libertà di stampa e di pensiero. L'individualismo religioso del protestantesimo e le sue conseguenze politiche furono protagonisti della storia coloniale americana. Proprio per questo, secondo Jellinek, furono le ex-colonie inglesi le prime a tradurre i diritti conquistati nei secoli precedenti in documenti scritti prescrittivi e validi per tutta l'umanità. Si veda GEORG JELLINEK, op. cit.,pp. 37-73.
3 Da questa ipotesi interpretativa proposta da Jellinek ebbe inizio una nota polemica col giurista francese Émile Boutmy, che si impegnò a sottolineare le profonde differenze tra le concezioni politiche tra i documenti americani e quello francese dell'89, cercando di dimostrare l'influenza esercitata su quest'ultimo dal pensiero di Rousseau. Si veda ÉMILE BOUTMY, La Déclaratione des droit de l'homme et du citoyen et M. jellinek, «Annales de Sciences Politique», XVII, 1902,
3
dell'influenza del processo costituzionale della Rivoluzione americana su
quello della successiva Rivoluzione francese. Se ancora nel 1934 Felice
Battaglia, nel suo interessantissimo studio sulle carte dei diritti, dedicava
molta attenzione a quelle americane e francesi riprendendo l'ipotesi
interpretativa di Jellinek4, il colpo di grazia a questo filone di studi venne
inferto dalle tesi che Jacob Talmon e Hannah Arendt avanzarono nei loro
saggi pubblicati tra gli anni '50 e gli anni '60 del XX secolo. Nel suo libro
The Origins of Totalitarian Democracy del 19525 Talmon rintracciava le
origini delle Rivoluzioni totalitarie del Novecento nell'ideologia della
Rivoluzione francese, ponendo l'accento soprattutto sulle analogie tra
Giacobinismo e Stalinismo. Dal canto suo la Arendt con il volume On
Revolution pubblicato per la prima volta nel 19636 riprese un tema classico
della storiografia, ossia il confronto tra le rivoluzioni americana e francese,
misurandone i rispettivi successi in base al grado di libertà politica da esse
instaurato. Quello che ne risultava era una netta contrapposizione tra i due
fenomeni rivoluzionari, opposti – per vari fattori ideologici e storici – nella
natura e nelle conseguenze; mentre infatti la Rivoluzione americana era
riuscita a realizzare la libertà politica attraverso la Costituzione e la
fondazione di un ordinamento politico repubblicano, quella francese non
aveva avuto un esito di libertà e, perdendosi dietro alla questione sociale,
aveva visto l'affermazione continua di esperienze politiche autoritarie e
dittatoriali.
La storiografia successiva alla Arendt, con l'importante eccezione degli
studi di Franco Venturi7, aderì quasi del tutto a questa linea interpretativa
che studiava le due Rivoluzioni come fenomeni totalmente radicalmente pp. 415-443; cfr. anche SARA LAGI, Georg Jellinek. Storico del pensiero politico (1883-1905), Firenze, CET, 2009, pp. 29-32.
4 FELICE BATTAGLIA, Le Carte dei diritti, Reggio Calabria, Laruffa, 19983, pp. 24- 30.5 JACOB TALMON, The Origins of Totalitarian Democracy, 1952, trad. it. Le origini della
democrazia totalitaria, Bologna, Il mUlino, 1977.6 HANNAH ARENDT, On Revolution, 1963, trad. it. Sulla Rivoluzione, Torino, Einaudi, 2009.7 FRANCO VENTURI, Settecento riformatore. La caduta dell'Antico Regime, 1776-1789, Torino,
Einaudi, 1984, cap. I, pp. 3-145.4
opposti e in alcun modo associabili.
A questa divisione in compartimenti stagni degli avvenimenti francesi e
americani di fine Settecento, ha contribuito anche la visione
eccezionalistica con cui per molto tempo entrambe le storiografie si sono
approcciate allo studio della propria storia nazionale. Se infatti, gli
storiografi francesi non hanno mai avuto alcuna intenzione di mettere in
discussione il carattere totalmente originale delle proprie conquiste storiche,
dall'altra gli studiosi americani non hanno trovato alcun interesse a cercare
un collegamento storico-ideale tra la loro riuscitissima Rivoluzione e quella
caotica e sanguinaria attuata in Francia.
Dunque, durante la seconda metà del Novecento il tema dell'influenza
americana sul costituzionalismo della Francia rivoluzionaria è stato quasi
del tutto ignorato dagli storiografi.
Solo di recente, a partire dagli anni Novanta del XX secolo, la storiografia è
tornata in alcuni casi a porre l'attenzione sui debiti francesi nei confronti
dell'esempio fornito dall'esperienza costituzionale della Rivoluzione
americana. Mi riferisco in particolare agli studi che Roberto Martucci ha
condotto sulla ricezione del modello costituzionale americano (e soprattutto
virginiano) nella Francia rivoluzionaria. Lo studioso ha dedicato a questo
tema numerosi articoli, oltre ad un bel capitolo del suo volume L'ossessione
costituente8 dedicato al processo costituzionale francese inaugurato nel
1789. Oltre all'importante contributo di Martucci dobbiamo segnalare anche
il recente studio di Roberto Sturla sulla presenza del modello costituzionale
americano nel dibattito della Francia prerivoluzionaria e i saggi di Gabriele
Magrin sull'eredità americana negli scritti politici di Condorcet9.
8 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente: forma di governo e costituzione nella Rivoluzione francese, 1789-1799, Bologna, Il Mulino, 2001,
9 ROBERTO STURLA, Democrazia e uguaglianza in America: un dibattito nella Francia prerivoluzionaria (1770-1788), Firenze, CET, 2000; GABRIELE MAGRIN, Condorcet: un costituzionalismo democratico, Milano, FrancoAngeli, 2001.
5
Il presente lavoro si inserisce in questo filone di studi. Proprio avvalendoci
delle principali novità storiografiche introdotte dalla recente letteratura
critica sul tema, abbiamo voluto fornire un sostegno ulteriore alla tesi
proposta ormai più di un secolo fa da Georg Jellinek. Il nostro lavoro
intende quindi accendere i riflettori sulle matrici americane della
Déclaration des droits de l'homme et du citoyen del 1789. Senza alcuna
pretesa di esaurire l'argomento, abbiamo voluto ancora una volta porre
l'attenzione su quello che sembra essere un filone di studi poco frequentato
dalla storiografia contemporanea, ossia l'eredità del modello costituzionale
affermatosi oltreoceano con la Rivoluzione americana sul ben più noto
laboratorio costituzionale della Rivoluzione francese.
Nel primo capitolo abbiamo ripercorso sinteticamente la storia del
costituzionalismo partendo dalla definizione, datane da Nicola Matteucci, di
«tecnica giuridica della libertà10». Accennando ad alcune delle teorie
costituzionali più importanti abbiamo tentato di sottolinearne quei caratteri
latenti, ma innovativi che hanno contribuito alla nascita del
costituzionalismo moderno, affermatosi definitivamente con le Rivoluzioni
americana e francese. Questi due eventi storici e i modelli costituzionali da
essi inaugurati si possono dunque considerare un vero e proprio spartiacque
tra il costituzionalismo classico e quello moderno.
Sempre seguendo il modello di costituzionalismo moderno elaborato da
Matteucci abbiamo cercato di illustrare le caratteristiche fondamentali del
costituzionalismo americano. In questo infatti abbiamo ritrovato realizzati i
cinque istituti giuridici – la costituzione scritta, il potere costituente, la
separazione dei poteri, il controllo di costituzionalità delle leggi e la
dichiarazione dei diritti – che per Matteucci rappresentano i principali
elementi innovativi del costituzionalismo moderno. Ne abbiamo ricercate le
origini nelle prime carte politiche coloniali, e ne abbiamo individuato il
10 NICOLA MATTEUCCI, Lo stato moderno, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 128.6
principale terreno di sviluppo nei dibattiti e nelle esperienze costituzionali
degli anni 1761-1788, per arrivare poi all'analisi delle caratteristiche
comuni delle varie costituzioni americane.
Spostandoci poi sul Vecchio Continente, ancora nel primo capitolo abbiamo
mostrato come l'esperienza politico-costituzionale americana abbia
influenzato il dibattito della Francia prerivoluzionaria. Le Constitutions e i
Bills of Rights dei nuovi Stati americani furono tradotti tempestivamente in
lingua francese, anche su iniziativa di esponenti politici della monarchia, ed
ebbero una diffusione amplissima non solo nei salotti letterari di Parigi.
Abbiamo quindi fornito un quadro dei saggi “americani” scritti dai
principali protagonisti del mondo culturale francese prerivoluzionario,
come Turgot, Mably, Raynal, Chastellux, Condorcet e Brissot. Una volta
attestata l'influenza che l'esempio americano ebbe sul dibattito
prerivoluzionario francese, abbiamo cercato di impostare il tema dell'eredità
del modello costituzionale americano nella prima Costituzione francese.
Partendo dalla constatazione delle evidenti differenze tra il contesto storico-
culturale americano e quello francese, abbiamo individuato tre nodi
problematici attorno ai quali, a nostro avviso, si concentrano le principali
divergenze del costituzionalismo francese da quello americano: il rapporto
tra potere costituente e poteri costituiti con il conseguente ruolo della carta
costituzionale; la divisione dei poteri e la supremazia data al Legislativo; il
rapporto tra la legge e il potere giudiziario.
Con il secondo capitolo siamo entrati nel vivo della trattazione
concentrandoci sul tema della dichiarazione dei diritti. Nella prima parte del
capitolo abbiamo analizzato i Bills of Rights indicandone i punti originali e
le linee di continuità rispetto ai Bills della tradizione inglese. Ne abbiamo
poi esaminato la forma, le espressioni e i contenuti in rapporto alle teorie
giusnaturalistiche, al pensiero illuminista e al peculiare contesto americano,
sempre riservando un'attenzione particolare al Bill della Virginia, il primo 7
ad essere stato redatto nel giugno 1776. In questo modo abbiamo cercato di
fornire un quadro il più possibile esaustivo delle prime dichiarazioni dei
diritti universali dell'uomo comparse nell'emisfero occidentale.
A questo punto abbiamo seguito l'interrogativo storiografico proposto da
Jellinek sull'origine storico-giuridica della Déclaration francese dell'89.
Dopo aver visto infatti la forte eco prodotta in Francia dal modello
costituzionale americano, abbiamo cercato di documentare come la lettura
dei Bills americani – le cui traduzioni apparvero in Francia pochi anni dopo
la loro promulgazione – avesse influenzato il dibattito dell'Assemblea
Nazionale sulla dichiarazione dei diritti e la stesura iniziale del testo dell'89.
Prima di analizzare il dibattito assembleare vero e proprio abbiamo posto
l'attenzione su un pamphlet pubblicato dal conte di Mirabeau nel 1788 e
indirizzato agli olandesi in rivolta contro lo stathoulderato. Ai fini del
nostro discorso, l'importanza di quest'opera – solo di recente premiata
dall'attenzione degli storici – è rappresentata dal Tableau des droits che
Mirabeau vi ha inserito, invitando i Batavi ad adottarne uno al più presto
sull'esempio del popolo americano. Dalla nostra analisi gli articoli del
Tableau risultano totalmente ricalcati su quelli dei Bills of Rights americani
di cui in alcuni casi sembrano essere addirittura la traduzione letterale (in
particolare sono evidenti le consonanze con i Bills del Massachusetts e della
Virginia).
Il Tableau des droits di Mirabeau contenuto nell'appello ai Batavi
costituisce un'importante documentazione che mostra come i Bills
americani fossero presi proprio come modello dai francesi che vi trovarono
la realizzazione giuridica di quei principi illuministici che da tempo
animavano il mondo culturale francese ed europeo.
Dalle ricostruzioni storiografiche del dibattito assembleare tenutosi tra il
giungo e l'agosto del 1789 abbiamo enucleato i numerosi riferimenti al
8
modello costituzionale e ai Bills of Rights americani ai quali tutti i deputati
guardarono con curiosità, pur non risparmiando critiche e obiezioni.
Dall'esperienza d'oltreoceano i costituenti francesi recepirono
consapevolmente l'idea stessa di redigere una dichiarazione scritta in cui
tutti i diritti dell'uomo fossero puntualmente elencati. Inoltre di chiara
origine americana è anche la decisione di premettere la Déclaration al testo
costituzionale vero e proprio, attribuendogli in questo modo un valore
giuridico prescrittivo.
L'ultima parte del secondo capitolo è dedicata al confronto tra gli articoli
della Déclaration e quelli dei Bills of Rights americani. Le consonanze sono
evidenti soprattutto nel loro comune riferimento alle teorie
giusnaturalistiche e ai principi dell'Illuminismo da cui riprendono la
vocazione universalistica dei diritti dell'uomo. Direttamente dalle carte
americane i costituenti francesi mutuarono le espressioni e la formulazione
giuridica dei diritti. Si può dunque affermare che i Bills of Rights
d'oltreoceano ispirarono i costituenti francesi in quanto rappresentarono il
primo elenco dei diritti dell'uomo dal forte carattere prescrittivo.
Le novità provenienti dall'America furono comunque adattate al contesto
storico-politico di una Francia che reagiva all'opprimente sistema d'Ancien
Régime. Naturalmente abbiamo anche messo in rilievo gli aspetti della
Déclaration maggiormente legati all'eredità rousseauiana soprattutto
riguardo alla concezione delle legge e della volontà generale.
Con il nostro lavoro dunque abbiamo cercato di ampliare lo spettro
d'indagine riguardo alle orgini di un documento così importante come la
Déclaration des droits de l'homme et du citoyen del 1789, del quale
abbiamo messo in luce sia le caratteristiche originali provenienti dal
contesto francese, sia le matrici esterne, in questo caso americane.
9
1. IL COSTITUZIONALISMO ANTICO
Per una chiara ed articolata definizione del concetto di costituzionalismo
restano un punto di riferimento obbligato due opere fondamentali di Nicola
Matteucci quali Organizzazione del potere e libertà. Storia del
costituzionalismo moderno del 1988 e Lo stato moderno: lessico e percorsi,
edito per la prima volta nel 1993.
In esse l'autore definisce il costituzionalismo come una riflessione sui
principi giuridici che consentono ad una costituzione di assicurare, nei
diversi momenti della storia, il migliore ordine politico. Questo termine,
specifica Matteucci, non si riferisce ad un periodo storico preciso, bensì ad
«una categoria analitica per mettere in luce ed evidenziare particolari aspetti
dell'esperienza politica»11.
In prima approssimazione possiamo dire che il
costituzionalismo (antico e moderno) non guarda tanto a «chi»
deve governare, ma a «come» si deve governare, perché mira
soprattutto a una limitazione dei poteri del governo attraverso il
diritto: si può dire che esso sia la tecnica giuridica della libertà12.
Le tecniche giuridiche del costituzionalismo variano in rapporto ai tempi e
alle tradizioni di ciascun paese, ma hanno in comune l'obiettivo di definire e
limitare i poteri dello Stato affinché esso sia vincolato al rispetto dei diritti
individuali dei cittadini. Dunque in generale la riflessione costituzionale ha
come oggetto la limitazione del potere e la sovranità delle leggi, mentre 11 NICOLA MATTEUCCI, Organizzazione del potere e libertà. Storia del costituzionalismo moderno,
Torino, UTET, 1988, p.1; cfr. id, Lo stato moderno, cit., pp. 127-130.12 NICOLA MATTEUCCI, Lo stato moderno, cit, p.128.
11
specifico del costituzionalismo moderno è il valore della difesa dei diritti
dell'individuo13.
Se il termine “costituzione” assume il suo significato moderno solo verso la
fine del XVIII secolo, l'originario concetto non era sconosciuto alle civiltà
dell'età classica: sia i Greci che i Romani infatti sentivano l'urgente
necessità di stabilire un criterio di ordine e di equilibrio dei rapporti
politico-sociali nei momenti di massima crisi. Nelle teorie politiche
classiche quindi la costituzione (chiamata politèia dai Greci e res publica
dai Romani) non era una norma scritta, bensì un'esigenza, un ideale etico e
politico che si contrapponeva alla tirannide, portatrice di discordia e caos.
In conclusione, si può dire che il costituzionalismo classico consistette in un
«grande progetto di conciliazione sociale e politica14».
Anche il Medioevo ha avuto una sua particolare concezione di costituzione.
Con il crollo dell'Impero romano venne meno anche la sua struttura
politico-amministrativa, ossia il centro che ordinava in modo unitario le
relazioni sociali, economiche e politiche; per questo già i primi secoli del
Medioevo furono caratterizzati da una molteplicità di soggetti politici
aventi ognuno un potere, una sfera di influenza e un ordinamento propri.
Una caratteristica comune ai diversi tipi di potere che nacquero in epoca
medievale fu la loro intrinseca limitatezza, come spiega Fioravanti:
per la più alta e nobile fonte di diritto, come per il più umile
statuto cittadino, vale sempre il medesimo carattere di fondo: la
parte più rilevante della vita dei consociati, soprattutto quella di
13 Per una sintetica storia del concetto di costituzione e delle teorie ad esso correlate parto dallo studio che ne ha fatto Maurizio Fioravanti in MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, Bologna, Il Mulino, 1999 e in id, Costituzionalismo: percorsi della storia e tendenze attuali, Roma, GLF editori Laterza, 2009. Sul tema cfr anche CHARLES MCILWAIN, Constitutionalism: Ancient and Modern, New York, 1940, trad. it. Costituzionalismo antico e moderno, a cura di Nicola Matteucci, Bologna, Il Mulino, 1990.
14 MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., p. 24. Sul costituzionalismo antico cfr. Ivi, pp. 11-25; CHARLES MCILWAIN, Costituzionalismo antico e moderno, cit., pp. 47-86.
12
rilevanza economica e patrimoniale, si svolge al di fuori di
quelle scarne previsioni normative, nella prassi, seguendo la
forza normativa autonoma e primaria della consuetudine15.
Pertanto, l’insieme delle più rilevanti relazioni economiche, sociali e
politiche finiva per sfuggire alla capacità normativa dei rappresentanti del
potere e per soggiacere solo alle consuetudini, le quali rappresentavano di
fatto l'unico ordine giuridico reale da preservare e difendere: questa è la
profonda differenza con la costituzione degli antichi che invece fu ordine
politico ideale da ricercare soprattutto nei periodi di crisi e decadenza.
Nel Medioevo quindi la riflessione costituzionale si sviluppò sul piano dei
diritti, delle regole, dei limiti e dei contratti all'interno di un ordine
giuridico dato e vincolante, e la differenza tra re giusto e tiranno divenne
uno dei temi più dibattuti16. Secondo la concezione medievale infatti il re, o
principe, era legibus solutus solo perché era suo dovere agire secondo
giustizia senza dipendere da alcuna legge. Il limite al suo potere
corrispondeva al rispetto del diritto esistente, ossia delle consuetudines,
partendo dal presupposto che se il re era veramente tale, non poteva che
giudicare rettamente. Tiranno, quindi, risultava essere quel principe che non
agiva secondo il criterio dell'equità17.15 MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., p. 31.16 Proprio nel Medioevo il McIlwain ha trovato le fondamenta del costituzionalismo moderno e in
particolare di quello americano.17 Questo in estrema sintesi è il punto di partenza delle riflessioni politiche di Giovanni da
Salisbury e di San Tommaso, il quale però si spinge oltre nella trattazione del problema andando a recuperare alcuni elementi del pensiero greco. Egli infatti, alla distinzione tra principe giusto e tiranno, aggiunge una riflessione sulla migliore forma di governo: se bene commixta, ossia se il governo di uno solo è sostenuto dal consiglio, dall'aiuto dei migliori magistrati e ministri, allora per San Tommaso è la monarchia la forma ideale di governo, l'optima politìa. In un contesto del genere infatti si produrrebbero dei limiti e dei contrappesi che da soli renderebbero più difficile la degenerazione del governo in tirannide. Evidentemente San Tommaso assorbe l'idea classica della costituzione mista, ma il significato profondo risulta essere molto diverso: l'obiettivo infatti non è tanto l'equilibrio sociale, quanto inserire il potere monarchico in un più ampio contesto di poteri che lo rendano in tal modo una potestas temperata. Per il costituzionalismo medievale e le teorie di San Tommaso e Giovanni da Salisbury cfr. MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., pp. 29-41; CHARLES MCILWAIN, Costituzionalismo antico e moderno, cit., pp. 89-110.
13
In ambito giuridico in questo periodo si affermano dottrine volte a
circondare la potestas sovrana di limiti al potere. Nel XIII secolo infatti si
impone il principio quod omnes tangit ab omnibus comprobari debet (ciò
che riguarda tutti deve essere approvato da tutti) che individuava una sfera
decisionale, soprattutto in materia di tassazione, in cui il potere sovrano
doveva sottostare al giudizio e all'approvazione della comunità politica.
Così signori feudali, vescovi e ufficiali – cioè coloro che costituivano il
consilium regni – si istituzionalizzarono sul piano politico in organismi
strutturati quali il Parlamento in Inghilterra, gli Stati generali e le
Assemblee dei notabili in Francia. Tali trasformazioni storiche appaiono
intrinsecamente legate alla necessità di difendere quella rete complessa di
rapporti e relazioni che costituiva l'anima stessa della costituzione
medievale e che evidentemente era riconosciuta da tutti come una realtà
giuridica di fatto.
La supremazia della comunità politica, supremazia sulle parti e sullo stesso
re, è ben rappresentata dalla Magna Charta inglese del 1215 in cui re
Giovanni confermava i diritti tradizionali dei sudditi inglesi. L'importanza
del documento per Fioravanti non è riducibile solo al fatto che in esso
vengono posti dei limiti alle prerogative regie: la Magna Charta infatti è
soprattutto espressione del riconoscimento dell'esistenza di un ordine
comune, di una costituzione non scritta che regola i rapporti della comunità
politica inglese e ne stabilisce i diritti. I principi fondamentali di questa
costituzione sono chiariti bene da Henry di Bracton nel De Legibus et
Consuetudinibus Angliae (XIII secolo) in cui egli distingue nettamente tra
gubernaculum e iurisdictio, due sfere di potere entrambe attribuite al Re:
Il primo è costituito dall'insieme dei poteri discrezionali e
insindacabili, che spettano al Re per mantenere la pace, compresi
anche gli atti amministrativi: in questa sfera il Re è assoluto, sub 14
Deo, ma non sub lege. Ma il Re è Re in quanto deve dire la
giustizia […]. In questa sfera è sub lege […]: nella jurisdictio il
Re deve agire secondo la legge, o meglio le consuetudini
immemorabili del paese, che poi diverranno la common law, la
sola a definire i diritti del suddito. L'assenso della Curia regis,
poi High Court of Parliament era necessario, quando si voleva
dichiarare un diritto18.
Nella sfera della iurisdictio quindi il potere del Re era limitato, sottoposto
alla legge del diritto, ma non era previsto un rimedio legale contro
un'eventuale sua violazione. Questo infatti accadde nel XVII secolo in
Inghilterra quando Giacomo I tentò di estendere la sua prerogativa alla sfera
della iurisdictio; per tutta risposta il Parlamento con la Gloriosa
Rivoluzione estese il suo potere e infine conquistò del tutto la sfera del
gubernaculum. Secondo il McIlwain nel costituzionalismo moderno
scomparve la distinzione medievale tra i due poteri e la sfera della
iurisdictio, sempre più debole, dovette fronteggiare molte usurpazioni da
parte del governo nelle vesti del Re o del Parlamento.
La formazione dello Stato moderno irrompe prepotentemente nella storia e
muta profondamente la struttura politico-sociale europea, in particolare di
Francia e Inghilterra: la tendenza al monopolio del potere politico e della
forza da parte di questo nuovo protagonista sconvolge e spezza quella rete
di relazioni e rapporti che aveva caratterizzato la vita sociale nel Medioevo.
Sotto l'incessante azione dello Stato vengono eliminati tutti i
centri di autorità, che rivendichino autonome funzioni politiche -
come le città, gli Stati, le corporazioni – in modo che non ci sia
alcuna mediazione politica fra il principe, portatore di una
18 CHARLES MCILWAIN, Costituzionalismo antico e moderno, cit., pp. 14-15.15
volontà superiore, e i sudditi. L'unificazione porta alla
depoliticizzazione della società, che dev'essere solo
amministrata19.
Sia durante le guerre di religione in Francia che durante lo scontro tra Re e
Parlamento in Inghilterra, coloro che cercarono di opporsi al potere assoluto
del sovrano si richiamarono spesso, più o meno esplicitamente, all'eredità
costituzionale medievale e nello specifico alla sua funzione limitativa del
potere politico troppo forte. Per risolvere queste situazioni di crisi si torna
ad invocare l'Antica costituzione in quanto unica legge capace di garantire
pace, equilibrio e rispetto dei diritti dei sudditi.
In una Francia sconvolta dal conflitto tra cattolici e ugonotti, la notte di San
Bartolomeo diventa uno spartiacque fondamentale anche per le riflessioni
costituzionali. Dopo il 1572 infatti si assiste ad una fioritura di trattati e
scritti politici provenienti soprattutto dall'ambiente culturale ugonotto, in
cui è possibile ravvisare l'origine di principi di indubbia influenza sul
costituzionalismo moderno, come istituti incaricati di controllare il re e la
teorizzazione del diritto alla ribellione20.
Se cattolici e ugonotti prima concordavano sull'ideale di una monarchia
moderata, in cui al re era dovuta massima obbedienza (perchè istituito da
Dio), dopo l'efferato massacro gli ugonotti in particolare teorizzano la
possibilità di rivolta dei magistrati inferiori contro il supremo Magistrato
che ha violato l'Antica costituzione. È quanto emerge da alcune importanti
opere quali la Franco-Gallia di François Hotman (1573)21 e soprattutto le
19 NICOLA MATTEUCCI, Organizzazione del potere e libertà, cit., p. 11.20 Per un ulteriore approfondimento del dibattito politico-religioso e sulle teorie costituzionali
emerse nel contesto francese delle guerre di religione cfr. ivi, pp. 19-51; MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., pp. 52-57.
21 François Hotman, giurista ugonotto di origine tedesca, fu il primo ad attaccare la monarchia francese dopo la strage della notte di San Bartolomeo. Nella sua Franco-Gallia (1573) egli sottolinea che le istituzioni, e non gli uomini, sono il fondamento dello Stato e per questo sostiene la necessità di tornare all'Antica costituzione franco-gallica in cui il re era limitato
16
Vindiciae contra tyrannos (1579), la cui paternità è ancora incerta: in
entrambe viene attribuita al popolo (o meglio, ai magistrati inferiori) la
facoltà di ribellarsi contro il sovrano che agisca contro la legge di Dio e
contro il popolo stesso.
Nelle Vindiciae inoltre si parla di un doppio patto che precede la nascita del
governo: il primo vede re e popolo promettere fedeltà a Dio e alle leggi
divine; il secondo patto invece avviene solo tra re e popolo il quale,
attraverso i suoi rappresentanti, giura obbedienza al sovrano se e solo se
egli non viene meno al suo dovere di agire secondo giustizia e di rispettare
diritti e privilegi dei sudditi. Il popolo quindi conferma la posizione del re,
il quale deve stare necessariamente alle condizioni del patto e vede il suo
potere legato indissolubilmente al consenso del popolo. Se infatti il sovrano
rompe il patto agendo immoralmente o opprimendo e conducendo il paese
alla rovina, allora diviene lecita la ribellione del popolo affidata agli Efori,
incaricati di vegliare sull'operato del re. Il diritto di resistenza prospettato
dall'anonimo ugonotto resta all'interno della cornice costituzionale e non
lascia libertà di azione ai singoli individui perché è il popolo nella sua
totalità che ha giurato obbedienza al re all'atto di fondazione del governo.
Nella stessa direzione si muove il calvinista tedesco Althusius che nella sua
Politica methodice digesta (1603) rivendica al corpo sociale la titolarità dei
diritti sovrani e pone dei limiti netti al potere regio. Secondo la teoria
althusiana infatti lo jus regis deriva da Dio ma è direttamente conferito
dalla comunità politica attraverso un patto che vincola il re al rispetto della
legge divina e delle leggi civili; il principe infatti è «colui il quale, eletto
secondo le leggi per il benessere e l'utilità dell'associazione generale, ne
dalla comunità nel suo complesso e dalle sue leggi consuetudinarie. Dunque la monarchia francese doveva tornare ad una forma di governo mista, per cui il re doveva interagire con gli Stati generali rappresentativi dell'intera comunità. Ma se neanche la costituzione mista bastasse a controllare il potere del sovrano, allora il popolo deve intervenire radicalmente e riappropriarsi del suo potere originario di cui aveva affidato al re solo l'esercizio: secondo Hotman, il popolo esiste prima del re, e quindi può esistere anche senza di lui. Cfr. NICOLA MATTEUCCI, Organizzazione del potere e libertà, cit., pp. 28-37.
17
amministra e pone in esecuzione i diritti»22. Qualora il sovrano trasgredisca
questa legge fondamentale agendo contro il diritto divino e contro i propri
sudditi, allora per Althusius il popolo ha diritto alla resistenza; quest'ultima
viene però affidata agli Efori, ossia i magistrati inferiori eletti col compito
di controllare l'operato del re. L'importanza delle leggi civili e dei corpi
intermedi in quanto freni al potere assoluto riporta l'attenzione sull'Antica
costituzione medievale e la sua intrinseca limitazione dei poteri del sovrano
ottenuta attraverso la distinzione tra gubernaculum e iurisdictio.
È quanto rivendica con forza Edward Coke23 nella sua difesa dell'Antica
costituzione inglese quale garanzia di equilibrio sociale e politico. Dai suoi
numerosissimi Reports, stesi sui principali casi giudiziari del tempo,
emerge chiara la proposta costituzionale per un'Inghilterra attraversata da
molteplici tensioni politiche. Nel XVII secolo il paese era scosso da una
profonda crisi costituzionale segnata non solo dal noto conflitto tra Re e
Parlamento, ma anche da quello, meno conosciuto ma assai importante, tra
il Re e le Corti giudiziarie: Giacomo I infatti tentava di affermare il suo
potere anche nell'ambito della iurisdictio scontrandosi contro la funzione
propria delle Corti giudiziarie, tradizionali custodi della Common Law.
In questo contesto Sir Edward Coke afferma strenuamente la supremazia
della legge del regno sia sul Re che sul Parlamento: la Common Law, intesa
come «la perfezione della ragione, perché frutto di un lungo studio,
dell'osservazione e dell'esperienza», deve riproporzionare le prerogative del
re il quale «con i suoi atti o con altri modi non può mutare parte alcuna
22 Johannes Althusius, Politica Methodice Digesta, citato in Politeia biblica, a cura di LEA CAMPOS BORALEVI E DIEGO QUAGLIONI, Firenze, Olschki, 2003, p. 411.
23 Merita certamente di essere ricordato anche John Selden (1584-1654), erudito, giurista e uomo politico inglese. Durante le guerre civili divenne, assieme a Coke, uno dei principali esponenti del partito parlamentare o legalitario che promuoveva le libertà inglesi e l'autorità del Parlamento sulla base dell'Antica costituzione inglese. Sempre insieme a Coke stese la famosa Petition of Right del 1628. IL suo nome può essere inserito a ragione tra i padri del costituzionalismo inglese. Per un approfondimento sul dibattito politico durante le guerre civili inglesi cfr. NICOLA MATTEUCCI, Organizzazione del potere e libertà, cit., pp. 53-81.
18
della common law o del diritto statutario o delle consuetudini del reame24».
Il Parlamento stesso, a cui Coke affida la funzione legislativa, ha una
supremazia solo nell'ambito della Common Law; spetta infatti ai giudici di
controllare gli atti del Parlamento e dichiararli nulli se in contrasto con la
legge e le consuetudini d'Inghilterra. Così, in un certo senso anticipando il
moderno istituto del controllo di costituzionalità delle leggi e teorizzando la
rule of law, Coke ribadisce l'importanza della storica costituzione inglese
come insieme di leggi e consuetudini. Vedremo come le sue teorie abbiano
avuto un'influenza importantissima sul dibattito che ha portato alla
formazione del costituzionalismo moderno.
I dibattiti costituzionali che caratterizzarono le guerre civili inglesi sono
stati una fucina di nuove idee e proposte che, se non nell'immediato, hanno
portato certo frutti significativi sul lungo periodo. A questo proposito è
fondamentale accennare al filone del costituzionalismo repubblicano che,
sulla scia del pensiero machiavelliano, ha avuto una consistente fortuna in
Inghilterra e in America. Le opere dei repubblicani Milton, Sidney25 e
Harrington hanno infatti influito non poco sulla formazione e lo sviluppo
del dibattito costituzionale nelle colonie americane.
James Harrington (1611-1677) si può considerare il principale esponente
24 Edward Coke, The Case of Proclamations, citato in CHARLES MCILWAIN, Costituzionalismo antico e moderno, cit., p. 106.
25 Nel suo The Tenure of King and Magistrates del 1650 Milton affronta il problema della legittimazione del potere di re e magistrati il cui fondamento risiede solo nel consenso del popolo. Tutti gli uomini infatti nascono liberi e portati al comando, ma a causa del peccato originale sorgono soprusi e violenze; allora gli uomini sentono il bisogno di trasferire il loro naturale potere di difesa ad un re e di affidare l'amministrazione della giustizia a dei magistrati. Entrambe queste istituzioni, alle quali gli uomini si sottopongono come esseri liberi, devono giurare di rispettare le condizioni dettate dal popolo; ad esso unicamente appartiene il loro potere. Per questo re e magistrati devono essere scelti e possono essere destituiti in qualsiasi momento, se il patto di amicizia e fratellanza viene infranto. Tiranno è colui che non rispetta né la legge né il bene comune e per questo può essere punito da chiunque, anche dal singolo individuo che agisca su principi giusti e ragionevoli. Sebbene in Milton sia assente il problema vero e proprio della costituzione, in lui prendono forza la tematica contrattualistica, il suo accento sulla legittimità del potere e il tema della supremazia della legge, a cui anche il Re e i magistrati sono sottoposti come l'ultimo dei contadini. Per un ulteriore approfondimento sul costituzionalismo repubblicano di Milton e Sidney si vea NICOLA MATTEUCCI, Organizzazione del potere e libertà, cit., pp. 75-96.
19
del repubblicanesimo inglese e con la sua celebre The Commonwealth of
Oceana del 1656 si impose nel dibattito costituzionale del tempo fino ad
influenzare quello del secolo successivo. In quest'opera Harrington descrive
l'utopica repubblica di Oceana e le due leggi basilari sulle quali è fondata:
quella agraria che regolamenta la proprietà favorendo lo sviluppo
economico e la stabilità sociale, e quella elettorale che organizza la
rotazione delle cariche nelle istituzioni politiche e differenzia il Senato
(riservato ai proprietari con un censo elevato) dalla Camera popolare
(riservata a tutti i proprietari, esclusi salariati nullatenenti, servants e
mendicanti). Quello che Harrington propone è un governo misto in cui i
poteri delle due camere sono bilanciati in modo tale che le proposte di legge
del Senato siano sempre sottoposte all'approvazione della Camera popolare:
serve un governo di leggi, e non di uomini. Harrington fa un affondo anche
sul problema della tassazione, principale motivo di scontro fra Re e
Parlamento: in questa materia è necessario il consenso dei rappresentanti
del popolo affinché il diritto dello Stato di limitare la proprietà privata sia
usato solo in nome di un'esigenza pubblica e comune. Queste sono le linee
principali del repubblicanesimo di Harrington che, secondo la nota teoria
storiografica di Pocock, è stato una tappa fondamentale per la penetrazione
in America del pensiero politico classico di Machiavelli (a cui Harrington si
ispira)26.
Tra le novità sorte all'interno del dibattito costituzionale inglese spicca il
progetto costituzionale contenuto nell'Agreement of the People presentato in
Parlamento dai Levellers nel 164727. In esso, oltre alle istanze democratiche,
quali l'allargamento del suffragio universale e l'uguaglianza di fronte alla
legge, i Levellers esprimevano l'esigenza di una costituzione scritta basata
26 Per ulteriori approfondimenti si veda MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., pp. 87-89; id, Costituzionalismo, cit., pp.10-12; JAMES HARRINGTON, The Commonwealth of Oceana and a system of politics, J. G. A. Pocock (a cura di), Cambridge, Cambridge University Press, 1992; JOHN G. A. POCOCK, The Machiavellian moment: Florentine political thought and the Atlantic republican tradition, Princeton, Princeton University Press, 1975.
27 Agreement of the People, 28 ottobre 1647, in GEORG JELLINEK, op. cit., pp. 67-69.20
sui native o common rights dei cittadini e proponevano di affidare ampi
poteri ai rappresentanti del popolo sovrano (eleggere l'esecutivo, nominare
e destituire i giudici, punire i pubblici funzionari) con un limite nettamente
tracciato dalla costituzione. Sotto questi aspetti il progetto costituzionale dei
Levellers segna una rottura decisiva con la tradizione inglese, anche con
quella più moderna di un Coke, e vedremo come questi spunti saranno
raccolti il secolo successivo non solo dai radicali inglesi, ma anche dai
sudditi della Corona sull'altra sponda dell'Atlantico.
Fin qui abbiamo visto quelle teorie che hanno invocato il ritorno alla
costituzione mista antica o alla legge fondamentale per fronteggiare la crisi
costituzionale in Inghilterra e le guerre di religione francesi. Ma questo non
fu l'unico indirizzo del costituzionalismo di questa prima età moderna: per
ristabilire la pace sociale e l'equilibrio politico ci fu chi invocò piuttosto un
potere forte e sovrano. Entrambe queste due opposte direttrici influiranno
sulla formazione del costituzionalismo moderno che si affermerà con le
rivoluzioni di fine '700.
Il principale esponente della nuova teoria del potere sovrano è Jean Bodin. I
suoi Les six livres de la république, pubblicati a Parigi nel 1576, non
rappresentano solo la risposta del fronte cattolico alla pubblicistica ugonotta
scatenatasi dopo la notte di San Bartolomeo, ma sono anche una vera e
propria opera di pensiero politico in cui le tre possibili forme di res publica
sono analizzate a partire dal concetto di sovranità (questa novità
metodologica sarà fondamentale per capire lo sviluppo della costituzione
dei moderni). Prima di tutto Bodin afferma che la sovranità non è una
prerogativa del Re, bensì dei poteri che egli esercita. In questo modo Bodin
introduce una distinzione chiara tra il governo come esercizio pratico del
potere, e lo Stato a cui solo appartiene la puissance souveraine. Il potere
sovrano deve essere perpetuo, cioè non derivato da altri poteri,non
revocabile, inalienabile e assoluto, cioè indivisibile e incondivisibile con la 21
comunità.
Per ogni forma di Stato (monarchia, aristocrazia e democrazia) Bodin
individua diversi tipi di governo, distinti in base a come viene esercitato ed
organizzato il potere sovrano. Secondo l'autore il regime politico migliore è
la monarchia regia in cui il Re, unico titolare della sovranità, ha il potere di
fare e disfare le leggi, emanazioni della sua volontà. Nella monarchia regia,
però, questo enorme potere è sottoposto ad alcuni limiti: prima di tutto il
sovrano non è il più forte, bensì colui che ha il diritto di legiferare. Inoltre i
comandi del Re, in pieno accordo con la tradizione medievale, devono
essere giusti, ossia devono rispettare non solo le leggi divine e quelle
naturali, ma anche le leggi fondamentali del regno e la proprietà privata dei
sudditi. Nella monarchia regia, inoltre, il governo, cioè la mera
organizzazione dei poteri e delle procedure decisionali, si articola in una
forma mista e temperata attraverso i Consigli e gli Stati generali.
Il pensiero politico di Bodin rappresenta dunque una tappa fondamentale
sulla strada che porta alla concezione moderna di costituzione perché per la
prima volta pone il problema della sovranità al centro del dibattito,
problema con il quale ha inizio una nuova fase nella storia del
costituzionalismo28.
Il nesso, tipico del costituzionalismo antico, tra la tutela dei diritti e una
forma moderata di governo sopravvisse ancora a lungo nella storia del
costituzionalismo. Ne è testimone Montesquieu che, nel suo celebre Esprit
des Lois pubblicato nel 1748, propone una costituzione ideale molto simile
a quella inglese in cui, attraverso l'equilibrio dei poteri, si attui quel
governo moderato che solo può assicurare la libertà agli individui. La
costituzione proposta da Montesquieu inoltre indica la separazione netta dei
poteri come precauzione contro il dispotismo che, secondo l'autore, può
28 Si veda MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., pp. 72-77; id, Costituzionalismo, cit., pp.16-18; NICOLA MATTEUCCI, Organizzazione del potere e libertà, cit., pp. 24-51.
22
avere un'origine monarchica se è il sovrano a concentrare i poteri nelle sue
mani, o democratica se al contrario è il ramo “popolare” del Legislativo ad
imporsi sugli altri due poteri29.
Ancora nel XVIII secolo quindi è forte l'influenza della linea dettata dal
costituzionalismo delle origini riguardo alla preferenza per una forma
moderata di governo che garantisca l'equilibrio sociale e politico.
29 Per la teoria di Montesquieu si rimanda a MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., pp. 96-97; id, Costituzionalismo, cit., pp. 18-19.
23
2. IL COSTITUZIONALISMO MODERNO
Il dibattito costituzionale che si sviluppò in Europa tra XVII e XVIII secolo
non potè prescindere dal concetto di “potere sovrano” introdotto da Bodin.
Le varie teorie della sovranità che emersero in quel periodo in Inghilterra e
Francia si pongono per molti aspetti alle origini del costituzionalismo
moderno.
In questo panorama Thomas Hobbes fu il primo a ricercare il vero
fondamento della sovranità nella sua opera maggiore, Il Leviatano,
pubblicata nel 1651, solo due anni dopo la condanna a morte del Re e
l'abolizione della Camera dei Lords dopo una sanguinosa guerra civile. In
questi sconvolgimenti politici Hobbes legge il fallimento della costituzione
mista inglese che, dando troppo spazio alle fazioni, porta alla dissoluzione
di ogni ordine. Partendo dalla visione astratta di una società formata da
singoli individui con uguali diritti e interessi egoistici, Hobbes afferma che,
al contrario, solo un individuo che abbia la forza di imporsi e farsi obbedire
può tenere unita la comunità. Allora non è più la Common Law, in quanto
ragione legale basata sulla tradizione e sullo studio dell'esperienza, a creare
la legge, ma è la volontà dell'unico soggetto autoritario che riesce con la
forza ad ottenere l'obbedienza di tutti gli individui. Per Hobbes questa è
l'unica legge fondamentale senza la quale uno Stato non può sussistere: la
preservazione del potere assoluto del sovrano, affinché lo Stato stesso non
si disintegri nella lotta delle fazioni per la conquista del potere.
La teoria di Bodin viene quindi ripresa per quanto riguarda la necessità che
un ordine politico sia fondato sulla sovranità, ma viene anche palesemente
superata in quanto il potere sovrano per Hobbes è artificiale, cioè generato
dalla volontà degli individui che col pactum subiectionis rinunciano a tutti i
24
loro diritti per conferirli ad un unico soggetto. Una volta autorizzato il
sovrano ad entrare in possesso dei propri diritti naturali, ogni individuo
acconsente a riconoscerlo come il proprio rappresentante ed è così che la
moltitudine diventa una sola persona, un solo popolo. Non c'è, dunque,
alcuna volontà originaria che si possa opporre al sovrano, proprio perché
ciascun individuo ha liberamente dato il suo assenso a questo ordine di
cose: ora tutti sono ugualmente sottoposti allo stesso sovrano e alla sua
volontà “generale” legittimata dal patto di soggezione30.
In Inghilterra quindi la logica dell'assolutismo trovò la sua massima
espressione teorica nel pensiero politico di Hobbes e la sua realizzazione
pratica con la dittatura di Cromwell. Questo nuovo indirizzo dato da
Hobbes al costituzionalismo moderno ha esercitato un'influenza decisiva
sulla Rivoluzione francese e sulle sue tumultuose esperienze costituzionali.
L'entrata in scena del concetto di “popolo sovrano” segna un ulteriore passo
avanti nel processo di formazione del costituzionalismo moderno. L'opera a
cui si deve questa svolta è il Contrat social di Jean-Jacques Rousseau,
pubblicato nel 1762. Anche qui la costituzione mista e il suo bilanciamento
dei poteri vengono sostituiti da un unico potere sovrano che l'autore
attribuisce al popolo, ossia il corpo politico a cui appartengono tutti gli
individui uniti dal contratto sociale. È la volontà generale del popolo
sovrano che stabilisce la legge alla quale tutti sono sottoposti e che
garantisce i diritti. La legge stessa è un'emanazione della volontà generale,
unica e indivisibile. Un altro elemento nuovo introdotto da Rousseau è la
naturale diffidenza verso i governanti, i quali potrebbero cedere alle
“volontà particolari” tradendo così il potere a loro affidato. È necessario
perciò che il popolo sovrano abbia il potere di rivedere e cambiare in ogni
momento i termini del patto sociale, affinché sia salvaguardato il primato
30 Per un approfondimento sulla teoria costituzionale di Hobbes si veda MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzionalismo, cit., pp.20-22;
25
della volontà generale31.
L'interpretazione del costituzionalismo moderno data da Hobbes e
Rousseau giocò un ruolo primario nello sviluppo del costituzionalismo
rivoluzionario. Ad esso però contribuì in egual maniera la linea
costituzionale segnata da John Locke che nei suoi Two Treatises of
Government, pubblicati nel 1690, affronta un'indagine sull'origine del
governo, la sua estensione e il suo fine. Quest'opera, caposaldo del
contrattualismo, diventa presto il nuovo, più solido fondamento teorico del
costituzionalismo inglese, facendone al tempo stesso un modello per tutta
l'Europa32.
La riflessione di Locke per prima cosa si concentra sullo stato di natura e,
in diretta polemica con Hobbes, lo descrive come uno stato di perfetta
libertà e uguaglianza in cui gli uomini godono del diritto naturale alla vita,
alla libertà e ai frutti del loro lavoro. Poiché ogni uomo è giudice di se
stesso e l'animo umano è guidato oltre che dalla razionalità anche dalla
passione, lo stato di natura può diventare uno stato di guerra e di tensioni.
