Voci e silenzi sull’insediamento degli Ostrogoti in Italia, in P. Porena, Y. Rivière (éd.),...

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L’ITALIE OSTROGOTHIQUE ET LOMBARDE

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L’ITALIE OSTROGOTHIQUE ET LOMBARDE

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1 Su Venantius cfr. PLRE II, p. 1153, s.v. Venantius 2; Schäfer 1991, p. 113 sg.s.v. Venantius 106. Su Petrus Marcellinus Felix Liberius cfr. PLRE II, p. 677-681s.v. Petrus Marcellinus Felix Liberius 3; Schäfer, cit., p. 79-83, s.v. Petrus Marcel-linus Felix Liberius 65; PCBE II, p. 1298-1301 s.v. Petrus Marcellinus Felix Liberius4; soprattutto O’Donnell 1981.

2 A rigore la parte preponderante dell’epistola al senato confluita in Var. II,16 (§§ 2-5) è una «Laus Liberii», ed esalta il funzionario romano ritratto nei varimomenti della sua prestigiosa carriera. Nel presente contributo utilizzeremol’espressione «Laus Liberii» anche riferendola semplicemente al § 5 della lettera,quello in cui è descritta l’opera di Liberius nell’insediamento degli Ostrogoti inItalia : ci scusiamo per questa disinvoltura.

3 Il presente contributo verte esclusivamente sul problema dell’insediamentoin Italia degli Ostrogoti di Teoderico a partire dal 493 e negli anni immediata-mente seguenti e con attenzione alla situazione dell’età di Odoacre. La messa apunto di questo problema è stata stimolata dal progetto di traduzione e dicommento sistematico delle Variae di Cassiodoro, diretto da A. Giardina e diimminente pubblicazione, cui il sottoscritto ha il privilegio di partecipare. Iparalleli e i punti di contatto con l’insediamento di altri gruppi barbarici in altrediocesi e province dell’Impero d’Occidente sono presi in considerazione solo

PIERFRANCESCO PORENA

VOCI E SILENZI SULL’INSEDIAMENTODEGLI OSTROGOTI IN ITALIA

In un momento imprecisato degli anni 507-511 il re Teodericoconferì al giovane Venantius, figlio del patrizio ed ex prefetto delpretorio d’Italia Petrus Marcellinus Felix Liberius, la ‘comitiva deidomestici vacante’, promuovendolo al rango di vir illustris1. Lacarica onorifica, che faceva presagire una brillante carriera ammini-strativa, fu concessa esclusivamente in virtù dei notevoli meriti delpadre, Liberius. Questi, pochi anni prima, durante la sua prefetturadel pretorio d’Italia, che si svolse nel periodo 493-500, aveva prov-veduto a insediare l’esercito ostrogoto di Teoderico in Italia, conrisultati che il re giudicava straordinari. Nel comunicare al senato diRoma la promozione a membro della Curia del giovane Venantius,Teoderico, attraverso Cassiodoro, tracciò un elogio del padre Libe-rius, una vera e propria «Laus Liberii», come la chiameremo percomodità2. La parte più importante dell’elogio per lo studio del-l’insediamento ostrogoto in Italia e degli eventuali esproprii deiRomani si trova verso la fine della regale missiva. È un testo moltonoto (Var. II, 16, 5)3 :

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marginalmente. Riguardo al testo delle Variae di Cassiodoro, si adotta l’edizionedi Th. Mommsen (ed.), Cassiodori Senatoris «Variae» (MGH, AA, XII), Berlino1894. Per un inquadramento storico e per un commento puntuale a Var. II, 16 mipermetto di rinviare alla mia traduzione con commento di Var. II, 15 e 16 in corsodi stampa nella citata opera diretta da A. Giardina. La lettera è stata tradotta daBarnish 1992, p. 28-30; meno aderenti all’originale le traduzioni di Viscido 2005,p. 88-90, e soprattutto di Durliat 1997, p. 163 sg. Il passo in esame è stato tradottoanche da Jones 1964, p. 251.

