Download - "L'ENI e L'Iran 1973-1978", in NRS Anno 2014 – Volume XCVIII – Fascicolo II, a cura di, M. Bucarelli e S. Labbate

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L’ENI E L’IRAN (1973-1978)

1. Italia e Iran negli anni del boom petrolifero iraniano (1973-1975)

Lo shock petrolifero scatenato dall’offensiva dello Yom Kippur generò pesanti conseguenze sul sistema produttivo-fi nanziario italiano, ma costituì soprattutto un banco di prova decisivo per la compagnia di bandiera italiana. Sin dagli esor-di della crisi, che ebbe una sua prima concreta manifestazione per mezzo delle risoluzioni della Conferenza OPEC di Caracas (dicembre 1970), l’ENI cercò di caratterizzare positivamente la propria posizione, tentando di differenziarsi dal-le altre società petrolifere occidentali. L’ente italiano non sottoscrisse la lettera comune che le società inviarono nel gennaio del 1971 ai rappresentati dei Paesi del Golfo riuniti a Teheran, dunque, non aderì al fronte comune, denominato Gruppo di Londra, che le Compagnie tentarono di contrapporre al cartello dei produttori. Nonostante le sollecitazioni provenienti dalle Compagnie, l’ENI e l’ERAP francese non sottoscrissero quel documento. Da parte italiana, la rispo-sta non venne argomentata per non trasformare la mancata adesione in un atto rivolto contro le Compagnie, lasciando tuttavia i produttori liberi d’interpretare quella scelta nei termini di un rifi uto ad aderire al fronte delle major. In realtà, gli interessi più sensibili per l’Italia e la Francia si concentravano nel bacino Me-diterraneo – non nel Golfo – e la dirigenza della società pubblica italiana tentò in quel modo di prendere tempo al fi ne di poter meglio affrontare la congiuntura negativa per il sistema energetico italiano(1).

(1) Le Compagnie invitarono anche le società indipendenti a sottoscrivere la lettera comune diretta allo scià di Persia. All’appello risposero positivamente le società Bunk Hunt, Occidental, Ameredo, Atlantic, Richifi eld, Continental, Wintershall, Hispaniol, Petrofi na, Standard of Ohio, Aqui-taine e la giapponese Arabian Petroleum Company. La società italiana poteva oltretutto giustifi care la mancata adesione al fronte dei consumatori quale conseguenza del mancato coinvolgimento del governo italiano nelle consultazioni che si erano tenute a livello intergovernativo tra Francia, Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti. Cfr. The National Archives (TNA), Foreign and Commonwealth Offi ce (FCO), 67/554, The international oil situation, Note by the FCO Oil Dept., 13 gennaio 1971; TNA, FCO 67/582, Telegram from British Embassy in Rome, M. Hancock, to the FCO Oil Dept.,

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M. Ellingworth, 20 febbraio 1971; TNA, FCO 67/582, Telegram from British Embassy in Rome, M. Hancock, to the FCO Oil Dept., M. Ellingworth, 1 marzo 1971; TNA, FCO 67/629, Telegram from British Embassy in Bonn, R.I.T. Cromatie, to the FCO Oil Dept., M. Ellingworth, 5 aprile 1971.

(2) British Petroleum Archive (BPA), b. 8272, ENI-Consumer/Producer Country relationship, 16 giugno 1971; Archivio Storico dell’ENI (ASENI), Fondo ENI/Estero, Serie: Rapporti con le orga-nizzazioni nazionali e internazionali, b. 442, f. 1fc8, O.C.D.E. Riunione a Parigi 20.1.1971, Rapporto confi denziale f.to V. Giovagnoni per il Presidente, 23 gennaio 1971. Le signifi cative dichiarazioni di Aldo Moro in occasione della riunione dei capi missione in Paesi arabi (Tunisi 6 settembre 1970) sintetizzano questa tendenza da parte italiana: «Non dobbiamo precluderci rapporti bilaterali in attesa di quelli multilaterali: non dobbiamo abbandonare il multilateralismo a favore del bilatera-lismo, anzi rilevare le tendenze contrarie allo spirito comunitario». Archivio Centrale dello Stato (ACS), AAM, b. 130, Riunione di capi missione in Paesi arabi, Tunisi, 6 settembre 1970. Cfr. L. RICCARDI, L’internazionalismo diffi cile. La diplomazia del PCI e il Medio Oriente dalla crisi petrolifera alla caduta del muro (1973-1989), Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2013; F. IMPERATO, Aldo Moro, l’Italia e la diplomazia multilaterale. Momenti e problemi, Lecce, Besa, 2013; S. LABBATE, Aldo Moro e la Politica Energetica dell’Italia, in Aldo Moro nell’Italia Contemporanea, a cura di F. Perfetti - A. Ungari - D. Caviglia - D. De Luca, Firenze, Le Lettere, 2011, pp. 726-727.

Il governo di Roma fu allora chiamato a confrontarsi con la ricerca di un diffi cile equilibrio tra l’orientamento sostanzialmente fi lo-arabo della propria politica estera, gli interessi dell’ENI, le relazioni con i propri alleati e le riper-cussioni dello shock petrolifero sull’economia italiana. Per il ministro degli Esteri Aldo Moro appariva evidente che le condizioni del mercato imponevano una revisione del sistema idrocarburifero che tuttavia non avrebbe potuto condurre al totale superamento del ruolo ricoperto dalle Compagnie, imprescindibili per il funzionamento dell’economia occidentale. I governi dei Paesi consumatori non avrebbero dovuto attendere passivamente l’evoluzione del contesto idrocarbu-rifero, ma erano chiamati a intervenire preventivamente al fi ne di migliorare le condizioni di approvvigionamento per le economie europee, defi nendo contratti d’importazione diretta con i produttori che avrebbero permesso di affi ancare al sistema petrolifero dominato dalle società multinazionali un circuito indipen-dente ma complementare di rifornimento d’idrocarburi. La condotta dell’ese-cutivo italiano puntava quindi a conciliare i non sempre convergenti indirizzi che provenivano dalla CEE e dall’Alleanza atlantica, senza tuttavia rinunciare allo sviluppo dei rapporti bilaterali con i regimi produttori. Il governo sostenne quindi la dichiarazione comune europea sul confl itto arabo e si espresse, sin dalle prime battute, a favore del dialogo euro-arabo, ma evitò accuratamente di caratterizzare le proprie iniziative in senso negativo per Washington e fu, di fatto, tra i primi Paesi della CEE ad aderire alla Conferenza di Washington promossa dall’amministrazione Nixon(2).

Sul fronte dei rapporti bilaterali, l’indubbio interesse italiano allo sviluppo della cooperazione economica nel Mediterraneo si scontrava, da sempre, con i

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(3) «It must be admitted that, particularly in the case of ENI, their oil ventures are often used as a means of acquiring a toe-hold from which to secure export business for such organization as SNAM, and possibly the Italian economic planners regard ENI as a “loss leader” resembling the eye-catching items placed near the doors of a supermarket». TNA, FCO 67/213, ENI and ERAP, Report from the Shell Study Group, G.P. Glass, to the Ministry of Power, H. Scholes, 10 settembre 1969.

(4) La legge n. 1222 del 1971, che portava il nome del sottosegretario agli Esteri, il moroteo Mario Pedini, defi nì i contributi necessari per «promuovere la formazione tecnico-scientifi ca e professionale dei cittadini [e] per l’esecuzione di studi e progettazioni interessanti lo sviluppo dei Paesi in via di sviluppo». Si veda: Mario Pedini 1918-2003, a cura di S. Fontana, Brescia, Fondazione Civiltà Bresciana, 2010; P. BORRUSO, L’Italia tra cooperazione e terzomondismo, in Gli aiuti allo sviluppo nelle relazioni internazionali del secondo dopoguerra. Esperienze a confronto, a cura di L. Tosi - L. Tosone, Padova, Cedam, 2006, pp. 211-223; E. CALANDRI, L´Italia e l´assistenza allo sviluppo dal neo-atlantismo alla Conferenza di Cancun del 1981, in Nazione, interdipendenza, integrazione. Le relazioni internazionali dell´Italia (1917-1989), a cura di F. Romero - A. Varsori, 2 voll., I, Roma, Carocci, 2005. Cfr. Archivio Storico Istituto Don Luigi Sturzo (ASIDLS), Fondo Democrazia Cristiana, Sc. 215, f. 15; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Rapporti con le organiz-zazioni nazionali e internazionali, b. 4, f. 4098, Promemoria f.to G. Pasetti per il Presidente, 20 novembre 1969; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Rapporti con le organizzazioni nazionali e internazionali, b.4, f. 4098, Attività di cooperazione tecnica con i Paesi in via di sviluppo del gruppo ENI, Studio preparato dalla Direzione Esteri ENI, G. Pasetti, per la Presidenza ENI, giugno 1971; TNA, FCO 67/582, Telegram from British Embassy in Rome, M. Hancock, to the FCO Oil Dept., R.H. Ellingworth, 20 febbraio 1971; TNA, FCO 67/582, Telegram from British Embassy in Rome, M. Hancock, to the FCO Oil Dept., R. H. Ellingworth, 1° marzo 1971.

limiti strutturali del sistema economico e politico interno. Infatti, nonostante l’adozione della Legge Pedini, l’Italia all’inizio degli anni Settanta tardava ancora a strutturare una politica organica di cooperazione e sostegno allo sviluppo che consentisse di sorreggere effi cacemente lo sforzo delle aziende italiane nei Paesi in via di sviluppo. Di fatto, accadeva spesso che erano proprio le più importanti società italiane a promuovere gli interessi dell’Italia all’estero, creando i presup-posti per l’affermazione del prestigio del nostro Paese, dunque, per l’ulteriore sviluppo delle attività commerciali, anche delle imprese italiane minori(3). La missione mediorientale di Moro negli ultimi giorni del gennaio del 1974 fu quindi determinata dalla necessità di reagire alla crisi petrolifera, ma va anche conside-rata nel quadro del più vasto tentativo da parte della diplomazia italiana di porre le condizioni per lo sviluppo dei rapporti bilaterali con i produttori di greggio. All’indomani del confronto avuto con il ministro del Petrolio dell’Arabia Saudita Zaki Yamani e con il ministro per l’Energia dell’Algeria Belaid Abdesselam, in visita in Italia dal 10 al 12 gennaio 1974, emerse con tutta evidenza la necessità di avviare nel breve termine un confronto produttivo con i regimi mediorientali, i quali, in seguito all’evoluzione degli accordi consortili imposta alle Compagnie dai produttori, si apprestavano a gestire direttamente, con il supporto delle major, circa 250 miliardi di barili di riserve di greggio(4).

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(5) Il ministro degli Esteri italiano visitò l’Egitto (28 gennaio 1974), gli Emirati Arabi Uni-ti (29 gennaio), il Kuwait (29 e 30 gennaio), l’Iran (30 e 31 gennaio) e l’Arabia Saudita (1 e 3 febbraio). L’intensa attività diplomatica italiana in Medio Oriente si completò con il viaggio di Moro in Marocco dal 3 al 6 marzo 1974 e con la riunione dei capi delle missioni diplomatiche italiane in Medio Oriente a Jedda. Tra gennaio e febbraio, in 7 giorni, Moro percorse 16 mila km e intrattenne 30 ore circa di colloqui con i rappresentanti di alcuni dei più importanti regimi me-diorientali, ribadendo dinnanzi alla Commissione Esteri del Senato l’importanza di quel viaggio e «la necessità [per l’Italia] di essere presenti in modo nuovo in un’area delicata». Cfr. Moro alla Commissione Esteri del Senato. L’Italia e il Medio Oriente, in «Relazioni Internazionali», XXXVIII, 1974, 5, pp.120-23; Sulle nevi di Saint Moritz lo scià vende il petrolio, in «Corriere della Sera», 27 gennaio 1974; Il Viaggio della Speranza, in «Il Sole 24 Ore», 29 gennaio 1974; E. BETTIZA, Europei in ordine sparso, in «Corriere della Sera», 30 gennaio 1974. TNA, FCO 96/117, Meeting between the Secretary of State and The Shah of Iran at St. Morritz, Minute prepared by the FCO Middle East Dept., P.K. Williams, 24 gennaio 1975.

(6) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 165, f. 173d, Promemoria f.to Cipollini per il Dr. Santoro, 27 marzo 1973; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 165, f. 173d, Telegramma dell’ambasciatore L. Guazzaroni per R.Girotti, 3 agosto 1973.

L’importante missione di Moro in alcuni dei più rilevanti Paesi del Medio Oriente fu concepita anche per smentire chi accusava il governo di non aver fornito delle risposte adeguate rispetto ai problemi posti dalla grave crisi ener-getica. L’esecutivo italiano era infatti apparso poco dinamico rispetto ai partner europei, poiché, per esempio, i governi francese, tedesco e britannico avevano già effettuato le loro missioni diplomatiche e commerciali presso le capitali del bacino idrocarburifero arabo-persiano. D’altronde, quest’atteggiamento dei go-verni della Comunità europea contribuisce a evidenziare i limiti intrinseci della cooperazione comunitaria, poiché a fronte di un tentativo debole di affrontare gli effetti della crisi a livello multilaterale, le maggiori potenze europee si erano lanciate alla rincorsa di risorse e petrodollari mediorientali in ordine sparso e in aperta competizione tra di loro(5). La diplomazia e il mondo dell’industria italiani erano da anni impegnati a creare un più stringente rapporto tra l’Iran, il colosso energetico in fase di espansione industriale accelerata, e l’Italia. Di fatto, nel mese di aprile del 1973, dietro invito da parte del primo ministro iraniano e dietro le pressioni dell’Ambasciata italiana a Teheran, giunse in Iran una missione composta da funzionari dei ministeri degli Esteri, delle Partecipazioni Statali e del Commercio Estero, con l’intento di preparare la partecipazione dell’Italia al V Piano di sviluppo dell’Iran(6). Lo shock petrolifero e il conseguente boom fi nanziario dell’Iran contribuirono a sviluppare quell’attenzione dell’Italia nei confronti del gigante idrocarburifero persiano e, nel dicembre dello stesso 1973, giunse in Iran un’altra delegazione guidata dal sottosegretario alle Partecipazioni Statali Francesco Principe e composta dai rappresentanti di alcune delle principali aziende del settore pubblico (IRI, ENI, EFIM, EGAM).

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(7) La copertura sarebbe stata fornita dallo sfruttamento intensivo dell’85% delle riserve accertate della NIOC e questo malgrado le riserve accertate dell’Iran fossero di gran lunga infe-riori a quelle del Paese produttore rivale, l’Arabia Saudita. Nell’agosto del 1974 lo scià Reza Pahlavi avrebbe annunciato la revisione del V Piano, portando gli investimenti programmati a quota 68 miliardi di dollari e ponendo i presupposti per un ulteriore aumento della produzione nazionale, che avrebbe quindi prodotto un incremento del reddito pro-capite da 500 dollari a 1.500 dollari (+300%). Lo scià confermava e rilanciava lo sforzo di modernizzazione del regime, il quale, insie-me all’Algeria, fu tra i più orientati verso l’utilizzo delle risorse per il finanziamento dei processi d’industrializzazione dall’alto, disposto quindi a barattare la cooperazione industriale con l’Occi-dente con l’accesso alle riserve nazionali d’idrocarburi; per questi stessi motivi, l’Algeria e l’Iran costituirono i principali interlocutori delle società dell’ENI negli anni Sessanta e Settanta. TNA, FCO 8/2743, Iran’s fifth plan: the first three years, from British Embassy in Tehran, A. Parsons, to the Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, 17 giugno 1976. Si veda: R. MILANO, L’ENI e l’Iran 1962-1970, cit.; ID., L’ENI e l’Algeria (1963-1973), in Aldo Moro, l’Italia repubblica-na e i popoli del Mediterraneo, a cura di I. Garzia - L. Monzali - F. Imperato, Lecce, Besa, 2013, pp. 498-533.

(8) R. MILANO, L’ENI e l’Iran 1962-1970, Napoli, Giannini Editore, 2013.

Nel gennaio 1974, ad attendere Moro a Teheran c’erano il suo ex capo di Gabinetto, Luigi Cottafavi, successore di Girolamo Pignatti Morano di Custoza alla guida dell’Ambasciata italiana di Teheran, ma soprattutto c’erano le aspet-tative dei diversi operatori economici italiani presenti in quel Paese e attratti dalle potenzialità del V Piano di sviluppo dell’Iran (1973-1978). Il V Piano di sviluppo dell’Iran (1973-1978) aveva promesso di mettere a disposizione degli investimenti circa 63 miliardi di dollari, un capitale che nessuna economia me-diorientale aveva mai pianifi cato d’impiegare per lo sviluppo e che di fatto equi-valeva a quanto complessivamente investito dal governo iraniano nei precedenti quattro piani industriali di durata quinquennale, cifra che successivamente lo scià avrebbe ulteriormente ritoccato(7). L’ENI rappresentava il principale protagonista dell’attività economica italiana in Iran. La presenza dell’ente in Persia risaliva ai tempi di Mattei, quando il presidente sottoscrisse con Reza Pahlavi il simbolico accordo 75-25. Se quell’accordo aveva rivestito principalmente un signifi cato simbolico, i successivi sviluppi dei rapporti tra le società del gruppo e la NIOC (National Iranian Oil Company) in tutti i settori dell’industria idrocarburifera fecero dell’ENI un partner imprescindibile per l’Iran all’interno del progressivo processo di emancipazione industriale, dunque, nell’ambito della ridefi nizione dei rapporti di forza tra il governo di Teheran e le società petrolifere componenti il Consorzio petrolifero(8). Oltre all’ENI, in Iran diverse imprese italiane erano impegnate in attività industriali, in particolare nel settore delle infrastrutture dell’economia iraniana. Altre società del sistema delle Partecipazioni Statali ave-vano instaurato rapporti commerciali con Teheran, come le società dell’IRI (So-cietà condotte acque, Italstrade, Italsat, Termomeccanica, Ipisystem) e l’Agusta

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(9) G. TAMAGNINI, La caduta dello scià. Diario dell’ambasciatore italiano a Teheran (1978-1980), Roma, Edizioni Associate, 1990, p. 32. Cfr. National Archives and Records Administration (NARA), Central Foreign Policy File (CFPF) (7/1/1973-12/31/1976), Electronic Telegrams (1/1/1974-12/31/1974), Telegram from America Embassy in Rome, J. Volpe, to Secretary of State, 24 gennaio 1974; NARA, CFPF (7/1/1973-12/31/1976), Electronic Telegrams (1/1/1974-12/31/1974), Tele-gram from America Embassy in Rome, J. Volpe, to Secretary of State, 6 febbraio 1974, http://aad.archives.gov.

(10) L’Istituto di Cultura italiana, che era stato inaugurato a Teheran nel novembre del 1960 e che era gestito dall’ISMEO (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente), era sorto in ap-plicazione dell’Accordo italo-iraniano di cooperazione culturale fi rmato a Roma in occasione della visita dello scià di Persia il 29 novembre 1958. Si veda: ACS, AAM, Serie III, b.65, f.38, I rapporti culturali italo-iraniani, Appunto del Ministero degli Affari Esteri per il Consigliere Diplomatico del Presidente del Consiglio dei Ministri, 28 febbraio 1964. Cfr. R. MILANO, L’ENI e l’Iran 1962-1970, cit., pp. 146-147.

(11) L’intesa prevedeva, in particolare, la concessione di borse di studio a favore degli studen-ti iraniani e la costruzione in territorio iraniano dei Centri italiani di Informazione tecnologica promossi dal politecnico di Torino. Appare evidente come Moro cercasse in questo modo di far fronte al ritardo dell’Italia nella cooperazione, implementando relazioni bilaterali con i Paesi pro-duttori che avevano ormai guadagnato una posizione centrale all’interno del panorama politico internazionale. L’accordo ricalcava il modello delle convenzioni concluse nello stesso periodo con altri Paesi in via di sviluppo (Tunisia, Costa d’Avorio, Kenya, Somalia) e segnalava un maggiore impegno da parte dell’Italia nell’ambito dell’assistenza in favore dei PVS, in linea quindi con gli impegni previsti dal secondo decennio di sviluppo promosso dalle Nazioni Unite (1971-1980). Archivio Storico della Presidenza della Repubblica, b.797, f.7, Visita nell’Iran del Ministro degli

del gruppo EFIM, sostenuti dall’attività degli istituti di credito italiani. L’Iran godeva inoltre della consolidata esperienza di operatori privati come la società Impregilo, attiva nel settore della costruzione di dighe e impianti idroelettrici (a Dez e a Lar), le società operanti nel settore delle centrali e delle linee elettriche (Ghergo Impianti Elettrici, Società Anonima Elettrifi cazione, Sadelmi e Marinelli), la Pirelli, la Fiat e il Gruppo Bugnone, che negli anni Settanta realizzò in Iran una fabbrica di profi lati di alluminio(9).

Nel corso degli incontri con i rappresentanti iraniani, la delegazione guidata da Moro trattò diverse questioni sia di carattere internazionale che di natura bila-terale, e giunse alla sottoscrizione di un accordo bilaterale di cooperazione tecnico-scientifi ca, un’intesa che mirava ad approfondire il rapporto di cooperazione che i due Paesi avevano già consolidato in ambito culturale e archeologico(10). Del resto, sollecitazioni in tal senso erano giunte dallo stesso governo di Teheran, che aveva chiesto all’esecutivo italiano un impegno maggiore a favore dello svi-luppo della cooperazione bilaterale in ambito tecnico-industriale. Dal punto di vista simbolico, questo accordo segnava un signifi cativo mutamento impresso da Moro e dalla Farnesina alla cooperazione con l’Iran, ovverosia il passaggio da una cooperazione fondata su basi meramente culturali a una visione maggiormente orientata al mondo dell’industria(11). D’altronde, Moro poteva contare sulla soli-

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Esteri Aldo Moro, 16-18 settembre 1970, Rapporti culturali e di assistenza tecnica, cit. in S. COLIAEI, Aldo Moro e le relazioni italo-iraniane, in Aldo Moro, a cura di I Garzia - L. Monzali - F. Imperato, cit., p. 208.

(12) Espressa in questi termini, l’evoluzione dei rapporti petroliferi portò dunque al rovescia-mento della formula Mattei: non era più l’ENI a investire in accordi di sviluppo al fi ne di ottenere aree di ricerca e d’incrementare le riserve proprie d’idrocarburi, ma i produttori a offrire riserve in cambio della partecipazione tecnico-fi nanziaria all’industria del downstream idrocarburifero

dità dei rapporti tra lo scià e l’Italia, soprattutto sull’eredità simbolica di Mattei, l’antesignano della crisi del sistema petrolifero, colui che aveva per primo messo in discussione il monopolio delle Compagnie sulla produzione, distribuzione e lavorazione delle risorse idrocarburifere mediorientali.

In occasione della visita uffi ciale di Moro a Teheran, il determinante tema della collaborazione bilaterale tra Italia e Iran in ambito idrocarburifero, dunque, il tema dei rapporti tra l’Iran e l’ENI fu invece toccato solo marginalmente. In particolare, nel corso degli incontri di Teheran e dei colloqui seguiti alle visite presso gli impianti realizzati dall’ENI in Iran, Moro si limitò solo a brevi cenni relativi ai due grandi progetti industriali nel settore idrocarburifero che il gruppo italiano sperava potere concretizzare con il sostegno del governo di Teheran. Le nuove iniziative targate ENI di maggiore rilevanza in territorio persiano riguarda-vano la partecipazione alla realizzazione del progettato gasdotto euro-iraniano e un vasto accordo di cooperazione tra l’ente italiano e la società di Stato iraniano, che Marcello Colitti ribattezzò Iran connection. Questi complessi progetti erano espressione di un preciso indirizzo della presidenza Girotti, che mirava a conso-lidare la presenza della società all’interno del mercato idrocarburifero interna-zionale attraverso delle intese generali con i Paesi produttori (dette «proposte di servizi»), fondate sul principio dei rapporti diretti e del baratto industriale, un orientamento che trovava quindi un riscontro, almeno sul piano teorico, nella politica del ministro Moro. D’altronde, gli accordi ricercati dai produttori non si limitavano al baratto tra le risorse petrolifere e il trasferimento di know-how, una formula che di per sé non costituiva realmente un’innovazione all’interno del panorama dei rapporti tra produttori e consumatori. In cambio di forniture stabili e sicure di greggio, i regimi produttori più ambiziosi iniziarono a richiedere la partecipazione diretta delle società nazionali alle fasi della produzione nei Paesi consumatori, legando di fatto gli interessi dei produttori a quelli delle economie che maggiormente benefi ciavano delle risorse mediorientali. L’ENI individuò i possibili interlocutori focalizzando l’attenzione sulla Libia, ma anche sull’Iran, l’Arabia Saudita e l’Iraq, con i quali, già prima dello shock, Girotti aveva intra-preso delle trattative «segrete»(12).

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delle economie a sviluppo avanzato. Il declino della formula Mattei, determinato dall’erosione dei presupposti teorici sui quali si era fondata, fu confermato, sul piano pratico, dal fatto che nel dopo-Mattei l’AGIP diede vita soltanto a una società mista all’estero sul modello della SIRIP (l’IMINOCO, anche questa istituita in Iran). Del resto, i progetti dell’ENI contrastavano spesso con le prerogative delle singole società. In alcuni casi, le ambizioni di Girotti generavano confl itti tra gli interessi della casa madre e quelli delle società, mentre imprese come la TECNECO, istituita dalla holding per far fronte agli impegni con i produttori che gli accordi di servizio avrebbero generato, visse un perenne confl itto con le altre società del gruppo, anche a causa dei contrasti personali tra i vari dirigenti. Cfr. M. COLITTI, ENI. Cronache all’interno di un’azienda, Milano, Egea, 2008, p. 159 e ss.; F. BRIATICO, Ascesa e declino del capitale pubblico in Italia. Vicende e protagonisti, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 256 e ss..

(13) Nel 1962 venne istituita una nuova società all’interno del gruppo ENI, la COMERINT, che faceva capo alla SNAM Progetti e che subentrò progressivamente a quest’ultima nelle funzioni di cooperazione tecnica con i Paesi in via di sviluppo (in particolare, nel corso degli anni la società italiana gestì scuole di formazione in Algeria, Iraq, Nigeria, Angola, Somalia, Marocco, Egitto, Qatar e Venezuela). Nell’estate del 1976 la COMERINT presentò un’offerta per la realizzazione di due centri di formazione in Iran (Isfahan e Ahwaz). ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coor-dinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 167, f. 1754, Lettera f.ta C. Sarchi per H. Ansari, 14 giugno 1978.

