INTRODUZIONE 1 L'UNIONE DI COMUNI: IL PERCORSO LEGISLATIVO 1.1 La Legge n. 142 - 8 giugno 1990 - Ordinamento delle autonomie locali 1.2 Legge 15 marzo 1997, n. 59 - Legge Bassanini 1.3 Legge 3 agosto 1999, n. 265 1.4 Decreto Legislativo n. 267 del 18 Agosto 2000 - T. U. E. L. (Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli Enti Locali 1.5 Le disposizioni dal D.L. n. 78/2010 al D.L. n. 138/2011 2 LA DISTINZIONE TRA I DIVERSI MODELLI AGGREGATIVI IN ITALIA 2.1 La gestione dei servizi associati 2.2 L'Istituto delle Convenzioni 2.3 L'Istituto dei Consorzi 2.4 Gli accordi di Programma 2.5 Le differenze tra l'Istituto dell'Unione e l'Istituto della Fusione 3 LE ESPERIENZE INTERCOMUNALI IN EUROPEA 3.1 L'intercomunalità in Germania 3.2 L'esperienza in Francia 3.3 L'esperienza in Polonia 4 IL QUADRO DESCRITTIVO DELLE UNIONI DI COMUNI IN ITALIA 4.1 I Comuni in Italia 4.2 I caratteri descrittivi generali dal 2000 al 2005 4.3 Il quadro descrittivo generale delle Unioni 4.4 Le funzioni amministrative coinvolte nel fenomeno dell'associazionismo 4.5 I Rapporti finanziari tra i Comuni associati 5 CASE STUDY: UNIONE DELLA BASSA ROMAGNA 50 5.1 Perchè l'Unione della Bassa Romagna? 5.2 Profilo storico e descrittivo dei Comuni appartenenti all'Unione della Bassa Romagna 5.3 L'Associazionismo nella Bassa Romagna 5.3.1 Dall'Associazione intercomunale all'Unione della Bassa Romagna 5.3.2 Lo Statuto dell'Unione della Bassa Romagna 5.3.2.1 I principi fondamentali 5.3.2.2 Le funzioni associate 5.3.2.3 Organizzazione di governo 5.3.2.4 Organizzazione amministrativa 5.4 La pianificazione nell'Unione dei Comuni della Bassa Romagna 5.4.1 La L.R. n.20/2000 5.4.2 Le componenti strutturali del Piano associato 5.4.2.1 Il fabbisogno abitativo 5.4.2.2 Il sistema degli ambiti specializzati per attività produttiva 5.4.2.3 La valorizzazione delle risorse naturale e la diffusione sul territorio 5.4.2.4 Lo sviluppo insediativo dei centri urbani e la valorizzazione dei settori di commercio 5.4.2.5 L'assetto infrastrutturale CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
INTRODUZIONE
Questa tesi si prefigge di analizzare e approfondire l'Istituto dell'Unione di
Comuni concepito con la L. n. 142/1990, rivolta ad incentivare l’aggregazione
delle piccole circoscrizioni territoriali disposta mediante strumenti e forme di
cooperazione e associazionismo intercomunale. Prima di procedere ad una
elaborazione quanto più esaustiva dei profili legislativi, progettuali e pratici
dell'Unione di Comuni, occorre contestualizzare gli elementi caratterizzanti il
sistema di governo locale in quanto congiunturali al tema affrontato.
L'ispirazione ai principi del decentramento amministrativo e del federalismo,
hanno infatti infondato una nuova cultura gestionale nel nostro Paese, ponendo
al centro dell'attenzione l'interesse e il servizio pubblico ai cittadini come base
per il sostenimento degli enti locali. L'obiettivo del legislatore ha indirizzato
questa politica attraverso un riordino generale dell'intero assetto governativo sia
nelle competenze che nell'autonomia dei diversi enti.1 Il processo di rivalutazione
del sistema di governo locale, è stato dettato dalla necessità di soppiantare quelle
carenze gestionali e organizzative degli apparati locali, che ancora oggi vede una
complicata e imbrogliata condizione strutturale indirizzata, ad esempio, dalla
progressiva marginalizzazione socio-economica dei Comuni di piccole o
piccolissime dimensioni, dalla mancanza di una equilibrata gestione qualitativa e
quantitativa delle risorse umane, finanziarie e demaniali, oltre che
dall’inadeguato livello di specializzazione professionale e strutturale degli
apparati amministrativi.2 La Riforma del Titolo V è solo uno dei diversi passaggi
che il legislatore ha posto in essere nel ridisegnare l'assetto del governo locale,
avviando un continuum normativo, in primo luogo, con la già annunciata L. n.
142/1990, proseguito per il novellato art. 114 della Costituzione 3 , fino a
culminare nel D.lgs n. 267/2000 meglio conosciuto come "Testo unico delle leggi
1 Alesio. La gestione associata delle funzioni ed i servizi Comunali. 2011 2 De Angelis, Pellegrini. L’UNIONE DEI COMUNI: DAL DISEGNO DEL LEGISLATORE NAZIONALE ALLE POLITICHE REGIONALI. Ancona. 2005. 3 Secondo cui "la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato".
sull'ordinamento degli enti locali". Lo scopo di questi interventi è stato quasi
sempre finalizzato a ridimensionare due aspetti problematici di cui uno rivolto a
delineare una più congrua mappatura dei perimetri amministrativi e l’altro posto
per contrastare il problema dall'uniformità giuridica presente tra i diversi enti.
Nel primo caso, va infatti considerata l’attuale ripartizione territoriale in 8103
circoscrizioni comunali4 che, oltre a rendere frammentaria la gestione
amministrativa degli stessi, ha reso finora difficoltoso il raggiungimento di un
adeguato livello di connessione e concertazione tra gli apparati locali. Nel
secondo caso invece, l’impostazione di matrice rivoluzionaria riconduceva il
modello di strutturazione degli apparati secondo << i criteri dell'uniformità,
dell'accentramento e della gerarchia >>, senza tener conto delle sostanziali
differenze caratterizzate nei profili economici, sociali, culturali, geografici
finanche dimensionali delle diverse realtà territoriali. Tale prospettiva ha iniziato
a conoscere un sostanziale cambiamento già a partire dagli anni Sessanta e
Settanta avviando processi volti alla specializzazione e alla differenziazione degli
apparati amministrativi.5
Le politiche prospettate a partire dagli anni Settanta
Occorre continuare a ripercorrere le tappe precorrenti al concepimento
dell'Unione di Comuni, enunciando anzitempo i primi tentativi destinati a
superare le criticità appena esposte, il cui scopo ha demandato una migliore
regolamentazione del territorio attraverso la ricerca di una dimensione ottimale.6
Tale definizione è stata concretizzata mediante il concepimento di nuovi enti
pubblici che sul piano sovracomunale si sono originariamente realizzati
attraverso la costituzione delle Comunità Montane, intese come enti di gestione
4 Cittalia, ANCI, IFEL. I Comuni Italiani – 2010. Roma. 2010. 5 F. PIZZETTI, La ricerca del giusto equilibrio tra uniformità e differenza: il problematico rapporto tra il progetto originario della Costituzione del 1948 e il progetto ispiratore della riforma costituzionale del 2001, in Le Regioni, n. 4/2003, 610. 6 De Angelis, Pellegrini. L’UNIONE DEI COMUNI: DAL DISEGNO DEL LEGISLATORE NAZIONALE ALLE POLITICHE REGIONALI. Ancona. 2005. Pag. 04.
e di programmazione di singole e specifiche aree territoriali, e successivamente
con l'istituzione dei Comprensori, il cui orientamento era però votato ad
esercitare funzioni e compiti essenzialmente di natura economica e urbanistica.
Cercare di semplificare il controllo diretto sul territorio mediante l'accostamento
di nuovi enti di gestione ai modelli organizzativi preesistenti, non ha comunque
prodotto effetti di risoluzione delle problematiche ricorrenti dato che, la
creazione di una rete di circoscrizioni di varia tipologia e natura, hanno assunto
un ruolo di mera giustapposizione, arenando oltremodo quella ricerca della
stessa “dimensione ottimale" in una più complessa ed articolata formulazione del
sistema di governo locale. L'opportunismo politico ha inoltre esaltato questo
nuovo orientamento strutturale, comprendendo in queste forme di gestione del
territorio uno dei principali punti di forza e di riproduzione. Tra le altre politiche
indicate per limitare lo sgretolamento territoriale in una frammentaria rete di
apparati locali, enunciamo altre modalità di intervento, rimaste inconcluse e
respinte dai diversi attori istituzionali chiamati in causa. Un primo passo era
infatti teso a ridurre i Comuni in maniera analoga al primo dopoguerra 7 ,
attraverso un accorpamento forzoso mediante processi di fusione, ritenuto
inadeguato da parte delle Comunità locali che , vedendo in tale scelta sia una
diminuzione di autonomia e di significative prerogative costituzionali, sia un
attacco alle loro tradizioni storiche8, opposero resistenza e respinsero questa
tipologia di interventi. Un’ altra impostazione è stata successivamente ricercata
nella possibilità di trasferimento delle funzioni ad enti locali di dimensione
sovracomunale, in modo tale da uniformare, secondo una politica di
cooperazione e coordinamento, diverse circoscrizioni contermini; anche qui si
definì un ostacolo riguardante invece all' assenza di un univoco orientamento
delle diverse forze politiche, in merito anzitutto al ruolo e all'attribuzione dei
compiti da affidare alle Amministrazioni Provinciali.9 L'ultimo tentativo, rimasto
anch’egli inoperoso, è stato indirizzato all'attribuzione di un ruolo decisionale da
7 Cfr. F. SPALLA, L’accorpamento degli enti locali di base, in “Il nuovo governo locale”, 1998 8 G. ROLLA, Evoluzione del sistema costituzionale delle autonomie territoriali e nuove relazioni tra i livelli istituzionali. Prospettive costituzionali e profili problematici, in “Le Regioni”, n. 6/2000. 9 Ibidem
parte delle Regioni, nella creazione di associazioni o fusioni coattive tra Comuni e
Province; analogamente al primo caso, oltre alla contrarietà delle comunità locali,
opposero resistenza anche gli enti locali chiamati in causa, consolidando contrasti
di carattere istituzionale che intercorrevano soprattutto sulla specifica
distribuzione delle competenze amministrative.10 Da questo primo
inquadramento generale, emerge senz'altro il ruolo decisivo degli enti di piccola
dimensione a voler tutelare gli interessi localistici, ostacolando difatti un qualsiasi
tentativo volto ad una semplificazione del reticolo territoriale. D’altronde la
chiave di accesso per cercare di scardinare queste criticità ancora oggi consistenti
è stata sempre ricercata in una politica semplificata a forzare in maniera coattiva
una tipologia di interventi capace di includere soltanto trasformazioni nette e
radicali e al contempo di escludere possibili interventi di integrazione graduale
e/o parziale territoriale. Altresì la formulazione della "dimensione ottimale del
territorio" per una migliore regolamentazione e gestione dello stesso, non
sembrava essere comunque in grado di superare le problematiche concernenti la
vasta frammentazione peraltro parallela alla questione della valorizzazione degli
apparati amministrativi nei profili di gestione ricercati in termini di efficacia ed
efficienza. Difatti a partire dagli anni '90, il nuovo orientamento legislativo non
ha più riformulato modelli di regolamentazione territoriale diretta, bensì ha
accostato al preesistente, modelli di gestione volti a ridefinire l'esercizio delle
funzioni sulla base di una più ampia sfera di autonomia nel governo locale.
La politica di accorpamento dei Comuni in Italia
Alle soglie del processo di unificazione nazionale fu oggetto di studio
l’opportunità di accorpamento dei Comuni formalizzando difatti una prima
proposta di legge già nel 1860, da parte di una commissione legislativa istituita
presso il Consiglio di Stato, successivamente formalizzata in una proposta di legge
10 Ibidem
il 24 giugno 1860. 11 La proposta avanzata dal Ministro dell’Interno Luigi Farini
nel primo governo Cavour, intendeva accorpare tutti i Comuni con popolazione
inferiore ai 1.000 abitanti, nell'ambito di una generale riforma dell'ordinamento
amministrativo, che tra le linee guida elencate dalla proposta riguardavano ad
una classificazione dei Comuni e la corrispondente graduazione dei controlli,
l’esclusione della deputazione provinciale dal controllo sui Municipi e la
presidenza della deputazione sottratta al Prefetto e, per quanto interessa in
questa sede, la fusione dei Comuni minori. Tale proposta fu disattesa dalla stessa
Commissione che ne bocciò tutti i contenuti. L'unico processo di razionalizzazione
del numero dei Municipi che giunse a compimento nel nostro Paese risale
all'epoca fascista, con l'emanazione del regio decreto legge 17 marzo 1927, n.
383, venne conferita al Governo la facoltà di avviare, entro il biennio successivo,
una "revisione generale delle circoscrizioni comunali per disporne l'ampliamento,
la riunione o comunque la modificazione".12 La politica fascista portò
complessivamente all'unione, soppressione o aggregazione d'imperio di 2.184
piccoli Comuni adottando criteri che miravano a creare "organismi più robusti,
sia mediante il raggruppamento in un unico ente di piccole unità preesistenti, sia
mediante l'aggregazione di tali piccole unità a limitrofi centri di notevole
importanza demografica. Favorevoli o contrari ad una simile impostazione, si
può certo dire che il criterio di risoluzione adoperato nella politica fascista,
aggregando e sopprimendo un sostanziale numero di Comuni, rese
maggiormente funzionale e fruibile l’amministrazione locale, anche se
inizialmente preposto per attuare il principio di accentramento fortemente
ricercato dall’ideologia che si identificava nella costituzione di uno Stato
centralizzato e fortemente unitario".13 Con l'entrata in vigore del Testo unico
della legge comunale e provinciale di cui al regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, si
stabilì, inoltre, la facoltà di accorpare i Comuni con popolazione inferiore ai 2.000
11 Commissione legislativa temporanea << per lo studio e la compilazione di progetti di legge sulla riforma dell'ordinamento amministrativo del nuovo Regno >>. 12 La delega per la riorganizzazione dei Comuni contenuta nel regio decreto legge 17 marzo 1927, n. 383 era prevista con il termine del 31 marzo 1929. 13 U. Chiaramonte, Luigi Sturzo nell'Anci, Catanzaro, Rubbettino, 2004.
abitanti, qualora fossero mancati i mezzi per provvedere adeguatamente ai
pubblici servizi. Fu prerogativa della neonata Repubblica restituire ai Comuni
riuniti o soppressi in epoca fascista la possibilità di ricostituirsi anche in assenza
del requisito minimo demografico, smantellando difatti la massiccia opera di
accorpamento posta in essere dal regime e cominciando la prassi di segno
opposto consistente nella creazione di nuovi Municipi. Nel nostro Paese il tema
incontra ancora forti resistenze, anche se i recenti interventi legislativi segnano
un punto di svolta nella spinta alla razionalizzazione del sistema comunale. Del
resto, la questione delle difficoltà organizzative e gestionali che incontrano i
piccoli Municipi non si riduce alla sola collettività locale ma riguarda l'intero
assetto istituzionale dello Stato. Il sottodimensionamento dell'ente locale implica
quasi sempre inefficienza nella gestione delle funzioni amministrative e nella
produzione ed erogazione dei servizi. Le ragioni alla base della scelta legislativa e,
più in generale, della spinta alla razionalizzazione della dimensione dei Comuni,
sono costituite essenzialmente dalla constatazione che i piccoli municipi si
limitano nella gran parte dei casi a svolgere solo le funzioni essenziali e che non
sono in condizione di erogare numerosi servizi e dalla necessità di pervenire a
economie di scala.14
14 A. Bianco, La gestione associata diventa obbligatoria, in Comuni d'Italia, n. 5, 2010.
CAPITOLO 1 - L'UNIONE DI COMUNI: IL PERCORSO LEGISLATIVO
1.1 - La Legge n. 142 8 giugno 1990 - Ordinamento delle autonomie locali.
La L. n. 142 del 1990 pratica l'esercizio associato degli enti locali di funzioni o di
servizi pubblici, dettando un apposito capo (VIII) per "le forme associative e di
cooperazione". Pur continuando a sostenersi sui Comuni e sulle Province, il
governo locale presenta oggi una più articolata composizione rispetto alla
originaria struttura costituzionale, non soltanto grazie all'apporto della cd.
<<Legge sulle autonomie>> ma anche per l'istituzione di nuovi enti locali
territoriali quali Comunità Montana e Città Metropolitana.15 L'Unione di Comuni,
anch'essa a titolo di forma associativa, viene istituito all'art. 26 e finalizzato ad
essere riconosciuto come nuovo soggetto giuridico dell’ordinamento locale. Si
tratta di una delle diverse forme di cooperazione, precisamente cinque, nate per
supportare gli enti locali di base nella gestione e nel controllo dei rispettivi
territori in maniera concertata. Un profilo gestionale assai più complesso ed
articolato degli altri che si distingue per il suo particolare status transitorio così
come al principio disposto.16 Per poter ricorrere a questo strumento il legislatore
ha inteso infatti l'Unione come stato preliminare di una futura fusione, anch’essa
inquadrata dalla suddetta legge all'art. 11. I criteri stabiliti per gli aderenti alla
forma associativa in analisi, sono congiuntamente riportati ai commi 1, 2 e 6
dell'art. 26, secondo cui in previsione di una loro fusione, due o più comuni
contermini, appartenenti alla stessa provincia, ciascuno con popolazione non
superiore a 5.000 abitanti, possono costituire una unione per l'esercizio di una
15 L. n. 142/1990, Capo VI – IX. 16 D. ARGENIO. Unione o fusione di comuni? – una vexata quaestio: i progetti bolognesi di Valsamoggia e Reno Galliera. 2011
1.1 La Legge n. 142, 8 giugno 1990 - Ordinamento delle autonomie locali. – 1.2 Legge n. 59, 15 marzo 1997 - Legge Bassanini – 1.3 Legge n.265 del 3 agosto 1999 – 1.4 Decreto Legislativo n. 267 del 18 agosto
2000 – 1.5 Le disposizioni dal D.L. n. 78/2010 al D.L. n. 138/2011.
pluralità di funzioni o di servizi. Può far parte dell'unione non più di un comune
con popolazione fra i 5.000 e i 10.000 abitanti purché entro dieci anni dalla
costituzione dell'unione si proceda alla fusione. Qualora non si pervenga alla
fusione, l'unione è sciolta. Le modalità previste dalla legge per la gestione
associata di una pluralità di funzioni, sono invece disciplinate ai Commi 3, 4, 5 e 7
dello stesso articolo, delineando nel primo caso la conformazione dell'atto
costitutivo e del regolamento secondo cui sono approvati con unica deliberazione
dai singoli consigli comunali, a maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati.
Sono organi dell'unione il consiglio, la giunta ed il presidente, che sono eletti
secondo le norme di legge relative ai comuni con popolazione pari a quella
complessiva dell'unione. Il regolamento può prevedere che il consiglio sia
espressione dei comuni partecipanti alla unione e ne disciplina le forme" oltre a
contenere l'indicazione degli organi e dei servizi da unificare, nonché le norme
relative alle finanze dell'unione ed ai rapporti finanziari con i comuni per il quale
competono le tasse, le tariffe e i contributi sui servizi dalla stessa gestiti.
Infine il comma 8 dell'art. 26, attribuisce in capo alle Regioni la promozione delle
Unioni di Comuni, chiamati a provvedere alla erogazione di contributi aggiuntivi
a quelli normalmente previsti per i singoli comuni. In caso di avvenuta erogazione
di contributi aggiuntivi, dopo dieci anni dalla costituzione, l'unione di comuni
viene istituita con legge regionale, qualora la fusione non sia stata deliberata
prima di tale termine su richiesta dei comuni aderenti.
Queste disposizioni, introdussero nell'ordinamento giuridico italiano, un primo
quadro di riferimento sperimentale posto in vincoli prestabiliti da finalizzare
esclusivamente ai Comuni inferiori ai 5.000 abitanti, al quale però rimane
preordinato lo stato di Fusione, decorsi i 10 anni di gestione associata. L'idoneità
di questo nuovo soggetto giuridico, ha cercato di apportare al reticolo locale, un
processo di valorizzazione inteso a semplificare la composizione del territorio,
ancora oggi parcellizzata in 8094 Comuni di cui 5.962, circa il 70% del
complessivo, inferiori ai 5.000 abitanti.17 L'art. 26 della cd. << legge sulle
17 ANCI. Atlante dei Piccoli Comuni. 2012
autonomie >>, ha difatti fornito un tentativo di impedimento per la proliferazione
di nuovi enti locali di base, dando l'opportunità facoltativa agli stessi, di associarsi
mediante l'azione intesa alla cooperazione di una << pluralità di funzioni >>,
oltremodo rafforzata dall'art. 11, secondo cui salvo i casi di fusione tra più
comuni, non possono essere istituiti nuovi comuni con popolazione inferiore a
10.000 abitanti o la cui costituzione comporti, come conseguenza, che altri
comuni scendano sotto tale limite . In particolare l'istituto dell’Unione è stato
comunque incentivato attraverso modalità e contributi aggiuntivi, promuovendo
autonomia totale nelle associazioni, sia per la costituzione del regolamento, e in
particolar modo nella selezione delle funzioni da associare, sia nella formulazione
degli organi istitutivi. Parallelamente va tenuto conto che l'applicazione di questo
strumento si ritrova a compensare i diversi aspetti positivi da una serie di
elementi critici che hanno reso inconsistente l'iniziale misura d'intervento così
come disposta dall'art. 26, considerato che, fino al periodo antecedente alla L.
57/1997 (cd. Bassanini), le esperienze concernenti l'Unione di Comuni furono
soltanto 4 (quattro) sull'intero territorio nazionale, a fronte di una iniziativa
chiamata in causa per 5904 Comuni al 1996 aventi popolazione inferiore ai 5.000
abitanti.18 Queste disposizioni non riuscirono ad essere recepite positivamente,
appurato non soltanto il basso numero di esperienze intraprese e che risiedono
soltanto nella Provincia di Lecco con l’Unione Valvarrone e nella Provincia di
Rimini con l’Unione della Valconca 19, ma rispecchiando in quelle disposizioni
anche il timore di una progressiva riduzione delle forme di autonomia a causa di
diverse circostanze. In primo luogo gli Enti chiamati a partecipare in previsione
di una fusione con altre circoscrizioni comunali, vedevano minacciata l'identità
delle comunità locali causando l'estinguersi delle stesse attraverso un
accorpamento forzoso.20 Inoltre l’opportunità di cooperazione mediante
l’applicazione della forma associativa consortile, anch’essa partorita nella L.
18 Ministero dell’Interno. Rapporto sulla forma associativa delle Unioni dei Comuni Dal 1996 al 2003. 19 Ibidem 20 B. Ermini. Decentralization, Local Government Reform and local Government performance. The impact of inter-communality. 2009.
142/1990 e successivamente emendata all'art. 5 della L. 437/1995, oltre a
concertare in forma associata l'espletamento di determinati servizi, consentiva
anche l'esercizio associato di funzioni, al quale avrebbero potuto prendere parte
anche altri enti pubblici, come Università, ASL e Aziende Speciali; cosicché
divenne poco conveniente applicare l'impostazione dell'Unione di Comuni, di
natura transitoria, dato che alla decorrente scadenza dei 10 anni, la susseguente
fusione, rispetto all'altra forma associativa, sembrava essere quella meno capace
a realizzare la massima integrazione istituzionale ed organizzativa tra i comuni. 21
Un ultimo aspetto, che ha poi chiuso il cerchio sulla totale diffidenza da parte dei
comuni unionisti a concludere il percorso con la fusione, riguarda alle
disposizione normative risalenti al comma 8 della Legge 142/1990, per il quale si
stimola di certo i Comuni a partecipare per il raggiungimento di incentivi
aggiuntivi, ma allo stesso modo preordinando gli aderenti dell'iniziale unione,
alla forzosa costituzione della fusione ad opera della regione, così da restringere
nelle proprie sfere di competenza l'autonomia delle parti coinvolte.22 Per rendere
effettivamente esaustiva la forma associativa nella sua applicazione, apparve
subito necessario travolgere i presupposti orientati dalla legge, revisionando
attraverso l'adozione di un nuovo testo normativo, tutti quei vincoli previsti nei
diversi punti sopra elencati e soprattutto tenendo conto della forma associativa
dell'Unione di Comuni, come un prefigurazione indipendente alla preordinata
fusione, pur mantenendo nelle finalità una gestione concertata di una pluralità di
funzioni. 23
21 Alesio. La gestione associata delle funzioni ed i servizi Comunali. 2011 22 R. Fanizzi. L’ unione di Comuni: una nuova forma di Ente Locale? Problemi e prospettive attuali. 2004 23 R. RUFFINI, Una democrazia senza risorse. Strategie di sviluppo nei piccoli comuni, Milano, 2000.
1.2 - La Legge n. 59 del 15 marzo 1997 – cd. Legge Bassanini.
La L. n. 59/97 traccia un primo significativo passaggio utile a superare gli aspetti
critici posti necessariamente per valorizzare il sistema di governo locale, pur non
disciplinando direttamente l'istituto dell'Unione di Comuni. Un primo sostanziale
rinnovamento risiede nel conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti
locali con l'obiettivo di distribuire le funzioni fra le diverse istituzioni pubbliche e
facendo in modo da avvicinare l'amministrazione verso i cittadini, anticipando
non di molto il disegno legislativo posto nella successiva riforma costituzionale.
In particolar modo la legge dispone l'attribuzione agli stessi le risorse umane,
finanziarie, organizzative e strumentali in misura tale da garantire la congrua
copertura degli oneri derivanti dall’esercizio delle funzioni e dei compiti trasferiti,
nel rispetto dell’autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali.24 La
legge n. 59 prevede inoltre, di dover far salvi dai casi di decentramento, non
soltanto quelle materie elencate all'art. 1 della stessa legge e riservate alle
funzioni statali in quanto rientranti nei compiti di rilievo nazionale, ma
rafforzando, tra i casi non spettanti all'attribuzione degli enti locali e delle
Regioni, i compiti esercitati localmente in regime di autonomia funzionale dalle
camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e dalle università degli
studi contemplando la possibilità di conferire a tali enti altre funzioni fra quelle
da decentrare, così come disposto dall’art. 3 1° co. lett. b . Tale disposizione viene
successivamente raccordata dal Decreto Attuativo n. 112 del 30 marzo 1998
(Bassanini Bis) , demandato in attuazione della L. n. 59/1997 per il quale si
stabilisce che nell'ambito della previsione regionale, i comuni esercitano le
funzioni in forma associata, individuando autonomamente i soggetti, le forme e le
metodologie, entro il termine temporale indicato dalla legislazione regionale.