In una tale situazione di incertezza l'uomo sente il bisogno di avere una
legge fissa e oggettiva, un giudice superiore e imparziale e un potere che
esegua le sentenze. Con un primo patto, dunque, gli uomini si uniscono e
danno vita ad una società in cui conservano ancora tutti i diritti naturali,
tranne quello di farsi giustizia da sé. Con un secondo contratto poi viene
istituito un governo politico il cui unico fine è quello di difendere i diritti
31 Sul costituzionalismo di Rousseau si veda MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., pp. 99-100; id, Costituzionalismo, cit., pp. 22-24.
32 La sua pubblicazione seguì solo di un anno gli eventi della Gloriosa Rivoluzione che – dopo la destituzione di Giacomo II da parte del Parlamento e la successiva incoronazione di Guglielmo d'Orange – termino con la promulgazione nel 1689 del famoso Bill of Rights. Anche se venne intitolato “dichiarazione” (un nome ben poco rivoluzionario per la storia inglese), in realtà questo documento era un vero e proprio contratto tra il Parlamento (rappresentante della nazione) e il Re nel quale si stabilivano i limiti del potere regio e si rivendicavano i tradizionali diritti degli inglesi, troppo spesso violati dalla dinastia Stuart. Il documento quindi non portava una grande carica innovatrice all'interno del sistema politico inglese, tranne per il fatto che sanciva la vittoria del Parlamento e segnava l'inizio del suo rafforzamento politico. Per il testo del Bill of Rights si veda FELICE BATTAGLIA, op. cit., pp. 24- 30.
26
naturali che ogni cittadino già possedeva nello stato di natura. E questa è
una delle differenze principali con le teorie di Hobbes e Rousseau per i
quali è la stessa autorità politica a stabilire e garantire quei diritti che erano
andati perduti con il pactum subjectionis. Secondo Locke, invece, l'unico
compito del governo è la sola conservazione dei diritti naturali.
A questo scopo sono istituiti i tre poteri, fra i quali il Legislativo è quello
più importante poiché scelto e nominato dal popolo proprio con lo scopo di
preservare il bene pubblico. Nonostante la sua supremazia esistono alcuni
limiti chiari ai quali deve sottostare, ossia i diritti naturali, il fine per cui è
stato creato (cioè stabilire una legge certa e fissa) e il rispetto del contratto
sociale che lo ha istituito. Quest'ultima clausola afferma implicitamente la
supremazia del potere costituente (cioè il contratto sociale e le sue
condizioni) sulla normale attività del Legislativo; vedremo come questo sia
una novità fondamentale del costituzionalismo moderno. Oltre a tutto ciò
deve essere applicata una rigida separazione dei poteri, soprattutto del
Legislativo dall'Esecutivo, così da assicurare che anche i legislatori siano
sottoposti alle leggi. Possiamo quindi asserire che in Locke si attua un
recupero dell'antica forma di governo mista e bilanciata in modo tale da
evitare che uno dei tre poteri inglobi dispoticamente gli altri due. In una
situazione del genere infatti la costituzione e i diritti degli individui
sarebbero in pericolo e l'equilibrio del governo si romperebbe
provocandone la dissoluzione. In questo caso Locke individua un ultimo e
supremo potere rimasto ancora nelle mani del popolo: è il potere di
revocare, disfare e cambiare il governo istituito ogni qual volta questo
venga meno al suo unico compito, quello cioè di garantire la sicurezza dei
cittadini e dei loro diritti naturali. Contro il governo divenuto illegittimo e
tirannico, non essendoci sulla terra un giudice superiore alle parti, l'unica
soluzione rimane l'«appello al Cielo», cioè il diritto alla rivoluzione. È da
specificare che in Locke il concetto di rivoluzione ha in realtà una
27
sfumatura conservatrice perché non allude ad un sovvertimento dell'ordine
dato in vista di un cambiamento radicale; la ribellione del popolo infatti
serve a ripristinare l'Antica costituzione violata e a riportare il potere
sovrano nelle mani della stessa società che è ancora unita dal pactum
unionis33.
Al successo delle dottrine lockeane contribuì anche l'Epistola de tolerantia
(pubblicata anonima nel 1689), opera in cui si compie la fusione tra il
dibattito costituzionale e l'affermazione del diritto alla libertà religiosa.
Partendo dal contesto politico inglese – in cui i due maggiori partiti del
Parlamento erano essenzialmente partiti religiosi spesso causa di tensioni e
scontri – Locke vuole dimostrare che ogni governo deve per prima cosa
fondarsi sulla tolleranza e sulla libertà religiosa. Queste, concretamente,
implicano non solo la libertà di culto, ma anche la libertà di associazione, di
pensiero e la libertà di diffonderlo pubblicamente. Ecco dunque che alla
richiesta esplicita di libertà religiosa si intreccia inevitabilmente quella
implicita di libertà politica, in un contesto, quello inglese del '600, in cui
anche le funzioni delle istituzioni politiche e religiose spesso si
accavallavano. A questo proposito Locke arriva fino a teorizzare la
necessità di una separazione netta fra Stato e Chiesa, data la diversità dei
loro compiti e fini: lo Stato politico infatti è istituito per la conservazione
dei beni civili, ossia dei diritti dei cittadini (tra cui anche la libertà
religiosa), mentre la Chiesa è una libera associazione di individui che
intendono onorare Dio per ottenere la salvezza dell'anima. Le due sfere di
attività quindi sono ben distinte ed autonome: da un parte i magistrati non
hanno alcun potere sulle anime e sulla coscienza dei cittadini, dall'altra la
Chiesa è sottoposta al potere temporale dello Stato.
Proclamando l'esistenza di un diritto alla libertà religiosa l'Epistola di
33 Sulla teoria costituzionale di Locke si veda MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., pp. 90-92; id, Costituzionalismo, cit., pp. 24-27.
28
Locke pone un nuovo, più ampio fondamento alla teoria contrattualistica
dei Two Treatises che a questo punto ha tutte le carte in regola per essere
definita un punto di svolta cruciale nell'evoluzione del pensiero
costituzionale.
Prima di allontanarci definitivamente dal suolo britannico è necessario un
ultimo accenno alle proposte e alle forti rivendicazioni che i radical Whigs
avanzarono nel dibattito politico del XVIII secolo. Avversari decisi
dell'onnipotenza del Parlamento, impegnati costantemente nella denuncia
della corruzione pervasiva della società inglese, John Trenchard, Thomas
Gordon, Richard Price e Thomas Paine introdussero nel dibattito politico
inglese la richiesta di riforme parlamentari che portassero ad un balanced
government in cui fosse controllato e ristretto il potere della Corona e dei
suoi ministri. I radical Whig inoltre chiedevano pieni diritti politici e civili
per i dissidenti protestanti, ponendo l'accento sulla libertà individuale di
coscienza e sulla tolleranza religiosa. Se in Inghilterra la loro posizione
risultava essere minoritaria e quasi marginale, le loro problematiche e le
loro idee attraversarono l'oceano Atlantico per approdare con forza e
freschezza nel dibattito costituzionale delle colonie americane.
Con questo rapido excursus sulle origini del costituzionalismo moderno
siamo giunti alle soglie della Rivoluzione americana e di quella francese
che segneranno in modo indelebile la storia politica e costituzionale
occidentale.
Concludendo questo breve percorso storico, possiamo dire con Fioravanti
di aver individuato la base del costituzionalismo moderno in due direttrici
principali di pensiero:
Nell'età delle rivoluzioni c'è dunque un costituzionalismo della
´volontà generale`, di originaria matrice hobbesiana, che tende
29
ad affidare la realizzazione dei principi costituzionali, e in
particolare del fondamentale principio di uguaglianza, a poteri
sovrani fortemente legittimati, che possono e devono avere tutta
l'autorità necessaria per imporre la forza della legge, ma che può
anche assumere la veste, nella versione rousseauviana, di un
esercizio diretto e permanente della sovranità popolare. Ma c'è
anche un costituzionalismo, di matrice lockeana, ben più
moderato nell'affermazione del principio di uguaglianza,
specialmente quando esso pretenda di estendersi dal campo
civile a quello politico, e che mette invece al primo posto
l'avversione nei confronti di ogni tipo di dispotismo, compreso
quello generato dal principio democratico, dall'eccesso in senso
radicale34.
34 MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzionalismo, cit., p. 30. Per i contenuti dell'intero paragrafo sul costituzionalismo moderno cfr. Ivi, pp. 20-30; id, Costituzione, cit., pp. 71-98.
30
3. IL COSTITUZIONALISMO AMERICANO COME MODELLO DEL COSTITUZIONALISMO MODERNO
In questo fin troppo sintetico itinerario attraverso la storia del concetto di
“costituzione” abbiamo ricordato solo alcune delle teorie classiche più
importanti e abbiamo tentato di sottolinearne quei caratteri latenti, ma
innovativi che hanno contribuito alla nascita del costituzionalismo
moderno. La teorizzazione, durante le guerre di religione in Francia, del
diritto di resistenza al re tiranno; l'introduzione, con Bodin, del concetto di
“sovranità”; i principi giusnaturalistici e il contrattualismo di Althusius,
Hobbes, Rousseau e Locke; l'intera tradizione costituzionale inglese fino
alle sue diramazioni più radicali. Questi sono i passaggi salienti che
segnano lo sviluppo del pensiero costituzionale occidentale.
Lo spartiacque decisivo tra costituzionalismo antico e moderno è
rappresentato dalle Rivoluzioni di fine Settecento che in America e Francia
portarono appunto alla stesura di una nuova Costituzione scritta, dai
caratteri assolutamente rivoluzionari.
Per comprendere a fondo la carica innovativa che rappresentarono i modelli
costituzionali affermatisi con le due Rivoluzioni è ancora una volta
indispensabile rifarsi a Lo stato moderno di Matteucci in cui egli individua
cinque istituti giuridici attraverso i quali le nuove teorie costituzionali
hanno cercato di limitare il potere politico:
a) la redazione di una formale costituzione scritta che istituisca l'intero
sistema dei poteri pubblici prescrivendone i limiti e gli ambiti;
b) l'approvazione della nuova costituzione da parte dei rappresentanti 31
del popolo chiamati esplicitamente ad esercitare il potere costituente del
popolo stesso, unica nuova fonte di legittimità del governo;
c) una ripartizione dei poteri tra i diversi organi dello Stato e la
creazione di un sistema di checks and balances che salvaguardi il popolo
dagli abusi della classe dirigente;
d) un sistema di controllo giudiziario della costituzionalità delle leggi;
e) una dichiarazione dei fondamentali diritti dell'individuo,
preferibilmente inserita all'interno della costituzione stessa.
Secondo l'analisi di Matteucci questi sono i cinque nuclei forti che
caratterizzano il nuovo costituzionalismo in quasi tutte le sue espressioni.
Notiamo che tra i nodi principali del costituzionalismo moderno l'autore
non include esplicitamente la nozione di sovranità popolare che da
Rousseau in poi ha goduto di tanta fortuna. Questa assenza può essere
dovuta a due ordini di motivi: in primo luogo perché tale importante
concetto è già compreso nel punto b) che attribuisce il potere costituente al
popolo; in secondo luogo perché Matteucci considera il concetto di
“sovranità”, inteso nella sua accezione europea di potere assoluto e
illimitato, come il principale nemico del costituzionalismo stesso35.
L'attenzione del nostro autore si concentra prima di tutto sulla vivace
esperienza costituzionale che caratterizzò la realtà coloniale americana fin
dai suoi primi insediamenti, perché proprio in tale contesto è possibile
riscontrare la prima realizzazione concreta dei cinque nuclei fondativi del
costituzionalismo moderno. Evidentemente Matteucci è stato affascinato e
persuaso dalla tesi sostenuta da Charles McIlwain in The american
Revolution: A Constitutional Interpretation del 192336, secondo cui 35 Si veda NICOLA MATTEUCCI, Lo stato moderno, cit., pp. 127-163.36 Cfr. CHARLES H. MCILWAIN, The American Revolution: A Constitutional Interpretation, New
York, 1923, trad. it. La Rivoluzione americana: una interpretazione costituzionale, a cura di 32
all'origine dello scontro tra le colonie e la madrepatria c'era «un contrasto
fra due interpretazioni della costituzione inglese reciprocamente
incompatibili37»: se da una parte i coloni riconoscevano ancora nella
prerogativa regia l'unica autorità che poteva legiferare sulle colonie e sui
domini inglesi fuori del Regno (con la conseguenza che il controllo del
Parlamento era considerato una violazione della Costituzione dell'Impero),
dall'altra gli inglesi, dopo la Gloriosa Rivoluzione avevano accettato che
tutti gli antichi diritti della Corona passassero sotto il controllo del
Parlamento, ormai onnipotente. La legge che nel 1649 aveva stabilito la
nascita del Commonwealth inglese dichiarava «proprietà del popolo
d'Inghilterra» anche i domini reali fuori dal Regno e così facendo poneva le
colonie d'oltreoceano sotto il governo della «Suprema Autorità di questa
Nazione, [cioè] i Rappresentanti del Popolo in Parlamento38». In questa
nuova normativa del rapporto tra Regno e Domini il McIlwain individua
l'origine del problema costituzionale che fu oggetto dei dibattiti politici
coloniali fin dalla metà del Settecento e che poi portò alla Dichiarazione
d'Indipendenza39.
Tornando allo studio del Matteucci, nel suo volume La Rivoluzione
americana: una rivoluzione costituzionale (1987)40 egli ricerca l'origine del
costituzionalismo americano nella storia delle istituzioni coloniali, dalle
prime Carte regie alle più mature esperienze di organizzazione politica,
proprio partendo dall'interpretazione innovativa proposta da McIlwain.
In questa sede ci proponiamo di delineare i contorni del fenomeno
costituzionale americano e di evidenziarne i contenuti originali che,
Nicola Matteucci, Bologna, Il Mulino, 1965.37 Ivi, p. 9.38 Ivi, p. 22.39 Per ulteriori approfondimenti sull'impostazione del problema data da McIlwain e sul rapporto
tra il Regno e i domini cfr. CHARLES MCILWAIN, La Rivoluzione americana: una interpretazione costituzionale, cit., pp. 5-116.
40 NICOLA MATTEUCCI, La Rivoluzione americana: una rivoluzione costituzionale, Bologna, Il Mulino, 1987.
33
secondo Matteucci, lo fanno assurgere a modello principale del
costituzionalismo moderno. La nostra esposizione seguirà i cinque nuclei
forti attorno a cui si articola il modello di costituzionalismo moderno
fornito dallo storico.
a) COSTITUZIONE SCRITTA
Secondo Matteucci uno dei principali elementi innovativi del dibattito
costituzionale moderno è costituito dalla richiesta esplicita di un documento
scritto e rigido, una “costituzione” che stabilisca le norme in base alle quali
il corpo politico deve essere governato. Abbiamo visto che il concetto di
legge originaria e fondamentale, già presente nell'antichità classica, era
stato alla base della stessa organizzazione politico-sociale del Medioevo e la
Common Law inglese ne è l'esempio più sublime e longevo. Nessun paese
però possedeva una consapevole codificazione scritta e rigida di tutte le sue
leggi fondamentali, le quali erano solo desunte e fondate sulle consuetudini,
sulla storia e sulle tradizioni dei singoli paesi, elaborate in una forma
adattabile a tempi e circostanze diversi. Anche in quell'Inghilterra che pure
vanta documenti scritti in cui si afferma la superiorità della Common Law,
si concepiva ancora la costituzione come «un insieme di leggi, istituzioni e
consuetudini, derivate da certi immutabili principi di ragione e dirette a
certi immutabili fini di pubblico bene41» cioè come un patrimonio ereditario
collettivo (come la definisce ancora Burke nel 179042).
41 Henry Saint-John Bolingbroke, A Dissertation upon parties, citato in NICOLA MATTEUCCI, Lo stato moderno, cit.., p. 135.42 Ibidem.
34
Nonostante le prime richieste di una costituzione scritta siano state
avanzate, come abbiamo accennato, proprio in Inghilterra dai Levellers
durante le guerre civili (con l'Agreement of the People del 1647-49), solo le
sue colonie d'oltreoceano recepirono queste istanze innovatrici alla fine del
XVIII secolo. La prima vera costituzione scritta infatti è quella approvata
dall'Assemblea dello Stato della Virginia (Williamsburg, 12 giugno 1776)43,
seguita nello stesso anno da quelle del New Jersey, del Delaware, della
Pennsylvania, del Maryland e del North Carolina. Tra il 1777 e il 1778
anche la Georgia, il New York, il South Carolina e il Massachusetts
redassero una nuova costituzione, mentre Connecticut e Rhode Island
mantennero con pochi cambiamenti le loro originarie Carte coloniali.
Questa intensa attività di redazione costituzionale si concluse nel 1788 con
l'approvazione della Costituzione federale dei nuovi Stati Uniti d'America,
massima espressione del nuovo costituzionalismo.
Come giustamente afferma Matteucci «la costituzione scritta è un fatto
rivoluzionario nella storia del costituzionalismo; e in America fu sentita da
tutti come cosa naturale e necessaria44». Per spiegare l'impressionante
spontaneità di questo processo è necessario tornare agli inizi della
colonizzazione del Nord-America e osservarne le prime esperienze politico-
costituzionali.
Diversa fu l'origine dei primi insediamenti inglesi sulle coste del Nord-
America: alcuni furono concessi dal Re in proprietà a singole personalità
dell'aristocrazia inglese (Pennsylvania e Maryland); altri furono concessi a
società per azioni, o Companies, per lo sfruttamento economico del
43 Secondo Roberto Martucci, il termine “costituzione” nel suo significato attuale appare per la prima volta appunto in Virginia nel 1776, «per designare un documento scritto, “costitutivo” delle modalità di funzionamento e delle garanzie fondamentali di uno Stato». ROBERTO MARTUCCI, La Rivoluzione dei due mondi. Dal Settantasei virginiano all'Ottantanove francese, «I viaggi di Erodoto», 1992, 16, p. 119. Si veda anche id, Stati Uniti e Francia tra due Rivoluzioni costituzionali (1776-1792), «Giornale di storia costituzionale», n. 17, I semestre 2009, pp. 49-51.
44 NICOLA MATTEUCCI, La Rivoluzione americana, cit., p. 173.35
territorio (Virginia, New York); altri ancora furono fondati da gruppi di
emigrati per motivi religiosi (New England). Nonostante l'origine e lo
sviluppo diverso, esiste una caratteristica comune alla storia di ogni singola
colonia, cioè la sua natura contrattualistica o pattizia. Ogni nuovo
insediamento stabilitosi nel Nord-America, infatti, si era costituito intorno
ad un documento giuridico scritto che poteva essere una Carta regia, lo
Statuto di una Compagnia commerciale o il Covenant puritano. Da questi
diversi documenti ogni colonia traeva la legittimazione della sua esistenza e
una prima organizzazione politico-sociale. Nelle Carte concesse dal Re
d'Inghilterra, le quali avevano un carattere privato poiché stabilivano un
rapporto diretto tra la persona del Re e il concessionario della colonia (fosse
egli un feudatario o una società per azioni), i coloni erano ricordati solo in
quanto sudditi inglesi protetti dalla stessa Common Law. Ai vari Lords
proprietari, quali Lord Baltimore e William Penn, le Carte regie affidavano
privilegi, diritti e vasti poteri sui territori in concessione, mentre alle
Compagnie commerciali come quelle della Virginia e del Massachusetts era
riconosciuta, attraverso l'istituto dell'incorporation, una personalità
giuridica che di fatto le trasformava in un vero e proprio corpo politico. La
Carta della Compagnia della Virginia, per esempio, ne istituiva gli organi
amministrativi, ossia un Consiglio, un tesoriere e l'Assemblea dei soci o
freemen, alla quale era affidata la nomina del governatore e dei magistrati
della colonia. Col tempo le Carte regie e il meccanismo dell'incorporation
divennero un vero e proprio riconoscimento delle nuove e autonome società
politiche americane, come dimostra il caso della colonia del Massachusetts:
concessa nel 1629 ad un gruppo di puritani guidati dal pastore John
Winthrop, la nuova colonia si vide riconosciuto lo status di corporazione e
la sua Carta fu trasferita sul suolo americano. Il fatto si può definire
senz'altro rivoluzionario perché, trasferendo la sede legale nella colonia, la
Compagnia della baia del Massachusetts si trasformò da società
36
commerciale in società politica, in cui gli azionisti erano gli stessi coloni
che si governavano con proprie assemblee e propri magistrati. Anche gli
insediamenti autonomi dei Padri pellegrini della Mayflower, della città di
New Haven, delle colonie del Rhode Island e del Connecticut, ebbero
un'origine pattizia nei covenants o agreements di stampo puritano,
attraverso cui divennero comunità politche autonome con proprie istituzioni
politiche (assemblee cittadine, giudici, governatori, assemblee generali)45.
Come gli Statuti delle corporazioni, anche i covenants dei puritani
separatisti rappresentavano una libera e consensuale unione di più persone
aventi scopi comuni; inoltre chi rappresentava l'intero corpo della comunità
(pastore, tesoriere o governatore che fosse) derivava la sua autorità dagli
associati (o azionisti) e per questo era responsabile nei loro confronti.
Quindi fin dai primi anni le colonie americane furono dotate di documenti
scritti in cui elementi provenienti dall'ideologia puritana si mescolavano
all'esperienza delle corporazioni inglesi e ai principi della Common Law.
In questa prima fase della colonizzazione il controllo da parte della
monarchia inglese sull'attività delle colonie fu quasi del tutto assente e
questo favorì lo sviluppo di autonome istituzioni. Col tempo, dalle varie
emergenze che ogni colonia si trovò a fronteggiare nacquero nuove e più
mature esperienze costituzionali, tradotte in relativi documenti scritti. Nel
1639, per esempio, problemi di politica estera spinsero le tre città del
Connecticut ad unirsi attorno ad una nuova costituzione, i Fundamental
Orders, documento scritto che regola il funzionamento degli organi di
governo delle città unite e che, per la prima volta, non è stato concesso da
un potere esterno46. Anche le città di New Haven, Guilford, Milford e 45 Con il patto sottoscritto sulla Mayflower nel 1620 i Padri pellegrini istituirono la comunità che
poi fondò la piantagione di Plymouth. I primi insediamenti nel Rhode Island e nel Connecticut, invece, si devono a due correnti migratorie che partirono dal Massachusetts per motivi essenzialmente religiosi e politici. Un'altra comunità autonoma è quella di New Haven, fondata da un gruppo di puritani inglesi che si stabilirono lì perché in contrasto teologico con i puritani già residenti in Massachusetts.
46 Alcuni storici hanno individuato nei Fundamental Orders la prima costituzione americana. 37
Standford si unirono pochi anni dopo con un patto scritto, un Frame of
Government. In questo panorama ha grande importanza l'intensa attività
politico-costituzionale della Pennsylvania negli ultimi due decenni del XVII
secolo. Il quacchero Penn, dopo vari progetti, redasse un nuovo Frame of
Government, contenente una dichiarazione dei diritti e la regolamentazione
degli organi di governo. Questa è una delle costituzioni più singolari del
periodo coloniale, perchè è decisamente ispirata al repubblicano
Harrington. Un'assemblea dei rappresentanti dei coloni doveva essere eletta
ogni anno e la sua convocazione era indipendente dal governatore; la
suddetta assemblea doveva nominare i 72 membri di un Consiglio il quale
solo aveva potere legislativo; infine era previsto un sistema di rotazione
delle cariche per i membri del Consiglio e dell'assemblea. La Costituzione
promossa da Penn fu boicottata dai coloni, finché nel 1701 si arrivò ad
approvare la Charter fo Privileges, concordata fra il proprietario e i coloni,
che fu uno dei principali modelli costituzionali a cui guardarono molti anni
dopo i vari Mably, Brissot e Condorcet. In questa nuova costituzione infatti
il sistema di governo era stato ridotto ad una sola assemblea, eletta ogni
anno, in cui i coloni avevano diritto all'iniziativa legislativa47.
Dunque questi primi esperimenti di politica coloniale gettarono le basi della
futura configurazione costituzionale degli Stati Uniti d'America. Con
Matteucci si può affermare che il costituzionalismo americano ha avuto
origine nell' «esperienza storica collettiva» dei coloni inglesi che, a contatto
con la dura realtà del Nord-America, furono costretti «a risolvere i problemi
Nonostante dal punto di vista formale questo sia uno dei documenti più maturi di quell'epoca, dal punto di vista del contenuto le novità sono poche, oltre al fatto che non contiene una dichiarazione dei diritti e si presenta come un testo flessibile (infatti è stato cambiato ben otto volte nel corso della sua storia). Per ulteriori informazioni si veda NICOLA MATTEUCCI, La Rivoluzione americana, cit., pp. 212-213.
47 Per un approfondimento ulteriore sull'esperienza costituzionale della prima età coloniale cfr. NICOLA MATTEUCCI, La Rivoluzione americana, cit., pp.185-227; ARNALDO TESTI, La formazione degli Stati Uniti, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 11-26. Per i testi dei documenti costituzionali dell'età coloniale si veda La formazione degli Stati Uniti d'America, a cura di Alberto Aquarone, Guglielmo Negri, Cipriana Scelba, Pisa, Nistri-Lischi, 1961, vol. I.
38
dell'organizzazione del governo e a legittimare in qualche modo il proprio
esistere in queste nuove terre48».
b) POTERE COSTITUENTE
Secondo l'analisi di Matteucci, un'altra novità del costituzionalismo
americano consiste nella consapevolezza del valore più alto della
Costituzione rispetto ad ogni legge ordinaria. Come recita l'articolo VI della
Costituzione federale,
La presente Costituzione e le leggi degli Stati Uniti emanate in
conformità ad essa, […], saranno la legge suprema del paese49.
Durante il conflitto con la madrepatria i coloni avevano sentito la necessità
di appellarsi ad una norma superiore alle leggi del Parlamento inglese che
essi stavano respingendo. La Costituzione viene a rappresentare questa
legge superiore, la cui autorità ha un nuovo legittimo fondamento in un
potere sovrano finora sconosciuto, il potere costituente: «solo esso può
esprimere una volontà più alta e duratura di quella delle normali assemblee
legislative50». Questo nuovo potere viene attribuito al popolo, unico
soggetto che precede ogni altro ordine e attraverso il quale si può dar vita
ad una Costituzione. Gli Americani, quindi, ripresero il concetto di
48 NICOLA MATTEUCCI, La Rivoluzione americana, cit., p. 203.49 Costituzione degli Stati Uniti d'America, art. VI, in La formazione degli Stati Uniti
d'America, cit., vol. I, p. 494.50 NICOLA MATTEUCCI, Lo stato moderno, cit., p. 139.
39
sovranità che in Europa era sempre stato attribuito ad un organo o ad
un'istituzione del governo, affidandolo al popolo. Il diverso contesto
politico li facilitò ad intuire che l'intero popolo, in modo indiretto, dovesse
essere il fondamento primario del nuovo Stato e della sua legge suprema.
La Costituzione americana indica la sua origine subito all'inizio con
l'espressione «Noi, il Popolo51»: ecco quindi che il popolo sovrano ha
principalmente «il compito di richiamare l'esistenza di un ordine primario,
che è kelsenianamente il presupposto della costituzione positivamente
intesa, e che per questo motivo è indisponibile, e non può dunque essere
violato dai poteri costituiti52». A questo proposito è significativa
l'affermazione che il radicale inglese Thomas Paine riporta nel suo The
Rights of Man del 1791 :
Una Costituzione non è l'atto di un governo, ma del popolo che
costituisce un governo, e il governo senza Costituzione è potere
senza diritto53.
Da questa affermazione di Paine si evince, infatti, l'altro passo avanti
elaborato nell'esperienza costituzionale americana, cioè la netta distinzione
tra potere costituente e poteri costituiti. Data la superiorità della
Costituzione sulle altre leggi e data la sua intima natura di limite nei
confronti del governo, il potere costituente del popolo non poteva essere
affidato ad una normale assemblea legislativa. Dunque era necessario creare
un organo straordinario al quale affidare il compito della redazione
51 Costituzione degli Stati Uniti, in La formazione degli Stati Uniti d'America, cit., vol. I, p. 480.
52 MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzionalismo, cit., p. 57. Sul problema del concetto di sovranità nel costituzionalismo americano cfr. anche STEPHEN M. GRIFFIN, American Constitutionalism. From Theory to Politics, Princeton, 1996, trad. it. Il costituzionalismo americano. Dalla teoria alla politica, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 49-61.
53 Thomas Paine, The Rights of Man, citato in NICOLA MATTEUCCI, Lo stato moderno, cit., p. 139.40
costituzionale. In questo modo, diversamente da quanto accadde pochi anni
dopo in Francia, in America la volontà del popolo sovrano acquistò una
struttura dualistica. Come afferma Fioravanti infatti nel modello americano
la volontà popolare non è un'entità monistica, unica e infallibile,
perché il soggetto-popolo esprime due volontà ben distinte: da
una parte quella costituente, che fonda la supremazia della
costituzione, dall'altra quella politica ben più contingente, che di
volta in volta determina un singolo legislatore espressione di una
singola maggioranza54.
Il popolo, dunque, è sovrano solo attraverso la supremazia della
Costituzione e dell'ordine che essa stabilisce; in questo anche il governo,
scelto sempre dal popolo, è sottomesso alla suprema legge del paese.
Questa fondamentale novità si introdusse gradualmente nella pratica del
processo costituzionale americano degli anni rivoluzionari. Le prime
Costituzioni degli Stati, come gli Articoli di Confederazione, erano state
redatte dagli ordinari organi legislativi. Col tempo, però, si verificò un
progressivo affinamento giuridico che portò alla convocazione di una
Convenzione rivoluzionaria in quattro Stati e di una Assemblea costituente
negli altri sei, incaricate proprio della redazione di nuove Costituzioni. Lo
stato del Massachusetts, addirittura, sottopose la Costituzione, stesa da
un'apposita Convenzione, al referendum popolare. Anche la Costituzione
federale degli Stati Uniti fu elaborata dalla Convenzione federale di
Philadelphia, inizialmente convocata nel 1787 con il compito di riformare
gli Articoli di Confederazione. Il testo poi venne mandato ad ogni singolo
Stato affinchè fosse ratificato dalle Convenzioni statali appositamente
54 MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzionalismo, cit., p. 55.41
elette. Infatti solo il 2 luglio 1788, ottenuta l'approvazione dalla
maggioranza degli Stati, la nuova Costituzione entrò in ufficialmente in
vigore55.
Secondo Matteucci, la pratica del potere costituente, dunque, rappresenta
uno dei principali aspetti innovativi del modello costituzionale americano,
perchè garantisce la sovranità del popolo attraverso la superiorità della
Costituzione nei confronti di ogni altro potere costituito. La maggior parte
degli Americani in fondo diffidava del popolo sovrano raffigurato come una
persona capace di volere, e quindi di fondare l'ordine politico. Poteva
accadere infatti che uno dei poteri costituiti, il Legislativo per esempio,
fosse portato a «fantasticare di essere il popolo stesso56». Per questo fu
previsto un complicato processo di modifica della Costituzione che
impediva al semplice Legislativo di trasformarsi in potere costituente57.
Quello che gli Americani volevano creare, infatti, era un governo di leggi e
non di uomini, secondo la nota espressione aristotelica. Questa
preoccupazione risulta evidente in molti passi del Federalist, opera che
rappresenta la massima espressione dell'esperienza costituzionale
americana. Nel saggio n. 78, per esempio, Hamilton prefigura il potere dei
giudici di invalidare l'atto del legislatore che sia contrario ai principi della
Costituzione. In questo caso, egli puntualizza, non sono i giudici ad
innalzarsi al di sopra del Legislativo: al contrario, proprio in quanto
strumenti della Costituzione, essi riaffermano la supremazia di quel
documento che è l'unica espressione della sovranità popolare58.
55 Cfr. ALEXANDER HAMILTON, JOHN JAY, JAMES MADISON, The Federalist, New York, 1788, trad. it. Il Federalista (commento alla costituzione degli Stati Uniti), Pisa, Nistri-Lischi, 1955, n. 40.
56 Ivi, n. 71.57 Per proporre un emendamento, infatti, erano necessari i due terzi del voto di ogni Camera. In
alternativa, le legislature dei due terzi degli Stati potevano chiedere al Congresso di indire una convenzione nazionale per discutere e stilare gli emendamenti. In entrambi i casi, gli emendamenti dovevano avere l'approvazione delle legislature o delle convenzioni di tre quarti degli stati esistenti, prima di diventare parte della costituzione. Cfr. Ivi, nn. 48-49.
58 Cfr. ALEXANDER HAMILTON, JOHN JAY, JAMES MADISON, op. cit., n. 78; MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., pp. 105-107.
42
I coloni americani dunque realizzarono la pratica del potere costituente
senza averne elaborato in termini formali una teoria. In Francia accadde
l'esatto opposto: Sieyés e Condorcet nelle loro opere teorizzarono il
concetto di potere costituente, ma nell'esperienza costituzionale francese
questo non sempre rimase distinto dal potere costituito.
c) SEPARAZIONE DEI POTERI
Il principio della separazione dei poteri, come abbiamo precedentemente
notato, non era sconosciuto al costituzionalismo delle origini ed era stato
esplicitamente formulato in età moderna da Locke e Montesquieu che,
rifacendosi al modello inglese, avevano indicato nel governo misto la
perfetta realizzazione dell'equilibrio tra i poteri. Per entrambi gli autori
potere legislativo ed esecutivo dovevano essere sì separati, ma non in modo
assoluto, poiché all'Esecutivo era riservata, in piccola misura, la facoltà di
intervento nella sfera del Legislativo. Ma il sistema inglese di divisione dei
poteri che realizzava l'equilibrio politico nella teoria dei due autori serviva
ancora a dividere la sovranità tra l'uno, i pochi e molti (categorie a cui
corrispondevano le classi sociali di re, nobili e comuni).
Dunque se è vero che gli Americani si ispirarono al governo misto
dell'Inghilterra, è vero anche che nella loro costruzione costituzionale
introdussero l'elemento innovativo e rivoluzionario della sovranità
popolare. Il costituzionalismo americano, infatti, si serve della separazione
dei poteri per dividere tra i diversi organi il solo esercizio della sovranità, la
cui titolarità resta espressamente attribuita al soggetto-popolo (questa è una
43
delle principali differenze col modello politico-costituzionale europeo).
Nella Costituzione federale come in quella dei singoli Stati dell'Unione non
viene mai indicato un potere come rappresentante esclusivo della sovranità
popolare.
Dunque, tutti i poteri hanno nel nostro modello il loro ambito
nella costituzione, anche ampio e rilevante, ma nessuno di essi è
il potere per eccellenza, quello in cui si esprime il principio della
sovranità. Per questo motivo […] assume particolare rilevanza la
dimensione del bilanciamento dei poteri. Non solo tra poteri
federali e statali, o tra poteri d'indirizzo politico e poteri di
garanzia, in particolare attraverso il controllo diffuso di
costituzionalità, ma anche tra gli stessi poteri d'indirizzo,
costruiti su base rappresentativa, e dunque tra Presidente e
Congresso59.
È questa una delle decisive innovazioni del costituzionalismo americano:
una limitazione costituzionale del potere realizzata attraverso la divisione
dell'esercizio della sovranità tra i poteri, i quali sono strutturati in un
complesso gioco di pesi e contrappesi che garantisce il popolo dagli abusi
della classe dirigente.
Prendiamo ora in esame la Costituzione federale in cui la divisione dei
poteri é attuata sia in via “verticale” sotto forma di decentramento
federalistico, sia in via “orizzontale” sotto forma di “governo misto” o di
ripartizione delle funzioni tra diversi organi. Nel 1787 il primo obiettivo
della Convenzione di Philadelphia era quello di consolidare l'Unione dei
tredici Stati che, nell'architettura della Confederazione, possedeva il potere
legislativo, ma non quello esecutivo, né quello giudiziario. La debolezza di
59 MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzionalismo, cit., pp. 64-65.44
questa struttura era sotto gli occhi di tutti60. I Padri della Costituzione,
dunque, per aumentare il potere dell'Unione senza intaccare quello dei
singoli Stati, escogitarono un sistema nuovo, senza precedenti: in esso la
sovranità era divisa tra due ordinamenti giuridici, lo Stato federale e gli
Stati Membri, i cui rispettivi poteri e limiti erano chiaramente prescritti
dalla Costituzione. Quindi in piena opposizione alla logica unitaria della
sovranità (di stampo europeo), la Costituzione federale attua una prima
divisione dei poteri in via “verticale” indicando le materie di competenza
della Federazione. Come afferma in modo esplicito il X Emendamento
(entrato in vigore nel 1791), tutti i poteri non delegati dalla Costituzione
allo Stato federale sono da intendersi riservati ai singoli Stati e al popolo.
Dunque resta molto esteso il campo di autorità proprio degli Stati: ad essi
spetta la formazione del loro stesso ordinamento giuridico-costituzionale e
le loro competenze spaziano dall'ambito della legislazione penale, civile,
industriale, sindacale a quello delle amministrazioni municipali e locali,
della polizia, dell'istruzione, della sanità e dell'istruzione61.
La seconda divisione dei poteri procede in linea “orizzontale” in quanto
distribuisce le varie funzioni dello Stato federale tra i suoi diversi organi.
Come vedremo, la separazione non è netta poiché la Costituzione tra i
poteri prevede punti di contatto e di reciproco controllo62.
60 In un discorso alla popolazione dello Stato di New York, teso a difendere il nuovo progetto costituzionale, John Jay sottolinea la debolezza e l'impotenza del Congresso attuale: «They make war, but are not empowered to raise men or money to carry it on. They make peace, but without power to see the terms observed. They may form alliances, but without ability to comply with the stipulation on their part. […] In short they may consult, and deliberate, and recommend, and make requisitions, and they who please, may regard them», John Jay in ALBERTO AQUARONE, Due costituenti settecentesche: note sulla Convenzione di Filadelfia e sull'Assemblea Nazionale francese, Pisa, Nistri-Lischi, 1959, pp. 13-14. Vedi anche ALEXANDER HAMILTON, JOHN JAY, JAMES MADISON, op. cit., nn. 15-22.
61 Vedi Costituzione degli Stati Uniti in La formazione degli Stati Uniti d'America, cit., vol. II, art. I, p. 504.
62 A questo proposito in due articoli del Federalist Madison difende la nuova Costituzione dalle critiche di chi, citando Montesquieu, premeva per una separazione assoluta delle tre sfere di potere. A sostegno della sua tesi, Madison riporta esempi dalle Costituzioni dei vari stati, mostrando come in nessun caso è stata prevista una distinzione netta e invalicabile tra i poteri statali. Cfr. ALEXANDER HAMILTON, JOHN JAY, JAMES MADISON, op. cit., nn. 47-48.
45
Partiamo dal Legislativo, ossia da quel potere che i costituenti americani
temevano di più per la sua naturale propensione ad attirare «ogni attività
entro il proprio impetuoso vortice63». Questo viene attribuito ad
un'assemblea, il Congresso, composta da due Camere aventi funzioni
distinte e base elettorale diversa. Con questa opzione bicamerale i Padri
fondatori riuscirono a comporre lo scontro tra grandi e piccoli Stati: i primi,
infatti, volevano un sistema di rappresentanza proporzionale alla
popolazione, mentre i secondi premevano per una rappresentanza uguale
per ogni Stato. Il compromesso a cui si giunse fu quello di formare la
Camera dei Rappresentanti in base al criterio numerico della popolazione,
rispondendo così alle esigenze dei grandi Stati; al Senato, invece, avrebbero
partecipato due rappresentanti per ogni Stato, così da dare agli Stati meno
popolati un peso uguale a quello di Stati più grandi e popolosi. Inoltre i
deputati sarebbero rimasti in carica due anni e i senatori per sei, con il
rinnovo di un terzo del Senato ogni due anni.
La Costituzione attribuisce al Congresso ampi poteri, tra cui quello di
imporre e percepire tasse; di regolamentare il commercio tra gli Stati
Membri e con le Nazioni estere; di battere moneta; di costituire tribunali
sottoposti alla Corte Suprema; di dichiarare guerra, convocare e mantenere
l'esercito; di emanare tutte le leggi necessarie per rendere esecutivi i poteri
di cui è investito. Ma anche all'interno di questo Legislativo bicefalo i poteri
sono saggiamente bilanciati: la Camera dei Rappresentanti, infatti, ha la
facoltà di presentare i progetti di legge in materia di tassazione, ma il
Senato ha il potere di proporre emendamenti, come per ogni altro progetto
di legge64.
La scelta di un Legislativo bicamerale si ritrova in tutte le nuove
Costituzioni degli Stati americani, tranne in quella della Pennsylvania, alla 63 Ivi, n. 48, p. 335.64 Cfr. Costituzione degli Stati Uniti in La formazione degli Stati Uniti d'America, cit., vol. II,
art. I, pp. 480 -487.46
cui stesura contribuirono Benjamin Franklin e Thomas Paine e che per certi
aspetti può essere definita la più radicale e democratica delle nuove
costituzioni americane65.
Il testo della Costituzione federale prevede inoltre una prima forma di
bilanciamento del Legislativo da parte del potere esecutivo affidato ad una
sola persona, il Presidente degli Stati Uniti. Il suo compito è di provvedere
all'osservanza ed all'esecuzione della Costituzione e delle leggi; inoltre egli
dirige tutto l'apparato esecutivo ed è comandante in capo dell'esercito e
della marina. Al Presidente è data anche la facoltà di intervenire nei
confronti del Legislativo con il potere di veto sui progetti di legge del
Congresso e con il potere, in situazioni straordinarie, di convocare le due
Camere. Inoltre, ogni anno e in momenti particolari, rivolge messaggi al
Congresso per informarlo della situazione in cui versa l'Unione e per
sottoporre le sue proposte di legge. Come Capo dello Stato e Capo del
Governo, dunque, esercita questi poteri di sua iniziativa e in modo
autonomo, senza incorrere peraltro nella responsabilità politica: il
Presidente infatti può essere messo in stato d'accusa (impeachment) solo per
quanto riguarda il suo comportamento personale, cioè per tradimento,
corruzione o altri reati gravi, ma non è costretto a dimettersi nel caso in cui
perda la fiducia politica.
L'Esecutivo, dunque, è dotato di poteri forti, ma anch'esso è sottoposto al
65 In essa infatti il potere legislativo era conferito ad un'unica Assemblea, eletta annualmente, la quale deteneva il potere di mettere sotto accusa e di destituire per cattiva condotta ogni magistrato (anche se appartenente ai rami dell'Esecutivo e del Giudiziario). Inoltre una norma della Costituzione impediva alla suddetta Assemblea di concludere il procedimento di legislazione ordinaria in una sola sessione: tutti i disegni di legge infatti dovevano essere pubblicati e divulgati affinchè il popolo stesso potesse esprimersi a riguardo. Solo dopo aver passato l'esame del popolo, la legge sarebbe stata approvata in una seconda sessione dell'Assemblea. Agli ampi poteri di questa corrisponde invece l'istituzione di un esecutivo non monocratico e piuttosto debole. Il modello costituzionale della Pennsylvania diventerà un punto di riferimento per alcuni dei principali protagonisti del processo costituzionale francese, tra cui il celebre Condorcet. Sulla Costituzione della Pennsylvania e il suo modello di costituzionalismo radicale cfr. MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzionalismo, cit., pp. 70-85; NICOLA MATTEUCCI, La Rivoluzione americana, cit., pp. 178-179. Per il testo della suddetta Costituzione si veda La formazione degli Stati Uniti d'America, cit., vol. II, pp. 12-32.
47
sistema di checks and balances, linea guida dell'intera Costituzione. Per
quanto indipendente, infatti, il Presidente necessita del consenso del Senato
riguardo alla nomina dei Segretari di Stato e dei giudici della Corte
Suprema e riguardo alla conclusione di trattati. Inoltre, per l'attuazione dei
suoi programmi politici, soprattutto in materia fiscale, non può prescindere
dalla cooperazione e dal consenso del Congresso. Dunque anche un potere
forte come quello che detiene il Presidente degli Stati Uniti è in qualche
modo imbrigliato all'interno di una rete di pesi e contrappesi volti a
garantire i diritti e la libertà del popolo americano66.
Veniamo ora all'organizzazione del potere giudiziario. L'articolo III della
Costituzione conferisce il potere giudiziario «ad una Corte Suprema, ed a
quei tribunali inferiori che di volta in volta il Congresso riterrà opportuno
istituire67». Per il mandato dei giudici non è previsto un limite: essi
resteranno in carica finché conserveranno una buona condotta e inoltre
riceveranno, in date prestabilite, uno stipendio dall'importo fisso. Nel
Federalist Hamilton indica queste scelte come «uno dei più utili
miglioramenti che si sono recentemente verificati nel campo della scienza
del governo68»: l'inamovibilità delle cariche rende effettiva l'indipendenza
del potere giudiziario da qualsiasi altro potere o organo. Inoltre «non si
potrà certo pensare che i giudici, che rimangono in carica soltanto
temporaneamente, possano avere per la Costituzione e per i diritti degli
individui quell'attaccamento inflessibile e costante che per noi è
indispensabile per amministrare la giustizia69». Anche per i magistrati
comunque è previsto l'istituto cautelare dell'impeachment: se incriminati
dalla Camera dei Rappresentanti e giudicati dal Senato per cattiva condotta,
in caso di riconosciuta colpevolezza anch'essi posso venire destituiti ed
66 Cfr. Costituzione degli Stati Uniti inLa formazione degli Stati Uniti d'America, cit., vol. II, art. II, pp. 487-490.
67 Ivi, vol. II, art. III, p. 491.68 ALEXANDER HAMILTON, JOHN JAY, JAMES MADISON, op. cit., n. 78, p. 530.69 ALEXANDER HAMILTON, JOHN JAY, JAMES MADISON, op. cit., n. 78, p. 537.