(14) A metà degli anni Sessanta, la società statunitense di costruzioni Bechtel, con l’appoggio della francese Entrepose, mise a punto lo studio di fattibilità e, quindi, prese l’iniziativa che portò di fatto alla costituzione del Consorzio internazionale di progettazione e costruzione dell’oleodot-to turco-iraniano. Successivamente, le due società coinvolsero nell’operazione altri operatori del settore come la tedesca Manassen-Tyssen, la società britannica William-Brother e la SAIPEM. Il progetto e il piano economico-fi nanziario presentato dal Consorzio di costruzione venne approvato

2. L’Iran connection e il gasdotto euro-asiatico, i due grandi incompiuti dell’ENI in Iran

Il primo dei due vasti progetti di collaborazione industriale italo-iraniana riguardava la realizzazione di un gasdotto che avrebbe dovuto collegare i terminal del Golfo Persico a quelli del Mar Mediterraneo. La SNAM Progetti era una delle società italiane impegnate nella cooperazione industriale in Iran e ormai da anni seguiva con attenzione l’evoluzione dei progetti per l’export diretto delle risorse idrocarburifere(13). Infatti, l’azienda d’ingegneria e montaggio aveva cercato in precedenza di prendere parte anche al progetto di oleodotto turco-iraniano che avrebbe dovuto consentire all’Iran d’imporre il proprio greggio nel Medi-terraneo, aggirando Suez, attraverso il terminale turco di Iskenderun. Tuttavia l’ambizione del governo di Teheran di esportare direttamente le proprie risorse dovette scontrarsi con i limiti tecnici e fi nanziari delle opere richieste, oltre che con le diffi coltà politiche; in particolare, a rendere prematuri i progetti iraniani era stata l’indisponibilità delle risorse idrocarburifere, ancora controllate dalle Compagnie(14).

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in principio dall’Iran-Turkey Pipeline (IRTUP), la società mista turco-iraniana committente dell’ole-odotto, che tuttavia vincolò la decisione defi nitiva all’effettiva concessione del credito agevolato per l’export da parte degli istituti dei Paesi delle società di costruzione e progettazione, nonché al preventivo impegno da parte delle società occidentali a utilizzare quell’oleodotto per il trasporto del greggio iraniano in Europa. Si trattava di due condizioni che di fatto rendevano al momento insostenibile quel progetto. Il Consorzio, che nel 1969 commerciava ancora una percentuale pari al 90% del greggio iraniano, esportava in Europa solo 33 milioni di tonnellate annue rispetto ai 167 complessivamente esportati in tutto il globo, in particolare negli USA e, soprattutto, in Giappone. Anche per la società italiana la realizzazione dell’opera implicava oneri elevati quali l’acquisizione da parte della SAIPEM dei mezzi fi nanziari necessari (per un ammontare superiore a 100 milioni di dollari, eccessivo rispetto all’assegnazione di un «modesto lavoro di costruzione», di appena 120-140 milioni su 644 complessivi), mentre l’AGIP avrebbe dovuto impegnarsi all’utilizzo dell’ole-odotto per un periodo di almeno dieci anni. TNA, FCO 67/228, Confi dential minute prepared by the FCO Oil Dept, P.G. Wallis, 15 agosto 1969; TNA, FCO 67/412, Telegram from British Embassy in Washington, C.T. Brant, to the FCO Oil Dept., P.G. Wallis, 17 aprile 1970; TNA, FCO 67/413, Telegram from Ministry of Overseas Development to the FCO, 3 febbraio 1970. Cfr. R. MILANO, L’ENI e l’Iran 1962-1970, cit., pp. 241-42.

(15) TNA, FCO 8/2516, Telegram from British Embassy in Tehran, R. H. Elingworth, to the FCO Energy Dept., J. Lindley, 27 marzo 1975. Cfr. F. FESHARAKI, Development of the Iranian Oil Industry. International and Domestic Aspects, Praeger Pubblisher, New York, 1976, pp. 57-60.

Nel corso degli anni Settanta il regime iraniano sembrò invece poter fi nal-mente accedere alle risorse necessarie per realizzare le pipeline verso l’Europa. Nell’aprile del 1968 l’ERAP, l’AGIP, la PETROFINA (Belgio), l’OMW (Au-stria) e la società HISPANOIL siglarono un accordo con il quale venne istituita l’AREPI (Association des Recherche Pétrolière Iranienne, EGOCO in lingua inglese), un’organizzazione fi nanziaria che avrebbe dovuto gestire le operazioni di ricerca e la produzione di greggio in un’area della provincia di Fars, una delle tre zone restituite alla NIOC dal Consorzio iraniano in applicazione dell’accordo del dicembre 1966. Il Contratto di servizio tra la NIOC e l’EGOCO entrò in vigore nel giugno del 1969, ma negli otto anni di attività di ricerca le società non rinvennero petrolio, bensì gas naturale. Nell’offshore della regione di Kangan, dove in seguito verrà scoperto anche il giacimento Pars, la più grande riserva di gas naturale mai scoperta al mondo, furono infatti scoperti 4 giacimenti (Kangan, Nar e Varavi in prossimità della costa, Aghar più a Nord), per riserve valutabili intorno ai 1500 miliardi di metri cubi. Oltre alle risorse che l’EGOCO rinvenne nella regione di Kangan, grazie al nuovo accordo con le Compagnie (il Sale and Purchase Agreement venne ratifi cato dal Majilis il 19 luglio 1973), la National Iranian Gas Company (NIGC) poté vantare l’acquisita sovranità su tutte le ri-serve di gas dell’area dell’ex Consorzio, risorse che le Compagnie non avevano valorizzato, limitandosi a praticare il gas fl earing o la re-iniezione del gas naturale all’interno dei giacimenti petroliferi(15). Le nuove opportunità nei settori della

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(16) Un accordo dell’ottobre 1972 defi nì la fornitura per 7-10 miliardi di metri cubi l’anno di gas destinati ai mercati del Giappone e degli USA. Il gas sarebbe stato liquefatto e trasportato da una società mista composta dalla NIGC e da un gruppo di società consorziate appartenenti ai Paesi d’importazione del gas. Nel 1975 un altro progetto era in discussione con un gruppo di società giapponesi, guidate dalla Itoh, per l’importazione di altri 6 miliardi di metri cubi di gas. Anche in questo caso era prevista la costituzione di una società mista, denominata Kalingas, tra la NIGC e un second party composto dalle società indipendenti giapponesi che avrebbero dovuto sviluppare il giacimento offshore di gas a sud di Bushir. Un memorandum d’intesa venne sottoscritto nel dicembre del 1974 tra la NIGC e un gruppo misto belga-statunitense per la realizzazione di un altro impianto di liquefazione e per il trasporto in Europa di GNL. Il tratto caratterizzante di queste iniziative era costituito dalla riproposizione del modello che prevedeva a carico del socio della NIGC tutti gli oneri e gli anticipi legati ai processi di lavorazione del gas naturale iraniano, un modello che l’Iran cercò d’imporre anche alle società dell’EGOCO, determinando l’impasse dei negoziati per lo sfruttamento del gas scoperto dalle indipendenti europee. Cfr. ASENI, b. 159, f. 1658, Nuove iniziative iraniane nel settore del gas naturale, Appunto per il Presidente, 23 febbraio 1973; TNA, FCO 8/2516, Oil Industry in Iran, Note by the FCO Energy Dept., S.L. Egerton, 12 febrraio 1975.

(17) Un primo lungo promemoria in relazione alla possibile importazione del gas iraniano in Europa risaliva al maggio 1969. Preparato dal governo imperiale iraniano e trasmesso attraverso l’Ambasciata italiana al Ministero degli Affari Esteri, il documento sottolineava il peculiare obiettivo della politica iraniana d’indirizzare il proprio gas verso le regioni industrializzate più assettate di risorse. In particolare, il fi ne era d’intercettare la crescente domanda di gas naturale in Europa per mezzo della realizzazione di un legame diretto, un lungo gasdotto transcontinentale paragonabile, per impegno tecnico e fi nanziario, a quelli già costruiti in Nord America e tra l’Unione Sovietica e l’Europa orientale. ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Rapporti con le organizzazioni nazionali e internazionali, b. 37, f. 3ac8, Appunto f.to L. Focardi per il Presidente, 18 gennaio 1973.

(18) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Rapporti con le organizzazioni nazionali e internazionali, b. 37, f. 3ac8, Promemoria f.to E. Egidi per Ing. A. Barbaglia, 15 febbraio 1973.

produzione, del trasporto, della trasformazione e della commercializzazione del gas naturale attirarono gli operatori europei, ma anche le società statunitensi, giapponesi e le autorità sovietiche(16).

L’ENI, come visto, aveva già da anni sviluppato un interesse nei confronti dei progetti d’importazione diretta delle risorse iraniane, interesse che venne rinnovato dal gruppo italiano in connessione con le ambizioni della presidenza Girotti(17). Per l’Italia si trattava di un’opportunità soprattutto per accrescere il grado di diversifi cazione dell’economia del Paese. L’opera avrebbe infatti potuto creare un’alternativa al gas naturale – che l’Italia si era impegnata a importare dall’URSS a partire dal 1973 – e alle risorse che i vertici del gruppo stavano negoziando con le Compagnie (che estraevano il gas di Groningen, Paesi Bassi) e con la società di Stato algerina SONATRACH(18). Tuttavia, considerata la pluralità di fonti già acquisite e la diffi coltà da parte dell’AGIP di determinare la consistenza delle riserve in Adriatico, è possibile immaginare che dietro l’in-teresse per il gasdotto dall’Iran vi fossero interessi più specifi ci, in particolare

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(19 )Le proposte per il tracciato della pipeline per il trasporto del gas iraniano in Europa erano tre: a) percorso unicamente via terra, che attraversando l’Iraq, la Siria, la Turchia, la Grecia e la Repubblica Socialista Federale di Jugoslava avrebbe dovuto raggiungere Monfalcone; b) percorso misto, che prevedeva un tratto via terra fi no alla Turchia, il processo di liquefazione ad Alessan-dretta e il trasporto via metaniere fi no a Monfalcone, dove le risorse destinate al mercato europeo sarebbero state rigassifi cate; c) percorso interamente marino attraverso il Capo Buona Speranza, con un impianto di liquefazione in Iran e uno per la rigassifi cazione a Monfalcone. Dalla scelta del percorso per il gas iraniano sarebbe dipesa la capienza del gasdotto. ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 165, f.173d, Incontro Girotti-H.I.M. Lo scià di Persia, Saint Moritz, 23 febbraio 1973, 28 febbraio 1973. Cfr. R. MILANO, L’ENI e l’Iran 1962-1970, cit., p. 234.

quelli legati alla partecipazione dell’AGIP al consorzio EGOCO. La continuità tra l’iniziativa di ricerca a conduzione italo-francese in Iran e i progetti per l’im-portazione delle stesse risorse gasifere in Europa risultò essere fondamentale nella conduzione delle trattative e, infi ne, nel fallimento delle stesse. Per i dirigenti dell’ENI ottenere dagli Iraniani un affi damento sull’utilizzazione prioritaria del gas dell’area EGOCO per l’alimentazione del gasdotto costituiva una priorità assoluta e decisiva. L’incontro di Saint Moritz (23 febbraio 1973) tra il presiden-te Girotti e lo scià di Persia, seguito dai colloqui tra il presidente e il direttore generale della NIOC, Riza Fallah, costituirono l’occasione per un confronto ad altissimo livello circa i risultati e le prospettive della collaborazione tra ENI e Iran nei settori della produzione, lavorazione e trasporto degli idrocarburi. In quella circostanza, lo scià ribadì ancora una volta «la Sua volontà di stringere nuovi, più onesti rapporti con l’ENI nella convinzione che gli uomini e l’ENI di oggi rappresentino la continuazione ideale dello spirito di Mattei». Il principale argomento di discussione fu proprio il progetto di trasporto del gas naturale in Europa occidentale, per il quale erano al vaglio preliminare tre possibili percorsi(19). Tuttavia lo scià, pur ribadendo il vivo interesse dell’Iran alla rea-lizzazione del progetto di gasdotto verso la Turchia, in quella stessa circostanza ripropose una soluzione alternativa che prevedeva di trasportare il gas naturale del Golfo Persico in Europa occidentale attraverso il territorio sovietico.

Infatti, il governo imperiale dell’Iran dimostrava di essere sensibile alla pro-posta giunta da Mosca che intendeva potenziare le infrastrutture esistenti al fi ne di consentire un fl usso maggiore di risorse iraniane verso l’Europa. L’Iran Gas Trunkline (IGAT), che collegava il centro industriale di Astara, in Unione Sovie-tica, al giacimento iraniano di Behbean, già portava il gas iraniano estratto dall’ex Consorzio in Europa orientale, ma la limitata capacità di trasporto dell’IGAT (circa 1 miliardo di metri cubi al giorno) rispetto a quelle che erano le ambizioni di Mosca e di Teheran impose di raddoppiare il gasdotto. Si trattava quindi di creare un sistema di trasporto intercontinentale incentrato sia sulle infrastrutture

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(20) La SNAM aveva cercato di prendere parte anche alla costruzione del primo gasdotto tran-snazionale iraniano, l’IGAT. Fu il consorzio anglo-iraniano IMEG ad aggiudicarsi la realizzazione della colossale opera, anche grazie al sostegno del governo britannico, mentre la SNAM non riuscì a inserirsi tra i committenti di quest’ambiziosa opera, probabilmente anche a causa dei problemi relativi alla concessione dell’affi damento e delle garanzie assicurative da parte dell’esecutivo ita-liano. TNA, FCO 54/51, Irano-Soviet Relations (1963-1968), Memorandum from Research Dept., 5 dicembre 1968; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 199, f. 3106, t.sso dal Ministero degli Affari Esteri per il Ministero delle Partecipazioni Statali, 12 agosto 1966. Cfr. Twentieth Century Iran, a cura di M. Amirsadeghi, London, Heinemann, 1977, pp. 114-15. Sul tema dei progetti iraniani per l’export di gas si veda TNA, FCO 8/2073, Memorandum prepared by the FCO Oil Dept., J.P. Burnett, 16 febbraio 1973.

(21) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b, 165, f. 173d, Lettera f.ta R. Girotti per M. Eqbal, 14 aprile 1973.

irano-sovietiche, sia sul gasdotto interno al blocco sovietico, che seguiva il percor-so dell’«oleodotto dell’amicizia» e che lambiva i confi ni dell’Europa dell’Ovest. È interessante quindi notare come già a partire dai primi anni Settanta, attra-verso questo sistema combinato di trasporto del gas naturale, Mosca tentava di qualifi carsi quale hub della distribuzione del gas europeo(20). Del resto, grazie soprattutto alle conseguenze della distensione, la via sovietica divenne un’opzione fruibile anche per i governi europei che intendevano importare il gas iraniano, una soluzione che, come affermato dallo scià durante l’incontro con Girotti, garantiva maggiore sicurezza dei fl ussi energetici rispetto al transito per il Medio Oriente. Al contrario, Girotti riteneva la soluzione sovietica inopportuna, soprattutto perché costituiva un’opzione che per l’Italia sarebbe risultata economicamente e strategicamente poco conveniente.

In occasione dell’incontro di Saint Moritz, lo scià chiese comunque all’ENI di predisporre un memorandum da sottoporre alla NIGC e auspicò l’adozione in breve termine di uno studio di fattibilità relativo all’opera(21). Il Memorandum of Understanding tra l’ENI e la NIGC venne siglato il 20 giugno del 1973, a cui fece seguito il più vasto accordo di principio a proposito della collaborazione tra i due Paesi nei settori del downstream (della raffi nazione e della distribuzio-ne degli idrocarburi), sottoscritto il successivo 8 agosto. Secondo la lettera del memorandum l’ente sarebbe stato il capofi la di un futuro consorzio composto da società europee, il cui coinvolgimento risultava essere necessario al fi ne di assorbire il gas naturale ceduto dall’Iran e, quindi, per contribuire al fi nanzia-mento dell’opera stessa. La SNAM coinvolse nel progetto d’importazione del gas iraniano in Europa altre società europee come la RUHRGAS e Gaz de France, che come la società italiana stavano trattando contratti d’importazione per il gas naturale sovietico e che, dunque, sarebbero state interessate a trovare con l’ENI un’alternativa energetica al fl usso proveniente da Mosca. L’esigenza per le società

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(22) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 165, f. 173d, ENI-NIGC Memorandum of Understanding, 20 giugno 1973; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 159, f. 1658, Note su accordo ENI-NIOC, 2 agosto 1973.

(23) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 165, f.173d, Lettera f.ta ambasciatore L. Guazzaroni per il presidente R. Girotti, 3 agosto 1973.

europee di diversifi care le fonti di approvvigionamento era oltretutto rafforzata dal contestuale tentativo da parte delle autorità moscovite di consolidare il rap-porto di cooperazione irano-sovietica nel settore idrocarburifero, intensifi cando proprio le importazioni di gas attraverso il raddoppio dell’IGAT.

Il primo problema per le società indipendenti era costituito dallo studio di fattibilità per ciascuno dei percorsi al vaglio delle autorità italo-iraniane. Dalla scelta del percorso per il gas iraniano sarebbe dipesa la capienza del gasdotto. Nei primi anni Settanta le tre opzioni erano dunque all’esame delle società e delle auto-rità iraniane, anche se l’opzione interamente terrestre venne presto abbandonata, date le diffi coltà pratiche legate all’attraversamento delle regioni mediorientali(22). L’incontro tra Reza Pahlavi e l’ambasciatore italiano Luigi Ortona in occasione della visita uffi ciale iraniana a Washington (23-27 luglio) offrì un’ulteriore occa-sione per un confronto tra le parti. Anche in questa circostanza lo scià toccò i temi della collaborazione economica tra l’Iran e l’Italia, manifestando apertamente la propria speranza di «trovare nell’ENI un partner su cui contare per forme di cooperazione di notevole rilievo» e dichiarando solennemente che «con l’ENI faremo cose enormi: un’opera che supererà forse tutte quelle esistenti in tema di gas-metano»(23). Il progetto promosso dall’ente e sostenuto dal nuovo costituendo Consorzio di società europee era ancora eccessivamente ambizioso. Al di là degli evidenti limiti tecnici di un progetto che, di fatto, anticipava di molti anni l’attuale tendenza alla costruzione di gasdotti transnazionali, altre questioni frenavano le ambizioni euro-iraniane. La situazione del mercato del gas naturale in Europa e nel Mediterraneo, quella che gli osservatori defi nirono la «guerra del metano» e che rendeva il panorama estremamente mutevole, minò la validità del progetto. Vi era il problema della competitività del gas iraniano rispetto alle concorrenti risorse nordafricane e, soprattutto, l’Iran non era intenzionata a immobilizzare i circa 40 miliardi di metri cubi previsti dal progetto europeo senza ottenere in cambio un consistente ritorno in termini fi nanziari e di garanzie d’investimenti diretti da parte degli acquirenti. A monte dei progetti di esportazione del gas naturale c’era infatti lo sviluppo dei giacimenti gasiferi dell’area di Kangan, quindi, la realizzazione del gathering system, di un impianto per il trattamento del gas e di liquefazione, per investimenti complessivi stimati nell’ordine dei 2.500 miliardi di

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(24) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 159, f.164f, Riunione a Teheran, 8-9 settembre 1974, Promemoria f.to A. Fogliano, 17 set-tembre 1974. L’IGAT II, lungo oltre 1400 km, sarebbe stato diviso in tre tronconi: il primo (Tronco Nord) realizzato dall’URSS e gli altri due (Astara-Isfashan e Isfahan-Kangan), per un valore di 185 milioni di dollari, realizzati dalle autorità iraniane. L’intero gasdotto avrebbe dovuto trasportare 23-25 miliardi di metri cubi di gas l’anno, 10 di questi destinati al mercato interno, in particolare ad alimentare gli impianti industriali in progettazione intorno alla città di Isfashan, mentre la restante parte avrebbe dovuto raggiungere i Paesi acquirenti e fi rmatari dell’intesa trilaterale alla base dell’operazione. Durante il meeting di Mosca del 20 maggio 1973 Iraniani e Sovietici avevano raggiunto l’intesa sul prezzo che permise di rinnovare l’accordo per l’esportazione del gas iraniano attraverso l’IGAT. Le autorità di Mosca accolsero le richieste iraniane che da qualche mese pe-savano sui rapporti bilaterali tra i due Paesi e posero le basi per la concretizzazione del progetto di raddoppio del gasdotto al fi ne di servire gli Europei. Il 17 agosto 1974 Nikolay Osipov, dopo 12 giorni di negoziati, fi rmò l’accordo con l’Iran per la revisione del prezzo di acquisto del gas naturale che l’Unione Sovietica riceveva attraverso l’IGAT con effetto retroattivo al primo gennaio. L’esigenza di chiudere per il raddoppio del gasdotto impose alle autorità sovietiche di accordare un incremento del prezzo pagato per ogni metro cubo. Il prezzo per un metro cubo di gas passava da 30,7 a 61,3 centesimi di dollaro, un aumento giustifi cato dal fatto che l’URSS vendeva in Europa il gas al prezzo medio di 40 centesimi di dollari. In seguito, la Ruhrgas, capofi la del progetto, istituì un consorzio composto dalle società appartenenti ai Paesi che avrebbero benefi ciato del fl usso di gas naturale proveniente dal Golfo (Gaz de France, OMV e una società facente capo al governo della Cecoslovacchia, mentre la SNAM si ritirò dal progetto). Il consorzio precedentemente costituito sottoscrisse quindi un accordo trilaterale con l’Iran e l’Unione Sovietica per l’importazione del gas iraniano. TNA, EG 14/9, Note by the Canadian Delegation at the NATO’s Economic Committee transmitted to the FCO, 9 luglio 1974; TNA, FCO 8/2073, Iran/Soviet Union Gas, Report from the FCO, K.W. Owen, to FCO Middle East Dept., P.K. Williams, 4 luglio 1974. Più caro il gas iraniano per l’URSS, in «Relazioni Internazionali», XXXVIII, 1974, 34-35, p. 853.

dollari. Nonostante le enormi riserve dell’Iran avrebbero teoricamente permesso al Paese di sostenere un export fi no a 200 miliardi di metri cubi l’anno, in quel momento lo scià non era disposto a svendere le risorse e non intendeva quindi cedere il mercato del gas europeo alle società dell’EGOCO senza ottenere in cambio impegni consistenti da parte delle stesse società.

Furono queste diffi coltà, la completa divergenza d’interessi in relazione allo sfruttamento del gas di Kangan, a frenare il progetto, che oltretutto partiva svantaggiato rispetto alla soluzione sovietica per il trasporto del gas del Golfo verso l’Europa, poiché l’IGAT II aveva l’indubbio pregio di essere più concreto e già pronto per essere realizzato(24). Anche per il governo di Bonn lo schema russo costituiva il progetto più valido per il trasporto del gas in Europa, sostan-zialmente l’unico che aveva concrete possibilità di successo. La RUHRGAS si concentrò quindi sull’accordo trilaterale con Mosca e Teheran per l’importazione di gas dall’Iran attraverso i territori dell’Unione Sovietica e dell’Europa orientale, malgrado, almeno formalmente, la società tedesca non avesse abbandonato la soluzione del gasdotto mediterraneo promosso dalle società italiane, continuando

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(25)ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 163, f. 16f7, Lettera f.ta C. Siano per G. Pasetti, 29 settembre 1973; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 156, f. 164f, Telegramma f.to L. De Lucchi per la Direzione Esteri ENI, 14 novembre 1973.

(26) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 163, f. 16f7, Lettera f.ta P. Landolfi , per L. De Lucchi, 16 ottobre 1973. Lo stesso De Lucchi tornò in più occasioni sull’argomento cercando di ottenere la partecipazione della SNAM al progetto euro-sovietico che, a differenza del sistema di trasporto per il gas via Turchia, risultava essere più concreto e maggiormente remunerativo per le società. ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 165, f. 1740, Lettera f.ta L. de Lucchi per la Direzione Esteri ENI, dott. F. Lera, 18 maggio 1974.

(27) I termini delle intese sottoscritte dalle società erano speculari; prevedevano il versamento di un bonus a favore della NIOC al momento della fi rma del contratto di servizio di quindici anni e stabilivano la durata della fase di esplorazione di cinque anni. Se al termine delle ricerche fossero stati rinvenuti giacimenti di greggio commerciabili, le società operatrici avrebbero avuto un’op-zione di acquisto sul 50% del greggio prodotto a un prezzo scontato prestabilito. La DEMINEX (Repubblica Federale Tedesca) ottenne il 30 luglio 1974 due aree contigue: la prima ampia 7.800 km², con 20 milioni di bonus, una spesa minima di 36 milioni e una percentuale di sconto del 5%; la seconda di 6.700 km², con 12 milioni di bonus, una spesa minima di 32 milioni e una percentuale di sconto del 3-3.8%. La CFP, in virtù dell’accordo del 27 luglio 1974, benefi ciò di un’area di 8.000

uffi cialmente a dichiarare la propria disponibilità verso un progetto che si riteneva non essere concorrente rispetto al raddoppio dell’IGAT(25). Anche l’Italia aveva guardato con interesse allo schema sovietico e la SNAM aveva effettivamente proposto la propria candidatura al consorzio che RUHRGAS avrebbe costitui-to per defi nire l’importazione del gas iraniano attraverso i territori dell’Unione Sovietica. La soluzione sostenuta dai Tedeschi era tuttavia poco conveniente sia dal punto di vista della diversifi cazione dei fl ussi energetici e sia perché non garantiva all’Italia un reale abbattimento degli oneri fi nanziari, ma soprattutto non consentiva all’Italia di affermarsi quale collettore dei fl ussi gasiferi iraniani in Europa(26).

Nell’estate del 1974 la NIOC sottoscrisse sei contratti di servizio per la pro-spezione e lo sviluppo di un’area compresa tra Shiraz e Abadan, precedentemen-te detenuta dal Consorzio, e che in base agli accordi sottoscritti le Compagnie avevano restituito all’Iran. L’AGIP fi rmò il 28 agosto l’ultimo dei sei contratti, aggiudicandosi l’esplorazione e l’eventuale sviluppo dell’area di ricerca di Lar Block (provincia di Fars, Monti Zagros meridionali). I circa 7 mila km quadrati costarono all’azienda italiana un bonus di un milione di dollari e un impegno di spesa di 20 milioni di dollari da investire nel periodo di durata del contratto di quindici anni. Precedentemente, la Compagnie Française des Pétroles (CFP), il consorzio tedesco DEMINEX e due società indipendenti statunitensi avevano raggiunto accordi simili per le aree di ricerca liberate dall’accordo di Saint Moritz, intese che prevedevano condizioni generalmente più onerose(27). Infatti, come confermato dall’Ambasciata

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km² contro un versamento di 6 milioni, una spesa di ben 40 milioni e una percentuale del 5%. In base al contratto sottoscritto l’8 luglio, la Ultramar (USA) versò 4,5 milioni di dollari di bonus per un’area di 7.800 km², per una spesa minima di 14 milioni e uno sconto del 4-5%. Infi ne, la Ashland sottoscrisse il 20 agosto l’accordo che prevedeva un versamento di 6,25 milioni, 25 milioni di spesa minima e una percentuale che oscillava tra il 3.5 e il 5%. F. FESHARAKI, The development of Iranian oil industry, New York, Praeger, 1976, p. 83.