Decorso inutilmente il termine di cui sopra, la regione esercita il potere sostitutivo
nelle forme stabilite dalla legge stessa. La legge regionale prevede altresì appositi
24 D.lgs. 112/98, art. 3.
strumenti di incentivazione per favorire l'esercizio associato delle funzioni .
Infine, agli aspetti concernenti le forme associative comprensive di quella in
analisi, prevede l'idoneità di possibili strumenti e procedure di raccordo e
concertazione, anche permanenti, in grado di instaurare forme di cooperazione
strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l'azione
coordinata fra regioni ed enti locali pur nell'ambito delle rispettive competenze.
Tali riferimento, per quel che maggiormente rileva ai fini della presente
trattazione, pone una serie di riferimenti legislativi disposti per integrare nuove
prerogative al solo scopo di valorizzare i Comuni attraverso il conferimento di
funzioni, compiti e adeguate risorse, caratterizzando, in maniera sempre più
coerente e rafforzata, la duplice necessità di avvicinarsi ai principi del
decentramento e del federalismo amministrativo.25 Difatti tra le principali novità
apportate dalla legge in analisi, i tre principi, successivamente costituzionalizzati
nella Riforma del Titolo V, di <<sussidiarietà>>, di <<adeguatezza>> e di
<<differenziazione>>. 26 Sarà proprio in riguardo a questi tre principi che l'Istituto
dell'Unione di Comuni, rafforzerà la sua valenza giuridica tenendo conto, in base
al primo enunciato, l'idoneità organizzativa dell'amministrazione ricevente a
garantire, anche in forma associata con altri enti, l'esercizio delle funzioni, così
come disposto dal comma 3 dell'art. 4, oltre che “delle diverse caratteristiche,
anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi” così
come disposto in riferimento al principio di differenziazione. Viene dunque a
contestualizzarsi l'idea di valorizzazione degli apparati locali di base, attraverso
una corretta incentivazione a migliori livelli gestionali, non soltanto tramite
premialità economiche, ma anche ai vincoli predisposti dalla concorrente
legislatura regionale, nell'obbligo dei termini da stabilire per la gestione associata
dei servizi. Il valore giuridico dell’unione si consolida ancora di più, con le
disposizioni della L. n. 131/2003 recanti adeguamento dell’ordinamento della
Repubblica alla L. Cost. 18.8.2001, n. 3, per l’attuazione dei principi introdotti
all’art. 117 della Costituzione; valorizza i principi di sussidiarietà, di adeguatezza e
25 F. PITERA’, R. VIGOTTI, La riforma degli Enti Locali. Commentario, Torino, 2002, 26 Cost., art. 118.
di differenziazione nella allocazione delle funzioni fondamentali in modo da
assicurarne l'esercizio da parte del livello di ente locale che, per le caratteristiche
dimensionali e strutturali, ne garantisca l'ottimale gestione anche mediante
l'indicazione dei criteri per la gestione associata tra i Comuni. Tra le stesse
disposizioni in applicazione dell'art. 118 Cost., afferma le condizioni che
consentono l’attribuzione delle responsabilità amministrative aggiungendo
inoltre che tutte le altre funzioni amministrative non diversamente attribuite
spettano ai Comuni, che le esercitano in forma singola o associata, anche
mediante le Comunità montane e le Unioni di Comuni. Di per sè, la struttura della
forma associativa delle Unioni, non cambia radicalmente nei suoi contenuti ma la
più ampia sfera di autonomia locale, ricolloca i Comuni verso una più adeguata
struttura organizzativa esaltandone il ruolo nell’ambito locale. Pur nonostante le
esperienze delle Unioni, fino alla completa risoluzione delle criticità presenti
nell'originaria struttura disposta dall'art. 26 della legge << sulle autonomie locali
>>, riuscirono ad aumentare considerevolmente in 65 Unioni per i Comuni aventi
popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, considerato che la nuova disposizione in
materia di << autonomia e ordinamento degli enti locali >>, a modifica dell'art. 6
comma 6 lettera b, stabilisce che le Regioni promuovano le unioni di comuni,
senza alcun vincolo alla successiva fusione, prevedendo comunque ulteriori
benefici da corrispondere alle unioni che autonomamente deliberino, su conforme
proposta dei consigli comunali interessati, di procedere alla fusione. Difatti
queste nuove disposizioni riguardanti anche l'attribuzione delle risorse aggiuntive
per mezzo della Regione, non definisce più un ruolo decisionale sulla preordinata
fusione al momento dell'accettazione delle risorse, bensì promuove anche nuovi
strumenti di collaborazione e cooperazione da parte degli enti locali di base.27
27 R. Fanizzi .L’ unione di Comuni: una nuova forma di Ente Locale? Problemi e prospettive attuali. 2004
1.3 - La Legge n. 265 del 3 agosto 1999
L’ultimo passo volto a riformare i contenuti strutturali del modello associativo
dell'Unione di Comuni, è la L. n. 265/99, successivamente raccordato dal D.lgs.
267/00, recante disposizioni in materia “di autonomia e di ordinamento degli Enti
locali.” Le novità esposte dalla legge, riguardano al riconoscimento di una più
ampia autonomia nelle proprie sfere di competenza, sia in riferimento agli statuti
che all'estensione della gestione associata a tutte le funzioni.28 All'art. 2, infatti
viene disposto, ai commi 4 e 5, che i comuni e le province hanno autonomia
statutaria ed autonomia finanziaria nell'ambito delle leggi e del coordinamento
della finanza pubblica. I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie.
Esercitano, altresì, secondo le leggi statali e regionali, le funzioni attribuite o
delegate dallo Stato e dalla regione ridefinendo il sistema delle fonti di
produzione normativa attraverso lo Statuto, in questo modo riconosciuto come
costante riferimento dell’azione amministrativa. Autonomia statutaria e
autonomia generale per gli Enti locali, sono infatti i due punti cardini della legge
265/99, rappresentando una rafforzamento della nuova ottica gestionale del
governo locale e del rapporto tra Stato e Autonomie.29 Con le modifiche
introdotte dalla nuova normativa, lo scenario che viene a costituirsi a favore di un
reale incremento dell’autonomia statutaria, cambia sia sul piano quantitativo
che qualitativo considerando l’incremento delle materie di cui lo Statuto è
chiamato a disciplinare, e considerato la necessità di definire un rapporto diverso
tra i principi e lo Statuto, ponendo così piena attuazione all’art. 128 della
Costituzione, secondo cui le Provincie e i Comuni sono enti autonomi nell'ambito
dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le
funzioni.
In riferimento specifico alle forme associative, mutano invece le prospettive e le
28 Ibidem 29 De Angelis, Pellegrini. L’UNIONE DEI COMUNI: DAL DISEGNO DEL LEGISLATORE NAZIONALE ALLE POLITICHE REGIONALI. Ancona. 2005.
finalità della forma associativa dell'Unione che viene esplicitamente demandata,
in delega al Governo, attraverso l'adozione di un Testo Unico di coordinamento
delle disposizioni legislative vigenti in materia di ordinamento dei Comuni, delle
Province e delle loro forme associative, così come disposto dall'art. 31, per il
quale il testo unico contiene le disposizioni sull'ordinamento in senso proprio e
sulla struttura istituzionale, sul sistema elettorale, ivi comprese l'ineleggibilità e
l'incompatibilità, sullo stato giuridico degli amministratori, sul sistema finanziario
e contabile, sui controlli, nonché norme fondamentali sull'organizzazione degli
uffici e del personale.
1.4 - Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 - T. U. leggi sull'ordinamento
degli enti locali
IL D.lgs. 267/00 ridefinisce, non soltanto l'ordinamento delle autonomie locali,
ma anche l'istituto delle singole forme associative, ivi comprese quella
riguardante l'Unione al quale si riconosce l'entità giuridica stabilita nella
partecipazione di due o più comuni di norma contermini, allo scopo di esercitare
congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza. Tale disposizione,
così come enunciate all'art. 32, sopprime integralmente a tutti quei vincoli
originariamente previsti dalla L. 142/1990, spuntando quindi tutti i riferimenti
territoriali, sia in riguardo alla necessità di appartenenza per la stessa provincia,
che al vincolo della conterminità, fino ancora alla disposizione che ne limitava
l'ambito dimensionale delle Comunità originariamente disposto a 5.000
abitanti. 30 Infine viene modificata anche il profilo della forma associativa in
analisi, non più transitorio e propedeutico alla fusione ma di carattere
volontaristico, pur rendendo possibile quest'ultima, qualora auspicata, mediante
un passaggio meno drastico e netto verso l'ente unico. La successiva trasfusione
della 265/1999 nel raccordo normativo operato dal T.U.E.L. mette poi in risalto un
altro significativo mutamento dello stesso istituto, che da ente preordinato alla
30 L. VANDELLI, E. BARUSSO, Autonomie locali: disposizioni generali. MAGGIOLI. Rimini. 2004.
fusione, e quindi con relativa scadenza temporale decorrente in 10 anni, si
trasforma a pieno titolo in un vero e proprio ente locale; tale disposizione
prevista negli artt. 2 e 32, comma 1, inserendo tra i comuni, le province, le città
metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane, anche le Unioni di
Comuni, vanno a mutare radicalmente l'istituto della forma associativa in analisi,
rafforzando il sistema di governo locale ed equiparando l'Unione di Comuni agli
Enti comunali.
Per di più viene estesa alla forma associativa l’intera disciplina giuridica degli enti
locali attraverso modalità dirette e quindi priva di alcuna disposizioni di rinvio,
con la possibilità di recepire le deleghe delle funzioni amministrative regionali o
dell'attribuzione iure proprio delle funzioni esclusivamente locali nelle materie di
competenza regionale. A confermare questo orientamento, il contenuto
normativo disposto all'art. 33, commi 3 e 4, secondo cui le regioni
predispongono, concordandolo con i comuni nelle apposite sedi concertative, un
programma di individuazione degli ambiti per la gestione associata
sovracomunale di funzioni e servizi, realizzato anche attraverso le unioni, che può
prevedere altresì la modifica di circoscrizioni comunali e i criteri per la
corresponsione di contributi e incentivi alla progressiva unificazione.
Le regioni provvedono a disciplinare, con proprie leggi, nell'ambito del
programma territoriale di cui al comma 3, le forme di incentivazione dell'esercizio
associato delle funzioni da parte dei comuni, con l'eventuale previsione nel
proprio bilancio di un apposito fondo. A tal proposito, oltre a quanto stabilito dal
comma 3 e dagli artt. 30 e 32, le regioni si attengono ai seguenti principi
fondamentali:
a) nella disciplina delle incentivazioni:
1) favoriscono il massimo grado di integrazione tra i comuni, graduando la
corresponsione dei benefici in relazione al livello di unificazione, rilevato mediante
specifici indicatori con riferimento alla tipologia ed alle caratteristiche delle
funzioni e dei servizi associati o trasferiti in modo tale da erogare il massimo dei
contributi nelle ipotesi di massima integrazione;
2) prevedono in ogni caso una maggiorazione dei contributi nelle ipotesi di
fusione e di unione, rispetto alle altre forme di gestione sovracomunale;
b) promuovono le unioni di comuni, senza alcun vincolo alla successiva fusione,
prevedendo comunque ulteriori benefici da corrispondere alle unioni che
autonomamente deliberino, su conforme proposta dei consigli comunali
interessati, di procedere alla fusione.
Al contempo il decreto n. 318/2000, deliberato dal Ministero dell'Interno e
successivamente demandato al Decreto Ministeriale n. 289 del 2004, regola i
criteri di ripartizione dei fondi erariali destinati alla promozione delle forme
associative intercomunali delle Unioni di Comuni, Fusioni e Comunità Montane,
stabilendo che, l'attribuzione del fondo nazionale a favore delle forme
associative, mantenga il 60 % dei totali alle Unioni di Comuni, seguite
dall'erogazione del 25 % per le Comunità montane ed il restante 15 % ai Comuni
derivanti da procedure di fusione, così come previsto al comma 2. In particolar
modo lo stesso decreto, all'art. 2, stabilisce in dettagli i criteri di erogazione dei
contributi, in base:
a) alla popolazione della unione dei comuni;
b) al numero di comuni facenti parte dell'unione;
c) ai servizi esercitati in forma associata.
Questo impianto ideato per promuovere l’erogazione di contributi aggiuntivi in
misura più che proporzionale rispetto ai contributi standard, incoraggia
l'accorpamento massiccio di più comuni anche in base al numero degli
partecipanti; ad esempio il 10 per cento del fondo regionale per le unioni di
comuni costituite con oltre 10 comuni, rispetto al 5 percento per le unioni di
comuni costituite da due comuni. Avendo però inizialmente finalizzato l'unione di
Comuni affinché si associassero prevalentemente quelli inferiori ai 5.000 abitanti,
indistintamente dal numero di partecipazione degli enti locali di base, si è anche
tenuto conto della necessità di invogliare e incentivare la forma associativa anche
in considerazione del numero di servizi associati.
1.5 - Le disposizioni dal D.l. n. 78/2010 al D.l. n. 138/2011
La forma associativa dell’Unione di Comuni è stata nuovamente rinnovata nei
suoi contenuti legislativi a seguito dell’approvazione delle manovre finanziarie
avvenute con D.l. n. 78/2010, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e competitività economica, il D.l. n. 98/2011 e il D.l. n. 138/2011,
successivamente proposte per apportare modificazioni alle disposizioni iniziali.
Una delle novità riguardanti la gestione associata delle funzioni e dei servizi, si
riferisce al travolgimento del presupposto facoltativo dell’associazionismo
intercomunale, voluto per dare un nuovo impulso ai piccoli comuni, con
particolare riferimento a quelli definiti sotto la soglia dei 5.000 abitanti.
L’evoluzione numerica dei piccoli comuni chiamati in causa dal legislatore, ha
visto una mancanza di affermazione dell’associazionismo intercomunale, fissato
attualmente in un numero di 337 Unioni coinvolgenti 1708 enti locali31. Inoltre le
ragioni alla base di quest’ultima scelta, sono costituite essenzialmente dalla
constatazione che i piccoli municipi si limitano nella gran parte dei casi a svolgere
solo le funzioni essenziali e che non sono in condizione di erogare numerosi
servizi e dalla necessità di pervenire a economie di scala.32 Al fine di assicurare il
conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, l'ottimale coordinamento della
finanza pubblica, il contenimento delle spese degli enti territoriali e il migliore
svolgimento delle funzioni amministrative, i comuni con popolazione compresa
tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, esercitano obbligatoriamente in forma associata
tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla base
della legislazione vigente mediante un'unione di comuni ai sensi dell'articolo 32
del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
La complessiva popolazione residente nel territorio dell’unione municipale è pari
31 ANCI, Rapporto Stato delle Unioni. 2010 32 A. BIANCO. La gestione associata diventa obbligatoria, in Comuni d’Italia. 2010.
almeno a 5 .000 abitanti, con popolazione inferiore a 3.000 abitanti se hanno
fatto parte o fanno parte di comunità montane, salvo diverso limite demografico
individuato con delibera della Giunta regionale.
A ciascuna unione hanno facoltà di aderire anche comuni con popolazione
superiore a 1.000 abitanti, con facoltà di esercitare mediante tale unione tutte le
funzioni e tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla base della legislazione vigente.
Le cd. Funzioni fondamentali33 sono individuate nella L. n. 42/2009:
a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura
complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del
bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;
b) funzioni di polizia locale;
c) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di
assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica;
d) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;
e) funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione
per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per
il servizio idrico integrato;
f) funzioni del settore sociale.
Anche in questo caso torna ad essere decisivo il ruolo delle Regioni che su
suggerimento di una legislazione concorrente, nelle materie di cui all'articolo 117,
commi terzo e quarto, della Costituzione, individua con propria legge, previa
concertazione con i Comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie
locali, la dimensione territoriale ottimale (e omogenea per area geografica per lo
svolgimento, in forma obbligatoriamente associata da parte dei Comuni con
dimensione territoriale inferiore a quella ottimale) delle funzioni fondamentali di
cui all'articolo 21, comma 3, della legge 5 maggio 2009, n. 42, secondo i principi
di economicità, di efficienza e di riduzione delle spese, fermo restando quanto
33 Co. 3, art. 21 L. n. 42/2009
stabilito dal comma 28 del presente articolo. Nell'ambito della normativa
regionale i Comuni avviano l'esercizio delle funzioni fondamentali in forma
associata entro il termine indicato dalla stessa normativa.
Spetta pertanto alla Regione stabilire, nell'ambito della propria attività legislativa,
la dimensione territoriale per lo svolgimento delle funzioni fondamentali nonché
i termini entro i quali i Comuni dovranno avviare la gestione associata.
C’è da dire che l'input inizialmente fornito dal D.l. n. 78/2010 al processo di
associazionismo intercomunale è rimasto senza ulteriore seguito data la mancata
approvazione del D.p.c.m. che, sulla base del dispositivo del trentunesimo
comma, non ha fissato le linee guida recanti il termine entro il quale i Comuni
interessati all’obbligo dovevano assicurare il completamento dell’attuazione delle
disposizioni di cui ai commi 26-30, nonché il limite demografico minimo
necessario a raggiungere l’insieme dei Comuni tenuti alla gestione associata. Tale
disposizione sarebbe dovuta esser stata adottata entro 90 giorni dall’entrata in
vigore della manovra senza però giungere mai a compimento. 34
Per superare questo schema venne così composto il successivo D.l. n. 98/2011,
convertito con L. n. 111/2011, ha posto fine alla situazione di stallo venutasi a
creare, sostituendo la normativa mediante l’applicazione del decreto attuativo
con puntuale disciplina del limite demografico e delle tempistiche per il riordino.
Secondo il disposto dell'art. 20, comma 2-quater, d.l. n. 98/2011, il limite
demografico minimo che deve raggiungere l'insieme dei Comuni tenuti ad
esercitare le funzioni fondamentali in forma associata è fissato in 5.000 abitanti o
nel quadruplo del numero degli abitanti del Comune demograficamente più
piccolo tra quelli associati. Il criterio demografico, pertanto, risulta essere
completato dall'inserimento della previsione dei 5.000 abitanti.
Per quanto riguarda, invece, le tappe cronologiche del processo di attuazione
dell'obbligo, queste risultano anticipate: i Comuni dovranno completare il
percorso per 2 funzioni fondamentali entro il 31 dicembre 2011, per 4 funzioni
34 G. Trovati, Enti locali. Per i Municipi gestione associata in tre tappe. Negli enti locali alleanze graduali, in Il Sole 24 ore, 23 giugno 2011, p. 34.
entro il 2012, e per tutte le funzioni fondamentali entro il 31 dicembre 2013.35
Il successivo dispositivo n. 138/2011 ha invece posto una serie di disposizioni
dedicate in maniera specifica ai Comuni con popolazione pari o inferiore ai 1.000
abitanti. La ragione posta in essere è stata espressamente motivata anche qui per
assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, il contenimento
delle spese degli enti territoriali e il migliore svolgimento delle funzioni
amministrative. Per questa tipologia di Municipi, si dispongono due grandi
novità, concernenti la soppressione della Giunta e del Consiglio Comunale. Il
Sindaco rimane il solo organo di Governo, il quale svolge le funzioni in qualità di
ufficiale del Governo, ai sensi dell'art. 54, d.lgs. n. 267/2000.36
L'obbligo di esercizio in forma associata di tutte le funzioni amministrative con
altri Comuni contermini con popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti,
mediante la costituzione dell'unione municipale, nell'ambito del territorio di una
Provincia.37 Il comma 2 contiene disposizioni di natura elettorale e prevede che
nei Comuni con popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti, il Sindaco sia eletto
a suffragio universale e diretto disponendo inoltre che ciascun elettore ha diritto
di votare per un candidato alla carica di Sindaco, segnando il relativo
contrassegno o il nominativo sulla scheda elettorale, è proclamato eletto Sindaco
il candidato che ottiene il maggior numero di voti, in caso di parità si applica l'art.
71, d.lgs. n. 267/2000, il quale prevede, tra l'altro, il turno di ballottaggio tra i
candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e, in caso di ulteriore,
eventuale parità, l'elezione del candidato più anziano. Il comma 3 disciplina
l'unione municipale, la quale è costituita "dai Comuni contermini con
popolazione pari o inferiore ai 1.000 abitanti al fine dell'esercizio in forma
associata di tutte le funzioni amministrative e dei servizi pubblici di spettanza
comunale". L'unione municipale è, dunque, una forma associativa obbligatoria
per i piccoli Municipi, nell'ambito della quale sono svolte tutte le funzioni
35 E. Vigato. Come cambia il sistema dei piccoli comuni e delle province in Italia? Riflessioni alla luce delle recenti novelle legislative 2011 36 Art. 54, d.lgs. n. 267/2000, rubricato Attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale. 37 art. 15, d.l. n. 138/2011.
amministrative e i servizi pubblici di spettanza dei Comuni che ne sono parte. La
popolazione complessiva residente nel territorio dell'unione municipale è pari ad
almeno 5.000 abitanti, salvo diverso limite demografico individuato con delibera
della Giunta regionale. Da questa disposizione, emerge il ruolo chiave svolto dalla
Regione nella determinazione del limite demografico ritenuto più rispondente
alle esigenze istituzionali, territoriali ed economiche delle singole realtà, che può
derogare da quello "standard" fissato dal legislatore statale.
Il comma 3 conclude precisando che "i Comuni di cui al primo periodo
costituiscono, con i Comuni contermini, unioni di Comuni, ai sensi dell'art. 32 del
citato Testo unico al fine di ridurre le spese complessive". Il comma 4 si riferisce
al caso specifico dei piccoli Comuni che non abbiano Municipi contermini con
popolazione inferiore a 1.000 abitanti. Per essi si dispone, ai fini della
composizione degli organi di governo, l'applicazione delle norme previste per i
Comuni con popolazione fino ai 3.000 abitanti di cui al comma 9, lett. a), ovvero
un consiglio composto dal Sindaco e da 5 consiglieri e una giunta con al massimo
2 assessori. La norma richiamata si riferisce alla sola riduzione del numero dei
consiglieri comunali. Tuttavia, la relazione illustrativa al decreto contiene una
precisazione importante, secondo la quale l'operatività del disposto è da ritenersi
estesa anche alla riduzione dei componenti delle giunte.
CAPITOLO 2 - LA DISTINZIONE TRA I DIVERSI MODELLI AGGREGATIVI
IN ITALIA
2.1 – La gestione dei servizi associati
Il richiamo costituzionale ai principi di sussidiarietà, differenziazione e
adeguatezza, così come le forme di aggregazione intercomunale che il Testo
Unico degli Enti Locali, ci permette di leggere questa serie di interventi, come il
tentativo legislativo di definire strumenti istituzionali in grado di avvicinarsi il più
possibile al federalismo funzionale. Come in molti paesi, anche in Italia i Comuni
possono ricercare maggiore efficienza costituendo giurisdizioni funzionali per la
fornitura di servizi pubblici locali che vanno dalla Convenzione, ai Consorzi, agli
accordi di programma, fino ad arrivare all'Unione di Comuni. Il riordino
dell’assetto locale, assume diverse chiavi interpretative che distingue i modelli
aggregativi in cooperativi oppure di fusione. 38
L’Unione di Comuni, la Fusione, la Convenzione, gli Accordi di Programma ed i
Consorzi, hanno obiettivi comuni che difatti si formano secondo caratteristiche
strutturanti piuttosto diverse. Nell'ottica del legislatore gli strumenti associativi
intesi ad armonizzare le funzioni e la gestione dei servizi assegnate agli enti locali,
in maniera tale da condividerle sotto un unico profilo di governativo, trovano
scopo diverso dalla fusione, che seppur ideata per semplificare il reticolo
38 F. Fiorillo. L. Robotti. L'Unione di Comuni. Teoria economica ed esperienze concrete. FrancoAngeli . 2006
2.1 La gestione dei servizi associati – 2.2 L’Istituto delle Convenzioni – 2.3 L’Istituto dei Consorzi – 2.4 Le differenze tra
l’Istituto dell’Unione e l’Istituto della Fusione.
territoriale-amministrativo in maniera diretta, accorpa forzosamente le diverse
circoscrizioni territoriali e li omologa in una nuova ed esclusiva entità giuridica.
Non meno importante è l'aspetto che rilega la posizione privilegiata della forma
associativa in analisi agli altri modelli proposti.