48
esclusi da ogni altra carica. Nelle tre sezioni dello stesso articolo III
vengono stabilite le materie di competenza generale dei giudici federali e
della Corte Suprema, e viene stabilito che tutti i processi siano giudicati da
una giuria nel luogo in cui il delitto è stato commesso. Infine, come
abbiamo detto in precedenza, la scelta dei giudici della Corte Suprema
spetta al Presidente, previo consenso del Senato.
Per comprendere il ruolo di “supremo regolatore” che la Costituzione degli
Stati Uniti assegna al potere giudiziario, manca ancora un istituto
fondamentale che nella Costituzione stessa non è esplicitamente previsto,
anche se alcuni articoli ne costituiscono la necessaria premessa70.
d) CONTROLLO DI COSTITUZIONALITA' DELLE LEGGI
Nel nostro excursus iniziale sulla storia del costituzionalismo abbiamo
individuato il carattere essenziale e più duraturo del costituzionalismo
stesso nel suo essere una limitazione del governo attraverso il diritto e la
legge. Mentre il principio moderno del governo misto prevede una
separazione dei poteri, quello medievale del governo limitato si fonda
proprio sulla sovranità delle leggi e quindi valorizza al massimo la funzione
giudiziaria come vera custode della costituzione. L'antica distinzione
medievale tra gubernaculum e iurisdictio (teorizzata per la prima volta da
Henry de Bracton) puntava a confinare la volontà insindacabile del Re nella
prima sfera, mentre egli nella seconda era sub lege, cioè sottoposto alle
70 Per un approfondimento sul tema della separazione dei poteri nella Costituzione federale americana si veda GASPARE AMBROSINI, Introduzione, in ALEXANDER HAMILTON, JOHN JAY, JAMES MADISON, op. cit., pp. XLIV-LXII.
49
leggi di natura e alle consuetudini che, considerate come la costituzione del
regno, stabilivano i diritti dei sudditi. Nonostante questa fondamentale
distinzione, il costituzionalismo medievale non riuscì a prevedere un
rimedio legale contro l'abuso di potere e un'invasione nel campo della
iurisdictio da parte del Re71. Quando poi in età moderna si affermò il
principio di sovranità, l'antico equilibrio tra gubernaculum e iurisdictio si
incrinò sempre di più, finché con Hobbes non si arrivò alla vera e propria
teorizzazione di un potere legibus solutus. Anche Locke, che pure
propendeva per un governo misto in cui il supremo potere legislativo fosse
al servizio dei diritti naturali del cittadino, aveva prospettato come unico
rimedio contro un governo dispotico il diritto di resistenza del popolo
attraverso la rivoluzione.
Dunque alle varie teorie costituzionali finora era mancato un istituto, un
giudice super partes, che realizzasse fino in fondo quel governo limitato a
cui tutte anelavano. Come afferma il Matteucci,
la scoperta e la concreta realizzazione dei mezzi per rendere
efficace il principio del governo limitato è propria del
costituzionalismo moderno: ha una lenta incubazione
nell'Inghilterra del primo Seicento e la sua concreta attuazione in
America nell'età della Rivoluzione72.
Il primo ad attaccare duramente l'arbitrarietà della prerogativa regia fu,
come abbiamo visto in precedenza, il magistrato inglese Sir Edward Coke.
Deciso avversario del concetto di sovranità assoluta, Coke invocò più volte
l'autorità della Common Law come giudice degli atti parlamentari e regi.
Famosa è la sua affermazione riguardo al Bonham's case.
71 Cfr. CHARLES MCILWAIN, Costituzionalismo antico e moderno, cit., pp. 115-116.72 NICOLA MATTEUCCI, Lo Stato moderno, cit., p. 158.
50
E risulta dai nostri libri che in molti casi la common law regola e
controlla gli acts del Parlamento, e talvolta li giudica nulli e
privi di efficacia: giacché quando un act del Parlamento è
contrario al diritto e alla ragione comune, o ripugnante, o di
impossibile attuazione, la common law lo controllerà, e lo
giudicherà nullo e privo di efficacia73.
Quando James Otis, avvocato americano, pronunciò il lungo discorso
contro i Writes of assistance (1761)74 basò il suo attacco proprio sui principi
costituzionali a cui aveva dato voce Coke. Secondo Otis, la nuova legge
parlamentare che autorizzava le perquisizioni domiciliari nelle colonie per
limitare il contrabbando era il peggiore strumento del potere arbitrario, teso
a distruggere la libertà inglese e i fondamentali principi della sua legge.
Quasi ricalcando le parole di Coke, egli afferma che
una legge contraria alla costituzione è nulla; una legge contraria
all'equità naturale è nulla; se, in tal senso, dovesse essere fatta
una legge del parlamento, essa sarebbe nulla. Il potere
giudiziario dovrebbe far cadere in disuso tali leggi. La funzione
della common law è di controllare una legge del parlamento75.
Secondo l'Otis, dunque, le Corti giudiziarie americane dovevano ritenere
nulli, e di conseguenza invalidare gli atti del Parlamento contrari alla legge
fondamentale. Questa è la prima espressione del principio di
73 Edward Coke, Bonham's Case, citato in Ibidem.74 JAMES OTIS, Against Writes of Assistence, 1761
h ttp://constitution.org/bor/otis_against_writs.htm 75 James Otis, Writs of assistence's Speech, citato in NICOLA MATTEUCCI, Lo Stato moderno, cit., p.
159.51
costituzionalità delle leggi che diventerà la caratteristica peculiare del
costituzionalismo americano.
Molti storici fanno coincidere l'inizio della Rivoluzione americana proprio
con il 1761 e con l'arringa di James Otis, dalla quale in effetti prese il via un
periodo intenso di dibattiti costituzionali in cui furono coinvolte tutte le
colonie e che vide la diffusione dei numerosi pamphlet ed opuscoli che
prepararono il terreno alla formale Dichiarazione di Indipendenza del 1776.
Proprio in questi anni il principio di un controllo giudiziario sulle leggi del
Parlamento divenne patrimonio comune della cultura politica
prerivoluzionaria e venne ripreso in moltissimi libelli e documenti del
tempo. Un esempio su tutti è quello della Circular letter of Massachusetts
del 1768 indirizzata alle assemblee delle altre dodici colonie. La lettera,
redatta da Samuel Adams su istruzione di un comitato dell'Assemblea
legislativa del Massachusetts, chiedeva il sostegno delle altre colonie nella
lotta contro la legge Townshend dell'anno precedente. Nella lettera si
afferma che «in tutti gli stati liberi la costituzione è fissa, e, poiché l'organo
legislativo supremo deriva il proprio potere e la propria autorità dalla
costituzione, non può oltrepassare i limiti senza distruggere le proprie
fondamenta76».
Dunque negli anni precedenti la Rivoluzione si assiste ad una rapida
maturazione del pensiero costituzionale americano che, dalla fiducia nelle
vecchie Carte coloniali, passa alla rivendicazione del diritto ad una
rappresentanza per la tassazione, giungendo poi a respingere quelle leggi
percepite come contrarie alle leggi naturali e allo stesso Diritto inglese. Da
qui all'appello della Dichiarazione d'Indipendenza in nome dei diritti
inalienabili dell'uomo il passo fu breve.
Come abbiamo detto, il principio dell'Otis secondo cui le leggi del
76 Circular letter of Massachusetts in La formazione degli Stati Uniti d'America, cit., vol. I, p. 281.
52
Parlamento dovevano essere sottoposte al vaglio delle Corti giudiziarie
americane, si pose subito a fondamento delle proteste coloniali contro la
madrepatria.
La Rivoluzione americana, sul piano costituzionale, rappresentò
infatti il conflitto fra due diverse concezioni del potere
legislativo, fra quella propugnata dal Coke e dal Locke, del
legislativo limitato, e quella, teorizzata dall'Hobbes e dal
Blackstone, del legislativo legibus solutus; o, se si vuole, fra la
medievale teoria della supremazia della legge e la moderna
teoria della sovranità77.
Dunque dal retroterra culturale della lotta costituzionale contro la
madrepatria nasce l'esigenza di individuare, anche a livello istituzionale, un
adeguato freno al potere legislativo, affinché in America fosse stabilita la
supremazia della legge, e non degli uomini. Bisognava trovare quel
“giudice in terra” che era mancato alla teoria politica di Locke. E in
America un istituto del genere era assolutamente necessario non solo per
garantire i diritti individuali dal pericoloso potere legislativo, ma anche per
dirimere gli eventuali contrasti che sarebbero intercorsi tra gli Stati Membri
e lo Stato federale.
All'interno della Costituzione federale però non fu prevista esplicitamente
l'attuazione di questo principio, anche se c'erano già le premesse per una
sua ufficializzazione. L'articolo VI infatti, dopo aver dichiarato che «la
Costituzione e le leggi degli Stati Uniti emanate in conformità ad essa»
sono «la legge suprema del paese78», aggiunge una clausola fondamentale:
77 NICOLA MATTEUCCI, La Rivoluzione americana, cit., pp. 180-181.78 Per queste due citazioni si veda Costituzione degli Stati Uniti in La formazione degli Stati
Uniti d'America, cit., vol. II, art. VI, p. 494.53
ed i giudici di ciascuno Stato saranno tenuti ad applicarli nelle
loro decisioni, nonostante qualsiasi disposizione contraria
contenuta nelle Costituzioni o nelle leggi dei rispettivi Stati79.
Molti storici intravedono già in queste poche righe l'affermazione implicita
del principio di costituzionalità delle leggi. Infatti se i giudici sono obbligati
dal loro stesso ufficio a conformarsi al principio della superiorità della
Costituzione, ne deriva che essi devono far valere la legge suprema del
paese anche a discapito di quella dei singoli Stati e dello stesso Congresso. I
giudici quindi hanno il potere e il dovere di controllare la conformità delle
leggi (statali e federali) alla Costituzione, attuando così un'efficace tutela
giuridica contro quel potere che violi il diritto.
Si tratta, a ben guardare, di una scelta quasi obbligata all'interno
della costituzione repubblicana, strettamente funzionale a far sì
che nel tempo i rappresentanti del popolo non finiscano per
l'appunto col confondere la loro volontà con la legge
fondamentale, a ricordare che quella legge sovrasta loro come
qualsivoglia altro potere costituito80.
Questa è la base su cui Hamilton fondò la sua difesa di questo
rivoluzionario principio costituzionale. Infatti, prima ancora che nella
Costituzione, è nel Federalist che il nuovo ruolo del Giudiziario viene
teorizzato ed affermato con forza. Secondo Hamilton, le Corti di Giustizia
devo assolutamente essere indipendenti proprio perchè il loro compito è
quello79 Ibidem.80 MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., p. 107.
54
di dichiarare nulli tutti gli atti contrari all'evidente intendimento
della Costituzione. Senza di ciò tutte le riserve di particolari
diritti o privilegi non avrebbero più alcun valore. […] Pertanto,
nessun atto legislativo contrario alla Costituzione può essere
valido. Il negarlo varrebbe ad affermare che colui che è delegato
a determinate funzioni ha maggiore importanza di chi lo delega,
che il servitore è al di sopra del padrone, che i rappresentanti del
popolo sono superiori al popolo81.
Il potere giudiziario dunque serve anche a mantenere quella separazione
fondamentale tra potere costituente e poteri costituiti. Vedremo invece come
nella Francia postrivoluzionaria il Legislativo ed i suoi rappresentanti
tenderanno continuamente a prevaricare la Costituzione e ad imporsi come
diretti interpreti della volontà del popolo sovrano.
In risposta a chi vedeva in questo nuovo ruolo del Giudiziario
l'affermazione di una sovranità assoluta dei giudici, Hamilton risponde:
Né, d'altronde, una conclusione siffatta implica comunque una
superiorità del potere giudiziario rispetto a quello legislativo.
Essa presuppone soltanto che i poteri del popolo siano superiori
ad ambedue; e che laddove la volontà del Legislativo,
manifestatasi nelle leggi, dovesse contrastare quella del popolo,
espressa nella Costituzione, i giudici dovranno essere
ossequienti a quest'ultima piuttosto che alla prima82.
In questo modo, secondo McIlwain e Matteucci, il costituzionalismo
81 ALEXANDER HAMILTON, JOHN JAY, JAMES MADISON, op. cit., n. 78, pp. 532-533.82 ALEXANDER HAMILTON, JOHN JAY, JAMES MADISON, op. cit., n. 78, pp. 532-533.
55
americano ha risolto il grande difetto del principio medievale del governo
limitato. La sfera della iurisdictio ora ha a disposizione un mezzo legale, le
Corti giudiziarie, attraverso cui respingere un eventuale abuso di potere del
gubernaculum.
Come abbiamo notato anche prima, il controllo di costituzionalità delle
leggi, o judicial review, non trovò subito una istituzionalizzazione nel testo
della Costituzione federale. Fu la stessa attività della Corte Suprema a dare
sostanza e concretezza a questo principio che si affermò esplicitamente solo
nel 1803. Quell'anno fu discussa la nota causa Marbury contro Madison,
nella quale il presidente della Corte Suprema John Marshall indicò
esplicitamente il compito della Corte Suprema e le regole del suo operare:
I poteri del legislativo sono definiti e limitati; e affinché questi
limiti non possano essere male interpretati o dimenticati, la
Costituzione è scritta. È espresso compito del potere giudiziario
dire quale è la legge. Coloro che applicano la regola ai casi
particolari devono necessariamente esporre e interpretare questa
regola. Se due leggi sono in contrasto fra loro, la Corte deve
determinare il campo di applicazione di ciascuna. Così, se una
legge è in contrasto con la Costituzione, la Corte deve
determinare quale di queste regole in contrasto governa il caso.
Questa è la vera essenza della funzione giudiziaria. […] Così la
particolare fraseologia della Costituzione degli Stati Uniti
conferma e rafforza il principio, che si suppone sia essenziale a
tutte le costituzioni scritte, che una legge contraria alla
costituzione è nulla, e che le Corti, come gli altri rami del
governo, sono vincolate da questo strumento83.
83 John Marshall, Causa Marbury vs Madison, citato in NICOLA MATTEUCCI, Lo Stato moderno, cit., p. 160.
56
La revisione delle leggi attraverso l'organo giudiziario si era
definitivamente affermata. Le Corti giudiziarie da quel momento assunsero
esplicitamente il ruolo di custodi ed interpreti della Costituzione scritta, alla
quale dovevano obbedire in ogni caso. Come aveva assicurato Paine, nel
suo Common sense, «in America la legge è il re84».
Il controllo di costituzionalità delle leggi, dunque, è certamente l'elemento
essenziale e peculiare del costituzionalismo americano85.
e) DICHIARAZIONE DEI DIRITTI
Abbiamo più volte accennato ai diritti dei cittadini che la Costituzione
americana assicura e protegge. Questi sono contenuti in una Dichiarazione
dei diritti, inizialmente non contemplata all'interno della Costituzione
federale e aggiunta in seguito con i dieci emendamenti.
La Dichiarazione dei diritti è l'ultimo elemento che Matteucci individua
come specifico del modello costituzionale moderno. Per ora basterà
accennare al fatto che tutte le nuove Costituzioni dell'età moderna, a partire
da quelle degli Stati americani, furono precedute o seguite da una
Declaration o Bill of Rights che ne rappresentò la parte forte, il nucleo
centrale.
Dalle diverse situazioni storiche e politiche nacquero le diverse modalità
84 THOMAS PAINE, Common sense, 1776, trad. it. Senso Comune, Macerata, Liberilibri, 2005, p. 49.85 Per un approfondimenti sul principio di costituzionalità delle leggi e sulle sue origini cfr.
STEPHEN M. GRIFFIN, Il costituzionalismo americano, cit., pp. 161-179; MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzionalismo, cit., pp. 32-34; id, Costituzione, cit., pp.106-109.
57
con cui questo documento fu steso ed accostato alla Costituzione; diversi
furono anche i diritti qui formulati. In ogni caso, però, la comparsa di un
simile documento rappresentò una novità assoluta nella storia del
costituzionalismo, e non solo di questo.
Nonostante le condizioni e i tempi differenti in cui le tredici colonie si
dettero delle nuove Costituzioni, si può certamente identificare un punto di
fuga unitario all'interno del quale osservare le esperienze costituzionali di
tutti gli Stati americani. Abbiamo visto infatti che, secondo alcuni storici tra
cui Matteucci, Fioravanti e Bonazzi, emergono alcune caratteristiche
comuni a tutte le varie Costituzioni e ai processi storici che le hanno
generate. Innanzitutto, ogni nuova Costituzione fu un documento scritto
contenente una dichiarazione dei diritti dei cittadini e una organizzazione
dei poteri basata sulla separazione tra Legislativo ed Esecutivo e sulla
fondamentale indipendenza del Giudiziario da entrambi i poteri. Altra
caratteristica comune fu il ricorso ad un organo straordinario, dotato del
potere costituente del popolo e istituito al solo scopo di redigere la
Costituzione stessa. Si era raggiunta così la distinzione fondamentale tra
Costituzione e legge ordinaria. Conseguenza di questa nuova
consapevolezza fu l'indicazione di un iter speciale per la revisione
costituzionale che non poteva essere affidata ad un normale organo
legislativo.
Stando a Matteucci, dunque, le caratteristiche comuni delle varie
costituzioni americane corrispondono precisamente con i principali
elementi innovativi del costituzionalismo moderno che segnarono una netta
cesura con le teorie costituzionali precedenti. A questi va aggiunto il
principio di costituzionalità delle leggi, già implicitamente affermato nell'
art. VI della Costituzione federale, ma ufficialmente istituzionalizzato solo
nel 1803 dal giudice John Marshall.
58
4. L'AMERICA NEL DIBATTITO DELLA FRANCIA PRERIVOLUZIONARIA
L'esperienza politico-costituzionale americana produsse una forte eco in
Europa e soprattutto in Francia. Qui da tempo la crisi della monarchia era
una realtà evidente a tutti e negli anni Settanta del XVIII secolo vari
esponenti politici, tra cui i ministri Maupeou, Turgot e Necker, avevano
cercato di attuare nuove misure finanziarie, sociali e amministrative nel
tentativo di risanare un sistema istituzionale e sociale ormai agonizzante. La
tensione tra “vecchio” e “nuovo”, il senso di rottura e la sete di novità che il
Movimento dei lumi aveva contribuito a diffondere nella società francese,
animavano l'acceso dibattito prerivoluzionario86. I numerosissimi cahiers
redatti prima della Rivoluzione diedero voce e corpo alle istanze
riformatrici e alle critiche radicali all'Ancien régime che accomunavano
ormai il clero, la nobiltà e l'eterogeneo Terzo stato87. Inoltre, l'attività
pubblicistica dei pensatori politici veri e propri rivelava un continuo, quasi
affannoso tentativo di elaborare nuovi principi politici e sociali attraverso i
quali la nazione potesse risorgere.
In questo vivace contesto culturale i francesi prestarono continuamente
attenzione agli avvenimenti politici che, dall'altra parte dell'Atlantico,
stavano trasformando le tredici colonie inglesi in una nuova entità politica,
gli Stati Uniti d'America. Oltre agli sviluppi della guerra tra le colonie e la
madrepatria, in Francia erano conosciutissime le opere protagoniste del
dibattito politico americano e i documenti costituzionali di cui i nuovi Stati
86 Si veda FURIO DIAZ, Dal movimento dei lumi al movimento dei popoli: l'Europa tra illuminismo e rivoluzione, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 59-105, 239-313.
87 Per quanto riguarda le principali proposte di riforme contenute nei cahiers de doléance si veda ARMANDO SAITTA, Costituenti e costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875), Milano, Giuffrè Editore, 1975, pp. 3-8, 99-102; FURIO DIAZ, op. cit., pp. 549-572.
59
si stavano dotando. Già prima della Dichiarazione d'Indipendenza, la
società americana e le sue principali istituzioni erano state al centro
dell'attenzione dei riformatori francesi: «l'America non divenne oggetto di
osservazioni puramente accademiche, bensì costituì per essi il termine di
confronto, lo sfondo sul quale proiettare tutte le loro esigenze di riforma del
sistema assolutista88». La “questione americana” interessò i principali
esponenti del dibattito politico francese tra cui Turgot, l'abate Raynal, il
marchese di Chastellux, l'abate Mably, il conte di Condorcet e Brissot.
Esponente di spicco dell'amministrazione francese, Turgot si dimostrò fin
da subito interessato alle vicende nordamericane. Famosa è la sua lettera del
1778 a Richard Price – uomo politico inglese incaricato dei rapporti con le
colonie –, lettera nella quale Turgot affrontava l'analisi della società
americana e delle sue costituzioni. Riguardo alla questione religiosa, egli
sosteneva che in America non erano state realizzate la libertà e la tolleranza
religiosa tanto decantate, poichè la maggior parte degli Stati richiedeva una
professione di fede per entrare a far parte del corpo dei Rappresentanti. Un
altro difetto della società americana era la mancanza di un'adeguata
distinzione tra proprietari (unici veri cittadini dello Stato) e non proprietari;
al tempo stesso però Turgot auspicava il superamento delle più gravi
diseguaglianze economiche. Dal punto di vista politico, egli prendeva
posizione a favore dell'indipendenza delle colonie, definendola un fatto
positivo per l'intera umanità. Egli restava comunque scettico riguardo al
futuro politico dell'America poiché considerava pericolose la divisione dei
poteri e la struttura federativa degli Stati Uniti. In pieno accordo con la
tradizione del pensiero politico francese e in sintonia con le riflessioni di
molti altri riformatori francesi, Turgot temeva che senza la presenza di un
forte potere centrale l'America sarebbe caduta in preda all'anarchia89.88 ROBERTO STURLA, Democrazia e uguaglianza in America, cit., p. 13; ROBERTO MARTUCCI, Stati
Uniti e Francia, cit., pp. 43-46.89 Uomo politico, economista fisiocratico e principale protagonista dei tentativi di riforma della
Francia assolutista, Turgot fu un attento osservatore degli avvenimenti americani. Per un 60
Per quanto riguarda l'abbé Raynal, esponente di spicco dell'illuminismo
francese, egli raggiunse il culmine della sua fama con la pubblicazione
dell'Histoire philosophique et politique des éstablissements et du commerce
des Européens dans les deux Indes (1770), nella quale assume una certa
importanza l'analisi delle colonie inglesi del Nord America. Raynal era
particolarmente colpito dalla morigeratezza, dal rifiuto del lusso e della
corruzione che secondo lui caratterizzavano lo stile di vita nordamericano e
di cui i quaccheri ne erano l'esempio per eccellenza. Lo scrittore francese
prevedeva però una data di scadenza per questo costume di vita semplice e
parsimonioso che ancora per poco sarebbe rimasto immune dalle
conseguenze negative dello sviluppo del commercio e delle ricchezze.
Come antidoto contro l'inevitabile involuzione dei costumi, dunque, l'abbé
esortava gli americani a curare soprattutto l'educazione delle nuove
generazioni. Ambivalente è la posizione di Raynal rispetto al problema
della proprietà e dell'uguaglianza. Se in America sembrava vigere un
diffuso benessere legato alla saggia divisione delle terre, in realtà per
Raynal esisteva solo un'uguaglianza naturale dei diritti, mentre riteneva
irrealizzabile un'uguaglianza di fatto delle fortune e delle condizioni. Una
certa ambiguità si riscontra anche nell'analisi della situazione politica delle
colonie: se, da una parte Raynal giudicava ragionevoli le proteste dei coloni
nei confronti degli oppressori inglesi, dall'altra egli riteneva ancora
possibile e altrettanto ragionevole una ricomposizione del conflitto, senza
dover giungere a drastiche rotture. Riguardo alla forma di governo da
adottare nelle colonie, nella prima edizione dell'opera Raynal si definiva
decisamente ostile al sistema federativo (visto come causa di ulteriori
divisioni), mentre nella terza edizione egli elogiava la saggezza della scelta
federale operata dagli americani, indicando comunque la persistenza di
approfondimento ulteriore sulle riflessioni americane di Turgot si veda ROBERTO STURLA, Democrazia e uguaglianza in America, cit., pp. 85-96; ROBERTO MARTUCCI, Stati Uniti e Francia, cit., pp. 63-67.
61
alcuni punti deboli. Nelle successive edizioni dell'Histoire, comunque,
Raynal tornò sulle sue posizioni ritrattando i giudizi positivi
sull'indipendenza delle colonie, ma restando fedele all'esaltazione del
principio di libertà del genere umano90.
Il marchese di Chastellux, philosophe deista di stampo volteriano, nel 1772
aveva pubblicato De la Felicité publique, opera in cui sosteneva che il
compito del governo fosse quello di diminuire la sproporzione tra le classi
di cittadini al fine di raggiungere la felicità per il più gran numero di
persone. La sua opera più importante dedicata all'America è Voyages dans
l'Amerique Septentrionale dans les années 1780, 1781, 1782, composta in
occasione del suo viaggio nel paese e pubblicata per la prima volta nel
1788. Anch'egli affronta prima di tutto la questione religiosa e, se da una
parte afferma di apprezzare la tolleranza e la libertà presenti in America,
dall'altra critica ampiamente la setta dei quaccheri, i loro costumi troppo
austeri e il loro tono gesuitico. Chastellux non apprezza lo stile di vita
troppo severo praticato dagli americani i quali, secondo il marchese, non si
dilettano mai in giochi e danze, oltretutto rispettando una fin troppo rigida
separazione tra i sessi. In linea con i suoi contemporanei, Chastellux
considerava lo sviluppo delle arti e della scienza, insieme all'attenzione per
l'educazione, le premesse indispensabili per costruire una fiorente civiltà.
Riconosciuto il sostanziale stato di uguaglianza che caratterizzava la realtà
americana, anche Chastellux sosteneva che, con la diminuzione della terra
libera e l'accrescimento delle disuguaglianze sociali, l'attuale condizione
favorevole non sarebbe durata a lungo e che l'America avrebbe finito per
assomigliare pericolosamente a Francia e Inghilterra. Riguardo al sistema
politico americano, già nella sua De la Felicité publique del 1772, il
marchese si era schierato a favore dell'istituzione di un governo misto,
simile a quello inglese, in cui i poteri fossero divisi e bilanciati. 90 Per un approfondimento si veda ROBERTO STURLA, Democrazia e uguaglianza in America, cit.,
pp. 17-30.62
Analizzando le costituzioni americane in una nota lettera all'amico
Madison, Chastellux esprimeva tutto il suo pessimismo nei confronti del
futuro politico degli Stati Uniti che a lui sembravano costantemente in
bilico tra i due poli estremi dell'aristocrazia e dell'anarchia91.
Arrivando al “vecchio” philosophe Mably, il suo pensiero si può definire
uno dei più problematici tra quelli analizzati in questa sede. Deciso
avversario della scuola fisiocratica, egli era sensibilmente attento al
problema della disuguaglianza sociale ed economica e credeva fermamente
in una ideale uguaglianza assoluta da raggiungere con la comunione dei
beni. Nel De la Legislation ou principes des lois del 1776, analizzando le
tribù degli indiani d'America e la setta dei quaccheri, esaltò dei primi, la
comunanza dei beni dei primi e dei secondi, il sistema di uguaglianza.
Nell'opera del 1779, Notre gloire ou nos rêves, Mably mostra di non
condividere il giudizio positivo sulla libertà religiosa che ha caratterizzato
l'america prerivoluzionaria e in un'opera successiva (Observations sur les
lois et le gouvernement des Etats-Unis d'Amerique, 1783) vede nel
moltiplicarsi delle sette il pericolo di ulteriori lotte intestine fomentate dal
fanatismo religioso. Oltre a questo pessimismo riguardo all'evoluzione
morale della società americana, Mably si dimostra scettico anche nei
confronti della libertà di stampa estesa senza discrezione a tutti i cittadini:
secondo il philosophe questi, seppur giusti principi, non erano adeguati ad
una società ancora non pienamente sviluppata. Per quanto riguarda il Mably
pensatore politico, anche nei suoi scritti americani risulta evidente la sua
vena antidispotica. Fin da subito sostenne la ribellione dei coloni americani
e la successiva scelta del governo federale. Guardò con ammirazione allo
stretto rapporto esistente in America tra politica e morale, da lui intravisto
soprattutto nella non ereditarietà e nella rotazione delle cariche. Come molti
altri pensatori francesi, però, Mably prevedeva pessimisticamente una 91 Per approfondire il pensiero del marchese Chastellux si rimanda a ROBERTO STURLA,
Democrazia e uguaglianza in America, cit., pp. 37-49.63
involuzione aristocratica o democratica del sistema politico americano92.
Anche Condorcet si interessò molto alla realtà politico-sociale del Nord
America, nonostante le informazioni che aveva fossero tutte di seconda
mano, perché apprese dalle pubblicazioni francesi del tempo. Nel De
l'influence de la révolution d'Amerique sur l'Europe del 1786 il philosophe
ammirava il principio egualitario che pervadeva tutta la società americana:
qui infatti anche il più povero era messo nelle condizioni di poter divenire
un piccolo proprietario in grado di esercitare il diritto naturale di proprietà.
Anche se Condorcet non usa questi termini, si può dire che stia parlando di
una forma di uguaglianza delle condizioni presente in America. Inoltre egli
considerava positivamente la presenza della libertà religiosa, di stampa e di
associazione. Un altro aspetto notato brillantemente dal philosophe era
l'assenza sul continente americano di una vera e propria classe aristocratica,
anche se pure lui temeva una possibile involuzione aristocratica, soprattutto
a causa della divisione in due rami del corpo legislativo. A questo aspetto
dell'assetto costituzionale americano il philosophe si dichiarava
profondamente avverso, perché ne sarebbe certamente conseguita la
formazione di partiti in lotta fra di loro e lontani dalla ricerca del benessere
pubblico. L'opposizione di Condorcet alla Costituzione degli Stati Uniti,
infatti, fu dovuta principalmente alla sua contrarietà al bicameralismo.
Alcune importanti riflessioni sulle questioni politiche americane erano già
apparse, anche se spesso in modo indiretto, in Vie de Turgot (1785), opera
dedicata al suo maestro. Qui il marchese si allineava a Turgot nel giudizio
positivo sul sistema federativo attuato in America a cui entrambi
guardavano come un possibile modello di riforma per la Francia del tempo;
il marchese inoltre riteneva necessario, per il perfetto funzionamento di una
repubblica federale, la più assoluta libertà economica e di commercio.
Condorcet, che considerava l'America come un paese dove i principali 92 Per il pensiero di Mably si veda ROBERTO STURLA, Democrazia e uguaglianza in America, cit.,
pp. 55-75; ROBERTO MARTUCCI, Stati Uniti e Francia, cit., pp. 63-67.64
diritti umani erano rispettati, elencava tra questi anche il diritto di
partecipare in modo diretto o attraverso rappresentanti alla formazione delle
leggi. Dunque in America la maggior parte dei diritti dell'uomo erano già
rispettati ed esercitati93.
Brissot de Warville è stato probabilmente l'intellettuale francese più aperto e
disposto a comprendere la diversità americana. Sempre impegnato nel
difendere i diritti delle donne, dei negri e degli ebrei, Brissot si distinse per
la tenace difesa dei quaccheri in nome della diversità religiosa. Con il suo
Examen critique des Voyages de M. le Marquis de Chastellux (1786) egli si
impegnò a rispondere all'accusa di fanatismo religioso e di frode che
Chastellux aveva rivolto ai quaccheri. Brissot infatti era affascinato da
questa setta, dal suo spirito di libertà e di tolleranza religiosa, dal suo stile
di vita che insegnava l'uguaglianza delle condizioni. In un'opera scritta
insieme a Clavière (De la France et des Etats-Unis del 1787), egli
dichiarava la sua fiducia nel futuro dell'America che, grazie al suo spirito
religioso, sarebbe rimasta immune da lusso e corruzione. Sempre in
quest'opera i due philosophes chiarivano che il termine “anarchia” era
totalmente inadeguato, se accostato alla realtà americana: negli Stati Uniti,
infatti, la libertà era fondata sulle leggi ed il potere era chiaramente
identificabile. Per studiare più a fondo questa nuova società da cui si
aspettava tanto, nel 1788 Brissot si recò in America, viaggio da cui nacque
il Nouveau Voyage dans les Etats-Unis de l'Amerique Septentrionale fait en
1788. In quest'opera l'autore approfondisce i temi affrontati in precedenza,
dimostrando di aver compreso le caratteristiche peculiari del sistema
politico-costituzionale americano. Secondo Brissot lo spirito di uguaglianza
e democrazia era parte integrante dello stesso costume sociale americano,
tanto che si poteva cogliere anche negli atteggiamenti di vita quotidiana dei
93 Per un approfondimento sugli scritti americani di Condorcet si veda ROBERTO STURLA, Democrazia e uguaglianza in America, cit., pp. 101-123; ROBERTO MARTUCCI, Stati Uniti e Francia, cit., pp. 67-78.
65
coloni (durante un viaggio in carrozza, il membro del Congresso viaggiava
e l'artigiano discorrevano tranquillamente assieme). L'uguaglianza naturale
e sacra dell'uomo era poi alla base della stessa Costituzione americana.
Guardando all'America e alle sue istituzioni Brissot elaborò un proprio
«modello teorico adattabile alle diverse circostanze94»: studiando le sue
costituzioni, infatti, cercò di «cogliere, nel concreto operare di queste, i
nessi capaci di legare i principi di libertà alla loro concreta attuazione95» per
«le bonheur de la France96». Inoltre egli aveva iniziato a comprendere il
concetto del potere costituente come potere proprio del popolo e, sebbene
decisamente ostile ad ogni forma di democrazia diretta, aveva di fatto
riconosciuto la bontà di un sistema di democrazia rappresentativa come
quello che gli Stati americani avevano formato. In conclusione, Brissot si fu
un osservatore attento e sollecito nella comprensione di una realtà
profondamente diversa da quella francese97.
Accanto ai nomi di questi eminenti intellettuali francesi è da inserire a
pieno titolo quello del fiorentino Filippo Mazzei il quale ebbe un ruolo
chiave all'interno del movimento di internazionalizzazione e diffusione
delle idee americane. Trasferitosi in Virginia nel 1773, egli entrò in rapporto
con gli esponenti politici più autorevoli della colonia e, durante la
Rivoluzione, si propose come interprete delle vicende americane per il
pubblico non solo toscano, ma europeo. Egli infatti entrò in contatto con i
principali protagonisti del dibattito francese sull'America rivoluzionaria, tra
cui Mirabeau, Condorcet, Morellet, Dupont de Nemours. Il suo intento
esplicito era quello di «spiegare ai francesi e agli europei la diversità
94 FERNANDA MAZZANTI PEPE, Il modello americano in Brissot, in Dottrine e istituzioni della rappresentanza (XVII - XIX secolo), a cura di Carlo Carini, Firenze, CET, 1990, pp. 129.
95 Ibidem. Dalla Rivoluzione americana Brissot elaborò ed acquisì nuove idee, tra cui in particolare il concetto di costituzione e di potere costituente.
96 Brissot, De la France et des Etats-Unis, 1787, citato in FERNANDA MAZZANTI PEPE, Il modello americano in Brissot, cit., p. 128.
97 Per ulteriori informazioni sulle opere americane di Brissot si veda ROBERTO STURLA, Democrazia e uguaglianza in America, cit., pp. 133-142, 173-184; FERNANDA MAZZANTI PEPE, Il modello americano in Brissot, cit..
66
americana […] ma per fare questo si dovevano preliminarmente demolire
tutte quelle visioni mitiche ed irreali che, attraverso Raynal e Brissot,
avevano avvolto l'America in una sorta di leggenda98». Nelle sue
Recherches Historiques et Politiques sur l'Amérique Septentrionale (1788)
Mazzei si scagliò principalmente contro le considerazioni sociali e politiche
dell'abate Mably cercando di dimostrare «l'inadeguatezza degli schemi
concettuali del “vecchio” philosophe, rispetto alla nuova realtà sociale
d'Oltreoceano99». Dovendo inquadrare il ruolo di Mazzei all'interno del
dibattito costituzionale francese sulle novità d'oltreoceano, si può
certamente affermare che egli contribuì a diffondere un'immagine più
fedele, meno idealizzata della realtà sociale e politica americana,
difendendo sia le libertà e i diritti, sia le istituzioni democratiche che ne
costituivano le peculiarità100.
Abbiamo tracciato quindi un rapido affresco del dibattito sull'America che
coinvolse i principali esponenti del mondo culturale della Francia
prerivoluzionaria. Le loro riflessioni si concentrarono soprattutto sulle
caratteristiche proprie della società americana come la libertà religiosa, la
libertà di stampa e di associazione, l'eguaglianza delle condizioni, la
diffusione della proprietà. Tutti ne apprezzavano la sostanziale
morigeratezza dei costumi ed esortavano gli americani a curare l'educazione
delle nuove generazioni come baluardo contro il lusso (conseguenza dello
sviluppo del commercio) e la corruzione, le due malattie che da tempo
affliggevano la vecchia società europea. Per quanto riguarda le
considerazioni sulla politica americana, i riformatori francesi si mostrarono
98 ROBERTO STURLA, Democrazia e uguaglianza in America, cit., p. 147.99 Ivi, p. 152.100 Medico, viaggiatore e memorialista, Filippo Mazzei fu anche amico personale di Benjamin
Franklin, Thomas Jefferson e Condorcet. Partecipò attivamente alla guerra d'indipendenza americana come agente mediatore all'acquisto di armi per la Virginia, della quale poi fu rappresentante in Francia prima della Rivoluzione. Per una biografia plitica e intellettuale di Filippo Mazzei, si veda EDOARDO TORTAROLO, Illuminismo e rivoluzioni. Biografia politica di Filippo Mazzei, Milano, Franco Angeli, 1986. Si veda anche ROBERTO STURLA, Democrazia e uguaglianza in America, cit., pp. 147-164.
67
decisamente più attaccati agli schemi interpretativi usati per le società
europee d'Ancien régime e questo, molte volte, li allontanò da una reale
comprensione della novità del sistema americano. Comune, infatti, era lo
scetticismo riguardo al futuro politico degli Stati Uniti; Raynal, Mably e
Turgot temevano che il sistema politico americano sarebbe potuto scadere
in una democrazia diretta, in un governo aristocratico o, nel peggiore dei
casi, nell'anarchia.
Nonostante questi dubbi (comprensibili se si guarda alla storia e alla
tradizione del pensiero politico francese), furono Condorcet e Brissot ad
avvicinarsi maggiormente alla comprensione delle principali novità
americane, come per esempio la libertà politica, la sovranità attribuita alla
nazione, la scelta del sistema federale101.
Dunque i principali protagonisti del dibattito politico della Francia
prerivoluzionaria guardarono con estremo interesse ed ammirazione alla
nascita – in un territorio fino a poco tempo prima ritenuto selvaggio e
retrogrado – di questa nuova, straordinaria entità statale e sociale. Con la
Dichiarazione d'Indipendenza e l'inizio del processo di
costituzionalizzazione dei vari Stati, l'interesse francese crebbe
esponenzialmente. Quella in cui si stavano cimentando i costituenti
americani, infatti, era un'impresa inaudita: dopo aver reciso i legami con la
Gran Bretagna essi si accingevano a creare uno Stato ex novo fondato su
principi e diritti universali, dunque validi per qualsiasi popolo, in qualsiasi
contesto. Inoltre, grande fu l'impatto e il fascino provocato nei philosophes
dalla visione dei concreti istituti legislativi con cui gli americani tradussero
i principi che il pensiero politico europeo aveva finora affermato solo in
linea teorica, senza riuscire a realizzarli poi nella pratica.
Così, come ricorda Martucci, «in un crescendo continuo dal 1781 al 1793 si 101 Sull'influenza del “modello americano” sul pensiero di Condorcet e Brissot si veda GABRIEL
MAGRIN, La repubblica dei moderni. Diritti e democrazia nel liberalismo rivoluzionario , Milano, FrancoAngeli, 2007, pp. 53-61.
68
assiste ad una vera e propria inflazione di temi e documenti americani in
lingua francese102», pubblicati e diffusi sia a scopo informativo, sia come
contributo al dibattito politico in atto. Di fondamentale importanza furono
le tempestive traduzioni dei testi costituzionali americani che, grazie a La
Rochefoucauld, Desmeuniers e Mazzei, già dal 1778 furono a disposizione
del pubblico francese. In un decennio il vivace mercato dell'editoria
francese diede alle stampe un cospicuo numero di opere “americane”, tra
cui (oltre a quelle opere già citate di Mably, Raynal, Condorcet, Brissot e
Chastellux) segnaliamo: i tre volumi di Diderot sulla guerra americana
(1781); la traduzione di Morellet delle Notes on the State of Virginia di
Jefferson (1786); le Considérations sur l'Ordre de Cincinnatus di Mirabeau
(1784)103; i saggi americani di Desmeuniers nei quattro volumi di Économie
Politique Ɛ Diplomatique dell'Encyclopédie Métodique edita da Panckoucke
(1786-1788); le Recherches historiques et politiques sur les Etats-Unis del
fiorentino Filippo Mazzei (1788); l'Examen du gouvernement d'Angleterre
comparé aux Constitutions des Etats-Unis, probabilmente scritto da John
Stevens e tradotto su iniziativa di Condorcet e Du Pont de Nemours (1789);
la Défense des Constitutions Américaines (1792) pubblicata da John Adams
per rispondere alle affermazioni di Mably e Turgot contro la balance of
powers; infine, sempre nel 1792, a soli quattro anni di distanza dagli
originali, la traduzione dei saggi del Federalist, ad opera di Trudaine de La
Sablièr. Le Constitutions degli Stati americani, dunque, contribuirono «a
diffondere, in una misura oggi inimmaginabile, i temi della riforma dello
Stato e della legittimazione elettiva di poteri pubblici, definiti e regolati da
un atto legislativo di natura particolare e sovraordinata, detto “Costituzione
102 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 153. Ricordiamo, inoltre, che il Common sense di Paine, opera che ebbe un ruolo fondamentale nel dibattito politico americano, fu tradotto in francese subito qualche mese dopo la sua pubblicazione in America nel 1776.
103 L'opera stesa dall'Atelier Mirabeau (Chamfort, Target e Brissot) era stata richiesta da Benjamin Franklin, uno dei primi a criticare la Società dei Cincinnati, vista come un ordine nobiliare, dai titoli ereditari e fortemente legato alla tradizione aristocratica inglese.
69
di Governo”104».
Pertanto si può certamente affermare che i deputati dell'Assemblea
nazionale e, più in generale, i protagonisti del processo costituzionale
francese si erano formati, nei dieci anni precedenti la Rivoluzione, anche
attraverso lo studio dei documenti americani. Se negli atti parlamentari del
dibattito costituzionale francese i riferimenti formali all'America sono
relativamente limitati, proprio l'estremo interesse e la dettagliata
conoscenza della realtà politica americana dimostrati dagli uomini politici
francesi già prima del 1789 ci permettono di affermare che Condorcet,
Duport, Mirabeau, Mounier, Champion de Cicé, Barnave, Thouret, Barrére,
Saint-Étienne e gli altri costituenti francesi ebbero sempre presente il
modello costituzionale inaugurato dai loro colleghi di Philadelphia.
Facendo propria quest'ottica risulta evidente che ogni volta che
nelle assemblee della Rivoluzione ci si sia misurati con i
problemi del razionale assetto dei poteri pubblici, del controllo
sul loro operato, della loro investitura elettorale, dell'autonomia
o subordinazione dell'esecutivo, della centralità del Legislativo,
in quei rapporti o progetti si finiva sempre col fare i conti con le
soluzioni istituzionali adottate oltre Atlantico105.
104 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 9.105 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 165. Si veda anche ROBERTO MARTUCCI,
Stati Uniti e Francia, cit., pp. 43-78.70
5. LA COSTITUZIONE FRANCESE DEL 1791 E LE DIFFERENZE COL MODELLO AMERICANO
Se dunque le vicende americane erano ben note ai deputati della
Costituente, è possibile rintracciare un'eredità costituzionale americana
all'interno della prima Costituzione francese approvata il 3 settembre 1791?
La questione può essere posta anche in altri termini: quali elementi del
modello costituzionale americano i costituenti francesi accettarono e quali
invece respinsero?
Per un'indagine di questo tipo è necessario fermare l'attenzione in primo
luogo sul diverso contesto storico-culturale dei due paesi e, nello specifico,
sulla natura differente delle due Rivoluzioni: questi infatti sono i primi
fattori che influenzarono la recezione e l'interpretazione francese
dell'esperienza costituzionale americana.
La Rivoluzione americana era certamente partita dall'esigenza di una rottura
politica con l'Inghilterra, ma il processo di fondazione del nuovo Stato non
comportò un rinnegamento totale della tradizione inglese. Anzi, è
indubitabile l'influenza della Common Law e della storia costituzionale
inglese sulle nuove Costituzioni degli Stati americani (addirittura Rhode
Island e Connecticut mantennero, con pochi cambiamenti, le loro Carte
regie)106.
La Rivoluzione americana non rappresentò una cesura netta neanche con lo
stesso passato coloniale. Ribellandosi alla madrepatria, infatti, gli
Americani vollero difendere, non solo la tradizionale autonomia di governo
e le libere istituzioni sorte in più di un secolo di storia, ma anche lo stile di
vita civile e sociale che caratterizzava quei territori. Sul continente 106 A questo proposito si vedano in particolare gli studi già citati di McIlwain, Nicola Matteucci e
Tiziano Bonazzi.71
americano, infatti, non si erano riprodotte le gerarchie sociali, di stampo
feudale, della vecchia Europa: grazie all'enorme disponibilità di terra e alla
relatica facilità con cui poteva essere acquistata, in America c'era una
sostanziale uguaglianza delle condizioni di partenza dei coloni e si può dire
mancasse quasi del tutto il ceto aristocratico. Inoltre, i coloni godevano da
sempre di un regime di libertà politica, civile e religiosa finora sconosciuto
al Vecchio Mondo. È giusto affermare, quindi, che la Convenzione di
Philadelphia non aveva l'obiettivo di sovvertire, bensì quello di preservare
quest'ordine attraverso una carta costituzionale che ponesse dei limiti ad un
sistema di poteri già esistente. Alla base dei nuovi Stati Uniti dunque ci fu
anche una rivalutazione della realtà storica, delle istituzioni e dei valori del
passato coloniale107.