4 Tutto lascia supporre che il periodo dell’insediamento degli Ostrogoti inItalia coincida con il mandato prefettizio di Liberius, esteso per sette anni dallaprimavera del 493 al periodo del fastoso adventus di Teoderico a Roma e del suosoggiorno di sei mesi, nella primavera del 500, su cui cfr. di recente Vitiello 2005.Il congedo dalla prefettura e la promozione di Liberius a patrizio nel 500 costitui-rono la manifestazione del gradimento del re verso l’abile funzionario romano(cfr. Anon. Vales. II, 12, 68).

Iuvat nos referre quemadmodum in tertiarum deputationeGothorum Romanorumque et possessiones iunxit et animos. Namcum se homines soleant de vicinitate collidere, istis praediorumcommunio causam videtur praestitisse concordiae : sic enim contigit,ut utraque natio, dum communiter vivit, ad unum velle convenerit.En factum novum et omnino laudabile : gratia dominorum de cespitisdivisione coniuncta est; amicitiae populis per damna creverunt etparte agri defensor adquisitus est, ut substantiae securitas integraservaretur. Una lex illos et aequabilis disciplina complectitur. Necesseest enim, ut inter eos suavis crescat affectus, qui servant iugiterterminos constitutos. Debet ergo Romana res publica et memoratoLiberio tranquillitatem suam, qui nationibus tam praeclaris tradiditstudia caritatis.

Da un punto di vista storico il passo è di grande importanza,perché costituisce la descrizione cronologicamente più vicina edettagliata dell’installazione degli Ostrogoti in Italia. Si tratta inoltredi una versione ufficiale, proposta dal re al prestigioso gruppo deimaggiori proprietari e contribuenti dell’Italia ostrogota, i qualiavevano chiara cognizione del reale processo di insediamento delgruppo barbarico nella diocesi Italiciana, conclusosi probabilmentenel 500, cioè solo alcuni anni prima della stesura della missiva alsenato4. Il tenore del passo è certamente apologetico, e, nellaprospettiva del suo autore, Teoderico, per bocca del QuestoreCassiodoro, intende celebrare il successo dell’insediamento ostro-goto in Italia attraverso la lode del suo esecutore – forse ispiratore –Liberius. In nessun caso, però, questa lettera ai senatori di Romapoteva allontanarsi dalla realtà oggettiva di quel processo.

Il lessico di questa parte di Variae II, 16 è composto da terminidel linguaggio agrimensorio e del linguaggio giuridico relativo alla

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5 Cfr. di recente Favory 2005; Chouquer 2008 (§ 1. le vocabulaire des arpen-teurs romains).