2.2 - L’istituto delle Convenzioni
Nel caso delle Convenzioni, anch'esse riportate nel T.U.E.L. all'art. 30, la praticabilità
dello strumento è semplificato ad una mera collaborazione tra gli enti locali, con
l'obiettivo di formulare una sorta di coordinamento operativo in grado di svolgere
funzioni e servizi sotto la piena responsabilità e il pieno controllo di ciascun
ente.39 Ciò che distingue questo strumento dalla forma associativa in analisi,
riguarda all'aspetto concernente la personalità giuridica, destinata al solo istituto
dell'Unione, al quale si affida una piena capacità operativa su funzioni del tutto
scorporate dagli enti che ne fanno parte; si consideri inoltre che la legge fornisce
all'Unione una autonomia sulla regolamentazione interna, tramite costituzione
dello Statuto, chiamato ad individuare gli organi, le modalità, le funzioni affidate
e le risorse necessarie all'esercizio delle funzioni stesse. Le convenzioni d’altro
canto, mantengono uno status maggiormente flessibile e adattabile rispetto
all’istituto dell’Unione e nei confronti delle reali necessità soprattutto dei piccoli
Comuni ad associare determinati servizi. I Comuni, infatti, possono stipulare più
di una Convenzione per la gestione associata di una o più funzioni e partecipare,
al contempo, ad ulteriori forme associative, mentre l’art. 32 del T.U.E.L, così come
modificato dal D.l. n. 95/2012, prevede che i piccoli Comuni possono far parte di
una sola Unione di Comuni, pur non vietando a possibilità che le Unioni stipulino
Convenzioni tra loro o con singoli Comuni.40
2.3 - L’Istituto dei Consorzi
Nel caso dei Consorzio (art. 31 - T.U.E.L.) si tratta di una formula organizzativa
39 Ibidem 40 Ancitel. Le gestioni associate promosse mediante Convenzione. 2012.
prevista anch’essa dalla L. n. 142/1990 concepita come piattaforma integrata di
servizi a rilevanza economico-imprenditoriale che, in ragione di questa specifica
“configurazione”, trova applicazione nelle disposizioni in materia di aziende
speciali. Successivamente alla L. n. 437/1995 (art. 5), alla disciplina dei consorzi
veniva permesso di assicurare non più soltanto servizi ma altresì funzioni e allo
stesso avrebbero potuto partecipare anche altri enti pubblici, quali università,
aziende speciali, ASL, CCIAA), distinguendo inoltre i consorzi per la gestione di
attività aventi finalità economico-imprenditoriale, dai consorzi creati per la
gestione dei servizi sociali. L’impianto dispositivo, è stato successivamente
confermato anche dal T.U.E.L. che ribadisce la distinzione tra servizi di natura
economico-imprenditoriale, previa equilibrio tra costi e ricavi, così come disposto
all’art. 114, comma 4, e quelli privi di tale rilevanza, come quelli sociali, per i quali
l’ente locale è obbligato in ragione delle responsabilità costituzionali che ad esso
spettano. Nell’ottica del contenimento dei costi della pubblica amministrazione e
degli enti locali in genere, l’art. 14, comma 28, D.l. n. 78/2010 ha poi stabilito che
le funzioni fondamentali dei comuni, previste dall’art. 21, comma 3, della citata
legge n. 42 del 2009, sono obbligatoriamente esercitate in forma associata,
attraverso convenzione o unione, da parte dei comuni con popolazione fino a
5.000 abitanti[…]. E’ chiaro che tra le funzioni fondamentali stabilite nell’art. 21,
comma 3 della l. n. 42/2009, rientrano anche quelle afferenti il settore sociale , il
quale implicherebbe la soppressione dei consorzi per la gestione delle funzioni
sociali, in quei Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, data la
trasformazione obbligatoria nelle unioni municipali.
2.4 – Gli accordi di Programma
L’articolo 34, anch’esso collocato all’interno del Capo V, concernente le forme
associative tra enti locali, contempla e disciplina in maniera abbastanza
dettagliata l’istituto dell’accordo di programma, il cui fine è quello di definire e
attuare opere, interventi o programmi di intervento che “richiedono, per la loro
completa realizzazione, l’azione integrata e coordinata di Comuni, di Province e
Regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o comunque di due
o più dei soggetti predetti”.
Fine precipuo dell’accordi di programma è quello di assicurare il coordinamento
delle azioni e determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro
connesso adempimento. Tali elementi rappresentano il contenuto obbligatorio
dell’accordo di programma, che può, poi, avere un contenuto facoltativo,
ulteriore, potendo esso prevedere eventuali procedimenti di arbitrato, nonché
interventi sostitutivi in caso di inadempienze dei soggetti aderenti all’accordo
medesimo. La disposizione in commento, a differenza delle altre sinora
analizzate, contiene una disciplina dettagliata del procedimento di conclusione
dell’accordo di programma, alla stregua della quale compete all’organo
monocratico di vertice dell’amministrazione dotata della competenza primaria o
prevalente sull’opera e sugli interventi o sui programmi di intervento”
(Presidente della Regione, Presidente della Provincia o Sindaco) la promozione
della conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o più
degli altri soggetti interessati al medesimo. L’organo monocratico promotore è
tenuto a convocare preliminarmente una conferenza tra i rappresentanti di tutte
le amministrazioni interessate, al fine di verificare i margini di negoziabilità ai fini
di una conclusione positiva dell’accordo di programma. L’accordo consiste, a
norma del comma 4, nel “consenso unanime degli organi monocratici di vertice
degli enti territoriali e locali coinvolti da un lato, e delle altre amministrazioni
interessate, dall’altro[52]. Tale previsione è da mettere in relazione alla
disposizione di cui all’articolo 42, comma 2, lettera c), del decreto che assegna al
consiglio dell’ente locale la competenza limitatamente alla costituzione e
modificazione di forme associative.41
2.5 - Le differenze tra l’istituto dell’Unione e l’Istituto della Fusione
41 E. Damiani. Attività amministrativa consensuale e accordi di programma. Giuffré. Milano. 1992.
Discorso diverso riguarda alla distinzione tra Unione e Fusione, avendo già
enunciato la connessione dei due profili associativi attraverso uno status di
propedeuticità del primo al secondo. D'altronde se lo scopo dell'Unione è
concernente alla possibilità di associare le diverse funzioni, che siano tutte o solo
alcune, quello della Fusione resta inteso ad un riassetto circoscrizionale più
coerente con i dati demografici, destinato cioè a sopprimere in maniera graduale
ma sicuramente più drastica, il problema della vasta frammentazione territoriale
mediante il dimezzamento di due o più enti in un unico soggetto giuridico.
A questo distinguo concettuale, va altresì considerato come la normativa
regionale possa interporre altri significativi riferimenti capaci a separare i due
modelli in maniera definitiva. Diverse sono infatti le leggi regionali che, in
controtendenza alle nuove disposizioni normative stabilite dalle successive leggi
alla 142/1990, hanno posto vincoli necessari ad ottenere risultati concreti in
maniera netta e rapida, predisponendo quindi lo strumento dell'Unione alla
necessità di requisiti minimi di partecipazione. Prendendo in analisi la L.R. Emilia
Romagna 10/2008, si analizza l'applicazione dell'Unione che, pur essendo
vincolata a parametri minimi stabiliti per l'esercizio di una durevole e funzionale
attuazione dell'istituto, mantiene uno status privilegiato rispetto alla fusione, al
contrario indirizzata, dalla stessa legge, al coinvolgimento esclusivo dei piccoli
comuni e, in seconda battuta, a quelli già aderenti all'Unione, così come stabilito
ai sensi dell’art. 16, comma 1°; tale disposizione esprime per di più una
preferenza sull'applicazione della Fusione soltanto per quelle circoscrizioni
“costituite da un numero ridotto di Comuni e con popolazione complessiva
inferiore a 30.000 abitanti”. Cosicché, oltre a superare lo status transitorio
dell'Unione, si è riusciti addirittura a capovolgere quella prodromica condizione
esaltando in via privilegiata la forma stabile di cooperazione.42
42 De Angelis, Pellegrini. L’UNIONE DEI COMUNI: DAL DISEGNO DEL LEGISLATORE NAZIONALE ALLE POLITICHE REGIONALI. Ancona. 2005.
CAPITOLO 3 - L’ASSOCIAZIONISMO INTERCOMUNALE IN EUROPA.
3.1 - L’intercomunalità in Germania
La Germania è stata, già nel secondo dopoguerra, ridisegnata come Stato
Federale fortemente decentralizzato. La formazione strutturale riconosciuta
dall’ordinamento tedesco, vede infatti la collaborazione tra diversi enti intermedi,
come i Kreise e i Regierungsbezirk, rispettivamente riconducibili alle circoscrizioni
rurali e ai distretti governativi, rispetto ai Gemeinde, meglio identificati come
Comuni, le Gemeindeverbande, le Unioni di Comuni, e i Lander, le cd. Regioni
meglio identificate come Stati federali. Una Repubblica federale caratterizzata da
una struttura amministrativa policentrica, marcata dal fenomeno della
decentralizzazione delle funzioni legislative in favore dei Länder, avvenuta a
seguito della Föderalismusreform.43 Nel caso tedesco, l’associazionismo
intercomunale, conosciuto anche con l’espressione di cooperazione tra comuni,
il livello dell’Unione di Comuni, è riconosciuto come terzo livello statale, in
quanto espressamente ricondotta insieme agli stessi Comuni, alla specifica
garanzia di autonomia funzionale, che permette dunque di equiparare l’azione
amministrativa dell’una rispetto all’altra. Tale impostazione, definitivamente
riformata nel 2006, ha trovato maggiore rilevanza già a partire dagli anni Sessanta
e Settanta, periodo in cui l’associazionismo comunale è stato infatti tematizzato
nell’ambito più comprensivo delle riforme territoriali e amministrative, in seguito
43 FORMEZ. L’associazionismo intercomunale nella Nuova Europa. 2006.
3.1 L’intercomunalità in Germania – 3.2 L’intercomunalità in Francia – 3.3 L’intercomunalità in Polonia.
alle quali il numero complessivo dei Comuni è stato ridotto di quasi 2/3, come
soluzione per accrescere la razionalità e l’efficienza dell’azione amministrativa e
come alternativa alla fusione di Comuni. Nel corso degli anni novanta, la
riduzione dei costi per contenere i deficit crescenti dei bilanci comunali è
divenuta il principale stimolo alla cooperazione. Parallelamente, si è andata
manifestando, da parte dei Comuni, l’esigenza di concorrere con i soggetti privati
che, in seguito alle liberalizzazioni ed alle privatizzazioni, hanno intrapreso
un’attività negli ambiti prima riservati alla Kommunalwirtschaft.44 Pur nonostante
sono i Lander ad essere direttamente coinvolti nel processo decisionale centrale,
attraverso i Bundestrat, la seconda camera in cui risiedono i relativi
rappresentanti. Il modello di federalismo tedesco si può dunque definire di tipo
cooperativo proprio perché fondato sulla cooperazione inter istituzionale tra i
vari livelli di governo. Dopo esserci soffermati sul potere di organizzazione, si
traccia invece un secondo passaggio legato alla Kooperationshoheit, meglio
identificato come Potere Cooperativo. La dottrina giurisprudenziale tedesca usa
distinguere due tipi di poteri suddivisi in “negative e positive
Kooperationshoheit”: la prima tutela i Comuni rispetto alle unioni coercitive che
vengono imposte mediante atto autoritativo, la seconda invece assicura la
possibilità di esercitare funzioni ed espletare il regolare svolgimento dei servizi
pubblici essenziali, non soltanto insieme ad altri Comuni ma anche in
collaborazione con altri enti amministrativi o anche con privati.45
Tra le diverse forme intercomunali presenti:
1. Comunità di lavoro intercomunale- Kommunale Arbeitsgemeinschaft
Previsto nella legislazione di vari Länder, non dotato di personalità giuridica, allo
scopo di coordinare le attività amministrative degli enti locali partecipanti e in
particolare di gestire le funzioni di carattere consultivo e preparatorio.
Rappresenta una delle forme di cooperazione intercomunale più semplici e
morbide di diritto pubblico, pur essendo sprovvista di organi propri,
44 A. Di Martino. Fenomeno e forme dell’intercomunalità in Europa e tra i piccoli Comuni. Cap. 4 – La Cooperazione tra Comuni in Germania. 2011. 45 Ibidem
considerando che non costituisce un soggetto giuridico distinto e che gli accordi
si appoggiano sulla branca giurisprudenziale amministrativo, al quale si richiama
l’individuazione di un regolamento interno e la definizione delle risorse
finanziarie adeguate alle attività della struttura.
2. Convenzione di diritto pubblico - Öffentlich-rechtliche Vereinbarung o
Zweckvereinbarung o Vareinbarung.
Convenzione in base alla quale i Comuni si associano per l’esercizio di una o più
funzioni comunali, in particolare funzioni burocratico-amministrative e compiti di
elaborazione informatica dei dati. Può essere conferita per mandato o delega: il
mandato comporta il trasferimento della titolarità della funzione, mentre la
delega comporta soltanto il trasferimento dell’esercizio della funzione.
Rappresenta una forma di cooperazione intercomunale abbastanza semplice e
morbida. È la forma pubblicista più diffusa. La Convenzione deve
necessariamente indicare i compiti da trasferire. Siccome la Convenzione di
diritto pubblico non costituisce un soggetto giuridico distinto, è sprovvista di
organi propri. Tuttavia, in alcuni länder, la Convenzione può istituire una
commissione comune (gemeinsamer Ausschuß) per la preparazione della
discussione.
3. Unione di scopo o Consorzio di Comuni - Zweckverband
Ente dotato di personalità giuridica, il cui scopo è svolgere specifici compiti propri
o delegati, che riguardano funzioni amministrative e servizi pubblici. I Comuni
ricorrono allo Zweckverband nell’ambito dell’erogazione dei servizi pubblici sia
facoltativi che obbligatori. Gli sono trasferite prevalentemente, ma non
esclusivamente, funzioni relative ad attività economiche, educazione e
formazione. Tale modello è possibile istituirlo o mediante apposita legge o da un
accordo libero tra gli enti partecipanti fondato su leggi speciali o su disposizioni
generali nella legislazione sugli enti locali dei Länder o ancora da un
provvedimento adottato da un’autorità di controllo dotata dalle stesse leggi dei
Länder. I Länder ed enti pubblici o privati vi possono aderire se la loro
partecipazione risulta utile alla realizzazione degli scopi e non è contraria
all’interesse pubblico. Siccome è un soggetto giuridico distinto degli enti locali
partecipanti, ha un’amministrazione e una fiscalità proprie, autofinanziandosi
tramite tasse proprie, trasferimenti, eventuali meccanismi di perequazione e
finanziamenti di natura privatistica. In caso di deficit rispetto alle spese, esso può
raccogliere una Umlage (contributo di natura fiscale) presso i Comuni membri, il
cui ammontare deve essere determinato nello statuto, in base a criteri
prestabiliti, che tengano conto delle specifiche utilità tratte da ciascun Comune
attraverso la partecipazione all’Unione di scopo. Questo tipo di Unioni sono
molto presenti in Baden-Württenberg, Baviera, Bassa Sassonia, Renania
Settentrionale- Vestfalia e Renania Palatinato ed hanno uno spessore ben più
forte rispetto agli altri strumenti associativi. Ad esempio, in Baden-Württemberg
600 Comuni su 1.109 Comuni hanno meno di 5.000 abitanti. E l’80% dei Comuni
di questo Land fa parte di un Consorzio di Comuni. Ci sono circa 600
Zweckverbände in Baden- Württemberg.
Numero di Consorzi di Comuni i alcuni Länder tedeschi
Land
D
a
Numero di Consorzi di
Comuni
Baden-Württenberg 2
6
Baviera 2
1
Bassa Sassonia - - Renania Palatinato 2
3
Renania Settentrionale
2
2
Fonte: Fenomeno e forme dell’intercomunalità europea tra piccoli Comuni, Report finale, LUISS
I fautori dell’intercomunalità in Germania pensano che la cooperazione
intercomunale sia più efficace quando proviene da un’iniziativa spontanea dei
Comuni. Perciò esistono norme che limitano la coercizione a cooperare alle
funzioni obbligatorie dei Comuni, subordinandola alla sussistenza di una “urgente
esigenza generale” e alla incapacità del Comune, e per giunta negli ultimi anni è
stata lamentata una eccessiva rigidità degli strumenti legislativi, esprimendo
ormai l’esigenza di una maggiore flessibilizzazione del sistema della cooperazione
intercomunale.
Le forme di intercomunalità in Germania nel 2011 Öffentlich-rechtliche Vereinbarung - Convenzione di diritto
pubblico
27,7%
Zweckverband - Consorzio di Comuni 21,7% Arbeitsgemeinschaft - Comunità di lavoro intercomunale 21,2% Società di diritto privato 10,4% Contratto di diritto privato 7,8% Altre forme 11,1% Fonte: Fenomeno e forme dell’intercomunalità europea tra piccoli Comuni, Report finale, LUISS
3.2 – L’intercomunalità in Francia
Il problema della scelta della dimensione ideale per il governo del territorio e per
la realizzazione di un corretto rapporto tra amministrazioni e amministrati si
impone in Francia in maniera piuttosto forte in ragione di un tessuto municipale
caratterizzato da una storica frammentazione che non ha eguali nel resto
d’Europa. A fronte di una popolazione di circa 65 milioni di abitanti, la Francia
conta ben 36.682 comuni, e tra questi, il 74 per cento ha una popolazione
inferiore ai 1.000 abitanti. Una simile polverizzazione della realtà locale spiega
come le esperienze associative abbiano storicamente rappresentato in Francia
uno dei pochi strumenti utili affinché realtà così ridotte riuscissero a migliorare la
gestione dei servizi e delle funzioni di propria competenza, al fine di assicurare
una risposta adeguata ai bisogni delle comunità amministrate. Le pratiche di
cooperazione intercomunale nascono, da un punto di vista istituzionale, a partire
dalla fine del XIX secolo, con la figura dei syndicats intercomunali a vocazione
unica (SIVU). 46 La legge del 22 marzo 1890 completa, infatti, la grande riforma
46 L. E. Lo Iacono. Fenomeno e forme dell’intercomunalità in Europa e tra i piccoli Comuni. Cap. 1
municipale iniziata con la legge del 5 aprile 1884, prevedendo la possibilità, per i
comuni interessati da questa nuova esperienza associativa, di gestire
congiuntamente alcuni servizi, come ad esempio la raccolta dei rifiuti, alcune
forme di trasporto e di depurazione delle acque. La facoltà offerta ai comuni di
costituire un SIVU risponde storicamente alla necessità di offrire alle realtà locali
di minori dimensioni la possibilità di fronteggiare le esigenze derivanti dal
progresso tecnico e dal cambiamento delle condizioni sociali. Il SIVU si distingue
dalle successive forme associative per la sua caratterizzazione in senso
“specialistico”: conformemente allo statuto istitutivo esso non può disporre che
della competenza a gestire un unico servizio. Una successiva politica rivolta ad un
associazionismo intercomunale volontario, anche in questo caso analogo al
modello italiano, ha rappresentato la risposta necessaria al bisogno di efficienza
di governo comunale in maniera più netta. Si formano gli établissement public
de coopération intercommunale, meglio conosciuto come EPCI, basata su due
fondamentali direttici, legate al carattere della fiscalità, che si articola in una
gestione associata secondo diversi livelli intercomunali. 47 Una prima
articolazione di strumenti EPCI, è riconosciuta in tre tipologie al quale non risiede
una propria fiscalità; questa permette di associare uno o più servizi tra più
comuni o addirittura tra i département e le Regioni. Una seconda articolazione di
base, permette ai Comuni di avere una fiscalità propria seguendo le diverse
connotazioni demografiche e le conseguenti economie di scala. Un primo livello
riconosciuto con legge nel 31 dicembre 1966, riguarda le Comunità Urbane,
investita dal vincolo demografico dei 500.000 abitanti su uno spazio unico e
territorialmente contermine. Le prerogative di questa scala si riconducono in via
generale, allo sviluppo economico, sociale e culturale dei comuni associati,
all'adattamento e trasformazione del territorio urbano, all'equilibrio sociale
dell'abitato, alla politica di sviluppo integrato del tessuto urbano (strumento
urbanistico), alla gestione dei servizi di interesse collettivo finanche alla
valorizzazione dell'ambiente. Le comunità di Comuni invece, sono state istituite
– L’intercomunalità in Francia. 2011 47 Laboratorio di Politiche. Il sistema di cooperazione intercomunale in Francia. 2008
nel febbraio del 1992 per raggruppare comuni prevalentemente a vocazione
rurale, pur successivamente ritrovando estensione alle aree urbane di media
dimensione.48 Anche qui la politica intercomunale ha posto obiettivi simili a quelli
della precedente scala accostandone però altri rivolte alla specifica realizzazione,
gestione e manutenzione delle strade, delle strutture culturali, sportive ed
istruttive. Infine l'istituto delle Comunità di agglomerazione, nata per associare
comuni urbani, vincolati al concetto di conterminità territoriale, per una
dimensione di 50.000 abitanti intorno a comuni di più di 15000 abitanti. Anche
qui le finalità, raccolgono una diversa base di interventi, volti a differenziarsi in
quattro direttici prerogative, quali sviluppo economico, organizzazione dei
territori dei comuni associati, politiche abitative per l'equilibrio sociale, politica
della città nella comunità; il tutto secondo indirizzi specifici, legati al risanamento
e ai residuali già esposti in precedenza, pur attivandole in chiave opzionale. Al
2007, esistono 2.588 istituzioni pubbliche di cooperazione intercomunale (EPCI) a
fiscalità propria, raggruppanti il 91,5% dei comuni (33.400), ovvero quasi 400 in
più rispetto al 2006, e il 90,8% della popolazione, ovvero 54,5 milioni di abitanti.
3.3 – L’intercomunalità in Polonia
Uno dei passaggi significativi che introduce l’argomentazione
dell’associazionismo in Polonia, riguarda alla restaurazione dell’autonomia locale
avvenuta con la legge dell’8 marzo 1990 sulla autonomia locale, che introduce
una concezione uniforme di comune, superando il processo decisionale sul ruolo
e la denominazione dei Comuni, in concomitanza del cambio della forma di Stato
e di ordinamento, dovuto all’avvento del Comunismo. Se già a partire dal 1918 la
Polonia si riconosce come Stato unitario, l’assetto territoriale ha invece
conosciuto diverse fasi, a cui l’usuale riferimento del Comune, ha subito
trasformazioni denominative finanche significative. I 2093 Comuni, meglio
identificati come Gmima, sono stati inizialmente sciolti nel 1955 e sostituiti dalla
48 Ibidem
creazione delle Gromada, unità composte di diversi villaggi, ma di minori
dimensioni rispetto agli esistenti comuni. In questo caso si parla di una
articolazione assai più complessa che tende a prendere in considerazione le
differenze fra i singoli comuni, legate al carattere urbano o rurale, alle dimensioni
o alle capacità di raggiungere gli obiettivi. Soltanto a partire dagli anni Settanta
fino alla riforma sopra citata, avviene un vero e proprio riordino volto alla
semplificazione dell’articolazione territoriale, con la soppressione delle Gromada
e la reintroduzione dei Comuni; oltremodo vengono soppressi anche i Powiat,
distretti circoscrizionali riconducibili al ruolo delle province, che nel 1998
ritroveranno la stessa collocazione attraverso la creazione di 308 e 65 città con lo
status di Powiat.49 A seguito della riforma, il termine “comune” indica tutte le
unità di primo livello dell’assetto del governo territoriale: il paese (comune
urbano), la zona rurale (comune rurale), il paese circondato dalla zona rurale
(comune urbano-rurale). Inoltre, il comune ha cessato di dipendere direttamente
dall’amministrazione centrale ed è stato dotato di competenze necessarie per
realizzazione di compiti delegati dal governo centrale.50 La riforma dell’assetto
territoriale realizzata negli anni Novanta è considerata una delle migliori riforme
avvenute nel periodo della Terza Repubblica. Ha provocato uno sviluppo
dinamico dei piccoli e grandi comuni in Polonia, mentre le autorità degli enti
locali godono di maggiore fiducia rispetto al governo e parlamento nazionali.
A seguito dei cambiamenti democratici che si sono verificati nel 1989, di fatto la il
fenomeno dell’associazionismo intercomunale ritorna di attualità con la citata
legge dell'8 marzo 1990 sulla autonomia dei comuni locali. La legge prevede sulla
possibilità di una collaborazione intercomunale, stabilendo all’art. 10 comma 1
che gli enti locali hanno diritto di cooperare nell’esercizio delle funzioni
pubbliche. Questa disposizione è considerata una "ouverture legislativa" che apre
la strada ad una più dettagliata regolamentazione dell’associazionismo
intercomunale, disciplinato specificamente nei capitoli 7 e 9 della medesima
49 I dati provengono dal Concise Statistical Yearbook of Poland 2010, Varsavia, e riguardano il 31 dicembre 2009. 50 FORMEZ, Quaderni, n. 30, Public Governance in Europa. Sviluppo locale comparato. 2008.
legge.51 Un primo livello di associazionismo intercomunale riguarda alle Unioni
dei Comuni Rurali (Związek Gmin Wiejskich), il quale si è posta l’obiettivo
principale di integrare i comuni rurali, attraverso numerose iniziative.
Attualmente, è composta da circa 500 comuni ubicati su tutto il territorio
nazionale, è la più grande e potente Unione di questo tipo in Polonia.
Nel 2007 l’Unione ha iniziato l’attuazione del progetto di formazione e di
consulenza “Rafforzamento delle capacità istituzionali delle autonomie locali per
migliore erogazione dei servizi pubblici", finanziato dai fondi norvegesi
(conosciuti anche come EEA GRANTS, Norwegian Financial Mechanism). Uno dei
componenti di questo progetto è stata la formazione e lo scambio di esperienze
fra i comuni rurali, i comuni urbani ed i powiat, ove le autorità locali durante il
ciclo dei workshop potevano condividere le proprie conoscenze acquisite
nell’ambito della fornitura dei servizi da parte dalle amministrazioni territoriali.
Gli ideatori ed esecutori del progetto, oltre ad rinvigorire e sostenere la
collaborazione degli enti locali, creando i fori per il dialogo e conforto, hanno
codificato le best pracitices, pubblicandole in modo di diffonderle
maggiormente.52 Un altro livello riguarda alle Unioni Intercomunali, disposti
all’art. 64 della Legge sulle autonomie, prevede la possibilità di costituire una
nuova entità associativa il cui scopo è finalizzato è un congiunto svolgimento di
compiti o funzioni pubbliche. In letteratura viene anche utilizzato il nome di
‹‹unione finalizzata››; difatti tale organizzazione non può essere creata per uno
scopo diverso da quello del ‹‹comune esercizio di compiti pubblici››. La
motivazione per la costituzione dell’unione può essere non soltanto economica,
ma anche di natura organizzativa, in quanto per la natura del compito da
esercitare risulterà efficiente la gestione associata da parte di più comuni.53 La
dottrina specifica infatti che l’unione costituisce una mera forma di
collaborazione tra più comuni, in quanto carenti dei requisiti propri degli enti
locali, come per esempio l'elezione diretta dei membri dell'organo assembleare
51 Szewc A., JyŜ G., Pławecki Z., Ustawa o samorządzie gminnym. Komentarz, Varsavia, ABC, 2010 52 K. Jachimowicz .Fenomeno e forme dell’intercomunalità in Europa e tra i piccoli Comuni. Cap. 3 – Il fenomeno e le forme dell’intercomunalità in Polonia. 2011 53 Szewc A., JyŜ G., Pławecki Z., op. cit., p. 630
dall’ente locale; in tal senso non pone alcun tipo di vincolo sulla partecipazione
alla forma associativa, tra cui anche le città aventi gli stessi diritti di Powiat.