In Francia accadde l'opposto. L'intenzione dei rivoluzionari prima, e dei
costituenti dopo, era quella di cambiare radicalmente la realtà politica e
sociale che avevano davanti agli occhi. Per far risorgere la Francia
bisognava tagliare del tutto i ponti col passato, cancellare ogni residuo di
quell'antico regime di privilegi, decime, vincoli feudali, titoli e cariche
ereditari. La dipendenza gerarchica tra gli uomini doveva scomparire e
lasciare il posto all'uguaglianza e alla libertà di tutti i cittadini. Una “nuova
Francia” doveva nascere dalle ceneri della vecchia. Questa esigenza di
rottura e di rinnovamento dominava anche la maggior parte dei cahiers de
doléance redatti negli anni subito precedenti la Rivoluzione: in essi l'Ancien
régime veniva sottoposto a critica radicale, pezzo per pezzo, non solo dal
Terzo stato, ma anche da molti esponenti del clero e della nobiltà108. Proprio 107 Per l'importanza della tradizione coloniale all'interno del processo rivoluzionario e costituente
americano si veda soprattutto NICOLA MATTEUCCI, La Rivoluzione americana, cit.; La Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America, a cura di Tiziano Bonazzi, Venezia, Marsilio Editori, 1999; La Rivoluzione americana, a cura di id., Bologna, Il Mulino, 1977; ALBERTO AQUARONE, Due costituenti settecentesche, cit.
108 L'Assemblea Costituente abolì formalmente il regime signorile e tutti i vincoli economico-sociali dell'Ancien Régime nella seduta del 4 Agosto 1789, anche in risposta alla rivolta contadina senza precedenti che aveva investito l'intero regno. È da notare che, nonostante questa esigenza di superamento delle vecchie gerarchie, la maggior parte dei membri della Costituente, artefici del nuovo sistema politico-giuridico, erano esponenti dell'aristocrazia
72
in virtù del contesto storico francese, dunque, i principi di libertà e
uguaglianza della Rivoluzione americana assunsero in Francia una
maggiore carica innovatrice e rivoluzionaria, poiché rappresentarono una
concreta sfida all'ordine esistente. La realizzazione di questi principi
avrebbe comportato infatti lo sconvolgimento totale delle forme e dei valori
della struttura politico-sociale tradizionale109.
Probabilmente, proprio dalle peculiarità dei due contesti storici derivò
un'altra fondamentale differenza tra l'esperienza costituzionale americana e
quella francese rintracciata da Martucci nella condotta politica delle due
leadership rivoluzionarie. La classe dirigente nordamericana dimostrò di
possedere un alto senso dello Stato cedendo a quei compromessi
costituzionali che le permisero di anteporre il futuro del paese alle
divergenze politiche che la attraversavano. Nonostante le antipatie
personali, il lavoro dei costituenti americani fu caratterizzato da uno spirito
costruttivo di collaborazione che portò all'approvazione della Costituzione
federale, su cui personaggi di spicco come Benjamin Franklin nutrivano
ancora dei dubbi:
Signor Presidente, confesso di non approvare del tutto, al
momento, questa Costituzione, ma non sono sicuro che
l'approverò mai. […] Succede dunque che più divento vecchio,
più divento incline a dubitare delle mie stesse valutazioni, e a
rispettare maggiormente le valutazioni degli altri. […] Per
concludere, Signor Presidente, non posso fare a meno di
esprimere un auspicio: che ogni membro di questa Convenzione
– che abbia ancora delle obiezioni – voglia, con me, in questa
occasione, dubitare un po' della propria infallibilità e – per
tradizionale.109 Si veda ALBERTO AQUARONE, Due costituenti settecentesche, cit., pp. 9-28; FRANÇOIS FURET,
Introduzione, in L'eredità della Rivoluzione francese, a cura di François Furet, Roma, Editori Laterza, 1989, pp. 3-22.
73
rendere manifesta la nostra unanimità - voglia apporre la sua
firma a questo documento110.
Al contrario, in Francia le divergenze politiche e le antipatie personali
ebbero un'influenza diretta sugli esiti del processo costituzionale. Come
afferma Martucci, le rivalità politiche, lo spirito fazioso e i personalismi che
caratterizzarono, e a volte monopolizzarono i lavori dei costituenti francesi,
sommati ai naturali mutamenti di opinioni e di programmi politici,
determinarono l'instabilità dalla leadership riformatrice, sconvolta negli
anni da numerose fratture. L'Assemblea Costituente prima, e la
Convenzione Nazionale dopo, furono teatro di sempre nuove aggregazioni
di deputati che comportavano poi l'emarginazione dei vecchi partiti o
gruppi.
Per condurre in porto l'emarginazione non era però sufficiente
limitarsi a vincere la partita parlamentare, chiudendola con un
voto che assegnasse la maggioranza a una determinata proposta;
sarebbe stata invece sperimentata la strada della
delegittimazione della parte soccombente, qualificata prima
come aristocratica, poi come anti-nazionale, infine come contro-
rivoluzionaria, rendendo di conseguenza impossibile qualunque
compromesso tra maggioranza e minoranza in assemblea111.
Così nel giro di pochi anni la classe dirigente francese vide l'emarginazione
dei Monarchiens (1789), la scissione fogliante (1791), l'epurazione dei
Girondini (1793) e della Montagna (1794), fino all'eliminazione dei
Robespierristes il 9 Termidoro dell'anno II (1794). Questo contesto di 110 Benjamin Franklin, intervento alla Convenzione costituzionale, seduta di lunedì 17 settembre
1787, citato in ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 40.111 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 47-48.
74
antipatie personali e rivendicazioni politiche ebbe immediate ricadute sulla
vitalità e la stabilità delle numerose riforme costituzionali attivate. I
costituenti francesi, infatti, non giunsero mai ad un onorevole compromesso
politico-costituzionale che ponesse in primo piano la stabilizzazione e il
futuro del paese112.
Abbiamo visto dunque il profondo divario esistente tra il contesto storico
americano e quello francese. Questo ci introduce adeguatamente al
confronto attraverso cui vogliamo evidenziare gli elementi del modello
costituzionale americano che i costituenti francesi hanno rifiutato.
Nel decennio 1789-1799 la Francia, «in preda ad una vera e propria
ossessione costituente113», divenne il più interessante laboratorio politico-
istituzionale dell'epoca, da cui scaturirono ben tre diverse Costituzioni,
significativamente precedute da altrettante Déclarations des Droits.
Concentrandoci solo sulla Costituzione approvata il 3 settembre 1791,
possiamo individuare almeno tre nodi problematici in cui si palesano alcune
significative differenze con il costituzionalismo americano. Intorno a questi
nuclei tematici, infatti, si concentra quella diffidenza verso la Costituzione
federale americana che impedì ai costituenti francesi di accettarne le
innovazioni più radicali:
a) il rapporto tra potere costituente e poteri costituiti e il conseguente
ruolo della carta costituzionale;
b) la divisione dei poteri: la supremazia del Legislativo e il concetto di
balance of powers;
c) il rapporto tra la legge e il potere giudiziario.
112 Ivi, pp. 38-63.113 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 35.
75
a) Grazie alla riflessione sull'esperienza americana, il dibattito
prerivoluzionario francese acquistò progressivamente il lessico e le
categorie politiche d'oltreoceano, come testimonia la diffusione del concetto
di “potere costituente” tra i politici francesi proprio alla vigilia dell'89114.
Celebre è la definizione teorica che ne diede Sieyès nel trattato Qu'est-ce
que le Tiers Etat?:
Queste leggi sono dette fondamentali, non nel senso che esse
possano diventare indipendenti dalla volontà nazionale, ma perché
i corpi che esistono e agiscono grazie ad esse non possono
modificarle. In ogni parte la costituzione non è opera del potere
costituito, ma del potere costituente. Nessuna specie di potere
delegato può introdurre dei cambiamenti nelle condizioni della sua
delega115.
Ancora prima del famoso pamphlet sieyèsiano, Condorcet e Brissot
avevano esplicitamente indicato nell'America il primo paese ad aver
riconosciuto il potere del popolo sovrano e il suo diritto a consentire alle
leggi e alla costituzione. In special modo Brissot aveva affermato
chiaramente che il diritto di fare una costituzione, poiché appartenente al
popolo, doveva essere affidato ad una Convenzione speciale e nettamente
distinta dal normale organo legislativo. I due philosophes avevano anche
enunciato il principio, di chiara matrice americana, della revisione periodica
della costituzione, affidata sempre ad Convenzioni ad hoc. Essi inoltre 114 Molti storici, tra cui Martucci e Fioravanti, sostengono che dall'esperianza costituzionale
americana derivi anche la diffusione in Francia del nuovo significato del termine “costituzione”. Si veda a questo proposito MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., pp. 102-113; ROBERTO MARTUCCI, Stati Uniti e Francia, cit., pp. 49-51.
115 Emmanuel-Joseph Sieyès, Qu'est-ce que le Tiers Etat?, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 2. Nel suo pamphlet, pubblicato anonimo nel gennaio del 1789, Sieyès indicava nella nazione e nella sua volontà «l'origine di tutto»: da essa sola emana la Costituzione.
76
esaltavano il ruolo che avevano le assemblee di contea e le convention
americane nell'espressione e nella trasmissione del consenso popolare116.
Dunque, come spiega Armando Saitta, fu proprio sulla scia dell'esempio
americano che la prima elaborazione teorica del potere costituente
comparve in Francia, dove però risultò difficoltosa la sua realizzazione
pratica. Qui, infatti, non si era sviluppata una coscienza costituente negli
elettori e nei membri da essi inviati agli Stati generali. Nonostante la
richiesta di una nuova costituzione caratterizzasse la maggior parte dei
cahiers, nessuno di questi affidava ai rappresentanti il compito di crearne
una ex-novo, ma solo di cambiare quella esistente117. Così quando il 17
giugno i deputati del Terzo stato, su proposta di Sieyès, si trasformarono in
Assemblea Nazionale e si impegnarono a non separarsi prima di aver dato
una nuova costituzione alla Francia, in realtà nessuno di loro aveva ricevuto
formalmente questo mandato: come rappresentanti del popolo infatti erano
ancora legati al mandato imperativo che gli era stato affidato, secondo la
vecchia concezione privatistica della politica118. Così quando tra il 7 e il 9
luglio furono annullati i mandati imperativi e l'Assemblea Nazionale si
denominò “Costituente”, in realtà si trattò di un atto veramente
rivoluzionario con cui i deputati si auto-investirono di un potere nuovo,
116 Tutte queste nuove teorie costituzionali, di stampo americano, confluiranno nel progetto costituzionale “girondino” del 1793. Si veda GABRIEL MAGRIN, La repubblica dei moderni, cit., pp. 53-61.
117 Prevale ancora l'uso del significato tradizionale del termine “”costituzione”, quello cioè che indicava la legge fondamentale, storica e non scritta di paese.
118 Da un punto di vista giuridico, il passaggio dagli Stati generali all'Assemblea Nazionale fu una conseguenza della verifica in comune dei poteri che, su proposta di Sieyès, i deputati del Terzo stato e la maggior parte dei deputati del clero e della nobiltà operarono nel giugno del 1789. Il punto di novità che caratterizzò questa procedura fu il fatto che avvenne a Camere unite; in questo modo scomparve la tradizionale divisione in ordini e nacque quell'unica assemblea monocamerale che caratterizzò poi l'Assemblea Costituente, la Convenzione Nazionale e, in generale, gli organi legislativi delle future Costituzioni rivoluzionarie. Emerge qui il carattere spiccatamente anticetuale della Rivoluzione francese; nell'opzione di un Legislativo bicamerale, infatti, si intravedeva il pericolo della creazione di una camera aristocratica sul modello inglese. Gli stessi dubbi avevano alimentato il dibattito costituzionale americano, ma gli autori del Federalist avevano prontamente organizzato la difesa del bicameralismo. Per approfondire l'importanza che la verifica in comune dei poteri ebbe sulla formazione dell'Assemblea Nazionale si veda ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 107-114.
77
quello costituente, appunto.
Dunque, almeno formalmente, anche i riformatori francesi riconobbero il
primato del potere costituente; essi avevano previsto la convocazione di
un'Assemblea ad hoc per la revisione del testo costituzionale perché, in
linea teorica, si riconosceva l'impotenza del potere legislativo di modificare
la Costituzione senza un mandato esplicito della volontà popolare. Secondo
Fioravanti, proprio nella diversa concezione del popolo sovrano e della sua
volontà risiede lo scarto con il costituzionalismo americano.
Infatti, mentre per gli Americani la volontà sovrana del popolo si identifica
esplicitamente con la Costituzione e con il suo primato sul governo, per i
costituenti francesi, invece – in linea con la tradizione rousseauiana119 – la
forza della volontà popolare continua ad operare concretamente attraverso i
rappresentanti del Legislativo e «non deve né può sottomettersi a forme
costituzionali120».
In una situazione in cui il popolo sovrano non poteva e non
doveva essere semplicemente l'origine della costituzione si
poneva fatalmente il problema di trasferire in uno dei poteri
istituiti dalla costituzione la forza originaria, e che si voleva
permanente, di quel medesimo popolo. E questo potere non
poteva essere altro che quello legislativo, il potere dei
rappresentanti del popolo, che quindi assumeva una
configurazione eccedente la dimensione spettante a un mero
potere costituito121.
In questo modo il rapporto tra Costituzione e Legislatore diventava assai
119 Per una spiegazione della filosofia rousseauiana si rimanda al capitolo I di questo lavoro.120 Emmanuel-Joseph Sieyès, Qu'est-ce que le Tiers Etat?, citato in MAURIZIO FIORAVANTI,
Costituzione, cit., p. 110.121 MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., p. 111.
78
problematico perché il potere costituente, ossia la volontà del popolo, non
poteva essere limitato in alcun modo122. Questa ambiguità di fondo
caratterizzò fin da subito l'esperienza costituzionale francese: qui il corpo
legislativo prevalse quasi sempre sulle Costituzioni appena approvate,
proprio perché i rappresentanti del popolo si ritenevano gli unici veri
interpreti della volontà del popolo sovrano. Se dunque in America fu
realizzata la supremazia della legge attraverso la Costituzione, in Francia
l'Assemblea Legislativa, e con essa i suoi deputati, riaffermarono sempre il
loro primato sul testo costituzionale che, come afferma Martucci, dopo il
colpo di Stato del 10 agosto 1792 divenne solo
un pezzo di carta privo di significato: a partire da questo
momento, malgrado i ripensamenti successivi al Termidoro,
l'idea di costituzione (quindi anche l'elaborazione di un testo
scritto) non avrà più presso l'opinione pubblica quell'aurea di
sacralità di cui aveva beneficiato a partire dal 1776 sulla spinta
degli avvenimenti nordamericani; essa sarà piuttosto un pedante
e lungo codice legislativo, espressione di princìpi ritenuti
inapplicabili o superati, e per ciò steso, violabile da chi controlla
le leve dello Stato123.
I costituenti francesi quindi, guardando al modello costituzionale
americano, avevano colto l'importanza della distinzione tra legislatura
ordinaria e Convenzione costituzionale, ma l'insieme delle circostanze
storiche e della diversa tradizione politico-filosofica, portarono di fatto ad
122 Secondo Fioravanti sull'elaborazione costituzionale francese influirono alcuni concetti centrali delle dottrine costituzionali di Hobbes e Rousseau. A questo proposito si veda MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzionalismo, cit., pp. 20-24, 54-58; id., Appunti di storia delle costituzioni moderne. Le libertà fondamentali, Roma, GLF Editori Laterza, 2009, pp. 91-94; DEL VECCHIO, GIORGIO, Contributi alla storia del pensiero giuridico e filosofico, Milano, Giuffrè, 1963, pp. 219-272.
123 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 231.79
una disapplicazione di questo stesso principio.
b) Il principio della separazione dei poteri era stato solennemente
affermato e stabilito nell'articolo sedicesimo della Déclaration des droits
de l'homme et du citoyen del 1789 che affermava: «Ogni società, nella quale
la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri
determinata, non ha costituzione124». Attuare questo principio avrebbe
voluto dire smantellare il sistema assolutistico dei poteri in cui
tradizionalmente il sovrano esercitava un'influenza sia sui Parlamenti che
sulle corti di giustizia. Dunque nel contesto francese l'affermazione della
separazione dei poteri era di per sé una grande novità. Ma l'attuazione che
ne fecero i costituenti francesi fu oltremodo semplificata, limitandosi ad
affidare i tre poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario) a enti diversi e cioè
al Re, ad un'Assemblea legislativa monocamerale e ai giudici eletti dal
popolo125. Procedendo nella definizione concreta dei rapporti tra i vari
poteri costituiti, la maggioranza dei deputati francesi si mostrò ancora
saldamente attaccata al principio secondo cui era necessario individuare un
unico potere che su tutti rappresentasse la sovranità della nazione. Ecco
dunque che la Costituzione del '91, più che una separazione dei poteri, sancì
la subordinazione di questi all'Assemblea legislativa. Pur definendo le
competenze di ciascun organo, infatti, la Costituzione non prevedeva tra i
poteri un concreto equilibrio funzionale ad una loro eguale sottomissione
alla legge. Era invece chiaramente indicata l'egemonia del Legislativo, al
quale erano affidate le funzioni principali126. La Costituzione del '91 infatti
non riconosceva più il ruolo centrale del sovrano all'interno dello stato
124 Déclaration des droits de l'homme et du citoyen (1789), art. 16, in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 252.
125 Vedi Costitution française, 1791, Tit. III, art. 1, in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 256.126 Vedi Costitution française, 1791, tit. III, cap. III, sez. prima, art. 1, in ARMANDO SAITTA, op. cit.,
pp. 266-267.80
francese; al suo posto c'era l'Assemblea legislativa che sola poteva
esprimere la sovranità popolare. Proprio per questo suo potere
rappresentativo l'azione del corpo legislativo non poteva essere limitata da
nessun altro potere, nemmeno dal quello della Costituzione.
Dal dibattito sulla Costituzione del '91 uscirono sconfitti i monarchiens
(Mounier, Lally-Tollendal, Clermont-Tonnerre) che nel loro progetto
moderato e conservatore avevano riservato al Re un ruolo importante
all'interno di un Legislativo bicamerale (secondo il modello inglese)127.
Anche la proposta di La Fayette di guardare alla nuova Costituzione degli
Stati Uniti non fu accolta. La maggior parte dei riformatori francesi infatti
non aveva apprezzato, sommergendola di critiche, la carta costituzionale del
1787 che, secondo loro, subiva un'involuzione radicale e aristocratica. La
nuova Costituzione americana aveva rafforzato l'Esecutivo con l'obiettivo di
bilanciare meglio un Legislativo troppo forte ed autonomo. Profonda,
infatti, era la diffidenza americana nei confronti dei rappresentanti del
popolo di cui temevano la corruzione e l'arbitrio. Anche per questo, la
Convenzione di Philadelphia aveva infine optato per la divisione del
Congresso in due Camere inserendo freni e contrappesi all'interno dello
stesso Legislativo128.
Esattamente opposto fu il ragionamento dei costituenti francesi. Anche per
via dei secoli di dispotismo monarchico che avevano alle spalle, essi
aderirono alla teoria lockiana della supremazia legislativa che, nel secolo
precedente, aveva avuto una sua realizzazione pratica nella definitiva ascesa
del Parlamento inglese durante la Glorious Revolution129. I riformatori 127 Per le proposte costituzionali dei monarchiens si veda ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 162-174;
ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 67-73.128 Su questo punto si scatenò un ampio dibattito le cui problematiche sono affrontate tutte dagli
autori del Federalist che difesero tenacemente la scelta bicamerale e il sistema di checks and balances. Si veda ALEXANDER HAMILTON, JOHN JAY, JAMES MADISON, op. cit., n. 47-66, pp. 325-457; MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., pp. 105-108.
129 Per la prima volta nella storia europea il Parlamento si era auto-investito del potere di deporre un Re e sceglierne un altro. Nel 1688 infatti il Parliament aveva offerto la corona inglese al duca olandese William d'Orange. Solo un anno dopo Locke pubblicò anonimamente i Two Treatises on Government, nei quali definiva il Legislativo «the supreme power of the
81
francesi vedevano nell'Assemblea legislativa l'unico baluardo a difesa delle
loro libertà e dei loro diritti. Lungo tutto il decennio di elaborazione
politico-costituzionale, quindi, prevalse sempre la linea che voleva il
Legislativo superiore agli altri poteri e sciolto quindi da qualsiasi freno o
impedimento130.
Per questo motivo la storiografia è concorde nel ritenere che - ancor prima
del tradizionale sistema di governo inglese o di quello nuovo, americano -
fu la Costituzione della Virginia (1776)131 il modello principale cui
guardarono i legislatori francesi nel ripensare l'assetto dei poteri della
Francia post '89. Quel documento, infatti, prefigurava la supremazia
dell'unica Assemblea legislativa su ogni altro organo di governo, compreso
l'Esecutivo. La diffidenza dei virginiani verso quest'ultimo - al quale erano
affidati poteri limitati in confronto a quelli assegnati all'Assemblea
legislativa monocamerale - esercitò un forte fascino sui costituenti francesi
che, come abbiamo visto, conoscevano approfonditamente i documenti
costituzionali americani. Il monocameralismo virginiano, infatti, veniva
decisamente incontro alla necessità francese – di evidente derivazione
rousseauiana – di conservare l'integrità e l'unicità della volontà popolare132.
Si può dire che fu proprio questa consonanza ideologica ad indirizzare
l'attenzione dei costituenti francesi verso il modello virginiano133. La
Costituzione francese quindi dotò l'Assemblea legislativa di una sola
camera affinché fosse salvaguardata l'unicità della Rappresentanza commonwealth». JOHN LOCKE, Second Treatise on Government. An Essay Concerning the True Original, Extent, and End of Civil Government, 1689, trad. it. Il secondo trattato sul governo, a cura di Anna Gialluca, Milano, Bur, 2007, sez. 134, p. 240.
130 Sulla concezione francese del potere legislativo e sulle evidenti differenze con la concezione americana si veda MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., pp. 83-90; id., Costituzionalismo, cit., pp. 63-67; NICOLA MATTEUCCI, Lo stato moderno, cit., pp. 147-151.
131 Per il testo della Costituzione della Virginia si veda La formazione degli Stati Uniti d'America, cit.,, vol. II, pp. 5-11.
132 Per il concetto di volontà generale di Rousseau si veda il capitolo I di questo lavoro.133 In realtà, i riformatori francesi non fecero i conti con il cambiamento operato poco dopo nella
forma di governo della Virginia. Questa infatti aveva fatto come un passo indietro articolando il Legislativo in due Camere e istituendo un Esecutivo bicefalo, con competenze comunque inferiori a quelle dell'Assemblea generale.
82
nazionale. La sovranità infatti «appartiene alla nazione; nessuna sezione del
popolo, né alcun individuo può attribuirsene l'esercizio134».
La Costituzione francese del 1791 inoltre affidò al Re il potere esecutivo,
subordinandolo quasi totalmente alle decisioni dell'Assemblea legislativa:
privato della facoltà di sciogliere l'Assemblea, dotato di un veto solo
sospensivo135, al Re rimanevano infatti poteri oltremodo limitati, il cui
esercizio era sempre strettamente sorvegliato dal Corpo legislativo136. Un
ulteriore scarto tra i due poteri si può notare nel diverso trattamento
riservato ai ministri nominati dal Re, rispetto ai deputati dell'Assemblea
legislativa. I primi, infatti, potevano essere messi in stato d'accusa e
giudicati dall'Alta corte nazionale in seguito ad un decreto del Corpo
legislativo; i secondi, invece, in quanto rappresentanti della nazione erano
dichiarati «inviolabili137» e non perseguibili penalmente per le loro azioni
politiche.
Da questo schema seppure molto sintetico, sull'organizzazione dei
poteri pubblici della prima Costituzione francese emerge chiaramente il
primato dato al potere legislativo quale unico organo autorizzato ad
esercitare il potere sovrano del popolo. In questo modo i costituenti francesi
presero nettamente le distanze dalla Costituzione federale americana, dove
l'esercizio della sovranità era stato realmente distribuito fra i vari poteri
affinché nessuno di essi potesse ritenersi esclusivo. Al contrario,
l'Assemblea nazionale costituente, temendo la possibilità di un Esecutivo
troppo forte, dotò il Legislativo di poteri quasi del tutto privi di efficaci
contrappesi. Come è stato notato, queste furono le premesse del conflitto
endemico tra Legislativo ed Esecutivo che caratterizzò la Francia
134 Costituzione del 3 settembre 1791, Titolo III, art. 1, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 255.135 Per il dibattito costituzionale circa la sanzione reale si veda ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 164-
183.136 Si veda la Costituzione del 3 settembre 1791, Titolo III, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., pp.
250-281.137 Costituzione del 3 settembre 1791, Titolo III, sez. V, art. 7, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit.,
p. 260.83
rivoluzionaria138.
Dunque la sottovalutazione della necessità di un sistema di checks and
balances fu certamente uno dei principali motivi che rese «instabile e
inapplicabile il progetto di stabilizzazione costituzionale perseguito con
l'approvazione della costituzione del 3 settembre 1791139». Come sottolinea
Martucci, re e ministri si trovarono del tutto impotenti davanti alle
«frequenti manipolazioni dei testi normativi, realizzate fulmineamente da
un potere legislativo monocamerale e, quindi, tempestivo e onnipotente140»
e finirono «con l'essere subordinati non già alla legge generale ed astratta
(in questo caso, la costituzione), ma ai deputati-legislatori in carne ed ossa
ed alle maggioranze variabili, di volta in volta formatesi all'interno
dell'assemblea141».
c) Un altro aspetto peculiare del modello costituzionale americano di
cui i francesi non compresero a pieno l'importanza è certamente il controllo
di costituzionalità delle leggi. Per garantire in modo inequivocabile la
superiorità della Costituzione, infatti, i Padri fondatori avevano creato
l'istituto del Judicial Review: questo avrebbe difeso la legge suprema del
paese dalle possibili manipolazioni del Corpo legislativo e dell'Esecutivo.
All'interno del dibattito costituzionale americano erano sorti molti dubbi in
merito a questa innovazione giuridica perché sembrava conferire un
primato eccessivo al potere giudiziario. Abbiamo visto gli autori del
Federalist rispondere prontamente a questa obiezione, dimostrando che
anche i giudici erano vincolati al rispetto della Costituzione e che dunque
era la legge a regnare sovrana.
138 Sul tema del rapporto tra i due poteri si veda ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp 164.139 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 164.
140 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 213.141 Ibidem.
84
Anche la Costituzione francese del 1791 stabiliva formalmente la
superiorità delle legge affermando appunto che «non vi è in Francia autorità
superiore a quella della legge142», ma questa rimase più che altro una
formula astratta. Il testo costituzionale, infatti, prevedeva una separazione
così rigida degli organi giudiziari da quelli legislativi ed esecutivi, tanto da
impedire ai tribunali di intromettersi nell'esercizio del potere legislativo.
L'obiettivo dei costituenti francesi, infatti, era quello di non permettere al
potere giudiziario di controllare l'attività del Legislativo, la cui supremazia
doveva sempre essere riaffermata. Nonostante si proclamasse la superiorità
della Costituzione su tutti i poteri costituiti, in realtà i costituenti francesi
non avevano nessuna intenzione di sottomettere ad essa l'Assemblea dei
rappresentanti del popolo. Sotto questo profilo è emblematica la clausola
con cui termina il documento. In essa è presente un ultimo accenno
all'inviolabilità della Costituzione da parte dei poteri costituiti, ma al tempo
stesso l'Assemblea costituente non individua nessun tipo di controllo
efficace e in ultima analisi lo affida «alla fedeltà del corpo legislativo, del re
e dei giudici, alla vigilanza dei padri di famiglia, alle spose e alle madri,
all'affetto dei giovani cittadini, al coraggio di tutti i Francesi143». Come
afferma Martucci,
affidata ad una garanzia così labile, era inevitabile che la
costituzione corresse dei rischi. [...] bastava che il futuro potere
legislativo «costituito» operasse a sua volta un nuovo auto-
accrescimento di competenze (come era già accaduto nel 1789),
trasformandosi in una nuova Costituente che non si sentisse
vincolata al rispetto della costituzione del 1791. […] era quindi
prevedibile che il futuro legislatore monocamerale, non
trovando sul suo cammino nessun potere in grado di bloccarne il
142 Costituzione del 3 settembre 1791, Titolo III, cap. II, sez. I, art. 3, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 261.
143 Costituzione del 3 settembre 1791, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 281.85
potere (come aveva già detto Montesquieu), avrebbe finito con
lo stravolgere lo scenario delineato dalla costituzione del
1791144.
L'innovativo sistema americano del Judicial Review dunque fu quasi del
tutto ignorato dai costituenti francesi, i quali non crearono un'effettiva
superiorità della Costituzione sui poteri costituiti e sulle leggi ordinarie.
Riassumendo, questi sono alcuni dei nodi essenziali del costituzionalismo
americano che, lontani dalla tradizione politica e dalle relative esigenze del
contesto storico francese, non trovarono un'applicazione nella Costituzione
francese del 1791145.
144 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 217.145 Per un più ampio confronto tra i due modelli costituzionali si veda NICOLA MATTEUCCI, Lo
stato moderno, cit., pp. 134-142, 147-161; MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione, cit., pp. 102-115; id., Costituzionalismo, cit., pp. 20-69; ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 141-165; ALBERTO AQUARONE, Due costituenti settecentesche, cit., pp. 9-154; PHILIPPE RAYNAUD, America e Francia: due rivoluzioni a confronto, in L'eredità della Rivoluzione francese, op. cit., pp. 25-46.
86
1. LA NOVITÀ DEI BILLS OF RIGHTS AMERICANI (1776-1787)
In un'opera ormai classica, Felice Battaglia ha brillantemente ricostruito
l'evoluzione del concetto di diritti fondamentali dell'uomo attraverso lo
studio delle principali Dichiarazioni dei diritti, partendo dall'Inghilterra
medievale fino ad arrivare alla Dichiarazione universale dei diritti umani
del 1948146. Le note storiche che introducono ciascuna sezione, pur nella
loro brevità, tracciano un quadro di riferimento storico-interpretativo da cui
è impossibile prescindere per la nostra disamina dei Bills of Rights
americani e della Déclaration francese del 1789.
Secondo il Battaglia le origini della moderna concezione dell'individuo
come «soggetto avente propria dignità e valore, anteriormente all'ente
politico e da esso indipendente147» vanno ricercate in quella grande
rivoluzione che è stata il Cristianesimo. Qui infatti risiederebbe «il germe
della storia moderna» in quanto è «dall'intuizione cristiana dell'uomo figlio
del suo Fattore» che, sempre secondo il Battaglia, «deriva e muove ogni
conquista che ne rivendichi l'etica autonomia, ogni diritto che gli si possa
attribuire148». L'antichità classica, infatti, non era giunta a separare il valore
etico e morale del soggetto dalla sua appartenenza alla polis o alla civitas.
Perciò Battaglia ribadisce:
che l'uomo abbia dei diritti che gli ineriscono in quanto tale, che
quindi realizza nella vita politica, diritti del cittadino nei
confronti dello Stato, epperò siffatti che, enunciati e proclamati,
146 FELICE BATTAGLIA, op. cit. La prima edizione risale al 1934, la seconda invece è del 1946, prima dell'inizio dei lavori dell'Assemblea costituente italiana.
147 FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. XIV.148 Ivi, p. XV.
88
dichiarati e statuiti, gli si possano opporre, è idea del tutto
moderna149.
Lo studio del Battaglia parte dalla Magna Charta inglese (nella sua seconda
edizione del 1225) nella quale egli rintraccia uno dei primi tentativi di
formulazione ed enunciazione dei diritti e delle libertà costituzionali. In
realtà, questo documento in cui re Enrico III accordava libertà specifiche ad
alcune categorie del suo popolo, era come la sintesi dei tanti patti giurati
nell'Inghilterra feudale, con lo scopo di confermare una serie di diritti e
doveri del principe e dei suoi feudatari. Infatti come tutte le successive carte
inglesi (incluse la Petition of Right del 1628 e il Bill of Rights del 1688)
anche la Magna Charta giungeva solo a confermare prerogative già in
vigore richiamandosi ad antichi diritti e libertà della storia inglese. Dunque
nessuno di questi documenti si rivolgeva al futuro proclamando nuovi
diritti, ma guardava alla storia, alle sue tradizioni e consuetudini. Alla
Magna Charta si richiamarono tutte le leggi inglesi successive: da questo
ricco patrimonio giuridico è emersa “the Ancient Constitution”, la Common
Law alla quale si fece sempre riferimento durante le lotte politiche del XVII
secolo.
Il Battaglia inoltre sottolinea come nei testi del diritto costituzionale inglese
il soggetto non sia quasi mai l'individuo, ma il popolo intero o alcune sue
corporazioni, ai quali si riconoscono diritti e libertà: al suddito inglese nella
sua individualità, infatti, sono riferite le disposizioni dell'Habeas corpus
(1679) e poco altro. Inoltre i Bills inglesi non avevano nessuna pretesa di
universalità poiché i diritti che stabilivano erano i birthrights dei soli sudditi
della Corona inglese150.
149 FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. XIII.150 Per le carte dei diritti dell'Inghilterra si veda Ivi, pp. 3-42. Sul modello storicistico delle
libertà, si veda MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., pp. 18-28.
89
Dunque le carte dei diritti inglesi in qualche modo limitavano il potere del
sovrano perché definivano «un nocciolo duro di libertà fondamentali
indisponibile da parte del potere politico151», ma al tempo stesso vi erano
ancora assoggettate, perché era solo grazie ad una concessione del Re che i
diritti e le libertà del popolo potevano essere riconosciuti e rispettati.
Alla fine del XVIII secolo i coloni americani si ribellarono propro a questa
ultima dipendenza dei diritti dal potere della Corona, rivendicando
l'autonomia del soggetto e della sua dignità dal potere politico. In questo
«salto qualitativo152» molti storici hanno intravisto il primo passo verso
l'affermazione dei moderni diritti individuali153.
Abbiamo già accennato al singolare fermento costituzionale che
caratterizzò l'attività legislativa delle tredici colonie dal 1776 al 1783 che,
dopo l'esortazione del Congresso di Philadelphia, si dotarono tutte di una
nuova costituzione scritta. Ma l'aspetto veramente innovativo e
rivoluzionario di questo processo costituzionale è il fatto che ogni Stato
sentì l'esigenza di fondare la nuova costituzione su una solenne
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino che il governo avrebbe
dovuto rispettare e garantire. Dunque già prima della Dichiarazione
d'indipendenza, la maggior parte degli Stati americani aveva ratificato un
Bill of Rights in cui erano elencati i diritti e le libertà fondamentali che la
costituzione stessa era chiamata a garantire. Questo fu un atto
rivoluzionario e senza precedenti di cui bisogna indagare la genesi profonda
per comprenderne appieno la novità.
In sede storiografica è ormai accettata la tesi che individua proprio nelle
carte giuridiche inglesi il modello principale dei Bills of Rights americani.
Abbiamo visto, infatti, che i coloni inglesi emigrati nel Nuovo Mondo erano
151 MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., p. 26.152 HASSO HOFMANN, Il contenuto politico delle dichiarazioni dei diritti dell'uomo, in «Filosofia
politica», anno V, n. 2, 1991, p. 381.153 Cfr. MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., pp. 28-41.
90
considerati a tutti gli effetti sudditi della Corona e in quanto tali le Carte
regie assicuravano loro «tutte le libertà, franchigie e immunità […] come se
fossero nati e residenti in questo Regno d'Inghilterra o in qualunque altro
dei nostri domini154». Ogni qualvolta i coloni sentirono l'esigenza di una
riconferma dei propri diritti “inglesi”, essi si richiamarono alla Magna
Charta e ai successivi Bill of Rights della madrepatria, sul cui esempio
modellarono poi i propri Frame of Government e Bodies of Liberties. In
questi documenti si ritrovano infatti intere sezioni o formule prese in
prestito dai testi giuridici della storia inglese, come per esempio le
disposizioni dell'Habeas corpus.
Nel 1776, apprestandosi a stendere una nuova costituzione, le varie
Convenzioni statali fecerono riferimento ai precedenti documenti coloniali,
da cui ripresero le principali enunciazioni del costituzionalismo inglese. «Il
ricordo delle carte inglesi155» quindi influì certamente sulla genesi e sulla
formulazione dei Bills of Rights americani in cui si trovano ricombinati e
ampliati, come abbiamo detto, le disposizioni dell'Habeas corpus, il
principio no taxation without representation, la proporzionalità della pena
rispetto al reato, la protezione della proprietà privata, il rifiuto dell'obbligo
di dare alloggio ai soldati, ed altri antichi diritti inglesi156.
Come afferma Jellinek,
il ricordo di queste celebri leggi britanniche, ritenute dagli
americani una parte consistente del loro diritto territoriale, ebbe
senz'altro un ruolo essenziale nella stesura, dal 1776 in poi, delle
dichiarazioni dei diritti157.
154 Primo statuto della Virginia, 1606, in La formazione degli Stati Uniti d'America, cit., vol. I, p. 9.
155 FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 39.156 Sull'influenza delle carte inglesi sui Bills americani si veda FELICE BATTAGLIA, op. cit., pp. 39-
40; GEORG JELLINEK, op. cit., pp. 30-36; MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., pp. 80-85. Per il testo del Bill of Rights della Virginia, della Pennsylvania, del Maryland, del Connecticut, del North Carolina, del Vermont, del Massachusetts e del New Hampshire si veda FELICE BATTAGLIA, op. cit., pp. 44-101.
157 GEORG JELLINEK, op. cit., p. 31.91
Perciò gli Americani, per la costruzione di un nuovo sistema politico
fondato sui diritti naturali individuali, si avvalsero del loro essere «figli di
una tradizione storico-costituzionale che aveva offerto contributi di prima
grandezza alla causa dei diritti e delle libertà158».
Nonostante queste evidenti linee di continuità, la Rivoluzione americana
rappresentò comunque un passo avanti e oltre la tradizione giuridica
inglese. Numerosi storici, infatti, hanno messo in evidenza come alcuni
elementi dei Bills of Rights americani siano del tutto innovativi o addirittura
antitetici rispetto alla concezione inglese del diritto.
Come ha affermato Battaglia, esiste «una profonda differenza spirituale159»
tra i Bills inglesi e quelli americani. Come abbiamo visto, i primi nascevano
da situazioni storiche ben precise in cui emergeva l'esigenza di riconfermare
i diritti tradizionali già in vigore. Le carte inglesi perciò si rivolgevano al
passato perché le libertà che proclamavano erano un prodotto della storia e
della tradizione britannica, «un diritto nazionale e storico160». Inoltre,
proprio per questo loro carattere storico-nazionale, tali diritti erano concessi
dal Re stesso ai soli cittadini inglesi. Dunque le libertà e i privilegi della
Magna Charta come dei successivi documenti giuridici inglesi vengono
ereditati da ogni suddito solo in virtù della sua appartenenza alla nazione
inglese.
Qui sta un primo elemento di scarto con i documenti americani. Se finora i
coloni avevano goduto dei diritti stabiliti dai Bills inglesi, infatti, era solo
perché erano a tutti gli effetti sudditi della Corona. Ma nel 1776,
158 MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., p. 78.159 FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 40.160 Ibidem. Fioravanti chiama “storicistica” questa concezione che ricava le libertà dalla storia e
dalle consuetudini. Egli individua anche un approccio al problema delle libertà di tipo individualistico e uno di tipo statualistico e ne analizza lo sviluppo a partire dalle rivoluzioni di fine Settecento. MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., pp. 17-28.
92
proclamando la loro indipendenza dalla madrepatria, essi perdevano la
titolarità di quegli antichi diritti per i quali allora dovettero trovare un'altra,
e altrettanto plausibile, fonte di legittimazione.
Fu a questo punto che nel dibattito rivoluzionario entrò prepotentemente
un'altra concezione delle libertà, quella secondo la quale «gli uomini hanno
alcuni diritti innati, di cui, entrando nello stato di società, non possono,
mediante convenzione, privare o spogliare la loro posterità161». Gli
americani dunque si appellarono alle dottrine giusnaturalistiche e
contrattualistiche (in particolare avevano in mente quelle di Locke), dalle
quali recepirono quei «principi direttivi, assoluti, validi per ogni tempo162»
che andarono a costituire l'incipit dei nuovi Bills. Questi, infatti, iniziavano
tutti col proclamare gli uomini, «egualmente liberi e indipendenti163»,
titolari per natura di alcuni diritti «innati e inalienabili164» tra cui la vita, la
libertà, la proprietà e la sicurezza165. Il ricorso alla teoria giusnaturalistica
dei diritti intaccò quindi l'eccezionalismo delle libertà inglesi conferendo un
registro universale alle dichiarazioni americane.
Queste infatti «vogliono esprimere una vera e propria legge di natura»
valida per tutti gli uomini, poiché a tutti il Creatore ha donato «certi
inalienabili diritti166». Le libertà del popolo inglese si elevano dunque a
libertà universali che appartengono a tutti gli uomini di qualsiasi stato o
nazione. Questa apertura universalistica dei diritti, che prima erano solo del
popolo inglese, trovò la sua forza anche nei principi cardini del pensiero
illuminista che, dal Vecchio Continente, era arrivato e si era radicato anche
nel Nord America.161 Virginia Bill of Rights, 1776, sez. 1, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 45.162 FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 40.163 A Declaration of Rights of the Inhabitants of the State of Pennsylvania, 1776, art. I, in FELICE
BATTAGLIA, op. cit., p. 51.164 A Declaration of Rights of the Inhabitants of the State of Pennsylvania, 1776, art. I, in FELICE
BATTAGLIA, op. cit., p. 51.165 Cfr. FELICE BATTAGLIA, op. cit., pp. 45-101.166 Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America, 1776, citata in La Dichiarazione di
indipendenza, cit., p. 71.93
In questo passaggio dal particolare all'universale, risiede il «solco
profondo»167 che separa le carte dei diritti inglesi da quelle americane e, al
tempo stesso, costituisce il principale punto di raccordo tra queste ultime e
la Déclaration des droits de l'homme et du citoyen della Rivoluzione
francese.
Le Dichiarazioni degli Stati americani, perciò, attuano una vera e propria
rivoluzione sotto questo aspetto, perchè pongono al centro l'individuo quale
soggetto unico di diritto e negano in modo netto l'esistenza di categorie o
ceti aventi particolari privilegi. Da questo punto di vista, quindi, si consuma
una frattura epocale con la tradizione giuridica inglese, frattura che apre la
strada al «progressivo ordinarsi del diritto in senso individuale, ed
anticetuale168».
L'individuo, infatti, con i suoi diritti naturali, preesiste al governo che –
come ricordano tutti i Bills nordamericani seguendo la strada tracciata da
Locke – è una creazione volontaristica degli uomini, istituita «per il bene
comune, per la protezione, sicurezza, prosperità, e felicità del popolo, e non
per il profitto, l'onore, o il privato interesse di un uomo, di una famiglia o
classe di uomini169». Dunque, non è più il potere politico, il Re, a dover
concedere o confermare diritti e libertà, poiché questi appartengono
all'uomo già prima di ogni governo.
Questa nuova visione dei diritti dell'uomo è testimoniata dalla posizione
stessa delle Dichiarazioni all'interno dei nuovi testi costituzionali. Esse
infatti non vengono più concesse dal potere politico, perché lo precedono,
sono premesse ad esso. Se dalla maggior parte degli Stati il Bill, o
Declaration of Rights è inserito come preambolo al Plan of Government, lo
Stato della Virginia ne fa addirittura un documento separato, redatto e
167 GEORG JELLINEK, op. cit., p. 31.168 MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., p. 29.169 A Declaration of the Rights of the Inhabitants of the Commonwealth of Massachusetts, 1780,
art. VII, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 83.94
approvato quasi un mese prima della Costituzione. In America, quindi, i
Rights divennero il fondamento stesso del nuovo ordine politico-
costituzionale dei tredici Stati, poiché furono riconosciuti come anteriori
alla legge e ai poteri costituiti170. Secondo Jellinek, qui si riaffaccia il
divario tra le carte dei diritti inglesi e quelle americane. Se le prime, infatti,
«non hanno la forza, né l'intento, di limitare i fattori legislativi e dare forma
ai principi di una legislazione futura», al contrario le seconde si pongono
«al di sopra del legislatore ordinario171» poiché i diritti che proclamano
sono prestatali e quindi non gestibili dai poteri costituiti.
A questo proposito, sempre Jellinek sostiene che i Bills americani abbiano
introdotto
una linea di demarcazione fra Stato e individuo. Quest'ultimo è
soggetto giuridico non solo attraverso lo Stato, ma per sua stessa
natura: per questo, egli possiede diritti inalienabili e intangibili.
Di tutto ciò, le leggi inglesi non recano traccia. Quel che esse
intendono riconoscere non è un diritto naturale ed eterno, ma un
diritto ereditato dai padri, ossia gli «antichi, indubitabili diritti
del popolo inglese»172.
Considerando l'approccio americano al problema delle libertà, anche
Fioravanti vi riconosce un'affermazione del primato dei diritti dell'individuo
nei confronti dello Stato:
se i coloni decidono, nel 1776, di recidere ogni legame con la
170 Nel 1789 il problema del dare o meno la precedenza alla Dichiarazione dei diritti sarà molto discusso dai costituenti francesi in seno all'Assemblea Nazionale Costituente. Vedi ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 27-37.
171 GEORG JELLINEK, op. cit., p. 31.172 GEORG JELLINEK, op. cit., p. 32.
95
madre patria, è perché pensano che essa abbia disperso, o stia
comunque decisamente minacciando, l'intero patrimonio storico
dei diritti e delle libertà, ormai nelle mani di un parlamento che
nei fatti si ritiene sovrano ed onnipotente173.
Da qui deriverebbe la diffidenza dei coloni verso le «virtù di ogni
legislatore174» e di conseguenza il bisogno di affidare la tutela dei propri
diritti ad una costituzione, cioè ad una norma superiore anche al potere
legislativo.