(28) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 160, f. 166a, Lettera dall’Ambasciata d’Italia a Teheran per il Ministero degli Affari Esteri, 29 agosto 1974.

di Teheran, Italiani e Francesi avevano ottenuto le migliori condizioni contrattuali, un’evidenza che veniva da più parti legittimata dal fatto che le aree assegnate al DEMINEX erano quelle con il minore rischio geologico(28). Il fatto che l’AGIP fu l’ultima a fi rmare i contratti fu probabilmente determinato dall’intento da parte della società italiana di negoziare altre aree di ricerca rispetto a quella realmente ottenuta, per esempio quella della regione di Abadan, la più promettente tra quelle messe all’asta da Teheran e che il consorzio tedesco DEMINEX si aggiudicò pa-gando un oneroso bonus di 20 milioni di dollari. L’AGIP-Iran si aggiudicò infi ne l’ultima area a condizioni molto favorevoli. Oltre a versare un cash bonus minimo, riuscì a ottenere una percentuale di sconto del 5% sull’opzione di acquisto del greggio proveniente dai giacimenti scoperti e che sarebbero divenuti di proprietà della NIOC al momento dell’inizio della produzione. Inoltre, il contratto di servizio prevedeva un investimento minimo in quell’area di 20 milioni di dollari in quindici anni, anche in questo caso la cifra più bassa tra quelle che gli altri cinque contratti prevedevano per ciascuna delle aree. La percentuale relativamente elevata, superiore di più di un punto percentuale a quella concessa agli altri operatori, ma identica a quella ottenuta dalla CFP, costituiva un’altra condizione favorevole a benefi cio della società italiana, concessioni che evidentemente erano determinate dall’eleva-ta possibilità d’insuccesso delle ricerche nella regione, ma che in parte potevano essere giustifi cate dalla prospettiva di sviluppo della collaborazione tra l’Iran e la società italiana in diversi altri settori. Tra le società fi rmatarie vi erano la CFP e, soprattutto, il consorzio sorto alla fi ne degli anni Sessanta in Germania Ovest sotto la spinta del governo federale al fi ne di dotare il Paese di una società indipendente nel settore petrolifero. Nei mesi successivi alla costituzione, DEMINEX era entrato in contatto con la NIOC, che ne aveva promosso anche l’adesione al Consorzio. Pertanto, appare evidente come l’Iran guardasse con maggiore interesse alle società europee e che i governi nazionali tentavano in quella fase di ridefi nizione degli equilibri idrocarburiferi di guadagnare terreno rispetto ai concorrenti, puntando decisamente sui rapporti bilaterali al fi ne di ottenere ricadute positive in relazione alle forniture di idrocarburi, ma anche di captare le opportunità offerte dagli in-vestimenti diretti e dai fl ussi di petrodollari iraniani.

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(29) Sarchi fu tra i più importanti rappresentanti dell’AGIP nell’Iran dei Pahlavi. Egli ricoprì la carica di responsabile della produzione per conto della SIRIP e amministratore delegato dell’IMI-NOCO, maturando in un decennio di attività sul campo una precisa conoscenza dei meccanismi di funzionamento del potere iraniano e stabilendo una fi tta rete di relazioni personali. Fu quindi un dirigente di primo piano dell’ente italiano negli anni Settanta, e dopo aver ricoperto la carica di vice direttore generale dell’AGIP per le attività estere (1969-1973) e quella di direttore generale per il medesimo settore (1974-1975), ricoprì anche il ruolo di “ministro degli Esteri” dell’ENI dal 1975, quando appunto il presidente Sette gli affi dò l’incarico di responsabile della direzione per l’estero.

(30) L’AGIP aveva anche sottoscritto un’intesa con la società di Stato francese ERAP a propo-sito dell’acquisizione congiunta di nuove aree di ricerca in Iran mediante negoziati comuni. Come già avvenuto in passato, in particolare nel corso della gara del 1964, l’AGIP riteneva di doversi associare alle altre società indipendenti al fi ne di disporre di maggiori risorse da offrire all’Iran nel tentativo di assicurarsi le aree più promettenti, dunque più costose in termini di cash bonus. La non acquisizione del blocco di Abadan potrebbe dunque essere stata causata dal mancato perfezio-namento della partnership ENI-ERAP nel corso del 1973. Cfr. ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Rapporti con le organizzazioni nazionali e internazionali, b. 11, f. 3a, Promemoria f.to E. Egidi per L. Roasio, 17 settembre 1973.

(31) Nel mese di marzo 1975, l’AGIP-Iran acquisì anche il 40% della proprietà della Lar Expolaration Company, la società costituita dall’indipendente USA Ashland per l’esecuzione delle attività previste dal contratto di servizio precedentemente sottoscritto con l’Iran. Tuttavia, nei primi mesi del 1977 l’AGIP, raggiunta la spesa minima d’impegni di 20 milioni di dollari, decise di non proseguire le ricerche e rilasciò anticipatamente l’area. ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Rapporti con le organizzazioni nazionali e internazionali, b. 11, f, 2a, Promemoria f.to E. Egidi per il Presidente, 1 marzo 1977.

Non è possibile stabilire un legame dimostrabile tra la partecipazione dell’AGIP allo sfruttamento di quelle aree di ricerca e i futuri, auspicati, svilup-pi della collaborazione con l’Iran in altri settori. Tuttavia, il giorno successivo all’accordo, Luigi Cottafavi ricevette a colazione i due rappresentanti delle società fi rmatarie, Carlo Sarchi e Manuecher Eqbal e in quell’occasione l’ambasciatore italiano a Teheran ribadì il proprio auspicio di vedere concretizzata la coopera-zione italo-iraniana nel settore del downstream e del trasporto del gas dell’Iran verso le industrializzate regioni d’Europa(29). L’accordo di servizio era giustifi cato da considerazioni economiche autonome, poiché gli investimenti in nuove aree di ricerca nel settore della ricerca in Iran erano stati previsti dal piano d’inve-stimenti dell’AGIP, che sui vicini monti Zagros operava già da diversi anni(30). Considerate le favorevolissime condizioni a cui l’AGIP ottenne quell’accordo, nonché gli interessi che l’Italia e i Paesi europei erano intenti a coltivare in ma-niera concorrenziale in Iran, il contratto era da considerarsi in continuità con gli obiettivi e le fi nalità strategiche dell’ente italiano in Iran negli anni Settanta(31). Nel corso del 1974 le autorità italiane continuarono a tenere in piedi il progettato gasdotto, concentrandosi principalmente sulla disputa relativa allo sfruttamento delle risorse di Kangan. Infatti, come accennato in precedenza, i due temi erano intimamente legati tra loro. L’insuccesso del negoziato tra le autorità iraniane e i

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(32) Il Centro Studi Agricoli di Borgo a Mozzano, che era stato ceduto dalla SHELL-Italia all’ENI nell’ambito dell’operazione che portò all’acquisizione della rete di distribuzione e delle raffi nerie SHELL in Italia nel corso 1974, collaborava con il Ministero dell’Agricoltura dell’Iran sin dal 1960. Dal 1968 numerosi tecnici iraniani si formavano in Italia presso il centro in Toscana. L’ENI cercò di rilanciare le attività del Centro e di collegarle ai piani di sviluppo iraniani. In occa-sione della visita a Roma nel novembre 1976 di Kemal Moussavi (direttore generale del progetto di estensione agraria del Ministero dell’Agricoltura) venne avanzata l’ipotesi di un affi damento della realizzazione di tutte le opere e le trasformazioni previste per una delle 19 zone rurali che erano state individuate dal Project Region (la legge promulgata dal governo iraniano nel febbraio 1976 che stanziò ingenti fondi per lo sviluppo agricolo). Per le attività e i rapporti tra l’Iran e il Centro Studi Agricoli di Borgo a Mozzano si veda: ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 165, f. 173d, Promemoria f.to A. Donadelli per il Presidente, 6 maggio 1975; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 165, f. 173d, Promemoria f.to A. Donadelli per il Presidente, 8 dicembre 1976.

rappresentanti delle società indipendenti europee che componevano il Consorzio di ricerca determinò il progressivo sgonfi amento dell’ipotesi di un gasdotto tra il Mediterraneo e il Golfo.

Tuttavia, mentre sulla questione dello sfruttamento di Kangan le trattative relative al gasdotto mediterraneo avevano raggiunto un punto morto, proprio nei mesi successivi al primo shock petrolifero le società italiane interessate allo svi-luppo delle attività industriali-idrocarburifere trovarono interessanti opportunità economiche in territorio iraniano. Pertanto, le interazioni tra gli organismi iraniani e le società del gruppo ENI registrarono un nuovo positivo sviluppo nei differenti ambiti industriali e, quindi, proprio mentre tramontava l’ipotesi del gasdotto mediterraneo, la SNAM Progetti, la SAIPEM e il Nuovo Pignone riuscirono a ottenere alcune importanti commesse relative alla realizzazione dell’IGAT II(32).

Al fi ne di sostenere le iniziative italiane all’interno del complesso panorama mediorientale, nel dicembre 1974 il Presidente della Repubblica italiana Giovanni Leone si recò in visita a Teheran (15-19 dicembre) e al Cairo (19-20 dicembre), accompagnato dal nuovo inquilino della Farnesina, Mariano Rumor. La politica estera italiana continuava a dimostrarsi attenta verso questi due Paesi, che erano strategicamente rilevanti per la politica mediorientale del governo e per l’espan-sione degli investimenti all’estero. Più dell’Egitto, l’Iran risultava importante soprattutto per quelle che erano le sue enormi riserve d’idrocarburi e per le vaste opportunità commerciali offerte dall’intenso processo d’industrializzazione dell’Iran, opportunità commerciali che il regime persiano amava trattare ai più alti livelli rappresentativi, sia dei governi che delle società, per una questione di prestigio ma anche per le garanzie che ne derivavano rispetto alla concreta realizzazione delle opere stesse. I rapporti bilaterali economici tra l’Italia e l’Iran avevano assunto nel corso degli anni una dimensione importante, e il regime dei

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(33) Già nel febbraio del 1964 lo scià era stato in Italia nel corso di un ciclo di visite presso i governi occidentali e anche in quella circostanza aveva chiesto assistenza fi nanziaria per la “rivo-luzione bianca”, ma era stato l’allora presidente dell’ENI Marcello Boldrini a preannunciare che il governo italiano non era in grado di far fronte a tali richieste a causa della penuria di risorse del capitolo di bilancio «Stanziamento fondi esteri». ACS, AAM, Serie III, b.65, f.38, I rapporti economici italo-iraniani, appunto del Ministero degli Affari Esteri per il Consigliere Diplomatico del Presidente del Consiglio dei Ministri, G. Pompei, 28 febbraio 1964. Cfr. R. MILANO, L’ENI e l’Iran 1962-1970, cit., pp. 118-20.

Pahlavi era uno dei Paesi mediorientali che sembrava offrire maggiori opportunità di successo alla politica del «doppio binario» dell’Italia, una media potenza alla ricerca di un equilibrio tra l’esigenza di coltivare i rapporti bilaterali con i produt-tori, ricchi di risorse idrocarburifere e di petrodollari da investire in Occidente, e l’inderogabile necessità di non abbandonare il multilateralismo comunitario e transatlantico, e, quindi, di non urtare la sensibilità degli Stati Uniti in questo delicato settore. Del resto, anche lo scià manifestava apertamente la tendenza a non posporre la conclusione d’intese bilaterali commerciali in attesa degli sviluppi di un dialogo a livello intergovernativo tra produttori e consumatori.

Il viaggio del presidente Leone seguiva di dieci mesi l’ultimo viaggio di Moro in Oriente e di circa dieci anni la missione diplomatica effettuata dall’allora mi-nistro degli Affari Esteri Giuseppe Saragat in quelle stesse capitali. Quest’ultimo aveva visitato nel marzo del 1964 prima l’Egitto di Nasser e, successivamente, l’Iran. In quella fase, il governo italiano aveva di fatto dimostrato di non essere nelle condizioni di fornire quel sostegno fi nanziario che il regime di Reza Pahlavi cercava in Occidente per sostenere la “rivoluzione bianca” e il potenziamento militare del sistema politico. Le risposte da parte italiana erano state insuffi cienti per l’Iran, che di fatto trovò quel sostegno nell’economia statunitense ed europea, ma non in Italia(33). A dieci anni dalla missione diplomatica guidata dal leader socialdemocratico italiano, la situazione si era capovolta, e era l’Europa a inseguire gli affari persiani, ma la situazione dell’Italia era mutata solo in parte. Il 1974 fu per l’Iran un anno di enormi successi soprattutto sul piano fi nanziario che sospinsero al rialzo le aspettative e le ambizioni dello scià. Anni prima, quando il Paese era scosso da scioperi e manifestazioni violente, nessuno avrebbe imma-ginato che l’Iran sarebbe diventato un Paese stabile e ricco di risorse fi nanziarie, che le economie occidentali avrebbero cercato di accaparrarsi vistando il paese e riverendo il sovrano iraniano, l’Aryamehr Shahinshah, «the most powerful man in the world» secondo un articolo apparso su «The Sun» del 28 ottobre 1974. Alle ambizioni iraniane corrispondevano infatti le esigenze delle economie europee, delle imprese del continente, e italiane in modo particolare, le quali cercarono allora all’estero quelle opportunità che il sistema economico europeo non era

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(34) Il regime di Teheran intendeva impiegare l’eccesso di liquidità per fi nanziare gli investi-menti stranieri nel Paese, anticipando i pagamenti per le forniture delle società europee, poiché questi investimenti, necessari per soddisfare i contratti, rischiavano di restare sulla carta a causa della carenza di liquidità e del defi cit della bilancia dei pagamenti che colpiva la maggioranza dei governi della CEE. L’Iran confermava così le proprie ambizioni di potenza regionale e globale, sensibile non soltanto allo sviluppo nazionale ma anche alla promozione della cooperazione tra i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo. Se, da un lato, l’Iran incoraggiava gli accordi fi nanziari e commerciali bilaterali, con l’intento di favorire lo sviluppo dei rapporti tra l’economia iraniana e l’Europa (si pensi, per esempio, alla formula di accordi petroliferi di tipo swap che furono proposti da Teheran a Londra nel dicembre del 1974), d’altro lato, i rappresentanti iraniani, nella fi gura dello scià in persona, proponevano ai governi occidentali di contribuire alla formulazione di una politica di cooperazione multilaterale per la gestione del riciclaggio dei petrodollari, tema che fu ripreso anche al cospetto del ministro Moro durante il suo soggiorno in Iran. Cfr. Twentieth Century Iran, a cura di H. Amirsadeghi, cit., pp. 123-151.

più nelle condizioni di offrire. In quella fase, il tesoro iraniano tentò di saldare i propri interessi a quelli delle economie europee, ribadendo l’intenzione dello scià di legare l’Iran al sistema economico europeo attraverso un gettito di petro-dollari che nella sola prima parte del 1974 era stato di poco inferiore ai 5 miliardi di dollari, circa il 30% dell’intero ammontare generato nel primo anno dopo lo shock petrolifero(34). Tuttavia, come era accaduto un decennio prima, le speranze degli operatori economici italiani di collegarsi stabilmente alla politica espansiva di Reza Pahlavi furono limitate dalle particolari condizioni del Paese.

La visita uffi ciale di Moro, che non era stata debitamente preparata per ot-tenere degli effetti commerciali immediati, non produsse quei risultati che invece altri Paesi europei riuscirono a raccogliere nel breve periodo e con maggiore suc-cesso e, nei mesi successivi, le stesse importanti trattive già avviate tra i due Paesi furono contrassegnate da enormi diffi coltà, in parte legate all’instabilità italiana. Lo stallo delle principali trattative era infatti determinato dalla distanza tra le parti in merito ad alcuni aspetti contrattuali ma, più in generale, era infl uenzato proprio dallo scetticismo di alcuni settori dell’apparato tecnocratico del regime di Teheran nei confronti dell’Italia e delle formule di accordi da questa proposti. La perdurante incertezza che caratterizzava l’economia internazionale e l’instabilità monetaria non incoraggiavano il regime iraniano a sottoscrivere i vasti accordi di lungo periodo che Girotti cercava di concludere. I consiglieri e i funzionari persiani non gradivano la formula proposta dell’accordo di lungo periodo per la collaborazione nel downstream, ritenendo che il mercato del greggio era entrato in una fase caratterizzata da una maggiore fl uidità delle condizioni rispetto al passato. Ancor più signifi cativamente, la grave situazione economico-fi nanziaria indotta dallo shock e la crisi politica che colpì l’Italia a partire dall’estate del 1974 acuì l’indebitamento del Paese, esponendo il governo di Roma alle pressioni interna-

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(35) Secondo l’ambasciatore USA a Roma, John Volpe, la vista di Leone aveva avuto prin-cipalmente un valore simbolico, avendo contribuito a rilanciare la credibilità italiana in Iran e a sostenere e diffondere un clima di maggiore fi ducia in Italia, un Paese attraversato in quell’anno da un’infi nita crisi politica e fi nanziaria. NARA, CFPF (7/1/1973-12/31/1976), Electronic Telegrams (1/1/1974-12/31/1974), Telegram from US Embassy in Teheran, J. Miklos, to the Department of State, 26 dicembre 1974, http://aad.archives.gov.

zionali e scoraggiando gli investimenti, il riciclo dei petrodollari, nel Paese. Tutti questi elementi, associati all’incapacità del governo italiano di offrire maggiori e precise garanzie, di ricoprire un ruolo attivo nella trattativa come veniva richiesto da Girotti, fornirono all’Iran un forte disincentivo a concretizzare quelle trattative che da anni erano in corso.

La delegazione italiana guidata da Leone cercò quindi, a fi ne 1974, di ot-tenere direttamente dallo scià, «l’uomo che solo decide e solo comanda», un impegno a favore della realizzazione dei progetti che le società italiane, l’ENI in modo particolare, rincorrevano in Persia. Gli uomini che componevano la dele-gazione italiana nel dicembre 1974, accompagnati dall’ambasciatore Cottafavi, intrattennero in Iran diversi incontri con Reza Pahlavi e gli altri rappresentanti dell’establishment persiano. Prima di ripartire, Leone visitò anche gli impianti di raffi nazione della National Iranian Oil Company di Shiraz e Isfashan, che erano stati realizzati dalla SNAM Progetti. La missione italiana mirava principalmente a dare maggiore concretezza alle opportunità offerte dalla cooperazione tra l’Iran e le società italiane, a trovare un inquadramento politico alle numerose intese concluse e, soprattutto, a favorire lo sviluppo delle trattative, quelle che avevano raggiunto una fase più avanzata. Tuttavia, gli unici risultati ottenuti dalla dele-gazione italiana furono l’aggiudicazione d’importanti commesse in relazione al progetto di Bandar Abbas e la sottoscrizione dell’accordo fi nanziario bilaterale: dopo la Francia e il Regno Unito, toccò anche all’Italia benefi ciare di un accordo fi nanziario di sostegno all’esportazione e agli investimenti italiani in Iran(35).

L’accordo fi nanziario italo-iraniano mirava a rilanciare i rapporti economici tra i due Paesi, anche se incise in maniera poco rilevante sui progetti dell’ENI, ma soprattutto rappresentò la conclusione di un’intensa attività diplomatica vòlta a superare anche le diffi coltà che caratterizzavano la vita economica e politica del Paese. Nel corso della precedente missione di Moro, il politico pugliese aveva invitato gli Iraniani in Italia al fi ne di dare seguito ai colloqui di Teheran e per con-cretizzare la partecipazione italiana agli imponenti progetti industriali dell’Iran. La visita di 60 rappresentanti di Confi ndustria guidati dal presidente Agnelli nel maggio del 1974, la più numerosa delegazione che l’associazione degli industriali avesse mai organizzato all’estero, servì dunque a ribadire l’importanza degli in-

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(36) Questa iniziativa si inseriva in realtà nel contesto di un consolidato modello di relazioni tra l’Iran e le economie dei paesi dell’Europa occidentale. A fi ne anni Settanta erano circa 40 i protocolli commerciali sottoscritti dall’Iran con i Paesi stranieri, ognuno dei quali aveva dato vita a una commissione mista bilaterale incaricata di rendere esecutivi gli obiettivi contenuti dagli accordi commerciali. In seguito alla sottoscrizione di questi ultimi, era ormai divenuta prassi che i Paesi contraenti organizzassero in Iran anche una Conferenza d’investimenti, che era espressamente ri-chiesta dallo scià quale condizione preliminare. Per l’Iran queste conferenze costituivano soprattutto l’occasione per mettere in luce i risultati della propria politica e, dunque, per riaffermare il ruolo regionale del regime di Teheran, autentica vetrina dell’Occidente industrializzato nel Medio Oriente. Nel corso del 1975-1976 le Commissioni miste furono sospese dal governo di Teheran a causa dei problemi legati all’approvazione del VI Piano iraniano, che di fatto limitavano la possibilità di pro-grammare interventi d’investimento in Iran. Cfr. ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 160, f. 166a, Appunto f.to A. Fogliano per P. Landolfi , 4 giugno 1974.

(37) Investimenti per 3 miliardi di dollari erano previsti per la realizzazione di opere infra-strutturali per il porto iraniano di Bandar Abbas, che prevedevano anche la costruzione da parte delle società della Finsider di un’acciaieria con una capacità di 3 milioni di tonnellate annue per conto della NIST (National Iranian Steel Company). Un miliardo di investimenti sarebbe stato destinato alla collaborazione industriale nel settore degli idrocarburi, inclusa la petrolchimica e un miliardo alla realizzazione di un impianto di pneumatici della Pirelli. ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 165, f. 1742, Italy agrees to huge venture, in «Kayan International», 13 giugno 1974; L’Italie disposée à investir 5 milliards de dollars en Iran, in «Journal de Téhéran», 10 giugno 1974.

teressi di tutta l’industria italiana in Iran, interessi che non erano più limitati al solo settore degli idrocarburi. Una delegazione iraniana guidata dal ministro per il Commercio con l’estero Fereydoun Mahdavi (5-8 giugno 1974) giunse infi ne in Italia, rispondendo all’invito di Moro. Alla conclusione di tre giorni di negoziati il ministro del Commercio italiano Matteotti e quello iraniano Mahdavi fi rmarono, nell’ambito della prima sessione della Commissione mista bilaterale, un protocollo commerciale che puntava a porre le premesse per l’espansione e il consolidamento dei legami commerciali tra i due Paesi(36). Le aree coperte dal protocollo erano, oltre al settore degli idrocarburi, la petrolchimica, l’industria pesante – in parti-colare la realizzazione di un impianto siderurgico a Bandar Abbas –, il turismo e l’agricoltura. Gli investimenti complessivi previsti dall’accordo avrebbero potuto giungere la ragguardevole somma di 5 miliardi di dollari, che le società italiane avrebbero investito grazie a quella formula fi nanziaria che i due Paesi cercavano da alcuni mesi di mettere a punto(37). Nel corso dello stesso giugno 1974 (dal 19 al 21) il governatore della Banca d’Italia Guido Carli si recò a Teheran su in-vito delle autorità locali in qualità di esperto di problemi monetari e inviato del Fondo Monetario per discutere dei problemi legati agli esiti della Conferenza di Washington e all’eventuale partecipazione dell’Iran al fondo comune del FMI per la gestione della cooperazione tra i Paesi consumatori e i produttori di greggio. Tuttavia, il viaggio di Carli, legato personalmente allo scià, servì soprattutto per

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(38) Tra i tanti punti affrontati durante la visita del governatore della Banca d’Italia a Teheran vi fu anche quello della possibile cooperazione tecnico-industriale tra l’Iran e un consorzio d’imprese italiane, statunitensi, francesi e britanniche del settore petrolchimico, un accordo che avrebbe do-vuto costituire il presupposto per uno scambio idrocarburifero sul modello del progettato dialogo euro-arabo. Cfr. E. PETTA, L’Italia e lo scià, in «Corriere della Sera», 21 giugno 1974.

(39) Come affermato dal comunicato fi nale del vertice, la cooperazione italo-iraniana si fondava sulla complementarietà tra i due sistemi economici, anche e soprattutto in relazione alle prospettive di collaborazione tra le imprese energetiche di Iran e Italia nei Paesi terzi, come di fatto era stato prospettato dall’accordo che ENI e NIOC stavano negoziando nell’ambito del downstream. In quella occasione, i due ministri siglarono le intese relative alla realizzazione di opere infrastrutturali da parte delle società italiane. Oltre all’accordo defi nitivo circa il porto di Bandar Abbas, furono siglate intese relative alla realizzazione dell’impianto di desalinizzazione e dell’acciaieria, dell’impianto di Nitrato e Urea, del cantiere navale e del centro di formazione tecnica tutti localizzati a Bandar Abbas. Nessun accordo venne invece siglato in relazione al progetto di cooperazione AGIP-NIOC. A. STERPELLONE, Italia-Medio Oriente. Il viaggio di Leone, in «Relazioni Internazionali», XXXIX, 1975, 1-2, pp. 360-362.

(40) ASENI, Fondo ENI, Serie: Programmazione lungo periodo energia, b. 37, f. 3ac8, Pro-memoria partecipazione Iran al downstream, non fi rmato, 19 febbraio 1973; ASENI, Fondo ENI,

approfondire gli aspetti della collaborazione industriale, fi nanziaria e valutaria tra i due Paesi, così come tutti i rappresentanti delle principali capitali europee stavano facendo in quella fase e in quegli stessi giorni. L’imprevista missione di Carli era quindi da inserire nel quadro del tentativo di fi nanziare i progetti previsti dal protocollo sottoscritto da Fereydoun Mahdavi e dal suo collega italiano(38). L’intesa fi nanziaria sottoscritta dal presidente Leone prevedeva un fondo gestito dalla Banca d’Italia che quest’ultima avrebbe messo a disposizione delle società italiane in Iran concedendo un prestito di 1,2 miliardi di dollari al tasso dell’8-9%, una cifra di poco superiore a quella accordata alla Francia (1 miliardo di dollari) e pari a quella offerta al governo di Londra. L’accordo pareva offrire maggiori opportunità all’Italia, prevedendo la possibilità di giungere ad anticipi sulle for-niture fi no a 5 miliardi di dollari qualora fossero stati perfezionati quegli accordi di cooperazione tra i due Paesi individuati dall’intesa Matteotti-Mahdavi(39).

L’Iran connection, l’ambizioso programma di accordo tra ENI e Iran per la cooperazione nel settore petrolifero, fu un progetto sul quale il presidente Girotti investì molto nel corso del biennio 1973-1974. Nell’autunno del 1973 l’ENI aveva accelerato su questo accordo che, inizialmente, si limitava a prevedere uno scambio tra il petrolio iraniano fornito dalla NIOC e la partecipazione della stessa società alle fasi del downstream petrolifero in Italia e in alcuni Paesi terzi. La reciprocità era quindi garantita dall’interesse dello scià a legare l’economia del Paese mediorientale all’Occidente industrializzato – in particolare a investire nel settore del downstream – e dalla speculare volontà italiana di ottenere dall’Iran forniture di greggio stabili e a prezzi costanti(40). Si trattava quindi di una forma

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Serie: Programmazione lungo periodo energia, b. 37, f. 3ac8, Relazioni ENI-Iran, Appunto della Direzione Esteri ENI, del 25 gennaio 1974.