All’unione possono essere attribuite sia funzioni pubbliche ‹‹proprie›› sia
‹‹funzioni conferite›› dei comuni.54 Le unioni svolgono le funzioni loro trasferite,
in conto proprio e sotto la propria responsabilità, sia civile che amministrativa, e
dispongono di un proprio patrimonio. Le controversie patrimoniali legate alle
attività delle Unioni sono di competenza della giustizia civile e non quella
amministrativa. Ai sensi dell’art. 67 comma 1 della legge sulla autonomia dei
comuni, al fine di costituire l’unione intercomunale, i rispettivi consigli comunali
devono adottare lo Statuto dell’unione. Il comma 2 del medesimo articolo elenca
gli oggetti dello Statuto, i quali comunque non costituiscono un contenuto
obbligatorio, in quanto la loro mancanza non è sanzionata a pena di nullità. Tali
elementi riguardano, nome e sede legale dell’Unione, partecipanti e durata
dell’Unione, attività e compiti dell’Unione, organi dell’Unione e la loro struttura, i
poteri e le modalità del funzionamento degli organi, regolamento per l'uso di
strutture e attrezzature dell’Unione, regole di partecipazione ai costi, ai profitti
ed alle perdite delle operazioni congiunte, norme per la partecipazione e il
recesso dei soci, norme per la liquidazione dei beni, norme riguardanti la
liquidazione dell’Unione, altre norme che regolano la cooperazione. Dal Registro
delle Unioni Intercomunali emerge che le unioni intercomunali comprendono da
due a 59 comuni: si possono distinguere unioni piccole che comprendono da due
a cinque comuni (il 33% di tutte le Unioni), medie da sei a dieci comuni (il 42%
del totale) e grandi composte da più di dieci comuni (il 25% del totale).55 La
classificazione dei compiti e delle funzioni pubbliche, che sono trasferiti a tali
enti, è particolarmente varia. In linea generale, nella maggior parte dei casi le
unioni intercomunali hanno assunto compiti in materia della tutela ambientale,
della gestione dei rifiuti, dell’approvvigionamento e distribuzione di acque, del
trattamento delle acque reflue, del turismo e del trasporto pubblico. In
54 Dolnicki, B. (a cura di.), Ustawa o samorządzie gminnym. Komentarz, ABC, 2010. 55 Registro delle Unioni Intercomunali, reperibile al sito internet del Ministero degli Affari Interni e dell’Amministrazione [www2.mswia.gov.pl/download.php?s=4&id=5]
particolare, dai dati disponibili per il 2002 è emerso che la maggior parte delle
unioni hanno implementato un compito uniforme (88,0% delle unioni), come ad
esempio lo smaltimento dei rifiuti, la regolamentazione dei fiumi, i centri di cura
per le persone anziane o disabili. Il rimanente 12% dei comuni ha svolto compiti
in vari campi della vita economica e sociale.56
CAPITOLO 4 - IL QUADRO DESCRITTIVO DELLE UNIONI DI COMUNI
4.1 – I Comuni in Italia
Storicamente il numero dei Comuni italiani ha subìto continue trasformazioni
sotto il profilo numerico, demografico e spaziale. Al periodo post-unitario, il
numero di enti locali di base registrava 7.720 Comuni, progressivamente
aumentato a 8.324 unità registrate al 1911, pur constatando come fattore
fortemente influenzante, l'annessione del Veneto e di una parte del Friuli nel
1866 al territorio nazionale. Successivamente alla Grande Guerra, il territorio
nazionale ha visto accrescere il reticolo territoriale in 9144 Comuni, così come
registrato al 1921. Sarà durante il Ventennio Fascista che, considerata la vasta
frammentazione territoriale, si vedranno aggregati d'imperio 2.184 piccoli
comuni, ad opera di un accorpamento forzoso dichiarato con Regio Decreto del
29 luglio 1927 n. 1564. 57 Il motivo di tale intervento risiede nella necessità, per il
Regime Fascista, di attuare il principio di accentramento e quindi la creazione di
uno Stato centralizzato e fortemente unitario mirando a creare organismi più
robusti, sia mediante il raggruppamento in un unico ente di piccole unità
56 Ibidem 57 Per i dati cfr. F. SPALLA, L’accorpamento degli enti locali di base, in “Il nuovo governo locale”, n. 2/1998.
4.1 – I Comuni in Italia – 4.2 – I caratteri descrittivi generali dal 2000 al 2005 – 4.3 Il quadro descrittivo generale delle Unioni – 4.4 Le funzioni amministrative coinvolte nel fenomeno dell’associazionismo – 4.5 I Rapporti finanziari tra i Comuni associati.
preesistenti, sia mediante l'aggregazione delle stesse a limitrofi centri di notevole
importanza demografica. Quello appena esposto è rimasto l'unico intervento
massiccio avviato per semplificare il reticolo territoriale, con l'opportunità
straordinaria di poter disporre di altri accorpamenti, non soltanto degli enti
comunali ma anche provinciali, a seguito dell'entrata in vigore del Testo unico
della legge comunale e provinciale di cui al Regio Decreto 3 marzo 1934, n. 38358,
si stabilì la facoltà di accorpare i Comuni con popolazione inferiore ai 2.000
abitanti, qualora fossero mancati i mezzi per provvedere adeguatamente ai
pubblici servizi. Successivamente al secondo dopoguerra, il numero dei Comuni,
tornerà però ad aumentare in maniera considerevole, con particolare
riferimento al periodo che va dal 1951 al 1981, al quale si assiste una nuova e
progressiva crescita degli locali di base, toccando come picco massimo la quota
complessiva di 8.101 Comuni. Ad incentivare tale crescita fu soprattutto
prerogativa della neonata Repubblica che, con L. n. 71/1953, restituì ai Comuni,
riuniti o soppressi in epoca fascista, la possibilità di ricostituirsi anche in assenza
del requisito minimo demografico smantellando l'intervento di accorpamento
coattivo posta in essere dal regime .59
58 Integralmente abrogato dall'art. 274 del T.U.E.L. approvato con d.lgs.18 agosto 2000, n. 267 59 R. Parca. Unioni, fusioni e forme di aggregazione fra i comuni. Tesi di laurea in Diritto degli enti locali. Roma Tre. 2000
L’articolazione territoriale dei comuni italiani ad oggi risulta essere
particolarmente disomogenea sia dal punto di vista demografico che in
riferimento all’estensione territoriale60 così come riportato dalla seguente tabella
che oltre ad elencare la dinamicità e l’evoluzione dei numeri di Comuni, descrive
anche la presenza dei Piccoli Comuni, meglio identificati in una con un parametro
demografico che maggiore di 1.000 abitanti e inferiore ai 5.000.
Nonostante, nel corso degli ultimi quarant’anni (dal 1971 ad oggi), si sia potuto
registrare un decremento del numero di piccoli comuni da 6.090 agli attuali
5.683, a fronte di un aumento del numero complessivo dei comuni nello stesso
periodo da 8.056 ad 8.094, ben il 70,3% dei comuni italiani ha meno di 5.000
abitanti ed è pertanto qualificabile come piccolo comune. Uno degli aspetti
60 I dati riportati nel presente paragrafo sono tratti da AA.VV., Atlante dei Piccoli comuni 2011, ANCI Cittalia; AA.VV. Lo stato delle unioni - Rapporto nazionale 2010 sulle unioni di comuni, ANCI Cittalia.
piuttosto rilevanti in termini descrittivi riguarda quei Comuni con popolazione
inferiore ai 5.000 abitanti, che complessivamente rappresentano il 70,23 % del
totale dei Comuni e più specificatamente identificati in 5.683 circoscrizioni
giuridicamente riconosciuti. La distribuzione geografica vede riconosciuta la
presenza di piccoli Comuni soprattutto nel Nord Italia, che con i suoi 3.336 Piccoli
Comuni, rappresenta il 58,7 % del totale di Comuni inferiori ai 5.000 abitanti. 61
In riguardo alla fascia centrale e meridionale del territorio italiano, gli indici
risultano essere omogenei; le Regioni della Toscana, del Lazio, dell'Abruzzo, delle
Marche e dell'Umbria infatti sono rappresentati circa il 15,3 % sul totale dei
piccoli Comuni, essendo questi 868 Comuni inferiori ai 5.000 abitanti, mentre al
Sud la percentuale è del 17 %, avendo complessivamente 966 inferiori ai 5.000
abitanti. Andando a scomporre questo dato per classi demografiche, il fenomeno
assume una rilevanza maggiore: infatti, dei 5.683, ben 1.948 (pari al 34,3%) sono
comuni con popolazione fino a 1.000 abitati; 2.131 (pari al 37,5%) enti che hanno
tra i 1.001 e i 2.500 abitanti; e solo 1.604 (pari al 28,2%) hanno tra i 2.501 e i
5.000 abitanti. L’incidenza maggiore è, dunque, rappresentata dagli enti di
piccole o piccolissime dimensioni, ovvero di quelli che si trovano in una
condizione particolarmente deficitaria per quanto concerne le carenze strutturali,
organizzative e funzionali: infatti, ben il 72% dei piccoli comuni (pari a 4.093 enti)
ha una popolazione inferiore a 2.500 abitanti, con un’incidenza del 50,6% sul
totale dei comuni italiani.62
61 Atlante dei Piccoli Comuni 2011, ANCI Cittalia. Lo stato descrittivo dei Comuni. 2011 62A.M. Baroni. Fenomeno e forme dell’intercomunalità in Europa e tra i piccoli Comuni. Cap. 5 –L’associazionismo Comunale in Italia. 2011.
Il numero dei comuni italiani e dei Piccoli Comuni, per classe demografica, 2011
Piccoli Comuni Comuni con più di 5.000 abitanti
Italia
Fino a 1.000
abitanti
Tra 1.001
e 2.500 abitanti
Tra 2.501
e 5.000 abitanti
Totale
Numero comuni 1.948 2.131 1.604 5.683 2.409 8.092 % sul totale 24,1% 26,3% 19,8% 70,2% 29,8% 100,0% Fonte: elaborazione IFEL su dati Istat, 2011
Altro aspetto significativo riguarda la presenza, per ogni Regione, di Comuni con
popolazione inferiore ai 5.000 abitanti entro i limiti territoriali che superano il 50
% del totale corrente. Difatti ad esclusione della sola Puglia, Emilia Romagna e
Toscana che rispettivamente presentano il 32 %, 44 % e 46 % di Piccoli Comuni,
tutte le regioni italiane superano tale soglia ed in alcuni casi si riscontrando anche
una elevata percentuale di piccoli Comuni che caratterizza dall’80 % in poi il
territorio regionale. In capo questa classificazione, la Valle D'Aosta che vede 73
Comuni di piccole dimensioni su un totale di 74 Comuni, il 98,65 %. Di seguito il
Molise, il Trentino - Alto Adige, il Piemonte, la Sardegna, l'Abruzzo e la Calabria
che superano o si avvicinano considerevolmente ad un rapporto percentuale pari
all'80 % del totale.63
4.2 – I caratteri descrittivi generali dal 2000 al 2005
L’evoluzione descrittiva delle Unioni di Comuni, cominciano ad avere reale
consistenza soltanto dopo l’approvazione della L. n. 265/99 e il successivo D.lgs.
267/2000, che ha accresciuto l’interesse alla forma associativa, superando le
esperienze intraprese fino al 1999 ancora ferme ad un totale di 65 Unioni di cui
40 al Sud, 21 al Centro e 14 al Nord. Difatti la reazione degli enti locali di base, nel
periodo immediatamente successivo all'approvazione del Testo Unico sulle Leggi
degli Enti Locali, ha visto una significativa partecipazione alla forma associativa,
registrando 67 unioni con un adesione complessiva di 306 enti e una popolazione
totale di 660.589 abitanti.
Già al 2001 il fenomeno ha raddoppiato consistentemente le esperienze in 132
Unioni e una partecipazione coinvolgente di 596 comuni, attestando
complessivamente il coinvolgimento di 1.503.422 abitanti. Il boom di esperienze
ha trovato seguito nel 2002, anno in cui si registrano n. 179 unioni e l'adesione di
798 comuni che ha abbracciato una popolazione pari a 2.307.048 abitanti; in
continuo aumento anche nel 2003, le Unioni si registrano in 222 esperienze
interessando 985 comuni con una popolazione complessiva di 3.040.152
abitanti. 64 Al totale di queste esperienze, susseguiranno soltanto dieci
scioglimenti di Unioni senza stravolgere ugualmente il trend di crescita che
complessivamente, dall’anno 2000 all’anno 2003, si è attestata a circa il 330 per
cento delle unioni di comuni, il 320 per cento dei comuni che partecipano alle
unioni, 460 per cento della popolazione degli enti appartenenti alle unioni. 65 Al
2004 invece viene a registrarsi complessivamente il numero di 244 Unioni di
Comuni al quale aderiscono 1106 enti comunali. Allo stesso modo il trend di
crescita non tende a stabilizzarsi neanche nell’anno successivo, bensì esercita un
63 IFEL, ANCI, Cittalia. I Comuni Italiani. 2010. 64 Ministero dell’Interno. Dipartimento per gli affari interni e territoriali .Rapporto sulla forma associativa delle Unioni di Comuni dal 1996 al 2003. 65 Ibidem
aumento di circa il 10 per cento del numero delle Unioni e di circa l'11 per cento
per i Comuni aderenti, rispetto al precedente anno, considerando una
complessiva popolazione di Unioni pari a 269 modelli associativi per 1225 enti
comunali. L’Unione di Comuni con densità di popolazione più alta riguarda l' Area
Caserta Sud Ovest costituita nell'anno 2002, con una popolazione di 137.867
abitanti aggregata a seguito dell'accorpamento volontario di 10 comuni aderenti,
pur constatando che 6 di questi avessero una popolazione non superiore ai
10.000 abitanti. La forma associativa dell'Unione contestualizza poi altre
esperienze analoghe per i Comuni di << Montesilvano, Francavilla al Mare,
Pianella, Bocchianico, Miglianico, Torrevecchia, Teatina, Cappelle sul Tavo e
Spoltore >>66, appartenenti alla Provincia di Pescara con una popolazione
complessiva di 105.624 abitanti anch'essa ricorrente all'anno 2002 nella sua
costituzione. Queste due esperienze, adottate in un periodo non molto lontano
dall'approvazione del D.lgs 267/00 e in considerazione di altre unioni superiori ai
50.000 abitanti, come ad esempio "Monti lattari aree montane e pedemonte"
(75.089 abitanti) o l’unione “Città territorio Val librata” (circa 70.000 abitanti),
evidenziano una partecipazione cumulativa di comuni medio-grandi che, inseriti
in quelle fasce di comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti,
costituiscono circa il 19 per cento (232 Comuni) rispetto al totale dei Comuni
aderenti sebbene il restante 81 per cento dei partecipanti alla forma associativa
riguarda invece quei comuni con fascia di popolazione inferiore a 5.000 abitanti.
All'estremo opposto infatti si riscontra una partecipazione complessiva di 140
enti con popolazione inferiore ai 500 abitanti e 221 enti riguardanti enti locali
associati inferiori ai 1.000 abitanti, come ad esempio il caso della forma
associativa avente il più basso numero di abitanti appartenente all'esperienza
della “Val Pitta” , in Provincia di Vercelli, con 792 abitanti e 5 enti aderenti, e che
risulta costituita il 29 settembre 2001; si menziona anche l’unione denominata
“Zerbo e costa dei Nobili “ nella Provincia di Pavia e con popolazione di 833
abitanti e due comuni aderenti.
66 ANCI. Rapporto Stato delle Unioni di Comuni. 2010
Particolarmente rilevante è anche la numerosità della popolazione delle unioni
che pur riscontrando una media di 14.517 abitanti al 2005, si presenta in
maniera piuttosto difforme nell’ambito del territorio nazionale raggiungendo casi
estremi rispetto alla media. Tale aspetto viene evidenziato in particolar modo
nella fascia centrale e meridionale del territorio italiano, che complessivamente
interessa regioni al quale appartengono i Comuni aderenti alla forma associativa
in analisi, e specificatamente nelle 5 regioni della Campania, dell'Umbria,
dell'Abruzzo, della Puglia e dell'Emilia Romagna, aventi rispettivamente un valore
medio per abitanti di 41.868, 36.191, 34.772, 28.113 e 25.175 unità.
4.3 – II quadro descrittivo generale delle Unioni ad oggi
L'obbligo di associarsi per tutti quei Comuni di piccolissime e piccole dimensioni,
e più specificatamente inferiori ai 1.000 abitanti e ai 5.000 abitanti, ha indotto
questa categoria di Comuni, ancora esenti da forme associative, a formalizzare la
gestione associata dell’esercizio di funzioni e servizi mediante una partecipazione
attiva all'Unione di Comuni oppure tramite Convenzioni.
Se nel 2010 le Unioni di Comuni si identificano in 313 esperienze diverse,
coinvolgendo complessivamente 1.561 Comuni ed una popolazione complessiva
di 5.758.607 abitanti, al 2011 il dispositivo adottato dalla cd. Manovra di
Ferragosto, che ha obbligato i piccoli e piccolissimi comuni ad aggregarsi per
mezzo dell’Unione Municipale, ha aiutato a far crescere l’universo delle Unioni,
aumentando a 337 il numero dei modelli aggregativi coinvolgenti 1.663 Comuni.
Al 30 maggio 2012, i dati rilevati registrano ulteriori 30 Unioni rispetto al 2011,
per un complessivo di 367 esperienze racchiudenti 1.851 Comuni e una
popolazione di 7.215.746 abitanti. 67
Il trend positivo delle esperienze, evoluitesi in questi ultimi 3 anni, trova
particolarmente significativo il dato delle partecipazioni in Toscana, dove le
Unioni di Comuni sono passate da una sola esperienza, capace di aggregare 15
realtà amministrative, a ben 21 Unioni e 134 amministrazioni comunali.
Lo stesso accade anche in Regioni come Liguria e Basilicata, per la quale non era
mai stata annessa alcuna esperienza di associazionismo dalla lontana 142/1990.
Da considerare la storica assenza al modello aggregativo per quanto riguarda la
Regione della Valle d’Aosta e la riduzione dei Comuni partecipanti alle Unioni da
105 a 103 enti, per una complessiva diminuzione di una sola Unione nella
Regione Lazio.
67 IFEL, ANCI, Cittalia..Atlante dei Comuni 2012. Parte terza – Unione di Comuni.
La distribuzione delle Unioni di Comuni, per regione, maggio 2012
Regione
N°
N° UC (b)
N° comuni
% comuni in
Piemonte 1.20
5
31
26,4
Valle
7
0 0 0,0
Lombardi
1.54
5
20
13,3
Trentino -
33
1 3 0,9
Veneto 58
2
9
16,2
Friuli -
21
4 1
4,6
Liguria 23
1 5 2,1
Emilia –
34
3
15
44,8
Toscana 28
2
13
46,7
Umbria 9
1 8 8,7
Marche 23
1
4
19,2
Lazio 37
2
10
27,2
Abruzzo 30
7 4
15,4
Molise 13
8 5
36,8
Campani
55
1
6
12,0
Puglia 25
2
10
39,5
Basilicata 13
1 4 3,1
Calabria 40
1
5
13,4
Sicilia 39
4
17
45,1
Sardegna 37
3
26
71,1
Totale 8.09
36
1.85
22,9
Fonte elaborazione IFEL su Dati ANCI 2012 e ISTAT 2011.
La distribuzione territoriale si contestualizza seguendo due gruppi di regioni
omogenei che schierano da un lato le 8 Regioni aventi un numero inferiore di 10
unioni e dall'altra quelle con un numero superiore a 20 Unioni. All'interno di
questo schema occorre segnalare che nel secondo caso, le sole regioni della
Lombardia e del Piemonte aventi rispettivamente 53 e 50 Unioni, rappresentanti
un terzo delle complessive esperienze. In particolar modo al Nord si concentra la
più elevata partecipazione con 159 Unioni, con un'adesione di 728 Comuni, pur
riscontrando in termini relativi, una più elevata concentrazione nelle Isole,
vedendo in queste una partecipazione complessiva di 376 Comuni sul totale di
736 Comuni. La composizione media delle Unioni passa da un numero di 5
Comuni aderenti allo stesso modello associativo, anche se il campo di variazione
vede modelli aggregativi composti da un minimo di 2 Comuni ad un massimo di
20 Comuni così come accade nell’Unione Alta Marmilla in Sardegna. Pur non
riscontrando una dimensione ottimale, oltre a quelle semplicemente individuate
dalla legge per il superamento di determinate quote demografiche, in termini
generali si evidenzia una robusta percentuale per quelle forme associative
composta da pochi Comuni. Nel quadro descrittivo generale, in media, in ogni
Unione risiede una popolazione complessiva di 18.398 abitanti, pur rilevando
anche qui un range di variabilità piuttosto ampio, che va dalle 120.638 abitanti
riguardanti l'Unione di Valdera in Toscana, ai 785 abitanti dell'Unione di
Valvarrone. 68 La seguente tabella riporta il numero di Comuni aderenti alla
forma associativa dell’Unione confrontando come in linea generale sia
maggiormente indirizzata a coinvolgere un numero di enti maggiore rispetto ad
una semplice collaborazione tra contermini e al contempo raro, manifestare
Unioni troppo vaste come quella che supera l’unificazione di più di 10 Comuni.
68 IFEL, ANCI, Cittalia. Atlante dei Piccoli Comuni 2012. Parte terza – Unione di Comuni.
Di seguito invece si riporta l’individuazione di modelli strutturali ricadenti sul tipo
di Unioni caratterizzate secondo diversi criteri come il numero dei Comuni
aderenti, l’ estensione territoriale, la tipologia di Comuni partecipanti ad una
Unione e la dimensione demografica. Difatti ad oggi si riconoscono 5 diversi
modelli così come elencati dalla seguente tabella:
Il più numeroso è quello composto da soli piccoli Comuni, con 150 Unioni, circa il
40,9 %, con particolare diffusione in Piemonte, Lombardia e Lazio. All’estremo
opposto invece, le Unioni costituite da comuni la cui popolazione residente è
superiore a 5.000 unità. È questo il gruppo meno numeroso, composto solo da 22
unioni, particolarmente diffuso in Emilia - Romagna, Puglia e Campania. In alcuni
casi questo modello raggiunge dimensioni demografiche significative: in 5 casi la
popolazione residente nelle Unioni di questa tipologia superano le 90mila unità.
Si tratta delle Unioni Nord est Torino (119.952 abitanti), Valesio (116.094 abitanti)
in Puglia, Terre d’Argine (104.436 abitanti) in Emilia - Romagna, dei Comuni
federazione del Camposampierese (98.603 abitanti) in Veneto e Unione Unica
(94.747 abitanti) in Abruzzo. Il terzo modello è quello definito degli arcipelaghi,
vale a dire, il secondo gruppo più numeroso costituito da 81 esperienze alle
quali aderiscono diversi comuni piccoli e meno piccoli, per la gestione associata
di funzioni, sulla base di esigenze specifiche del territorio di riferimento.
Vi è poi la tipologia di Unioni, denominata “le coppie” che aggrega solo due
comuni, entrambi di piccole dimensioni demografiche, oppure entrambi con
popolazione residente superiore alle 5.000 unità. In altri casi invece si uniscono
un comune piccolo e un comune grande, per un complessivo numero di
esperienze pari a 61 Unioni di Comuni. Infine ritroviamo quella categoria di
unioni, meglio conosciute come Satellitari, ossia quelle costituite da uno o due
centri di dimensioni superiori ai 5000 abitanti che aggregano a sé un certo
numero di Piccoli Comuni. 69
4.4 - Le funzioni amministrative coinvolte nel fenomeno dell’associazionismo
La vocazione delle unioni di comuni ha avuto in tutte le sue esperienze una forma
associativa a vocazione polifunzionale, non soltanto per quanto affermato da
parte della legge, sul conferimenti di tutte le funzioni, ma anche per le modalità
di conferimento delle medesime funzioni da parte dei Comuni che,
prevalentemente, avviene mediante il metodo del cd. Trasferimento-attribuzione.
Tale modalità di trasferimento si effettua mediante l’inserimento all’interno degli
Statuti della formula: a seguito del trasferimento delle competenze, l’unione
diviene titolare di tutte le funzioni amministrative occorrenti alla loro gestione.
Emerge in questo modo una visione estremamente alta della dimensione
associativa, che va ben aldilà di quello che dovrebbe essere un mero rapporto di
delega tra enti originari e forma associativa. Il conferimento di funzioni può
realizzarsi generalmente in due fasi differenti, in cui vi possono essere funzioni
originarie, in quanto riferite dallo stesso Statuto, e funzioni ulteriori, trasferite in
momenti successivi a quanto costituito dallo statuto, generalmente in
corrispondenza dell’approvazione di bilanci. Generalmente gli statuti coinvolgono
quei servizi la cui fattibilità viene disposta tenendo conto di tutti gli elementi di
natura tecnica ed economica, mediante l’apertura di una conferenza di servizi
che chiama in causa tutti gli attori coinvolti a decidere. Per quanto concerne le
funzioni gestite in forma associata, in riferimento alle Unioni di Comuni, si va da
69 Ibidem
un minimo di una sola funzione conferita, ad un massimo di 29 funzioni associate
nella gestione. Tra queste solo la Polizia Municipale interessa la maggioranza
delle unioni, mentre per tutte le altre non viene mai superato il 50% dei casi. Più
del 60% delle unioni gestiscono un numero di servizi superiore alle sei; le cinque
eccellenze, in cui la gestione associata riguarda più di venti servizi, si trovano
tutte al settentrione.