Quindi per Fioravanti «la rivoluzione americana, per parte sua, si afferma
proprio contro ogni versione statualistica dei diritti e delle libertà175». Ne
deriva, secondo lui, un'idea della costituzione radicalmente opposta a quella
britannica. Per gli americani infatti questa «deve corrispondere ad un
organico testo scritto, che il corpo costituente ha voluto, e che come tale
può essere positivamente opposto ai governanti che abbiano agito in modo
illegittimo, ovvero contrario alla costituzione176». La stessa concezione di
un potere costituente, secondo Fioravanti, è estranea alla tradizione
giuridica inglese che non prevede «la possibilità di ritornare ad uno stato di
natura radicalmente inteso, nel quale gli individui possano progettare ex
novo la forma politica, sulla base di un accordo contrattuale delle
volontà177». Dunque i Bills americani superano decisamente la tradizione
giuridica inglese volendo proclamare diritti umani universali che, derivando
dalla natura stessa dell'uomo, sono indipendenti dal potere politico che li
riconosce, ma non li crea178.
Alcuni studiosi, seguendo un'impostazione più storica del problema, hanno
173 MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., pp. 83-84.174 Ivi, p. 84.175 MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., p. 83.176 MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., p. 85.177 Ivi, p. 27.178 Cfr. MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., p. 35.
96
sottolineato il ruolo svolto dalla tradizione giuridica britannica e dal passato
coloniale nella formazione delle carte americane179. Altri invece, più attenti,
come lo stesso Fioravanti, alla filosofia del diritto, hanno dato maggiore
importanza all'influenza esercitata sui Bills americani dalle dottrine
giusnaturalistiche e contrattualistiche. Sarebbero state queste, con la teoria
dei diritti naturali, universali e prestatali dell'individuo ad ampliare il
limitato raggio d'azione proprio della tradizione coloniale britannica180.
Dalle carte costituzionali degli Stati americani infatti trapela uno spiccato
individualismo di chiara matrice giusnaturalistica. Come sostiene
Matteucci, in questi Bills avviene un «passaggio dal diritto (oggettivo)
naturale ai diritti (soggettivi) naturali181». È l'individuo infatti l'unico
titolare dei diritti e delle libertà proclamati solennemente nei documenti
americani, « diritti che non deve allo Stato, ma che gli ineriscono,
espressione della sua stessa natura in quanto uscita dalle mani di Dio; diritti
che lo Stato deve rispettare, se ha alla sua base un accordo, se è consecutivo
rispetto ad essi182».
È evidente però come i due punti di vista, quello di impronta storica e
quello di impostazione filosofica, vadano tenuti assieme per giungere ad
un'analisi del problema il più possibile completa e ragionevole.
179 Al ramo storicistico degli studi sui Bills americani sono legati i nomi di Jellinek, Matteucci, Bonazzi. Secondo Jellinek, per esempio, i Bills of Rights americani e dei loro principi innovativi provengono principalmente dalle lotte per la libertà religiosa e dalla sua attuazione pratica realizzata nelle colonie. GEORG JELLINEK, op. cit., pp. 36-46. Si vedano anche NICOLA MATTEUCCI, La Rivoluzione americana, cit.; La Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America, cit.; La Rivoluzione americana, a cura di id., cit.
180 A questo filone di studi più attento alle influenze delle teorie filosofiche giusnaturalistiche appartengono invece gli studi di Fioravanti. Anche Matteucci, comunque, non è del tutto estraneo a questo tipo di impostazione. Si vedano a questo proposito NICOLA MATTEUCCI, Lo stato moderno, cit.; MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit..
181 NICOLA MATTEUCCI, Lo stato moderno, cit., p. 143.182 FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. XIX. È evidente qui l'influsso delle dottrine giusnaturalistiche,
soprattutto quella di John Locke (le cui opere erano assai conosciute nelle colonie). Jellinek contesta la tesi secondo cui la fonte delle Dichiarazioni dei diritti risieda nel pensiero di Rouessau. Per il filosofo francese, infatti, l'uomo entrando in società aliena tutti i suoi diritti individuali alla società. Dunque l'idea che nella società l'uomo possieda ancora i suoi diritti originari non può, secondo Jellinek, provenire dalla filosofia di Rousseau. Cfr. GEORG JELLINEK, op. cit., pp. 7-9.
97
Inoltriamoci ora nello studio più specifico delle carte dei diritti americane
rivolgendo un'attenzione particolare al Bill of Rights della Virginia che fu il
primo redatto ed approvato sul suolo americano (12 giugno 1776). Alla
Dichiarazione virginiana guardarono gli altri Stati americani che sul suo
esempio modellarono le proprie carte. Del 1776 sono le Dichiarazioni della
Pennsylvania, del Maryland, del Daleware, del Connecticut, del North e del
South Carolina; tra il 1777 e il 1791 seguirono quelle del Vermont, del
Massachusetts, del New Hampshire, del New York, del New Jersey e infine
quella del Rhode Island.
Il primo carattere fondamentale e innovativo dei Bills americani è, come
abbiamo già sottolineato, la posizione che essi assumono nei riguardi del
Plan of Government, ossia della sezione riguardante l'ordinamento dei
poteri. Lo Stato della Virginia dette inizio a questa pratica non solo
anteponendo il suo Bill alla Costituzione, ma addirittura adottandolo, in
forma separata, un mese prima di questa. I costituenti virginiani infatti
avevano inteso stabilire il primato assoluto dei diritti universali dell'uomo
ponendoli quale «base e fondamento del governo183».
La scelta virginiana di far precedere la Dichiarazione agli articoli sulla
forma di governo fu imitata dai costituenti degli altri Stati americani che,
pur rinunciando alla separazione fisica dei due documenti, riservarono alla
Declaration of Rights la prima parte della Costituzione184.
I primi articoli della Dichiarazione virginiana affermano l'uguaglianza e
l'indipendenza dell'uomo e proclamano i tre fondamentali diritti naturali che
183 Virginia Bill of Rights, 1776, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 45.184 Alcuni Stati, tra cui il Massachusetts e la Pennsylvania, introdussero con un preambolo le due
parti della Costituzione. In esso, oltre a ribadire i motivi dell'indipendenza dalla madrepatria, affermavano che il fine del governo era quello di proteggere e assicurare la felicità del corpo politico. Definiti i termini entro cui era consentito al popolo di recidere il contratto iniziale con cui aveva stabilito il governo, era affermata la necessità di redigere una costituzione scritta affinché i principi di tale contratto fossero fissi e noti a tutti. Il preambolo si concludeva affermando che i rappresentanti del popolo del detto Stato approvavano la seguente dichiarazione dei diritti e il seguente ordinamento dei poteri. Vedi Constitution of Pennsylvania, 1776, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., pp. 49- 51.
98
costituiscono il nucleo centrale da cui si ramificheranno le successive
libertà.
Tutti gli uomini sono da natura egualmente liberi e indipendenti,
e hanno alcuni diritti innati, di cui, entrando nello stato di
società, non possono, mediante convenzione, privare o spogliare
la loro posterità; cioè, il godimento della vita, della libertà,
mediante l'acquisto ed il possesso della proprietà, e il perseguire
ed ottenere felicità e sicurezza185.
L'incipit della Declaration degli altri Stati ricalca quasi al millimetro la
formulazione virginiana, di evidente stampo lockiano. Life, liberty and
property quindi sono i primi diritti naturali e individuali riconosciuti dalle
carte americane. Da questi vedremo discendere a cascata tutta una serie di
libertà che spaziano dal campo civile e politico a quello religioso.
La seconda e la terza sezione del Bill of Rights della Virginia entrano subito
nel merito della questione politica indicando nel popolo l'unico detentore
del potere (sez. 2, Virginia). All'origine del governo, infatti, c'è un contratto
volontario tra gli uomini, il cui unico scopo è quello di garantire il
godimento di quei diritti naturali preesistenti al governo stesso (sez. 3,
Virginia). Dunque, se «ogni potere politico risiede nel popolo e da esso
soltanto deriva186»; se «il governo è istituito per il bene comune, per la
protezione, sicurezza, prosperità, e felicità del popolo187», allora
quest'ultimo ha «un sicuro, inalienabile e indefettibile diritto a riformarlo,
mutarlo e abolirlo, in quella maniera che sarà giudicata meglio diretta al
185 Virginia Bill of Rights, 1776, sez. 1, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 45.186 Constitution of North Carolina. A Declaration of Rights, 1776, art. I, in in FELICE BATTAGLIA,
op. cit., p. 69.187 Constitution of Massachusetts. Part the first.- A Declaration of the Rights of the Inhabitants of
the Commonwealth of Massachusetts, 1780, art. VII, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 83.99
bene pubblico188».
La matrice teorica di queste prime disposizioni si può certamente
individuare nella filosofia giusnaturalistica di Locke, soprattutto per quanto
riguarda la prefigurazione dei diritti dell'uomo nello stato di natura e il
conseguente ruolo del governo189. D'altra parte è innegabile la presenza di
alcuni elementi derivati dall'ideologia puritana che aveva permeato la
società americana fin dalle sue origini. Il principio di uguaglianza e di
libertà; l'esperienza dei Covenants con i quali gli esuli inglesi si unirono in
società e si diedero un'organizzazione politica autonoma; la
consapevolezza, quindi, che ogni potere politico derivasse direttamente dai
consociati e la conseguente responsabilità dei magistrati nei confronti del
popolo («i magistrati sono i suoi fiduciari e servitori, e in ogni tempo
responsabili verso di esso190»). Tutti questi elementi derivati dalla storia
coloniale americana, appena inseriti nei Bills of Rights assumono una
valenza universale: ora infatti sono elevati al titolo di diritti naturali e
inalienabili di ogni popolo. Come sostengono Jellinek e Battaglia, infatti,
dall'individualismo politico e religioso dei primi coloni191 «sorge l'idea di
libertà religiosa, dal campo spirituale essa trapassa in quello temporale,
permeando la concezione politica delle idee di diritto naturale e di contratto
sociale, che per gli americani non furono idee astratte ma esperienza
profonda di vita192».
Questa «lineare sequenzialità dei concetti193», come la chiama Martucci, è 188 Ibidem.189 Si veda La Dichiarazione di indipendenza, cit., pp. 18-23.190 Virginia Bill of Rights, 1776, sez. 2, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 45.191 Le origini di questo individualismo sono da individuare nella situazione di vuoto politico-
istituzionale di fronte a cui si trovarono i primi coloni, quasi ritornati ad un primordiale stato di natura. Anche la tipologia di emigrati nel Nuovo Mondo ha certamente acuito questo individualismo; molte colonie, infatti, furono fondate da esuli inglesi perseguitati per motivi politici e religiosi e quindi già caratterizzati da una concezione della vita politica e religiosa autonoma, indipendente e “non ufficiale”. Cfr. GEORG JELLINEK, op. cit., pp. 37-64; NICOLA MATTEUCCI, La Rivoluzione americana, cit., pp. 185-213; TIZIANO BONAZZI, Introduzione, in La Rivoluzione americana, cit., pp. 12-26.
192 FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 40.193 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 150.
100
caratteristica di tutte le carte dei diritti americane. Dai primi tre
fondamentali diritti – alla vita, alla libertà e alla proprietà – passano infatti a
statuire che «tutti gli uomini hanno un diritto naturale ed inalienabile di
venerare Dio Onnipotente in accordo ai dettami della loro coscienza194».
Il diritto alla libertà religiosa vede le Dichiarazioni dei vari Stati esprimersi
ognuna a suo modo, secondo la tensione religiosa del proprio legislatore.
Lo Stato del Massachusetts, per esempio, dedica al tema addirittura due
articoli della sua Declaration of Rights. Il primo di questi afferma che
è diritto e dovere di tutti gli uomini in società di venerare
pubblicamente ed in tempi fissi l'essere Supremo, il grande
Creatore e Preservatore dell'Universo. E nessun individuo deve
essere leso, molestato, o diminuito, nella sua persona, libertà, o
beni, per venerare Dio nella maniera e nel tempo più adeguato ai
dettami della sua coscienza, o per la sua confessione o
sentimenti religiosi, purché egli non disturbi la pace pubblica o
impedisca altri nel loro culto195.
Il secondo articolo, invece, si occupa del culto pubblico, dell'insegnamento
della religione e delle spese per il loro stabilimento. Inoltre dichiara
illegittima la subordinazione di qualsiasi setta ad un'altra (art. III,
Massachusetts)196. La trattazione del problema della libertà religiosa nella
Declaration del Massachusetts risente in modo evidente della solida
tradizione puritana della colonia e della storia delle sue lotte intestine197.194 Constitution of North Carolina. A Declaration of Rights, 1776, art. XIX, in in FELICE
BATTAGLIA, op. cit., p. 73.195 Constitution of Massachusetts. Part the first.- A Declaration of the Rights of the Inhabitants of
the Commonwealth of Massachusetts, 1780, art. II, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 81.196 Ivi, p. 83.197 La colonia del Massachusetts infatti era nata da un insediamento puritano che ben presto, però,
si dimostrò intollerante nei confronti di altre sette (Quaccheri, Anglicani, Battisti) che emigrarono altrove. Si veda TIZIANO BONAZZI, Il sacro esperimento: teologia e politica nell'America puritana, Bologna, Il Mulino, 1970.
101
Anche la Pennsylvania, di solida tradizione quacchera, dedica un lungo
articolo alla libertà di coscienza e di culto (art. II, Pennsylvania)198. Per
quanto riguarda la Virginia, invece, il diritto alla libertà religiosa viene
proclamato in chiusura del Bill of Rights con un articolo la cui matrice è
chiaramente illuminista:
la religione, o il nostro dovere verso il Creatore, e la maniera di
assolverlo, può essere guidato solamente dalla religione e dalla
convinzione, non dalla forza o dalla violenza. Quindi, tutti gli
uomini hanno uguale diritto al libero esercizio della religione,
secondo i dettami della coscienza199.
La libertà di coscienza assume quindi un ruolo cardine nei Bills americani
perchè stabilisce un limite che lo Stato non può valicare. Come afferma
Battaglia, ad esso «per logica estensione, altri diritti ineriranno, tratti dalla
sfera morale e politica200». Anche secondo Jellinek, il principio della libertà
religiosa e della tolleranza come dovere giuridico dello Stato portarono
consequenzialmente all'affermazione di nuove libertà civili. Se la carta della
Virginia si limita a stabilire la libertà di stampa, definendola «uno dei
grandi capisaldi della libertà, e non può mai essere limitata, che da governi
dispotici201», le altre carte americane proclamano il diritto dell'uomo «alla
libertà di parola, di scrivere e di render pubblici i suoi sentimenti202» (art.
XII, Pennsylvania); il diritto naturale di tutti «ad emigrare da uno Stato ad
un altro, che li voglia ricevere; o a formare un nuovo Stato in territori
deserti […], quando pensino che, facendo ciò, possano promuovere la 198 Constitution of Pennsylvania. A Declaration of Rights of the Inhabitants of the State of
Pennsylvania, 1776, art. II, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 51.199 Virginia Bill of Rights, 1776, sez. 2, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 45.200 FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 41.201 Virginia Bill of Rights, 1776, sez. 12, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 47.202 Constitution of Pennsylvania. A Declaration of Rights of the Inhabitants of the State of
Pennsylvania, 1776, art. XII, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 55.102
propria felicità203» (art. XVII, Vermont); il diritto, «in modo ordinato e
pacifico, di radunarsi per consultarsi sul bene comune204» (art. XIX,
Massachusetts)205.
A questo punto bisogna ricordare la funzione limitativa che questi diritti
esercitavano nei confronti del potere statale: oltre ad esserne il fondamento
legittimo, ne costituivano infatti anche i limiti operativi. L'idea dei diritti
dell'uomo «legittima un determinato tipo di potere statale e delegittima gli
altri» e «coinvolge anche la struttura del processo politico di formazione
della volontà e della decisione206». Si spiega così il fatto che la
partecipazione al processo politico, le libere elezioni e la divisione dei
poteri siano annoverati tra i diritti dell'uomo in tutti i Bills americani. Questi
infatti riconoscono in tali diritti la via istituzionale attraverso la quale
possono essere assicurate le originarie libertà dell'uomo207.
Partiamo di nuovo dall'analisi del testo virginiano, il più sintetico e asciutto
tra quelli degli altri Stati. Dopo l'incipit «solenne208» (come lo definisce
Martucci) questo procede «senza perdersi dietro dettagli inessenziali o
esasperando la natura filosofica del testo209». Gli articoli seguenti, infatti,
individuano le norme operative concrete, «gli snodi essenziali del
successivo “documento” Costituzione210».
Prima di tutto, nella quarta sezione, viene affermata l'uguaglianza degli
uomini anche dal punto di vista giuridico, sociale e politico:
203 A Declaration of the Rights of the Inhabitants of the State of Vermont, 1777, art. XVII, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 79.
204 Constitution of Massachusetts. Part the first.- A Declaration of the Rights of the Inhabitants of the Commonwealth of Massachusetts, 1780, art. XIX, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 87.
205 Secondo Jellinek l'idea stessa di fissare in forma di legge i diritti sacri dell'uomo è di origine religiosa. Si veda GEORG JELLINEK, op. cit., pp. 37-51.
206 HASSO HOFMANN, op. cit., p. 385.207 Cfr. GEORG JELLINEK, op. cit., p. 54; HASSO HOFMANN, op. cit., pp. 381-387. 208 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 150.209 Ibidem.210 ROBERTO MARTUCCI, La Rivoluzione dei due mondi, cit., p. 119.
103
nessun uomo, o gruppo di uomini, ha diritto ad esclusivi o
separati emolumenti o privilegi rispetto alla comunità, salvo che
in considerazione di servizi pubblici; i quali, non essendo
trasmissibili, non debbono essere ereditari neppure gli uffici di
magistrato, di legislatore o di giudice211.
In poche righe, quindi, viene dichiarato illegittimo quel sistema di privilegi
e cariche ereditarie che caratterizzava ancora la Vecchia Europa e che
nell'emisfero occidentale non aveva trovato condizioni storiche favorevoli
alla sua affermazione. Articoli di questo genere, che ripudiano ogni tipo di
privilegio e bandiscono l'ereditarietà e la venialità delle cariche,
caratterizzano tutte le carte americane. La loro affermazione, infatti, era
percepita necessaria ai fini di un'ulteriore protezione dei diritti individuali
contro l'abuso di potere da parte dei governanti.
Le quattro sezioni successive del Bill virginiano stabiliscono in concreto gli
elementi costitutivi del futuro governo, a cominciare dalla classica
separazione dei tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario).
I poteri legislativo ed esecutivo dello Stato debbono essere
separati e distinti dal giudiziario. I membri dei due primi
possono essere impediti dalla oppressione; sentendo e
condividendo agli oneri del popolo, essi dovrebbero, in periodi
fissi, essere ridotti nello stato privato, ritornare nel corpo da cui
originariamente furono presi, ed i vuoti essere riempiti mediante
frequenti, sicure e regolari elezioni, in cui tutti, o qualche parte
dei membri precedenti, possono essere eleggibili o ineleggibili,
come indicheranno le leggi212.
211 Virginia Bill of Rights, 1776, sez. 4, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 45.212 Virginia Bill of Rights, 1776, sez. 5, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., pp. 45-47.
104
Questa formulazione, oltre a risentire dell'influenza dei principi filosofici
europei, scaturiva certamente anche dalla lunga esperienza di autogoverno
che la Virginia, e le altre colonie avevano alle spalle. Questa era dunque la
radice delle proclamazioni così innovative, come il diritto a libere elezioni e
il diritto di voto per «tutti gli uomini che hanno una sufficiente evidenza di
permanente interesse comune con la comunità, o legame con essa213».
Il potere legislativo assume un ruolo centrale nel modello governativo
delineato dal Bill of Rights della Virginia, come si evince dalla settima
sezione che recita:
ogni potere di sospendere le leggi, o la loro esecuzione, da parte di
qualsiasi autorità, senza il consenso dei rappresentanti del popolo, è
lesivo dei diritti di questo, e non deve essere esercitato214.
La Declaration di alcuni Stati americani, inoltre, conteneva esplicite
affermazioni sulla necessaria indipendenza e rettitudine dei giudici, unico
criterio valido per giudicare la loro attività (art. XXX, Maryland; art.
XXIX, Massachusetts).
In linea con la tradizione inglese e con le principali rivendicazioni della
Rivoluzione, ogni carta americana proclama esplicitamente il diritto
dell'individuo, e del popolo intero, di rifiutare quelle imposte a cui non
avesse acconsentito personalmente, o tramite i propri rappresentanti (sez. 6,
Virginia; art. VIII, Pennsylvania; art. XXIII, Massachusetts).
I rappresentanti eletti, come abbiamo già visto, sono considerati i mandatari
del popolo e quindi responsabili davanti a lui (sez. 2, Virginia). Ne deriva il
213 Virginia Bill of Rights, 1776, sez. 6, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 47.214 Virginia Bill of Rights, 1776, sez. 7, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 47.
105
diritto del popolo di rimuoverli in caso essi non rispondano alle sue
aspettative. In alcuni casi è esplicitamente affermato il diritto del popolo
alla resistenza contro l'oppressione ( art. IV, Maryland; art. X, New
Hampshire).
Quasi tutte le carte costituzionali degli Stati americani, inoltre, prevedono il
diritto dei cittadini di portare armi per lo propria difesa; l'istituzione di una
milizia (subordinata al potere civile) per la difesa dello Stato; il divieto di
mantenere eserciti permanenti in tempo di pace; tutte le disposizioni penali
di garanzia della libertà personale (Habeas corpus). La libertà dell'uomo, il
rispetto della sua integrità fisica e delle sue proprietà sono alcuni dei punti
di maggiore interesse per i costituenti americani (art. XXI e art. XXIV,
Maryland; art. XII, Massachusetts).
Tornando al Bill of Rights virginiano - che, come abbiamo potuto notare,
presenta una forma più asciutta e sintetica rispetto a quella delle altre carte
dei diritti americane – il penultimo articolo contiene una chiosa morale che
ricorda i Covenants dei primi esuli religiosi e che verrà adottata anche dalle
Declarations degli altri Stati nordamericani:
nessun libero governo, o i benefici della libertà, possono essere
conservati per un popolo, senza una ferma adesione alla
giustizia, alla moderazione, alla temperanza, alla frugalità e alla
virtù, senza frequente ricorso ai fondamentali principi215.
Con questo rapido excursus abbiamo evidenziato i tratti principali che 215 Virginia Bill of Rights, 1776, sez. 15, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 49. Una simile nota
morale caratterizza anche la conclusione della Dichiarazione d'Indipendenza approvata il 4 luglio 1776. Nonostante la sua maggiore fama e la sua importanza storica, non si può certamente affermare che questo documento rappresenti la prima dichiarazione dei diritti americana. Era stato preceduto, infatti, dal Bill of Rights della Virginia e questo, più che la Dichiarazione d'Indipendenza, fu preso come modello dai legislatori degli altri Stati americani nel redigere le proprie Dichiarazioni. Si veda FELICE BATTAGLIA, op. cit., pp. 37-38; NICOLA MATTEUCCI, Lo Stato moderno, cit., pp. 142-143.
106
caratterizzarono le Dichiarazioni dei diritti redatte dagli Stati americani in
rivolta. Anteposti al Plan of Government come «base e fondamento del
governo216», Bills e Declarations proclamavano quei diritti naturali e
universali propri di ogni uomo che il potere politico era solo chiamato a
difendere e promuovere. Questi costituiscono il fondamento legittimo del
governo - creato dalla «libera e uguale volontà dei singoli217» - e, al tempo
stesso, ne rappresentano i limiti invalicabili. Il governo rappresentativo e i
poteri ad esso affidati, sono concepiti solo in funzione della difesa dei diritti
innati del singolo. Per questo tutte le carte americane stabiliscono la
separazione dei poteri, la rotazione delle cariche (rigorosamente elettive)
attraverso frequenti e libere elezioni, la responsabilità dei rappresentanti nei
confronti della comunità e, soprattutto, il diritto del popolo a cambiare il
governo nel caso in cui venisse meno alla sua funzione di garante dei diritti.
È dal popolo che emana ogni autorità poiché esso è il solo sovrano. Ma
l'idea di “popolo” nelle Dichiarazioni americane non è separabile, anzi è
quasi connaturata all'affermazione dell'individuo come unico titolare dei
diritti. Perciò individualismo e comunitarismo, insieme, animano le carte
americane dei diritti.
Giunti alla conclusione di questo esame, sicuramente incompleto, delle
carte americane dei diritti, gettiamo uno sguardo verso quella che sembra
essere un'imperdonabile défience del sistema americano dei diritti. La
Costituzione federale degli Stati Uniti, infatti, non è premessa, né contiene
una vera e propria dichiarazione dei diritti. A tale mancanza i costituenti
americani rimediarono solo nel 1791 approvando i dieci emendamenti che
costituiscono il Bill of Rights della Costituzione. Se a prima vista questo
fatto può sembrare in contraddizione con la stessa tradizione americana, in
realtà ne è la più esemplare riconferma, come sostiene Matteucci.
216 Virginia Bill of Rights, 1776, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 45.217 La Dichiarazione di Indipendenza, cit., p. 21.
107
I diritti naturali fanno parte della costituzione e non possono
essere ad essa contrapposti: da principi ideali diventano diritti
positivi, che la costituzione con la sua organizzazione del potere
deve tutelare, perché sono norme più alte, che affondano le loro
radici nel diritto naturale218.
Secondo Matteucci, infatti, gli Americani riponevano totale fiducia nella
Costituzione e nella sua funzione di garante dei diritti (funzione esercitata
attraverso i limiti al governo da essa stessa stabiliti). Dunque per i
costituenti americani la sovranità del popolo e i diritti inalienabili degli
uomini non erano in contraddizione con la Costituzione, bensì erano il suo
contenuto più profondo219.
218 NICOLA MATTEUCCI, Lo Stato moderno, cit., pp. 146.219 Si veda Ivi, pp. 145-147.
108
2. IL DIBATTITO COSTITUZIONALE FRANCESE SULLA DÉCLARATION DES DROITS
Gli eventi americani dunque produssero una forte eco in Europa e
soprattutto in Francia perché, come afferma Martucci,
dal 1776 al 1791 quella che un tempo era stata l'America inglese
divenne uno straordinario laboratorio di sperimentazione politica
e istituzionale, a cui l'intellighenzia europea non smise di
guardare con crescente, partecipe attenzione220.
Le vicende d'oltreoceano dunque furono seguite e studiate attentamente dai
principali protagonisti del mondo politico-culturale francese che, ormai da
tempo, erano impegnati nel tentativo di riforma del proprio sistema
assolutistico.
Come abbiamo visto in precedenza, infatti, tra il 1783 e il 1792 si assistette
ad «una vera e propria inflazione di traduzioni francesi di opere americane a
contenuto costituzionale221» che alimentarono il dibattito politico nei caffè e
nei salotti di tutta la Francia222.
In questo vivacissimo contesto di scambi culturali, come abbiamo visto,
giocarono un ruolo fondamentale le traduzioni quasi estemporanee di
documenti politici americani che dal 1778 il duca La Rochefoucauld (futuro
deputato alla Costituente) pubblicò a puntate nel periodico «Affaires de
220 ROBERTO MARTUCCI, La Rivoluzione dei due mondi, cit., p. 111.221 Ivi, p. 132.222 Riguardo all'apertura internazionale del dibattito francese si veda ANNIE JOURDAN, The “Alien
Origins” of the French Revolution: American, Scottish, Genevan, and Dutch Influences, «Proceedings of the Western Society for French History», vol. 35, 2007, pp. 185-205.
109
l'Angleterre et de l'Amérique», finanziato da Benjamin Franklin223. Diffusi
ampiamente anche all'interno di un circuito meno elitario, dunque, le
Costituzioni e i Bills americani immisero prepotentemente nel dibattito
francese idee e categorie non del tutto estranee al contesto culturale
francese e che ora assumevano tutta la forza e l'incisività di «un esempio
concreto224».
Anche l'opera di Desmeuniers permise la divulgazione delle idee e del
linguaggio politico americano e anche attraverso questo «l'eredità
costituzionale americana approdò alla Costituente francese (dove
Desmeuniers sedeva nell'influentissimo e ristretto Comité de
Constitution)225».
Perciò, come afferma Saitta, «il 1789 è assai difficile a comprendersi senza
la forza emotiva dell'esempio dei coloni inglesi dell'America
settentrionale226». I deputati dell'Assemblea Costituente avevano negli occhi
i recenti fatti americani e avvertivano «la contiguità ideale dei due
avvenimenti e la filiazione dell'uno dall'altro227».
Questo è quanto emerge dalla ricostruzione del dibattito assembleare fatta
da Armando Saitta. Molti dei più influenti deputati, intervenendo sulle varie
problematiche costituzionali, invitarono l'Assemblea a meditare sui fatti
americani per trarne ispirazione o, al contrario, per tenersene a debita
distanza. La Rivoluzione dei coloni inglesi e, in particolar modo,
l'elaborazione delle nuove carte costituzionali degli Stati americani furono
un fatto storico senza precedenti con cui i politici francesi dovettero fare i
223 Riguardo alla figura del duca è interessante ricordare la sua funzione di segretario di Franklin, che in quegli anni era l'ambasciatore americano in Francia. Come ricorda Martucci, a spingerlo in tale direzione era stato lo stesso Turgot, ministro dello Stato francese. Cfr. ROBERTO MARTUCCI, Stati Uniti e Francia, cit., pp. 63-67.
224 ROBERTO MARTUCCI, Stati Uniti e Francia, cit., p. 45. L'idea stessa di una costituzione scritta e rigida, probabilmente, acquistò credibilità solo grazie al precedente americano. Cfr. Ivi, pp. 49-51.
225 ROBERTO MARTUCCI, Stati Uniti e Francia, cit., p. 69.226 ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 15.227 Ibidem.
110
conti. Abbiamo visto, infatti, come questi si confrontarono con la proposta
costituzionale americana e in quale misura lasciarono che influenzasse la
Costituzione del '91228.
A questo punto però è necessario ricordare che, contemporaneamente alle
Costituzioni dei vari Stati americani, in Francia erano apparsi anche i Bills o
Declarations of Rights che le precedevano. Le traduzioni di questi inediti
documenti avevano viaggiato insieme ai Plans of Government e avevano
raggiunto lo stesso pubblico, più o meno erudito, fino ad approdare
anch'essi all'Assemblea Costituente.
Proprio per questo allora è ragionevole chiedersi se, e in quale misura, si
possa parlare di un'influenza esercitata dalle Declarations of Rights
americane sull'idea e sulla redazione stessa della celebre Déclaration des
droits de l'homme et du citoyen del 1789. Appare poco frequentata la strada
che porta a riconoscere un debito francese nei confronti dei risultati
raggiunti dieci anni prima dagli Stati americani nella loro intensa stagione
politico-costituzionale. Ed è proprio su questa strada solitaria che vogliamo
indirizzare la nostra ricerca.
Nonostante le molte differenze che caratterizzano la Déclaration des droits
francese e le carte dei diritti americane, alcuni studiosi hanno riconosciuto
la presenza di interessanti analogie difficilmente negabili229.
228 Sulle discussioni in seno all'Assemblea Costituente riguardo alla Costituzione del '91 si rimanda a ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 87-281; ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 201-227.
229 È nota la polemica sorta tra Georg Jellinek e il francese Émile Boutmy riguardo alle origini della Déclaration des droits de l'homme et du citoyen, che il primo riconduceva ai Bills of Rights americani. Il giurista francese attaccò duramente questa teoria rivendicando la completa originalità della Déclaration le cui radici erano da cercare nella filosofia francese, soprattutto in Rousseau. Jellinek d'altronde aveva sostenuto che un'influenza decisiva era stata esercitata dal pensiero religioso protestante e dall'esperienza delle lotte di religione, più che dalla precedente filosofia francese. Anche su questo si concentrò la critica di Boutmy che insistette sulla diversità del fondamento stesso della Dichiarazione francese da quelle americane. Si veda a questo proposito, SARA LAGI, op. cit. Non sono molti gli studiosi che hanno approfondito in modo specifico il rapporto tra i Bills americani e la Déclaration francese. Tra gli studiosi che, nell'affrontare il tema, hanno in parte sostenuto la tesi di Jellinek ricordiamo Felice Battaglia, Roberto Martucci, Maurizio Fioravanti, Gilbert Chinard, Marcel Gauchet e Annie Jourdan.
111
Prima di analizzare in concreto la forma e le disposizioni del documento
approvato dall'Assemblea Nazionale il 26 agosto del 1789, focalizziamo
l'attenzione su quella parte del dibattito costituzionale francese che ebbe
come oggetto proprio l'idea di una Dichiarazione dei diritti. Questo infatti
fu il primo argomento discusso in seno all'Assemblea Nazionale
Costituente.
Come ricorda il Battaglia, «l'idea di una Dichiarazione dei diritti era
nell'aria230» da tempo. Era apparsa come un'esigenza profonda nei cahiers
de doléance redatti in vista degli Stati generali e di cui il conte Clermont-
Tonnerre illustrò i contenuti all'Assemblea il 27 luglio.
I nostri committenti, Signori, sono tutti d'accordo su un punto:
essi vogliono la rigenerazione dello Stato; ma gli uni l'hanno
attesa dalla semplice riforma degli abusi e dal ristabilimento di
una costituzione esistente da quattordici secoli […] Altri hanno
considerato il regime sociale esistente come talmente viziato da
chiedervi una costituzione nuova […] Costoro, Signori, hanno
creduto che il primo capitolo della costituzione dovesse
contenere la dichiarazione dei diritti dell'uomo; di quei diritti
imprescrittibili per il cui mantenimento la società fu stabilita.
[…] Infine, i diritti dei cittadini, la libertà, la proprietà sono
reclamati con forza da tutta la nazione francese. Essa reclama
per ciascuno dei suoi membri l'inviolabilità delle proprietà
particolari, così come reclama per se stessa l'inviolabilità della
proprietà pubblica; reclama in tutta la sua estensione la libertà
individuale, così come essa viene a stabilire per sempre la libertà
nazionale; essa reclama la libertà di stampa, o la libera
comunicazione dei pensieri; essa insorge con indignazione
contro le lettres de cachet, che disponevano arbitrariamente
230 FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 111.112
delle persone, e contro la violazione del segreto della posta, una
delle più assurde e delle più infami invenzioni del dispotismo231.
Dunque molti cahiers non solo contenevano la richiesta della dichiarazione
dei diritti, ma ne presentavano anche un progetto articolato232. Il progetto
contenuto nel cahier del Terzo stato di Parigi extra muros, per esempio,
proponeva che il primo articolo stabilisse «che tutti gli uomini sono nati
liberi e hanno un diritto eguale alla sicurezza a alla proprietà della loro
persona e dei loro beni233»; quello del del Terzo stato di Parigi intra muros
concludeva affermando che «la dichiarazione di questi diritti naturali, civili
e politici, così come essa sarà decretata negli Stati generali, diverrà la carta
nazionale e la base del governo francese234». La redazione di una carta dei
diritti, quindi, figurò tra i compiti affidati dalla stessa società francese ai
propri rappresentanti eletti agli Stati generali.
Non si può negare che in questo contesto abbiano avuto un ruolo primario,
oltre alla diffusione dei principi illuministi, i testi costituzionali americani la
cui divulgazione aumentò esponenzialmente tra il 1787 e il 1788. Proprio in
questi due anni, nota Martucci, inizò a circolare all'interno del dibattito
politico francese il riferimento ad una Déclaration des droits, termine che
divenne poi «di uso comune durante la campagna per l'elezione dei deputati
agli Stati Generali235». La lettura dei Bills americani rese i francesi
consapevoli
231 Rapporto di Clermont-Tonnerre, 27 luglio 1789, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 98-100.
232 Saitta fornisce l'esempio dei cahiers redatti dal Terzo stato di Parigi extra muros e intra muros. Si veda Ivi, pp. 7- 8.
233 Progetto di déclaration des droits del Terzo stato di Parigi extra muros, sez. II, art. I, in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 8.
234 Progetto di déclaration des droits del Terzo stato di Parigi intra muros, in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 8.
235 ROBERTO MARTUCCI, Stati Uniti e Francia, cit., p. 70.113
dell'esistenza di Stati retti da una forma repubblicana di governo,
le cui costituzioni hanno recepito principi come l'uguaglianza dei
cittadini, il droit au bonheur, la inalienabilità dei diritti
fondamentali; la legittimazione popolare di governi sempre
revocabili dai forti connotati contrattualisti; le basi elettorali
della rappresentanza politica; la divisione dei poteri pubblici e la
rotazione delle cariche236.
I Bills americani dunque contribuirono alla diffusione e al radicamento in
Francia di quei principi innovatori che costituiranno il nucleo centrale della
Déclaration des droits dell'89. Lo dimostrano i molti progetti di
dichiarazione dei diritti formulati da esponenti del mondo politico-culturale
francese ancora prima che iniziassero i lavori dell'Assemblea costituente.
A questo proposito un esempio paradigmatico ci è offerto dall'opera di
Mirabeau, Aux Bataves sur le Stathoulderat, pubblicata nel 1788, ancora
prima della convocazione degli Stati generali237. In quell'anno fondamentale
per la storia francese, il noto scrittore e politico rivolse la sua attenzione al
popolo delle Province Unite la cui libertà era minacciata non solo
dall'invasione delle truppe prussiane, ma anche dall'istituzione statolderiana
che aveva assunto tutti i caratteri di un governo tirannico238. Come
dimostrato ampiamente da Sturla, l'interesse di Mirabeau per la Repubblica
olandese non era affatto isolato. Nella Francia della seconda metà del
236 ROBERTO MARTUCCI, Stati Uniti e Francia, cit., p. 70.237 Gli studiosi hanno riscoperto solo di recente l'importanza di quest'opera nel contesto del
dibattito politico francese prerivoluzionario. Mi riferisco soprattutto al volume di Roberto Sturla dedicato alla ricezione del modello olandese nella Francia del Settecento. In questo contesto egli inserisce l'opera del 1788 di Mirabeau. Si veda dunque ROBERTO STURLA, Il modello olandese nella Francia del Settecento fra commercio, federalismo e libertà. Aux Bataves sur le Stathouderat par le Comte de Mirabeau, Firenze, CET, 2011. Per una breve nota biografica sul conte di Mirabeau si veda Ivi, pp. 67-69.
238 Fu un patriota olandese a chiedere a Mirabeau di scrivere un'opera in difesa della libertà dei Paesi Bassi: in questo modo il conte avrebbe potuto attaccare lo statolderato ormai considerato un'istituzione dispotica e antinazionale. Egli inoltre conosceva abbastanza bene la storia dell'Olanda e la sua attuale situazione, poiché vi aveva soggiornato nel 1776-77. Si veda ROBERTO STURLA, Il modello olandese nella Francia del Settecento, cit., pp. 41-56.
114
Settecento infatti «personaggi di primo piano del mondo culturale francese
avevano rivolto l'attenzione ai sistemi, sia sociali, sia costituzionali, di altri
paesi, fra cui l'Olanda, nell'intento di trarne utili indicazioni per la riforma
del sistema di assolutismo vigente in Francia239».
L'Addresse ai Batavi di Mirabeau si inserisce pienamente in questo
contesto. Alla redazione dell'opera (soprattutto per quanto riguarda la storia
delle Province Unite) contribuirono anche i patrioti olandesi Paul-Henri
Marron e Pierre-Alexandre Dumont Pigalle i quali, insieme ad esuli
ginevrini del calibro di Etienne Dumont, de Bourges ed Etienne Clavière,
facevano parte dell'Atelier di Mirabeau, centro propulsore di una incessante
attività pubblicistica240. Questo dinamico gruppo di scrittori, giornalisti e
semplici copisti impegnati in un'opera di recezione, elaborazione e
divulgazione culturale, si colloca all'interno di quel «web of exchanges
among Europeans and Americans241» in cui Annie Jourdan ha individuato il
principale veicolo di internazionalizzazione dei settecenteschi principi
rivoluzionari242.
Tornando all'Aux Bataves di Mirabeau, nonostante fosse diretto
principalmente al popolo olandese e alla sua crisi politica, è facilmente
intuibile il suo legame con le problematiche del dibattito prerivoluzionario
francese. Affrontando il tema della libertà della Province Unite e del ruolo
dello Statholder, il pamphlet di Mirabeau in realtà si inseriva pienamente
nel dibattito francese sulla sovranità della nazione e sulla funzione del Re.239 ROBERTO STURLA, Il modello olandese nella Francia del Settecento, cit., p. 14. Per un
approfondimento sulla ricezione del modello olandese nella Francia del Settecento si veda Ivi, pp.13-40.
240 Con Mirabeau collaborarono esuli ginevrini che, rifugiatisi in Francia, si inserirono nel dibattito politico-costituzionale prerivoluzionario. Etienne Clavière addirittura diventerà il Ministro della finanza durante la Rivoluzione. Anche i patrioti olandesi erano entrati in contatto con il mondo culturale francese
241 ANNIE JOURDAN, The “Alien Origins” of the French Revolution, cit., p. 186.242 Annie Jourdan ha studiato nello specifico i contatti tra i patrioti europei e americani del XVIII
secolo e ha così evidenziato la pluralità delle matrici della Rivoluzione francese. Aux Bataves di Mirabeau da questo punto di vista ci offre un'interessante panoramica sulle interazioni fra i patrioti internazionali negli anni precedenti la Rivoluzione francese Si veda ANNIE JOURDAN, The “Alien Origins” of the French Revolution, cit., pp. 185-205.
115
Analizzando la storia della nazione olandese egli metteva in evidenza il
carattere libertario di questo popolo che aveva sempre goduto di una elevata
libertà civile. Quello che ora mancava ai Batavi era la libertà nella sfera
politica. Proprio su questo punto insistette il conte, certamente stimolato
dall'analogia con la situazione francese.
Bataves! En vain vous jouissiez de la liberté civile; vous le savez
trop aujourd'hui, elle est mal assurèè sans la liberté politique.
Les funestes événemens de votre dernière guerre contre les
anglois, ont montré qu'avec la liberté civile, une nation peut être
trahie, vexée, ruinée, asservie. Vous avez senti la nécessité de
reconquérir vos droits243.
Nonostante i notevoli progressi fatti dalle Province Unite nel campo delle
libertà civili, quindi, Mirabeau sentiva l'urgenza di offrire al popolo
olandese
le tableau des droits qui vous appartiennent en qualité
d'hommes; de ces droits antérieurs et supérieurs à toutes
conventions; de ces droits inaliénables, imprescriptibles, qu'il est
absurde de subordonner à des titres écrits; de ces droits, base
commune, base éternelle de toute association politique244.
Quella di Mirabeau è una «Déclaration des droits de tout peuple qui veut la
liberté245». In queste parole risuona l'eco dei preamboli costituzionali
americani e della loro apertura universalistica ed è lo stesso autore a 243 HONORÉ GABRIEL RIQUETI MIRABEAU, Aux Bataves sur le Stathouderat, 1788, in ROBERTO
STURLA, Il modello olandese nella Francia del Settecento, cit., p. 188.244 HONORÉ G. R. MIRABEAU, Aux Bataves sur le Stathouderat, op. cit., pp. 188-189.245 Ivi, p. 189.
116
ricordare il precedente esempio americano.
Epars dans votre constitution, plus rassemblés dans celle de
l'Amerique, successivement démontrés par les diverses périodes
de votre histoire, scelés du sang de vos ancêtres, ils sont tels que
les exige impérieusement le pays que vous habitez, e tel que
sans eux il est impossible à l'espèce humaine, sous aucun climat,
de conserver sa dignité, de se perfectionner, de jouir
tranquillement des faveurs de la nature246.
Questo breve accenno alla Costituzione americana non è solo un generale
richiamo alla realtà americana, che evidentemente Mirabeau e i suoi
collaboratori conoscevano bene247. Uno studio attento del Tableau des droits
infatti mostra l'esistenza di connessioni più profonde con i Bills americani.
A mio parere la storiografia non ha posto la dovuta attenzione sul rapporto
tra questa, che sembra essere la prima dichiarazione dei diritti pubblicata in
Francia, e le carte dei diritti americane. Finora ci si è limitati a vedere nei
Bills americani solo un modello a cui Mirabeau si sarebbe ispirato248. In
realtà, come abbiamo detto prima, la connessione è più profonda. Il
progetto conta 26 articoli, ognuno dei quali viene prima enunciato in forma 246 Ivi, p. 189.247 Come attesta Annie Jourdan, i documenti americani erano circolati anche nelle Province Unite.
Inoltre John Adams vi aveva soggiornato in qualità di ambasciatore americano al fine di ottenere un prestito per la guerra d'indipendenza. La sua presenza certamente contribuì alla diffusione dei nuovi principi del governo americano. Si veda ANNIE JOURDAN, The “Alien Origins” of the French Revolution, cit., pp. 189-191.
248 Georg Jellinek nel 1895 aveva accennato all'Addresse di Mirabeau cogliendone il modello nei Bills americani, GEORG JELLINEK, op. cit., p. 13. Più recentemente, Annie Jourdan ha evidenziato in varie occasioni questo rapporto del Tableau di Mirabeau con le carte dei diritti americane ma, senza andare nello specifico, si è espressa in termini di “vicinanza” o “modello”, ANNIE JOURDAN, The “Alien Origins” of the French Revolution, cit., pp. 191-192; id, Bataven! Nederlandse vluchtelingen in Frankrijk 1787-1795, «Annales historiques de la Révolution Française», 339, janviers-mars, 2005, pp. 181-183. Nel lavoro di Roberto Sturla il Tableau di Mirabeau è inquadrato nella prospettiva più ampia della recezione del modello olandese nella Francia settecentesca, e forse per questo manca qualsiasi riferimento al rapporto Tableau-Bills americani, ROBERTO STURLA, Il modello olandese nella Francia del Settecento, cit., pp. 41-56.