(41) La SHELL-Italia e la BP abbandonarono l’Italia, cedendo i propri assets rispettivamente all’ENI e al gruppo Monti, in seguito alla crisi energetica e a causa del controllo esercitato in Italia dal governo sui prezzi dei derivati degli idrocarburi, fattori che resero il mercato italiano non remunerativo per le due compagnie. In seguito a questa operazione, che per l’ENI ebbe un costo complessivo di 300 milioni di dollari, la società IIP acquisì una capacità di raffi nazione installata di 15 milioni di tonnellate annue (distribuita tra gli impianti di Taranto, Rho e La Spezia) e di circa 4000 distributori. L’acquisizione della rete SHELL da parte dell’ENI aveva suscitato qualche perplessità all’interno dell’azienda e negli ambienti economici, poiché non solo si acquisiva una società che da anni era in perdita, ma anche perché ciò di fatto andava ad aggravare il già pesante fabbisogno di greggio dell’ente italiano. Quest’ultimo sosteneva invece la convenienza dell’intera operazione e il valore attualizzato della capacità di raffi nazione acquisita: circa 600 milioni di dol-lari. ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 139, f.6, Appunto f.to L. De Lucchi, 18 marzo 1975.

avanzata di partecipazione, di carattere non esclusivamente fi nanziario, che lo scià avrebbe utilizzato per entrare nel mercato europeo. In cambio delle forniture di greggio iraniane l’ENI offriva alla NIOC di entrare nel mercato italiano per mezzo dell’acquisizione di una società petrolifera del gruppo, l’Industria Italiana Petroli (IIP), che aveva raccolto l’eredità costituita dagli impianti di raffi nazione e di distribuzione della SHELL-Italia(41). Un ulteriore contributo all’evoluzione della trattativa venne fornito dalla proposta d’inserire all’interno dello schema di accordo anche la partecipazione dell’Iran alle attività dell’AGIP in Europa e in Africa, un’apertura resa necessaria dall’obiezione sollevata dallo scià a proposito della non-remunerabilità del mercato italiano, di fatto abbandonato dalla SHELL.

Girotti, consentendo allo scià di recuperare in altri mercati gli svantaggi legati al mercato italiano, confi dava di coniugare ulteriormente gli interessi delle due parti, poiché attraverso la collaborazione con la società italiana il sovrano dell’Iran avrebbe disposto non solo di utili, ma anche di uno strumento effi cace per le sue ambizioni, sia nei confronti delle economie dei Paesi sviluppati che di quelle in via di sviluppo. Tra ENI e NIOC si parlava di cooperazione triangolare, in particolar modo nei confronti di due Paesi come il Mozambico e l’Egitto, Stati dove operava l’AGIP e verso i quali l’Iran aveva già indirizzato alcune iniziative economiche. Lo schema d’accordo avrebbe dunque previsto la costituzione di una società mista ENI-NIOC impegnata nell’ambito della raffi nazione e della di-stribuzione di derivati del petrolio, in Italia, Europa e Africa, che quindi avrebbe acquistato il greggio dalla società di Stato iraniana a prezzi predeterminati. La bozza di accordo prevedeva la costituzione di una holding fi nanziaria con sede in Lussemburgo e di una società operativa con, eventualmente, sede in Italia, il cui capitale sarebbe stato costituito dagli impianti ceduti dall’AGIP e all’interno della

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(42) L’accordo defi nitivo venne sottoscritto solo l’anno seguente (settembre 1975) e prevedeva l’affi damento dei lavori a una cordata d’imprese pubbliche e private italiane, con la Società condotta acque (Italstat-IRI) capofi la del progetto. Lo scià intendeva realizzare a Bandar un terminale pe-trolifero alternativo per il Sud del Paese, lontano quindi dal confi ne iracheno. Il progetto portuale prevedeva la realizzazione, su di un’area di 30 km² circa, di un porto commerciale con annesse 9 km di banchine, 7 km di moli, magazzini, uffi ci, strade, un centro residenziale (incluso un villaggio e una scuola italiana) e la costruzione di un impianto di desalinizzazione. NARA, CFPF (7/1/1973-12/31/1976), Electronic Telegrams (1/1/1974-12/31/1974), Telegram from America Embassy in Tehran, J. Miklos, to Secretary of State, 26 dicembre 1976. http://aad.archives.gov.

quale la NIOC sarebbe entrata pagando alla società italiana il 50% del «paid up share capital» delle reti di distribuzione cedute. La società mista avrebbe dunque acquistato un quantitativo predeterminato di greggio per un periodo iniziale di dieci anni che avrebbe distribuito nei mercati di riferimento delle imprese che l’ENI aveva introdotto nella holding.

Nel 1974 queste trattative sembravano destinate a seguire il trend positivo delle relazioni economiche bilaterali incoraggiate dall’Ambasciata di Teheran e dal ministro Moro; inoltre, grazie anche al contributo del governatore Carli, pareva si sarebbe potuti giungere a un esito favorevole già nel corso della successiva visita del presidente Leone in Iran. Tuttavia, malgrado i trionfalismi della stampa na-zionale e iraniana, questa missione non produsse i risultati sperati; 1’unica intesa commerciale raggiunta per l’Italia nel dicembre 1974 fu quella per la costruzione delle infrastrutture del porto di Bandar Abbas. Alla Società condotte acque, che faceva capo all’Italstat (IRI), fu affi data la direzione delle forniture e dei lavori per la realizzazione di un insediamento industriale a sostegno del suddetto por-to, nello stretto di Hormutz, un progetto da più di un miliardo di dollari che le autorità di Teheran avevano incluso nel Piano quinquennale al fi ne di potenziare l’attività marittima iraniana nel Golfo Persico(42).

A margine della visita di Leone in Iran, la NIOC e l’ENI avevano effettiva-mente sottoscritto una prima bozza di accordo e avevano fi ssato per la fi ne di gennaio del 1975 il termine per la defi nitiva conclusione della trattativa relativa alla partecipazione dell’Iran alle attività delle aziende dell’ENI impegnate nel settore del downstream. In realtà, già negli ultimi mesi del 1974 le trattative, condotte da parte italiana direttamente dal presidente Girotti, erano ormai giunte a un punto morto. Lo stesso comunicato fi nale della visita del 19 dicembre 1974 confermava uno smorzamento degli entusiasmi; la parte che maggiormente preoccupava i più realisti osservatori riguardava la precisazione secondo la quale la partecipazione delle imprese italiane allo sviluppo iraniano sarebbe dovuta avvenire a «prezzi competitivi», dunque in competizione con le forniture da parte delle aziende

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(43) F. ROBERTI, Perché lo scià non vuole concludere accordi con l’Italia, in «Il Fiorino», 5 marzo 1975.

tedesche, francesi e statunitensi(43). Nulla invece veniva previsto a proposito dei prezzi del greggio iraniano al quale l’Italia intendeva accedere, un argomento intorno al quale erano emerse le prime tensioni nel momento in cui si era passati dalle previsioni teoriche agli aspetti concreti della trattativa. E, di fatto, la questio-ne centrale dei prezzi, ai quali la NIOC avrebbe ceduto il proprio greggio, non venne menzionata neanche nella bozza di accordo ENI-NIOC siglata a margine della visita di Leone in Iran; intesa che si limitò a ribadire i termini generali dell’accordo per il downstream e che stabilì che il perfezionamento dello stesso accordo sarebbe dovuto avvenire entro la fi ne del gennaio 1975.

Dietro al rallentamento della trattativa vi erano soprattutto i mutevoli orien-tamenti da parte della leadership iraniana e della dirigenza dell’ENI, caratterizzati dall’instabilità del panorama politico ed economico internazionale. Infatti, in linea con l’atteggiamento costantemente adottato dallo scià durante la lunga crisi pe-trolifera, l’Iran non intendeva riconoscere a benefi cio del progetto italo-iraniano uno sconto rispetto ai posted price defi niti dall’OPEC, continuando pertanto a difendere il principio della legittimità degli aumenti di prezzo delle risorse idro-carburifere da parte dei produttori e, per contro, il dovere dei Paesi consumatori di pagare i costi della crisi. Per la fornitura di durata decennale del greggio a favore della joint-venture che sarebbe stata costituita dalla NIOC e dall’ENI, lo scià intendeva infatti imporre lo stesso prezzo applicato a tutti gli operatori per la vendita del greggio iraniano. Il nodo era costituito quindi dall’articolo 9 della bozza dell’accordo di joint-venture, che il negoziatore e direttore della NIOC Fallah si rifi utava di modifi care, introducendo alcuni parametri di defi nizione del prezzo di vendita legati al tasso d’infl azione e al costo delle altre materie prime. Al di là di questa decisiva diffi coltà, la stessa disponibilità di greggio da parte della NIOC sembrava costituire un ostacolo per il successo della trattativa, poiché, secondo il nuovo accordo con le società dell’ex Consorzio, per il 1975 queste avrebbero consegnato complessivamente 22 milioni di tonnellate alla società di Stato iraniana; un quantitativo che risultava quindi relativamente esiguo rispetto ai 15 milioni di tonnellate di petrolio che l’Iran avrebbe dovuto impegnare an-nualmente soltanto per avviare l’accordo con l’ENI.

Il regime iraniano escludeva la concessione di sconti rispetto al prezzo che le società dell’ex Consorzio pagavano alla NIOC per il greggio acquistato. Il pagamento richiesto a Girotti era stato di 64 mila lire per tonnellata (circa 9,6 dollari) di greggio che, dedotti i costi di produzione dichiarati dalle Compagnie

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per il petrolio dell’Iran (2 mila lire per tonnellata, circa 30 centesimi di dolla-ri), avrebbero generato un profi tto di 62 mila lire per ogni tonnellata venduta alla società mista italo-iraniana. Per il presidente dell’ENI si trattava appunto di condizioni inaccettabili per un accordo di cooperazione, mentre gli Iraniani denunciavano la «sconveniente ingerenza» da parte dell’ente nei confronti della legittima libertà di defi nizione del prezzo di vendita del petrolio. Oltretutto, la NIOC non intendeva accordare dilazioni per il pagamento del greggio fornito, defi nendo il consueto termine di 90 giorni, richieste ritenute insuffi cienti da parte italiana che attendeva invece un trattamento maggiormente «cooperativo». L’altro consistente ostacolo per la fi nalizzazione dell’accordo riguardava la costituzione della società mista che avrebbe dovuto operare nel settore del downstream. La NIOC ormai rifi utava di acquistare il 50% del capitale della IIP, denunciando la mancanza di competitività del mercato italiano. Da parte italiana, pur ricono-scendo la veridicità di questo assunto, si precisava tuttavia che le perdite fatte registrare dalla SHELL-Italia erano dovute alla sottoutilizzazione degli impianti di raffi nazione e agli elevati costi del greggio, una situazione che grazie alla col-laborazione tra ENI e NIOC sarebbe stata superata, contribuendo dunque a riportare la rete IIP in attivo. Inoltre, da parte della dirigenza dell’ente italiano vi era fi ducia nei confronti della possibilità di ottenere dal governo un ritocco ai prezzi dei derivati, come veniva da tempo richiesto dall’Unione Petrolifera Italiana. Del resto, la stessa defi nizione delle reti AGIP all’estero, che l’Italia avrebbe dovuto portare in dotazione alla società mista, presentava delle evidenti diffi coltà, poiché l’Iran intendeva valutare gli impianti AGIP secondo il valore contabile, ovverosia il prezzo al momento della realizzazione degli investimenti, dedotti i successivi ammortamenti, piuttosto che al valore reale. Gli Iraniani imponevano anche in questo caso condizioni inaccettabili per la società italiana, che era costretta dalla crisi a vendere le attività all’estero, l’eredità di Mattei, una situazione che lo scià voleva sfruttare per imporre la svendita della rete estera, che includeva anche le importanti raffi nerie di Biserta (Tunisia), Mohammedia (Marocco) e di Accra (Ghana).

Nel gennaio del 1975 Girotti era a Roma, non in Iran, segno della distanza tra le parti e della diffi denza del presidente nei confronti della conclusione dell’intesa. Egli, che di fatto era stato uno dei promotori di questa trattativa e che continuava a insistere sull’esigenza dei rapporti diretti con i produttori all’interno di un mer-cato idrocarburifero ormai in evoluzione, non intendeva accettare le condizioni imposte dall’ente petrolifero iraniano in ragione della sua forza contrattuale. A rendere sostanzialmente impossibile la sottoscrizione dell’intesa fu il mutamento della situazione del mercato petrolifero internazionale e delle esigenze delle due parti nel corso di due anni di trattative. Se in Iran quel lasso di tempo era servito

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(44) Si veda: D. CUZZI, Breve storia dell’ENI. Da Cefi s a Girotti, Bari, De Donato, 1975, pp. 5-11.(45) R. MILANO, L’ENI e l’Algeria, cit.(46) Si veda: D. POZZI, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe. Tecnologia, conoscenza e organiz-

zazione nell’Agip e nell’Eni di Enrico Mattei , Venezia, Marsilio, 2009.

per maturare lo scettiscismo nei confronti dell’Italia, anche l’ente italiano aveva modifi cato le proprie aspirazioni.

Nell’estate del 1974 in Valle Padana le sonde dell’ENI scoprirono un gia-cimento di petrolio. I pozzi di Malossa, una località compresa nel territorio del Comune di Casirate d’Adda, sembrarono riportare in vita il sogno di Mattei di una Val Padana ricca di petrolio, oltre che di gas naturale. L’impatto simbolico della scoperta annunciata il successivo mese di ottobre fu enorme. Quel ritro-vamento fu celebrato dalla visita del premier Rumor e del presidente Leone, un rituale che sembrava appunto ripercorrere le gesta di Mattei e De Gasperi, che venticinque anni prima avevano incantato l’Italia con l’illusione del petrolio pa-dano(44). La continuità ideale tra i ritrovamenti di Caviaga degli anni Cinquanta e quelli di Malossa del 1974 fu del resto confermata dal fatto che, al di là della propaganda, anche quella scoperta non consentì al Paese di avvicinarsi all’auto-nomia petrolifera. Tuttavia, quella notizia permise a Girotti di riconsiderare le esigenze interne e offrì il pretesto per rivedere le posizioni negoziali dell’Italia. L’accordo con l’Iran restava attuale per le reali condizioni del Paese e per la necessità di trovare una soluzione conveniente per il funzionamento della rete africana. L’ENI non intendeva tuttavia farsi inchiodare contrattualmente in una congiuntura economica e politica internazionale che era invece dinamica. Un accordo di natura globale come quello trattato con Teheran, che prevedeva la compartecipazione in molte delle attività di distribuzione all’estero, avrebbe di fatto reso impraticabile la sottoscrizione di accordi con altri Paesi mediorientali, costringendo l’Italia a un sodalizio penalizzante nei rapporti con produttori come Arabia Saudita e Iraq con i quali la società intratteneva altrettanti importanti negoziati. Inoltre, la dirigenza ENI, in particolare il presidente Girotti, era ormai abituata alle trattative estenuanti da condurre con i governi dei produttori, come di fatto avveniva con l’Algeria con la quale l’Italia stava negoziando dagli anni Sessanta l’importazione del gas naturale(45).

A bloccare Girotti era soprattutto la decisa contrarietà dell’AGIP a quella formula contrattuale che avrebbe implicato un consistente sacrifi cio da parte di quest’ultima. L’azienda del gruppo ENI era tra quelle che maggiormente avevano benefi ciato delle ristrutturazioni aziendali seguite alla scomparsa di Mattei e che, quindi, era caratterizzata da un elevato grado d’internazionalizzazione e specia-lizzazione, caratteri che avevano fatto dell’azienda dell’upstream un autonomo elemento decisionale all’interno della holding idrocarburifera italiana(46). Già in

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(47) M. COLITTI, ENI, cit., pp. 141-144; L’ENI e i petroli arabi (articolo non fi rmato), in «Relazio-ni Internazionali», XXXI, 1967, 41, pp. 13-37; R. MILANO, L’ENI e l’Iran 1962-1970, cit., pp. 36-38.

(48) In pericolo l’accordo tra l’ENI e lo scià, in «L’Europeo», 9 gennaio 1975; G. SAPELLI - L. ORSENIGO - P. A. TONINELLI - C. CORDUAS, Nascita e trasformazione d’impresa. Storia dell’AGIP Pe-troli, Bologna, Il Mulino,1993, pp. 81-84; R. MILANO, Una diffi cile transizione. Momenti e problemi dell’azione internazionale dell’ENI dopo la scomparsa di Enrico Mattei (1962-1965), in «Clio», XLVII, 2011, 3. Sulle trasformazioni del sistema petrolifero internazionale si veda: D. YERGIN, Il Premio. L’epica corsa al petrolio, al potere e al denaro, Milano, Sperling & Kupfer, 1991; L. MAUGERI, L’era del petrolio: mitologia, storia e futuro della più controversa risorsa del mondo, Milano, Feltrinelli, 2007.

occasione della concessione ottenuta dal consorzio ENI-Phillips nell’ottobre 1967 in Arabia Saudita, nel deserto del Rub Al Khalì, gli uomini del ramo minerario come Dante Jaboli erano riusciti a rimettere in questione gli impegni sottoscritti con il governo Saudita, costringendo l’ente a rinunciare alla concessione nel 1973(47). Lorenzo Roasio, amministratore delegato e vicepresidente dell’AGIP dal 1972, nonché Coordinatore del settore idrocarburi della holding e presi-dente dell’IIP, fu tra i maggiori oppositori all’interno dell’azienda al progetto di Iran connection. Egli, che nei mesi caldi della trattativa pare giunse anche a minacciare le dimissioni dall’AGIP e dall’IIP nel caso l’accordo fosse stato concluso alle condizioni imposte da Teheran, contestava l’opportunità di conce-dere all’Iran un sostanziale potere di controllo sulle operazioni del downstream detenute dall’azienda italiana in cambio dell’acquisto di greggio a prezzi che non risultavano essere vantaggiosi. L’operazione, oltre a non presentare vantaggi di estrema rilevanza in termini di acquisizione di risorse, avrebbe concesso alla NIOC il controllo su un settore che invece, proprio alla luce dell’evoluzione del mercato idrocarburifero verso un mercato del venditore, diventava di cruciale importanza per le società indipendenti(48). Al contrario, per quel che riguardava la ricerca di soluzioni relative al problema dell’approvvigionamento, l’azienda idrocarburifera poteva allora disporre dell’opzione del mercato a pronti del greg-gio, che riduceva i costi di transizione e valorizzava proprio i vantaggi relativi all’integrazione verticale delle società idrocarburifere. Anche la Farnesina sfi duciò quell’accordo, una scelta che probabilmente era stata dettata dalle pressioni degli Statunitensi, da sempre ostili agli accordi diretti, confermando quindi quelle che erano le indecisioni dell’esecutivo italiano rispetto a una trattativa che, al contrario, sia per l’oggetto dell’accordo che per la complessità dell’interlocutore, avrebbe necessitato del supporto di Palazzo Chigi. L’esecutivo italiano rifi utò oltretutto di accordare all’Unione Petrolifera la riduzione delle accise e, quindi, dei prezzi dei derivati, una soluzione che avrebbe indirettamente incoraggiato la trattativa con gli Iraniani, e successivamente respinse anche la richiesta da parte dell’ENI di ottenere in alternativa un trattamento di favore per la società mista

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(49) Del resto, Teheran, malgrado la teorica complementarietà tra il suo sistema economico e quello italiano, non costituiva un mercato per le merci nostrane e, infatti, tra i Paesi produttori di greggio, l’Iran era quello che aveva fatto registrare il minore incremento delle esportazioni dall’Italia nel biennio successivo allo shock petrolifero (l’incremento delle esportazioni era stato del 78%, contro il 216% dell’Iraq).

(50) Tra i maggiori sostenitori dell’accordo con l’Iran c’era il presidente Leone, smanioso di raccogliere un importante successo durante la sua presidenza; di fatto, la decisione di defi nire una nuova data per il perfezionamento dell’accordo (gennaio 1975) servì soltanto a dare l’impressione del successo del viaggio del Presidente della Repubblica a Teheran. Il partito iraniano compren-deva, tra gli altri, anche i mediatori d’affari italiani in Iran, che al fi anco degli altri uomini d’affari e faccendieri occidentali popolavano il Paese del dopo-boom petrolifero. Per l’Italia in Iran, tra gli altri, c’era l’erede di casa Savoia, Vittorio Emanuele, che da anni era entrato nelle grazie di Reza Phalavi e che dall’affare Iran-Italia attendeva di incassare un compenso di circa un miliardo di lire. Lo scià pretese che l’ENI pagasse il compenso per l’opera di mediazione a prescindere dalla conclusione dell’intesa. Pagate un miliardo a Vittorio Emanuele, in «L’Europeo», 20 febbraio 1975. Tra gli altri mediatori italiani in Iran c’erano anche il Dr. Salimbeni e Franco Goffi ni, direttore generale dell’AGIP e vicino a Girotti. Cfr. TNA, FCO 8/2747, Commercial work in Tehran (1972-1982), Note by British Embassy in Tehran, A. Parsons, 31 ottobre 1976.

(51) TNA, FCO 96/118, Telegram from British Embassy in Paris, D.M. Thomas, to the FCO Middle East Dept., P.R. Wright, 15 luglio 1974.

che sarebbe eventualmente sorta dalla partecipazione dell’Iran all’IIP. All’ente idrocarburifero si chiedeva quindi un sacrifi cio consistente per un affare di cui avrebbe benefi ciato l’intero sistema economico italiano, senza che il governo fosse riuscito a inquadrare l’operazione all’interno di una più organica iniziativa di politica economica ed estera(49).

La favorevole disposizione di entrambe le parti al compromesso, che era stata celebrata dallo scià in occasione dell’incontro sulle nevi svizzere di Saint Moritz, non sembrava più percepibile. In Italia a sostenere l’accordo rimanevano soltanto gli esponenti del «partito iraniano», mentre vi erano sempre maggiori perplessità a proposito di quel progetto da parte del regime di Teheran(50). Per comprendere questa involuzione occorre in primo luogo rivalutare il reale signifi cato dei diversi protocolli commerciali conclusi dallo scià nelle capitali europee tra 1974 e il 1975. Questi accordi, che contemplavano la realizzazione da parte delle società europee di opere industriali di consistente importanza, in realtà si limitavano a un elenco di promesse, formulate in un linguaggio suffi -cientemente ambiguo da non implicare reali obblighi per gli Iraniani. La crisi economico-fi nanziaria che investì l’Iran a partire dal 1976 svelò di fatto il reale signifi cato delle intese sottoscritte con i governi occidentali, spesso altamente celebrate a livello mediatico, come nel caso della visita dello scià a Parigi nel giugno 1974(51). Al di là della questione del prezzo, l’accordo non soddisfaceva l’Iran, poiché, per esempio, la proposta di cessione da parte dell’ENI delle reti

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(52) Contestualmente ai negoziati con l’ENI, lo scià stava trattando l’acquisto di una parte-cipazione nella BP e l’acquisizione della rete di distributori della SHELL nel mercato USA, due operazioni che tuttavia, differentemente dall’entusiasmo con il quale la stampa italiana monitorava l’Iran connection, furono sostanzialmente censurate dagli ambienti politici e dall’opinione pubblica angloamericana. TNA, FCO 8/2516, Telegram from British Embassy in Washington, C.T. Brant, to the FCO Energy Dept., S.L. Egerton, 24 marzo 1975; NARA, CFPF (7/1/1973-12/31/1976), Electronic Telegrams (1/1/1974-12/31/1974), Telegram from America Embassy in Rome, J. Volpe, to Secretary of State, 18 settembre 1974. http://aad.archives.gov.

(53)ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 139, f.6, Appunto f.to L. De Lucchi, 18 marzo 1975.

distributive e di raffi nazione detenute all’estero era limitata ai Paesi dell’Africa, escludendo quindi gli assets detenuti dall’AGIP in Europa occidentale, segna-tamente nella Germania Federale. Tuttavia, i dubbi maggiori erano legati alle condizioni dell’economia e del sistema politico italiano. Alla generale ritrosia da parte di Teheran rispetto alla sottoscrizione di accordi pluriennali in con-dizioni d’instabilità economica internazionale, si sommavano infatti i dubbi legati al futuro del partner italiano: di fatto, sia il calcolo economico-fi nanziario che quello politico fi nivano per spaventare Teheran e, quindi, la polemica sul prezzo di vendita era espressione dell’insoddisfazione iraniana nei confronti del contenuto dell’accordo e, in genere, dell’Italia(52).

L’ENI proseguì le trattative per dovere, poiché sarebbe risultato impossibile troncare improvvisamente i negoziati che duravano da anni, senza per questo generare risentimenti in Iran; inoltre, come detto, i problemi energetici del Paese erano evidenti e l’Italia continuava a tentare di sottoscrivere un accordo diretto con un Paese produttore al fi ne di arginare l’annosa questione dell’approvvi-gionamento interno. Le trattative dunque proseguirono, ma Sarchi fu costretto a modifi care i termini dell’accordo. Agli Iraniani fu concesso di considerare la partecipazione all’IIP non più come una condizione immediata ma nei termini di un’opzione di acquisto della durata di due anni, fatta salva la necessità di garantire a quella società la fornitura di greggio da parte della NIOC della durata decennale a prescindere dall’effettivo ingresso della società nel mercato italiano. Nel quadro della cooperazione italo-iraniana, a fronte del sacrifi cio che l’AGIP avrebbe dovu-to affrontare sia per la cessione al valore contabile della rete internazionale sia per il prezzo d’acquisto elevato del greggio che l’Iran intendeva imporre, dall’Italia proposero che Teheran si impegnasse a utilizzare il 50% dei ricavi generati dalla vendita del greggio alla società mista per l’acquisto di prodotti delle aziende ENI o, più in generale, prodotti e servizi forniti dalle industrie italiane(53). Questi tentativi d’integrare le disposizioni contrattuali originali non riuscirono a evitare il blocco della trattativa, una situazione che comunque rispondeva alle esigenze

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(54) L’ordine di servizio interno all’ENI adottato da Girotti nel 1972 muoveva invece da con-siderazioni opposte. Quest’atto attribuiva alle società del gruppo una maggiore autonomia e la responsabilità decisionale, mentre, alla società capo gruppo si riconosceva il diritto d’intervenire solo in caso di gestioni insoddisfacenti da parte del management operativo delle singole società. Nelle intenzioni di Girotti, contrariamente all’analisi del suo predecessore, il decentramento avreb-be dovuto costituire un argine contro la degenerazione clientelare, consentendo di marginalizzare il ruolo di alcuni settori del gruppo rispetto alle decisioni assunte dalle società operative. In realtà, la presidenza dell’ENI fu privata degli strumenti pratici per imporre alle controllate le scelte

dell’ENI di temporeggiare al fi ne di allentare le condizioni imposte dallo scià. Sul piano energetico si registrò, quindi, un primo sostanziale rallentamento nei rapporti con Teheran, una prima frenata dopo mesi d’intensa attività di prepa-razione diplomatica, che impose una rifl essione a proposito della propagandata collaborazione tra l’Iran e l’Italia e, più in generale, sul signifi cato concreto delle relazioni politico-economiche tra l’Iran e i governi europei.