In dettaglio, il 19,1% gestisce fino a 3 funzioni; il 20,6% da 4 a 5; il 32,4% da 6 a
10; il 20,6% da 11 a 20; il 7,4% oltre 20 funzioni. I servizi che, gestiti in forma
associata, permettono di realizzare i risparmi maggiori riguardano la sfera dei
lavori pubblici, delle manutenzioni, dei servizi di mensa scolastica e delle gestione
di gare e appalti. Scarsa diffusione trovano invece la gestione associata dei servizi
di Segretariato generale e affari generali, nonché di gestione dei tributi. In
generale, l’effetto maggiormente percepito dalla cittadinanza in seguito alla
predisposizione della gestione associata è rappresentato dall’aumento della
qualità dei servizi erogati, soprattutto in riferimento a quelli che,
presumibilmente, in assenza di gestione associata non potrebbero essere affatto
svolti, quali l’URP (Ufficio per le Relazioni con il Pubblico); il turismo e lo sportello
unico per le imprese. Quanto alle funzioni esercitate da parte delle altre forme
associative, per quanto concerne le comunità montane troviamo, anzitutto,
funzioni in materia di pianificazione dello sviluppo economico e sociale e
pianificazione urbanistica, nonché funzioni concernenti gli ambiti agro–silvo–
pastorali. È possibile altresì che esse si occupino di funzioni in materia di
trasporto pubblico locale, di servizio di polizia locale, di supporto alle attività
produttive, di aree regionali protette, di sviluppo dello sport e di espropri. I
consorzi sono invece le tipiche forme di collaborazione istituite al fine di gestire
in modo associato i principali servizi pubblici locali quali quelli concernenti il
trasporto pubblico locale, i servizi idrici e la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti.
Gli accordi di programma sono invece istituite per la collaborazione tra due o più
livelli di governo relativamente alla realizzazione di opere pubbliche, in
particolare di tipo infrastrutturale.
Le funzioni conferite alle unioni di comuni, incidenza sul totale, 2010.
4.5 – I Rapporti finanziari tra i Comuni associati
Le modalità di reperimento delle risorse necessarie all’esercizio delle funzioni e
dei servizi pubblici demandati all’unione riveste un profilo centrale nella
configurazione dei tratti essenziali dell’ente associativo, così rilevante da essere
definiti sia all’interno dello Statuto dell’unione, sia rimesse a successive
deliberazioni consiliari dei comuni o a convenzioni tra gli stessi, sia ad interventi
successivi operati da parte degli organi dell’unione. In generale, tuttavia,
pressoché tutti gli Statuti delle unioni contengono una dichiarazione di principio
in base alla quale l’unione ha autonomia finanziaria nell’ambito delle leggi sulla
finanza pubblica locale, fondata sulla certezza delle risorse proprie o trasferite.
Tra le principali fonti di finanziamento, gli introiti derivanti dalle tasse, dalle
tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati, così come stabilito dall’art. 32
del T.U.E.L., i contributi statali, regionali e provinciali destinati alle forme
associative, trasferimenti comunali proporzionali all’entità della popolazione
residente in ciascun Comune, trasferimenti comunali proporzionali al territorio,
trasferimenti comunali calcolati sulla base di criteri correlati alla specificità dei
servizi, (tipologia e fruizione) conferiti. I criteri sono talvolta stabiliti dal Consiglio,
e talvolta previsti già nelle convenzioni o deliberazioni con cui ciascun comune
conferisce funzioni/servizi all’unione, trasferimenti comunali calcolati sulla base
di altri criteri: infrastrutture, patrimonio abitativo, risorse per investimenti.
In particolare la media della spesa corrente supera di circa cinque volte quella in
conto capitale, attestandosi, in un quarto dei casi, a circa 2 milioni di euro,
mentre, per il 40% dei casi, non superando i 500 mila euro dal momento che il
70% di queste unioni gestisce in forma associata fino a un massimo di tre
funzioni. Le unioni di comuni, assieme alle comunità montane e alle altre forme
associative aventi carattere strutturato dispongono altresì di risorse derivanti
dalla ripartizione del Fondo di finanziamento per le gestioni associate che,
peraltro, come già ricordato nei paragrafi precedenti, è stato oggetto di
significative riduzioni nel corso degli ultimi anni. L’indagine mostra, infatti, che
nel 2009 rispetto al 2008, è avvenuta una riduzione significativa del
finanziamento per un ammontare che, in un terzo dei casi, è stato superiore al 50
per cento delle risorse, a fronte, invece, di un aumento delle forme di
finanziamento regionale. Tali riduzioni hanno colpito in modo particolare proprio
le comunità montane, la cui operatività è maggiormente legata alla finanza
trasferita rispetto alle unioni di comuni.
CAPITOLO 5 – CASE STUDY: UNIONE DELLA BASSA ROMAGNA
5.1 - Perché l’Unione della Bassa Romagna?
Dopo un’attenta analisi al profilo giuridico descrittivo ed operativo della forma
associativa in analisi, si procede con la valutazione dell’Unione di Comuni della
Bassa Romagna, che in materia di gestione associata è stata definita come una
delle best practices nel 2007. In particolare la Regione Piemonte, promotrice di
questo progetto di <<analisi e valutazione delle pratiche in materia di
associazionismo>>, ha rilevato l’esemplare amministrazione dell’Unione della
Bassa Romagna in riferimento ai modelli organizzativi per le gestioni associate,
tra le poche eccellenze per l’esercizio di particolari funzioni a carattere
estremamente avanzato nell’ambito dell’innovazione tecnologica, per l’efficienza
interna all’organizzazione intercomunale ed esterna al territorio e nei riguardi
delle comunità interessate. Tra le best practices si riguarda in particolar modo
allo sviluppo e la predisposizione di sistemi informativi, l’implementazione del
protocollo informatico e di altri strumenti tecnologici trasversali, la strutturazione
e gestione degli uffici di piano per la predisposizione del piano strutturale
comunale associato e di altri strumenti di pianificazione urbanistica, lo
svolgimento di marketing territoriale e di servizi innovativi per le imprese.
Esperienze di grande rilievo riguardano invece al di polizia municipale e la
gestione del personale, con quest’ultimo in particolare pianificata secondo
struttura organizzativa capace di affrontare la sempre maggiore complessità
dell’amministrazione e della gestione del personale dipendente, attraverso il
risparmio, il raggiungimento di economie di scala e la concentrazione in un unico
punto la produzione di servizi prima dispersi tra tutti i comuni, arrivando difatti
5.1 – Perché l’Unione della Bassa Romagna? -5.2 – Profilo storico e descrittivo dei Comuni appartenenti all’Unione della Bassa - 5.3 – L’associazionismo nella Bassa Romagna - 5.4 – La pianificazione nell’Unione dei Comuni della Bassa Romagna.
ad istituire servizi aggiuntivi per alcuni comuni mai sopravvenuti, maggiormente
efficienti per chi invece ne vedeva già destinato l’espletamento dello stesso ed
altri servizi fino a quel momento esclusivi per il territorio stesso.
5.2 - Profilo storico e descrittivo dei Comuni appartenenti all’Unione della Bassa
Il territorio della Bassa Romagna non è definito da reali confini geografici pur
essendo situata nel cuore della Provincia di Ravenna. Essa è composta dai
territori dei Comuni di Alfonsine, Bagnacavallo, Bagnara di Romagna, Conselice,
Cotignola, Fusignano, Lugo, Massa Lombarda e Sant'Agata sul Santerno
estendendosi su 480 km quadrati per una popolazione complessiva che supera i
100mila abitanti. Il Comune capofila risiede in Lugo che oltre ad avere
l’estensione territoriale e demografica più elevata rispetto a tutti gli altri comuni
aderenti, rispettivamente per 116,93 Kmq e 32.891 abitanti, unico ente
contermine a tutti i territori appartenenti all’Unione. A seguire il Comune di
Alfonsine, con una estensione territoriale di 106,74 Kmq e una popolazione di
12433 abitanti, il Comune di Bagnacavallo, con una estensione di 79,52 Kmq e
una popolazione complessiva di 16.850 abitanti, il Comune di Conselice, la cui
estensione è di 60,27 Kmq avente popolazione pari a 10.105 abitanti, il Comune
di Massa Lombarda con una estensione complessiva di 37,02 Kmq e una
estensione di 10.776 abitanti, il Comune di Fusignano avente una popolazione
complessiva di 8.408 abitanti ed una estensione territoriale di 24,6 Kmq, il
Comune di Cotignola, con popolazione pari a 7.426 abitanti e 34,96 Kmq, il
Comune di Bagnara di Cavallo, la cui estensione risulta essere di 10,02 Kmq e una
popolazione totale di 2.397 abitanti, fino ad arrivare al Comune di S. Agata sul
Santerno, avente la più bassa estensione territoriale, pari a 9,49 Kmq e la più
piccola delle comunità dell’Unione della Bassa Romagna, pari a 2.861 abitanti.
Per la sua collocazione logistica e per la dotazione infrastrutturale che lo
caratterizza, è la naturale cerniera tra l'area ravennate, imolese e ferrarese, tra il
porto di Ravenna e la direttrice dell'E55.
COMUNI POPOLAZIONE al 31/12/2011 ESTENSIONE KMQ
ALFONSINE 12433 106,74
BAGNACAVALLO 16850 79,52
BAGNARA di ROMAGNA 2397 10,02
CONSELICE 10015 60,27
COTIGNOLA 7426 34,96
FUSIGNANO 8408 24,6
LUGO 32891 116,93
MASSA LOMBARDA 10776 37,02
S.AGATA sul SANTERNO 2861 9,49
Totale 104057 479,55 Fonte dati Istat – I COMUNI APPARTENENTI ALL’UNIONE DELLA BASSA ROMAGNA PER POPOLAZIONE
ED ESTENSIONE TERRITORIALE AL 31/12/2011
Diversi i punti di forza di quest’area particolarmente interessata all'industria
manifatturiera, alle potenzialità della filiera agroalimentare ed infine alla
particolare vocazione commerciale storicamente radicata nei centri storici e sui
mercati. Non da escludere la competitività del sistema logistico dell’area
interessata, collocata in una posizione baricentrica rispetto alle grandi arterie di
comunicazione. Le tracce dei primi insediamenti umani, nell'area oggi nota come
Bassa Romagna, risalgono al neolitico e all'età del bronzo , come indicano i resti
di un villaggio databile al V millennio a.C. scoperti nel lughese e i reperti
riconducibili alla tarda età del Bronzo rinvenuti a Bagnacavallo. Numerosi sono gli
indizi che indicano un'ininterrotta presenza stanziale dell'uomo su questo
territorio durante tutte le principali epoche, ma soprattutto si trovano
collegamenti a quella della colonizzazione romana, per giungere alle vestigia
risalenti all'alto Medioevo .
Significativamente accesi sono stati gli avvicendamenti di potere durante l'epoca
delle signorie , in cui si sono succedute le dominazioni dei Visconti, degli Sforza e
degli Este , che per la gran parte dominarono la Bassa Romagna tra il XIV e XVI
secolo, chiamandola "Romagna degli Estensi", "Romandiola" o "Romagnola".70
Sotto questo governo sicuro ed efficiente furono adottati regolamenti e statuti, si
70 http://www.labassaromagna.it/Il-territorio/La-Terra-del-Benvivere/Storia
fondarono scuole pubbliche e fu dato impulso alla vita culturale, si promossero
opere di bonifica e si indussero nuove coltivazioni. L'eredità più evidente di
questa parentesi storica è certamente rappresentata dalle maestose mura, dai
solenni archi e dalle imponenti rocche edificate per volere degli Este, opere che
tuttora caratterizzano i centri storici dei Comuni. Giungendo a tempi più recenti,
è da ricordare come la Bassa Romagna abbia avuto un ruolo di primo piano
legato all'attività del Fronte di Liberazione Nazionale, durante la Seconda Guerra
mondiale, ancora oggi testimoniato dai numerosi musei, monumenti e cippi che
si possono incontrare in tutti i Comuni dell'Unione. Anche la tradizione di
coesione della Bassa Romagna ha una sua storia: il primo atto relativo ad una
forma di cooperazione risale infatti al 1860 . Il 23 gennaio di quell'anno,
l'intendente del Circondario di luogo, in relazione alla legge che prefiggeva la
nuova costituzione territoriale delle regie Province dell'Emilia, diede notizia che:
"dal 19/01 è costituito Circondario di Lugo comprensivo di Bagnacavallo,
Cotignola, Conselice, Fusignano, Massa Lombarda e Santagata". Tale
Comprensorio fu dunque aggregato alla Provincia di Ravenna, accompagnando
l'atto con una dichiarazione attestante che "una tale disposizione verrà accolta
con lieto animo [...] e tornerà a sicuro profitto di queste popolazioni". Non
sorprende dunque che l'Unione dei Comuni della Bassa Romagna sia oggi la più
grande in Emilia-Romagna e tra le maggiori in tutto il Paese .71
5.3 – L’Associazionismo nella Bassa Romagna
5.3.1 - Dall’Associazione intercomunale all’Unione della Bassa Romagna
Il territorio della Bassa Romagna è caratterizzato da una tradizione ormai lunga e
consolidata di cooperazione e di lavoro associato, che ha portato alla costituzione
dal 1° gennaio 2000 dell'Associazione Intercomunale della Bassa Romagna.
Seppur tardiva rispetto all’evoluzione normativa attestata nel Testo Unico degli
71 Ibidem
Enti Locali, l’Unione “Bassa-Romagna” nasce successivamente all’Associazione
Inter-Comunale, che all’origine vantava la partecipazione di dieci comuni
aderenti che ha poi visto l’esclusione volontaria del Comune di Russi. Questo
passaggio è avvenuto a causa di due diversi input significativi, che hanno spinto
in Comuni già cooperanti a scegliere l’Unione come modello di concertazione. Da
una parte la diversa strutturazione dell’Associazione Inter-Comunale, che non
vedeva semplificati i processi decisionali, soprattutto negli ambiti politici e
tecnici. L’Unione infatti, a differenza dell’Associazione è dotata di personalità
giuridica, di organi politici e di risorse proprie, così come il conferimento delle
funzioni innesca una titolarità che nell’AIC continuava a presidiare in capo ai
singoli enti. Avendo l’Unione organi propri, rispetto alle AIC, che demandava le
decisioni ai Consigli comunali di tutti i Comuni che ne facevano parte, si è
preferito difatti snellire l’organizzazione dei servizi gestiti ed erogati da questo e
alleggerire l’iter decisionale, molto spesso a rischio dalla mancanza di
approvazione nei singoli Consigli Comunali. Il secondo aspetto senz’altro
equiparato nelle motivazioni per cui la “Bassa-Romagna” è diventata una Unione
di Comuni. è stata la L. R. n. 10/2008, recante “Misure per il riordino territoriale,
l'autoriforma dell'amministrazione e la razionalizzazione delle funzioni”. I
maggiori incentivi per i nuovi Enti e l’autonomia finanziaria e organizzativa
assente nell’AIC, hanno così portato ad una scelta ragionata sulla gestione
associata.72
5.3.2 - Lo Statuto dell’Unione della Bassa Romagna
5.3.2.1 - I principi fondamentali
Lo Statuto dell’Unione è stato pubblicato sul B.U.R. n. 182 del 17/12/2007 e
modificato con delibera di Consiglio dell’Unione n. 30 il 02/09/2009, apportando
modifiche agli artt. 18 e 23. Tra le finalità e compiti dell’Unione , si dispone la
costituzione della forma associativa per lo svolgimento di una pluralità di funzioni
72 G. Baldini. Le sfide dell’intercomunalità in Emilia Romagna. Bologna. 2009
e servizi dei Comuni aderenti, promuovendo l’integrazione dell'azione
amministrativa fra i Comuni che la costituiscono, da realizzarsi mediante la
progressiva unificazione delle funzioni e servizi comunali e l’armonizzazione degli
atti normativi comunali (Statuto e Regolamenti. L'azione amministrativa
dell’Unione tende al costante miglioramento dei servizi offerti e dall’allargamento
della loro fruibilità, alla rapidità e semplificazione degli interventi di sua
competenza, alla razionalizzazione dei costi, ferma restando la salvaguardia delle
identità municipali e di un’adeguata gestione dei rapporti con i cittadini. 73
5.3.2.2 - Le funzioni associate
I Comuni aderenti possono conferire all’Unione l’esercizio di ogni funzione
amministrativa propria o ad essi delegata, nonché la gestione, diretta o indiretta,
di servizi pubblici locali e attività istituzionali in genere. L’elenco delle funzioni
e/o servizi conferiti all’Unione al momento della sua costituzione:
- Servizio Organi Istituzionali, Governance e Comunicazione in grado di
supportare i processi decisionali e garantire la circolazione dei flussi di
comunicazione interna ed esterna all'ente.
- Servizio controllo di gestione attraverso il monitoraggio dei livelli di
efficienza ed efficacia dei servizi dell'ente e dei comuni. Gestisce, con la
direzione generale, il sistema operativo del controllo di gestione.
- Servizio segreteria generale.
- Servizio protocollo e archivio.
- Servizio appalti e contratti, gestito centralmente per l’espletamento delle
pratiche di bandi di gara, appalti e contratti, garantendo l'applicazione di
criteri chiari e omogenei funzionali alla semplificazione alla trasparenza
dell'attività dell'ente.
- Servizio informatica, il quale si occupa dell'intera gestione delle funzioni
relative all'informatizzazione dei servizi dell'Unione e di tutti i comuni
aderenti, compresi il sistema informativo territoriale (SIT) e gli altri sistemi
73 Commi 2 e 4, art. 2, Statuto dell’Unione di Comuni della Bassa Romagna - B.U.R. n. 182 del 17/12/2007
operativi.
- Settore organizzazione e risorse umane: questo settore, appartenente
all'area servizi generali è articolato in tre servizi: 1) Servizio
Amministrazione del Personale, 2) Servizio Sviluppo del Personale, 3)
Servizio Disciplinare e Contenzioso del Lavoro; gestisce l'intera filiera delle
funzioni riguardanti il personale dell'Unione (358 dipendenti) e dei
comuni (312 dipendenti). In particolare: il servizio amministrazione del
personale; il servizio sviluppo del personale, infine il servizio contenzioso
del lavoro si occupa dei vari aspetti inerenti la risoluzione della
conflittualità e la prevenzione delle patologie del rapporto di lavoro.
- Servizio statistico e demografico che cura il coordinamento delle funzioni
inerenti, i servizi statistici e demografici dei comuni dell'Unione, in
particolare si occupa delle attività inerenti i censimenti (imprese,
agricoltura, popolazione), tiene i rapporti con il SISTAN (Sistema Statistico
Nazionale) e promuove l'uniformità delle procedure tra i vari uffici
comunali.
- Settore entrate Comunali, inserito all'interno dell'Area dei servizi
finanziari, gestisce, per tutti i Comuni dell'Unione, le diverse fasi dei
procedimenti connessi alla riscossione dei Tributi, all'attività di recupero
fiscale e alle altre entrate ed è articolata per tre funzioni attinenti:
all'Imposta Comunale sugli Immobili; alla tassa o canone per
l'occupazione di spazi ed aree pubbliche e all'imposta o canone sulla
pubblicità e alle affissioni; alle entrate extra tributarie (rette servizi
educativi e scolastici, per anziani, assistenziali, luci votive dei
cimiteri,ecc.).
- Settore ragioneria: si occupa della gestione coordinata dei bilanci e della
programmazione unitaria inerente i servizi finanziari dei comuni e
dell'Unione e svolge le funzioni relative agli acquisti e all'economato.
- Settore programmazione economica: si occupa dell'attuazione delle
politiche inerenti la crescita e lo sviluppo del territorio, attraverso gli
strumenti di programmazione economica di supporto ai Comuni aderenti,
assicura l'armonizzazione degli atti normativi; adotta azioni di marketing
territoriale; coordina i servizi alle imprese, con riferimento anche alla
gestione organica e unitaria dello Sportello unico, è articolato su due
servizi specifici: sportello unico per le attività produttive (SUAP) e servizio
promozione turistica.
- Settore programmazione territoriale.
- Settore servizi sociali e socio-sanitari, che si articola nei seguenti servizi:
Servizio di Piano per l'integrazione Socio-Sanitaria, Servizio Anziani e
Disabili, Servizio Famiglia e Minori, Servizio Vulnerabilità Sociale e
Inclusione, Servizio Sociale Professionale.
- Servizio casa e politiche abitative, è inserito nell'Area Organizzativa
Welfare e si occupa della gestione delle funzioni che riguardano l'Edilizia
Residenziale Pubblica, in particolare segue le attività concernenti la
redazione dei Bandi e la formulazione delle graduatorie per l'accesso agli
appartamenti ERP, oltre che all'assegnazione degli alloggi con stipula dei
contratti.
- Centro per le famiglie: è un servizio rivolto alle famiglie con figli minori
residenti nell'Unione dei Comuni della Bassa Romagna ed è inserito nella
rete dei Centri Per le Famiglie della Regione Emilia Romagna, è uno spazio
di informazione, sostegno, incontro e aiuto per e tra le famiglie e offre:
accoglienza, ascolto delle famiglie, condivisione delle problematicità e
valorizzazione delle competenze; informazioni sui servizi del territorio;
interventi di sostegno alla genitorialità, alla maternità, al nucleo familiare;
consulenze psico-pedagogiche per genitori; mediazione familiare
destinata a coppie separate o in via di separazione, con figli minori;
sensibilizzazione sui temi dell'affido e dell'adozione; sviluppo delle risorse
familiari e comunitarie, in collaborazione con le associazioni e servizi del
territorio.
- Servizio cultura e politiche giovanili: si occupa del coordinamento "luoghi
della cultura" (musei, biblioteche, archivi) e di attività e iniziative di
promozione della cultura come strumento di crescita, per creare
un'identità comune della Bassa Romagna, valorizzando le risorse e i
patrimoni locali; si occupa inoltre del coordinamento di progetti inerenti
le politiche giovanili dei 9 comuni dell'Unione, tra cui Radio Sonora, la
community web radio dei giovani dell'Unione dei Comuni della Bassa
Romagna.
- Servizi educativi: è uno dei principali settori in cui è articolata l’Area
Organizzativa Welfare, si occupa della gestione dei servizi comunali di
Asilo Nido, Scuola dell’Infanzia, trasporto scolastico, supporto all’handicap
in termini di fornitura ausili, di supporto al diritto allo studio, di mensa
scolastica, inoltre, tramite la gestione diretta dei coordinatori pedagogici,
progetta e realizza le attività di qualificazione dei servizi educativi per
l'infanzia, la formazione permanente degli operatori dei servizi per la
prima infanzia e definisce il calendario scolastico di area per i servizi
educativi dell'Unione.
- Corpo unico di polizia municipale: a questo servizio sono conferite oltre
alle funzioni relative alla polizia locale, la gestione delle seguenti attività:
sicurezza e presidio del territorio, intesa come sicurezza urbana sulle
strade e sul lavoro; polizia urbana e rurale; polizia stradale; polizia
giudiziaria; controlli in materia edilizia, ambiente e commercio; attività di
prevenzione e repressione delle violazioni a norme alla cui vigilanza sono
preposti gli Enti Locali; infine la gestione delle sanzioni amministrative.
- Servizio di protezione civile: coordina le attività dei referenti della
protezione civile nei comuni aderenti, gestendo tutte le azioni attinenti la
fase della prima emergenza.
Nel dettaglio i nuovi servizi attivati più di recente, riguardano all’attivazione del
SUAP in tutti i Comuni, l’estensione uniforme dei servizi di cura e domiciliarità a
tutti i Comuni dell'Unione, la stesura di un unico PSC (Piano Strutturale
Comunale) associato e di un RUE (Regolamento urbanistico ed edilizio) unico per
tutto il territorio con specifici regolamenti attuativi semplificati, l’uniformazione
dei Regolamenti delle attività economiche che riguardano varie liberalizzazioni di
servizi commerciali e il controllo di gestione e l'attività di consolidamento di
bilancio che rende possibile una lettura uniforme delle grandezze aggregate sulla
spesa corrente complessiva del sistema Unione e Comuni.74
5.3.2.3 - Organizzazione di governo
L’organizzazione di governo dell’Unione della Bassa Romagna è ispirato al
modello organizzativo degli enti locali di base, il cui riferimento è fatto agli organi
di governo, individuati all’art. 9, come il Consiglio, la Giunta e il Presidente. Gli
organi di indirizzo e di governo dell’Unione hanno durata corrispondente a quella
degli organi di governo dei Comuni partecipanti e sono quindi soggetto al rinnovo
all’inizio di ogni mandato amministrativo corrispondente a quello della
74 Report Unione – Unione Bassa Romagna - 2012
maggioranza dei Comuni aderenti, giustificando ove compatibili, l’applicazione
agli organi dell’Unione e ai loro componenti, le norme di funzionamento, di
proroga della durata in carica, di distribuzione delle competenze e di stato
giuridico, economico e di incompatibilità, stabilite nel Testo Unico per gli enti
locali. La composizione del consiglio vede un numero complessivo di 22
componenti di maggioranza e 9 di minoranza, rispettando lo schema della
ripartizione dei consigli comunali:
COMUNE N. componenti di
maggioranza
N. componenti di
minoranza ALFONSINE 3 1
BAGNACAVALLO 3 1
BAGNARA di Romagna 2 1
CONSELICE 2 1
COTIGNOLA 2 1
FUSIGNANO 2 1
LUGO 4 1
MASSA LOMBARDA 2 1
S.AGATA sul Santerno 2 1
TOTALI 22 9
Il Consiglio è l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo
dell’Unione che esercita le proprie competenze per assicurare l’azione
complessiva dell’Ente affinché consegua gli obiettivi stabiliti negli atti
fondamentali e nei documenti programmatici. Il Consiglio adotta gli atti attribuiti
dalla legge alla competenza del Consiglio comunale, in quanto compatibili con il
presente Statuto disciplinando i rapporti tra la competenza del Consiglio
dell’Unione e la competenza dei singoli Consigli nelle materie conferite. Il
Consiglio è validamente riunito alla presenza della maggioranza dei componenti e
adotta validamente le proprie deliberazioni con il voto favorevole della metà più
uno dei votanti fatte salve le maggioranze qualificate stabilite dalla normativa,
dal presente Statuto e dal Regolamento di funzionamento. Il Consiglio non può
delegare le proprie funzioni ad altri organi dell’Unione. All’art. 17 invece, si
dispongono le norme relative all’elezione del Presidente dell’Unione, disponendo
che la prima seduta del Consiglio dell'Unione viene convocata dal Sindaco del
Comune sede dell’Unione entro quindici giorni dall'insediamento del Consiglio
dell'Unione dichiarato dal Sindaco medesimo, a seguito della elezione dei
consiglieri da parte dei Consigli Comunali. Nella stessa seduta il Consiglio elegge a
maggioranza assoluta il Presidente dell'Unione, preferendo la candidatura di
quello in età anagrafica più giovane in caso di parità dei voti espressa dal
Consiglio. Tra le funzioni e le competenze, l’art. 18, introduce la figura del
Presidente come organo responsabile dell’amministrazione dell’Unione di
Comuni, esercitando le funzioni a lui attribuite dalle leggi, dallo Statuto e dai
Regolamenti. Oltre a rappresentare l’Unione, infatti al Presidente spetta il
presidio della Giunta, sovrintende al funzionamento degli uffici e all’esecuzione
degli atti e dei compiti ad altri attribuiti, oltre che all’espletamento delle funzioni
e dei compiti attribuiti all’Unioni, provvede alla nomina, designazione e revoca
dei rappresentanti dell’Unione presso organismi pubblici e privati, sulla base degli
indirizzi stabiliti dal consiglio, provvede alla eventuale nomina e alla revoca del
direttore generale, del segretario dell’Unione e può anche attribuire specifiche
deleghe a singoli componenti della Giunta o incarichi per oggetti determinati a
singoli componenti del Consiglio.