117
concisa e poi commentato più diffusamente attraverso esempi tratti dalla
storia delle Province Unite. Dalla lettura degli articoli risulta non solo una
sostanziale corrispondenza contenutistica e formale tra gli articoli del
Tableau di Mirabeau e quelli dei Bills of Rights americani – in particolare
quello del Massachusetts (1780) – ma alcuni articoli riportano proprio una
traduzione letterale dei corrispondenti americani. Che Mirabeau avesse tra
le mani una traduzione francese dei documenti americani è un fatto molto
importante, considerando anche che il suo Atelier era uno dei più importanti
centri di produzione e diffusione di testi politico-culturali dell'epoca. Inoltre
Mirabeau era un personaggio politico di spicco che giocherà un ruolo attivo
all'interno dell'Assemblea Nazionale e dei suoi Comitati di costituzione.
Nella seguente tavola abbiamo operato un confronto tra gli articoli del
Tableau di Mirabeu che più di tutti testimoniano questa chiara filiazione dai
Bills americani, e in particolare da quello del Massachusetts.
Tableau des droits contenuto in Aux Batave sur le Stathouderat di
Mirabeau249
Bills of Rights americani250
I. Tous les hommes sont nés libres et égaux.
Massachusetts, art. I. All men are born free and equal.
II. Tout pouvoir étant émané du peuple, les différens magistrats ou officiers du gouvernement, revêtus d'une autorité quelconque législative, exécutive ou Judiciarie, lui doivent
Massachusetts, art. V. All power residing originally in the people, and being derived from them, the several magistrates and officers of government vested with authority, whether
249 HONORÉ G. R. MIRABEAU, Aux Bataves sur le Stathouderat, op. cit., pp. 189-210.250 Per gli articoli del Bill of Rights della Virginia, della Declaration of Rights del Massachusetts e
del Maryland si rimanda a FELICE BATTAGLIA, op. cit., pp. 44-89.118
compte dans tous les temps. legislative, executive, or judicial, are the substitutes and agents, and are at all times accountable to them.
III. Le peuple pour le bonheur de qui le gouvernement est institué, a le droit inaliénable de le réformer, de le corriger, ou de le changer totalement lorsque son bonheur l'exige.
Massachusetts, art. VII. Government is instituted for the common good, for the protection, safety, prosperity, and happiness of the people […]; therefore the people alone have an incontestable, unalienable, and indefeasible right to institute government, and to reform, alter, or totally change the same when their protection, safety, prosperity, and happiness require it.
IV. Le peuple a le droit de remplir les emplois vacans par des élections et des nominations régulières, et de faire rentrer ses officiers publics dans la vie privée, à certaines époques.
Massachusetts, art. VIII. […] the people have a right at such periods and in such manners as they shall estabilish by their frame of government, to cause their public officers to return to private life; and to fill up vacant places by certain and regular elections and appointments.
V. Toutes les élections doivent être libres, et tout homme donnant une preuve suffisante d'un intérêt permanent, et de l'attachement qui en est la suite, a droit à élire les officiers et à être élu pour emplois publics.
Massachusetts, art. IX. All elections ought to be free; and all the inhabitants of this commonwealth, having such qualifications as they shall estabilish by their frame of government, have an equal right to elect officers, and to be elected, for public employments.
Virginia, sez. 6. The elections of members to serve as representatives of the people, in assembly, ought to be free; and that all men, having sufficient evidence of permanent common interest with, and attachment to, the community, have the right to suffrage […].
VI. Le peuple a droits de s'assembler pour consulter sur le bien commun. Il a droit de donner des instructions à ses représentans, et de requérir du corps législatif, par des adresses ou des remontrances, le redressement des torts qui lui ont èté fait, et le soulagement des maux qu'il souffre.
Massachusetts, art. XIX. The people have a right, in an orderly and peaceable manner, to assemble to consult upon the common good; give instructions to their representatives, and to request of the legislative body, by the way of addresses, petitions, or remostrances, redress of the wrongs done them, and of
119
the grievances they suffer.
VII. La liberté des délibérations dans les assemblées est si essentielle, qu'aucun des discours qui s'y sont tenus, ne doit servir de pretexte à aucune action ou plainte dans aucune Cour.
Massachusetts, art. XXI. The freedom of deliberation, speech, and debate, in either house of the legislature, is so essential to the rights of the people, that it cannot be foundation of any accusation or prosecution, action or complaint, in any other court or place whatsoever.
X. Pour que les loix gouvernent et non les hommes, il faut que les départemens législatifs, exécutifs et judiciaires soient totalement séparés.
Massachusetts, art. XXX. In the government of this commonwealth. the legislative department shall never exercise the executive and judicial powers, or either of them; the executive shall never exercise the legislative and judicial powers, or either of them; the judicial shall never exercise the legislative and executive powers, or either of them; to the end it may be a government of laws, and not of men.
XI. Le droit de suspendre les loix, ou d'eu arrêter l'exécution, ou méme de les annuller, ne peut étre exercé que par le pouvoir législatif.
Massachusetts, art. XX. The power of suspending the laws, or the execution of the laws, ought never to be exercised but by the legislature, or by authority derived from it [...].
XII. Un peuple ne peut conserver un gouvernement libre que par une adhésion ferme et constant aux règles de la justice, de la modération, de la tempérance, de l'économie, de la vertu, et par un recours fréquent à ses principes fondamentaux.
Massachusetts, art. XVIII. A frequent recurrence to the fundamental principles of the constitution, and a constant adherence to those of piety, justice, moderation, temperance, industry, and frugality, are absolutely necessary to preserve the advantages of liberty and to maintain a free government.
Virginia, sez. 15. That no free government, or the blessings of liberty, can be preserved to any people, but by a firm adherence to justice, moderation, temperance, frugality, and virtue, and by frequent recurrence to fundamental principles.
XIII. Le peuple a droit d'avoir et de porter des armes pour la défense
Massachusetts, art. XVII. The people have a right to keep and to bear arms for
120
commune. the common defence.
XIV. Une milice bien réglée est la défense convenable, naturelle et sûre d'un Gouvernement libre.
Virginia, sez. 13. That a well-regulated militia, composed of the body of the people, trained to arms, is the power, natural, and safe defence of a free State.
XV. Des armées toujours sur pied sont dangereuses la liberté, il ne doit être levé ni entretenu de troupes, sans le consentement du corps législatif: il faut aussi que le pouvoir militaire soit toujours sévérement subordonné, à l'autorité civile.
Massachusetts, art. XVII. […]. And as, in time of peace, armies are dangerous to liberty, they ought not to be mainteined without the consent of the legislature; and the military power shall always be held in an exact subordination to the civil authority and be governed by it.
XVI. Aucune partie de la proprièté d'un individu ne peut avec justice lui être appliquée à des usages publics, sans son propre consentement, ou celui du corps qui représente le peuple.
Massachusetts, art. X. […] no part of the property of any individual can, with justice, be taken from him, or applied to public uses, without his own consent, or that of the representatives body of the people.
XVII. Tout citoyen doit obtenir justice promptement, gratuitement, complettement. Quand la justice se paye, elle ne peut se rendre, ni promptement, ni complettement; et c'est alors le plus intolérable de tous les impôts.
Massachusetts, art. XI. Every subject of the commonwealth ought to find a certani remedy, by having recourse to the laws, for all injuries or wrongs wich he may receive in his person, property, or character. He ought to obtain right and justice freely, and without being obliged to purchase it; completely, and without any denial; promptly, and without delay, conformably to the laws.
Maryland, art. XVII. That every freeman, for any injury done him in his person or property ought to have remedy, by the course of the law of the land, and ought to have justice and right freely without sale, fully without any denial, and speedily delay, accordin to the law of the land.
XVIII. Aucune citoyen ne doit être exilé ou privé de la vie, de la liberté, ou de ses biens, que par un jugement authentique.
Massachusetts, art. XII. […] And no subiect shall be arrested, imprisoned, despoiled, or deprived of his property, immunities, or privileges, put out of the protection of the laws, exiled or
121
deprived of his life, liberty, or estate, but by the judgement of his peers, or the law of the land.
XX. Tout citoyen a droit d'être à l'abri de toutes recherches et de toutes saisies de sa personne, de ses maisons, de ses papiers, de ses possessions.
Massachusetts, art. XIV. Every subject has a right to be secure from all unreasonable searches and seizures of his person, his houses, his papers, and all his possessions.
XXI. Il faut que les officiers des Cours supreme de judicature ayent un salaire honorable er qu'ils soient maintenus dans leurs offices aussi long-temps qu'ils ne donnent aucun sujet de plainte légale. Leur indépendance et leur intègrité sont les meilleurs garans des droits et de la liberté des citoyens.
Massachusetts, art. XXIX. It is essential to the preservation of the rights of every individual, his life, liberty, property, and character, that there be an impartial interpretation of the laws, and administration of justice. […] the judges of the supreme judicial court should hold their offices as long as they behave themselves well, and that they should have honorable salaries ascertained and estabilished by standing laws.
XXII. Quant aux poursuites criminelles, la vérification des faits dans le voisinage des lieux où ils se sont passés, est de la plus grande importance pour la sûreté de la vie, de la liberté et de la propriété des citoyens.
Massachusetts, art. XIII. In criminal prosecutions, the verification of facts, in the vicinity where they happen, is one of the greatest securities of the life, liberty, and property of the citizen.
XXIII. Les substitutions perpétuelles at les privilèges exclusifs sont odieux, contraires à l'esprit d'un gouvernement libre et aux principes du commerce.
Maryland, art. XXXIX. That monopolies are odious, contrary to the spirit of a free government, and the principles of commerce; and ought not to be suffered.
XXIV. Aucune classe, aucune association d'hommes ne pouvant avoir de privilèges exclusifs que pour des services rendus à l'Etat, et les titres n'étant point héréditaires par leur essence, l'idée d'un homme né magistrat, législateur ou général, est absurde et contre nature.
Massachusetts, art. VI. No man nor corporation or association of men have any other title to obtain advantages, or particular and exclusive privileges distinct from those of the community, than what rises from the consideration of services rendered to the public, and this title being in nature neither hereditary nor transmissible to children or descendants or relations by blood; the idea of a man born a magistrate, lawgiver, or judge is absurd and
122
unnatural.
Da questo semplice prospetto risulta chiaro, non solo che Mirabeau e i suoi
collaboratori olandesi conoscevano bene i documenti costituzionali
d'oltreoceano, ma anche che li avevano assunti come modello principale per
il loro stesso progetto di dichiarazione. Oltre ad acquisirne i nuovi termini e
le formule specifiche, ne avevano ripreso il contenuto tematico. Infatti
accanto alle tradizionali disposizioni inglesi dell'Habeas corpus e della
tutela della proprietà, nel Tableau compaiono alcuni diritti la cui matrice è
chiaramente americana. È il caso, per esempio, del diritto del popolo di
riunirsi per consultarsi sul bene comune (art. VI); del diritto alla libertà di
stampa, posto a chiusura del progetto (art. XXVI)251. Provenienti dal
contesto americano sono anche l'art. XXI – che stabilisce l'indipendenza del
potere giudiziario, i lunghi mandati e gli stipendi onorevoli per i giudici – e
l'art. XII che contiene un richiamo morale identico a quello formulato in
tutti i Bills americani252.
Nella parte conclusiva dell'opera Mirabeau invita calorosamente i Batavi a
proclamare questi diritti in nome dell'Europa e dell'umanità, affinché in
ogni luogo vengano spezzate le catene del dispotismo. Il conte a questo
punto dimostra di aver avuto sempre negli occhi la situazione del proprio
paese, accennando all'importanza che avrebbe avuto la liberazione
dell'Olanda per quei popoli ancora oppressi.
Soyez tout-à-la-fois les libérateurs de votre pays, et les
251 «La libertè de la presse doit être inviolablement maintenue», HONORÉ G. R. MIRABEAU, Aux Bataves sur le Stathouderat, op. cit., p. 210. Nelle Province Unite vigeva già da tempo un'ampia libertà di stampa. Ecco perché Mirabeau si preoccupa più del suo mantenimento che della sua affermazione come diritto dell'uomo.
252 Sull'influenza dell'esperienza costituzionale americana in Mirabeau, si veda ANNIE JOURDAN, The “Alien Origins” of the French Revolution, cit., pp. 191-194; id, Bataven!, cit., pp. 181-183.
123
bienfaiteurs de ces peuples qui vous observent avec tant d'intérêt
et d'inquiétude, parce que leur tranquillité, leur régénération
peut-être dépendent de vos triomphes..... Bataves! Point de
délais253.
Dunque a ben guardare, l'Aux Batave che Mirabeau pubblicò pochi mesi
prima della convocazione degli Stati generali254 non è un'opera da confinare
entro la cornice storico-politica delle Province Unite. In essa il conte coglie
l'occasione per affrontare indirettamente alcune delle questioni che
riguardavano la stessa Francia, dal tema della libertà e dell'uguaglianza, a
quello della sovranità nazionale e del ruolo del Re. Inoltre Mirabeau sembra
recepire attivamente gli stimoli culturali e politici che continuavano a
giungere da oltre l'Atlantico e che rielabora in funzione del contesto
olandese e francese. Come sottolinea Annie Jourdan, l'appello ai Batavi
contiene «la première déclaration des droits de l'homme publiée en France
et dont le style et le contenu sont proches des préambules aux constitutions
de Virginie ou du Massachusetts255». L'opera di Mirabeau è quindi un'utile
piattaforma da cui partire nella disamina del dibattito costituzionale
francese sulla Dichiarazione dei diritti anche in forza, come abbiamo detto
prima, del ruolo giocato dal conte nei lavori dell'Assemblea Nazionale.
Bisogna ricordare infatti che Mirabeau fu membro del Comitato dei cinque
che il 12 agosto l'Assemblea Nazionale incaricò della redazione di un
progetto di Dichiarazione presentato il 17 agosto proprio per bocca di
Mirabeau256.253 HONORÉ G. R. MIRABEAU, Aux Bataves sur le Stathouderat, op. cit., pp. 216-217.254 L'opera infatti è datata 1° Aprile 1788. Gli Stati generali verranno convocati nell'estate dello
stesso anno, precisamente l'8 agosto 1788. Mirabeau in persona vi si candidò e fu eletto come rappresentante del Terzo stato di Aix-en-Provence e di Marsiglia.
255 ANNIE JOURDAN, Bataven!, cit., p. 181. L'impronta americana del Tableau di Mirabeau era già stata notata da Georg Jellinek in GEORG JELLINEK, op. cit., p. 13.
256 Il progetto, con i suoi 19 articoli «redatti più come tesi filosofiche che come articoli giuridici», non riceverà un'accoglienza favorevole da parte dell'Assemblea. Contro lo stesso Mirabeau si scagliarono le critiche violente di alcuni dei più influenti deputati tra cui Reubell, Adrien Duport e Barnave. A questo proposito si veda ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 68-77. Sul ruolo di Mirabeau alla Costituente cfr. ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 51-53.
124
Abbiamo accennato al fatto che già prima del luglio '89 – quando cioè
ebbero inizio i lavori dell'Assemblea costituente – molti futuri deputati,
certamente spronati dall'esempio americano, si erano cimentati nella
redazione di una dichiarazione dei diritti. Tra questi, oltre a Mirabeau,
ricordiamo i nomi di alcuni américanistes come La Fayette, Duport, Du
Pont, Talleyrand e Sieyès257.
Il marchese di Condorcet non fu da meno. Ammirato osservatore dello
«spettacolo offerto dalle giovani repubbliche d'oltre Atlantico258», nei suoi
numerosi scritti “americani” Condorcet aveva lodato soprattutto
l'uguaglianza sociale, la libertà religiosa, d'associazione e di stampa vigenti
nel Nuovo Mondo. Nel suo De l'influence de la Révolution d'Amérique sur
l'Europe (1786) egli aveva riconosciuto l'importanza storica e politica della
proclamazione universale dei diritti dell'uomo avvenuta in America. Per la
prima volta quei principi filosofici che già Voltaire e Montesquieu avevano
enunciato, avevano trovato una sistemazione giuridica concreta e
accessibile a tutti:
L'America ci ha dato questo esempio. L'atto che ha dichiarato la
sua indipendenza è una esposizione semplice e sublime di questi
diritti così sacri e così lungamente dimenticati. In nessuna
nazione sono stati né così ben conosciuti né conservati in una
integrità così perfetta259.
L'importanza di una dichiarazione dei diritti era stata percepita chiaramente
dal marchese che, sempre in quel saggio, ne aveva proposto una sua
personale formulazione. Nell'ottica del philosophe illuminista, quattro erano 257 Per i testi di questi e altri progetti di Dichiarazione dei diritti (poi presentati all'Assemblea) si
rimanda a ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 28-85.258 GABRIELE MAGRIN, Condorcet, cit., p. 23.259 Condorcet, De l'influence de la Révolution d'Amérique, 1788, in GABRIELE MAGRIN, Condorcet,
cit., p. 33.125
i diritti fondamentali dell'uomo, da cui poi gli altri discendevano per
deduzione:
1) la sicurezza personale, sicurezza che comporta l'assicurazione
di non essere disturbato da nessuna violenza, né all'interno della
propria famiglia, né nell'impiego delle proprie facoltà […], 2) la
sicurezza e il libero godimento della proprietà, 3) […] il diritto
di non essere sottoposti che a leggi generali, che si estendano
all'universalità dei cittadini, la cui interpretazione non possa
essere arbitraria e la cui esecuzione sia confidata a mani
imparziali, 4) il diritto di contribuire, sia immediatamente, sia
attraverso i rappresentanti, alla formazione di queste leggi
[…]260.
Dunque la sicurezza e la libertà della persona; la sicurezza e la libertà della
proprietà; l'uguaglianza dei diritti politici. Questi soli sono i diritti che
l'uomo possiede nello stato di natura e che, entrando in società, si ampliano
riflettendo l'espansione dell'attività umana261. Anche Condorcet aveva
assimilato dal contesto americano la necessità di una proclamazione solenne
dei diritti dell'uomo, e questo ancora prima della convocazione degli Stati
generali. Di recente Magrin ha pubblicato un manoscritto inedito di
Condorcet, interamente dedicato al problema della Dichiarazione dei diritti, 260 Condorcet, De l'influence de la Révolution d'Amérique, 1786, citato in GABRIELE MAGRIN,
Condorcet, ci., p. 26. Nei suoi studi Gabriele Magrin ci ha fornito un ampio quadro di lettura sulle ripercussioni che la Rivoluzione americana e la sua esperienza giuridica hanno avuto sul pensiero del Condorcet prerivoluzionario. Secondo lo storico, infatti, nel percorso filosofico-politico del marchese ha avuto un ruolo fondamentale la rielaborazione di alcuni concetti americani, soprattutto quello di “costituzione scritta” e di “dichiarazione dei diritti dell'uomo”. Per un approfondimento si veda Ivi, pp. 19-71.
261 Secondo Condorcet l'incremento delle relazioni tra gli uomini nello stato di società porta ad un'espansione delle loro facoltà originarie e quindi delle libertà e dei vincoli annessi. Lo stato sociale, infatti, è caratterizzato da un progressivo perfezionamento dell'uomo che porta conseguentemente ad una ridefinizione e ad un ampliamento continuo dei suoi diritti. Per un approfondimento si veda GABRIELE MAGRIN, Condorcet, cit., pp. 28-42; CONDORCET, Dichiarare i diritti, costituire i poteri. Un inedito sulla dichiarazione dei diritti dell'uomo, a cura di Gabriele Magrin, Milano, Giuffrè, 2011, pp. 17-20.
126
in cui il philosophe «fissa i principi ispiratori, ne tratteggia a più riprese lo
schema generale, abbozza la scrittura di alcuni articoli262». Il marchese ne
iniziò la stesura i primi giorni del luglio 1789 – proprio a ridosso dell'inizio
della discussione in seno all'Assemblea Nazionale Costituente – e la
abbandonò poco dopo per dedicarsi alla stesura di un più completo progetto
di Dichiarazione dei diritti con cui sperava di influenzare i lavori
dell'Assemblea263. Anche qui, in questa specie di trattato filosofico in cui si
ritrovano «tutti i principali elementi teorici di una dottrina della costituzione
in fieri264», Condorcet torna nuovamente a considerare l'importanza storica
dell'esempio americano per l'affermazione dei diritti dell'uomo in Europa.
Questa riflessione è contenuta nell'introduzione al progetto di Dichiarazione
i cui articoli sono purtroppo solo abbozzati.
Come già aveva fatto nel De l'influence de la Révolution d'Amérique, il
philosophe indica nei diritti sanciti dalle carte americane la realizzazione di
quei principi filosofici che uomini illuminati come Montesquieu e Voltaire
avevano già enunciato, ma che finora erano rimasti sconosciuti alla maggior
parte degli uomini.
Les droits des hommes n'avaient été jusqu'à ces derniers tems qu'un
secret {à peine} à demi connu d'un petit nombre de philosophes
←presque toujours forcés de les couvrir d'un voile que les yeux
pénétrans pouvaient seuls percer.* {una riga, illeggibile} (cinque righe
262 GABRIELE MAGRIN, Dichiarare i diritti, costituire i poteri, cit., p. 1.263 Del progetto di dichiarazione di Condorcet abbiamo due versioni, entrambe del 1789. Iin
quest'anno venne dato alle stampe solo il secondo dei due. In essi il marchese ripropone la stessa suddivisione dei diritti, elencando tutte le conseguenze eventuali e immediate che ne derivavano. Condorcet infatti sosteneva che una formulazione troppo concisa dei diritti dell'uomo avrebbe lasciato spazio a future incomprensioni o riadattamenti pericolosi. Per questo era necessario fissare in principio tutte le conseguenze che sarebbero derivate dai diritti enunciati. Inoltre il marchese, sulla stessa linea di Jefferson e Paine, prevedeva una revisione periodica della Dichiarazione così che le generazioni future non rimanessero schiave di quelle precedenti. Per un approfondimento si veda CONDORCET, Dichiarare i diritti, costituire i poteri, op. cit.
264 CONDORCET, Dichiarare i diritti, costituire i poteri, op. cit., pp. 2-3.127
illeggibili).
La révolution d'Amérique l'a déchiré; il était impossible
d'empêcher les réclamations d'un grand peuple de retentir dans
toute l'Europe. Les papiers publics {una riga, illeggibile} soumis à la
plus grande censure ont été remplis des mêmes principes ←qui peu
d'années auparavant {due righe, illeggibili} auraient exposé à une
persécution violente, et bientôt les vérités si longtems méconnues
sont devenu [sic] le patrimoine commun de tous les hommes.* Les
habitans de toutes les parties de l'Europe ont senti que la jouissance
de leurs droits était le seul fondement de la prospérité publique, de
la paix des étas, comme du bien être des particuliers.265
Con queste parole il marchese di Condorcet introduce la discussione vera e
propria sugli articoli della Dichiarazione dei diritti. Ancora una volta viene
riconfermato il valore universale dell'esempio americano che, secondo il
philosophe, «sta nell'aver fatto dei diritti dell'uomo immortalati nelle
dichiarazioni la base della Costituzione266». Magrin sottolinea come per
Condorcet sia proprio questa «identità assoluta tra i diritti di derivazione
filosofica e quelli sanciti dalle dichiarazioni americane» ad essere «la
ragione ultima della propagazione in Francia, pochi anni dopo, dei
medesimi principi267».
Le opere di Mirabeau e Condorcet che abbiamo analizzato attestano la
diffusione che l'idea di una dichiarazione dei diritti aveva raggiunto in
Francia negli anni precedenti la Rivoluzione. Ancora prima della riunione
degli Stati generali l'editoria francese divulgava numerosi progetti di
Dichiarazione redatti da esponenti del mondo culturale e politico. Come ha
265 Condorcet, Pièces relatives à un ouvrage sur la Déclaration des Droits, 1789, in CONDORCET, Dichiarare i diritti, costituire i poteri, op. cit., pp. 58-59. Nel riportare il testo ho seguito le norme di trascrizione usate dal curatore Mercurio Candela a cui rimando (Ivi, pp. 43-45).
266 GABRIELE MAGRIN, Condorcet, cit., p. 47.267 GABRIELE MAGRIN, Condorcet, cit., p. 33.
128
giustamente affermato Annie Jourdan,
because of their participation in radical cosmopolitan intellectual
circles, Mirabeau, Condorcet, Clavière, and Lafayette had a
draft of a bill of rights ready several months before the meeting
of the Estates General268.
Sono gli stessi autori francesi, impegnati nell'adattamento delle novità
d'oltreoceano alla propria secolare realtà, a riconoscere l'origine americana
di questo nuovo fermento intorno ai diritti. I Bills of Rights americani
contenevano principi che una parte del mondo culturale francese aveva già
accolto e, in qualche caso, professato perché pervasi dalla cultura
illuminista. Solo ora però essi ricevevano una formulazione giuridico-
costituzionale concreta e dalla valenza fortemente prescrittiva. Se i Rights
americani precedevano l'ordinamento vero e proprio dei poteri era proprio
perchè erano considerati i «cardini dell'établissement public269».
I lavori dell'Assemblea Nazionale iniziarono quindi sull'onda emotiva degli
straordinari eventi americani i cui documenti politici erano conosciuti dalla
maggior parte dei deputati francesi. Così, quando il 6 luglio 1789 si riunì il
Comitato incaricato dei lavori preparatori per la costituzione, il primo punto
messo all'ordine del giorno fu la stesura di una Dichiarazione dei diritti,
come affermò Mounier, che ne era il presidente:
il Comitato ha ritenuto che sarebbe conveniente, per ricordare lo
scopo della nostra costituzione, farla precedere da una
dichiarazione dei diritti degli uomini270.268 ANNIE JOURDAN, The “Alien Origins” of the French Revolution, cit., p. 203.269 ROBERTO MARTUCCI, Stati Uniti e Francia, cit., p. 70.270 Jean-Joseph Mounier, Rapporto all'Assemblea Nazionale, 9 luglio 1789, citato in ARMANDO
SAITTA, op. cit., p. 27.129
Abbiamo visto che i Bills americani avevano avuto un ruolo fondamentale
nella diffusione di un tale termine nel dibattito costituzionale francese
prerivoluzionario. Già prima dell'89 molti intellettuali e politici francesi di
spicco si erano cimentati nella redazione di un proprio progetto di
Déclaration.
Non è arbitrario dunque affermare la matrice americana dell'idea – accettata
quasi all'unanimità dall'Assemblea Costituente – di stendere una
Dichiarazione dei diritti dell'uomo. Gli stessi deputati, a più riprese durante
il dibattito assembleare, avevano ammesso questa filiazione dalla
precedente esperienza americana, pur consapevoli dell'esistenza di profonde
differenze fra i due mondi271. Su tutti è esemplare l'asserzione con cui si
apre il rapporto del 27 luglio dell'arcivescovo Champion de Cicé, chiamato
a presentare i progetti di Dichiarazione di Mounier e Sieyès:
questa nobile idea [di una dichiarazione dei diritti], concepita in
un altro emisfero, doveva di preferenza trapiantarsi innanzi tutto
tra noi. Noi abbiamo concorso agli avvenimenti che hanno reso
all'America settentrionale la sua libertà: essa ci mostra su quali
principi noi dobbiamo poggiare la conservazione della nostra; ed
è il Nuovo Mondo, ove noi avevamo recato un tempo soltanto
delle catene, che oggi c'insegna a garantirci dalla sciagura di
portarne noi stessi272.
271 Il deputato monarchien Malouet, per esempio, intervenendo nella discussione sulla Dichiarazione dei diritti, aveva sottolineato il differente sviluppo storico di un paese nuovo come l'America in cui gli uomini erano stati fin dall'inizio abituati ad un'uguaglianza e una libertà che i cittadini francesi non avevano mai sperimentato. Vedi nota n. 30 in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 15.
272 Arcivescovo Champion de Cicé, Rapporto fatto a nome del Comitato per l'Assemblea Nazionale, 27 luglio 1789, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 45.
130
I costituenti francesi dunque recepirono dall'esperienza costituzionale
americana l'idea di una dichiarazione solenne dei diritti dell'uomo. I Bills of
Rights dei tredici Stati americani, premessi alle carte costituzionali,
sembravano offrire una formula giuridica adatta al bisogno, che ormai
pervadeva tutta la società francese, di proclamare la libertà dai legami
oppressivi dell'Ancien Régime.
Se unanime dunque fu la richiesta di una Dichiarazione, le posizioni si
divisero radicalmente riguardo alla decisione di premetterla o meno al testo
costituzionale e ne scaturì un dibattito assai lungo in cui il riferimento
all'America, per uno scopo o per l'altro, fu onnipresente.
Quando l'11 luglio La Fayette invitò l'Assemblea a redigere una
dichiarazione dei diritti (di cui presentò un suo progetto riguardo al quale
aveva consultato lo stesso Jefferson) propose anche che questa, sull'esempio
nordamericano, fosse anteposta alla Costituzione, proprio perché conteneva
«i primi principi di ogni costituzione, i primi elementi di ogni
legislazione273». Ne riportiamo il testo integrale perché dalla sua lettura
risulta chiara la filiazione dalle carte dei diritti americane, soprattutto dal
Bill della Virginia di cui riprende la forma breve e asciutta:
La natura ha fatto gli uomini liberi ed eguali; le distinzioni
necessarie all'ordine sociale sono fondate soltanto sull'utilità generale.
Ogni uomo nasce con dei diritti inalienabili e
imprescrittibili; sono tali la libertà di tutte le sue opinioni, la cura del
suo onore e della sua vita; il diritto di proprietà, l'intiera disponibilità
della sua persona, delle sue industrie, di tutte le sue facoltà; la
comunicazione dei suoi pensieri attraverso tutti i mezzi possibili, la
ricerca del benessere e la resistenza all'oppressione.
Nessun uomo può essere sottoposto se non a delle leggi 273 Marchese de La Fayette, intervento all'Assemblea Nazionale dell'11 luglio 1789, citato in
ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 33.131
consentite da lui o dai suoi rappresentanti, anteriormente promulgate e
legalmente applicate.
Il principio di ogni sovranità risiede nella nazione.
Nessun corpo, nessun individuo può avere un'autorità che
non ne emani espressamente.
Ogni governo ha come unico scopo il bene comune. Questo
interesse esige che i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario siano
distinti e definiti, e che la loro organizzazione assicuri la libera
rappresentanza dei cittadini, la responsabilità degli agenti e
l'imparzialità dei giudici.
Le leggi devono essere chiare, precise, uniformi per tutti i
cittadini.
I sussidi devono essere liberamente consentiti e
proporzionalmente ripartiti.
E poiché l'introdursi degli abusi e il diritto delle generazioni
che si succedono rendono necessaria la revisione di ogni stabilimento
umano, deve essere possibile alla nazione di avere, in alcuni casi, una
convocazione straordinaria di deputati, il cui unico oggetto sia quello
di esaminare e correggere, se è necessario, i vizi della costituzione274.
I contenuti del progetto di La Fayette riscontrarono un generale consenso in
seno all'Assemblea e influenzarono anche alcuni progetti seguenti. Molti
deputati però si dichiararono contrari alla proposta di premettere una tale
dichiarazione dei diritti al testo costituzionale e intervenendo a questo
riguardo non mancarono di riferirsi all'America ed alla sua diversa realtà
storica. Il conte Lally-Tollendal, esponente dei monarchiens, pur
concordando in linea generale con il testo proposto dal marchese La
Fayette, si dichiarò fermamente contrario ad una scelta così pericolosa
come quella di redigere una dichiarazione «isolata dal resto della 274 Marchese La Fayette, Progetto di dichiarazione dei diritti, 11 luglio 1789, citato in ARMANDO
SAITTA, op. cit., pp. 33-34.132
costituzione275»:
io vi prego di pensare inoltre quanto sia enorme la differenza tra
un popolo nascente che s'annunzia all'universo, tra un popolo
coloniale che rompe i legami da un governo lontano, e un
popolo antico, immenso, uno dei primi del mondo, che da mille
e quattrocento anni si è dato una forma di governo, […] Se, con
l'intenzione più pura, mettessimo innanzi, in un atto
declaratorio, i diritti naturali, senza unirli immediatamente ai
diritti positivi, quali armi daremmo ai nostri calunniatori; come
essi trionferebbero; come direbbero che su questa eguaglianza
primitiva che non sarebbe per essi che la confusione della
società, che sul diritto di natura che ad ascoltarli sarebbe
soltanto il diritto della forza, noi vogliamo stabilire la
sovversione di ogni autorità276.
Come lui, molti altri deputati temevano l'astrattezza di principi non radicati
nelle antiche leggi del Regno, lontani dalla secolare storia francese277.
Premetterli alle norme costituzionali inoltre voleva dire indebolire queste
ultime permettendone qualsiasi tipo di abuso. Tra gli altri, anche Malouet,
Delandine e lo stesso Champion de Cicé si dichiararono contrari alla
soluzione “americana” di premettere una dichiarazione. Questi intervennero
insistendo sulla differenza storica e sociale tra il popolo americano e quello
francese il quale, secondo loro, non era ancora pronto ad accogliere
l'uguaglianza e la libertà affermate astrattamente nella dichiarazione dei
diritti278. Rabaut Saint-Etienne, a malincuore, rilevava l'influenza delle carte 275 Conte de Lally-Tollendal, in Ivi, p. 34.276 Conte de Lally-Tollendal, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 34-35.277 Edmund Burke criticherà alla Rivoluzione francese proprio per aver stravolto l'ordine delle
cose mettendo le mani sul prodotto della secolare storia della Francia.278 Inoltre, sottolinea Martucci, si voleva evitare di creare un testo a cui i legislatori sarebbero
stati vincolati durante la successiva stesura della Costituzione. Una volta approvata la 133
americane sui progetti presentati all'Assemblea:
mi parve che le diverse Dichiarazioni di diritti che ci erano state
presentate non esaurissero l'idea che mi ero fatta del dispositivo
vasto, completo e ordinato di una grande legislazione; che
calcate su quella degli Americani, ne avessero i difetti279.
Il 17 agosto Mirabeau espose il progetto redatto dal Comitato dei Cinque, a
cui l'Assemblea aveva affidato il compito di fare una sintesi dei progetti
precedentemente discussi. Questo fu pesantemente criticato e subito
accantonato in favore del progetto del 6° bureau280. Contro il progetto si era
scagliato ancora una volta Rabaut Saint-Etienne, insistendo sul nesso e al
tempo stesso sulla differenza con la dichiarazione americana:
Voi avete adottato il partito della dichiarazione dei diritti, perché
i vostri cahiers vi impongono il dovere di farla; e i vostri
cahiers ve ne hanno parlato perché la Francia ha avuto come
esempio l'America. Ma che non si dica per ciò che la nostra
dichiarazione deve essere simile. Le circostanze non sono le
stesse: essa rompeva con una metropoli lontana; era un popolo
nuovo che distruggeva tutto per rinnovare tutto. (…) Se
l'Assemblea nazionale si decide per una dichiarazione, essa non
deve seguire servilmente, e limitarsi all'esempio degli Stati
Uniti281.
Dichiarazione dei diritti, infatti, sarebbe stato difficile sfuggire ai principi di governo da essa prescritti. Si veda ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 175-176.
279 Rabaut Saint-Etienne, Projet du préliminaire de la constitution françois, 1789, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit.,nota 26, pp. 53-54.
280 Per la discussione sul progetto del Comitato dei cinque e per l'attacco personale a Mirabeau che ne seguì, si rimanda a ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 69-77; ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 175-179.
281 Rabaut Saint-Etienne, Intervento all'Assemblea Nazionele, 1789, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 70.
134
Nonostante queste autorevoli voci contrarie, la maggior parte dei deputati si
pronunciò a favore dell'ipotesi di premettere la Dichiarazione al testo
costituzionale . Barnave, per esempio, si espresse in questi termini:
occorre dunque una dichiarazione dei diritti. […] Si è detto che
essa fosse inutile, perché è scritta in tutti i cuori; pericolosa,
perché il popolo abuserà dei suoi diritti non appena li conoscerà,
ma l'esperienza e la storia rispondono e confutano
vittoriosamente queste due osservazioni282.
Il conte de Montmorency, intervenendo il 1° agosto, ricorse esplicitamente
all'esempio americano per sostenere la necessarietà di un tale innovativo
documento:
Per innalzare un edificio, bisogna porre delle fondamenta […] È
importante di dichiarare i diritti dell'uomo prima della
costituzione, perché la costituzione non ne è che la conseguenza,
non è che la fine di questa dichiarazione. È una verità che gli
esempi dell'America […] hanno reso sensibile (…) Seguiamo
l'esempio degli Stati Uniti; essi hanno dato un grande esempio al
nuovo emisfero; diamolo all'universo; presentiamogli un
modello degno di essere ammirato283.
La discussione si protrasse fino al 4 agosto, giorno in cui l'Assemblea
decise quasi all'unanimità di seguire l'esempio americano: la Déclaration
282 Antoine Barnave, citato in Ivi, p. 67.283 Conte de Montmorency, Intervento del 1° agosto 1789, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., nota
34, pp. 67-68. 135
des droits de l'homme et du citoyen sarebbe stata un documento separato e
anteposto alla costituzione284. Quella stessa notte fu abolito l'intero sistema
di privilegi feudali che ancora vigevano in Francia. Come ha affermato Del
Vecchio, questo era « da un lato un effetto dell'aggravarsi delle condizioni
esteriori, […]: ma pure era dall'altro lato una logica conseguenza dell'idea
di Dichiarazione, approvata poche ore prima, e costituiva un'anticipazione
reale del suo contenuto non ancora sancito, ma già ben chiaro nella
coscienza di tutti285».
Dopo quello di La Fayette, molti altri progetti – redatti dai deputati e dai
bureaux286 – erano stati presentati all'Assemblea: tra questi ricevette grande
attenzione quello dell'abate Sieyès che tuttavia, data la sua forma ragionata
e discorsiva, non influenzò in modo decisivo i lavori287. L'Assemblea,
infatti, aveva fin da subito scelto di dare alla Dichiarazione una forma più
popolare, di immediata accessibilità, come quella appunto dei documenti
americani. L'aveva affermato lo stesso Mirabeau il 17 agosto nel presentare
il progetto del Comitato dei cinque:
284 Per un approfondimento sul dibattito del Comitato costituzionale e dell'Assemblea Nazionale sulla posizione da dare alla Dichiarazione dei diritti si rimanda a ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 27-68; ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 167-184; MARCEL GAUCHET, La Révolution des droits de l'homme, Paris, Gallimard, 1989, pp. 48-54; ALBERTO AQUARONE, Due costituenti settecentesche, cit., pp. 88-91.
285 GIORGIO DEL VECCHIO, op. cit., Milano, Giuffrè, 1963 p. 161.286 Quello di La Fayette, infatti, era stato solo il primo dei numerosi progetti redatti da membri
dell'Assemblea Nazionale e presentati al Comitato di costituzione. Saitta nel suo volume riporta i testi dei progetti di La Fayette, Sieyés, Mounier, Pétion, Target, Thouret, Rabaut Saint-Etienne, Duport e quello del 6° bureau dell'Assemblea Nazionale. Si veda dunque ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 28-64.
287 Nel suo progetto, riveduto e ampliato più volte, Sieyés aveva particolarmente insistito sulla natura e la forza del potere costituente. L'estrema lunghezza e la forma filosofico-discorsiva del testo lo escluse quasi subito dal dibattito assembleare. Sul progetto aveva riferito il 27 luglio Champion de Cicé: dopo averne esaltato la bontà degli argomenti e la precisione espositiva, l'arcivescovo aveva affermato che il limite era nella «sua stessa perfezione, e che il genio particolare che l'ha redatta ne presupporrebbe molto di più di quanto sia permesso di attenderne dall'universalità di coloro che devono leggerla e intenderla; e tutti devono leggerla e intenderla». Arcivescovo Champion de Cicé, Rapporto fatto a nome del Comitato per l'Assemblea Nazionale, 27 luglio 1789, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 46. Per il testo del progetto di Sieyès si veda Ivi, pp. 37-43.
136
c'est ainsi que les Américains ont fait leur déclaration de droits;
ils en ont à dessein écarté la science; ils en ont présenté les
vérités politiques qu'il s'agissait de fixer sous une forme qui pût
devenir facilement celle du peuple288.
Abbiamo già detto però che il progetto di questo Comitato non incontrò il
favore dell'Assemblea: il 19 agosto infatti la maggioranza dei deputati votò
per assumere quello del 6° bureau come testo base della discussione289.
Come ha affermato Jellinek però «si trattava di un documento così lieve e
insignificante che fu subito, anche nei suoi punti principali, accantonato290».
Tranne l'articolo 24 che sancisce la separazione dei poteri con una formula
che sarà trasposta quasi letteralmente nel testo definitivo della Déclaration,
in questo progetto mancano spunti particolarmente interessanti o innovativi,
come emerge anche dalla ricostruzione, operata da Armando Saitta, dei
lavori assembleari svoltisi tra il 20 e il 26 agosto. Tra le peculiarità della
dichiarazione dei diritti proposta dal 6° bureau291 figurano l'affermazione
dell'ineguaglianza naturale degli uomini (art. 5)292, una esplicita
enunciazione dei doveri del cittadino (art. 7, 8, 11) e un'ambigua trattazione
288 Conte di Mirabeau, intervento del 17 agosto 1789, citato in MARCEL GAUCHET, op. cit., pp. 51-52.
289 Sul suo Journal sur l'Assemblée constituante il deputato Adrien Cyprien Duquesnoy riportò esattamente i dati delle votazioni del 19 agosto sui progetti di dichiarazione: 605 voti il progetto del 6° bureau, 245 quello di Sieyès, 45 quello di La Fayette e solamente 4 quello di Mounier. Si veda ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 77.
290 GEORG JELLINEK, op. cit., p. 28.291 I principali autori di questo progetto, discusso articolo per articolo tra il 20 e il 26 agosto,
furono Duport, Target, Saint-Etienne Talleyrand e La Rochefoucauld, deputati di spicco dell'Assemblea Costituente. I primi tre si erano già cimentati personalmente nella stesura di una dichiarazione dei diritti poi presentata all'Assemblea. Per i testi si rimanda a ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 47-62, 74-76.
292 I primi articoli del progetto affermano che i diritti naturali dell'uomo sono la propria conservazione e la propria felicità (art. 1). Per assicurasi tali diritti la natura ha dotato gli uomini di alcune facoltà nel cui pieno esercizio consiste la libertà (art. 2). Dopo aver riconosciuto ad ogni uomo «un diritto uguale alla sua libertà e alla sua proprietà», l'articolo 5 statuisce appunto l'ineguaglianza naturale tra gli uomini: «ma ogni uomo non ha ricevuto dalla natura i medesimi mezzi per usare dei suoi diritti. Da qui nasce l'ineguaglianza tra gli uomini: l'ineguaglianza è dunque nella natura stessa». Progetto del 6° bureau, 1789, in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 62.
137
del problema riguardante la libertà religiosa (art. 16 e 18)293.
Dunque il progetto di dichiarazione elaborato dal 6° bureau dell'Assemblea,
nonostante fosse stato preso come testo di riferimento, non influì in modo
decisivo sulla definizione degli articoli della Déclaration des droits de
l'homme et du citoyen. Saitta attesta che senza dubbio
furono Mounier e gli altri leaders del gruppo monarchien ad
imporre il terreno di discussione agli avversari e che […] essi
ebbero una presenza e una incidenza che sarebbe più giusto
chiamare preminenza e capacità di iniziativa294.
Come riconobbe lo stesso Champion de Cicé, il progetto di Mounier si
rifaceva palesemente a quello del marchese La Fayette e ne aveva
conservato il “sapore americano”295. Come questo, i primi due articoli
indicavano nella felicità generale della società l'unico scopo del governo e
proclamavano la sovranità assoluta della Nazione, specificando che
«nessun corpo, nessun individuo può avere un'autorità che non ne emani
espressamente296». Sempre sul solco tracciato dal progetto “americano” di
La Fayette, quello di Mounier proclamava l'uguaglianza e la libertà naturali
dell'uomo (art. 3), dotato di alcuni diritti imprescrittibili come «la libertà
personale, la proprietà, la sicurezza, la cura del suo onore e della sua vita, la
libera comunicazione dei suoi pensieri, e la resistenza all'oppressione297». 293 Il testo sembra evitare una trattazione esplicita del problema religioso, limitandosi a
proclamare il rispetto per la religione e la morale. Si veda ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 63; GEORG JELLINEK, op. cit., p. 28.
294 ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 78.295 Nel presentarlo all'Assemblea il 27 luglio Champion de Cicé disse: «Voi troverete nel progetto
di Mounier le idee che vi sono state già presentate da La Fayette, e che hanno ricevuto i vostri elogi». Arcivescovo Champion de Cicé, Rapporto fatto a nome del Comitato per l'Assemblea Nazionale, 27 luglio 1789, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 46.
296 Jean-Joseph Mounier, Progetto di Dichiarazione dei diritti, 1789, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 43.
297 Jean-Joseph Mounier, Progetto di Dichiarazione dei diritti, 1789, art. 9, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 44.
138
Gli articoli 10, 11, 12 e 13 erano dedicati al delicato rapporto cittadino-
legge che era definito in questi termini: «i cittadini non possono essere
sottoposti ad altre leggi che quelle che essi hanno liberamente acconsentito
personalmente o a mezzo dei loro rappresentanti; è in questo senso che la
legge è l'espressione della volontà generale298». Con questa formulazione
già proposta da La Fayette veniva associata la rousseauiana “espressione
della volontà generale” al principio cardine dei Bills americani del
necessario consenso alle leggi. Dal progetto di La Fayette era ripresa anche
la statuizione del principio di separazione dei poteri come prevenzione
contro il dispotismo (art. 14)299.
Nonostante la sconfitta formale nelle votazioni del 19 agosto, il progetto di
dichiarazione presentato da Mounier300 e, attraverso questo, il precedente
progetto “americano” di La Fayette, esercitarono un'influenza notevole
sulla formulazione definitiva della Déclaration.
Abbiamo visto dunque che il riferimento all'America – anche se non
sempre favorevole – attraversò tutto il dibattito parlamentare sulla
Dichiarazione dei diritti. Tuttavia anche quando l'esperienza americana era
indicata come modello a cui guardare, i deputati francesi non si fermarono
mai alla semplice emulazione. Molti interventi, come ha mostrato Marcel
Gauchet nel suo La Révolution des droits de l'homme, richiamarono
l'Assemblea al dovere francese di superare l'esempio del Nuovo Mondo. Il
18 agosto Rabaut Saint-Etienne aveva ammonito l'Assemblea a non
298 Jean-Joseph Mounier, Progetto di Dichiarazione dei diritti, 1789, art. 11, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 44.