6 Il sostantivo possessio compare ventuno volte nelle Variae (oltre al passo inesame) : Var. II, 25, 2; III, 18, 2; III, 52, 6; IV, 14, 1; IV, 17, 2; IV, 39, 3 (conprediali); IV, 40, 2 (con prediale); V, 14, 2; V, 39, 15; VI, 9, 6; VI, 18, 4; VII, 3, 3;VII, 45, 1 e 2; Var. VIII, 10, 8; VIII, 25, 3 (due occorrenze con coordinate topogra-fiche); IX, 23, 3; X, 26, 2; XII, 5, 5; XII, 13, 4. Il sostantivo praedium comparediciannove volte nelle Variae (oltre al passo in esame) : Var. I, 18, 2; II, 29, 2; III,20, 2; V, 6, 1 (con prediale); V, 7, 1 (due occorrenze); V, 14, 6; V, 18, 3 (due occor-renze); V, 39, 6; VII, 41, 2; VII, 47, titolo, 1 e 3; IX, 2, 3; IX, 18, 2; X, 26, 2; XII, 7,2; XII, 8, 3. Il sostantivo cespes compare due sole volte nelle Variae (oltre al passoin esame), come termine tecnico per ‘l’insieme degli immobili e delle terre diproprietà’ : Var. V, 14, 6; VII, 45, 2 (cespes nel senso concreto di ‘zolla’ in Var. II,14, 2; II, 39, 9; VIII, 19, 5; XII, 14, 3). Il significato delle tre occorrenze cassio-doree – l’insieme di una proprietà variamente articolata – ritorna in una lettera dinotifica della vendita di un fundus (Roborata), con edificio e pertinenze annesse,nel territorio di Faenza, inviata dai venditori (Milanius e Gerontius) ai magistratie alla curia civica faentina, scritta il 21 aprile 540 e conservata in un papiroravennate (P. Ital. 32, vol. II, p. 76 Tjäder, linn. 10-13). Il sostantivo ager comparetrentatre volte nelle Variae (oltre al passo in esame) : Var. I, 28, 2; III, 18, 2; III,25, 2; III, 31, 2; III, 32, 2; III, 50, 2; III, 52, 5, 6 e 8; IV, 38, 2; IV, 50, 1 e 2; IV, 51, 2;V, 39, 1; VI, 11, 2; VII, 36, 2; VII, 45, 1; VIII, 14, 1; VIII, 30, 3; VIII, 31, 1, 4, 6 (dueoccorrenze), e 9; VIII, 33, 4; IX, 10, 2; X, 26, 2; XI, 7, 2; XII, 4, 5; XII, 5, 5; XII, 14,1; XII, 15, 5; XII, 28, 1 (il sostantivo agellum è utilizzato da Cassiodoro solo in Var.VIII, 28, 1 nel senso classico di ‘piccola proprietà fondiaria’, cui fa seguire infattiil prediale Fabricula). Il sostantivo terminus /-i compare ventitre volte nelle Variae(oltre al passo in esame) : in sedici casi si riferisce a limiti generici, non fisici, mafigurati e metaforici (Var. Praef. 13; Var. I, 4, 7; I, 26, 1; II, 9, 1; II, 30, 1; IV, 26, 1;VI, 8, 7; VI, 13, 3; VII, 26, 1; VIII, 12, 2; IX, 4, 1; IX, 24, 12; XI, 33, 1; XI, 36, 1 e 3;XII, 25, 1); in sette casi indica invece dei concreti limiti fisici, dei confini segna-lati con cippi : Var. II, 32, 4 (l’area della bonifica del Decennovio, su cui cfr. Giar-dina 2001; per un cippo delimitante la bonifica cfr. ILS 8956 = AE 1893, 121 = AE1894, 126); II, 39, 2; III, 51, 8; III, 52, 1 (due occorrenze); VI, 9, 6; IX, 6, 4. Note-vole l’identità di espressione con i termini constituti della «Laus Liberii» nellaFormula Comitivae Patrimonii (Var. VI, 9, 6) : Possessiones nostrae vel quia suntimmobiles non egrediantur terminos constitutos, ne condicione contraria quod nonpotest moveri, malis moribus contingat extendi. Che i confini di proprietà nell’I-talia ostrogota fossero segnalati mediante l’affissione di apposite epigrafi (tituli) èconfermato anche dall’Edictum Theoderici 45-47.

proprietà : possessio, praedia, cespes, ager, termini5. Nelle VariaeCassiodoro impiega altrove queste cinque parole complessivamenteper ben centodue volte, comprese le cinque occorrenze di questopasso. In ottantasei casi egli le ha utilizzate di sicuro per fare riferi-mento a concrete proprietà fondiarie e immobili (i restanti sedici usisi limitano all’uso figurato del solo sostantivo terminus)6. Spesso sitratta di terre di privati soggette alla fiscalità o coinvolte in conten-ziosi tra privati o con le istituzioni; oppure si tratta di terre regali edella Chiesa; in ogni caso quei sostantivi indicano terre concrete e in