3. ENI e Iran tra crisi e sviluppo

Dopo la metamorfosi che aveva caratterizzato l’organizzazione e la fi losofi a aziendale dell’ente in seguito allo shock generato dalla morte di Mattei, nel cor-so degli anni Settanta l’ENI conobbe un ulteriore processo evolutivo segnato dall’espansione delle attività e dei settori d’azione del gruppo, quindi, dall’emer-sione di fattori di criticità che perdurarono e si ingigantirono nel corso dei de-cenni successivi. Tra il 1972 e il 1977, attraverso l’adozione di tre distinti atti, i presidenti Raffaele Girotti e Pietro Sette sanzionarono l’autonomizzazione dei settori, imponendo la decisa trasformazione dell’originale modello della holding idrocarburifera italiana. Malgrado questi mutamenti fossero già da tempo visibili all’interno del gruppo, Cefi s aveva cercato di salvaguardare l’unità progettuale e d’intenti della compagnia di bandiera idrocarburifera, ritenendo indispensabile centralizzare le prerogative del presidente al fi ne di preservare l’indipendenza e l’effi cienza dell’azienda rispetto alle sempre più presenti pressioni provenienti dal sistema partitico italiano. Negli anni della presidenza Girotti si assistette invece all’autonomizzazione decisionale delle società del gruppo, alla proliferazione delle aziende e dei dipendenti, soprattutto dei dirigenti, i quali tendevano a stabilire i propri feudi all’interno delle strutture societarie. Questi mutamenti mortifi carono la peculiare struttura verticistica dell’ente, ma soprattutto intervennero proprio mentre forti pressioni esterne stavano determinando lo stravolgimento del mercato petrolifero mondiale(54).

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gestionali coerenti con i programmi generali di sviluppo; e allo stesso tempo Girotti non fu in grado di limitare gli effetti della crisi di comando che investì il gruppo italiano: con le parole di Franco Briatico, Girotti «non controlla più il mostro e ognuno va per conto proprio». F. BRIATICO, Ascesa e declino, cit., p. 331; G. SAPELLI - L. ORSENIGO - P. A. TONINELLI - C. CORDUAS, Nascita e trasfor-mazione d’impresa. Storia dell’AGIP Petroli, Bologna, Il Mulino,1993, pp. 81-84.

(55 )Sul versante dei rapporti di forza interni al sistema delle Partecipazioni Statali, Girotti dovette infatti confrontarsi con l’ingombrante personalità del democristiano Nino Gullotti, uomo trasversale della segreteria del partito, ministro delle Partecipazioni Statali dal 1973, il quale, oltre a non riuscire ad arginare la degenerazione clientelare all’interno del dicastero, trovò una conver-genza con il tentativo di Cefi s di egemonizzare la chimica in Italia. Girotti fu pertanto costretto a confrontarsi con potenti forze antagoniste all’interno dello Stato, ma fu anche responsabile di un fatale errore politico: egli portò all’estremo quel processo d’integrazione al potere politico che Cefi s, sfruttando i diversi referenti politici nella maggioranza democristiana, aveva tentato di marginalizzare, fi nendo quindi per appoggiarsi esclusivamente alla destra DC rappresentata dalla personalità in ascesa di Giulio Andreotti. Cfr. M. COLITTI, ENI, cit., p. 204; A. VERVELLI, L’Italia e l’ascesa di Gheddafi , La cacciata degli italiani, le armi e il petrolio (1969-1974), Milano, Baldini Castoldi Dalai Editore, 2009, pp. 230-237; D. CUZZI, Breve storia dell’ENI, cit., p. 77; F. BRIATICO, Ascesa e declino, cit., p. 338; M. ALMERIGHI, Petrolio e politica, Roma, Editori Riuniti, 2006.

Anche per questi motivi, la presidenza di Raffaele Girotti coincise con un periodo di crescenti diffi coltà per l’ENI, al punto che per alcuni quel periodo coincise col secondo shock della compagnia. In seguito all’avvicendamento di Cefi s, molti dirigenti seguirono l’ex presidente alla Montedison, dove egli inaugurò una nuova stagione della guerra della chimica italiana, una frattura che mise in diffi coltà l’ex collaboratore e oramai rivale Girotti soprattutto sul piano politi-co(55). Evidenti furono anche le responsabilità di quest’ultimo in relazione alle ambiziose politiche nei confronti dei Paesi in via di sviluppo e, più in generale, a proposito dell’interpretazione della natura e degli effetti della crisi energetica. In termini generali, sulle ambizioni di Girotti pesava il fatto che i rapporti diretti con i produttori costituivano un ambito troppo insidioso per le organizzazioni governative (come dimostrato dall’esemplare esperienza francese in Algeria), all’interno del quale l’ENI si muoveva cercando di fare strategia da solo, senza il necessario supporto del sistema Paese e dovendosi confrontare con i frammentati interessi delle società appartenenti al gruppo. Un grande merito della presidenza Girotti fu però quello d’insistere in favore del consolidamento dell’opzione me-tanifera, dando al gruppo delle solide basi in Italia e consolidando la dimensione internazionale della politica metanifera dell’ente. Nel maggio del 1975 il lungo assedio alla presidenza Girotti si concluse con le sue dimissioni e il suo ritiro dalla scena pubblica. Pochi mesi dopo, il neopresidente, l’avvocato Sette, con l’ordine di servizio n. 342 del 13 gennaio 1976, ribadì in modo più esplicito il cambiamento avviato da Girotti all’interno della riorganizzazione dell’ENI, che se da un lato decentrava le funzioni a favore delle società, d’altro lato distribu-

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(56) Con Sette si consolida, quindi, anche l’autonomia del settore fi nanziario, in particolare della società fi nanziaria internazionale del gruppo, Hydrocarbons, che inizia in quella fase a fi nanziare l’indebitamento del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. «L’esperienza dell’ENI – scrivono Giulio Sapelli e Franceso Carnevale – appare caratterizzata da un duplice processo; da un lato l’oscurarsi dell’unità del perseguimento della strategia, contestualmente alle diffi coltà economiche […] dall’al-tro il generale rafforzarsi, nella totalità e nella complessità del processo storico, della classe politica rispetto al mercato e allo sviluppo, rafforzarsi che è tanto più evidente quanto più dipendenti sono le unità economiche non protagoniste di performance ottimali e quanto meno monolitiche sono le sub-culture esistenti tra i management. Tale eterogeneità, infatti, favorisce processi di costituzione di leadership dalla cosiddetta natura “tecnocratica mista” tanto più evidenti quanto più si sale verso il top management: si può essere allora dinnanzi a veri e propri processi di “balcanizzazione politica”». G. SAPELLI - F. CARNEVALE, Uno sviluppo tra politica e strategia (ENI 1953-1985), Mila-no, Franco Angeli, 1992, pp. 22-27. Cfr. A. CLÒ, A colloquio con Egidio Egidi, in Eni 1953-2003, a cura di A. Clò, Bologna, Editrici Compositori, 2004, p. 145. L’AGIP, la società del gruppo che si occupava delle attività di estrazione, acquisizione e di distribuzione dei prodotti petroliferi, fu quella che più delle altre accrebbe la propria autonomia operativa e decisionale. Nel 1977 questo processo di riorganizzazione giunse a compimento con la scissione in AGIP Spa e AGIP Petroli, la prima impegnata nell’approvvigionamento e la seconda nelle attività di distribuzione e raffi nazione.

iva i poteri tra i cinque direttori dell’ente. Il fi ne dichiarato era sempre quello di salvaguardare e rilanciare l’effi cienza imprenditoriale delle singole società, la duttilità e la dinamicità delle organizzazioni societarie attraverso il decentramento e la redistribuzione della deleghe, nel tentativo di marginalizzare l’ingerenza dei direttori generali dell’ENI. Ma a essere penalizzati furono ancora una volta l’unità ideale delle attività del gruppo e l’incisività dell’azione internazionale dell’ente idrocarburifero italiano(56).

Del resto, anche l’Iran di Reza Pahlavi si ritrovò a fare i conti con gli squilibri generati dalle proprie politiche, una crisi prodotta dall’eccessiva euforia e dagli evidenti limiti strutturali di un Paese a vocazione agricola che era stato lanciato a una velocità eccessiva verso la conversione industriale capital intensive. L’esplo-sione dei prezzi di riferimento del greggio aveva generato in Iran enormi fl ussi fi nanziari, quindi aveva imposto la revisione al rialzo degli investimenti previsti dal V Piano industriale. L’illusione della crescita senza limiti per l’economia per-siana venne però prontamente smentita nel corso dei mesi successivi. Il 1975 fece infatti registrare un crollo del 20% delle vendite di greggio a livello globale, una contrazione della domanda dovuta ai prezzi elevati, ma alla quale contribuì anche l’inverno mite in Europa. La produzione in Iran scese quindi dell’11%, una riduzione contenuta rispetto alla fl essione fatta registrare dalla produzione saudita (-17%), ma che comunque causò una netta fl essione della rendita petro-lifera in una fase di espansione degli investimenti. Di fatto, l’Iran applicava agli esportatori del proprio heavy crude un prezzo di riferimento mediamente più alto (12,49 centesimi di dollaro per barile) rispetto ai diretti concorrenti regionali come

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(57) Nell’anno iraniano 1338 (marzo 1959-marzo 1960) i decili più poveri costituivano circa il 35% della popolazione totale ma detenevano solo una percentuale del consumo nazionale pari all’1,7%. Nel 1973-1974, l’anno del boom della rendita, i dati erano saliti al 38% circa e all’1,3% del consumo nazionale. Tali dati dovrebbero, inoltre, essere considerati alla luce di altri fenomeni, quali l’incremento demografi co e l’urbanizzazione delle città (la popolazione di Teheran tra il 1970 e il 1975 raddoppiò passando dai 2,5 milioni di abitanti a 5 milioni), che contribuirono ad acuire la polarizzazione sociale, soprattutto tra le condizioni di vita della città e quelle della popolazione rurale a causa del fallimento della riforma. L’economia dell’Iran non riusciva più a produrre derrate a suffi cienza per soddisfare il fabbisogno nazionale, soprattutto quello dei centri urbani che erano in continua espansione: nel corso del 1976 l’Iran divenne un importatore netto di prodotti alimen-tari, importazioni che nel 1977 raggiunsero un ammontare pari al 10% delle entrate petrolifere di quell’anno. L’infl azione galoppante iraniana (con un tasso vicino al 20%) generò le più gravi distorsioni macroeconomiche per il Paese che, di fatto, avrebbero condotto alla caduta dello scià. TNA, FCO 8/2513, Telegram from British Embassy in Tehran, B. C. Chalmers, to the FCO Middle East Dept., M. Lucas, 17 dicembre 1975; Cfr. A. SAIKAL, The rise and the fall of the Shah, Princeton, Princeton University, 1980, pp. 182-190; E. ABRAHAMIAN, Storia dell’Iran dai primi del Novecento ad oggi, Donzelli, Roma, 2009, p. 160.

l’Arabia Saudita (11,69) e il Kuwait (12,37), e ciò malgrado il valore commerciale del greggio della NIOC fosse inferiore a quello saudita (light crude). L’anno 1354 (1975-1976) lasciò quindi in eredità un defi cit di 1,7 miliardi di dollari, un dato che comunque non scalfì la fi ducia dello scià, il quale non solo confermò gli obiettivi del Piano, ma rilanciò le aspettative di crescita dell’economia iraniana per il VI Piano industriale. Tuttavia, lo squilibrio fatto registrare tra gli investimenti pia-nifi cati e le risorse necessarie per la realizzazione degli stessi contribuì a rendere visibili tutte quelle distorsioni dell’economia iraniana che la vertiginosa crescita aveva invece occultato(57).

Al fi ne di salvaguardare il livello generale della rendita idrocarburifera, lo scià tentò di compensare la fl essione della domanda di greggio attraverso l’in-cremento dei prezzi di riferimento. Il governo di Teheran, che sin dall’ottobre del 1973 aveva sposato la linea della fermezza nei confronti dell’Occidente sulla questione dei prezzi, rivendicava la legittimità dei rincari giustifi candoli sia sul piano teorico, quale corollario dei diritti riconosciuti dalle Nazioni Unite ai Paesi in via di sviluppo, che sul piano pratico, in quanto l’aumento continuo dei prezzi era giustifi cato dall’infl azione, cresciuta a un ritmo nettamente superiore a quello dei prezzi di riferimento del greggio (posted price). Al di là delle motivazioni addotte dallo scià, la presa di posizione degli Iraniani, che si differenziava da quella che venne progressivamente assunta dai Sauditi, maggiormente preoccupati dalle conseguenze socio-economiche della continua spinta al rialzo dei prezzi del greggio in Europa e in Medio Oriente, mirava nel breve periodo a preservare il livello generale della rendita petrolifera. L’Iran non riuscì nell’intento di ottenere un nuovo aumento in occasione della Conferenza di Vienna dell’Organizzazione

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(58) Lo scià: gli europei lavorino di più, in «Il Sole 24 Ore», 23 giugno 1974. Cfr. A. SAIKAL, The rise and the fall, cit., p. 127; TNA, FCO 8/2513, Oil revenues and defence and other sales, Confi dential report from British Embassy in Tehran, B. C. Chalmers, to the FCO Middle East Dept., M. Lucas, 18 dicembre 1975.

(59) Gli Iraniani accusavano le Compagnie di non tenere fede agli impegni e di favorire la pro-duzione dei regimi arabi, un’accusa che in Iran era da sempre utilizzata contro le major americane, ma che non era confermata dai dati. In Iran negli ultimi venti anni la produzione era cresciuta costantemente dai 0,720 milioni di barili al giorno del 1957 ai 5,4 milioni di barili al giorno del 1975. Il tasso d’incremento era stato del 12% annuo, più alto di ciascun Paese arabo e del tasso d’incremento della produzione di ogni compagnia del Consorzio in tutto il mondo arabo. In real-tà, la frustrazione degli Iraniani era da individuare, secondo i diplomatici britannici, nel mancato ottenimento dei risultati previsti: «Iran has not been able to became the dominant fi gure on the international oil scene which many Iranians thought possible one years ago […] Iran, in oil terms, has become more important, but has not achieved pre-eminence. This hurts, and hurts badly […]». TNA, FCO 8/2516, Telegram from British Embassy in Tehran, B.C. Chalmers, to the FCO Energy Dept., S.L. Egerton, 31 luglio 1975. Conseguentemente, ci fu anche una compressione degli strumenti fi nanziari che l’Iran aveva utilizzato al fi ne di accrescere l’integrazione tra l’economia nazionale e quella occidentale, dunque, al fi ne di affermare il proprio ruolo regionale. Il governo iraniano decise infatti di contrarre gli aiuti allo sviluppo, limitò gli anticipi sui pagamenti e gli strumenti di pagamento dilazionato. ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 164, f. 16F6, t.sso dal Ministero delle Partecipazioni Statali per l’ENI, 22 aprile 1976; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 164, f. 16F6, Lettera f.ta A. Angelucci per A. Fogliano, 17 giugno 1976.

del settembre 1975 (così come era accaduto anche in occasione della riunione di Quito nel settembre dell’anno prima); le risoluzioni dell’assise defi nirono in-vece il congelamento dei prezzi per l’ultimo trimestre dell’anno in corso(58). Contrariamente alle dichiarazioni dello scià, le diffi coltà dell’economia iraniana imposero quindi la revisione del Piano industriale: secondo le autorità di Tehe-ran gli obiettivi che l’Iran avrebbe dovuto raggiungere in un periodo di tre anni sarebbero stati ottenuti in quattro anni e mezzo, sottolineando tuttavia che le responsabilità di quel rallentamento erano da individuare, ancora una volta, nel comportamento delle società straniere(59).

Il modello di sviluppo dall’alto imposto dal «despota-manager» dell’Iran iniziò quindi a palesare quelle criticità che condussero progressivamente allo sfaldamento del debole, armato, consenso nazionale e internazionale che aveva legittimato il regime di Teheran. L’impianto economico dirigista predisposto dallo scià e dalla ristretta cerchia di tecnocrati, in una sola parola, la modernizzazione del Paese, doveva scontrarsi soprattutto con ostacoli di natura strutturale (carenza di manodopera qualifi cata, personale amministrativo non all’altezza degli obiettivi, elevata corruzione, mancata riforma agraria). Le ambizioni dello scià mostrarono quindi evidenti limiti in relazione all’individuazione degli obiettivi del Piano di sviluppo, circa la progettualità e il coordinamento nella fase esecutiva della piani-

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(60) Secondo alcuni dati, nel corso del V Piano iraniano solo il 21% del bilancio statale venne destinato alla spesa sociale contro il 34,2% destinato alla programmazione economica e ben il 32% della spesa destinata al comparto della difesa. In media, all’educazione nazionale era destinato il 6% del budget, contro una media del 25% OCSE. Cfr. A. SAIKAL, The Rise and The Fall, cit., pp. 182-184. La spesa destinata alle forniture di armamenti, che costituì per l’Iran uno dei più imponenti ostacoli sulla via della modernizzazione economica e politica del Paese, risultò essere la più elevata, come di fatto dimostrano i dati relativi alla revisione degli obiettivi del V Piano (1973-1978): la spesa per la Difesa prevista passò da 2 a 8 miliardi di dollari. TNA, FCO 8/2511, Telegram from British Embassy in Tehran, R.J. Alston, to the FCO Middle East. Dept., P.K. Williams, 12 dicembre 1974.

(61) Gli economisti hanno sviluppato modelli teorici e pratici in grado di spiegare fenomeni distorsivi introdotti dalla rendita petrolifera nei settori non-oil, coniando espressioni quali “ma-lattia olandese” per descrivere il fenomeno che porta la produzione intensiva di materie prime a penalizzare gli altri settori dell’economia. In Iran accadde qualcosa di simile, colpendo settori che, caratterizzati da un impiego intensivo di lavoro qualifi cato indigeno, avrebbero potuto permettere al Paese di sfruttare vantaggi competitivi che in realtà furono annullati dalla rendita petrolifera. L’importante affl usso di dollari generato dall’esportazione d’idrocarburi fi nì per drogare l’eco-nomia iraniana, sovvenzionando settori nei quali, al netto dei sussidi, gli operatori iraniani non erano competitivi e nei quali la concorrenza internazionale avrebbe comunque prevalso. Soltanto in questo modo è possibile giustifi care il crollo dell’esportazione dei settori non petroliferi che nel 1959-1960 avevano costituito il 22% del totale e che nel 1975-1976 rappresentarono soltanto il 5% delle esportazioni dall’Iran. E. ABRAHAMIAN, Storia dell’Iran, cit., p. 161.

fi cazione industriale, limiti legati essenzialmente alla natura del potere imperiale che, per esempio, non consentiva allo scià di decentrare la politica economica sia a livello territoriale che organizzativo. I dati economici mostrarono un netto regresso dei settori industriali non-petroliferi, i quali, rispetto agli anni antecedenti gli shock, evidenziarono tassi di sviluppo negativi. Le distorsioni prodotte in am-bito industriale, nel settore agricolo, nonché l’iperinfl azione della fi ne degli anni Settanta, costituirono i sintomi evidenti del sostanziale fallimento a cui andava incontro la modernizzazione promossa dallo scià e, dunque, del fallimento del regime(60). Come sostenuto dallo storico dell’Iran Abrahamian, paradossalmente, «ciò che era stata una buona politica in condizioni di scarsità divenne disastrosa dopo il boom»(61). D’altra parte, in termini generali, gli obiettivi della politica iraniana risultarono eccessivamente appiattiti sulla dimensione della crescita eco-nomica, mentre restarono ai margini della programmazione iraniana le questioni prioritarie quali l’equità e lo sviluppo qualitativo del tessuto socio-economico del Paese. In maniera altrettanto signifi cativa, la crescita vertiginosa di alcun degli indicatori economici fatta registrare dall’Iran dei Pahlavi durante gli anni Sessan-ta e Settanta non rilevava il fenomeno di polarizzazione che interessò la società iraniana, poiché nonostante l’incremento in termini assoluti del reddito nazionale la percentuale dei decili più poveri della popolazione crebbe in termini relativi e si contrassero i loro consumi. Le ragioni sono ancora una volta da ricercare nelle eccessive e irrazionali ambizioni dello scià che, infl uenzato dalle dottrine in voga

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(62) TNA, FCO 96/534, The Iranian revenues problem, Confi dential report from British Embassy in Tehran, D.A. Walker, to the FCO Middle East Dept., P. R. Wright, 17 dicembre 1975.

(63) Nel corso del 1978 il fi losofo francese Michel Foucault attraverso il «Corriere della Sera», per il quale divenne corrispondente speciale con la rubrica «Taccuino Persiano», fornì le proprie analisi a proposito dell’evoluzione della situazione iraniana. In uno dei suoi articoli egli cercò di ribaltare la tesi dominante al tempo che interpretava la Rivoluzione iraniana semplicemente come un tentativo reazionario di bloccare lo sviluppo e la modernizzazione del Paese intrapresa dal regime dei Pahlavi. In realtà, sin dalla sua fondazione, il regime dei Pahalvi si era fondato su un fragile equilibrio tra le pulsioni modernizzatrici e le forme di potere arcaiche e dispotiche (familiarismo, clanismo e militarismo); dispotismo e modernizzazione, due fenomeni collegati attraverso un fattore che divenne il tratto caratterizzante della società iraniana, particolarmente, negli anni Settanta: la corruzione. In base a queste considerazioni Foucault interpretava il crollo del regime, un regime considerato estraneo alla società e che la crisi economica aveva irrimediabilmente compromesso agli occhi dell’opposizione. Conclude il fi losofo francese affermando che «l’arcaismo, oggi, sta quindi nel suo progetto di modernizzazione, nelle sue armi di despota, nel suo sistema di corruzione. L’arcaismo è il “regime”». M. FOUCAULT, Taccuino Persiano, in «Corriere della Sera», 1 ottobre 1978.

negli anni Sessanta in materia di politiche d’industrializzazione, intese bruciare le tappe della crescita e non comprese appieno le implicazioni che il processo di sviluppo avrebbe prodotto sul piano sociale e culturale(62).

Anche per far fronte a queste lacune, nella primavera del 1974 Reza Pahlavi aveva annunciato il lancio di una nuova fase della «rivoluzione bianca», grazie alla quale, nel primo decennio di pianifi cazione (1963-1973), l’Iran aveva ottenuto straordinari risultati dal punto di vista degli indicatori macroeconomici, ma aveva anche prodotto distorsioni a livello socio-politico. La great civilization puntava quindi al contenimento degli squilibri sociali e al miglioramento dell’effi cienza della struttura amministrativa del Paese. Nella primavera del 1974, nella fase di massima espansione dell’economia petrolifera del Paese, lo scià ordinò un rimpasto di governo, confermando a capo dell’esecutivo il fedele Hoveyda, ma imponendo la separazione del mastodontico Ministero dell’Industria, del Petrolio e delle Miniere in tre diversi dicasteri con a capo tre uomini fi dati. Gli interventi adottati da Reza Pahlavi negli anni successivi, fi no alla disintegrazione del regime, furono espressione della volontà di consolidare i risultati economici dei piani di sviluppo, quindi, di marginalizzare gli effetti collaterali della modernizzazione. Un tentativo improbabile di risolvere le contraddizioni interne, di ricomporre la doppia morale del regime che, se da un lato glorifi cava i fasti e le ambizioni dell’impero, d’altro lato non poteva contrastare effi cacemente la corruzione che era invece connaturata al sistema di potere che i Pahlavi strutturarono in Iran(63).

L’esplosione della rendita petrolifera a partire dalla fi ne degli anni Sessanta aveva prodotto un ulteriore accentramento del processo decisionale, ampliando l’infl uenza delle personalità più vicine allo scià, soprattutto dei componenti della famiglia Pahlavi, e diffuso profondi fenomeni distorsivi all’interno del sistema di

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(64) Dai documenti uffi ciali dell’ENI emerge la tendenza alla “clanizzazione” dei centri di potere iraniani. Con l’affl usso di petrodollari si assistette infatti allo sviluppo di una lotta intestina all’interno e tra le più importanti compagnie pubbliche. Un esempio paradigmatico del modello di funzionamento della macchina burocratica iraniana in questo settore ci è offerto ancora una volta da Luigi De Lucchi. Nel febbraio 1974, il rappresentante degli interessi dell’ENI in Iran denunciò l’inserimento della società Iran-SAIPEM all’interno di una particolare black list, che era stata preparata dal presidente della NIOC e che quindi vietava alle società facenti capo alla NIOC d’intraprendere negoziati con i soggetti sgraditi. L’interpretazione fornita da De Lucchi in merito all’episodio, che l’abile funzionario dell’ENI aveva ricostruito accedendo a documenti riservati, metteva in luce il sistema di funzionamento di carattere clanico dell’ente iraniano. Per De Lucchi, la manovra, che coinvolse società come l’Iran-SAIPEM, una joint-venture costituita per l’esecuzio-ne dei lavori assegnati all’impresa di montaggio italiana, intendeva colpire non l’attività in sé ma l’esistenza stessa di quella azienda in quanto una di quelle «collegate al clan padrino». Gli affari che erano quindi patrocinati da quest’ultimo erano soggetti a simboliche restrizioni e censure, che celavano in realtà complesse dinamiche interne: il «padrino» in quel caso era il direttore generale per gli affari internazionali della NIOC, Fallah, al quale si opponeva il capo della NIOC Manue-cher Eqbal, che infatti era stato l’autore dell’ordine di servizio interno. La validità di questa tesi era confermata per De Lucchi dal fatto che Fallah non era stato compreso tra i destinatari della comunicazione, inviata invece al suo vice, Perviz Mina. ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coor-dinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 166, f. 174c, Lettera f.ta L. De Lucchi per R. Girotti, 2 febbraio 1974; A. ASADOLLAH ALAM, The Shah and I, The Confi dential Diary of Iran’s Royal Court, 1969-1977, London, I.B. Taursi and Co. Ltd, 1991, pp. 195 e 347.