A suo supporto l’ufficio di Presidenza quale organismo di supporto al Presidente
dell’Unione, sulle principali problematiche relative alle funzioni ed ai servizi
conferiti o da conferire all’Unione. In particolare tale organismo concorre ad
elaborare i necessari indirizzi al fine di realizzare il raccordo fra l’attività della
Giunta dell’Unione e delle Giunte dei comuni aderenti.
All’art. 22 viene richiamato anche il ruolo della Giunta, composta dal Presidente,
dal Vice Presidente, dai restanti sindaci membri dell’Unione e da altri soggetti
membri delle Giunte dei singoli Enti. La Giunta chiamata a collaborare con il
Presidente nell’amministrazione dell’Unione, il quale affida ai singoli componenti
il compito di sovrintendere ad un particolare settore di amministrazione o a
specifici progetti. La Giunta adotta collegialmente gli atti a rilevanza esterna che
non siano dalla legge o dal presente Statuto direttamente attribuiti alla
competenza del Consiglio, del Presidente e di altri organi ovvero al direttore, al
segretario ed ai dipendenti ai quali siano state attribuite le funzioni di direzione di
aree, servizi o uffici. Le singole convenzioni disciplinano in maniera compiuta ed
esaustiva i rapporti tra la competenza della Giunta dell’Unione e la competenza
delle singole Giunte comunali nelle materie conferite.
5.3.2.4 - Organizzazione amministrativa
Al Titolo IV dello Statuto dell’Unione della Bassa Romagna, vengono invece
esposte le disposizioni sull’organizzazione amministrativa della forma associativa
a cominciare dai principi generali enunciati all’art. 28. L’assetto organizzativo è
improntato a criteri di autonomia operativa ed economicità di gestione, nel
rispetto dei principi di professionalità e di responsabilità per il perseguimento
degli obiettivi programmatici stabiliti dagli organi di governo. Gli organi
dell’Unione individuano gli obiettivi prioritari dell’ente e ne definiscono i processi
di controllo in grado di misurare il livello di conseguimento. L’azione
amministrativa tende al costante avanzamento dei risultati riferiti alla qualità dei
servizi e delle prestazioni, alla rapidità ed alla semplificazione degli interventi, al
contenimento dei costi, all’estensione dell’ambito di fruizione delle utilità sociali
prodotte a favore della popolazione dell’Unione. Ai principi evidenziati sussegue
invece la definizione dell’organizzazione degli uffici, rimandato ad un
regolamento per l’ordinamento di esso che definisca le regole o caratteristiche
del sistema di decisione e direzione dell’ente, specificando le finalità e le
caratteristiche essenziali dei ruoli di direzione e determinando le responsabilità
attribuite ai responsabili di servizio. Tra le figure professionali riconosciute
nell’ambito dell’Unione, lo Statuto evidenzia in generale il personale esponendo
la sua dotazione organica e la possibilità di avvalersi dell’opera del personale
dipendente assunto, trasferito o comandato dai Comuni che ne fanno parte con le
modalità stabilite dal Regolamento per l’ordinamento degli uffici e dei servizi e di
quella del personale esterno, o di collaborazioni, con le forme e nei limiti stabiliti
stabilite dalle vigenti normative. Il Direttore Generale, la cui nomina, revoca e
durata di incarico è disciplinata dal regolamento, ha invece il compito per
l’esercizio delle funzioni di raccordo tra gli organi politici e la struttura tecnica e
sovrintende le figure dirigenziali e direzionali dei servizi che allo stesso
rispondono, nell'esercizio delle loro funzioni. Può essere istituito il Comitato di
direzione composto dai referenti tecnici indicati da tutti i Comuni aderenti
all'Associazione. Il Comitato di direzione collabora, a supporto del Direttore
Generale e/o Segretario dell’Unione, se nominati, nell’attuazione degli indirizzi e
degli obiettivi stabiliti, può elaborare proposte di fattibilità per la gestione
associata delle funzioni e dei servizi, verifica l'andamento della gestione
associata, svolge attività di impulso. Il Direttore dell’Unione presiede i lavori del
Comitato e ne coordina il funzionamento. Il Segretario, nominato dal Presidente a
inizio della legislatura per la durata della medesima, è chiamato svolgere un ruolo
utile alla collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei
confronti degli organi dell’Ente in ordine alla conformità dell’azione
amministrativa alle leggi, allo Statuto ed ai Regolamenti, sovrintendendo allo
svolgimento delle funzioni dei Dirigenti e coordinando l’attività dei rapporti e
delle competenze nel caso in cui il Presidente nomini un Direttore. Tra i compiti a
lui spettanti, ricade anche la partecipazione alle funzioni consultive, referenti e di
assistenza alle riunioni del Consiglio e della Giunta, curandone verbalizzazione e
avvalendosi di necessari supporti tecnici ed ausili. Può inoltre stipulare contratti
di parte dell’Ente finanche autenticare scritture private ed atti unilaterali
nell’interesse dell’Ente. Il Segretario, durante il periodo dell'incarico, può essere
revocato per grave inadempimento, nelle forme stabilite dal Regolamento
dell'ordinamento degli uffici e dei servizi.
5.4 - La pianificazione nell’Unione dei Comuni della Bassa Romagna
Il Piano Strutturale Comunale è il primo strumento urbanistico associato di
riferimento per i Comuni aderenti all’Unione della Bassa Romagna. Ad aggregarsi
c’è anche il Comune di Russi, precedentemente riunito nell’Associazione
Intercomunale ma non nell’Unione, che ha comunque scelto il percorso
condiviso per delineare le scelte strategiche di assetto e sviluppo del proprio
territorio, tutelando l’integrità fisica ed ambientale e l’identità culturale dello
stesso insieme agli altri Comuni limitrofi. La consapevolezza maturata
nell’omogeneità territoriale dei diversi elementi, sottesa ai caratteri distintivi e
identitari di ciascun comune, e dall’individuazione di importanti temi di interesse
comune, hanno senz’altro spinto i 10 Comuni a fronteggiare l’elevata
frammentazione degli strumenti, spesso incoerenti nelle zone di cerniera, in
riguardo alle destinazioni d’uso, ma soprattutto mai omogenei nella scelta di
avviare politiche coordinate tra i diversi territori.75 Proprio per questo da quanto
emerso nei diversi elaborati precedentemente esposti, si è intervenuti tenendo
conto di tutte le tematiche di riferimento quali infrastrutture per la mobilità,
coordinamento per le aree dedite alle attività produttive, politiche di tutela
dell’ambiente e in particolare del territorio rurale, valorizzazione unitaria delle
75 Documento Preliminare - PSC. Unione Bassa Romagna. 2007.
comuni risorse storiche e paesaggistiche, ammodernamento e omogeneizzazione
delle politiche e degli strumenti normativi per una crescita urbana equilibrata e
di qualità. Di seguito si riporteranno i dati di riferimento, gli indirizzi, gli obiettivi
e gli interventi previsti dal PSC in forma associata, sulla base di una ricognizione
conoscitiva delle elaborazioni di diversi documenti, tra cui il Documento
Preliminare, il Quadro Conoscitivo del territorio della Bassa Romagna e la
Relazione Illustrativa del Piano Strutturale Comunale. Il Piano Strutturale
Comunale, innovando concettualmente il PRG, come disciplinato dalla
precedente L.R. 47/78, si può definire uno strumento programmatico, non
conformativo dei diritti pubblici e privati, e non prescrittivo se non per quanto
riguarda i vincoli e le condizioni generali di sostenibilità a cui devono sottostare
le trasformazioni, strumento nel quale è diretto e immediato il riconoscimento e
la connotazione delle condizioni locali: geografiche, ambientali, fisiche,
paesaggistiche, infrastrutturali e socio-economiche.76 L’oggetto fondamentale
dello strumento si definisce come insieme delle attività volte al riconoscimento
delle risorse e delle condizioni territoriali, oltre che alla contestuale definizione
degli obiettivi da perseguire durante il periodo di vigenza del Piano sia esse
destinate alla conservazione, alla trasformazione o alla riqualificazione.
5.4.1 - LA L.R. n.20/2000
La L.R. 20/2000 introduce nella disciplina pianificazione urbanistica, dispositivi
innovativi che superano il concetto di tutela e uso del territorio attraverso il solo
strumento urbanistico, al quale si aggiungono procedure e strumenti di governo
del territorio complessi e concertativi, alla luce del nuovo art. 117 della
Costituzione. Investiti sia gli aspetti relativi alle finalità che agli indirizzi generali,
la Legge Regionale ha supportato come base dei singoli strumenti il concetto di
sviluppo sostenibile, sussidiarietà, cooperazione degli Enti territoriali nella
pianificazione del territorio e partecipazione dei cittadini e delle loro
organizzazioni. Lo schema di riferimento per la pianificazione comunale inoltre
76 Ibidem
viene semplificata ad un’articolazione suddivisa nella componente strutturale,
regolativa e operativa. Nel primo caso il PSC, che si definisce come strumento di
pianificazione urbanistica generale essere predisposto dal Comune, con riguardo
a tutto il proprio territorio, per delineare le scelte strategiche di assetto e
sviluppo e per tutelare l'integrità fisica ed ambientale e l'identità culturale dello
stesso. Un piano di indirizzi generali e di condizioni, che sceglie le linee principali
valutando la consistenza, la localizzazione e la vulnerabilità delle risorse naturali
ed antropiche presenti nel territorio e ne indica le soglie di criticità, definendo il
raggiungimento del fabbisogno insediativo, sia esso relativo alla riorganizzazione,
addensamento o riqualificazione, dei tessuti già esistenti sia quelli che richiedono
il consumo di nuovo territorio, non sussistendo alternative insediative
nell'ambito del territorio già urbanizzato, nel rispetto dei limiti stabiliti dal PTCP
ai sensi dell'articolo 26, comma 2, lettera e). Inoltre fissa i limiti e le condizioni di
sostenibilità degli interventi e delle trasformazioni pianificabili, individua le
infrastrutture e le attrezzature di maggiore rilevanza, per dimensione e funzione,
e definisce i criteri di massima per la loro localizzazione, classifica il territorio
comunale in urbanizzato, urbanizzabile e rurale, individua gli ambiti del territorio
comunale secondo quanto disposto dall'Allegato, stabilendone gli obiettivi
sociali, funzionali, ambientali e morfologici e i relativi requisiti prestazionali.
Nella componente regolativa invece il Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE) la
cui valenza prescrittiva, riguarda e regolamenta tutti gli interventi ordinari, non
programmabili e di limitato rilievo trasformativi, che attengono all’uso, alla
conservazione e sostituzione del patrimonio edilizio esistente. La sua disciplina
mira alla gestione qualitativa dell’esistente, e si attua per interventi diretti, che
vanno dal restauro conservativo alla ristrutturazione edilizia. Più
specificatamente contiene le norme attinenti alle attività di costruzione, di
trasformazione fisica e funzionale e di conservazione delle opere edilizie, ivi
comprese le norme igieniche di interesse edilizio, nonché la disciplina degli
elementi architettonici e urbanistici, degli spazi verdi e degli altri elementi che
caratterizzano l'ambiente urbano. La componente operativa invece ricade nel
Piano Operativo Comunale (POC), strumento il cui carattere prescrittivo e
vincolistico. Individua e disciplina gli interventi di tutela e valorizzazione, di
organizzazione e trasformazione del territorio da realizzare nell'arco temporale
di cinque anni. Trascorso tale periodo, cessano di avere efficacia le previsioni del
POC non attuate, sia quelle che conferiscono diritti edificatori sia quelle che
comportano l'apposizione di vincoli preordinati all'esproprio. Coordinandosi con
il bilancio pluriennale e comunale e assumendo il valore e gli effetti del
programma pluriennale di attuazione, conforma per cinque anni i diritti pubblici
e privati, indirizzando e coordinando finanche il Programma triennale delle opere
pubbliche e per gli altri strumenti comunali settoriali. 77
5.4.2 - Le componenti strutturali del Piano associato.
5.4.2.1 - Il fabbisogno abitativo.
Il fabbisogno abitativo primario, cioè l’entità di produzione di nuovi alloggi
necessario per fare fronte alla nuova domanda abitativa della popolazione
residente, si è basato in prima istanza a partire dall’analisi di dinamiche
pregresse e dalla loro probabile proiezione nel tempo fino al temine dell’arco
temporale previsto al 2023, fissato l’arco temporale di riferimento in 15 anni. La
quantificazione prevista a seguito dell’indagine ricognitiva sull’andamento
demografico della Bassa Romagna si individua nei seguenti parametri78:
- Popolazione al 2020: proiezione demografica – ipotesi intermedia
(considerata realistica): 116.770 abitanti (+7.824)
- Stima effettiva del fabbisogno quindicennale che oscilla tra i 3.400 e i 5.500
alloggi a seconda delle ipotesi che:
1) Assumendo la proiezione demografica intermedia e l’ipotesi di costanza
della dimensione media a 2,35 membri, si avranno 49.690 famiglie
(+3.330 rispetto ad oggi);
77 G. Baldini. Le sfide dell’intercomunalità in Emilia-Romagna. Bologna. 2009. 78 Unione Bassa Romagna. Relazione Illustrativa PSC. 2008
2) Assumendo la proiezione demografica intermedia e l’ipotesi di
diminuzione della dimensione media a 2,29 membri (ipotesi ritenuta più
attendibile secondo le valutazioni espresse nel QC), si avranno 50.991
famiglie (+4.631);
3) Assumendo la proiezione demografica intermedia e un’ipotesi più spinta
di diminuzione della dimensione media a 2,25 membri, si avranno 51.897
famiglie (+5.537).
- le stime sull’evoluzione del patrimonio edilizio per il soddisfacimento del
fabbisogno primario quindicennale oscillanti fra 4.000 e 8.000 alloggi,
considerato che:
1) Al 1991 il patrimonio edilizio complessivo è di 42.433 alloggi di cui 39.495
occupati (93,1%) e 2.948 non occupati (6,9%)
2) Al 2001 il patrimonio edilizio complessivo è di 46.001 alloggi di cui 42.885
(93,2%) occupati e 3.116 non occupati (6,8%)
3) Al 2011 il patrimonio edilizio complessivo è di 51.271 alloggi di cui 47.283
(93,1%) occupati e 3.987 non occupati (6,9%).
L’ipotesi di dimensionamento dei Piani strutturali in riguardo alle previsioni di
sviluppo del patrimonio residenziale non deriva meccanicamente dai calcoli
relativi alle stime di fabbisogno primario, ma deve incorporare, da un lato, gli
orientamenti e le conseguenti scelte delle amministrazioni locali in relazione alle
linee di sviluppo del territorio, dall’altro, le valutazioni sulla sostenibilità
ambientale, economica e sociale di tali scelte. Ai fini del dimensionamento delle
previsioni residenziali, si farà riferimento, fra le tre diverse proiezioni
demografiche illustrate nel Quadro conoscitivo, a quella ragionevolmente
ottimistica definita ‘ipotesi intermedia’. Si assume quindi come popolazione di
riferimento all’orizzonte temporale del piano un’entità di circa 117.000 persone.
E si assume come base necessaria per il soddisfacimento del fabbisogno il valore
più alto sostenuto nella valutazione prima esposta, di circa 8.000 alloggi, più
vicina alla sostanziale prosecuzione del ritmo di produzione edilizia dello scorso
decennio che non all’incremento stimabile dei nuclei famigliari. Inoltre l’insieme
dei fattori di incertezza, insito nell’evoluzione del rapporto famiglie/abitazioni,
nella quota non quantificabile di edificazione complementari al fabbisogno
abitativo e nelle esigenze di turnover del patrimonio edilizio, fa ritenere
proponibile e motivato un dimensionamento complessivo pari a 10.000 alloggi,
ossia il 25% in più del fabbisogno massimo assunto. Questa cifra è naturalmente
comprensiva di tutte le porzioni non ancora attuate degli interventi urbanistici in
corso di attuazione sulla base di Piani attuativi convenzionati e delle previsioni
non attuate dei PRG vigenti che siano confermate nel PSC a seguito della verifica
di compatibilità urbanistico-territoriale; inoltre comprende non solo gli alloggi
realizzabili ex-novo ma anche di quelli ottenibili con interventi di trasformazione
o riuso del patrimonio edilizio preesistente, sia urbano che non urbano. La
proposta di distribuzione invece si ripartisce secondo i dati aggiornati dal Quadro
Conoscitivo sulle previsioni residenziali fra i diversi Comuni. 79
Quota (%) Numero
ALFONSINE 10,5% 104 BAGNACAVALLO 14,4% 1436
BAGNARA DI ROMAGNA 2,5% 250 CONSELICE 8,5% 848 COTIGNOLA 6,1% 608 FUSIGNANO 7,5% 748
LUGO 28,9% 2885 MASSA LOMBARDA 8,5% 848
RUSSI 10,0 996 S.AGATA SUL SANTERNO 3,4 335
Totale Associazione 100,0% 10000
5.4.2.2 - Il sistema degli ambiti specializzati per attività produttiva
Passando agli ambiti specializzati per le attività produttive, prima di specificare le
aspettative che il PSC predispone sugli insediamenti, occorre evidenziare le
caratteristiche dell’offerta attuale riguardo alle aree produttive e al consumo del
79 Ibidem
territorio destinato dai P.R.G. vigenti al 2006 dai singoli enti comunali. Anzitutto
bisogna si evidenzia come nel quadro attuale sono insediati sul territorio circa
800 ettari destinati alle attività produttive, prevalentemente occupate da
stabilimenti, al quale si aggiungono lotti ancora liberi in aree in corso di
urbanizzazione per circa 88 ettari la cui edificabilità è di circa 550.000 mq di
capannoni, nonché altre aree a destinazione produttiva, non attuate o non
ancora urbanizzate, che si presentano per altri 550 ettari ed un’edificabilità di
circa 2,5 milioni di mq di capannoni. In sostanza l’offerta complessiva di aree
insediabili consentirebbe un incremento degli investimenti nelle aree destinate
alle attività produttive pari all’80% dell’estensione rispetto a quelli oggi esistenti.
Occorre giustificare che parte delle aree non edificate o non urbanizzate,
risultano essere già di proprietà di singole imprese produttive, disposte
all’ampliamento o al trasferimento di attività produttive, qualora le prospettive
future richiedessero tale esigenza. Un altro elemento su cui il PSC intende
elaborare un insediamento più omogeneo del territorio riguarda al profilo
localizzativo degli ambiti, definiti dal PTCP, di rilievo sovracomunale, suddiviso in
14 circoscrizioni la cui distribuzione vede il 65% delle aree già urbanizzate o
comunque già assoggettate ad edificabilità, all’interno di un solo ambito
sovracomunale, con una superficie complessiva di circa 9,8 milioni di mq sui 14,9
milioni di mq a disposizione. Anche in questo caso occorre tener presente che gli
ambiti individuati nel cuore del territorio interessato all’Unione, detiene una
diversa capacità attrattiva rispetto ai Comuni limitrofi, essendo maggiormente
appetibili tutte quelle aree capaci di rispondere a esigenze imprenditoriali in
grado di fornire una maggiore qualità dell’offerta, non più basato sul prezzo
contenuto dell’area, ma dotato di accessibilità alla rete primaria, buona
dotazione di infrastrutture ambientali, buona dotazione di servizi all’impresa .
Ciò che appare come uno dei limiti più evidenti dell’offerta attuale dei PRG non è
tanto l’estensione delle previsioni, quanto la mancanza di una selezione delle
localizzazioni, che privilegi le situazioni realmente in grado di prospettare uno
sviluppo industriale-artigianale competitivo, considerata la necessità di
rispondere alle imprese ad un avanzamento della scala localizzativa in tutte le
aree, che non corrisponda più agli assetti di livello comunale e nell’articolazione
in frazioni. Le disposizioni specifiche del PTCP in questo senso ha comunque
cercato di rispondere alle logiche localizzative finora perseguite nei singoli piani
urbanistici, dando risalto ad una armatura territoriale che tenga conto in primo
ordine, all’elemento strutturale del cosiddetto “Quadrilatero” infrastrutturale,
composto dagli assi est-ovest costituiti dalla S.Vitale/Autostrada A14 e dalla
S.S.16, e dai due assi nord-sud costituiti dalla S.P. Selice e dalla S.P. Naviglio. In
riferimento a questo elemento strutturale che si fonda sul peso portante delle
infrastrutture per la mobilità, il PTCP individua tre grandi “aggregati di ambiti
produttivi” che vengono definiti “strategici” in quanto, per collocazione,
infrastrutturazione e assenza o ridotta presenza di vincoli di natura ambientale si
ritengono maggiormente idonei ad evolvere nei termini di aree produttive
qualificate ed ecologicamente attrezzate, e quindi ad ospitare l’eventuale
ulteriore offerta insediativa che si renda in futuro necessaria. Il primo
insediamento è posto all’intersezione delle direttrici S.Vitale, Autostrada A 14 e
Naviglio (comuni di Lugo, Bagnacavallo, Bagnara e Cotignola). Questa zona
territoriale presenta una collocazione assolutamente ottimale rispetto alla
‘grande rete’ viaria regionale, inoltre è servita da ferrovia e ricomprende al
proprio interno lo scalo merci e Centri intermodale di Lugo”; all’intersezione della
direttrice SS.16 nord con la direttrice Naviglio e con il corridoio infrastrutturale
per la E 55; questi ambiti produttivi presentano una buona collocazione rispetto
alla ‘grande rete’ viaria regionale, destinata a migliorare ulteriormente con la
realizzazione della E 55; serviti inoltre dalla ferrovia Ravenna- Ferrara;
all’intersezione della direttrice S.Vitale con la direttrice Selice, in cui ricadono i
comuni di Massalombarda e Conselice. Presenta in prospettiva una valida
accessibilità in relazione alla realizzazione della Nuova S.Vitale e agli interventi
migliorativi previsti sulla Selice. Gli altri ambiti sovracomunali che non sono
compresi dal PTCP, ossia quelli di Lavezzola, di Fusignano, di Lugo-S.Agata e di
Russi, nonché la porzione di Bagnara dell’ambito di Solarolo, vengono comunque
considerati da consolidarsi e quindi non idonei a ulteriore espansione
dell’offerta insediativa, oltre a quanto già previsto nei PRG. Per gli ambiti
sovracomunali consolidati non viene in realtà negata la possibilità di ulteriori
espansioni, ma questa eventualità viene riferita a precise motivazioni: l’utilizzo
delle potenzialità insediative residue previste dagli strumenti urbanistici vigenti e
di quelle derivanti da dismissioni, va governato privilegiando prioritariamente le
esigenze di sviluppo e di eventuale reinsediamento di attività produttive già
insediate nell’ambito o nel territorio circostante; le ulteriori espansioni
insediative, oltre a quanto già previsto al momento dell’adozione delle presenti
norme, devono essere motivate in relazione a esigenze, non diversamente
soddisfacibili, di sviluppo di attività produttive già insediate nell’ambito, o di
eventuale reinsediamento di attività già insediate nel comune o nei comuni o
nell’associazione o unione di comuni in cui l’ambito ricade, che debbano
trasferirsi, o ancora di realizzazione di impianti di smaltimento e recupero di
rifiuti. Le politiche del PSC dunque, non scindendo dagli elementi emersi dal
quadro di riferimento del PTCP, hanno previsto operato nei tre rispettive
direttrici che riguardano ai nuovi ambiti produttivi di rilievo sovracomunale (in
cui sono interessate quelle aree già indirizzate dal PTCP), e le aree produttive
ecologicamente attrezzate. Nel primo caso la selezione delle aree produttive già
vigenti o nuovamente individuate, secondo le proprie caratteristiche
riconosciute dai singoli enti comunali, riscontra una differenziazione dei percorsi
evolutivi da prospettare in base al tipo di domanda a cui si rivolge l’area,
all’impatto in termini ambientali e agli indirizzi di sviluppo e/o trasformazioni.
Sono riconosciute diverse caratteristiche per gli insediamenti riconosciuti nella
Zona D dei P.R.G. previgenti in primo luogo per le piccole attività produttive
inserite in contesti urbani, che nel PSC vengono considerate parte del territorio
urbano consolidato, al quale vanno comunque adottati interventi di mitigazioni
per la compatibilità dei contesti, ma anche la l’ordinaria possibilità di
demolizione e sostituzione con edifici residenziali; in secondo luogo vengono
riconosciuti come singoli insediamenti produttivi esistenti isolati in contesto
rurale, che vengono ridefiniti come tali, ossia come elementi particolari del
territorio rurale, fino a che siano in attività, anche tenendo conto di eventuali
esigenze di sviluppo; di questi va peraltro prevista, in caso di dismissione, una
prospettiva di demolizione e di recupero ambientale, salvo che eventualmente
alcune parti possano essere riutilizzate per funzioni non produttive congruenti
con la valorizzazione del contesto rurale (es. attività turistiche, museali e simili).