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7 Quattro di questi cinque termini sono utilizzati nel loro tradizionale signi-ficato anche nell’Edictum Theoderici (10, 16, 22, 46, 69, 75, 96, 144 per possessio;47, 52, 69, 105, 142 per praedium; 98 per ager; 104 e 105 per termini; cespes – il piùeccentrico e il meno diffuso dei sostantivi selezionati – non compare nel prov-vedimento). Sul piano del contesto culturale in cui fu redatta Variae II, 16 nondovrebbe essere sottovalutato il fatto che, negli anni dell’attività amministrativadi Cassiodoro a Ravenna, la corte ostrogota fu il centro di studi in cui preseforma il Corpus Agrimensorum (cfr. Campbell 2000, p. XXI sg.; Del Lungo 2004).Cassiodoro stesso tesse la lode della gromatica disciplina – che evidentementeconosceva – in un testo prezioso del periodo 507-511, Var. III, 52, in cui testi-monia la diffusione della pratica agrimensoria nell’Italia dei suoi tempi. Latecnica gromatica d’età ostrogota non era un sapere inerte, ma aveva importantiapplicazioni pratiche, accompagnate da una sistemazione teorica stimolata diret-tamente da Ravenna.

8 Nella stessa direzione spinge un passo della lettera scritta da Ennodio diPavia nel 511 proprio al patrizio Liberius (Ep. IX, 23, 5, p. 307 sg. Vogel; per ladata cfr. Sundwall 1919, p. 83) : Quid quod illas innumeras Gothorum catervas,vix scientibus Romanis, larga praediorum conlatione ditasti? Nihil enim ampliusvictores cupiunt, et nulla senserunt damna superati. Ad Ennodio l’intervento diLiberius appariva senza dubbio come un’ampia e munifica concessione ai Goti diproprietà messe a coltura (praedia).

regime di proprietà (da poco o da molto tempo), tassabili, rara-mente immuni, nonché trasferibili per eredità, per compravendita,per donazione o per assegnazione, ma anche date in affitto, espro-priabili, occupate abusivamente, saccheggiate, colpite da calamitànaturali, ecc. La prassi linguistica cassiodorea nelle Variae invita aescludere che il funzionario ravennate impieghi in alcune lettere,anche contemporanee a Variae II, 16, la terminologia esaminata colsuo significato proprio e tradizionale del linguaggio agrimensorio egiuridico, e con un senso diverso nella «Laus Liberii»7. Del resto èagevole constatare che le lingue della tecnica agrimensoria, deldiritto e dell’amministrazione patrimoniale per ragioni di chiarezzae di praticità erano conservative e in alcuni casi persino formulari :impiegate in una miriade di documenti privati e pubblici e in testinormativi, molto lontani tra loro nello spazio e nel tempo, macondannate all’attualità lungo l’avvicendarsi delle generazioni,erano vincolate a rigidi codici semantici, ben sedimentati, penal’incomprensibilità. La sostanza lessicale del passo cassiodoreo,dunque, suggerisce che la mirabile sistemazione degli Ostrogoti inItalia da parte dell’ottimo Liberius consistesse in una distribuzionedi concrete proprietà terriere8.

L’elemento che domina la «Laus Liberii» è l’idea di vicinanzafisica tra Ostrogoti e Romani : lo denotano i sostantivi vicinitas ecommunio, i verbi iungere e coniungere, gli avverbi communiter e