299 Come nota Martucci, la formulazione del principio di separazione dei poteri presente nel testo di Mounier appare molto più decisa e circostanziata rispetto a quella presente in molti altri progetti. Nella proposta di Sieyès e in quella del Comitato dei cinque addirittura mancava del tutto un riferimento divisione dei poteri. Si veda ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 195-196.
300 Il 18 agosto, proprio prima della votazione sui progetti di dichiarazione, Mounier diede alle stampe un incendiario pamphlet, Considérations sur les gouvernements et principalement sur celui qui convient à la France, in cui affrontava il paragone con le istituzioni americane. Si veda MARCEL GAUCHET, op. cit., p. 54; ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 77-78.
139
«seguire servilmente, e limitarsi all'esempio degli Stati Uniti301», mentre il
conte Montmorency, dopo aver suggerito ai Francesi di seguire «le grand
exemple donné par les États-Unis302», li aveva invitati a perfezionarlo
invocando «plus hautement la raison303» ed offrire così al mondo un nuovo
modello. Le parole dell'abate Brun de la Combe, oppositore di Sieyès, sono
il più esplicito manifesto di questa esigenza di superamento del modello
americano secondo un'idea di progresso che si afferma in questo periodo
nel pensiero illuminista francese:
puisque nous venons après les Anglo-Américains, nous devons
tendre à nous donner une constitution plus parfaite que la leur;
nous devons les surpasser, comme ils ont surpassé les Anglais et
comme les Anglais avaient surpassé les meilleurs modèles
connus du temps de leur révolution304.
Quindi, nell'ispirarsi al modello americano l'Assemblea Costituente doveva
superarlo, dando vita ad una Déclaration che avrebbe rappresentato il punto
di massima perfezione possibile.
301 Rabaut Saint-Etienne, intervento all'Assemblea Nazionele, 1789, citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 70.
302 Conte de Montmorency, Intervento del 1° agosto 1789, citato in MARCEL GAUCHET, op. cit., p. 50.
303 Ibidem.304 Abate Brun de la Combe, Doutes sur les principes de M. l'Abbé Sieyès concernant la
Constitution nationale, 1789, citato in MARCEL GAUCHET, op. cit., p. 54.140
3. LA DÉCLARATION DES DROITS DE L'HOMME ET DU CITOYEN (1789)
L'idea di una dichiarazione dei diritti dell'uomo approdò alla Costituente
sull'onda emotiva del recente esempio americano e di quei nuovi documenti
politici che suscitarono un forte interesse nel mondo culturale francese.
Abbiamo in parte accennato alla forte opposizione di Jellinek contro la tesi
secondo cui l'origine dell'idea di una dichiarazione dei diritti andrebbe
rintracciata nella teoria giusnaturalistica di Rousseau. Il filosofo, infatti,
aveva indicato come unica clausola del contratto sociale
l'alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a
tutta la comunità […] Infatti se i privati conservassero qualche
diritto, poiché non vi sarebbe un superiore comune per far da
arbitro nei loro contrasti con la comunità, ciascuno, essendo su
qualche punto il proprio giudice, pretenderebbe ben presto di
esserlo su tutti, lo stato di natura continuerebbe a sussistere e
l'associazione diventerebbe necessariamente tirannica305.
L'individuo di Rousseau, entrando nello Stato, aliena tutti i suoi diritti alla
società, la quale poi glieli riconferirà secondo i tempi e le forme stabilite
dalla volontà generale. Per questo secondo Jellinek non poteva derivare da
Rousseau l'idea di una carta, come la Déclaration, che tutelasse i diritti
naturali dell'uomo all'interno dello Stato306. Era stato invece Locke ad
305 JEAN-JACQUES ROUSSEAU, Du contrat social: ou principes du droit politique, 1762, trad. it. Il contratto sociale, introd. di Tito Magri, GLF Editori Laterza, 2006, libro primo, cap. VI, pp. 21-23
306 Sull'influenza del pensiero di Rousseau sulla Déclaration francese di veda GEORG JELLINEK, op. cit., pp. 7-9; Georg Jellinek, Risposta di Jellinek a Boutmy, in SARA LAGI, op. cit., pp. 105-
141
affermare che l'uomo entra in scoietà proprio per meglio godere dei suoi
diritti naturali e che il governo viene istituito solo con questo scopo307.
Abbiamo visto che nei Bills of Rights americani questi prinicpi filosofici
erano stati tradotti in vere e proprie norme giuridiche.
Quindi, oltre a fornire ai costituenti francesi l'idea stessa di una
dichiarazione dei diritti, gli stessi Bills incisero anche sulla decisione di
anteporla al testo costituzionale vero e proprio. In questo modo i deputati
francesi resero la Déclaration un documento prescrittivo e «a forte tasso di
giustiziabilità (cioè utilizzabile nei tribunali)308», proprio secondo il modello
inaugurato nelle ex-colonie inglesi. La proposta, non a caso, era giunta dal
marchese La Fayette, che non solo conosceva in modo approfondito la
realtà nordamericana, ma era anche in stretti rapporti con Thomas Jefferson,
in quel periodo residente in Francia in qualità di ambasciatore americano.
Come i Bills degli Stati americani, la Dichiarazione dell'89 doveva fornire
«un quadro generale di riferimento a cui ancorare il successivo testo
costituzionale309»: in questo modo, come notarono con tono critico alcuni
deputati, nel redigere la Costituzione l'Assemblea Nazionale sarebbe stata
vincolata alle statuizioni presenti nella Déclaration. Si può dunque
affermare che senza la forza del precedente americano, per i costituenti
francesi sarebbe stato difficile assecondare la proposta di La Fayette, che di
fatto prospettava dei limiti all'attività legislativa della stessa Assemblea.
Come ha sostenuto Jellinek, infatti, è nei Bills of Rights americani che per la
prima volta un elenco di diritti e di libertà particolari viene tradotto in un
atto legislativo, cioè in norme di diritto; «senza l'America, senza le
Costituzioni dei sei diversi Stati noi avremmo in potenza una filosofia della
libertà, giammai una simile legislazione della libertà310».118. Cfr anche DEL VECCHIO, GIORGIO, op. cit., pp. 219-272.
307 JOHN LOCKE, op. cit., cap. VIII e XI, pp. 189-235.308 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 199.309 Ibidem.310 Georg Jellinek, La dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. Risposta di Jellinek a
Boutmy, 1902, in SARA LAGI, op. cit., p. 108.142
Ad uno studio più approfondito del documento francese non possono
sfuggire le analogie evidenti con i Bills of Rights americani ed in special
modo con quello adottato dalla Virginia nel 1776. La storiografia ha sempre
insistito sulle profonde differenze esistenti fra i due processi costituzionali e
fra i loro documenti politici. Senza dubbio la Déclaration des droits de
l'homme et du citoyen non può essere ridotta ad una semplice copia delle
carte dei diritti americane; essa infatti è senz'altro un prodotto specifico del
contesto e della tradizione storico-politica francese di fine Settecento.
D'altra parte, però, non si può negare una certa somiglianza non solo
formale, ma anche di contenuti tra le dichiarazioni americane e quella
francese dell'89, somiglianza che non stupisce chi guarda al dibattito
francese prerivoluzionario sul modello americano. Nella sua risposta alle
critiche di Boutmy, Jellinek su questo è molto chiaro:
quando un popolo si appropria delle norme del Diritto di un altro
popolo ha sotto gli occhi i testi legislativi; ma giammai copia
servilmente le idee straniere; non c'è nessun dubbio che le
considerazioni sociali e politiche proprie del popolo francese
abbiano influito sul modo in cui esso ha assimilato le idee
americane. Ma queste considerazioni furono poste entro una
cornice concettuale fornita dall'America311.
Proprio in quest'ottica tesa a sottolinearne i punti d'incontro con le
precedenti dichiarazioni americane – senza alcuna intenzione però di
minimizzarne le differenze profonde – vogliamo analizzare il testo della
Déclaration des droits de l'homme et du citoyen che l'Assemblea Nazionale
Costituente approvò il 26 agosto 1789 e che entrò in vigore definitivamente
il 3 settembre dopo la firma del Re.
311 Georg Jellinek, Risposta di Jellinek a Boutmy, in Ivi, p. 113.143
Facciamo un passo indietro e torniamo alle discussioni sui vari progetti di
dichiarazione presentati all'Assemblea. Come abbiamo visto, quello redatto
dal 6° bureau ottenne una larga maggioranza nelle votazioni del 19 agosto.
Nonostante l'apparente sconfitta del progetto di Mounier, i monarchiens e il
loro leader seppero influenzare la discussione vera e propria sugli articoli
della Dèclaration, come si evince dai resoconti del dibattito assembleare312.
Questo fattore non è del tutto trascurabile nell'economia del nostro discorso.
Il progetto di Mounier infatti riprendeva nella forma e nei contenuti il
documento che La Fayette non solo aveva ideato sul calco del Bill of Rights
virginiano, ma che aveva anche sottoposto all'attenzione di Thomas
Jefferson in persona313: gli stessi contenuti, la stessa concisione, le stesse
secche formule imperative.
Il testo finale della Déclaration des droits seguì lo stesso schema formale.
La storiografia è sostanzialmente concorde infatti nel ritenere che, nella
scelta della forma breve e asciutta, l'Assemblea Nazionale abbia seguito il
grande esempio americano, anche perché sposava l'urgenza francese di
parlare a tutto il popolo con un linguaggio semplice e immediato314. Dunque
una dichiarazione composta da soli 17 articoli (il Bill virginiano ne contava
16), che nella struttura e nelle espressioni risultano evidentemente modellati
su quelli dei Bills americani315. Nella seguente tabella abbiamo riportato
quegli articoli della Déclaration che più di tutti presentano delle analogie
con quelli delle carte americane.
312 Per una trattazione specifica del dibattito dei sei giorni si veda MARCEL GAUCHET, op. cit., pp. 135-197. Si veda inoltre ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 77-85; ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 185-196.
313 Si veda ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 189.314 Più volte durante il dibattito assembleare era stata espressa questa esigenza di semplicità e
chiarezza. Proprio per la loro lunghezza e per il loro taglio filosofico, i progetti di Sieyès e del Comitato dei Cinque erano stati scartati.
315 Cfr. ROBERTO MARTUCCI, La Rivoluzione dei due mondi, cit., p. 133; GEORG JELLINEK, op. cit., p. 27.
144
Déclaration des droits de l'homme et du citoyen316
Bills of Rights americani317
Art. 1. Les hommes naissent et demeurent libres et égaux en droits. Les distinctions sociales ne peuvent être fondées que sur l'utilité commune.Art. 2. Le but de toute association politique est la conservation des droits naturels et imprescriptibles de l'homme. Ces droits sont la liberté, la propriété, la sûreté et la résistence à l'oppression.
Virginia, sez. 1. That all men are by nature equally free and independent, and have certain inherent rights, of which, when they enter into a state of society, they cannot, by any compact, deprive or divest their posterity; namely, the enjoyment of life and liberty, with the means of acquiring and possessing property, and pursuing and obtaining happiness and safety.Massachusetts, art. I. All men are born free and equal, and have certain natural, essential, and unalienable rights; among which may be reckoned the right of enjoying and defending their lives and liberties, that of acquiring, possessing, and protecting property; in fine, that of seeking and obtaining their safety and happiness.
Art. 3. Le principe de toute souveraineté réside essentiellement dans la Nation. Nul corps, nul individu ne peut exercer d'autorité qui n'en émane expressément.
Virginia, sez. 2. That all power is vested in, and consequently derived from, the people [...].Virginia, sez. 7. That all power of suspending laws, or the execution of laws, by any authority, without consent of the representatives of the people, is injurious to their rights, and ought not to be exercised.North Carolina, I That all political power is vested in and derived from the people only.
Art. 6. La Loi est l’expression de la Virginia, sez. 4. That no man, or set of
316 Il testo della Déclaration des droits de l'homme et du citoyen è quello riportato da Felice Battaglia in FELICE BATTAGLIA, op. cit., pp. 118-123.
317 Per i Bills of Rights degli Stati americani si veda sempre FELICE BATTAGLIA, op. cit., pp. 45-101.
145
volonté générale. Tous les citoyens ont droit de concourir personnellement, ou par leurs représentants, à sa formation. Elle doit être la même pour tous, soit qu’elle protège, soit qu’elle punisse. Tous les citoyens étant égaux à ses yeux, sont également admissibles à toutes dignités, places et emplois publics, selon leur capacité, et sans autre distinction que celle de leurs vertus et de leurs talents.
men, are entitled to exclusive or separate emoluments or privileges from the community, but in consideration of public services; which, not being descendible, neither ought the offices of magistrate, legislator, or judge to be hereditary. Massachusetts, art. IX. All elections ought to be free; and all the inhabitants of this commonnwealth, having such qualification as they shall estabilish by their frame of government, have an equal right to elect officiers, and to be elected, for public employmentsPennsylvania, art. V. That government is, or ought to be, instituted for the common benefit, protection and security of the people, nation or community; and not for the particular emolument or advantage of any single man, family, or sett of men, who are a part only of that community..
Art. 7. Nul homme ne peut être accusé, arrêté, ni détenu que dans les cas déterminés par la Loi, et selon les formes qu’elle a prescrites. Ceux qui sollicitent, expédient, exécutent ou font exécuter des ordres arbitraires, doivent être punis ; mais tout citoyen appelé ou saisi en vertu de la Loi doit obéir à l’instant: il se rend coupable par la résistance.
Virginia, sez. 10. That general warrants, whereby an officer or messenger may be commanded to search suspected places without evidence of a fact committed, or to seize any person or persons not named, or whose offence is not particulary described and supported by evidence, are grievous and oppressive, and ought not to be granted.Massachusetts, art. XII. [...] And no subject shall be arrested, imprisoned, despoiled, or deprived of his property, immunities, or privileges, put out of the protection of the law, exiled or deprived of his life, liberty, or estate, but by the judgment of his peers, or the law of the land.
Art. 8. La Loi ne doit établir que des peines strictement et évidemment nécessaires, et nul ne peut être puni qu’en vertu d’une Loi établie et promulguée antérieurement au délit, et légalement appliquée.
Virginia, sez. 9. That excessive bail ought not to be required, nor excessive fines imposed, nor cruel and unusual punishments inflicted.Massachusetts, art. XXVI. No magistrate or court of law shall demand excessive bail or sureties, impose
146
excessive fines, or inflict cruel or unusual punishments. Maryland, art. XIV. That sanguinary laws ought to be avoided, as far as is consistent with the safety of the State: and no law, to inflict cruel and unusual pains and penalties, ought to be made in any case, or at any time hereafter.Maryland, art. XV. That retrospective laws, punishing facts committed before the existence of such laws, and by them only declared criminal, are oppressive, unjust, and incompatible with liberty; wherefore no “ex post facto” law ought to be made.
Art. 9. Tout homme étant présumé innocent jusqu’à ce qu’il ait été déclaré coupable, s’il est jugé indispensable de l’arrêter, toute rigueur qui ne serait pas nécessaire pour s’assurer de sa personne, doit être sévèrement réprimée par la Loi.
Massachusetts, art. XII. No subject shall be held to answer for any crimes or no offence until the same if fully and plainly, substantially and formally, described to him; or be compelled to accuse, or furnish evidence against himself; and every subject shall have a right to produce all proofs that may be favorable to him; to meet the witnesses against him face to face, and to be fully heard in his defence by himself, or his counsel at his election […]
Art. 10. Nul ne doit être inquiété pour ses opinions, même religieuses, pourvu que leur manifestation ne trouble pas l’ordre public établi par la Loi.
Massachusetts, art. II. It is the right as well as the duty of all men in society, publicly and at stated seasons, to worship the Supreme Being, the great Creator and Preserver of the universe. And no subject shall be hurt, molested, or restrained, in his person, liberty, or estate, for worshipping God in the manner and season most agreeable to the dictates of his own conscience, or for his religious profession or sentiments, provided he doth not disturb the public peace or obstruct others in their religious worship.
Art. 11. La libre communication des pensées et des opinions est un des droits les plus précieux de l’homme : tout citoyen peut donc parler, écrire, imprimer librement, sauf à répondre de
Virginia, sez. 12. That the freedom of the press is one of the great bulwarks of liberty, and can never be restrained but by despotic governments.Pennsylvania, art. XII. That the people
147
l’abus de cette liberté, dans les cas déterminés par la Loi.
have a right to freedom of speech, and of writing, and publishing their sentiments; therefore the freedom of the press ought not to be restrained.
Art. 12. La garantie des droits de l’homme et du citoyen nécessite une force publique : cette force est donc instituée pour l’avantage de tous, et non pour l’utilité particulière de ceux auxquels elle est confiée.
Virginia, sez. 13. That a well-regulated militia, composed of the body of the people, trained to arms, is the proper, natural, and safe defense of a free State; that standing armies, in time of peace, should be avoided, as dangerous to liberty; and that in all cases the military should be under strict subordination to, and governed by, the civil power.
Art. 13. Pour l’entretien de la force publique, et pour les dépenses d’administration, une contribution commune est indispensable. Elle doit être également répartie entre tous les citoyens, en raison de leurs facultés.
Massachusetts, art. X. Each individual of the society has a right to be protected by it in the enjoyment of his life, liberty, and property, according to standing laws. He is obliged, consequently, to contribute his share to expense of this protection; to give his personal service, or an equivalent, when necessary […].
Art. 14. Tous les citoyens ont le droit de constater, par eux-mêmes ou par leurs représentants, la nécessité de la contribution publique, de la consentir librement, d’en suivre l’emploi et d’en déterminer la quotité, l’assiette, le recouvrement et la durée.
Virginia, sez. 6. [...] that all men, having sufficient evidence of permanent common interest with, and attachment to, the community, have the right of suffrage, and cannot be taxed or deprived of their property for public uses, without their own consent, or that of their representatives so elected, nor bound by any law to which they have not, in like manner, assented, for the public good.Massachusetts, art. XXIII. No subsidy, charge, tax, impost, or duties, ought to be established, fixed, laid, or levied, under any pretext whatsoever, without the consent of the people, or their representatives in the legislature.
Art. 15. La société a le droit de demander compte à tout agent public de son administration.
Virginia, sez. 2. That all power is vested in, and consequently derived from, the people; that magistrates are their trustees and servants, and at all times amenable to them.
148
Massachusetts, art. V. All power residing originally in the people, and being derived from them, the several magistrates and officers of government vested with authority, whether legislative, executive, or judicial, are the substitutes and agents, and are at all times accountable to them.New Hampshire, art. XII. […] Nor are the inhabitants of this state controllable by any other laws than those to which they or their representative body have given their consent.
Art. 16. Toute société dans laquelle la garantie des droits n’est pas assurée, ni la séparation des pouvoirs déterminée, n’a point de Constitution.
Virginia, sez. 5. That the legislative and executive powers of the state should be separate and distinct from the judiciary […].Massachusetts, art. XXX. In the government of this commonwealth, the legislative department shall never exercise the executive and judicial powers, or either of them; the executive shall never exercise the legislative and judicial powers, or either of them; the judicial shall never exercise the legislative and executive powers, or either of them; to the end it may be a government of laws, and not of men.
Art. 17. La propriété étant un droit inviolable et sacré, nul ne peut en être privé, si ce n’est lorsque la nécessité publique, légalement constatée, l’exige évidemment, et sous la condition d’une juste et préalable indemnité.
Massachusetts, art. X. […] but no part of the property of any individual can, with justice, be taken from him, or applied to public uses, without his own consent, or that of the representative body of the people. [...] And whenever the public exigencies require that the property of any individual should be appropriated to public uses, he shall receive a reasonable compensation therefor.
Molti storici si sono limitati a notare una corrispondenza formale tra gli
149
articoli francesi e quelli dei Bills of Rights americani. In realtà, come
afferma Martucci, «le connessioni sono più profonde, travalicano i limiti
eruditi di un banale confronto sinottico318». Per primo Jellinek ha affermato
senza esitazione che nella Déclaration «non compare alcuna nuova idea
legislativa che già non figuri in uno dei Bills americani319» o, come ripeterà
con più vigore rispondendo a Boutmy, «mi sbaglio su questo punto? […]
Esiste un diritto che i francesi hanno reclamato per primi e che gli
americani hanno, in precedenza, totalmente ignorato?320». Anche Battaglia
riconosce che «il contenuto materiale [della Dichiarazione francese] non è
certo del tutto nuovo321». Di tutti i diritti enunciati si può trovare un
corrispettivo nelle carte americane, a cominciare dal Bill virginiano di cui,
secondo Martucci, la Déclaration rappresenta «una lettura francese322».
Affrontiamo più nello specifico l'analisi degli articoli della Déclaration des
droits de l'homme et du citoyen in parallelo a quelli dei Bills americani.
Leggendo i primi tre articoli del documento francese, si nota subito
l'estrema somiglianza formale e contenutistica con l'incipit delle carte dei
diritti americane. Come afferma Matteucci, «la matrice teorica è comune323»
ed è rintracciabile nelle teorie giusnaturalistiche e contrattualistiche, e nei
principi dell'Illuminismo. Come i Bills americani, la Déclaration per prima
cosa proclama tutti gli uomini «libres et égaux en droits324», diritti la cui
difesa e conservazione rappresentano il fine ultimo dell'associazione
politica. Con una formulazione pressochè identica a quella americana, i
costituenti francesi includono tra i principali diritti «naturels et
imprescriptibles de l'homme325» quello alla libertà, alla proprietà e alla 318 ROBERTO MARTUCCI, La Rivoluzione dei due mondi, cit., p. 133.319 GEORG JELLINEK, op. cit., p. 16.320 Georg Jellinek, Risposta di Jellinek a Boutmy, in SARA LAGI, op. cit., p. 113.321 FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 111.322 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 196.323 NICOLA MATTEUCCI, Lo stato moderno, cit., p. 143.324 Déclaration des droits de l'homme et du citoyen, 1789, art. 1, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p.
118.325 Déclaration des droits, 1789, art. 2, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 118.
150
sicurezza, aggiungendo poi il diritto alla resistenza all'oppressione –
presente anch'esso in almeno due Bills americani (Maryland, art. IV, New
Hampshire, art. X). Nell'art. 1 della Déclaration emerge una sfumatura
tratta dal contesto francese poiché sottolinea maggiormente l'uguaglianza
degli uomini affermando che «les distinctions sociales ne peuvent être
dondées que sur l'utilité commune326». Come abbiamo visto, già i costituenti
americani avevano incluso nelle loro Dichiarazioni un articolo che negava
qualsiasi distinzione sociale naturale (Virginia, sez. 4)327, ma in Francia
l'urgenza storica di questa affermazione era sentita maggiormente. Essa
intendeva creare una breccia all'interno del vecchio sistema di libertà e
privilegi sociali, considerati naturali ed ereditari. A questi infatti la
Déclaration dell'89 si contrapponeva radicalmente, anzi era considerata
«come la notifica del decesso dell'Ancien Régime e come una barriera
contro un'eventuale resurrezione di questo vecchio mondo»328.
Dunque, come i loro colleghi d'oltreoceano, i costituenti francesi trovarono
nel giusnaturalismo la fonte di legittimità per quei diritti naturali e
individuali la cui proclamazione rompeva drasticamente con il passato. Da
una parte, gli Americani dovevano svincolarsi dalla Common Law che
restringeva il godimento dei diritti ai soli cittadini inglesi, in un contesto
però dove già vigevano una certa uguaglianza e libertà; dall'altra i Francesi
dovevano abbattere l'intero regime feudale, politico e sociale, di antichi
privilegi e libertà particolari conferiti in base allo “stato sociale”. Ecco
dunque, sostiene Fioravanti, che anche «la cultura delle libertà e dei diritti
della Rivoluzione francese non può essere di tipo storicistico329», perché,
con le parole di Matteucci, «in nome dei diritti “naturali, inalienabili e
326 Déclaration des droits, 1789, art. 1, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 118.327 «That no man, or set of men, are entitled to exclusive or separate emoluments or privileges
from the community, but in consideration of public services; which, not being descendible, neither ought the offices of magistrate, legislator, or judge to be hereditay», Virginia Bill of Rights, 1776, sez. 4, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 44.
328 ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 82.329 MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., p. 56.
151
sacri”, evidenti alla ragione, si conduce un processo a tutto il passato330». Il
concetto di libertà di entrambe le Rivoluzioni, secondo Fioravanti, ha infatti
una prima forte connotazione individualistica poiché ricorre appunto alle
dottrine dei diritti naturali individuali e del contratto sociale, ponendo le
basi per la creazione del soggetto unico di diritto331.
Gli Americani prima, e i Francesi dopo, nelle loro Dichiarazioni adottarono
pienamente anche l'apertura universalistica tipica dell'individualismo
giusnaturalistico, a cui la filosofia illuminista aveva dato nuovo respiro.
Come ha constatato Raynaud, i Bills americani e la Déclaration francese
hanno «la stessa pretesa all'universalità332» proclamando «that all men are
by nature equally free and independent, and have certain inherent rights333».
La Déclaration francese, come i Bills americani, quindi, afferma
l'universalità “atemporale” dei diritti dell'uomo, secondo la concezione
tipicamente illuministica del tempo: su entrambe le sponde dell'Atlantico
infatti si redige un testo che ha la pretesa di essere universale e quindi di
valere in perpetuo anche per le generazioni future. La ragione e la verità
illuministiche sembrano trionfare poiché la generazione “illuminata” dei
rivoluzionari ha trovato la “scienza esatta” dei diritti. L'umanità ha
raggiunto l'apice del progresso nel campo dei diritti attraverso la
codificazione di queste verità «self-evident334» da questo momento valide
per tutti gli uomini, in ogni tempo e in ogni contesto. Dunque le
Dichiarazioni settecentesche, soprattutto quelle francesi, segnano una netta
cesura con la tradizione rompendo quella “catena temporale” che univa
tutte le generazioni335: la rottura rivoluzionaria infatti celebra la nascita di 330 NICOLA MATTEUCCI, Lo stato moderno, cit., p. 144.331 Sul modello di libertà della Rivoluzione francese si veda MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di
storia delle costituzioni moderne, cit., pp. 54-58. Della componente statualistica, che l'autore individua nel concetto di libertà dei costituenti francesi, parleremo fra poco.
332 PHILIPPE RAYNAUD, America e Francia, in L'eredità della Rivoluzione francese, cit., p. 32. 333 Virginia Bill of Rights, 1776, sez. 1, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 44. Il corsivo è mio.334 Declaration of Independence of the United States of America, 1776, in La Dichiarazione di
indipendenza, cit., p. 71.335 Per un approfondimento sul problema del tempo nella Rivoluzione francese si veda PAOLA
152
una nuova generazione non più asservita ai valori di quella precedente.
Paola Persano nel suo volume La catena del tempo (2007) ha condotto uno
studio molto interessante sulla Rivoluzione francese da cui emerge
un'ambiguità di fondo della rottura generazionale invocata e realizzata dai
suoi protagonisti. Con la proclamazione dei diritti universali dell'uomo i
rivoluzionari francesi avevano intenzionalmente tagliato i ponti col passato,
ripudiando i valori e gli schemi delle generazioni precedenti. Tuttavia nel
creare la nazione nuova, rigenerata, affrancata dai vincoli gerarchici della
tradizione, essi affermarono diritti e libertà “atemporali”, validi
universalmente per tutte le generazioni future. I costituenti francesi si
sentivano responsabili proprio nei confronti dei posteri ai quali avrebbero
lasciato in eredità le nuove massime della Ragione. Questa preoccupazione
è espressa a più riprese durante i dibattiti dell'Assemblea Costituente, come
ad esempio nell'Avertissement che Rabaut Saint-Etienne premette al suo
progetto di costituzione:
[...] niente [è] più adatto a mantenere presso le generazioni
future la libertà che predispone per loro l’Assemblea Nazionale,
che separare così dalla Costituzione i principi e le massime su
cui essa riposa [...]. Quale Cittadino, che si occupi della
Costituzione della sua Patria, potrebbe impedirsi [di provare]
una deliziosa tenerezza, pensando che egli si occupa anche della
felicità di tutte le generazioni future! Niente di più semplice e di
più evidente dei Principi della Società! [...] Che queste massime,
così chiare come il giorno, e semplici come la verità, siano
messe alla portata di tutti! Che tutti le vedano, che le leggano,
che le imparino a memoria, che i loro figli le facciano proprie a
PERSANO, La catena del tempo. Il vincolo generazionale nel pensiero politico francese tra Ancien régime e Rivoluzione, Macerata, Eum, 2007; sul tema della catena del tempo e, più in generale, sulla catena dell'Essere si veda ARTHUR O. LOVEJOY, La grande catena dell'Essere, Milano, Feltrinelli, 1966.
153
loro volta, e che, trasmesse di età in età, esse vadano a
preservare le generazioni più distanti dagli attacchi del
Dispotismo!336.
La Persano individua una contraddizione profonda proprio in questa
preoccupazione dei rivoluzionari francesi verso le generazioni future, alle
quali vogliono tramandare una libertà già stabilita. Da una parte infatti i
costituenti francesi si erano voluti liberare dai lacci ingombranti delle
generazioni passate rivendicando l'autonomia generazionale che
l'americano Thomas Jefferson riassunse con lo slogan «la terra appartiene in
usufrutto ai viventi; […] i defunti non hanno né poteri né diritti su
questo337»; dall'altra, proclamando l'universalità dei diritti nella Déclaration
– apice del progresso umano – essi privavano le generazioni future di
quell'autonomia dal passato per cui loro stessi avevano lottato. Come ha
brillantemente sostenuto la Persano,
nel momento in cui la contestazione dell’Antico regime spezza
la continuità generazionale insita nel rapporto con la tradizione,
si inaugura una stagione piena di desiderio di emancipazione
politica, il cui esito ultimo è tuttavia quello, paradossale, di
dislocare nel futuro la continuità interrotta, ricreando per altri – i
posteri – nuove condizioni di assoggettamento culturale e
politico338.
Nell'ottica dei costituenti francesi, come di quelli americani, la
Dichiarazione dei diritti doveva essere la base fissa su cui la generazione 336 Rabaut Saint-Etienne, Projet du préliminaire de la constitution françoise, 1789, citato in
ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 53-55.337 Thomas Jefferson, Letter to James Madison, 6 settembre 1789, citato in PAOLA PERSANO, op.
cit., p. 125.338 PAOLA PERSANO, op. cit., p. 10.
154
presente e quelle future avrebbero stabilito la propria Costituzione339. In
realtà lo sviluppo storico del processo costituzionale francese smentirà in
modo clamoroso questa illusione del carattere rigido ed universale della
Déclaration, di cui dopo l'89 furono redatte tante versioni quante quelle
della Constitution vera e propria. Le Costituzioni del 1793 e quella del'95
furono infatti precedute da una nuova Déclaration des droits.
Dunque, abbiamo visto che la Déclaration francese dell'89 si uniformò ai
Bills of Rights americani, nei quali per la prima volta si trovavano tradotte
in norme giuridiche prescrittive l'uguaglianza e la libertà naturali che le
teorie giusnaturalistiche avevano affermato e che il pensiero illuminista,
soprattutto francese, aveva contribuito a diffondere.
Dunque la forma di questi primi articoli della Déclaration è evidentemente
modellata su quella dei Bills americani340 a cui i Francesi guardarono
perché, come ha affermato Magrin,
le dichiarazioni americane hanno operato l'inveramento storico
dei diritti naturali sui quali la filosofia aveva da tempo fissato la
sua attenzione e hanno dischiuso così, per la prima volta nella
storia dell'umanità, la possibilità di una legislazione
razionalmente dedotta da un corpo unitario di principi
filosofici341.
Anche sul terzo articolo della Déclaration francese ebbe un'influenza non 339 Fra gli protagonisti del processo costituzionale americano e francese vi furono alcuni che
intravidero questa contraddizione nel problema dell'autonomia generazionale. Thomas Jefferson, Tom Paine, Brissot e Condorcet affermarono più volte il diritto di ogni generazione a rivedere il proprio assetto costituzionale in virtù del progresso costante della storia dell'umanità. Per un approfondimento si veda GABRIELE MAGRIN, Condorcet, cit., pp. 109-112; id, La repubblica dei moderni, cit., pp. 56-57; PAOLA PERSANO, op. cit., pp. 194-207.
340 Un'ulteriore riprova dell'influenza americana sui primi due articoli della Déclaration è data dal fatto che questi furono ripresi letteralmente dal progetto di Mounier, il quale li aveva ereditati dall'”americano” La Fayette. Vedi ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 78-79.
341 GABRIELE MAGRIN, Condorcet, cit., p. 32.155
trascurabile l'esperienza costituzionale d'oltreoceano in cui, nella lotta
contro la madrepatria, gli Americani avevano affermato la sovranità
popolare. Contro l'intera tradizione monarchica, nell'89 la Francia proclamò
lo stesso principio eversivo: «le principe de toute souveraineté réside
essentiellement dans la Nation. Nul corps, nul individu ne peut exercer
d'autorité qui n'en émane expressément342». Con questo articolo, sottolinea
Martucci, l'Assemblea Nazionale crea
una legittimità nuova a base nazionale che azzera come
particolari le antiche posizioni di supremazia: fossero esse di
fatto (nul corps: ci si riferisce ai Parlamenti che in passato si
erano investiti di una rappresentanza virtuale degli interessi
nazionali) o di diritto (l'antico sovrano ridotto al riferimento nul
individu). Sovranità nazionale, come lo stesso Sieyès si premura
di sottolineare con grande risalto, è la sovranità popolare
secondo la costante lezione dei lavori preparatori che la
attribuiscono alla totalità dei cittadini343.
A differenza delle carte americane che parlavano di “poteri” attribuiti al
“popolo”, la Déclaration parlava invece di “sovranità” e di “nazione”,
usando dunque termini e concetti tratti dalla tradizione politico-filosofica
francese – da Bodin a Rousseau, fino alla formulazione del concetto di
nazione ideata da Sieyès344.
Rispetto al contesto francese l''art. 3 della Déclaration era radicalmente
eversivo perchè attribuiva la sovranità – di cui da sempre il Re era stato
l'unico titolare in quanto rappresentante del popolo francese – alla sola
342 Déclaration des droits, 1789, art. 3, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 118.343 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 190-191.344 A questo proposito si veda MATTEUCCI, NICOLA, Lo stato moderno, cit., p. 144; MAURIZIO
FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., pp. 60-62.156
nazione345. Specificando poi che nessun corpo e nessun individuo può
attribuirsi tale sovranità senza il consenso della Nazione, sul piano
costituzionale vengono di fatto ridimensionati la figura e il ruolo politico
del Re, in un momento in cui Luigi XVI è ancora sul trono e la Francia si
concepisce ancora monarchica. Secondo Martucci, la proclamazione della
sovranità popolare e il conseguente accantonamento della figura regia – al
cui ruolo la Déclaration non accenna minimamente – sono un'ulteriore
evidenza della filiazione del documento francese dal modello virginiano che
nel Bill of Rights proclamava in egual modo la sovranità del popolo
(Virginia, sez. 2346) e nella Constitution svalutava decisamente il ruolo
politico dell'Esecutivo347. Martucci rileva con stupore che furono proprio i
monarchiens a proporre la costituzionalizzazione di questo principio,
eversivo di quell'ordine che loro in realtà non avevano intenzione di
demolire. E fu Mounier in persona a proporre la formula incisiva
dell'articolo, ripresa letteralmente da quella di La Fayette. Questo non è un
dato che può passare inosservato. Ancora una volta infatti si riscontra
l'effettiva influenza che il progetto di La Fayette – concordato
probabilmente con Thomas Jefferson e comunque modellato essenzialmente
sul Bill della Virginia – ha avuto sul testo finale della Déclaration348.
I successivi tre articoli della Déclaration, nonostante la somiglianza con le
statuizioni dei Bills americani, presentano sfumature tipicamente francesi.
Gli art. 4 e 5 – di cui manca un equivalente nei Bills americani349 – furono
345 «Tout les pouvoirs publics, sans distinction, sont une émanation de la volonté générale; tous viennent du peuple, c'est à-dire, de la nation. Ces deux termes doivent être synonymes», Sieyès, Préliminaire de la Constitution, 1789, citato in ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 191. per un approfondimento sul concetto di nazione in Sieyè e nella Rivoluzione francese si veda
346 «That all power is vested in, and consequently derived from, the people […].», Virginia Bil of Rights, sez. 2, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 44.
347 Per il testo della Costituzione della Virginia si rimanda a La formazione degli Stati Uniti d'America, cit., vol. II, pp. 5-11.
348 Per la formulazione e l'importanza dell'art. 3 della Déclaration si guardi ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 188-191.
349 Proprio per la mancanza di un vero e proprio corrispettivo americano, gli art. 4 e 5 della Déclaration infatti non sono stati inseriti nella tabella precedente in cui la Déclaration è stata
157
approvati su proposta del conte Alexandre de Lameth che a suo tempo
aveva combattuto nella Guerra d'Indipendenza americana. L'art. 4 contiene
una definizione in termini generali e negativi della libertà dell'individuo:
la liberté consiste à puvoir faire tout ce qui ne nuit pa à autrui:
ansi, l'exercice des droits naturels de chaque homme n'a de
bornes que celle qui assurent aux autres membres de la cocieété
la jouissance de ces même droits. Ces bornes ne peuvent être
déterminées que par la Lois350.
Dall'art. 5 invece emerge per la prima volta il ruolo ritagliato per la legge
dai costituenti francesi:
La Loi n'a le droit de défendre que les actions nuisibles à la
société. Tout ce qui n'est pas défendu par la Loi ne peut être
empêché, et nul ne peut être contraint à faire ce qu'elle n'ordonne
pas351.
È qui che entra in gioco la concezione rousseauiana della legge ed è qui
che, secondo l'analisi filosofica di Fioravanti, la cultura individualistica
delle libertà – che abbiamo visto essere presente in certa misura nella
Déclaration francese – si scontra e si combina con l'opposto modello
statualistico.
Per Rousseau infatti la libertà dell'individuo era limitata nello stato civile
dall'uniforme volontà generale, espressa dalla legge. Quindi, affermava il
filosofo, «l'obbedienza alla legge che ci siamo prescritta è libertà352». La
consonanza con gli articoli della Déclaration è evidente. Come proclama messa a confronto con le carte americane dei diritti.
350 Déclaration des droits, 1789, art. 4, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., pp. 118-120.351 Déclaration des droits, 1789, art. 5, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 120.352 JEAN-JACQUES ROUSSEAU, Du contrat social, cit., libro primo, cap. VIII, p. 29.
158
anche l'art. 4, se il limite alla libertà individuale sorge nel momento in cui
questa minaccia un altro individuo nel godimento dei suoi diritti naturali,
questo limite non può che essere stabilito dalla legge. Fioravanti ha rilevato
opportunamente dunque il doppio ruolo attribuito alla legge dai costituenti
francesi : essa è contemporaneamente «ciò che limita l'esercizio delle
libertà di ognuno, ma anche ciò che rende possibili le libertà di tutti come
individui, contro le antiche discriminazioni di ceto353», .
Se nel costituzionalismo americano a governare era sì la legge, ma entro le
coordinate invalicabili fissate dai diritti naturali dell'individuo (secondo la
dottrina lockiana del governo), nel costituzionalismo francese
la legge è piuttosto un valore in sé, e non un mero strumento,
perché solo grazie alla sua autorità si rendono possibili i diritti e
le libertà di tutti, perché in sua assenza, e quindi mancando un
saldo e autorevole legislatore, si ricadrebbe nel detestato passato
della società dei privilegi dell'antico regime354.
Mentre l'America aveva lottato contro la tirannia del legislatore (il
Parlamento inglese), al contrario la Francia, che voleva abbattere il vecchio
ordine cetuale, voleva «costruire un legislatore virtuoso, necessariamente
rispettoso dei diritti degli individui in quanto espressione necessaria della
volontà generale355». I costituenti francesi dunque videro nella legge,
«expression de la volonté générale356», l'unica forza in grado di opporsi
all'arbitrarietà e al particolarismo del sistema di diritti dell'Ancien Régime.
È proprio qui che si annida il germe dello statualismo, come chiarisce
Fioravanti:
353 MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., p. 55.354 MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., p. 59.355 MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., p. 72.356 Déclaration des droits, 1789, art. 6, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 120.
159
infatti, all'immagine della prestatualità dei diritti, che in teoria
imporrebbe allo Stato, ed alla sua legge, compiti esclusivi di
buona tutela e conservazione di ciò che ad esso preesiste, si
somma e si sovrappone l'immagine, altrettanto forte, dei diritti di
tutti che esistono solo nel momento in cui la legge stessa li rende
concretamente possibili, affermandoli come diritti degli
individui in quanto tali, contro le vecchie logiche di ceto357.
Quindi da una parte, la Déclaration segue la teoria lockiana della
prestatualità dei diritti dell'uomo indicando nella garanzia di questi il
compito dello Stato; dall'altra però essa finisce per abbracciare la filosofia
rousseauiana, poiché le stesse garanzie dei diritti offerte dallo Stato
«convergono verso un solo risultato, verso il primato, in materia di diritti e
libertà, della legge generale ed astratta358». La legge infatti non solo, rende
effettivi diritti dell'uomo, ma ne stabilisce anche i limiti e le modalità di
esercizio. Essa dunque si impone quale unica autorità legittima e
infallibile359.
In questo legicentrismo, che sfuma i contorni della linea di demarcazione
tra individuo e Stato, risiede una delle più grandi differenze tra la
Déclaration francese e i Bills of Rights americani, dove invece questi
contorni erano decisamente più nitidi360.
Dunque l'art. 6 della Déclaration si apre “invocando” Rousseau – da cui
357 MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., p. 59.358 Ivi, p. 68.359 Anche qui viene ripresa la filosofia di Rousseau dell'infallibilità della legge in quanto
espressione del Sovrano, ossia la volontà generale, che per sua natura non può nuocere ai suoi membri. Si veda JEAN-JACQUES ROUSSEAU, Du contrat social, cit., libro secondo, cap. III, pp. 39-41.
360 Sul problema del rapporto tra legge e individuo nella Rivoluzione francese si veda MAURIZIO FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, cit., pp. 54-74; PHILIPPE RAYNAUD, America e Francia, in L'eredità della Rivoluzione francese, cit., pp. 32-33.
160
riprende la nota formula «la Loi est l'expression de la volonté générale361»
–, ma da questo poi si distacca, prevedendo che tutti i cittadini potessero
concorrere alla sua formazione anche attraverso propri rappresentanti
(Déclaration, art. 6). Nello stesso articolo inoltre venivano proclamati altri
due diritti politici compromettenti l'antico edificio francese, ossia
l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e la loro uguale
ammissibilità «à toutes dignités, places et emplois publics, selon leur
capacité, et sans autre distinction que celle de leurs vertus et de leurs
talents362». In questo modo veniva inflitto un altro colpo mortale al sistema
di privilegi e diritti dell'Ancien Régime poiché per accedere alle cariche
pubbliche non serviva più alcun requisito di censo o di nascita.
Anche questi diritti politici erano già stati proclamati con fermezza ed
esemplarità dai Bills americani e infatti a questi, ancora una volta,
guardarono i costituenti francesi. A riguardo l'art. XI del progetto del 6°
bureau risultava essere vago e poco incisivo, mentre per fiaccare in modo
decisivo il sistema feudale-aristocratico bisognava dare una forza maggiore
a questa statuizione. A questo proposito intervenne Barrère de Vieuzac:
voi volete eccitare l'emulazione, insegnando a tutti gli uomini
che in un impero ben costituito la dignità della loro vocazione è
la stessa, e che i pregiudizi non devono godere di ciò che
appartiene unicamente al talento. Propongo in conseguenza di
dare una forma più energica e più estesa all'art. XI, stabilendo
soprattutto che il diritto di esercitare i diversi impieghi della
società non può essere arbitrario né esclusivo. È attraverso simili
espressioni che, nelle loro dichiarazioni dei diritti, gli Americani
hanno estirpato tutti i germi delle aristocrazie363.361 Déclaration des droits, 1789, art. 6, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 120.362 Ibidem.363 Barrère de Vieuzac, Intervento all'Assemblea Nazionale Costituente, 1789, citato in ARMANDO
SAITTA, op. cit., p. 79.161
L'esempio americano dunque incalza l'Assemblea Nazionale a scegliere una
formulazione più efficace, come quella che poi verrà proposta da Autun
Talleyrand-Périgord e poi inserita nel testo finale della Déclaration364. Le
ex-colonie, in anticipo di dieci anni, avevano stabilito nelle loro
Dichiarazioni la stessa uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e la
soppressione di qualsiasi requisito per i titolari di pubbliche funzioni.
L'esempio era stato dato dal Bill della Virginia che, dopo aver affermato
«that no man, or set of men, are entitled to exclusive or separate
emoluments or privileges from the community, but in consideration of
public services; which, not being descendible, neither ought the offices of
magistrate, legislator, or judge to be hereditary365» (Virginia, sez. 4), nella
sesta sezione proclamava «that elections of members to serve as
representatives of the people, in assembly, ought to be free; and that all
men, having sufficient evidence of permanent common interest with, and
attachment to, the community, have the right of suffrage366».
L'art. 6 dunque costituisce uno dei cardini della Déclaration. In esso, oltre
alla ormai nota definizione di legge, vengono chiariti definitivamente i
contorni della forma di governo che sarà adottata dalla Costituzione del '91.
Come sostiene Martucci, infatti,
siamo in presenza di un ordinamento repubblicano. Visto che si
parla di uno stato rappresentativo (art. VI) in cui la sovranità
364 Anche i monarchiens diedero un apporto decisivo alla formulazione di questo articolo: non rendendosi pienamente conto di contribuire all'abolizione del primato aristocratico, furono Mounier e Lally-Tolendal ad aggiungere la frase «selon leur capacité, et sans autre distinction que celle de leurs vertus et de leurs talents». Mounier si accorse troppo tardi di aver compromesso la possibilità di introdurre il filtro censitario nell'elezione dei rapprentanti. Si veda ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 79-80; ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 192-195.