(65) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Direzione estero/Area Medio Oriente/Iran, b. 134, f. 1, Lettera riservata f.ta L. De Lucchi per C. Sarchi, 4 novembre 1975; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Direzione estero/Area Medio Oriente/Iran, b. 134, f. 1, Lettera f.ta N. Ghaffary per C. Sarchi, 27 settembre 1976.

potere. La rendita generata dalla vendita di greggio a benefi cio delle società straniere era passata dai circa 487 milioni di dollari del 1965 ai 751 del 1967 (anno della chiusura del Canale di Suez e dell’embargo petrolifero arabo), fi no a giungere a quota 21,7 miliardi di dollari nel corso del 1976. Erano quindi emerse all’interno del Paese spinte centrifughe che tendevano a garantire l’arricchimento personale per mezzo delle commesse percepite sui contratti stipulati con le economie occidentali, attitudini che ovviamente penalizzarono lo stesso sviluppo lineare delle trattative con le società estere. Soprattutto le nuove generazioni di formazione straniera, che entravano a far parte dell’élite iraniana al tempo del boom, si caratterizzarono per lo spiccato arrivismo, contribuendo alla depoliticizzazione della tecnostruttura persiana(64). In Iran, la cura dei rapporti personali divenne dunque la norma per gli operatori economici stranieri che intendevano ottenere dei contratti. Gli acquisti venivano decisi dallo scià e dagli uomini di fi ducia che erano in presa diretta con l’imperatore, i quali costituivano sostanzialmente il canale privilegiato per tutti gli operatori stranieri, un dato di fatto che consente di capire perché Teheran divenne negli anni Settanta un pullulare di piazzisti, invitati da tutte le parti dell’Occidente nella speranza di accaparrarsi qualcuno dei contratti milionari iraniani(65). D’al-

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(66) M. KARSHENASH, Oil, state and industrialization in Iran, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, p. 163; G. M. WEINBAUM, Iran fi nds a party system: the institutionalization of Iran Novin, in «The Middle East journal», XXVII, 1973, 1, pp. 439-455; J. A. BILL, The plasticity of informal politics, in «The Middle East journal», XXVII, 1973, 2, pp. 131-151. Luciani dedica il decimo capitolo di The Rentier States all’Iran (Depoliticisation of a Rentier State: The Case of Pahlavi Iran). La validità della sua tesi sarebbe confermata dal fatto che il regime iraniano nel 1978-79 crollò in maniera rapida e radicale. Secondo Luciani, la depoliticizzazione fu proprio determinata dall’assenza di differenziazione all’interno del sistema di potere dei Pahlavi, nonché espressione della completa assenza di legame tra quest’ultimo e la società. Cfr. H. BEBLAWI - G. LUCIANI, The Rentier States¸ London, Croom Helm, pp. 211-227. Così descrive invece Saikal questo fenomeno: «The Shah and these key participants […] formed the autocratic ruling elite of Iran. But this elite was closely directed and overseen by an “inner elite” that was mainly composed of the Shah and his brothers, two sisters, prime minister, chief of the secret police, joint chief of staff, and court minister. The role of the last was important in that he headed a ministry that formed a secret government parallel to the offi cial one, guiding and checking the latter under the Shah’s direct command». A. SAIKAL, The rise and the fall, cit., p. 74. Si vedano a tale proposito anche i documenti dell’Ambasciata britannica a Teheran, che, analizzando la situazione economico-politica iraniana, rilevavano l’op-portunità d’individuare in maniera più precisa e sistematica quelle personalità che costituivano il «governo ombra» dell’Iran («The shadowy men of power»), che erano quindi in grado d’infl uenzare il successo o il fallimento delle iniziative economiche del Paese. Secondo i diplomatici britannici, oltre ai componenti della famiglia reale, ai ministri e ai funzionari, ai clan familiari, c’erano diverse altre fi gure di faccendieri che completavano la complessa rete di canali informali e personalistici sui quali si fondava l’Iran dei Pahlavi. Si veda: TNA, FCO 8/2496, Telegram from British Embassy in Tehran, R. J. Alston, to FCO Middle east Dept., P.K. Williams, 7 gennaio 1975.

tronde, nei primi anni Settanta, con l’aumento delle risorse a disposizione delle società nazionali per la vendita diretta, si affermò il mercato spot del greggio nei principali terminal del Golfo: il mercato a pronti permetteva, con transazioni rapide, di vendere il greggio presso i porti iraniani a prezzi elevati e con entrate certe, una tipologia di acquisto che, data la natura indefi nita del prezzo di vendita, alimentava l’affermazione di pratiche di corruzione all’interno del regime. La depoliticizzazione dell’entourage dello scià coincise con lo svuotamento di una funzione politica attiva da parte dell’élite; la crisi di rappresentatività indebolì inoltre il legame tra questa e la società: in altri termini, la dipendenza dalla rendita petrolifera non fece che indebolire i fragili istituti democratici, oltre a produrre uno sviluppo squilibrato dell’economia(66).

4. L’attività dell’ente italiano negli anni del declino dei Pahlavi

Durante il novembre 1975, una nuova proposta per lo sfruttamento del gas rinvenuto a Kangan venne formulata dall’EGOCO sulla scorta del contenuto del contratto originale, nonché delle indicazioni pervenute dalla NIOC, che nel frattempo aveva avocato la gestione delle operazioni upstream proprio in relazione

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(67) ASENI, Fondo AGIP/Ricerche e produzione, Serie: Settore estero, b. 300, f. 3a7, Prome-moria f.to. E. Egidi per il Presidente, 16 marzo 1976.

a quei giacimenti di gas naturale. La NIOC richiedeva da tempo alle società del gruppo un maggiore impegno in relazione allo sviluppo dei giacimenti, un investi-mento nell’ordine dei 40 milioni di dollari, come di fatto era previsto dall’accordo che aveva dato vita al gruppo di ricerca europeo. La proposta formulata dalle società europee era strutturata su tre piani e prevedeva: la partecipazione della NIOC alle spese di sviluppo; la realizzazione, interamente a carico delle società consorziate, dell’impianto di raccordo tra i campi di estrazione e il centro di rac-colta della NIOC; la progettazione e costruzione di un sistema di liquefazione per l’esportazione del gas naturale. Questo secondo progetto, che era stato previsto anche nel contratto originale, avrebbe dovuto essere cofi nanziato paritariamente dall’EGOCO e della NIOC, una proposta che suscitò le perplessità da parte degli Iraniani che, invece, intendevano addossare all’EGOCO l’intero onere fi nanziario dei due progetti, stimati intono ai 40 milioni di dollari. Inoltre, la società di Stato iraniana non accettava l’assunto dal quale muovevano le società del gruppo di ricerca europeo, le quali ritenevano di poter vantare dei diritti sulle riserve di gas scoperto. Al contrario, il governo di Teheran riteneva che il contratto di ser-vizio che aveva consentito le ricerche da parte dell’EGOCO avesse per oggetto il greggio e, dunque, le società non potevano vantare diritti di prelazione sul gas naturale; d’altra parte, il diniego da parte delle stesse di fi nanziare l’ulteriore sviluppo dei giacimenti avrebbe potuto avere quale conseguenza il decadimento del diritto al rimborso delle spese sostenute dalle società nei primi cinque anni di sviluppo previsti dal contratto originale. L’intera vicenda ruotava quindi intorno al rifi uto da parte dell’Iran di cofi nanziare le attività delle società europee e di riconoscere diritti sul gas rivenuto dall’EGOCO, al quale si chiedeva invece di rispettare i contenuti dell’accordo, continuando a investire nell’area di Kangan, non congelando fi no alla naturale conclusione dell’accordo le riserve di gas che l’Iran avrebbe dovuto mettere a diposizione dell’IGAT II. L’AGIP, verifi cata l’impossibilità di dare continuità allo sfruttamento del gas naturale dell’offshore iraniano, puntava a giungere entro la fi ne dell’anno a un accordo per il rimborso delle spese sostenute(67).

Le autorità di Teheran sostennero decisamente l’impegno anche nel settore dell’energia nucleare, un ambito che quindi diventa decisivo per l’interpretazione delle politiche del regime iraniano negli anni del suo declino. Il complesso piano industriale iraniano aveva fatto affi orare alcuni limiti e tra questi iniziarono a presentarsi i problemi legati all’approvvigionamento energetico interno, problemi che emersero con sempre maggiore frequenza soprattutto nel corso del biennio

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(68) NARA, CFPF (7/1/1973-12/31/1976), Electronic Telegrams (1/1/1974-12/31/1974), Tele-gram from US Embassy in Teheran, J. Miklos, to the Department of State, 17 luglio 1975, http://aad.archives.gov.

(69) A proposito della rilevanza di queste iniziative, scriveva l’ambasciatore staunitense a Te-heran: «The fact that the Shah takes a lively personal interest in each step of the program is a fair indication of nuclear power’s high standing among the nation’s priorities». Tuttavia, ancora una volta le ambizioni dello scià andavano ben oltre le possibilità iraniane. Il programma fu caratteriz-zato dalle, ormai tipiche, incongruenze: per esempio, l’implementazione del Programma nucleare venne spalmato su più livelli ministeriali e burocratici che spesso entravano in confl itto con le prerogative dell’Agenzia iraniana per l’energia atomica (AEOI), istituita nell’aprile del 1974. Già al tempo del lancio del programma, gli osservatori stranieri ne previdero agevolmente i limiti intrin-

1976-1977. L’impiego dell’energia nucleare per usi civili fu dunque una scelta giustifi cata dall’esigenza di coprire, attraverso queste fonti alternative, la domanda domestica di energia, destinata a crescere a ritmo elevato nell’arco del successi-vo decennio (in dieci anni il fabbisogno elettrico sarebbe aumentato di 23.000 MGW), mentre gli analisti mondiali valutavano che l’Iran avrebbe raggiunto il picco della produzione di greggio nell’arco di un decennio. Per il regime dello scià l’energia atomica costituiva un settore strategico che avrebbe permesso al Paese un’ulteriore espansione del proprio potenziale economico-fi nanziario, garantendo la conservazione di un elevato livello di esportazione d’idrocarburi. Il possesso della tecnologia nucleare avrebbe di fatto costituito per l’Iran un fattore di presti-gio nell’area mediorientale, nonché un’implicita garanzia contro la proliferazione degli armamenti atomici nella regione, che l’Iran aveva condannato aderendo al TNP e all’IAEA, senza tuttavia trarne le dovute garanzie. Teheran avrebbe infatti tentato di contrastare con la deterrenza la proliferazione nucleare nella regione, ma avrebbe anche avuto la possibilità di convertire, nel breve-medio periodo, la tecnologia civile in uso militare al fi ne di garantire la sicurezza nazionale(68).

La pretesa nucleare dello scià costituì dunque un determinante fattore nell’ambito dell’elaborazione della politica economica ed estera del Paese a par-tire dal 1975. D’altronde, a posteriori, anche la politica atomica iraniana, che puntava a sostituire l’energia siffatta agli idrocarburi per il soddisfacimento del fabbisogno interno, intrapresa quando erano già in via di costruzione numerose opere infrastrutturali legate alla commercializzazione degli idrocarburi, eviden-ziava l’incongruenza tra gli obiettivi e le risorse, ampie ma non illimitate, sulle quali poteva contare il regime di Teheran. Il programma nucleare nel quale, a partire dal 1974, il governo imperiale si imbarcò prevedeva la realizzazione di ben 22 centrali nucleari in territorio iraniano, di cui 6 erano già in costruzione grazie alle intese tra Teheran e alcuni dei suoi partner occidentali. Tra il 1974 e il 1977 l’Iran fi rmò accordi in materia di cooperazione nucleare con la Francia, le società industriali della Germania Ovest e con gli USA(69). La cooperazione

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sechi: «Although growing, Iranian industry is still limited in scope and short of material, trained labour and management». Una lettera d’intenti del novembre 1977 prevedeva la realizzazione da parte della società tedesca Siemens di 4 nuove centrali nucleari da 1.200 MGW ciascuna per un costo complessivo di circa 18,5 miliardi di marchi tedeschi, che si sommavano alle due già in via di realizzazione da parte delle società tedesche. L’accordo nucleare fi rmato con l’amministrazione statunitense nel 1975 venne congelato a causa della disputa sorta in relazione alla fornitura di tecnologia militare USA all’Iran. Washington cercò quindi in alternativa d’imporre a Teheran e ai suoi alleati nella regione la realizzazione di un centro multinazionale di energia nucleare per il Medio Oriente, ma sia l’Iran, evidentemente deciso a disporre in maniera esclusiva dell’energia, sia gli Arabi della regione, rifi utarono la proposta. NARA, CFPF (7/1/1973-12/31/1976), Electronic Telegrams (1/1/1974-12/31/1974), Telegram from US Embassy in Teheran, J. Miklos, to the Depart-ment of State, 17 luglio 1975, http://aad.archives.gov.

(70) Il fi nanziamento iraniano sarebbe andato a favore del consorzio francese di produzione Framatone, che avrebbe utilizzato quel capitale per coprire la quota di partecipazione francese alla costruzione dell’impianto di Tricastin, l’impianto del consorzio europeo EURODIF per l’arricchi-mento dell’uranio. Istituito nel 1973 da Georges Besse, l’EURODIF prevedeva una partecipazione maggioritaria francese (50,6%), accanto a quella delle società del Belgio (11%), della Spagna (11%), della Svezia (10%) e dell’Italia (16,2%, una percentuale paritariamente suddivisa tra il CNEN e l’AGIP Nucleare). Il Nuovo Pignone fornì a Tricastin i compressori e i componenti ciclopici per l’arricchimento. La quota svedese venne in seguito ceduta alla Francia, che giunse a una quota del 60%; Parigi, attraverso la cessione di una parte di queste a favore di una nuova società mista franco-iraniana (SOFIDIF), mise indirettamente a disposizione dell’Iran la quota prevista dall’ac-cordo bilaterale. Cfr. TNA, EG 8/330, Notes for a discussion with Dr Etemad, 9th July 1975 in London, Secretary to FCO’s Private Secretary, N.M. Hutchins, 11 luglio 1975; EG 8/330, Telegram from British Embassy in Tehran, B.C. Chalmers, to the FCO, 29 dicembre 1975.

nel settore nucleare costituiva, accanto alle forniture di armamenti, uno degli ambiti più importanti della collaborazione tra la Francia e l’Iran nel corso degli anni Settanta. L’accordo quadro del febbraio 1974 tra i ministri delle Finanze dei due Paesi, Jean-Pierre Fourcade e Hushang Ansari, segnò forse uno dei momenti più alti della cooperazione tra un Paese industrializzato e un produttore d’idro-carburi, un evidente successo per la Francia che tentava di affermare in Europa l’idea di un dialogo autonomo e cooperativo tra l’Europa e i Paesi produttori. Il successivo viaggio di Reza Palahvi in Francia (24-29 giugno 1974), altamente mediatizzato e celebrato dal presidente francese, costituì un’ulteriore conferma dell’avvicinamento politico tra i due Paesi, dinamiche in parte giustifi cate dal par-ziale raffreddamento dei rapporti tra Washington e Teheran. All’accordo quadro seguirono due intese destinate al settore della cooperazione nucleare. Il primo, denominato Accordo di cooperazione per lo sviluppo e l’utilizzo dell’energia nu-cleare a scopi pacifi ci, siglato sempre da Fourcade e Ansari nel giugno del 1974, prevedeva che, in cambio di un fi nanziamento di un miliardo di dollari a favore dell’industria nucleare francese, l’Iran avrebbe acquisito il 10% del capitale del Consorzio EURODIF e un’opzione per l’acquisto del 10% della produzione di uranio arricchito a Tricastin(70). In seguito, il Framatone Consortium si aggiudicò

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(71) TNA, FCO 98/30, Telegram from the FCO European Integration Dept., A. Broomfi eld, to the FCO Middle East Dept., R.M. James, 14 maggio 1976.

(72) P. CRAVERI, La Repubblica dal 1958 al 1992, Torino, UTET, 1995, p. 143. Cfr. S. LABBATE, Il governo dell’energia, L’Italia dal petrolio al nucleare (1945-1975), Firenze, Le Monnier, 2010; E. CRISPINO, Il caso del nucleare, in ENI. Un’autobiografi a, a cura di F. Venanzi - M. Faggiani, Milano, Sperling & Kupfer, 1994, pp. 399-405.

(73) Il piano riservava grande spazio al settore dell’energia nucleare e riconobbe all’ENEL il ruolo di leader di tale ambito nel quale la società elettrica si era impegnata a realizzare quattro cen-

la realizzazione di due centrali nucleari da 900 MGW in Iran, per un valore di 6 miliardi di dollari, contratto che venne annunciato nel mese di dicembre durante la visita a Teheran di Chirac, il quale, nella stessa occasione, espose l’impegno francese alla realizzazione della metropolitana di Teheran, per una cifra superiore al miliardo di dollari. Un nuovo accordo tra i due ministri delle Finanze nel mag-gio del 1975, in occasione dell’incontro della commissione mista franco-iraniana, ribadì l’interesse alla cooperazione nucleare da parte dei due Paesi, defi nendo la realizzazione in Iran di un centro di ricerca e sviluppo della tecnologia nucleare a Isfashan, una scelta che evidentemente rispecchiava l’intento dello scià di acquisire non solo gli impianti, ma anche il know-how necessario alla gestione in autonomia del potenziale nucleare del Paese. La cooperazione nucleare costituì d’altronde uno degli argomenti di discussione tra l’Iran e le istituzioni comunitarie, anche se il Consiglio dei Ministri dell’Energia della CEE continuava a rimandare le decisioni a riguardo di un accordo con l’Iran(71).

Nell’ambito dei contatti avviati dall’agenzia nucleare iraniana con le società energetiche europee, anche le società dell’ENI vennero contattate dalle autorità di Teheran al fi ne di verifi care la disponibilità a realizzare gli impianti di smal-timento delle scorie. Nel corso degli anni Sessanta, lo sviluppo del nucleare in Italia era stato ostacolato dalla presenza di gruppi d’interesse consolidati con obiettivi divergenti rispetto a quello dello sviluppo dell’energia elettronucleare(72). L’importanza dell’impegno dell’Italia nel settore dell’energia nucleare venne risco-perta solo con la crisi energetica, i cui effetti spinsero il governo a varare il Piano energetico nazionale, che venne elaborato dal Comitato tecnico idrocarburi e approvato dal CIPE nel dicembre 1975. L’AGIP-Nucleare assieme ad altre società del gruppo ENI, come la TECNECO e il Nuovo Pignone-Divisione prefabbri-cati, cercarono quindi delle opportunità d’investimento soprattutto al di fuori dei confi ni nazionali e, in particolare, tentarono di inserirsi anche nel dinamico contesto nucleare iraniano. La TECNECO venne, infatti, invitata dall’agenzia iraniana a presentare le proprie offerte in relazioni agli impianti di «waste di-sposal» che l’Iran avrebbe realizzato contestualmente alla realizzazione dei due impianti nucleari da 1.200 MGW che la società tedesca Kraftwerkunion stava realizzando a Bushehr, nell’omonima provincia del Golfo Persico(73). La TEC-

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trali nucleari dal 1974, mentre l’ENI e il CNEN avrebbero collaborato con l’ENEL alla produzione del combustibile nucleare e alla fornitura dei servizi per quel settore. Cfr. ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 163, f. 16f7, Lettera f.ta L. De Lucchi per Direzione Esteri ENI, A. Folgiano, 25 aprile 1976; TNA, FCO 96/455, Telegram from British Embassy in Rome, M.R. Morland, to the Department of Energy, P.T. Harding, 27 gennaio 1976; TNA, EG 8/331, Confi dential letter from the Secretary of State for Energy (Atomic Energy Division), C. Herzig, to R. Bulter, 26 luglio 1976; TNA, FCO 8/2744, Telegram from British Embassy in Bonn, R. I. Cromatie, to the FCO, J.A. Thomas, 13 luglio 1976.

(74) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 163, f. 16f7, Appunto riservato f.to L. De Lucchi, 10 maggio 1976.

(75) TNA, FCO 8/2744, Telegram from British Embassy in Rome, E.R. Worshop, to FCO Middle East Dept., R.M. James, 19 dicembre 1976.

(76) Rinaldo Ossola venne nominato ministro del Commercio Estero nel III governo Andreotti (1976-1978). L’economista proveniente dalla Banca d’Italia, dove aveva ricoperto il ruolo di direttore generale, partecipò in qualità di ministro tecnico, guadagnandosi la riconferma nel IV governo Andreotti (1978-79). Durante la sua attività ministeriale si fece promotore della legge 227/77, la “legge O.”, che avrebbe dovuto contribuire a colmare un altro gap legislativo in materia di coope-razione economica e fi nanziaria internazionale. Si veda: R. OSSOLA, Confronto a più voci. Il ruolo del credito all’esportazione nel commercio estero italiano, Napoli, Isveimer, 1978.

NECO tentò quindi d’inserire, nelle fasi successive del negoziato, anche l’AGIP e il Nuovo Pignone quali contractor per l’affi damento di lavori di realizzazione delle infrastrutture nucleari dell’Iran. Particolarmente intensa fu in quella fase l’attività di De Lucchi, il quale suggeriva d’impostare in Italia una linea d’azione unitaria, dunque di defi nire un coordinamento tra le società del gruppo al fi ne di accrescere le potenzialità italiane e di giungere meglio preparati al confronto con l’interlocutore iraniano(74). Evidentemente, l’osservazione di De Lucchi si fondava sulla consapevolezza che quel settore costituisse per l’Italia un terreno scivoloso e che proprio in quell’ambito si stesse giocando un’importante partita per l’affermazione degli interessi in quel Paese. La visita del ministro del Commer-cio Estero Rinaldo Ossola in Iran confermò l’interesse italiano a partecipare allo sviluppo di questo settore strategicamente ed economicamente molto importante. Le autorità di Teheran, che anche in questo campo cercarono di salvaguardare la loro autonomia, aggiunsero l’Italia, ultima arrivata tra gli Europei, alla lista dei potenziali fornitori di beni e servizi per la realizzazione del piano nucleare ventennale(75).

Il ministro Ossola completò la sua visita in Iran il 10 dicembre 1976(76). Il viaggio seguiva quello del capo di Stato polacco in Italia e quella dello stesso ministro in Romania e anticipava le successive visite ufficiali dell’esponente del III governo Andreotti presso le capitali di Libia, Iraq e Arabia Saudita. La diplo-mazia italiana puntava a rilanciare le esportazioni italiane verso le due più impor-tanti aree d’interesse, l’Europa orientale e i Paesi produttori d’idrocarburi, ossia

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(77) NARA, CFPF (7/1/1973-12/31/1976), Electronic Telegrams (1/1/1974-12/31/1974), Tele-gram from America Embassy in Rome, B.Beaudry, to Secretary of State, 17 dicembre 1976. http://aad.archives.gov.

quel gruppo di Paesi maggiormente interessati a sostenere, dall’alto, il processo di sviluppo industriale. La stampa italiana ribadì queste intenzioni, sottolineando allarmisticamente come questo sforzo non potesse cancellare il ritardo accumu-lato dal Paese nell’intercettazione dei petrodollari, che invece venivano intercet-tati dagli altri, più attivi, partner europei. Di fatto, le operazioni commerciali che avrebbero dovuto interessare le forniture di beni e servizi da parte delle società italiane in Iran potevano limitare il deficit della bilancia dei pagamenti. In Iran la visita di Ossola, accompagnato dal sottosegretario di Stato per il Commercio con l’Estero Galli e dal capo di gabinetto Trioli, assunse un carattere particolare proprio in ragione della difficoltà per le imprese italiane di concludere le tratta-tive che erano da troppo tempo in corso. Ossola riscosse un discreto successo che venne ampiamente segnalato dalla stampa iraniana e da quella nazionale, ma non ci fu l’atteso salto di qualità, almeno rispetto all’affare Iran connection. Secondo il parere di Bob Beaudry, dell’Ambasciata statunitense a Roma, l’insie-me dei viaggi ufficiali realizzati dal ministro costituì uno dei primi cenni di rea-zione da parte dell’Italia alla crisi energetica dopo anni di passività, nel tentativo di limitare gli effetti dello shock sull’inferma bilancia dei pagamenti. Emergeva un giudizio negativo circa la capacità dell’esecutivo italiano, compresso dalle esigenze di politica interna, dall’endogena instabilità politica e finanziaria, di offrire, a distanza di anni dallo scoppio della crisi, delle risposte efficaci alla politica dei Paesi produttori, intercettandone le istanze e i petrodollari(77).

L’interesse che il governo di Teheran attribuiva ai legami intergovernativi, che si svilupparono parallelamente ai rapporti tra le società occidentali e le isti-tuzioni iraniane, era espressione della ricerca di maggiori garanzie rispetto all’ese-cuzione degli impegni, poiché le autorità persiane intendevano trasferire in capo ai governi stranieri l’onere di assicurare la diligenza dei committenti. In partico-lare, in riferimento all’Iran, si segnalava come l’avanzamento delle trattative inerenti i grandi progetti di cooperazione imponesse l’intervento delle istituzioni governative in sede negoziale e, in maniera più specifica, richiedesse un abboc-camento ai più alti livelli tra gli esponenti dei governi consumatori beneficiari e lo scià. A prescindere dalla delicata situazione socio-politica interna, erano gli indicatori macroeconomici a denunciare i limiti della proiezione dell’Italia in Iran. Il IV governo Moro, per i diplomatici britannici il più debole del dopo-guerra, aveva lasciato in eredità la grave situazione economica generata dalla recessione seguita allo shock petrolifero. Nel 1976 l’economia era tornata a cre-

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(78) Nel corso del 1976 la lira giunse a perdere fi no al 17% del suo valore rispetto alle altre monete, con un defi cit della bilancia dei pagamenti di 1.028 miliardi di lire. Nell’aprile dell’anno successivo, il FMI concesse all’Italia un prestito di 309 milioni di sterline, condizionato a un taglio sulla spesa di una percentuale del 10% del PIL, pari a circa 2 mila miliardi di lire. Cfr. TNA, FCO 33/3219, Report on the Italian Economy in 1976, from British Embassy in Roma, M. Cambell, the FCO Western Europe Dept., 12 aprile 1977; TNA, FCO 33/3219, Record of a meeting in Rome between the Minister of Overseas Development and On. Luciano Radi, Italian Deputy Minister of Foreign Affairs, 31 marzo 1977; TNA, FCO 33/3219, Telegram from British Embassy in Rome, A.C. Galsworthy, to HM Treasury, M. Hall, 17 maggio 1977.

(79) P. FRESCOBALDI, I viaggi di Ossola. L’Italia non può ignorare i «grandi petrodollari», in «Corriere della Sera», 21 dicembre 1976.