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iugiter. Il passo è decisamente orientato a esaltare il successo dellacoesistenza romano-ostrogota, creata da Teoderico attraverso Libe-rius, giocando sul contrasto tra la divisione delle terre, che haimposto una stretta convivenza tra vecchi proprietari romani enuovi proprietari goti, necessariamente a contatto, e la irenicafusione di intenti che questo processo, di per sé traumatico, hainvece prodotto. L’effetto iperbolico (En factum novum) è dato dalfatto che la ‘divisione della proprietà’ dei Romani (de cespitis divi-sione), ‘le perdite’ di proprietà a danno dei Romani (per damna), e la‘porzione di campo’ di proprietà dei Romani (parte agri) con cui ‘èstato guadagnato un difensore’ ostrogoto avrebbero potuto crearerisentimento e attrito tra i due gruppi (homines soleant de vicinitatecollidere), mentre, miracolosamente, nell’Italia teodericiana l’azionedi Liberius ha prodotto ‘buoni rapporti tra i proprietari’ (gratiadominorum), ‘rapporti amichevoli’ tra i due popoli (amicitiae) e ‘ladifesa armata dell’intero patrimonio’ da parte dei beneficiari delleassegnazioni di una parte di esso, i Goti (defensor ... ut substantiaesecuritas integra servaretur). Questo è il concetto-forte proposto nella«Laus» : il convincimento che esista una volontà comune ai Romanie agli Ostrogoti, che ha permesso di superare serenamente e conprofitto reciproco il dato concreto dell’insediamento dei Goti suparte delle terre dei Romani. L’idea di una ‘unione delle volontà’ trai due popoli che segna la trionfale frase di apertura della lode(Gothorum et Romanorum ... iunxit animos) cresce nel passo attra-verso cinque stadi di affinità emotiva all’interno del passo cassio-doreo, cinque stadi via via più intensi : concordia, unum velle, gratia,amicitia, suavis affectus, per giungere infine alla caritas che lochiude. È una climax che riflette la prospettiva politica di Cassio-doro-Teoderico. La ‘consegna’ (tradidit) di Liberius ai due gruppi èconnessa alla sua operazione di esproprio e di inserimento nellospazio rurale e sociale dell’Italia teodericiana di un nuovo gruppo diproprietari di nazionalità ostrogota. Quella ‘consegna’ comporta,quasi come un mandato, ‘l’amore’ tra le due ‘nazioni’, proprio perchél’insediamento dei Goti è stato un intervento invasivo, capace didivaricare e di opporre le due componenti della società italica.L’impegno concreto dei due gruppi per realizzare ‘l’amore per lareciproca carità’ (studia caritatis) è la condizione ideale agli occhi diTeoderico, affinché si conservi la tranquillitas rei publicae. Se silibera il passo dalla patina apologetica teodericiana – pure fonda-mentale per capire il pensiero politico di quel periodo – non c’èdubbio che in esso sia ritratta una situazione in cui concreteproprietà assegnate ai barbari appaiono confinanti con proprietà deiRomani. Eppure il tenore del passo suggerisce che la prospettivapolitica del re ostrogoto non si sia pienamente realizzata. Il peren-torio necesse est con cui si ingiunge ai potenti senatori di Roma di

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amare gli Ostrogoti suona come un monito e al tempo stesso comel’ammissione, se non di un fallimento, almeno di una precarietàstrutturale.

Lasciamo l’ambiente austero dell’aula della Curia di Roma edentriamo, con Cassiodoro, negli spazi cittadini dell’Italia teoderi-ciana. La Formula comitivae Gothorum per singulas civitates cassio-dorea (Var. VII, 3) può essere considerata un testo complementarealla «Laus Liberii». La formula, concepita in forma di editto aiprovinciali Romani e ai residenti Ostrogoti, annuncia l’invio di unconte goto per dirimere dispute tra Romani e Goti. Questo comesaveva funzioni soltanto giudiziarie in cause tra Goti, e tra Goti eRomani, ragion per cui la formula è indirizzata ai sudditi romani egoti del re, e non al conte. Il testo rappresenta una proiezione nellarealtà concreta dell’insediamento sparso degli Ostrogoti, celebratonella «Laus Liberii», con la quale ha sorprendenti affinità lingui-stiche e concettuali, che riassumiamo nello schema seguente :

Var. VII, 3 Formula Comitivae Gothorumper singulas civitates Var. II, 16, 5 («Laus Liberii»)

1. Cum deo iuvante sciamus Gothosvobiscum habitare permixtos, ne quainter consortes, ut assolet, indiscipli-natio nasceretur, necessarium duximusillum sublimem virum, bonis nobismoribus hactenus comprobatum, advos comitem destinare, qui secundumedicta nostra inter duos Gothos litemdebeat amputare, si quod etiam interGothum et Romanum natum fueritfortasse negotium, adhibito sibiprudente Romano certamen possitaequabili ratione discingere. Inter duosautem Romanos Romani audiant quosper provincias dirigimus cognitores, utunicuique sua iura serventur et subdiversitate iudicum una iustitiacomplectatur universos. 2. Sic pacecommuni utraeque nationes divinitatepropitia dulci otio perfruantur. Scitoteautem unam nobis in omnibus aequa-biliter esse caritatem : sed ille se animonostro amplius commendare poterit,qui leges moderata voluntate dilexerit.