Terza casistica riguarda a quegli insediamenti produttivi anche cospicui, di
vecchio impianto, collocati in contesti urbani o comunque a ridosso di
insediamenti residenziali, già dismessi o di possibile dismissione, per i quali si può
prospettare la riconversione, a seconda dei casi e dei contesti, verso
insediamenti a destinazione mista urbana (servizi, commercio, terziario). Infine
gli insediamenti produttivi esistenti, collocati in contesti urbani in condizioni di
conflitto con il tessuto edilizio prevalentemente residenziale circostante, non
dismessi né di prevedibile dismissione, per i quali va prospettata una duplice
possibile evoluzione: la progressiva compatibilizzazione delle attività in essere
attraverso l’applicazione delle possibili mitigazioni, ma anche la possibilità di
riconversione in caso di dismissione,: come nel caso precedente, ancora nelle
direzione di insediamenti a destinazione mista urbana (servizi, commercio,
terziario), ovvero la sostituzione con insediamenti residenziali. Pur ritrovandosi in
queste differenti casistiche indirizzate nel quadro conoscitivo per l’elaborazione
del PSC, sono state individuate due aree su cui favorire nuovi ambiti produttivi di
rilievo sovracomunale. Una prima area è posta nel Comune di Alfonsine,
precisamente in Via Raspona, la cui collocazione è situata a ridosso del futuro
svincolo fra le S.S. 16 e la E55. Il dimensionamento previsto per questo nuovo
ambito produttivo rientra in un quadrante delimitato dallo scolo La Canalina e
Alfonsinello e dalla futura ed attuale S.S. 16, compresa in circa 100 ettari anche
considerando l’opportunità di urbanizzazione che tenga conto degli sfridi
determinati da fasce di rispetto e dalla tutela delle corti coloniche di interesse
testimoniale. L’area non presenta alcuna particolare controindicazione dal punto
di vista delle tutele delle risorse ambientali e non va ad incidere neanche su
territori con vocazione rurale di particolare pregio, salvo la presenza di edifici
rurali di interesse testimoniali in conterminità con l’area interessata. Trattandosi
di un’area di nuovo impianto, sarà più agevole che altrove, perseguire fin da
subito per quest’area un’attuazione secondo le prestazioni e i requisiti di APEA
(area produttiva ecologicamente attrezzata). Una seconda area è posta invece
nel Comune di Russi, che pur non rientrando negli ambiti produttivi strategici del
PTCP, è riconosciuta nei nuovi ambiti produttivi sovracomunali per la
progettazione di una centrale di produzione energetica e biomassa. Situata
esternamente ai centri abitati, si presenta con un’area complessiva di 30 ettari
delimitata a nord dalla A14 e a sud dalle arterie di collegamento con i centri
abitati di Godo e di Russi. Su quest’area non insiste alcun vincolo per la tutela
delle risorse ambientali, tuttavia è contermine ad un Sito di Interesse
Comunitario e quindi necessariamente assoggettata ad una costante fase di
monitoraggio della qualità dell’aria in corrispondenza del fatto che la
destinazione di quest’area è intesa per la realizzazione di un polo di produzione
di energie rinnovabili costituito da una centrale elettrica alimentata a biomasse,
un impianto di produzione energia elettrica alimentato a biogas ed un impianto
fotovoltaico. Nel caso delle Aree Produttive Ecologicamente Attrezzate, si parla
invece di un ambito in cui ciascun insediamento produttivo, è indirizzato ad
avviare politiche tese alla sostenibilità e alla riqualificazione ambientale degli
insediamenti in modo da concentrare i fattori di impatto ambientali riguardanti i
energetici, consumi idrici, produzione di rifiuti, movimentazioni di merci,
spostamenti di persone, potenziali emissioni inquinanti e gestione di
smaltimento dei rifiuti. Le Aree Ecologicamente Attrezzate (APEA) sono state
previste dall’art. 26 del D.Lgs. 112/98, il quale prevede che le Regioni disciplinano
come tali, con proprie leggi, le aree industriali dotate delle infrastrutture e dei
sistemi necessari a garantire la tutela della salute, della sicurezza e
dell’ambiente, e ne definiscono le forme di gestione unitaria da parte di soggetti
pubblici o privati. Lo stesso art. 26 dispone che gli impianti produttivi localizzati
nelle APEA sono esonerati dall’obbligo di acquisire le autorizzazioni concernenti
l’utilizzo dei servizi ivi presenti ( es. smaltimento reflui, ecc.). La Regione Emilia-
Romagna ha introdotto le APEA nella L.R. 20/2000 e nella Direttiva generale per
l’attuazione della L.R. 9/99 sulla “Procedura di valutazione dell’impatto
ambientale”, ed ha in corso di elaborazione l’atto di coordinamento tecnico che
precisa i requisiti prestazionali da rispettare. Da sottolineare il fatto che, ai sensi
della L.R. 20/2000 art. A-14 ogni area produttiva di rilievo sovracomunale di
nuovo impianto deve assumere i caratteri propri delle APEA. Secondo la direttiva
sulla VIA i criteri da rispettare sono differenziati a seconda che si tratti di aree di
nuovo impianto o di insediamenti produttivi preesistenti.
Le aree APEA sono individuate in sette ambiti differenti di cui 4 aree, quelle
localizzate nei Comuni di Lugo, Bagnacavallo, Conselice e Massalombarda, che
rientrano sia negli ambiti produttivi strategici individuati nel PTCP, sia negli
ambiti produttivi strategici sovracomunali con possibilità di espansione rilevante.
Difatti ad esclusione della sola area di Massalombarda per il quale è prevista la
localizzazione della Nuova S. Vitale il cui svincolo implementerebbe una
dotazione infrastrutturale appetibile per gli investimenti privati, tutte le altre
aree sono già costeggiate dalle principali arterie di collegamento per il territorio
dell’Unione, appartenenti al cosiddetto quadrilatero. Le altre 3 aree che ricadono
nell’individuazione delle attrezzature ecologiche per le attività produttive,
riguardano l’ambito produttivo esistente appartenente al Comune di Bagnara di
Romagna, per il quale il PTCP ne ha riconosciuto il consolidamento e la necessità
di operare in costante monitoraggio vista la forte vicinanza con il centro urbano
capoluogo, il nuovo ambito sovracomunale indicato dal PSC nel Comune di
Alfonsine ed infine, l’area indicata per accogliere gli impianti di produzione
energetica e biomassa appartenenti presenti nel Comune di Russi. Le azioni
individuate dal PSC per concorrere alla crescita e alla tenuta del settore agricolo,
invece riguardano all’attivazione di progetti d’area sulle colture energetiche
privilegiando quelli che possono essere sviluppati anche da aziende di medie
dimensioni, la promozione di accordi interprofessionali con la grande
distribuzione locale e con il sistema turistico costiero per l’estensione delle
colture orticole e la stabilizzazione di quelle frutticole, l’individuazione e la
risoluzione delle insistenti problematiche dei nodi logistici che ostacolano le
azioni elencate nel punto precedente, l’attivazione di azioni multidisciplinari per
lo sviluppo sostenibile dell’ecosistema agricolo e la sua eventuale partecipazione
alla riduzione dell’impronta ecologica urbana, l’agevolazione di progetti di
accessibilità e fruizione al territorio rurale, mediante agriturismi, fattorie
didattiche, percorsi agro-naturali ed aziende faunistico-venatorie ed infine
l’agevolazione alle azioni miranti all’incremento della biodiversità. Come
conseguenza a questi obiettivi dal punto di vista normativo il PSC fornisce al RUE
indirizzi precisi verso una normativa di dettaglio che persegua i seguenti obiettivi:
- evitare un ulteriore infittimento dell’edificazione sparsa con finalità residenziali;
- negli eventuali cambi di destinazione da funzioni residenziali agricole o di
sevizio agricolo a residenza non collegata alla conduzione del fondo, non
consentire la formazione di un eccessivo numeri di unità immobiliari;
- consentire la destinazione di edifici rurali esistenti ad alloggio temporaneo di
mano d’opera impegnata nei cantieri di raccolta dell’ortofrutta;
- consentire la realizzazione di impianti aziendali di valorizzazione energetica
delle biomasse , fino ad 1 MW di potenza, e indicare le condizioni da verificare
per l’eventuale localizzazioni di impianti di potenza superiore o da altre fonti
rinnovabili;
- consentire l‘adeguamento strutturale degli edifici di servizio alle modificate
esigenze della meccanizzazione agricola nelle grandi aziende e gli eventuali
edifici collegati al prolungamento delle linee del fresco nei terreni agricoli per le
aziende frutticole e orticole;
- consentire il recupero di edifici di servizio non più utilizzabili a fini agricoli per
l’esplicazione delle attività complementari all’agricoltura nella direzione della
multifunzionalità, purché concorrano alla valorizzazione fruitiva del territorio
rurale e nel rispetto delle condizioni di sicurezza idraulica.
5.4.2.3 - La valorizzazione delle risorse naturale e la diffusione sul territorio
Tra le iniziative per la valorizzazione delle risorse diffuse sul territorio, il PSC , in
conformità con quanto previsto dal PTCP di Ravenna, ha caratterizzato il
percorso del nuovo strumento urbanistico aderendo alla “Rete Natura 2000”,
introdotta nella Direttiva 92/43/CEE e relativo Regolamento attuativo, per la
creazione di un sistema coerente e coordinato di particolari zone di protezione
nelle quali è prioritaria la conservazione della diversità biologica presente sul
territorio. Per sostenere la realizzazione di questo progetto, il PTCP individua
alcuni obiettivi programmatici, rivolti essenzialmente alla promozione,
valorizzazione e tutela degli spazi naturali e di quelli semi-naturali e la
connessione di questi spazi fra di essi e con i contesti urbani e periurbani. Tra gli
altri obiettivi promuove la funzione potenziale dei corridoi ecologici e la
riqualificazione paesistico-ambientale che possono rivestire le infrastrutture per
la viabilità dotandole di fasce di ambientazione. La progettazione della rete
ecologica, nel PSC, non si rivolge alla semplice individuazione dei siti idonei allo
spostamento ed alla sosta delle specie animali e vegetali, bensì intende delineare
un percorso la cui necessità ricada sugli strumenti di pianificazione e gestione ai
diversi livelli, in modo da indirizzare gli usi, la manutenzione e la gestione del
territorio in coerenza con e il miglioramento dell’efficienza della rete ecologica
esistente. Difatti ai corridoi primari esistenti, nelle località di Reno , Sillaro ,
Santerno , Senio ,Lamone, Montone, e a quelli secondari, individuati nel canale
dei Mulini di Lugo, canale Naviglio, canale Fosso Vecchio, canale Fosso Vetro,
canale Destra Reno, canale scolo Tratturo, Canal Vela, canale Zaniolo, canale
Fosso Munio e canale Masiera Inferiore, canale Diversivo di Valle, canale Redino,
canale Muraglione e canale Cotignola Inferiore, il PSC indirizza interventi per
funzionalizzare il collegamento tra i diversi corridoi, indicando due nuovi punti
tappa tra il boschetto dei Tre Canali e il Santerno e tra il Santerno e il Canale dei
Mulini di Lugo. A rafforzare questa rete l’adesione alla realizzazione di itinerari
strutturali in cui è possibile mettere insieme i punti di eccellenza del territorio
con le risorse minori e diffuse, per consentire anche a queste ultime una
maggiore visibilità e valorizzazione. In particolare sembra di poter individuare
significative potenzialità per lo scenario futuro e realizzare nuovi punti di
eccellenza e di autonomia capacità attrattiva per la presenza di risorse
naturalistiche e storico-archeologiche, attraverso una complessiva risistemazione
delle aree interessate, l’eliminazione delle persistenze edificatorie che
contrastano con la possibilità di valorizzazione ambientale e turistica,
l’implementazione dell’equipaggiamento arboreo (impianto di filari alberati) la
realizzazione di percorsi qualificati ciclo-pedonali che connettano le diverse
matrici portanti del territorio. Intorno e in connessione con le “matrici portanti”
e con la rete degli itinerari di fruizione va convogliato lo sviluppo di specifici
progetti di valorizzazione, di iniziativa pubblica come privata, che possono
riguardare gruppi di risorse particolari o areali più circoscritti , ma, nel loro
connettersi in rete, possono sfruttare reciproche sinergie, con la finalità di creare
localmente un terreno più fertile alla nascita di nuove attività economiche
private per l’offerta di servizi: ricettivi, ristorativi, sportivi, ecc. L'area interessata
dal progetto è costituita dal territorio agricolo compreso tra i centri urbani di
Lugo e Cotignola, per una superficie complessiva di circa 3680 ettari. Il progetto
ha come obiettivo specifico lo sviluppo dei seguenti temi:
- lo sviluppo della funzione di area agricola periurbana per attività ricreative e
del tempo libero, anche mediante la progettazione di dotazioni ecologiche,
servizi ambientali e strutture per la fruizione;
- la ricostituzione del paesaggio rurale e del relativo patrimonio di
biodiversità, in particolare nelle aree agricole tutelate ai sensi dell’articolo 19
del PTCP, quali la porzione meridionale del podere Gagliardi e le aree
agricole a sud di Barbiano, mediante tutela e ripristino delle siepi perimetrali
e delle piantate, anche come testimonianza dell’antico ‘arbustum gallicum’;
- la salvaguardia e la conservazione degli elementi naturali (boschetti, siepi e
filari, maceri) nella porzione settentrionale del podere Gagliardi, tutelata ai
sensi dell’arti. 25 del PTCP;
- la salvaguardia e la ricostituzione dell’ecosistema fluviale nel tratto di
torrente Senio a valle dell’antica Chiusaccia;
- la valorizzazione del tracciato del canale dei Mulini di Lugo e Fusignano,
come elemento del paesaggio e come asse per la viabilità alternativa e il
collegamento tra le emergenze dell’area di progetto;
- la valorizzazione e la sottolineatura dell’impianto storico e degli elementi
della centuriazione romana, nell’area tutelata ai sensi dell’articolo 21 del
PTCP e nelle aree adiacenti;
- il collegamento tra le emergenze (podere Gagliardi, Chiusaccia, canale dei
Mulini) attraverso strade e carraie del reticolo della centuriazione;
- la fruizione delle emergenze naturalistiche, ambientali e paesaggistiche
attraverso la progettazione di percorsi e servizi;
5.4.3.4 - Lo sviluppo insediativo dei centri urbani e la valorizzazione dei settori
di commercio
Prima di descrivere le iniziative del PSC per la valorizzazione dei centri urbani
mediante apporto del settore del commercio e del turismo, occorre premettere
come il territorio della Bassa Romagna sia storicamente connotata da un tessuto
di insediamenti denso e ampiamente diffuso e dalla presenza di un articolato
numero di realtà urbane storiche; queste caratteristiche hanno contribuito al
formarsi e al consolidarsi nel tempo di una rete commerciale e di servizi del tutto
particolare, che diversamente dalle altre realtà regionali e nazionali, hanno visto
la ristrutturazione della rete degli ultimi 30 anni senza destinare particolari sforzi
verso le grandi e grandissime strutture. Nei comuni della Bassa Romagna prevale
oggi con nettezza la presenza di medie strutture che risulta diffusa in quasi tutte
le località di una certa consistenza, a fronte di una moderata dotazione di grandi
esercizi, sia nel comparto alimentare sia in quello non alimentare.
Complessivamente il nuovo strumento urbanistico tende a consolidare la
dotazione di strutture di per piccole e medie imprese, seguendo le linee
strategiche del PTCP che in seguito si esporranno. L’unico Polo funzionale a
marcata caratterizzazione commerciale previsto per l’ambito della Bassa
Romagna è quello esistente di Lugo (comprendente il Globo e l’area del mercato
su suolo pubblico nel centro storico della città) per il quale il PTCP prevede un
processo di integrazione con la città e con il suo mercato storico, mentre un
eventuale sviluppo, in previsione di accorpamento di nuove aree o di nuove
strutture, potrà essere possibile previo Accordo territoriale. Senz’altro però si
rimarca come gli interventi già effettuati di riqualificazione dell’area intorno alla
Rocca Estense di Lugo e il programma di animazione del centro storico già
avviato, hanno già corrisposto gli obiettivi del PTCP per il Polo funzionale di
Lugo. Tra gli obiettivi il nuovo PSC, inquadra la necessità di migliorare la qualità e
all’integrazione fra commercio e assetti urbani del territorio, mantenendo una
attenzione costante alle esigenze della popolazione, e lasciando aperta la
possibilità di intervenire in materia di fattibilità di interventi di rilevanza
sovracomunale, attraverso Accordi territoriali come previsto dal PTCP, nel caso il
monitoraggio sulla rete e sulla percezione e i comportamenti della popolazione
segnalino il formarsi di fenomeni di scollamento dal modello di rete esistente e di
aumento dell’evasione verso altri territori. A questo fine il PSC lasca aperte le
possibilità (già del resto ammesse dal PTCP) di operare ulteriori interventi che
diano spazio a un miglioramento della capacità competitiva e di servizio
commerciale, sulla base dei seguenti orientamenti.
- Valorizzazione del tessuto dei paesi della Bassa Romagna in termini di
integrazione dei servizi, qualità estetica e funzionale degli spazi, sostenibilità
ed efficienza dei sistemi di accessibilità e delle modalità di afflusso nelle aree
commerciali;
- Riqualificazione urbana e di arredo degli spazi pubblici, volte a migliorare il
contesto nel quale operano i piccoli e medi esercizi nei centri storici e negli
assi commerciali dei maggiori centri,
- Realizzazione dei percorsi urbani qualificati, spazi per l’animazione urbana e
adeguato sistema di parcheggi; a questo fine vanno utilizzate anche le norme
del RUE per confermare gli usi commerciali nei piani terra delle strade che
già ospitano le più rilevanti concentrazioni di esercizi commerciali e di servizi
per il pubblico in modo da conservare la continuità delle vetrine in tali
strade;
- Integrazione degli interventi di arredo e riorganizzazione delle strade e
piazze a maggior valenza aggregativa e commerciale dei paesi, collegandole
efficacemente ai terminali locali della mobilità collettiva su ferro e su
gomma;
- Individuazione di aree di riutilizzo e contenitori interni ai centri urbani per
ospitare non solo piccole e medio-piccole strutture, ma anche aggregazioni
di medie strutture, complessi commerciali di vicinato o Gallerie, anche
superando il limite dei 5.000 mq. di vendita, in cui ospitare il completamento
della gamma merceologica e tipologica, eventualmente insieme ad attività
culturali e spazi per incontri ed eventi.
In rapporto allo sviluppo selettivo della struttura policentrica degli insediamenti
connotati all’interno del territorio della Bassa Romagna l’obiettivo già stabilito ed
esposto negli obiettivi preliminari per l’elaborazione del PSC, si punta invece ad
un contenimento della dispersione insediativa, al quale si ci è soffermati
anzitutto sui dati esposti nel quadro conoscitivo circa la dotazione dei servizi di
base nei diversi centri capoluogo dei Comuni aderenti all’Unione. Oltre alla città
di Lugo, in questi dieci comuni sono presenti altri 13 centri dotati di una gamma
completa dei servizi di base: ai 9 capoluoghi comunali si aggiungono, infatti,
anche le principali frazioni: Lavezzola, Voltana, Villanova e l’aggregato
intercomunale costituito dalle località di Glorie e Mezzano (quest’ultima in
comune di Ravenna). Nel complesso, risiedono all’interno di questi 14 centri
caratterizzati da una significativa dotazione di servizi, quasi 78.000 abitanti, pari
a circa i tre quarti dell’intera popolazione residente nella Bassa Romagna. Se a
questi si aggiunge la popolazione sparsa gravitante al contorno di essi si arriva a
88.000 persone (l’84% della popolazione) servito dal sistema di servizi
concentrato in questi 14 centri. Circa altri 8000 abitanti risiedono, inoltre, in altri
6 centri che risultano comunque dotati di una dotazione minima di servizi,
comprensiva almeno dei servizi scolastici della fascia primaria (materna ed
elementare). In generale, i Comuni stanno mettendo in campo importanti azioni
di sistema (riferimento al Patto per la sostenibilità dello sviluppo della Bassa
Romagna) che possano ulteriormente contribuire al rafforzamento del ruolo
regionale della rete dei comuni della Bassa Romagna al cui interno Lugo assolve
le funzioni previste dal PTCP:
- Il progetto del recupero e della valorizzazione dei centri storici con
riferimento anche al Marketing territoriale, il cui tema centrale per Lugo è la
rifunzionalizzazione del Pavaglione e degli ampi spazi aperti.
- Il progetto del Masterplan di Lugo sud, per lo scambio intermodale e
l’incremento della qualità e quantità del servizio ferroviario.
- Il progetto di ampliamento del Centro merci.
- La valorizzazione dei Poli funzionali con particolare attenzione al Polo
ospedaliero e al Polo scolastico superiore. A questo proposito si sottolinea la
necessità di completare il percorso che ha già portato all’accordo con la
Provincia sul Campus scolastico.
- Il rafforzamento degli Assi infrastrutturali del Quadrilatero e degli assi interni
baricentrici alla Bassa Romagna est-ovest e nord-sud.
5.4.3.5 - L’assetto infrastrutturale
Gli interventi mirati dal PSC nell’assetto infrastrutturale, in conformità delle
previsioni stabilite nel PTCP, concernono al rafforzamento della rete ferroviaria e
al potenziamento della rete stradale di collegamento tra Ravenna e Ferrara e di
attraversamento dei Comuni appartenenti all’Unione della Bassa Romagna. Nel
primo caso, gli interventi prioritari sono previsti per favorire il potenziamento
dello Scalo merci di Lugo insieme alla riattivazione della linea ferroviaria Budrio-
Massa Lombarda. Gli interventi finalizzati a sostenere il trasporto passeggeri,
sono individuati principalmente sul tracciato della linea Bologna-Ravenna,
mediante il consolidamento delle linee percorrenti i territori di Godo, Russi,
Bagnacavallo e Lugo. La priorità di questa operazione è giustificata dalle
potenzialità insediative che il PSC ha ritrovato nelle suddette aree, attraverso la
conversione di attività produttive dismesse o non adeguate funzionalmente alle
attuali esigenze produttive. In secondo ordine il potenziamento della linea
ferroviaria Ferrara-Ravenna per i centri abitati di Lavezzola, Voltana, Alfonsine,
nonché l’aggregato costituito dai centri di Glorie e Mezzano, per favorire una
migliore gestione del traffico misto (passeggeri e merci) considerato che tale
tratta rientra nella nell’itinerario strategico Ravenna-Ferrara-Guastalla-Reggio-
Dinazzano, ai fini di una riorganizzazione su ferro dei flussi di merci fra porto di
Ravenna ed Emilia Centrale. Infine il potenziamento della linea Lavezzola-
Granarolo la cui direttrice, attualmente limitata nel suo utilizzo, potrebbe
ricoprire un ruolo strategico nel trasporto merci sul corridoio ABRE (Adriatico-
Brennero), ipotizzando di indirizzare su questa direttrice tutto il traffico merci e
destinare esclusivamente al traffico turistico il corridoio Rimini-Ravenna. In
riferimento alla rete stradale, il PSC agisce in conformità del PRIT (Piano
Regionale Integrato dei Trasporti), principalmente costituito dalla Grande Rete
infrastrutturale e dalla rete regionale di base. Per quanto riguarda il territorio
dell’Unione sono incluse la Strada Regionale San Vitale, in direzione est-ovest, la
Strada Regionale Selice e la S.P.8 Naviglio in direzione nord-sud. Questi tre assi
della “rete di base principale” di interesse regionale, vanno a formare, insieme
con la SS 16, il cosiddetto “quadrilatero”, da tempo individuato come struttura
portante del sistema insediativo della Bassa Romagna, il cui rafforzamento
costituisce elemento indispensabile per permettere a questo territorio di
assolvere positivamente a quella funzione territoriale, di base logistica strategica
a supporto dei poli ravennate e bolognese, delineata dallo stesso Piano
Provinciale e favorita dalla localizzazione e dalle potenzialità storiche e
economiche dei dieci comuni. Per migliorare e garantire i livelli di funzionalità
delle arterie principali, il PSC individua prioritariamente gli interventi finalizzati
all’adeguamento, al potenziamento e al completamento delle tratte sopra citate.
Da avviare la progettazione della variante al centro abitato di Lavezzola, che
dovrà permettere alla S.R. Selice il collegamento diretto con la S.S.16, senza
utilizzare la S.P. Bastia ed attraversare il centro abitato; riguardo al nodo di
Lavezzola risulta prioritario un primo intervento-stralcio, di entità ridotta ma di
sensibile utilità per la sicurezza, consistente nella realizzazione di una rotatoria
all’intersezione con la Bastia e di un breve raccordo con la S.S. 16. Altro
intervento riguarda invece all’adeguamento della S.P. Naviglio, valutata la
strozzatura dell’arteria dal preesistente centro abitato di Bagnacavallo; in questo
caso il PSC intende collegare il nuovo svincolo sulla A14 liberalizzata e la San
Vitale, oltre che avviare la progettazione dell’altra porzione che andrà a
completare il semi-anello est, ricongiungendo tale porzione al tracciato esistente.
Stesso intervento nel Comune di Alfonsine, il cui tracciato resta ostruito
dall’attraversamento nel centro urbano del capoluogo; anche qui il tracciato
preesistente è investito da interventi di ammodernamento e completamento
della tratta, integrata di corsie preferenziali per il trasporto pubblico, per la
mobilità pedonale e ciclabile e per la sosta. Tale intervento verrebbe
successivamente compiuto attraverso la realizzazione di una nuova tratta in
modo da proseguire il percorso della S.S. 16 esternamente al capoluogo del
Comune, considerate le problematiche emerse dall’elevato carico del traffico
veicolare, dagli elevati tassi di inquinamento atmosferico e di quelli di
inquinamento acustici. L’ultima importante innovazione riguarda la realizzazione
del tracciato della “Nuova San Vitale”. Tale intervento risulta prioritario per
mitigare gli impatti su alcuni importanti centri abitati quali Massalombarda,
S.Agata, Bagnara e Lugo, oltre che per dare efficacia ad un fondamentale asse
est- ovest di supporto alla rete primaria di interesse regionale. La realizzazione di
questa arteria garantirebbe un efficace accessibilità ad alcune dei principali
ambiti strategici produttivi di rilievo sovracomunale, oltre a svolgere il ruolo di
una supplementare tangenziale sud al capoluogo lughese, permettendo
l’allontanamento dei significativi traffici, anche di veicoli pesanti, ancora oggi
incidenti nel centro urbano e diventando riferimento sia per i movimenti lunghi
che per movimenti medi e brevi in connessione dei numerosi centri abitati e fra
le numerose aree industriali che si distribuiscono lungo l’arteria; diventa allora
importante la permeabilità e l’efficacia del tracciato a rispondere a queste
esigenze. E’ stato quindi proposto alla discussione in Conferenza di Pianificazione
un corridoio che per il tratto fra l’autostrada A-14 e l’abitato di Villa S.Martino
risulta spostato più a nord, ossia più prossimo alla periferia di Lugo, pur
rimanendone sufficientemente discorso. Ad est il nuovo tracciato proposto si
innesta con una rotatoria sul percorso di immissione nell’attuale svincolo della A-
114, che va modificato integrandolo con nuovi bracci; ad ovest, con un’altra
rotatoria in prossimità di Villa S. Martino il nuovo tracciato si riporta su quello più
a sud a suo tempo progettato. Nella nuova proposta inoltre, tutti gli svincoli a due
livelli prima previsti per servire gli abitati di S.Agata, Massalombarda e Lugo sono
sostituiti con rotatorie.