(80) In occasione della visita di Ossola venne inaugurato il Centro Commerciale Italiano di Teheran, creato su iniziativa dell’Istituto per il Commercio Estero (ICE). TNA, FCO 8/2744, Telegram from British Embassy in Rome, E.R. Worshop, to the FCO Middle East Dept., R.M. James, 19 dicembre 1976.

scere dopo il -3,5% del 1975, facendo registrare un tasso di crescita del 5,6%, ma con una percentuale d’inflazione doppia rispetto al 1975, che toccò quota 21,8%, e dunque con una moneta molto più debole(78). Di parere conforme era anche la stampa italiana vicina al mondo dell’industria, che pur apprezzando lo sforzo dell’esecutivo in quella fase, recriminava per l’assenza di una politica ita-liana nei confronti dei produttori vòlta a intercettare i flussi finanziari a beneficio della bilancia dei pagamenti e delle esportazioni di manufatti da parte delle industrie nazionali(79). Sostanzialmente, analizzato in questi termini, il viaggio di Ossola poteva essere considerato privo di risultati efficaci poiché l’Italia non era riuscita a sbloccare le grandi trattative che includevano l’ENI e che riguardavano principalmente le forniture d’idrocarburi. Le uniche intese che furono siglate durante gli incontri tra Ossola e il collega iraniano Manuchehr Taslimi furono raggiunte nell’ambito della seconda sessione della Commissione mista italo-ira-niana, riunitasi per l’occasione, e che trattò soprattutto i contratti relativi a pro-getti di piccola e media portata. Essa si riunì per la seconda volta – nonché l’ultima – dopo quattro anni di rinvii che la diplomazia britannica attribuì all’in-stabilità politica italiana(80). Paradossalmente, tale situazione non aveva penaliz-zato l’interscambio tra i due Paesi, soprattutto non sfavorì le esportazioni italia-ne in Iran che nel corso dell’anno solare 1976 ebbero un incremento rispetto al volume dell’anno precedente dell’86%, un progresso del 91% rispetto al valore delle merci esportate l’anno precedente, per un totale complessivo di 800 miliar-di di dollari di beni e servizi, tecnologia e manufatti. Un dato di fatto che segna-la come l’evoluzione dei rapporti commerciali seguisse un trend autonomo che si inseriva ovviamente nel solco della tradizione inaugurata da Mattei e che abbracciava tutti i settori dell’economia, e ciò malgrado le difficoltà del governo

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(81) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Rapporti con le organizzazioni nazionali e internazionali, b. 1, f. 4076, Promemoria f.to C. Sarchi per l’Avv. Sette, 21 maggio 1976.

di Roma. Del resto, a proposito del viaggio di Ossola a Teheran, fonti dell’Am-basciata USA affermavano che, anche in questo caso, il viaggio da parte di un ministro italiano in Iran non aveva avuto un rilevante significato operativo. Anche sul fronte del contratto per la fornitura a beneficio della National Iranian Steel Industries Company (NISIC) del complesso siderurgico di Bandar Abbas, la trattativa sembrava arenarsi a causa della richiesta persiana di addebitare all’Ita-lia il finanziamento dell’opera (dal costo complessivo di un miliardo di dollari) e di effettuare il pagamento in greggio, piuttosto che in dollari. Se accordata, una simile richiesta avrebbe indotto il governo di Roma a imporre alle compagnie operanti in Italia, compresa l’ENI, di comprare il greggio iraniano ottenuto quale contropartita, un’operazione che quindi veniva guardata con scarso entusiasmo dallo stesso ente idrocarburifero, che in quel modo sarebbe stato costretto ad assorbire un flusso di greggio a prezzi onerosi, proprio mentre cercava di sottrar-si agli impegni dell’Iran connection.

Rispetto al punto «Energia», quindi in relazione all’accordo ENI-NIOC, la missione Ossola mirava soprattutto a sollecitare la ripresa effettiva dei colloqui che le parti avevano interrotto e che solo da qualche mese erano ripresi in seguito a una proposta formulata dalla NIOC. Quest’ultima proposta conteneva delle novità a proposito della determinazione del prezzo da applicare e introduceva la clausola della nazione favorita (articolo 9.6), che avrebbe concesso alla società mista di approvvigionarsi altrove qualora la NIOC avesse applicato un prezzo superiore a quello praticato dall’Iran alle altre compagnie operanti in Iran(81). La risposta italiana si fece attendere; questo perché, in particolare da parte dell’AGIP, c’era la dichiarata intenzione di mutare l’oggetto della trattativa. La convinzione diffusa all’interno dell’ENI era che fosse necessario giungere in ogni caso alla sottoscrizione di un accordo: dopo anni di trattative e considerata la natura e la solidità dei rapporti tra i due Paesi, si riteneva che esse non potevano essere interrotte unilateralmente. L’intento era quindi quello di giungere a una nuova forma di accordo che consentisse di preservare i buoni rapporti con l’Iran, ma senza per questo accettare condizioni commercialmente insostenibili. Del resto, se l’AGIP aveva sin dall’origine contestato l’opportunità strategica dell’ingresso della NIOC nell’attività di downstream, anche per l’Iran l’originale forma di accordo risultava essere sconveniente in ragione della tendenza ascendente dei prezzi globali che non avrebbe consentito di conferire maggiore valore aggiunto alle vendite di greggio. Da parte dei vertici dell’AGIP vi era quindi la tendenza a trasformare quel complesso accordo di compartecipazione in una formula contrat-

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(82) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 139, f. 11, Appunto interno AGIP (non fi rmato), 20 ottobre 1976.

(83) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Rapporti con le organizzazioni nazionali e interna-zionali, b. 1, f. 4076, Lettera f.ta R. Ossola per il presidente P. Sette, 12 gennaio 1977; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 165, f. 1742, Telegramma f.to L. De Lucchi per Direzione Esteri ENI, 2 novembre 1976. Stando alle opinioni espresse dall’ambasciatore britannico Anthony Parsons, il modello economico iraniano fondato

tuale incentrata sull’approvvigionamento idrocarburifero dell’Italia, rinunciando a estendere la cooperazione ai Paesi africani, dove, del resto, l’Iran pagava po-liticamente l’alleanza con il Sud Africa. In sostanza, l’AGIP avrebbe acquistato prodotti petroliferi iraniani a un prezzo indicizzato, utilizzando una formula che avrebbe comunque garantito un maggiore valore aggiunto per la NIOC rispetto alla cessione del greggio prevista dall’originale contratto (il greggio sarebbe stato CIF piuttosto che FOB, compreso quindi il trasporto in Italia) e in cambio l’Iran si sarebbe impegnata a investire gli introiti derivanti da questa transazione per l’acquisto dei prodotti delle aziende dell’ENI o, più in generale, italiani(82).

Tuttavia, in occasione della visita del ministro italiano le autorità dei due Paesi cercarono comunque di registrare dei progressi in relazione ai due princi-pali aspetti della trattativa ENI-NIOC: il primo riguardante la costituzione della joint-venture, l’altro relativo alle contropartite da parte della società mista per l’acquisto del greggio della NIOC. Di fatto, come a sottolineare le argomentazioni formulate dai dirigenti dell’azienda mineraria italiana, esistevano ancora grossi problemi sul fronte della valutazione degli impianti che la società italiana avrebbe dovuto cedere alla società mista, impianti che l’Iran continuava a dichiarare di va-lutare secondo il loro valore contabile. Sul fronte della compensazione, il ministro Ossola ripropose in occasione della sua missione a Teheran la proposta avanzata dall’ENI nel marzo del 1975 di compensare il proprio «sacrifi cio», impiegando i pagamenti effettuati per il greggio della NIOC nell’acquisto di beni e servizi prodotti dall’azienda, o più in generale, prodotti da società italiane. Nonostante il generale assenso iraniano rispetto alla formula che era stata presentata dalla società italiana, vi erano ancora delle diffi coltà che riguardavano il prezzo di vendita del greggio, poiché le autorità iraniane, che comunque avevano avanzato proposte più ragionevoli, rifi utavano ancora d’indicizzare il prezzo. Comunque, la questione che probabilmente risultava maggiormente diffi cile riguardava la dichiarata volontà di Teheran di tenere separati i due ambiti dell’accordo.

Il governo italiano attraverso Ossola offrì d’integrare questo secondo accordo sulla compensazione all’interno di un’intesa intergovernativa italo-iraniana, sulla scorta di quanto già negoziato dalle parti tra il 1974 e il 1975, offrendo implicita-mente di ricongiungere sotto gli auspici di Roma i due aspetti della trattativa(83).

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sul dirigismo, simile per struttura e per strumenti (commissioni miste bilaterali) a quello dei Paesi dell’Est Europa, imponeva, soprattutto in una fase di forte espansione e di elevata concorrenza, l’intervento dei governi di riferimento occidentali a sostegno dell’attività commerciale delle loro imprese. TNA, FCO 8/2747, Commercial work in Tehran (1972-1982), Note by British Embassy in Tehran, A. Parsons, 31 ottobre 1976.

(84 )Le autorità di Teheran negavano all’ENI l’accesso privilegiato al greggio iraniano e la società di bandiera si sarebbe ritrovata a sopportare un sacrifi cio di cui avrebbe invece benefi ciato tutta l’economia italiana, la bilancia dei pagamenti in modo particolare. Negli incontri con lo scià, Ossola trattò anche il tema del rincaro dei prezzi, sottolineando gli effetti di tali politiche sulla già precaria situazione dell’Italia. Lo scià declinò tuttavia le responsabilità e confermò la presa di posizione dell’Iran rispetto al problema dei prezzi, sottolineando però la disponibilità a riconoscere all’Italia le misure fi nanziarie di sostegno promesse. NARA, CFPF (7/1/1973-12/31/1976), Elec-tronic Telegrams (1/1/1974-12/31/1974), Telegram from America Embassy in Rome, B.Beaudry, to Secretary of State, 17 dicembre 1976. http://aad.archives.gov.

(85) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 165, f. 1742, Telegramma f.to L. De Lucchi per Nuovo Pignone, M. Benelli, 3 ottobre 1976; Lettera f.ta F. Ciatti, direttore generale Nuovo Pignone, per C. Sarchi, 12 aprile 1977. Cfr. TNA, FCO 96/54, Telegram from British Embassy in Teheran, A. Parsons, to the Departmental Distribu-tion, 19 gennaio 1977.

Nessuno sviluppo signifi cativo venne quindi registrato anche su questo fronte rispetto ai mesi precedenti, al punto che le fonti italiane dell’Ambasciata USA mettevano in dubbio la fattibilità di quell’accordo, soprattutto a causa dell’ormai dubbia volontà da parte iraniana. Secondo l’Ambasciata, a rendere complessa la sottoscrizione dell’accordo era l’apparente doppiezza degli Iraniani, i quali nutrivano in realtà molte riserve nei confronti dell’Italia. Malgrado l’interesse da entrambe le parti a sottoscrivere l’intesa, nessuna riteneva indispensabile quell’ac-cordo e, pertanto, nessuna era disposta a fare delle importanti concessioni(84). Dalla lettura della documentazione sembrerebbe emergere la diacronia tra gli interessi del governo e quelli dell’ENI, segno del rifi uto da parte di alcuni set-tori di quest’ultimo di anteporre gli interessi generali a quelli delle aziende del gruppo, ma che era anche espressione della difettosa integrazione tra gli interessi dell’ente statale e gli obiettivi dell’esecutivo, una mancanza di reciprocità sulla quale si fondò il rifi uto dell’ENI di accettare le condizioni di quel contratto(85).

In Iran, nel corso degli anni Settanta, l’ENI sviluppò interessi anche nel settore della chimica e della chimica fine. In questi settori l’obiettivo dichiarato del regime di Teheran era di raggiungere l’autosufficienza produttiva nel giro di un quinquennio, in particolare, sviluppare la capacità di raffinazione del Paese per coprire l’aumento della domanda di prodotti derivati dagli idrocarburi. Evidentemente, per i pianificatori iraniani non era possibile accettare la dipen-denza dall’importazione dei derivati dalle materie prime di cui erano esportato-ri. Del resto, la chimica e la petrolchimica, grazie al valore aggiunto dei suoi

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(86) Nella primavera del 1974 la NPC raggiunse un accordo di massima con la Japan Petroleum Company per la costituzione di una joint-venture petrolchimica e per la realizzazione dell’impianto di Bandar Shahpour. Le formule richieste alle imprese occidentali erano le più differenti, dalla ri-chiesta di partecipazione estesa agli impianti di raffi nazione e trasformazione già esistenti, ai nuovi investimenti diretti in Iran in cambio della concessione di contratti petroliferi. Gli investimenti avrebbero comunque dovuto garantire alla NPC una percentuale minima del 50% del capitale. ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 162, f. 16d0, Inizia-tive chimiche in Iran-Elementi Conoscitivi, Appunto preliminare Servizio studi ANIC, 26 aprile 1974.

(87) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 163, f. 16f7, Appunto della Direzione Esteri ENI, 15 maggio 1974.

prodotti, erano settori in forte espansione, e sembravano offrire particolari van-taggi proprio a quei Paesi che come l’Iran associavano al tasso di sviluppo acce-lerato la ricchezza d’idrocarburi. I grandi produttori OPEC avevano infatti da tempo iniziato a rivendicare nei confronti delle compagnie e dei governi occi-dentali la necessità di partecipare allo sviluppo di quel settore strategico. Le priorità industriali iraniane costituirono l’oggetto di discussioni interne al regime; anche in materia di raffinazione l’impiego delle risorse gasifere per l’esportazio-ne o in funzione dell’industrializzazione nazionale fu ampiamente dibattuto tra i tecnocrati di Teheran. Da un lato, vi era chi, come i dirigenti della National Petrochimical Company (NPC), sosteneva che le risorse nazionali di gas doves-sero essere disposte in funzione dello sviluppo della capacità produttiva nazio-nale, al fine d’impiantare un comparto industriale in grado di esportare i deriva-ti, quindi il valore aggiunto prodotto dalla lavorazione degli idrocarburi. D’altro lato, i vertici della NIOC e della NIGC puntavano invece sull’esportazione del gas naturale, una risorsa il cui trasporto presentava ancora oneri troppo elevati, ma che per le sue caratteristiche era destinata ad avere mercato in Europa, pro-ducendo una rendita finanziaria più diretta e più sicura dei troppo ambizioni progetti industriali. Il dibattito in quella fase sembrò premiare la linea che privi-legiava l’importazione d’impianti industriali per la chimica e la petrolchimica piuttosto che l’estensione dei contratti di esportazione del gas(86). Il V Piano iraniano, infatti, definì investimenti per 500 miliardi di dollari, con l’obiettivo d’installare la capacità necessaria all’autosufficienza e di generare un surplus per l’esportazione destinato al mercato mediorientale, soprattutto per i fertilizzanti agricoli(87).

Anche in questo ambito la struttura produttiva del Paese non si sarebbe di-mostrata all’altezza delle ambizioni dell’Iran; tuttavia il governo studiò l’ipotesi di collaborazione con un consorzio composto da società europee (tedesche, francesi e italiane) per la realizzazione di un nuovo impianto petrolchimico, un’iniziativa che di fatto avrebbe potuto consentire la ripresa della collaborazione tra l’Iran e

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(88) Mostafi riteneva fosse opportuno «inserire nella letter of understanding» NPC-ANIC un chiaro riferimento al possibile utilizzo del gas di Kanghan, considerazioni che furono confermate anche da Perviz Mina. ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 159, f. 164f, Resoconto colloqui Teheran (NPC/ANIC-AGIP-ENI),17 luglio 1974.

(89) «Considering the development of Iran during these last years and the forecast of the future, it is my considered belief that ENI activities in Iran shall be increasing year after year, covering gradually all the fi elds in which your organization has diversifi ed». ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Direzione estero/Area Medio Oriente/Iran, b. 134, f. 1, Consolidation of ENI activities in Iran, Letera f.ta N. Ghaffary, per il presidente P. Sette, 15 gennaio 1976.

le società dell’EGOCO. In riferimento a questa ampia e complessa convergenza d’interessi, la società ANIC sottoscrisse una lettera d’intenti con la NPC (26 giugno 1974) per la realizzazione di un impianto di fertilizzanti a Busher (150 km circa a nord di Kangan). Nel corso di un incontro bilaterale a Teheran, Mostofi della NPC consigliò esplicitamente ai dirigenti della società italiana d’insistere su questo progetto, suggerendo appunto la possibilità di utilizzare l’opzione pe-trolchimica per infl uenzare l’esito del più ampio accordo sul downstream e per l’import di gas naturale(88).

Nel 1976 (1355) venne festeggiato in Iran il cinquantesimo anniversario della dinastia Pahlavi, evento celebrato con la rinuncia da parte dello scià al calendario tradizionale persiano in favore di un nuovo calendario imperiale, che segnava qua-le anno zero il 559 a.C., l’anno dell’ascesa al trono di Ciro il Grande, l’ennesimo richiamo alle origini preislamiche dell’Iran, un nuovo provocatorio oltraggio dello Shahinshah alle autorità sciite del Paese, anche se, a differenza del suo illustre predecessore, l’impero di Reza Pahalvi sarebbe durato soltanto altri due anni, dal 2535 al 2537. Furono quindi programmati nuovi progetti per lo sviluppo del Paese, nei confronti dei quali le società italiane rinnovarono il loro interesse. Le diffi coltà legate allo sviluppo dei negoziati sui grandi progetti di collaborazione pensati da Girotti non impedirono di fatto alle società dell’ENI di prendere parte alla rincorsa per i contratti di fornitura di beni e servizi legati ai piani di sviluppo dello scià. Più in generale, così come venne sottolineato in occasione della visita di Ossola in Iran, l’interscambio commerciale tra i due Paesi registrò nel corso del 1976 un incremento notevolissimo, trainato in maniera rilevante dalle esportazioni italiane di manufatti industriali e tecnologie in esecuzione degli accordi minori sottoscritti in quei mesi dalle società italiane, e da quelle dell’ENI in particolare(89).

La SNAM e SAIPEM si aggiudicarono i lavori per la linea n. 1 dell’oleodotto Marun-Esfahan, il tratto più importante tra quelli assegnati attraverso la gara del 1975 e che presentava le maggiori diffi coltà logistiche dato che avrebbe dovuto attraversare territori posti a quota 2300 metri. In questo settore le società dell’ENI

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(90) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Direzione estero/Area Medio Oriente/Iran, b.134, f.3, Iran-Pipelines NIOC, Lettera riservata f.ta L. De Lucchi per Direzione Esteri ENI, 27 agosto 1975.

(91) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 174, f. 1731, Telegramma dall’Ambasciata d’Italia in Iran per il Ministero delle Partecipazioni Statali, 30 novembre 1976.

(92) TNA, FCO 96/654, Telegram from British Embassy in Teheran, A. Parsons, to the FCO Middle East Dept., P.K. Williams, 19 gennaio 1977.

(93) La SOFREGAS era una società del gruppo ELF-Aquitaine. Al consorzio italo-francese (75% SAIPEM-25% SOFREGAS) fu affi data la realizzazione del troncone centrale e di quello orientale del gasdotto (da Isfahan a Kangan), per un valore di 185 milioni di dollari. ASENI, Fon-do ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 165, f. 1742, Telegramma f.to L. De Lucchi per l’ing. Sarchi, 23 settembre 1975; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 165, f. 1742, t.sso dall’Uff. III MAE –DGAE per il Ministero delle Partecipazioni Statali, 5 giugno 1976.

potevano infatti vantare l’esperienza maturata in Iran sui Monti Zagros, dove a partire dal 1957 erano stati avviati i lavori di ricerca che avevano condotto alla scoperta e alla coltivazione di tre campi petroliferi, individuati a quote superiori ai 3000 metri. L’oleodotto era stato offerto a un costo di 9,4 miliardi di rial, per-mettendo alla SNAM di ottenne anche la fornitura delle stazioni di pompaggio per la pipeline. La SNAM tentò a sua volta di favorire l’aggiudicazione da parte del Nuovo Pignone della fornitura delle turbine, ricevendo tuttavia il diniego da parte della NIOC. Anche in questa occasione i dirigenti dell’azienda italia-na cercarono di valorizzare l’importanza dell’integrazione e della sinergia tra le aziende del gruppo al fi ne di favorire l’inserimento del Nuovo Pignone quale azienda fornitrice dei prodotti manufatti richiesti. La società iraniana sostenne al contrario la necessità di determinare le forniture per la realizzazione dell’opera infrastrutturale sulla base del parametro della convenienza, quindi per mezzo di gare aperte che non premiarono l’azienda del gruppo ENI(90). Nel settembre 1976 un consorzio italiano SAIPEM-CIMI (Finsider-Technipetrol) si aggiudicò i lavori per l’impianto di gas treating di Saraks (Mashad) per una cifra inforno ai 73 milioni di dollari (che per il 10% doveva essere destinato al pagamento delle maestranze iraniane)(91). Tali elementi consentono dunque di valutare un aspetto non irrilevante della presenza italiana in Iran, ossia l’effi cacia della collaborazione tra le aziende delle Partecipazioni Statali, una cooperazione che nel Paese me-diorientale aveva avuto un’apprezzabile manifestazione durante l’aggiudicazione dei lavori per lo sviluppo del porto di Bandar Abbas(92).

La SNAM Progetti, giunta terza alla gara per l’attribuzione del basic report del gasdotto IGAT II, vinta dalla Williams Engigneering, nel giugno 1976 co-stituì un’impresa congiunta con la francese SOFREGAS, ottenendo i lavori per l’ingegneria di base e di dettaglio dello stesso gasdotto(93). Nel dicembre dello

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(94) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 165, f. 1742, Lettera f.ta L. De Lucchi per la SNAM-Progetti Comm., 13 dicembre 1976; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 165, f. 1742, IGAT II, Memorandum f.to A. Donadelli, 5 febbraio 1977.

(95) «Con questi due contratti [affermavano dal Ministero degli Esteri] le commesse all’ENI in Iran superano oggi con un certo margine il miliardo di dollari», ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 165, f. 1742, t.sso del Ministero degli Affari Esteri, A. Mondello, per il Ministero delle Partecipazioni Statali, 17 dicembre 1977.

(96) TNA, FCO 8/2511, Telegram from British Embassy in Teheran, A. Parsons, to the FCO Middle East Dept, P.K. Williams, 5 giugno 1975.

stesso anno la NIGC assegnò all’impresa italo-francese l’incarico di realizzare anche gli studi relativi all’ingegneria di base e di fornire le general facilities dell’impianto di lavorazione del gas previsto dal progetto IGAT II(94). Questa assegnazione dimostrava il grado di specializzazione raggiunto in questi settori dalle società del gruppo, che oltretutto cercarono di candidare le altre aziende della holding pubblica alla fornitura dei beni e servizi relativi all’opera, tentando in questo modo di sfruttare la natura integrata dell’ENI per offrire maggiori garanzie di effi cienza. Di fatto, la SAIPEM puntava alla posa delle condotte per le tratte di spettanza del gruppo italo-francese, mentre il Nuovo Pignone avanzò il proprio interesse a fornire le stazioni di compressione del gas, le stesse che stava installando sulle condotte internazionali realizzate dalla società italiana per l’import d’idrocarburi dall’Olanda. Alla fi ne del 1977, l’Oil Service Company of Iran (OSCO), la società commerciale costituita per la gestione del contratto di servizio che disciplinava l’attività delle major nel Paese, fi rmò con la SNAM Progetti una lettera d’intenti per la realizzazione di uno dei due impianti per la fornitura di gas al complesso petrolchimico irano-giapponese di Bandar Shahpour, un ulteriore successo per le aziende dell’ENI che toccava quota un miliardo di dollari di commesse ottenute in Iran(95).

Il biennio 1973-1974 aveva fatto immaginare per l’Iran un inarrestabile sviluppo della potenza economica e politica del Paese, in Medio Oriente e in Occidente. L’ambasciatore britannico Parsons osservava che la fl essione delle aspettative in Iran era giunta proprio quando il Paese aveva fatto registrare il più ampio fl usso di operatori economici stranieri che l’intera regione mediorientale avesse mai conosciuto. Gli effetti psicologici di questo brusco risveglio iraniano furono anche più duri delle conseguenze economiche, poiché contrastavano con l’attenzione con la quale lo scià guardava alla promozione del prestigio naziona-le. La défaillance economico-fi nanziaria ebbe quindi effetti diretti e indiretti sui rapporti, soprattutto quelli economici, con l’Occidente sia nelle trattative dirette che in sede OPEC(96).

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(97 )La legislazione iraniana stabiliva alcuni limiti all’assegnazione delle commesse industriali: esse venivano frazionate in diversi lotti (suddivise per fasi di costruzione: basic report, ingegneria di base, costruzione, etc.), e l’aggiudicazione di uno di questi escludeva automaticamente le società vincitrici dalle gare per l’assegnazione degli altri lotti. ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assisten-te per il collegamento estero/Iran, b. 164, f. 7, Telegramma f.to L. De Lucchi per E. Gandolfi , 12 febbraio 1975. «Le legislazioni vigenti in materia non incoraggiano una partecipazione diretta da parte di società straniere in iniziative industriali in Iran, giacché limitano piuttosto drasticamente tale intervento a un massimo del 25/30% del capitale sociale […] da quando la suddetta legisla-zione è entrata in vigore, una sola iniziativa congiunta è andata in porto [l’impianto di pneumatici realizzato da Pirelli] e questo in quanto gli accordi presi precedentemente alla legge stessa già di per sé limitavano il coinvolgimento della società italiana al 25% del capitale», ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 165, f. 173c, Telegramma f.to L. De Lucchi per Direzione Esteri ENI, Dr. Martelli, 29 novembre 1976.

(98) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Assistente per il collegamento estero/Iran, b. 163, f. 16F6, t.sso f.to A. Folgiano per l’Uffi cio collegamento Ministero delle Partecipazioni Statali, Piero-celletti, 22 aprile 1976.

Le aziende dell’ENI dovettero quindi fronteggiare alcune diffi coltà legate pro-prio alle peculiari caratteristiche del contesto sociale e istituzionale iraniano, che erano state aggravate dagli squilibri economici successivi al boom petrolifero. Nel corso del 1977 la situazione relativa all’esecuzione del contratto NIGC-SNAM/SOFREGAZ si complicò a causa di un mutamento nella tecnostruttura iraniana in relazione al progetto complessivo IGAT II. Il regime aveva infatti intenzione di affi dare alla NIOC, che già era titolare dei diritti d’estrazione del gas naturale, anche le funzioni relative alla realizzazione dell’impianto di lavorazione del gas, sostenendo che quest’ultima avesse maggiori competenze in materia e fosse in grado di garantire l’economicità dell’impianto. Per stessa ammissione del dirigente della NIOC Abakians, dietro tale decisione vi era la volontà, maturata ai massimi livelli della NIOC, di affi dare la realizzazione del basic design dell’impianto ai Francesi della ELF-Aquitaine, la società pubblica francese che dal primo settembre 1976 aveva sostituito l’ERAP. Uno dei più spinosi problemi legati agli investimenti in Iran riguardava l’evoluzione fatta registrare in quegli ultimi anni dalla legislazione iraniana, la cui rigidità fi nì per scoraggiare gli investimenti esteri. La legge per la protezione e l’attrazione degli investimenti, che mirava a sviluppare l’inclusione delle imprese industriali nei contratti sottoscritti con le società estere, ebbe quale maggiore effetto appunto quello di disincentivare la presenza straniera, mentre era proprio il tessuto industriale del Paese a risultare impreparato alla sfi da della cooperazione industriale con le società occidentali(97). Nella primavera del 1976 il governo iraniano annunciò la propria rinuncia a effettuare gli anticipi sui pagamenti degli acquisti esteri, una soluzione che scaricava sui fornitori l’onere fi nanziario delle forniture, penalizzando di fatto i concorrenti che provenivano da paesi caratterizzati da un’elevata esposizione della bilancia dei pagamenti(98). La normativa restrittiva

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(99) TNA, FCO 96/654, Telegram from British Embassy in Teheran, D.A. Walker, to the FCO Middle East Dept., P. R. Wright, 12 gennaio 1977. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti richie-sero di fatto un incremento del 5%, la metà rispetto a quanto richiesto alle Compagnie dagli altri membri dell’OPEC, una situazione che perdurò per tutto il semestre fi no alla nuova Conferenza di Stoccolma (luglio 1977), quando di fatto l’Iran, dopo anni di contrasti in seno all’Organizzazione, fu costretto ad allinearsi alle posizioni saudite, accettando una linea più moderata in materia di prezzi. TNA, Cabinet Papers (CAB) 130/1060, Iran: economic and political implications, Note by the Secretaries, 9 novembre 1978.