Nam cum se homines soleant de vicini-tate collidere

Una lex illos et aequabilis disciplinacomplectitur

sic enim contigit, ut utraque natio, dumcommuniter vivit, ad unum velle conve-neritDebet ergo Romana res publica etmemorato Liberio tranquillitatemsuam, qui nationibus tam praeclaristradidit studia caritatis

(à suivre)

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9 Sul valore legale della vicinitas in età tardoromana cfr. di recente Laquer-rière-Lacroix 2009.

Var. VII, 3 Formula Comitivae Gothorumper singulas civitates Var. II, 16, 5 («Laus Liberii»)

Non amamus aliquid incivile : scele-stam superbiam cum suis detestamurauctoribus. Violentos nostra pietasexecratur. In causa possint iura, nonbrachia. Nam cur eligant quaerereviolenta, qui praesentia probanturhabere iudicia? Ideo enim emolumentaiudicibus damus, ideo tot officiadiversis largitatibus continemus, utinter vos non sinamus crescere quodpossit ad odium pertinere. 3. Unum vosamplectatur vivendi votum, quibusunum esse constat imperium. Audiatuterque populus quod amamus.Romani vobis sicut sunt possessio-nibus vicini , i ta sint et caritateconiuncti. Vos autem, Romani, magnostudio Gothos diligere debetis, qui et inpace numerosos vobis populos faciuntet universam rem publicam per belladefendunt. Itaque destinato a nobisiudici vos convenit oboedire, ut quic-quid pro conservandis legibus censuerit,modis omnibus impleatis, quatenus etnostro imperio et vestrae utilitati satis-fecisse videamini.

ut inter eos suavis crescat affectus

utraque natio, dum communiter vivit,ad unum velle convenerit [...] gratiadominorum coniunctaGothorum Romanorumque et posses-siones iunxit et animos [...] de vicini-tate [...] amicitiae populis [...] inter eossuavis crescat affectus [...] nationibustam praeclaris tradidit studia caritatisdefensor adquisitus est, ut substantiaesecuritas integra servaretur

Riguardo al problema dell’installazione degli Ostrogoti in Italiail tema della vicinitas, che nella «Laus Liberii» era stato appena sfio-rato e presto oscurato, a favore dell’idea di communio, con la suaimportante proiezione emotiva, emerge in questo editto ai provin-ciali in modo netto : Romani e Ostrogoti appaiono come ‘abitanti gliuni accanto agli altri’ (Gothos vobiscum habitare permixtos) e le loro‘proprietà’ (ancora le possessiones della «Laus Liberii») sono ‘vicine’,cioè confinanti (esplicito il Romani vobis sicut sunt possessionibusvicini)9. Nell’editto ai provinciali, un testo destinato ad ampia eiterata diffusione, e finalizzato a regolamentare la concreta realtàquotidiana, Cassiodoro presenta l’esito dell’insediamento dei Goti in

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10 Cfr. Epp 1997; Schäfer 2001; soprattutto Heather 2007; diversamenteAmory 1997. Particolarmente vicina al quadro della Formula comitivae Gothorumper singulas civitates è la questione trattata in Var. III, 13 nella provincia delSamnium.