CONCLUSIONI
L’associazionismo intercomunale si è sviluppato nel tempo individuando diverse
concezioni di unificazione, prendendo spunto dalle diverse modalità di gestione
associata delle funzioni amministrative e seguendo l’indirizzo dei principi
costituzionali derivati dalla Riforma del Titolo V. I modelli principali ad oggi
individuabili, sono stati sviluppati in base ai continui cambiamenti che il lungo
percorso normativo ha posto in essere dalla cd. <<Legge sulle Autonomie>>. Nel
primo modello, cd. volontario, l’associazionismo è visto come lo strumento in
grado di consentire, anche ai piccoli comuni, a svolgere funzioni che
singolarmente non sarebbero in grado di esercitare, senza tuttavia trovare
necessaria la condizione di conferimento di tutte le funzioni. Nel caso, invece del
modello differenziato la imprescindibile condizione di diversificazione delle
funzioni in ragione delle loro capacità strutturali, organizzative e funzionali, ha
ricercato nella gestione associata una via di risoluzione univoca, concentrandosi
particolarmente sui principi di Sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione. Non
vi è dubbio che in entrambi i casi, esistano problematiche di diversa natura che
ostacolano il perseguimento degli obiettivi inizialmente posti, non soltanto
attraverso un’essenziale semplificazione del reticolo territoriale, ma anche per
una necessaria condizione di miglioramento della Pubblica Amministrazione
locale. Si consideri come il primo modello, quello evoluitosi per il numero più alto
di esperienze intercomunali, riesca ancora oggi a reggersi soltanto grazie alle
premialità e gli incentivi di natura economica, per i quali non è esplicito il
riferimento ad una partecipazione trasparente dei Comuni aderenti all’Unione.
Al contempo la struttura di tipo differenziata rischierebbe di creare modelli di
gestione associata a “macchia di leopardo”, dal momento che, qualora il comune
non provvedesse ad associarsi, le funzioni in questione verrebbero trasferite ad
un altro livello di governo, facilmente individuabile nella Provincia. Dunque,
tanto il modello volontario quanto quello differenziato, risultano essere
particolarmente inadeguati, se letti come via risolutiva ed unica prospettiva
capace a creare una forte amministrazione locale, considerando anche il rischio
di sfociare in un’applicazione drastica del principio di differenziazione che
finirebbe per discriminare fortemente i livelli comunali rischiando, da una parte,
di produrne una disattivazione de facto e, dall’altra, di minare quei profili di
“fondamentalità” quali “invarianti di sistema” che caratterizzano le funzioni che
devono obbligatoriamente essere esercitate da parte di tutti i comuni esistenti.80
A ricordare le altre esperienze intercomunali in Europa si può anche facilmente
attestare il differente orientamento delle forme associative nelle sue finalità, pur
essendo queste indirizzate a semplificare e valorizzare il processo del federalismo
amministrativo. Tali distinzioni hanno difatti giustificato come la variegata
tipologia di interventi rivolta all'associazionismo intercomunale, pur ponendosi
con differenti modalità di tipo coattivo o di volontaria partecipazione, abbia
mantenuto uno stato avanzato degli obiettivi da perseguire rispetto all'
ordinamento giuridico italiano. L’obiettivo delle altre esperienze europee, in
particolar modo di quella francese, non si è posta semplificativamente a
caratterizzare politiche di accorpamento di azione concertata, ma anche per
interventi volti ad omogeneizzare i dislivelli economici presenti tra i Comuni
aderenti, e la definizione di interventi rivolti ad un successivo stadio di sviluppo.
Gli interventi che hanno innescato quei processi di accorpamento, pur essendo
caratterizzati dalla coattività degli stessi, hanno comunque trovato una
immedesimazione partecipativa delle comunità facilitandone l'applicazione e
adeguando prontamente i rispettivi territori ad attuare l'indirizzo politico del
federalismo amministrativo. Nel caso francese, l’apparente somiglianza al
carattere facoltativo ed alla gestione permanentemente stabile della forma di
cooperazione, non trovano comunque identica applicazione per via di una
definizione normativa, più intesa a specificare i rispettivi indirizzi di scala, che a
riformulare oltremodo , le finalità e le modalità di applicazione degli stessi
strumenti. D'altronde resta evidente come in Italia si sia ricercata una più
efficiente regolamentazione del territorio mediante la costituzione di una più
80 Pizzetti F., Piccoli comuni e grandi compiti: la specificità italiana di fronte ai bisogni delle società mature, in D. Formiconi (a cura di), Comuni, insieme, più forti!, EDK, 2008.
diversificata amministrazione, senza però scardinare il principale problema della
inefficienza gestionale. In Francia invece, superata negli anni '70 l'idea di una
ripartizione meno frammentaria attraverso il coattivo strumento della fusione,
ha susseguito risvolti normativi in grado di avanzare il processo di integrazione
comunale, da un modello funzionale, come quella del Syndcats Intercomunnaux
a vocazione univoca o multipla, a un modello di intercomunalità di progetto, per
favorire una nuova identità sovracomunale. Appare anche evidente di come il
processo rivolto all’associazionismo, ritrovi semplificata applicazione, anche per
mezzo di un diverso peso delle cariche istituzionali la cui legittimità politica è
prefigurata in una interazione diretta tra il ruolo dei sindaci e lo Stato, supportata
da una consolidata esperienza di policy maker, capaci cioè ad attivare una rete di
attori pubblici e privati per la gestione di politiche di sviluppo del territorio
integrate, rafforzando la capacità di governo della classe politico-amministrativa
locale. Infine le Unioni di Comuni, rispetto alla forte rete cooperativa francese,
consegue anche una più superficiale attribuzione delle risorse rivolte
all'associazionismo, che in Francia è invece operata da una politica fiscale di
riguardo, favorendo oltretutto non soltanto una mera valorizzazione degli
apparati organizzativi ma anche uno sviluppo territoriale. Secondo queste
diverse impostazioni, appare quindi evidente, di come le EPCI siano fortemente
legittimate ed intromesse in un rapporto diretto con il governo centrale, per il
quale si mantiene un ruolo decisionale più solido, rispetto alle forme associative
italiane come l'Unione di Comuni. D’altronde l’istituto in analisi ha conosciuto
nel tempo una continua evoluzione e una certa dinamicità tra gli enti chiamati in
causa, capace a far crescere l’interesse ad aggregarsi mediante lo strumento
associativo soltanto quando l’originario dispositivo è stato ratificato nelle sue
modalità. Se il testo normativo originario, risalente all’art. 26 della L. n.
142/1990, aveva come scopo principale una riduzione concreta del numero di
enti, proponendo, sulla falsa riga dell’azione coercitiva avvenuta nel Ventennio
fascista, l’adozione dell’istituto dell’unione come fase preparatoria ad una
successiva e obbligatoria fusione, la risposta dei Comuni non può di certo
considerarsi adeguata rispetto al numero degli enti coinvolti dalla legge. Come
già precedentemente esposto, le esperienze intraprese fino al 1999, erano
ancora ferme ad un totale di 13 Unioni. D’altro canto nelle intenzioni del
legislatore è stato inteso proporre un intervento meno drastico e netto della
semplice azione coercitiva, da attuare mediante una successiva soppressione dei
Comuni per mezzo della fusione, eppure la timida risposta ha comunque
diffidato dallo strumento associativo, rinunciando a qualsiasi forma di
incentivazione economica aggiuntiva e di cooperazione tra enti pur di proteggere
l’identità e gli interessi localistici delle rispettive comunità.
Ma ad aver accentuato ulteriormente il clima di incertezza, rientrano anche quei
vincoli prestabiliti dalla legge che, nel ricondurre i comuni a rispettare
necessariamente i parametri demografici e di conterminità, non ha tenuto conto
di come tante realtà amministrative fossero di fatto già escluse dalla possibilità di
adozione dello stesso strumento.
E’ stato così necessario travolgere il presupposto dell’Unione come fase
preparatoria ad una successiva fusione, istituendo un vero e proprio soggetto
giuridico, che oltre ad associare l’esercizio di funzioni e servizi, che siano in parte
o tutti, permettessero l’accesso a contributi aggiuntivi e premialità di natura
economica. Difatti l’evoluzione descrittiva delle Unioni di Comuni, comincia a
trovare reale consistenza soltanto dopo l’approvazione della L. n. 265/99 e il
successivo D.lgs. 267/2000, che ha accresciuto l’interesse alla forma associativa.
Soltanto negli anni compresi tra il 2000 e il 2005, l’esperienza complessiva
dell’Unione di Comuni, ha visto la partecipazione di 1.225 amministrazioni per
269 modelli di gestione associata. Ad oggi invece si conta la partecipazione di
367 Unioni di Comuni al quale aderiscono 1.851 Comuni, circa il 23 % dell’intera
popolazione di enti locali di base.
Ricordando che la L. n. 142/1992 precludeva agli enti con popolazione superiore
ai 5.000 abitanti, la possibilità di aderire ad Unioni, non si può non rilevare come
la realtà dei fatti abbia smentito tale prospettiva realizzando uno strumento ben
voluto da qualsiasi tipologia dimensionale di enti. La forma associativa
dell'Unione di Comuni, per quanto pensata come strumento risolutore per le
problematiche dei Comuni di piccole dimensioni, è apparso altrettanto utile e
risolutivo per quegli enti comunali di media e medio-grande dimensione. Difatti è
divenuta nel tempo una pratica sempre più utilizzata per la gestione, l’esercizio
di funzioni e l’espletamento di servizi, apprezzabile in quei contesti che oltre ad
esser stati inizialmente esclusi dalla forma aggregativa, hanno dato risalto ad una
disomogeneità tra i comuni partecipanti, essendo anch’essi carenti di una
strutturazione professionale e di impiego delle risorse. A testimonianza di tale
tesi, la mia, il caso di studi precedentemente esposto, ha coinvolto una
popolazione di oltre 100.000 abitanti, per fornire ai territori e alle rispettive
comunità una gestione omogenea dei servizi, spingendosi oltremodo a
pianificare e programmare iniziative riguardanti ambiti sovracomunali, che
singolarmente non sarebbero potute venir fuori dai vari contesti. In riferimento
alle realtà di ridotta dimensione, la motivazione ricorrente per l'utilizzo dello
strumento associativo, sembra contestualizzarsi, non soltanto per il vantaggio
riguardante l'aspetto prettamente economico sul finanziamento di contributi
aggiuntivi, ma anche per travolgere la necessaria condizione di maggiore
efficienza delle stesse amministrazioni, attraverso l'abbattimento di costi fino a
quel momento duplicati, in contesti contermini ma comunque necessari per le
singole Comunità. Occorre però menzionare come il rispolvero del vecchio
dispositivo, abbia ugualmente attestato una diffidente applicazione dello
strumento, in modo da avvicinare i Comuni ad accettare volontariamente
l’opportunità di una successiva fusione, come strumento utile non soltanto a
riordinare l’assetto territoriale, ma anche a conseguire economie di scala più
ampie. Difatti le ultime scelte legislative, seppure formulate in materia di
stabilizzazione finanziaria e competitività economica, hanno posto in essere una
diversa presupposizione di base, rovesciando l’ambito facoltativo per quei
Comuni, individuati entro una soglia di 5.000 abitanti, ad esercitare
obbligatoriamente la gestione dei servizi e l’esercizio di funzioni in forma
associata. Quest’ultimo passaggio normativo ha spianato la strada verso la
risoluzione delle problematiche concernenti la vasta frammentazione territoriale,
accelerando in modo cospicuo un processo di valorizzazione dello strumento
associativo che non ha mai trovato particolare slancio, soprattutto tra i più
piccoli comuni. Nonostante ciò è stato intrapreso una percorso troppo
semplificativo rispetto alle reali potenzialità dello strumento, considerata la
spinta coercitiva verso l’associazionismo, non soltanto sulle modalità disposte
dalla legge, bensì anche in riferimento ai tempi assai riduttivi, limitando gli stessi
enti ad optare per una soluzione definitiva, senza una appropriata valutazione di
scelta sull’organizzazione, le modalità e la partecipazione alla Unione Municipale.
Difatti il primo termine per l’accentramento gestionale di tutte le funzioni
elencate dall’art. 20 della L. n. 42/2009, è stato fissato entro la data del 31
dicembre 2013, salvo poi predisporre una decorrenza temporale corretta nella
successiva manovra al 31 dicembre 2012. Sarebbe oltremodo sbagliato
comprendere che per tali ragioni sia stato comunque inquadrato un percorso
normativo adeguato considerando due profili legati alle stesse disposizioni del D.l
78/2010 successivamente corretto dal D.l. 138/2011, e in secondo luogo alla
mancata attuazione di non poche norme, sia esse appartenenti al rango
costituzionale sia esse appartenenti alla legislazione ordinaria.
1) Il legislatore ha di fatto creato due percorsi paralleli per i comuni fino a
1.000 abitanti e per quelli oltre i 1.000 fino ai 5.000, senza lasciar
comprendere il motivo per il quale i comuni di <<piccolissima
dimensione>> debbano necessariamente costituire una unione
municipale che gradualmente racchiuderebbe tutte le funzioni, mentre
quelli compresi tra i 1.000 e i 5.000 abitanti possono presentare un piani
di riorganizzazione dei servizi rientranti nelle funzioni fondamentali,
mediante la forma associativa della Convenzione; inoltre se la finalità è
quella di assicurare l’ottimale coordinamento della finanza pubblica, il
contenimento delle spese degli enti territoriali e, soprattutto, il migliore
svolgimento delle funzioni amministrative, risulta indubbio l’esercizio
delle funzioni fondamentali in forma associata da parte dei piccoli
comuni.
2) L’ultima legislatura ha inteso destinare attenzione esclusivamente all’art.
119 Cost., che attribuisce a comuni, province e regioni l’autonomia
finanziaria, tralasciando la cura degli altri aspetti che riguardano il tema
delle autonomie locali, per il quale ancora oggi non trova uno sbocco
decisivo per l’adozione della cd. Carta delle Autonomie, approvata in
Parlamento e trascurata dal Senato. Anche in questo caso, infatti, la
forma associativa così stabilita, potrebbe incorrere ad una sostanziale
ridenominazione delle cd. Funzioni fondamentali, essendo elencate da
una norma ritenuta transitoria, attualmente estrapolata dalla proposta di
legge della stessa “Carta delle autonomie”. Eppure la legge n. 131/2003,
(c.d. legge La Loggia) all’art. 2 ha disposto la delega al Governo per
l’attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della
Costituzione e per l’adeguamento delle disposizioni in materia di enti
locali alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3. Lo stesso art. 2 della
stessa legge n. 131/2003 prevedeva del resto, nell’ambito della delega, la
esplicita revisione del D.Lgs. n. 267/2000 nelle parti “che contrastano con
il sistema costituzionale degli enti locali definito dalla legge costituzionale
n. 3/2001”. Tutti i rapporti tra lo Stato ed il mondo delle autonomie locali
è governato ancora dalla legge 28 agosto 1997 n. 281 poiché non è mai
stata data attuazione all’art. 11 della legge costituzionale n. 3/2001 il
quale prevede che le commissioni parlamentari per gli affari regionali,
previa modifica dei regolamenti di Camera e Senato, possono essere
allargati alla partecipazione delle rappresentanze degli enti territoriali.
Non meno problematici sono gli aspetti in ordine alle norme delle unioni
municipali, con particolare riferimento al ruolo della legge regionale, alla natura
giuridica dell'unione e al tema dei risparmi. In relazione alle disposizioni
contenute nel comma 3 dell'art. 16, emergono tre ordini di problemi. Il primo
riguarda l'individuazione diretta della legge regionale quale fonte utile per
fornire i criteri demografici e territoriali. A tal proposito, l’A.S. in un dossier
espone un problema di compatibilità costituzionale rispetto alle norme vigenti in
tema di autonomia regionale. L'obiezione posta in tal caso è riferita alla
competenza esclusiva non soltanto nelle materie di legislazione elettorale, organi
di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città Metropolitane81,
ma anche nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.82
Dal dispositivo, in realtà si evince come il legislatore abbia posto legittimamente
il problema, affinché si valorizzasse il ruolo dell’autonomia regionale, al contrario
accusata di essere violata, perché costretta a definire con propria legge un limite
demografico per le Unioni Municipali. Un secondo profilo, rimanda invece ai
risparmi conseguibili con la soppressione delle cariche elettive nei cd. micro-
Comuni, dato che la relazione tecnica all'A.S. n. 2887 riconosce al complesso di
misure nei confronti dei Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti la capacità
di produrre un effetto finanziario positivo sui saldi di finanza pubblica, senza però
apportare in maniera quantificata il netto del risparmi finora giustificato. Eppure
di esperienze intercomunali ne sono susseguite con diversi modelli, capaci a
poter definire “ex ante” una prima valutazione dei risparmi conseguibili dalla
forma associativa tra Piccoli Comuni. Il rilievo inoltre va posto in connessione con
l'eventuale effetto compensativo tra i risparmi derivanti dalle nuove misure ed i
possibili oneri derivanti dalla costituzione di una nuova istituzione quale l'unione
municipale, così come recita una nota di lettura dello stesso A.S. n. 2887, che
riguarda con particolare attenzione alla fase di avvio dello strumento associativo.
A questo aspetto c’è da aggiungere anche il risparmio definito mediante la
soppressione dei consigli e delle giunte comunali nei Municipi fino a 1.000
abitanti e la costituzione delle Unioni municipali rette da appositi organi
81 Lett. p), comma 2, art. 117, Cost. 82 Lett. m), comma 2, art. 117, Cost.
rappresentativi, che economizzerebbero sulle spese, mediante la mancata
corresponsione delle indennità, dei gettoni di presenza e degli altri benefici
spettanti agli assessori e ai consiglieri comunali Con specifico riferimento alla
soppressione dei consigli e delle giunte comunali nei Municipi fino a 1.000
abitanti, così come stabilito dall’ultimo D.l. n. 174/2012 recante Disposizioni
urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali. Resta però
illogica la scelta di voler sopprimere le cariche atte ad amministrare il territorio,
anziché introdurre, dei tagli sostanziali alle indennità o al compenso. Infine
valutando la disposizione in termini di incisione sulla funzione rappresentativa,
c'è da chiedersi dunque se l'eliminazione dei consigli comunali nei piccolissimi
Comuni, non contraddica l'esigenza oggi diffusa di potenziamento e non di
indebolimento della partecipazione popolare alla cosa pubblica83. Se dal profilo
legislativo appare evidente la necessità di travolgere alcune limitazioni disposte
normativamente ai “Piccolissimi” e “Piccoli” Comuni, l’esperienza della Bassa
Romagna invece, ha fornito una efficiente praticità dello strumento associativo,
come più volte evidenziato nelle Best Practices delle Pubbliche Amministrazioni
in Italia. Di certo l’Unione della Bassa Romagna, risulta essere l’unica esperienza
già consolidata da una precedente condizione associazionistica leggera, sebbene
il modello aggregativo di riferimento accurava la gestione delle risorse, delle
funzioni e dei servizi a una più tenue e ridotta capacità governativa. Inoltre le
radici che affondano sul territorio della Bassa Romagna descrivono un’unitarietà
storica con tratti di sviluppo omogenei, per i quali soltanto il passaggio dalla
forma leggera all’istituto dell’Unione rappresentava l’unica opportunità per la
definizione di uno sviluppo unitario. Per supportare il modello aggregativo nella
sua composizione organizzativa, gli strumenti di analisi per gli standard delle
attività gestite e dei costi da sostenere e le iniziative programmatiche come il
Piano Strategico Territoriale e BassaRomagna2020, hanno stimolato questo
passaggio che ad oggi raccoglie un consistente risultato, in termini di efficienza,
indirizzata dalla definizione e dal perseguimento di obiettivi su scala
83 V. Onida, Meglio tagliare i compensi che eliminare le cariche, in Il Sole 24 Ore.com, 23 agosto 2011.
intercomunale, più che dalla mera applicazione delle norme concernenti il
profilo gestionale dell’Unione di Comuni. A dimostrazione di tale tesi, non
soltanto la presenza di un numero di circa 20 servizi associati ancora oggi
risalenti in capo all’Unione, ma anche il trasferimento del personale gestito in
forma associata di circa il 50% delle unità in capo ai Comuni, tenuto conto degli
ultimi trasferimenti, le cui dipendenze sono di circa 350 unità a favore
dell’Unione e 370 circa rimasti assegnati ai singoli enti. A ciò va poi aggiunto il
contenimento, entro il 2015 di circa il 20% dell’attuale personale di riferimento in
capo ai singoli Comuni. Infine il percorso associato dei comuni interessati
all’Unione nella pianificazione territoriale estesa anche al Comune di Russi, non
rientrante nell’ente associativo, ma comunque in grado di percepire, anch’esso,
un’opportunità di sviluppo mediante la regolamentazione territoriale di tipo
sovracomunale e di conseguenza in grado di rendere maggiore attuazione al
PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) mediante l’adozione del
Piano Strutturale Comunale associato. Ciò che desta particolare interesse per
quest’ultima iniziativa è stata l’elaborazione programmatica e organizzativa del
Piano, formulato da dieci Comuni attraverso una rapida successione di interventi
e di concertazioni istituzionali cominciate nell’anno 2004, antecedentemente
all’istituzione dell’ente Unione, e concluse nell’anno 2009 con l’approvazione
avvenuta nei diversi Consigli Comunali e nel Consiglio dell’Unione. Pur
nonostante, la stesura completa del PSC è stata compiuta attraverso un
approfondito studio di elaborati tecnici di analisi e preparazione al piano,
attraverso l’istituzione di una Conferenza di Pianificazione, prima tappa
concertativa, ove sono stati invitati ad esprimere pareri e contributi per
indirizzare il PSC a specifici obiettivi, gli enti territoriali e le altre amministrazioni
preposte alla cura degli interessi pubblici coinvolti, nonché le associazioni
economiche e sociali. Da qui le altre fasi di preparazione all’adozione del Piano, si
sono concretizzate nella redazione di tre elaborati tecnici quali il Quadro
Conoscitivo (QC) , la Valutazione di Sostenibilità Ambientale e Territoriale
Preliminare (ValSAT Preliminare) e il Documento Preliminare (DP) . Altro
elemento che ha caratterizzato il processo di formazione del PSC passa dal
raccordo dei diversi uffici tecnici comunali in un unico Ufficio di Piano
dell’Associazione (UPA). La costituzione dell’Ufficio di Piano Associato, in grado di
collegare in rete tutti gli attuali uffici tecnici dei Comuni, ha avuto non soltanto lo
scopo primario di elaborare il PSC associato e di coordinare i contributi delle
consulenze esterne, ma ha anche supportato il rinnovamento, l’aggiornamento
ed una specifica qualificazione professionale dei tecnici in modo da formare una
vera e propria squadra dotata di professionalità, di adeguate attrezzature
tecnologiche, e di conoscenze innovative in grado di supportare efficacemente i
Comuni anche nella pianificazione comunale operativa e attuativa, avviando
difatti un processo di parziale omogeneizzazione delle normative urbanistiche
vigenti. Non meno importante è stato il ruolo della L.R. 20/2000 che ha fornito
una robusta spinta alla concertazione sovracomunale e alla co-pianificazione
riguardo a tutte quelle scelte urbanistiche che determinano esternalità rispetto
ai confini comunali: certamente le principali infrastrutture, i poli funzionali, i
principali ambiti specializzati per attività produttive, per i quali l’attuazione dovrà
passare attraverso accordi territoriali fra la Provincia e i Comuni, ma anche
l’entità della crescita urbana, dal momento che il PTCP ha stabilito
preliminarmente le condizioni e i limiti di sostenibilità ambientale e territoriale, e
che il miglioramento dello stato dell’ambiente è assunto come condizione per lo
sviluppo dei sistemi insediativi e socio economici. Proprio per questo è
necessario evidenziare come la suddetta legge abbia delineato un nuovo modello
non rigido, il cui pregio risiede nella sperimentazione di una pluralità di direzioni
e a forme-piano non strettamente prefissate, e di aver fornito vari spunti
innovativi da esplorare. Per quanto attiene più direttamente alle politiche
urbane, una novità significativa che sembra opportuno evidenziare consiste nella
diversa articolazione delle responsabilità e competenze fra Provincia e Comuni;
difatti oltre agli accordi territoriali e i limiti di sostenibilità ambientale sopra
citati, compensa anche un forte ampliamento nelle sfere di autonomia della
responsabilità e della libertà di movimento dei Comuni per quanto attiene la
gestione di tutti gli insediamenti esistenti o di espansione e delle relative loro
trasformazioni, pur rientrando nei limiti e nelle condizioni predefinite dal PSC e
nella VALSAT. Questa diversa articolazione di responsabilità, se da un lato
traduce i principi di <<sussidiarietà>>, <<differenziazione>> e soprattutto
<<adeguatezza>> nel livello di governo locale, dall’altro corrisponde anche a
mutamenti effettivi dei fenomeni urbani, ossia al rilievo economico e sociale
crescente delle trasformazioni interne all’urbano rispetto all’espansione urbana,
su esplicita volontà politica regionale, di rendere più efficace il controllo
dell’espansione e della dispersione degli insediamenti, e all’inverso di incentivare
la riqualificazione, sia sul piano finanziario che aumentando la flessibilità e
adattabilità delle procedure e della strumentazione urbanistica.
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