(100) FCO 96/654, Telegram from British Embassy in Tehran, D.A. Walker, to the FCO Middle East Dept., 15 febbraio 1977.

che interessò l’economica iraniana negli anni 1975-1976 e che puntava, tra le altre cose, a limitare la concentrazione d’interessi stranieri nel Paese, fu ispirata dal nuovo programma di sviluppo, la great civilization: il tentativo da parte dello scià di trasformare l’Iran in un’economia avanzata, marginalizzando gli squilibri che erano stati evidenziati dal rallentamento della crescita. Tuttavia, le nuove tensioni all’inter-no del mercato petrolifero seguite alla Conferenza OPEC di Doha produssero un uovo brusco calo delle vendite di greggio da parte dell’Iran nelle prime settimane del 1977. La decisione del regime saudita, sostenuta dagli Emirati Arabi Uniti, di non accettare l’ulteriore incremento dei prezzi del 10%, come veniva richiesto dagli altri produttori dopo il congelamento seguito alla Conferenza indonesiana del maggio 1976, penalizzò le vendite da parte della NIOC (-35%) a benefi cio dei «moderatissimi» regimi del Golfo.

Nel gennaio del 1977 Addul-Majid Majidi, il ministro al Bilancio e alla Piani-fi cazione del governo persiano, annunciò che l’Iran avrebbe sospeso i pagamenti per le importazioni effettuate e che a partire da quel momento gli operatori nel Paese avrebbero dovuto adattarsi allo schema del baratto(99). La denuncia da parte di Teheran della riduzione delle esportazioni da 6,7 a 4,2 milioni di barili al giorno, per una perdita stimata di 23 milioni di dollari giornalieri, mise in dubbio la stessa soddisfazione a breve termine dei contratti di fornitura e dei prestiti concessi(100). In realtà, a fi ne gennaio si registrerà l’esportazione di una quantità media di 5,05 milioni di barili al giorno, leggermente maggiore rispetto alle cifre del gennaio 1976 e di poco inferiore rispetto al dicembre precedente; il problema era ancora una volta legato alle aspettative e alle previsioni di bilancio effettuate sulle base dell’ammontare delle esportazioni iraniane dell’ultimo quadrimestre del 1976, stime che avevano previsto un incremento degli introiti.

La great civilization iraniana fu costretta a fare i conti anche con i limiti cultu-rali propri dell’Iran che caratterizzavano la macchina burocratica del Paese e che quindi ostacolavano il processo di modernizzazione dello scià. L’impreparazione delle istituzioni culturali rispetto ai processi di sviluppo veniva oltremodo acui-

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(101) Il funzionario d’Ambasciata britannico individuava quattro peculiari aspetti deleteri che caratterizzavano il personale amministrativo iraniano: «highly individualistic, secretive, jealous of each other and cliques». TNA, FCO 8/2262, Telegram from British Embassy in Teheran, P.J. Westmacott, to the FCO Middle East Dept., P.K. Williams, 3 dicembre 1974; TNA, FCO 96/654, Iran: the political scene, from the British Embassy in Teheran, A. Parsons, to the FCO Secretary, 6 dicembre 1976. Cfr. H. BEBLAWI - G. LUCIANI, The Rentier States, cit., pp. 211-227.

(102) TNA, FCO 96/654, Telegram from British Embassy in Teheran, A. Parsons, to the FCO, 9 agosto 1977.

ta dalla natura del sistema di potere creato dai Phalavi per puntellare il proprio regime. Il ritmo accelerato impresso alla modernizzazione del Paese, costretto a passare nel giro di un decennio da un’economia e una società su basi feudali a una fondata sull’industria capital intensive, non consentì allo scià di fondare la propria rivoluzione su fondamenta solide. In Iran una classe di tecnocrati e di affaristi a questi strettamente legati avevano rimpiazzato il potere dei feudatari, acuendo ove possibile il distacco tra la società iraniana e i funzionari che componevano la mac-china militare-amministrativa iraniana. Se non guadagnò il consenso delle masse popolari, lo scià non riuscì a imporre la propria egemonia neanche sugli uomini del regime, i quali rinunciarono a svolgere qualunque ruolo riformatore e preferirono trincerarsi nella ricerca dell’arricchimento individuale. La lotta alla corruzione posta a fondamento della great civilization e intrapresa energicamente dal primo ministro Hoveyda era destinata a fallire, condannando il regime alla sua estinzione(101). Lo scandalo che coinvolse nel 1977 la famiglia reale, accusata di favorire l’arricchimento selettivo, produsse un terremoto politico che causò la fi ne della carriera politica del decennale primo ministro iraniano. L’8 agosto 1977 Jamshid Amouzegar, ministro delle Finanze del governo Hoveida dal 1965 al 1974, venne posto alla guida di un nuovo esecutivo in Iran. Amouzegar venne scelto proprio per le differenti posi-zioni rispetto all’ex capo del governo in materia di politica economica, frizioni che ne avevano causato l’allontanamento, una discontinuità all’interno dell’esecutivo iraniano confermata dagli avvicendamenti imposti anche agli altri dicasteri chiave: insieme a Hoveyda, per dodici anni braccio destro dello scià, furono infatti destituiti i ministri della Pianifi cazione, Industria, Energia e Agricoltura, mentre resistette al suo posto il ministro dell’economia e della fi nanza, Hushang Ansari, salvato dai suoi legami in Occidente, dunque, da una relativa estraneità rispetto ai fenomeni economici interni(102). Il nuovo primo ministro riprese la lotta alla corruzione che Hoveyda aveva inaugurato, raccogliendo in realtà scarsi successi, ma soprattutto mise in discussione l’approccio dell’ex premier verso l’economia, mettendo sotto accusa l’industrializzazione disordinata e tumultuosa del Paese, che era proceduta a un ritmo accelerato insostenibile per la struttura produttiva del Paese. Di fatto, l’obiettivo della great civilization restava ancora troppo lontano e a fi nire sotto

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(103) La Societé italo-iranienne des Petroles (SIRIP) fu fondata nel 1957 in seguito all’accordo sottoscritto tra Mattei e lo scià, secondo la celebre formula del 75-25%. Si veda: L. MAUGERI, L’arma del petrolio: questione petrolifera globale, guerra fredda e politica italiana nella vicenda di Enrico Mattei, Firenze, Loggia de’ Lanzi, 1994, pp. 142-160; M. BUCARELLI, All’origine della politica ener-getica dell’ENI in Iran: Enrico Mattei e i negoziati per gli accordi petroliferi del 1957, in «Nuova Rivista Storica», XCIV, 2010, 2; M. MAGINI, L’Italia e il petrolio tra storia e cronologia, Milano, Mondadori, 1976; I. TREMOLADA, La via italiana al petrolio. L’ENI di Enrico Mattei in Iran (1951-1958), Milano, Edizioni l’Ornitorinco, 2010, pp. 503-505.

(104) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 166, f. 174d, Lettera f.ta E. Egidi per P. Mina, 29 agosto 1975.

accusa fu proprio la politica economica di Hoveyda, caratterizzata da una serie di errori di approssimazione che, per esempio, avevano costretto l’Iran, un gigante energetico mondiale, a soffrire di un defi cit di energia secondaria, costringendo gli impianti industriali alla sottoproduzione (gli impianti lavoravano al 60% delle proprie potenzialità) e le città a continui black-out. L’eccessiva attenzione rivolta all’esportazione delle risorse idrocarburifere aveva prodotto forti distorsioni nella struttura produttiva del Paese, la cui domanda energetica era stata sottovalutata a favore dell’esportazione, generando un defi cit di circa 600 MGW tra la domanda di energia e l’offerta nazionale. Le restrizioni al consumo iniziarono a colpire le città iraniane, nelle quali Reza Pahlavi aveva cercato d’imporre modelli occidentali di consumo, attraverso importazioni che avevano prodotto l’erosione della capacità di acquisto degli iraniani, costretti a far fronte ai costi dell’infl azione (25-30%) anche sui generi di prima necessità. Il rallentamento dell’economia era quindi dovuto a tali criticità che, comunque, il regime era sicuro di potere eliminare, rimuovendo anche ai livelli più bassi quelle personalità ritenute responsabili di avere rallentato lo sviluppo del Paese.

Gli effetti determinati dalla crisi finanziaria e politica del regime erano stati percepiti anche dalle società dell’ENI e in particolare interessarono l’ambito mine-rario. Per l’AGIP vi erano ormai da mesi evidenti difficoltà legate alla commercia-lizzazione del greggio estratto dalla SIRIP(103). Il prezzo di acquisto pagato alla società italo-iraniana dall’AGIP era di 10,2 dollari al barile, contro un prezzo di mercato inferiore ai 10 dollari, greggio che era quindi difficile da vendere in Italia anche a causa della sua bassa qualità, fattori che inevitabilmente ostacolavano gli stessi reinvestimenti da parte della società italiana nel progetto Zagros(104). Gli investimenti necessari per lo sviluppo dei giacimenti Zagros, stimati nell’ordine dei 250 milioni di dollari, costituivano un ulteriore motivo di frizione tra l’AGIP e la società di Stato iraniana, la quale intendeva imporre uno schema di finanziamento dell’opera (1/3 NIOC, 1/3 SIRIP e 1/3 AGIP) che i dirigenti italiani non avreb-bero potuto accettare. Il rischio era quello di perdere l’area di ricerca, che la NIOC

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(105) Sulle vicende che portarono alla costituzione dell’IMINOCO in Iran nel 1965 si vedano: R. MILANO, L’ENI e l’Iran 1962-1970, cit., pp. 139-170; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordi-namento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 166, f. 174d, Lettera f.ta P. Mina per E. Egidi, 14 gennaio 1975; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 166, f. 174d, Lettera f.ta E. Egidi per P. Mina, 29 agosto 1975.

(106) ASENI, Fondo Agip/Ricerche e produzione, Serie: Settore estero, b. 300, f. 3 a7, Pro-memoria sui problemi SIRIP (Iran), 20 aprile 1976.

(107) «[…] è indispensabile, anche in relazione a recenti sollecitazioni ricevute dall’ambiente governativo, riprendere i contatti con la NIOC per la defi nizione della progettata associazione nell’attività downstream dell’AGIP all’estero. Motivi di convenienza economica e di difesa di rile-vanti interessi del gruppo in Iran rendono improrogabile una nostra azione», ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 139, f. 11, Lettera f.ta P. Sette per E. Barbaglia, 17 novembre 1977.

(108) «Non ho più avuto indicazioni, né da Lei né dal presidente Sette, circa il noto negoziato, e pertanto non potendo essere più monarchico del Re, resto in paziente attesa. Si tratta dell’unica iniziativa che io abbia seguito in questi anni della mia missione in Iran che non sia andata in porto e che minacci di non andarci mai, con facilmente prevedibili negativi effetti futuri sull’azione Eni-Nioc e sulle relazioni Iran-Italia. E me ne dispiace profondamente», ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 139, f. 11, Lettera f.ta ambasciatore L. Cottafavi per C. Sarchi, 24 novembre 1977. Di diverso avviso sarà invece il successore di Cottafavi, Giulio Tamagnini, che invece espresse serie riserve sull’opportunità di quell’accordo con l’Iran. Cfr. G. TAMAGNINI, La caduta dello scià, cit, p. 113.

minacciava appunto di riprendersi nel caso la società del gruppo ENI avesse sospe-so le attività di sviluppo dei tre pozzi rinvenuti sui monti iraniani (il giacimento di Doudrou fu scoperto dall’AGIP nel 1965, Khu Rig nel 1967 e Shurom nel 1970). Anche a proposito dell’IMINOCO, la società mista creata nel 1965 dalla NIOC e dal consorzio guidato dall’AGIP, che comprendeva oltre all’azienda italiana la statunitense Phillips e la Commissione per il gas e il petrolio del governo della Repubblica dell’India, emersero dei problemi legati agli aggiustamenti fiscali richie-sti da Teheran(105). Nella primavera del 1976, l’AGIP aveva quasi raggiunto un accordo complessivo sulle due questioni legate all’attività mineraria in Iran. Tuttavia, l’avvicendamento tra i negoziatori della NIOC, uno dei tanti cambiamenti all’in-terno del regime imposti dallo scià, fece naufragare le intese e rese necessaria la riapertura di una complessa fase negoziale(106). Rispetto al progetto di collabora-zione tra ENI e Iran nel settore del downstream, dai documenti dell’Archivio societario emerge chiaramente la necessità di chiudere l’accordo, poiché il perdu-rare di quella trattativa rischiava di penalizzare la credibilità dell’ente in quel Paese, esigenze ribadite anche dal governo nei confronti del presidente dell’ENI Pietro Sette(107). Anche Cottafavi, giunto ormai alla conclusione della sua missione in Iran, riconosceva la necessità di pervenire a una soluzione, sottolineando le possi-bili ripercussioni che il fallimento definitivo di quella trattativa avrebbero potuto avere sui rapporti bilaterali italo-iraniani(108).

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(109) ASENI, Fondo Agip/Ricerche e produzione, Serie: Settore estero, b. 300, f. 3a7, Prome-moria per E. Egidi, 16 maggio 1977.

(110) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 166, f. 174d, Lettera f.ta A. Donadelli per A. Fogliano, 5 gennaio 1977; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 166, f. 174d, Telegramma f.to A. Donadelli per C. Sarchi, 25 agosto 1977; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 166, f. 174d, Telegramma f.to A. Donadelli per dr. Angletti, 2 aprile 1977.

Nonostante le diffi coltà legate all’involuzione del sistema di potere iraniano, durante il mese di maggio 1977 le società dell’ex Consorzio EGOCO (ELF, AGIP, OMW, HISPANOIL e PETROFINA) sottoscrissero con la NIOC un preaccordo che prevedeva l’affi damento alle quattro imprese europee dei lavori di progetta-zione, costruzione e gestione degli impianti di estrazione e trattamento del gas dei giacimenti di Kangan, nell’area di produzione che era stata dell’EGOCO. Negli ultimi mesi del 1976 il contratto tra le società EGOCO e la NIOC era stato risolto dopo mesi di diffi cili trattative e l’AGIP era riuscita a ottenere il rimborso delle spese per 43 milioni di dollari. Conclusa questa delicata fase negoziale, che era stata caratterizzata dal rifi uto iraniano di riconoscere alle società europee diritti di prelazione sul gas rinvenuto a Kangan, le società europee, grazie al fondamentale ruolo degli interessi francesi, erano riuscite a ottenere l’affi damento degli impianti che avrebbero consentito l’esportazione del gas naturale iraniano attraverso il me-tanodotto IGAT II verso l’Unione Sovietica. Questo contratto di servizio avrebbe visto impegnata una società anonima di diritto francese, la SERIGAN (Societé d’Exploitation et de Gestion d’Intérêts Petroliers en Iran), di cui sarebbero state socie tutte le società precedentemente impegnate nel Consorzio europeo. L’AGIP avrebbe acquisito una quota del 22-39%, mentre alla società francese, uno dei Paesi importatori del gas iraniano via Unione Sovietica, sarebbe stata attribuita la quota del 51%. Da parte italiana, la partecipazione alla SERIGAN era espressione dell’interesse delle società dell’ENI a prendere parte alla fornitura dei beni e dei servizi previsti dall’opera, acquisti che sarebbero stati realizzati e fi nanziati dalla NIOC e che erano stimati intorno al miliardo di dollari(109). L’AGIP raggiunse nel 1977 anche un accordo con la NIOC per l’acquisto di quantitativi minimi di greggio dal terminale di Kharg Island e nello stesso periodo venne siglata un’intesa tra le due società per l’acquisto di bunker oil fi no alla fi ne dell’anno. L’Iran con-nection restava teoricamente ancora in piedi, ma a fronte delle complesse formule previste dall’accordo a lungo termine, la società italiana cercava di assicurarsi, attraverso i propri canali, un rapporto di collaborazione con l’ente iraniano su basi più fl essibili e di durata inferiore a un anno(110).

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(111) S. COLIAEI, Aldo Moro e le relazioni italo-iraniane, cit.(112) TNA, FCO 96/654, Iranian Economy, from Cabinet Offi ce to the FCO Middle East Dept.,

R.M. James, 19 settembre 1977.(113) Il malcontento del bāzār divenne ancor più evidente a causa del varo di alcuni progetti

infrastrutturali che coinvolgevano la capitale Teheran e che, per esempio, prevedevano la realizza-zione di un’autostrada a otto corsie proprio nel mezzo del bāzār. Cfr. J. FORAN, Fragile Resistance: Social Transformation in Iran from 1500 to the Revolution, Boulder, Westview, 1993, p. 335.

Conclusioni

Dal 1° al 4 maggio 1978 il ministro degli Esteri italiano Arnaldo Forlani si recò in visita ufficiale a Teheran dove intrattenne colloqui con lo scià Reza Pahlavi, con il premier Amuzegar e con il ministro degli Esteri Abbas Ali Khalatbari. Il varo del VI Piano (1978-1983) aveva di fatto confermato le opportunità commer-ciali offerte dall’Iran, soprattutto in relazione allo sviluppo del settore nucleare, ma anche in relazione all’incremento dell’edilizia civile e delle infrastrutture(111). La consistenza degli interessi italiani in Persia negli ultimi anni era confermata dalla nutrita presenza della comunità italiana in quel Paese, cresciuta da poco più di un migliaio di persone a circa 15 mila unità. Tuttavia, le difficoltà iraniane gettavano molti dubbi sulla fattibilità del VI Piano, il cui varo venne continua-mente rimandato dalle autorità iraniane proprio a causa degli squilibri dell’eco-nomia. Nel 1977, l’ultimo anno del V Piano industriale, la crescita dell’Iran era stata intorno al 3-5%, molto al di sotto delle aspettative del governo di Teheran, il che rendeva improbabile il varo di nuovi importanti progetti industriali e, al contrario, mettevano in discussione l’esecuzione di quei contratti sottoscritti negli anni dell’euforia per l’economia iraniana(112). Di fatto, Reza Pahlavi era già da qualche mese alle prese con i sommovimenti che ne avrebbero causato il suo secondo esilio. Così come era accaduto per la fine dell’esperienza di Mossadeq, la Rivoluzione iraniana del 1978-1979 venne sostenuta dall’alleanza tra il clero sciita e il bāzār, blocco di consenso intorno al quale si strinsero anche gli altri gruppi di opposizione al regime dispotico di Reza Pahlavi. Il bāzār e gli artigiani di Teheran lamentavano la condizione subalterna nella quale il regime stava spingendo la classe media, schiacciata dal tentativo di modernizzazione autocra-tica promosso dallo scià. Il regime dei Pahlavi aveva anche tentato di eliminare le loro organizzazioni corporative, che lamentavano soprattutto gli effetti distor-sivi legati all’importazione massiccia di prodotti di consumo occidentali e, quin-di, dell’inflazione(113). La situazione economica dell’Iran, dovuta ai fallimenti delle politiche industriali del Paese, ebbe un ruolo decisivo nella genesi rivolu-

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(114) Come ha scritto lo storico iraniano Shaul Bakhash: «They [gli oppositori del regime] believed that the shah had been maintaining oil production at levels far beyond Iran’s revenue requirements, that oil income was being squandered and the country’s chief natural resource was being needlessly exhausted. They thought that oil exports should be limited, that oil itself should be used to promote petrochemical and other oil-related industries, and the operations of the majors in Iran should be ended or at least sharply curtailed. This attitude […] came to be shared by economist and technocrats inside Pahlavi government [– quale era lo stesso Fesharaki –]». S. BAKHASH, The politics of oil and revolution in Iran, The Brookings Institution, Washington, 1982.

(115) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 165, f. 1742, Emergenza Iran, nota f.ta D. Verardi per l’Avv. P. Sette, 28 dicembre 1978.

zionaria, contribuendo a saldare le diverse anime dell’opposizione al regime dei Pahlavi. La brutale repressione non poteva cancellare l’evidenza di un Paese fortemente polarizzato, dominato dalla corruzione e dall’arricchimento della famiglia reale e dei funzionari di regime a questa fedeli, i quali grazie alla “sven-dita” delle risorse avevano consolidato posizioni elitarie a discapito della nume-rosa popolazione del Paese(114). Per l’Italia, dal punto di vista minerario, risolta favorevolmente la questione del riconoscimento delle spese che l’AGIP aveva sostenuto nell’ambito dell’EGOCO, nel 1978 gli interessi nell’upstream iraniano erano rappresentati dalle riserve di greggio delle sue società partecipate, SIRIP e IMINOCO, rispettivamente riserve pro quota di 195 e 46 milioni di barili, a fronte d’investimenti effettuati di 150 e 60 milioni di dollari.

La lunga serie di scioperi che caratterizzarono la Rivoluzione iraniana del 1978-1979 sottrasse al regime lo strumento della coercizione e della repressione, poiché risultava impossibile anche per la SAVAK impedire la circolazione delle audiocassette contenenti i sermoni di Khomeyni o costringere milioni d’Iraniani a tornare al proprio posto di lavoro. Gli eventi del 1978 portarono il Paese ver-so il collasso economico, una situazione resa drammatica dall’esaurimento del carburante per l’autotrasporto e per l’alimentazione degli impianti di riscalda-mento: negli ultimi giorni del 1978 accadeva quindi che in un Paese seduto sugli idrocarburi come l’Iran non c’era la possibilità di fare il pieno o di proteggersi dai rigori di un inverno che quell’anno, giocando contro Reza Pahlavi, fu molto rigido. Le società dell’ENI dovettero rimpatriare gran parte delle famiglie e del personale presente in Iran e sospendere temporaneamente le attività operative nei propri cantieri: il 1978 si chiuse con una perdita per le società del gruppo operanti in Iran di circa 1.200 miliardi di lire, ai quali dovevano sommarsi i crediti vantati nei confronti del regime(115). La situazione non migliorò in seguito alla fi ne dell’impero dello scià, poiché uno dei primi atti della Rivoluzione iraniana

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(116) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 165, f. 1742, Riunione al Ministero degli Affari Esteri sulla situazione in Iran, nota f.ta A. Donadelli per il Dr Sarchi, 7 marzo 1979.

fu di sospendere le attività delle aziende straniere, un blocco che oltretutto causò problemi di ordine pubblico, con i lavoratori che presero d’assalto i cantieri delle società estere, come di fatto accadde ai cantieri della SAIPEM di Marun-Ahwaz. In seguito, le dichiarazioni rilasciate dal capo de governo provvisorio Mehdi Ba-zargan lasciarono intendere vi fosse la volontà iraniana di dare comunque seguito a parte dei progetti industriali che lo scià aveva messo in cantiere, soprattutto al fi ne di arginare la piaga occupazionale, fatta salva la necessità da parte del regi-me rivoluzionario di valutare singolarmente i progetti in esecuzione, mentre si escludeva in principio la possibilità di garantire la continuità degli investimenti nei settori nucleare e militare(116). Nel corso di un colloquio tra l’ambasciatore Tamagnini e il vice primo ministro Entezam giunsero nuove conferme da parte del governo rivoluzionario in relazione alla prossima ripresa delle attività dell’ENI in Iran, rassicurazioni che sia l’Ambasciata che i vertici della società idrocarburifera colsero favorevolmente, ma senza troppo entusiasmo date le troppe incognite legate all’atteggiamento ondivago degli esponenti del nuovo regime.

Il neopresidente dell’ENI Giorgio Mazzanti, nei mesi successivi alla sua visita a Teheran dell’aprile 1979, insistette nei confronti del governo iraniano al fi ne di giungere alla concretizzazione di una forma di cooperazione integrata tra l’ENI e la NIOC. Il presidente dell’ente italiano, il cui viaggio a Teheran rappresentò uno dei primi contatti stabiliti dal nuovo regime con l’Occidente, tentò in quella fase di sfruttare a proprio vantaggio l’eredità di Mattei e l’isolamento in cui si trovava il regime rivoluzionario al fi ne di ottenere quell’accordo diretto che la società italiana stava inseguendo sin dai primi anni Settanta. Mazzanti incassò il «cordiale rifi uto» da parte degli Iraniani, che ritenevano prematuro quell’accordo e che intendevano invece affrontare in maniera progressiva la ristrutturazione del settore idrocarburifero iraniano. L’AGIP sottoscrisse invece già nel maggio del 1979 un accordo con la NIOC per l’acquisto di 35 mila barili di greggio al giorno provenienti dei giacimenti della SIRIP e dell’IMINOCO.

In quei primi mesi di vita della Rivoluzione, il nuovo direttore generale della NIOC, Azimi, rivolse all’ambasciatore italiano gli stessi attestati di stima nei con-fronti dell’AGIP e dell’ENI che avevano caratterizzato sul piano formale i rapporti tra l’ente italiano e il regime dei Pahlavi. Si riconosceva alla società italiana di aver mostrato rispetto e comprensione per le esigenze iraniane già venti anni prima della Rivoluzione, con enorme anticipo rispetto ai suoi concorrenti, un’attenzione

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(117) ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 166, f. 174C, t.sso dell’Ambasciata di Italia in Iran per il Ministero degli Affari Esteri, 27 aprile 1979; ASENI, Fondo ENI/Estero, Serie: Coordinamento regioni estere/Area Medio Oriente/Iran, b. 166, f. 174C, t.sso dell’Ambasciata di Italia in Iran per il Ministero degli Affari Esteri, 5 maggio 1979.

grazie alla quale l’ENI aveva creato i presupposti per una positiva evoluzione dei rapporti anche con il nuovo regime(117). Tali espressioni di riconoscimento erano tuttavia conosciute anche ai predecessori dell’ambasciatore Tamagnini, poiché anche negli anni del passato regime le testimonianze di stima nei confronti degli Italiani erano state ricorrenti e abusate, ma solo raramente a esse erano seguiti gesti concreti che confermassero sul piano materiale le favorevoli disposizioni verbali nei confronti della società fondata da Mattei.

ROSARIO MILANO

Università degli Studi di Bari «Aldo Moro»

The article attempts to investigate the origins and the negotiation process which led to the international agreements signed by ENI and Iran during the 70’s. Iran was (and still is) one of the largest oil producers in the world, with which Enrico Mattei as the fi rst president and founder of ENI signed one of the most famous and politically important agreement: the so-called 75-25% agreement. During the 70’s, as Iran experienced a deep economic transformation due to the development of national hydrocarbon reserves and industries, huge opportunities opened up for ENI in Iran.

The scholarly analysis of the Italian-Iranian dynamics in oil politics, based on lots of different variables and historical sources, makes this article a multidisciplinary tool in the study of ENI and the world oil industry.

KEYWORDS

ENISeventiesEconomic Partnership between Iran and Italy