365 Virginia Bil of Rights, sez. 4, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 44.366 Virginia Bil of Rights, sez. 6, in Ivi, p. 46.
162
appartiene alla Nazione (art. III) e dove i diritti fondamentali,
posti alla base della polis (art. II), assicurano ai consociati un
regime di sostanziale uguaglianza «senza altre distinzioni se non
quelle delle loro virtù e dei loro talenti» (art. VI)367.
Paradossalmente, nel 1789 – quando ancora aveva un Re alla cui
approvazione per altro doveva essere sottoposta la Déclaration – la Francia
pone le basi per l'adozione di una forma repubblicana di governo, dal
momento che la sovranità passa dal Re alla Nazione ed affida il suo potere
ad alcuni organi rappresentativi eletti liberamente da tutti i cittadini. La
Dèclaration des droits, come abbiamo accennato in precedenza, non fa
alcun accenno al Re, o al potere esecutivo in senso lato, e Martucci
interpreta questa “mancanza” come una lettura francese del modello
costituzionale della Virginia. Nonostante entrambe le Dichiarazioni
proclamassero la separazione dei poteri, da entrambe trapela
una decisa svalutazione del ruolo politico dell'esecutivo che si
accompagna ad una fortissima preminenza del legislativo,
legittimato da un vasto elettorato maschile368.
Nella Déclaration è l'art. 16 che decreta la separazione dei poteri con una
formulazione alquanto generica e priva di incisività:
toute société dans laquelle la garantie des droits n’est pas
assurée, ni la séparation des pouvoirs déterminée, n’a point de
Constitution369.
367 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 198.368 ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., p. 197.369 Déclaration des droits, 1789, art. 16, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 122.
163
Quella che sembra una formulazione categorica, in realtà si rivela fin troppo
vaga, anche perché non esplicita il motivo di fondo per cui la divisione dei
poteri debba essere attuata. Così formulato, il principio perdeva quella
potenza d'impatto di cui era stato caricato nei Bills americani, anche a costo
di una maggiore prolissità. Proprio seguendo il modello d'oltreoceano, nei
loro progetti La Fayette e Mounier avevano dato tutt'altra impostazione
all'articolo in questione. Il marchese ne aveva dato questa chiara e completa
formulazione: «ogni governo ha come unico scopo il bene comune. Questo
interesse esige che i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario siano distinti
e definiti, e che la loro organizzazione assicuri la libera rappresentanza dei
cittadini, la responsabilità degli agenti e l'imparzialità dei giudici370».
Mounier aveva invece insistito sui rischi derivanti da una mancata
applicazione della separazione dei poteri: «per prevenire il dispotismo ed
assicurare l'impero della legge, i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario
devono essere distinti. La loro riunione nelle medesime mani metterebbe
coloro che ne fossero i depositari al di sopra di tutte le leggi e
permetterebbe loro di sostituirvi le loro volontà371».
L'Assemblea Nazionale optò invece per la formulazione presentata dal 6°
bureau che abbiamo visto essere decisamente meno potente372. Ciò non
toglie niente al dato di fatto che per primi gli Stati americani avevano
costituzionalizzato il principio della separazione dei poteri e che anche in
forza di questo esempio i costituenti francesi osarono fare altrettanto, in un
contesto in cui da secoli vigeva l'onnipotenza dell'Esecutivo (il Re) sugli
altri due poteri (Parlamenti e Corti giudiziarie).
Abbiamo visto dunque la profonda analogia tra il sistema di governo
370 Marchese di La Fayette, Progetto di dichiarazione dei diritti, in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 33.371 Jean Joseph Mounier, Progetto di dichiarazione dei diritti, in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 44.372 Riguardo alla formulazione dell'art. 16 della Déclaration, si veda ROBERTO MARTUCCI,
L'ossessione costituente, cit., pp. 195-196.164
repubblicano e rappresentativo implicitamente indicato dalla Déclaration
des droits, e quello esemplarmente attuato dalla maggior parte degli Stati
americani con i propri Bills of Rights.
Anche gli art. 12, 13, 14 e 15, come abbiamo mostrato nella tabella, ci
autorizzano a parlare di una forte influenza americana per quanto riguardale
formule e le espressioni usate. Gli art. 12 e 13 sanciscono la legittimità di
una forza pubblica messa al servizio dei diritti del cittadino e prevedono che
quest'ultimo contribuisca alle spese per il suo mantenimento e la sua
amministrazione. Le carte americane, con una formulazione molto simile,
avevano previsto la stessa cosa, non tanto per una forza di polizia interna,
quanto per un vero e proprio esercito dello Stato. L'art. 14 invece stabilisce
il diritto dei cittadini «de constater, par eux-mêmes ou par leurs
représentants, la nécessité de la contribution publique, de la consentir
librement, d’en suivre l’emploi et d’en déterminer la quotité, l’assiette, le
recouvrement et la durée373». Certo, nella Francia di fine Settecento il tema
era scottante quasi quanto lo era stato nell'America coloniale prima della
Rivoluzione. È vero nondimeno che l'articolo è assai debitore nei confronti
della formulazione datane dalle carte dei diritti americane. Anche l'art. 15
appare modellato sui Bills d'oltreoceano e sulla diffidenza verso i titolari di
funzioni pubbliche di cui essi sono pervasi. Esso infatti afferma che «la
société a le droit de demander compte à tout agent public de son
administration374».
Gli art. 7-9 della Déclaration, invece, riprendono gli stessi contenuti e le
stesse formulazioni, non solo degli articoli americani, ma anche dei
precedenti Bills of Rights inglesi. In questi vengono elencate le garanzie
dell'Habeas corpus fin nel dettaglio con una trascrizione quasi letterale
delle espressioni usate dai costituenti americani (come mostrato nella
373 Déclaration des droits, 1789, art. 14, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 120.374 Déclaration des droits, 1789, art. 15, in Ivi, p. 122.
165
tabella). La costituzionalizzazione di questi principi segnò un'altra rottura
epocale con l'Ancien Régime il cui sistema giuridico e penale veniva
smantellato pezzo per pezzo. L'individuo, colpevole o meno, veniva ora
protetto dagli arresti arbitrari (Déclaration, art. 7) e dalle sanzioni penali
non necessarie (Déclaration, art. 8); poteva essere punito solo in base ad
una legge anteriormente stabilita ed applicata (non retroattività della legge,
Déclaration, art. 8) ed era da considerare innocente fino a quando non
sarebbe stato provato il contrario (presunzione d'innocenza, Déclaration,
art. 9)375. Tutte queste nuove disposizioni penali, richieste anche in molti
Cahiers, riflettevano la nuova immagine dell'individuo e della sua
protezione che l'Illuminismo aveva contribuito a radicare nella società
francese, europea e americana. Quest'ultima ne aveva dato una prima
completa formulazione giuridica prescrittiva nei Bills dei redici Stati.
Gli ultimi tre articoli che rimangono da analizzare codificano altri
importanti diritti di libertà ancora una volta sulla scia dell'esempio
americano.
La discussione in seno all'Assemblea sull'art. 10, che riguardava la libertà
religiosa, fu caratterizzata da violenti contrasti che videro opporsi i
numerosi esponenti del clero e della Francia cattolica e i sostenitori di
nuove idee, tra i quali Mirabeau e Rabaut Saint-Etienne. Il dibattito occupò
due sedute e si concentrò sul progetto del 6° bureau che aveva dedicato ben
tre articoli alla problematica religiosa. Il primo di questi stabiliva il rispetto
per la religione e la morale in quanto elementi essenziali per l'ordine della
società (art. 16). Nell'art. 17 si affermava la necessità per la religione di
essere professata pubblicamente e per questo si dichiarava indispensabile il
rispetto per il culto pubblico, senza però stabilirne uno. Infine l'art. 18
dichiarava che «ogni cittadino che non turba il culto stabilito non deve
375 Si veda a questo proposito ROBERTO MARTUCCI, L'ossessione costituente, cit., pp. 185-186.166
essere inquietato376». Si parlava dunque di un culto “stabilito” senza
specificare però quale fosse. Insomma il 6° bureau aveva tentato di
risolvere la questione religiosa senza prendere una posizione netta a
riguardo.
A sostegno della libertà d'opinione religiosa intervennero fra gli altri
Mirabeau, Pétion, Bouche e Rabaut Saint-Etienne. Quest'ultimo, rifacendosi
esplicitamente alla Declaration of Rights della Pennsylvania – che
proclamava chiaramente la libertà di coscienza377 – chiese addirittura la
parità dei diritti religiosi per i non cattolici378. La maggioranza
dell'Assemblea, in cui erano presenti numerosi esponenti del clero, si
schierò contro queste nuove idee, riuscendo a far approvare un articolo in
cui fosse proclamata, in modo molto generico, la semplice tolleranza
d'opinione:
Nul ne doit être inquiété pour ses opinions, même religieuses,
pourvu que leur manifestation ne trouble pas l’ordre public
établi par la Loi379.
Niente a che vedere dunque con la più ampia statuizione della libertà
religiosa e di culto presente nei Bills americani380, primo fra tutti quello
della Virginia la cui formulazione dal sapore “illuminista” è esemplare:
That religion, or the duty which we owe to our Creator, and the 376 Progetto di dichiarazione del 6° bureau, 1789, art. 18, in ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 63.377 «That all men have a natural and unalienable right to worship Almighty God according to the
dictates of their own consciences and understanding», A Declaration of Rights of the Inhabitants of the State of Pennsylvania, art. II, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 50.
378 Si veda GEORG JELLINEK, op. cit., p. 28.379 Déclaration des droits, 1789, art. 10, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 120.380 In alcuni Bills americani erano comunque previste delle restrizioni in materia di libertà
religiosa e di culto verso i cattolici, gli atei o le sette non cristiane. Si veda Maryland Declaration of Rights, art. XXXIII e XXXV, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 65.
167
manner of discharging it, can be directed only by reason and
convinction, not by force or violence; and therefore all men are
equally entitled to the free exercise of religion, according to the
dictates of conscience […]381.
A bene vedere, pur scartando l'iniziale proclamazione del diritto
dell'individuo alla libertà di coscienza, i costituenti francesi sembrano
riprendere proprio la formulazione della libertà d'opinione dall'art. II della
Declaration of Rights del Massachusetts che recita:
it is the right as well as the duty of all men in society, publicy
and at stated seasons, to worship the Supreme Being, the great
Creator and Preserver of the universe. And no subject shall be
hurt, molested, or restrained, in his person, liberty, or estate for
worshipping God in the manner and the season most ageeable to
the disctates of his own conscience, or for hi religious profession
or sentiments, provided he doth not disturb the public peace or
obstruct others in their religious worship382.
Dunque pur prescrivendo come dovere di tutti gli uomini quello di venerare
l'Essere Supremo, come sottolinea Jellinek, le carte dei diritti americane
avevano già proclamato la piena libertà di coscienza e di culto. E
giustamente Jellinek riconduce questo primato, se così si può definire, al
diverso ruolo giocato dal fattore religioso nel contesto storico americano,
fin dai primi insediamenti puritani del XVII secolo. Gli esuli protestanti
lasciarono l'Inghilterra in cerca di un luogo dove fosse possibile praticare
l'assoluta libertà di coscienza e di culto; nel fondare le nuove comunità 381 Virginia Bill of Rights, sez. 16, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 48.382 A Declaration of Rights of the Inhabitants of the Commonwealth of Massachusetts, art. II, in
FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 81.168
politiche in terra americana essi trasportarono questi principi nella sfera
politica dove ebbero un primo riconoscimento giuridico-costituzionale. È
sulla propria tradizione di lotte e conquiste religiose che i vari Stati
americani alla fine Settecento poterono, in modo più o meno assoluto,
dichiarare la libertà di coscienza un diritto naturale e inalienabile
dell'uomo383. In Francia il contesto storico era assai diverso. Le sanguinose
lotte religiose del XVI-XVII secolo non si erano risolte con la
proclamazione della libertà di religione tanto sospirata dagli ugonotti.
Dunque nella Déclaration fu ammessa solo la libertà d'opinione religiosa,
sempre sottomessa alla legge e ai limiti da essa stabiliti.
Quest'ultima è una precisazione importante che i costituenti francesi non
tralasciarono mai di includere negli articoli della Déclaration, riproponendo
costantemente i due volti della legge: se da una parte essa si faceva garante
dei diritti naturali dell'uomo – in questo caso la libertà d'opinione – dall'altra
era essa stessa a stabilirne i limiti e le condizioni d'esercizio.
La riserva di legge venne applicata anche alla libertà di stampa stabilita
nell'art. 11 della Déclaration che afferma:
La libre communication des pensées et des opinions est un des
droits les plus précieux de l’homme : tout citoyen peut donc
parler, écrire, imprimer librement, sauf à répondre de l’abus de
cette liberté, dans les cas déterminés par la Loi384.
Anche qui è innegabile l'influenza dell'esempio americano, oltretutto
sapendo che la formulazione finale di questo articolo si deve al duca La
Rochefoucauld385 che, oltre ad essere stato segretario di Franklin, era stato il
383 A questo proposito si veda GEORG JELLINEK, op. cit., pp. 37-46.384 Déclaration des droits, 1789, art. 11, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 120.385 ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 81.
169
principale traduttore dei documenti politici americani, poi diffusi in tutti i
salotti della Francia prerivoluzionaria. Ancora una volta però, a separare la
formulazione francese da quella d'oltreoceano è l'ancoraggio di una tale
libertà all'autorità della legge e dei limiti da essa prescritti.
La Déclaration si chiude con un articolo proposto e fatto approvare da
Duport, su richiesta del cahier del Terzo Stato di Parigi386. Questo
conteneva la proclamazione del diritto inviolabile e sacro alla proprietà di
cui « nul ne peut en être privé, si ce n’est lorsque la nécessité publique,
légalement constatée, l’exige évidemment, et sous la condition d’une juste
et préalable indemnité387». Anche in questo caso le carte americane avevano
già previsto un simile articolo, anche se si può intuire che la formulazione
dell'articolo della Déclaration prenda la sua forza ed incisività dal contesto
storico della Francia d'Ancien Régime dove la proprietà era da sempre un
privilegio di pochi.
Occorre fare un'ultima osservazione a proposito della Déclaration des
droits dell'89. In questa non compaiono altri diritti e libertà dell'individuo
che invece quasi tutte le carte americane avevano previsto. Non figurano
per esempio la libertà di movimento, il diritto dei cittadini di riunirsi
pacificamente, la libertà di indirizzare petizioni alle autorità costituite. Tutti
questi diritti, insieme ad una più energica riaffermazione della libertà di
pensiero e alla proclamazione della libertà di culto religioso, verranno poi
inseriti nel Titolo I della Constitution approvata nel 1791. Qui figurarono
anche gli innovativi diritti al soccorso pubblico e all'istruzione pubblica
gratuita388.
Siamo giunti alla fine di questa analisi comparativa tra il testo della
386 ARMANDO SAITTA, op. cit., p. 81.387 Déclaration des droits, 1789, art. 17, in FELICE BATTAGLIA, op. cit., p. 123.388 Costituzione del 3 settembre 1791, Titolo I,citato in ARMANDO SAITTA, op. cit., pp. 253-254.
170
Déclaration des droits del 1789 e quello dei Bills of Rights americani più
importanti.
Tenendo conto del dibattito prerivoluzionario francese e dell'attenzione che
in esso si dedicò alla nuova realtà politica d'oltreoceano, è assai ragionevole
concludere che la maggior parte di deputati all'Assemblea Nazionale
Costituente fosse a conoscenza dei documenti politici nordamericani,
tradotti e diffusi ampiamente nel giro di pochi anni.
Il recente esempio del popolo americano che attraverso nuovi documenti
scritti si era proclamato indipendente e aveva ricostruito il suo edificio
politico-istituzionale, certamente ispirò i rivoluzionari francesi alle prese
con il rinnovamento del proprio sistema politico-sociale. In questo contesto,
il paragone con l'esperienza americana fu costante.
Soffermandoci sul documento cardine della Rivoluzione francese, la
Déclaration des droits de l'homme et du citoyenne, abbiamo cercato di
metterla in rapporto con i suoi altrettanto illustri precedenti americani.
Abbiamo visto, come già sostenuto da Jellinek, che l'idea stessa di una
dichiarazione scritta, in cui fossero elencati tutti i diritti e le libertà
particolari dell'individuo, fu coscientemente recepita dalla cornice
americana. Abbiamo trovato negli stessi costituenti francesi la
consapevolezza di questa filiazione.
La matrice americana della Déclaration risulta evidente anche dalla
posizione che essa venne ad avere rispetto alla Constitution. In questo
modo, anteposta all'ordinamento politico vero e proprio, la Dichiarazione
francese assunse quel carattere fortemente prescrittivo che non poteva
derivare dal contesto francese. Nell'89 infatti la Francia era ancora una
monarchia assoluta e soprattutto la vecchia società aristocratica era ancora
fortemente e attivamente rappresentata all'interno dell'Assemblea
Nazionale. In un certo senso, dunque, le formule prescrittive con cui gli
171
Americani avevano proclamato i loro diritti costituirono il precedente
legittimo che spinse i Francesi ad adottare un testo dallo stesso valore
giuridico prescrittivo.
Dunque la Déclaration francese fu ideata e calcata sui precedenti Bills
americani, da cui mutuò non solo molte espressioni, ma anche quasi tutti i
contenuti. Certo le differenze non mancano e sono dovute principalmente
alla diversità del contesto storico e della tradizione politico-filosofica: la
Déclaration, come abbiamo visto, si distanzia dall'esperienza americana
soprattutto per quanto riguarda la concezione della legge, a cui affida il
doppio ruolo di garante e, al tempo stesso, di limite dei diritti individuali.
Come ha affermato giustamente Jellinek, i francesi non copiarono
servilmente le dichiarazioni americane, ma le adattarono al proprio
contesto389.
Nondimeno, tenendo conto di tutti i fattori sopra illustrati, è difficile negare
l'influenza sulla redazione della Déclaration des droits che ebbero
l'esperienza americana e i suoi Bills in cui per la prima volta i diritti
universali dell'uomo furono costituzionalizzati.
389 Georg Jellinek, Risposta di Jellinek a Boutmy, in SARA LAGI, op. cit., pp. 112-113.172
APPENDICI
VIRGINIA BILL OF RIGHTS, 1776390
A declaration of rights made by the representatives of the good people of Virginia, assembled in full and free convention; which rights do pertain to them and their posterity, as the basis and foundation of government.
Section I. That all men are by nature equally free and independent and have certain inherent rights, of which, when they enter into a state of society, they cannot, by any compact, deprive or divest their posterity; namely, the enjoyment of life and liberty, with the means of acquiring and possessing property, and pursuing and obtaining happiness and safety.
Sec. 2. That all power is vested in, and consequently derived from, the people; that magistrates are their trustees and servants and at all times amenable to them.
Sec. 3. That government is, or ought to be, instituted for the common benefit, protection, and security of the people, nation, or community; of all the various modes and forms of government, that is best which is capable of producing the greatest degree of happiness and safety and is most effectually secured against the danger of maladministration; and that, when any government shall be found inadequate or contrary to these purposes, a majority of the community hath an indubitable, inalienable, and indefeasible right to reform, alter, or abolish it, in such manner as shall be judged most conducive to the public weal.
Sec. 4. That no man, or set of men, are entitled to exclusive or separate emoluments or privileges from the community, but in consideration of public services; which, not being descendible, neither ought the offices of magistrate, legislator, or judge to be hereditary.
Sec. 5. That the legislative and executive powers of the state should be separate and distinct from the judiciary; and that the members of the two first may be restrained from oppression, by feeling and participating the burdens of the people, they should, at fixed periods, be reduced to a private station, return into that body from which they were originally taken, and the vacancies be supplied by frequent, certain, and regular elections, in wh ich all, or any part, of the former members, to be again eligible, or ineligible, as the laws shall direct.
Sec. 6. That elections of members to serve as representatives of the people, in assembly, ought to be free; and that all men, having sufficient evidence of permanent common interest with, and attachment to, the community, have the right of suffrage and cannot be taxed or deprived of their property for public uses 390 È qui riprodotta integralmente la versione italiana del Bill of Rights della Virginia contenuta in
FELICE BATTAGLIA, Le Carte dei diritti, Reggio Calabria, Laruffa, 1998, pp. 44- 49.173
without their own consent, or that of their representatives so elected, nor bound by any law to which they have not, in like manner, assented for the public good.
Sec. 7. That all power of suspending laws, or the execution of laws, by any authority, without consent of the representatives of the people, is injurious to their rights and ought not to be exercised.
Sec. 8. That in all capital or criminal prosecutions a man hath a right to demand the cause and nature of his accusation, to be confronted with the accusers and witnesses, to call for evidence in his favor, and to a speedy trial by an impartial jury of twelve men of his vicinage, without whose unanimous consent he cannot be found guilty; nor can he be compelled to give evidence against himself; that no man be deprived of his liberty, except by the law of the land or the judgment of his peers.
Sec. 9. That excessive bail ought not to be required, nor excessive fines imposed, nor cruel and unusual punishments inflicted.
Sec. 10. That general warrants, whereby an officer or messenger may be commanded to search suspected places without evidence of a fact committed, or to seize any person or persons not named, or whose offense is not particularly described and supported by evidence, are grievous and oppressive and ought not to be granted.
Sec. 11. That in controversies respecting property, and in suits between man and man, the ancient trial by jury is preferable to any other and ought to be held sacred.
Sec. 12. That the freedom of the press is one of the great bulwarks of liberty and can never be restrained but by despotic governments.
Sec. 13. That a well-regulated militia, or composed of the body of the people, trained to arms, is the proper, natural, and safe defense of a free state; that standing armies, in time of peace, should be avoided as dangerous to liberty; and that in all cases the military should be under strict subordination to, and governed by, the civil power.
Sec. 14. That the people have a right to uniform government; and, therefore, that no government separate from or independent of the government of Virginia ought to be erected or established within the limits thereof.
Sec. 15. That no free government, or the blessings of liberty, can be preserved to any people, but by a firm adherence to justice, moderation, temperance, frugality, and virtue, and by frequent recurrence to fundamental principles.
Sec. 16. That religion, or the duty which we owe to our Creator, and the manner of discharging it, can be directed only by reason and conviction, not by force or violence; and therefore all men are equally entitled to the free exercise of religion, according to the dictates of conscience; and that it is the mutual duty of all to practice Christian forbearance, love, and charity toward each other.
174
TABLEAU DES DROITS, IN AUX BATAVES SUR LE STATHOUDERAT PAR LE COMTE DE MIRABEAU, 1788 391
I. Tous les hommes sont nés libres et égaux.
II. Tout pouvoir étant émané du peuple, les différens magistrats ou officiers du gouvernement, revêtus d'une autorité quelconque législative, exécutive ou Judiciarie, lui doivent compte dans tous les temps.
III. Le peuple pour le bonheur de qui le gouvernement est institué, a le droit inaliénable de le réformer, de le corriger, ou de le changer totalement lorsque son bonheur l'exige.
IV. Le peuple a le droit de remplir les emplois vacans par des élections et des nominations régulières, et de faire rentrer ses officiers publics dans la vie privée, à certaines époques.
V. Toutes les élections doivent être libres, et tout homme donnant une preuve suffisante d'un intérêt permanent, et de l'attachement qui en est la suite, a droit à élire les officiers et à être élu pour emplois publics.
VI. Le peuple a droits de s'assembler pour consulter sur le bien commun. Il a droit de donner des instructions à ses représentans, et de requérir du corps législatif, par des adresses ou des remontrances, le redressement des torts qui lui ont èté fait, et le soulagement des maux qu'il souffre.
VII. La liberté des délibérations dans les assemblées est si essentielle, qu'aucun des discours qui s'y sont tenus, ne doit servir de pretexte à aucune action ou plainte dans aucune Cour.
VIII. Une longue stabilité dans les prémiers départemens de la puissance exécutive, ou dans les emplois de manutention des deniers, est dangereuse puor la liberté; le changement périodique des membres de ce département est tout-à-fait nécessaire.
IX. Aucune personne ne doit exercer, à la fois, plus d'un emploi lucratif.
X. Pour que les loix gouvernent et non les hommes, il faut que les départemens législatifs, exécutifs et judiciaires soient totalement séparés.
XI. Le droit de suspendre les loix, ou d'eu arrêter l'exécution, ou méme de les annuller, ne peut étre exercé que par le pouvoir législatif.
391 Qui è riprodotta solo la prima formulazione di ogni articolo. L'intera opera di Mirabeau è contenuta in ROBERTO STURLA, Il modello olandese nella Francia del Settecento, cit., pp. 189-210.
175
XII. Un peuple ne peut conserver un gouvernement libre que par une adhésion ferme et constant aux règles de la justice, de la modération, de la tempérance, de l'économie, de la vertu, et par un recours fréquent à ses principes fondamentaux.
XIII. Le peuple a droit d'avoir et de porter des armes pour la défense commune.
XIV. Une milice bien réglée est la défense convenable, naturelle et sûre d'un Gouvernement libre.
XV. Des armées toujours sur pied sont dangereuses la liberté, il ne doit être levé ni entretenu de troupes, sans le consentement du corps législatif: il faut aussi que le pouvoir militaire soit toujours sévérement subordonné, à l'autorité civile.
XVI. Aucune partie de la proprièté d'un individu ne peut avec justice lui être appliquée à des usages publics, sans son propre consentement, ou celui du corps qui représente le peuple.
XVII. Tout citoyen doit obtenir justice promptement, gratuitement, complettement. Quand la justice se paye, elle ne peut se rendre, ni promptement, ni complettement; et c'est alors le plus intolérable de tous les impôts.
XVIII.Aucune citoyen ne doit être exilé ou privé de la vie, de la liberté, ou de ses biens, que par un jugement authentique.
XIX. Tout citoyen gêné dans l'exercice de sa liberté, a droit de s'informer de la nature de l'obstacle qu'il éprouve, de l'écarter, s'il est illégitime, et d'obtenir une prompte réparation.
XX. Tout citoyen a droit d'être à l'abri de toutes recherches et de toutes saisies de sa personne, de ses maisons, de ses papiers, de ses possessions.
XXI. Il faut que les officiers des Cours supreme de judicature ayent un salaire honorable er qu'ils soient maintenus dans leurs offices aussi long-temps qu'ils ne donnent aucun sujet de plainte légale. Leur indépendance et leur intègrité sont les meilleurs garans des droits et de la liberté des citoyens.
XXII. Quant aux poursuites criminelles, la vérification des faits dans le voisinage des lieux où ils se sont passés, est de la plus grande importance pour la sûreté de la vie, de la liberté et de la propriété des citoyens.
XXIII. Les substitutions perpétuelles at les privilèges exclusifs sont odieux, contraires à l'esprit d'un gouvernement libre et aux principes du commerce.
XXIV. Aucune classe, aucune association d'hommes ne pouvant avoir de privilèges exclusifs que pour des services rendus à l'Etat, et les titres n'étant point héréditaires par leur essence, l'idée d'un homme né magistrat, législateur ou général, est absurde et contre nature.
176
XXV. Il faut admettre tous les Cultes.
XXVI. La libertè de la presse doit être inviolablement maintenue.
DÉCLARATION DES DROITS DE L'HOMME ET DU CITOYEN, 1789392
Les Représentants du Peuple Français, constitués en Assemblée nationale, considérant que l’ignorance, l’oubli ou le mépris des droits de l’homme sont les seules causes des malheurs publics et de la corruption des Gouvernements, ont résolu d’exposer, dans une Déclaration solennelle, les droits naturels, inaliénables et sacrés de l’homme, afin que cette Déclaration, constamment présente à tous les membres du corps social, leur rappelle sans cesse leurs droits et leurs devoirs ; afin que les actes du pouvoir législatif, et ceux du pouvoir exécutif pouvant être à chaque instant comparés avec le but de toute institution politique, en soient plus respectés ; afin que les réclamations des citoyens, fondées désormais sur des principes simples et incontestables, tournent toujours au maintien de la Constitution, et au bonheur de tous. En conséquence, l’Assemblée nationale reconnaît et déclare, en présence et sous les auspices de l’Être Suprême, les droits suivants de l’homme et du citoyen.
Article premier. Les hommes naissent et demeurent libres et égaux en droits. Les distinctions sociales ne peuvent être fondées que sur l’utilité commune.
Art. II. Le but de toute association politique est la conservation des droits naturels et imprescriptibles de l’homme. Ces droits sont la liberté, la propriété, la sûreté et la résistance à l’oppression.
Art. III. Le principe de toute Souveraineté réside essentiellement dans la Nation. Nul corps, nul individu ne peut exercer d’autorité qui n’en émane expressément.
Art. IV. La liberté consiste à pouvoir faire tout ce qui ne nuit pas à autrui : ainsi l’exercice des droits naturels de chaque homme n’a de bornes que celles qui assurent aux autres Membres de la Société, la jouissance de ces mêmes droits. Ces bornes ne peuvent être déterminées que par la Loi.
Art. V. La Loi n’a le droit de défendre que les actions nuisibles à la Société. Tout ce qui n’est pas défendu par la Loi ne peut être empêché, et nul ne peut être contraint à faire ce qu’elle n’ordonne pas.
Art. VI. La Loi est l’expression de la volonté générale. Tous les Citoyens ont droit de concourir personnellement, ou par leurs Représentants, à sa formation.
392 È qui rirpodotta integralmente la versione italiana della Déclaration des droita de l'homme et du citoyenne del 1789 contenuta in FELICE BATTAGLIA, Le Carte dei diritti, Reggio Calabria, Laruffa, 1998, pp. 118-123.
177
Elle doit être la même pour tous, soit qu’elle protège, soit qu’elle punisse. Tous les Citoyens étant égaux à ses yeux, sont également admissibles à toutes dignités, places et emplois publics, selon leur capacité, et sans autre distinction que celle de leurs vertus et de leurs talents.
Art. VII. Nul homme ne peut être accusé, arrêté, ni détenu que dans les cas déterminés par la Loi, et selon les formes qu’elle a prescrites. Ceux qui sollicitent, expédient, exécutent ou font exécuter des ordres arbitraires, doivent être punis ; mais tout Citoyen appelé ou saisi en vertu de la Loi doit obéir à l’instant : il se rend coupable par la résistance.
Art. VIII. La Loi ne doit établir que des peines strictement et évidemment nécessaires, et nul ne peut être puni qu’en vertu d’une Loi établie et promulguée antérieurement au délit, et légalement appliquée.
Art. IX. Tout homme étant présumé innocent jusqu’à ce qu’il ait été déclaré coupable, s’il est jugé indispensable de l’arrêter, toute rigueur qui ne serait pas nécessaire pour s’assurer de sa personne, doit être sévèrement réprimée par la Loi.
Art. X. Nul ne doit être inquiété pour ses opinions, même religieuses, pourvu que leur manifestation ne trouble pas l’ordre public établi par la Loi.
Art. XI. La libre communication des pensées et des opinions est un des droits les plus précieux de l’Homme : tout Citoyen peut donc parler, écrire, imprimer librement, sauf à répondre de l’abus de cette liberté, dans les cas déterminés par la Loi.
Art. XII. La garantie des droits de l’Homme et du Citoyen nécessite une force publique : cette force est donc instituée pour l’avantage de tous, et non pour l’utilité particulière de ceux auxquels elle est confiée.
Art. XIII. Pour l’entretien de la force publique, et pour les dépenses d’administration, une contribution commune est indispensable. Elle doit être également répartie entre tous les Citoyens, en raison de leurs facultés.
Art. XIV. Tous les Citoyens ont le droit de constater, par eux-mêmes ou par leurs Représentants, la nécessité de la contribution publique, de la consentir librement, d’en suivre l’emploi et d’en déterminer la quotité, l’assiette, le recouvrement et la durée.
Art. XV. La Société a le droit de demander compte à tout Agent public de son administration.
Art. XVI. Toute Société dans laquelle la garantie des Droits n’est pas assurée, ni la séparation des Pouvoirs déterminée, n’a point de Constitution.
Art. XVII. La propriété étant un droit inviolable et sacré, nul ne peut en être privé, si ce n’est lorsque la nécessité publique, légalement constatée, l’exige évidemment, et sous la condition d’une juste et préalable indemnité.
178
BIBLIOGRAFIA
• ABBATTISTA, GUIDO, La Rivoluzione americana, Roma-Bari, Laterza,
1998.
• APPLEBY, JOYCE, America as a Model for the Radical French
Reformers of 1789, «The William and Mary Quarterly», vol. 28, nr. 2, aprile
1971, pp. 267-286.
• Aquarone, Alberto – Negri, Guglielmo – Scelba, Cipriana, (a cura
di), La formazione degli Stati Uniti d'America: documenti, vol. I e II, Pisa,
Nistri-Lischi, 1961.
• AQUARONE, ALBERTO, Due costituenti settecentesche: note sulla
Convenzione di Filadelfia e sull'Assemblea Nazionale francese, Pisa, Nistri-
Lischi, 1959.
• BAILYN, BERNARD The ideological origins of the American Revolution,
Cambridge, The Balknap Press of Harvard University Press, 1992.
• BATTAGLIA, FELICE, Le carte dei diritti, Reggio Calabria, Laruffa,
19983.
• Bonazzi, Tiziano, (a cura di), La Costituzione statunitense e il suo
significato odierno, Bologna, Il Mulino, 1988, pp. 205-223.
• Bonazzi, Tiziano, (a cura di), La Dichiarazione di indipendenza
degli Stati Uniti d'America, Venezia, Marsilio Editori, 1999.
• Bonazzi, Tiziano, (a cura di), La Rivoluzione americana, Bologna, Il
Mulino, 1977.
• BONAZZI, TIZIANO, Paradigmi atlantici, in America-Europa: la
circolazione delle idee, a cura di Tiziano Bonazzi, Bologna, Il Mulino,
179
1976, pp. 205-223.
• BOUTMY, ÉMILE, La Déclaration des droit de l'homme et du citoyen et
M. jellinek, «Annales de Sciences Politique», XVII, 1902, pp. 415-443.
• BUTTÀ, GIUSEPPE, Il modello americano, in Modelli nella storia del
pensiero politico. II. La Rivoluzione francese e i modelli politici, a cura di
Vittor Ivo Comparato, Firenze, Leo S. Olschki, 1989.
• Campos Boralevi, Lea – Quaglioni, Diego, (a cura di), Politeia
biblica, Firenze, Olschki, 2003.
• CONDORCET, JEAN ANTOINE, Dichiarare i diritti, costituire i poteri. Un
inedito sulla dichiarazione dei diritti dell'uomo, a cura di Gabriele Magrin,
Milano, Giuffrè, 2011.
• DEL VECCHIO, GIORGIO, Contributi alla storia del pensiero giuridico
e filosofico, Milano, Giuffrè, 1963.
• DIAZ, FURIO, Dal movimento dei lumi al movimento dei popoli:
l'Europa tra illuminismo e rivoluzione, Bologna, Il Mulino, 1986.
• FIORAVANTI, MAURIZIO, Appunti di storia delle costituzioni moderne.
Le libertà fondamentali, Roma, GLF Editori Laterza, 2009.
• FIORAVANTI, MAURIZIO, Costituzionalismo. Percorsi della storia e
tendenze attuali, Torino, G. Giappichelli Editore, 1995.
• FIORAVANTI, MAURIZIO, Costituzione, Bologna, Il Mulino, 1999.
• FURET, FRANÇOIS, Introduzione, in L'eredità della Rivoluzione
francese, a cura di François Furet, Roma, Editori Laterza, 1989, pp. 3-22.
• GAUCHET, MARCEL, La Révolution des droits de l'homme, Paris,
Gallimard, 1989.
• GRIFFIN, STEPHEN M., American Constitutionalism. From Theory to
Politics, Princeton, 1996, trad. it. Il costituzionalismo americano. Dalla
180
teoria alla politica, Bologna, Il Mulino, 2003
• H. MCILWAIN, CHARLES, The American Revolution: A Constitutional
Interpretation, New York, 1923, trad. it. La Rivoluzione americana: una
interpretazione costituzionale, a cura di Nicola Matteucci, Bologna, Il
Mulino, 1965.
• HAMILTON, ALEXANDER, – JAY, JOHN, – MADISON, JAMES, The
Federalist, New York, 1788, trad. it. Il Federalista (commento alla
costituzione degli Stati Uniti), Pisa, Nistri-Lischi, 1955.
• HOFMANN, HASSO, Il contenuto politico delle dichiarazioni dei diritti
dell'uomo, «Filosofia politica», anno V, n. 2, 1991.
• HUNT, LYNN, La forza dell'empatia: una storia dei diritti dell'uomo,
Roma-Bari, Laterza, 2010.
• JELLINEK, GEORG, Die Erklärung der Menschen und Bürgerrechte.
Ein Beitrag zur modernen Verfassungsgeschichte, 1895, trad. it. La
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, a cura di Giorgio
Bongiovanni, Bari, GLF Editori Laterza, 2002.
• JOURDAN, ANNIE, Bataven! Nederlandse vluchtelingen in Frankrijk
1787-1795, «Annales historique de la Revolution Française», 339, janviers-
mars, 2005, pp. 181-183.
• JOURDAN, ANNIE, The “Aliens Origins” of the French Revolution:
American, Scottish, Genevan, and Dutch Influences, «Proceedings of the
Western Society for the French History», vol. 35, 2007, pp. 185-205.
• LAGI, SARA, Georg Jellinek. Storico del pensiero politico (1883-
1905), Firenze, CET, 2009.
• LOCKE, JOHN, Second Treatise on Government. An Essay Concerning
the True Original, Extent, and End of Civil Government, 1689, trad. it. Il
secondo trattato sul governo, introd. di Tito Magri, Milano, Bur, 2007.181
• LOVEJOY, ARTHUR O., La grande catena dell'Essere, Milano,
Feltrinelli, 1981,
• MAGRIN, GABRIELE, Condorcet: un costituzionalismo democratico,
Milano, FrancoAngeli, 2001.
• MAGRIN, GABRIELE, La repubblica dei moderni. Diritti e democrazia
nel liberalismo rivoluzionario, Milano, FrancoAngeli, 2007.
• MARTUCCI, ROBERTO, L'ossessione costituente: forma di governo e
Costituzione nella Rivoluzione francese, 1789-1799, Bologna, Il Mulino,
2001.
• MARTUCCI, ROBERTO, La Rivoluzione dei due mondi. Dal Settantasei
virginiano all'Ottantanove francese, «I viaggi di Erodoto», 1992, 16, pp.
115-143.
• MARTUCCI, ROBERTO, Stati Uniti e Francia tra due Rivoluzioni
costituzionali (1776-1792), «Giornale di storia costituzionale», n. 17, I
semestre 2009, pp. 43-78.
• MASTELLONE, SALVO, Storia del pensiero politico europeo. Dal XV al
XVIII secolo, Torino, UTET, 1999.
• MASTELLONE, SALVO, Storia della democrazia in Europa. Dal XVIII al
XX secolo, Torino, UTET, 2004.
• MATTEUCCI, NICOLA, La Rivoluzione americana: una rivoluzione
costituzionale, Bologna, Il Mulino, 1987.
• MATTEUCCI, NICOLA, Lo stato moderno: lessico e percorsi, Bologna,
Il Mulino, 1997.
• MATTEUCCI, NICOLA, Organizzazione del potere e libertà. Storia del
costituzionalismo moderno, Torino, UTET, 1988.
• MAZZANTI PEPE, FERNANDA, Brissot: dal modello inglese al modello
182
americano, in Modelli nella storia del pensiero politico. II. La Rivoluzione
francese e i modelli politici, a cura di Vittor Ivo Comparato, Firenze, Leo S.
Olschki, 1989.
• MAZZANTI PEPE, FERNANDA, Il modello americano in Brissot, in
Dottrine e istituzioni della rappresentanza (XVII - XIX secolo), a cura di
Carlo Carini, Firenze, CET, 1990.
• MCILWAIN, CHARLES, Constitutionalism: Ancient and Modern, New
York, 1940, trad. it. Costituzionalismo antico e moderno, a cura di Nicola
Matteucci, Bologna, Il Mulino, 1990.
• MIRABEAU, HONORÉ GABRIEL RIQUETI, Aux Bataves sur le
Stathouderat, 1788, in STURLA, ROBERTO, Il modello olandese nella Francia
del Settecento fra commercio, federalismo e libertà. Aux Bataves sur le
Stathouderat par le Comte de Mirabeau, Firenze, CET, 2011.
• MONTESQUIEU, CHARLES LOUIS, De l'esprit des lois, 1748, trad. it. Lo
spirito delle leggi, Milano, Rizzoli, 1967-68.
• JAMES OTIS, Against Writes of Assistence, 1761,
http://constitution.org/bor/otis_against_writs.htm (ultima visualizzazione in
data 29/06/2012)
• OTIS, JAMES, The Rights of the British Colonies Asserted and Proved,
1764, http://teachingamericanhistory.org/library/index.asp?document=267
(ultima visualizzazione in data 29/06/2012)
• PERSANO, PAOLA, La catena del tempo. Il vincolo generazionale nel
pensiero politico francese tra Ancien régime e Rivoluzione, Macerata, Eum,
2007.
• RAYNAUD, PHILIPPE, America e Francia: due rivoluzioni a confronto,
in L'eredità della Rivoluzione francese, a cura di François Furet, Roma,
Editori Laterza, 1989, pp. 25-46.
183
• ROUSSEAU, JEAN-JACQUES, Du contrat social: ou principes du droit
politique, 1762, trad. it. Il contratto sociale, introd. di Tito Magri, GLF
Editori Laterza, 2006.
• SAITTA, ARMANDO, Costituenti e costituzioni della Francia
rivoluzionaria e liberale (1789-1875), Milano, Giuffrè Editore, 1975.
• STURLA, ROBERTO, Democrazia e uguaglianza in America: un
dibattito nella Francia prerivoluzionaria (1770-1788), Firenze, CET, 2000.
• STURLA, ROBERTO, Il modello olandese nella Francia del Settecento
fra commercio, federalismo e libertà. Aux Bataves sur le Stathouderat par
le Comte de Mirabeau, Firenze, CET, 2011.
• TORTAROLO, EDOARDO, Illuminismo e rivoluzioni. Biografia politica
di Filippo Mazzei, Milano, FrancoAngeli, 1986.
• WALZER, MICHAEL, The Revolution of the Saints: a Study in the
Origins of Radical Politics, 1695, trad. it. La rivoluzione dei santi: il
puritanesimo alle origini del radicalismo politico, Torino, Claudiana, 1996.
184
RINGRAZIAMENTI
Giunta alla fine di questo lavoro desidero ringraziare prima di tutto le
persone che hanno contribuito alla riuscita di questo lavoro.
Ringrazio innanzitutto la Prof.ssa Lea Campos Boralevi per avermi
introdotto allo studio della storia delle dottrine politiche. La ringrazio per
aver voluto valorizzare il mio interesse per la storia americana nel propormi
il tema della tesi. La ringrazio inoltre per la costante attenzione e per
l'interesse sincero con cui ha seguito passo passo il mio lavoro.
Ringrazio inoltre il Prof. Minuti, non solo per il suo impegno di correlatore
di questa tesi, ma anche per la sua instancabile dedizione al Corso di Laurea
e soprattutto alla carriera degli studenti. Il suo impegno, la sua disponibilità,
la sua stessa presenza per me sono stati in questi anni un punto di
riferimento certo a cui guardare, in mezzo a tutto il marasma in cui versa
l'Università.
Voglio ringraziare i miei genitori, per tutto. Soprattutto li ringrazio per
avermi sempre testimoniato Chi può salvare tutto dal nulla e in Chi
ripongono la loro stessa consistenza.
Non posso non ringraziare mio nonno Otello, professore novantenne in
pensione, che ha conservato la freschezza di un venticinquenne. Senza il
suo prezioso aiuto nelle traduzioni dal francese e nella puntuale correzione
delle bozze, non sarei riuscita certamente a fare quello che ho fatto. Inoltre,
ho il sospetto di aver preso proprio da lui, storico di San Casciano e politico
appassionato, la mia predilezione per questa materia.
Ringrazio poi Sara Gaggio, Francesca Pasquini e Sara Furiassi per avermi
sostenuto con una pazienza incredibile durante questi di tesi.
Alla fine di questo percorso, facendo un bilancio di questi sei anni di
università, ho il desiderio sincero, non formale, di ringraziare chi mi è stato
dato come compagno in questo tratto di strada verso il mio destino.
Davide... grazie per avermi aspettata e grazie per volermi così bene, un
bene che non è di questo mondo.
Tra i tanti amici "letterati" che mi sono stati regalati, restano scolpiti come
nella roccia i volti, le parole, gli abbracci di Alberto, Nando, Giacomo,
Emanuele, Irene, Francesca, e ancora Davide: con la loro discreta e
intelligente amicizia mi hanno accompagnato ed aiutato a prendere
coscienza di me.
Non posso fare i nomi di tutti gli altri amici di Lettere a cui va un grazie
enorme per la compagnia che mi hanno fatto, ognuno a suo modo, non solo
nello studio, ma proprio in tuttte le cose della vita. Grazie, davvero! Siete
stati strumento della mia crescita.
Grazie agli amici di Lista Aperta (non solo di Lettere) con i quali mi sono
giocata in prima persona nella vita politica dell'universitàe grazie ai quali
sono arrivata a dare giudizi veri sulle cose.
Voglio ringraziare gli amici del coro (di ieri e di oggi) per avermi educato,
attraverso la bellezza del canto, alla bellezza della vita.
Voglio ringraziare anche i miei grandi amici di Casa Elena! Grazie per la
vostra gratuita, affettuosa e commovente amicizia!
Maria, grazie della tua presenza costante, silenziosa e umile che si fa sentire
da Haiti. Grazie anche per la serenità con cui stai giorno per giorno a quello
che ti è chiesto.
Infine, un pensiero va a Graziano. La mia avventura in università è iniziata
nel segno della tua letizia, della tua bontà e della tua dedizione alla
Bellezza. Quindi grazie per la tua presenza, ora più viva che mai.
Top Related