11 Nella documentazione superstite non compaiono mai sortes Romanorum,ma soltanto sortes di barbari. Dopo Festus s.v. sors (p. 381 Lindsay), dal senso di‘quota di proprietà (o di eredità)’, attestato nella legislazione tardoromana (peres. in Nov. Theod. 22, 1, §§ 1, 3, 6, 9, del 442; 22, 2, §§ 2, 3, 11, del 443; Nov. Theod.25, pr., del 444; CI X, 35, 2, 3, del 443; e nei Gromatici, cfr. Campbell 2000, p. 4,30; 10, 23; 78, 5; 124, 29; 156, 26; 158, 1 e 10; 160, 14, 16, 18; 180, 20), sors passa aindicare parcelle di terre produttive assegnate in quote ai barbari, o, talvolta,l’intera area provinciale occupata, legittimamente o meno, da un certo gruppo dibarbari; cfr. Oros., VII, 40, 9 sg.; Hydat., Chron. 42 (a. 409) e 47 (a. 411); Paulin.,Euchar. 397 sg. (con Marcone 1995, p. 58 sg. e 109 sg.); Sidon., Ep. VII, 6, 10;VIII, 3, 3 (più incerta l’interpretazione di diversarum sortium iure in Ep. IX, 5, 1);Malch., fr. 18, p. 126 Müller = fr. 20, vol. II, p. 438 Blockley; in ambito burgundo :Lib. Const. I, 1 (p. 41 De Salis); VI, 1 (p. 46 De Salis); XIV, 5 (p. 53 De Salis); XX,3 (p. 59 De Salis); XLVII, 3 (p. 78 De Salis); LXXVIII, 1 (p. 102 De Salis);LXXXIV, 1 (p. 106 De Salis); Const. Extr. XXI, 3 (p. 120 De Salis); in ambito visi-goto : Cod. Euric. 277 = Lex Visig. X, 2, 1 (p. 5 e 391 Zeumer); Lex Visig. VIII, 5, 5(p. 347 Zeumer); X, 1, 7 (p. 385 Zeumer); X, 1, 14 (p. 388 Zeumer); Passio sancti

Italia come la giustapposizione di abitazioni e di proprietà ruralidei due gruppi nello stesso spazio. Una situazione che ben si puòspiegare con l’esproprio di parcelle di proprietà romane : la «LausLiberii» parlava infatti di pars agri de cespitis divisione assegnata aGoti. Questa vicinanza ha prodotto e produce spesso conflitti traGoti e Romani (l’indisciplinatio che nasce inter consortes dellaformula richiama il cum se homines soleant de vicinitate collideredella «Laus Liberii»). Questi conflitti possono essere anche violenti(lo indicano le espressioni aliquid incivile, scelestam superbiam,violentos execratur, possint brachia, quaerere violenta, ad odiumpertinere). Qualunque lettore delle Variae del resto si rende contoche l’Italia ostrogota ospita una società conflittuale, in cui irapporti tra la componente romana e quella gota della societàgiustificano la preoccupazione che emerge dai documenti teoderi-ciani10.

La Formula comitivae Gothorum per singulas civitates definisce iRomani e gli Ostrogoti come consortes dopo l’insediamento operatoda Liberius. Questa espressione è molto interessante e indirizzal’indagine verso gli elementi più tecnici del lessico cassiodoreo, cheilluminano sull’assegnazione ai Goti di parcelle agrarie espropriateai Romani. Una documentazione sparsa, ma nell’insieme coerentemostra che il sostantivo sors in Cassiodoro e nel latino dei primi delVI secolo indicava una concreta proprietà agraria. Le occorrenzenelle fonti del V e del VI secolo spingono a individuare nelle sortesdelle terre reali, di proprietà dei soli barbari11.

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Vincentii Aginensis, 6 (de Gaiffier 1952, p. 180); in ambito vandalo : Vict.Vit.,Hist. pers. II, 39 e III, 4; Procop., BV I, 5, 12 e II, 14, 6-11 e 23. Presso i Franchiindica per lo più la porzione di regno di un sovrano Merovingio : Greg. Tur., HFIII, 4 (p. 100 Krusch-Levison); IV, 49 (p. 185 Krusch-Levison); V, 3 (p. 196Krusch-Levison). Sull’uso di sors in età romano-barbarica cfr. di recenteMarcone 2003, p. 145; Innes 2006, in particolare p. 53-55, all’interno di un contri-buto molto interessante.

12 Altri usi del termine in Variae I, 23, 2; II, 18, 1; II, 22, 1; III, 6, 7; III, 19, 2;III, 51, 8; IV, 7, 3; IV, 27, 2; IV, 39, 1; IV, 41, 1; V, 42, 1; VI, 6, 8; VIII, 3, 3; VIII, 8,1; IX, 1, 1; IX, 23, 6; X, 11, 1; X, 26, 2; XI, 40, 3; XII, 9, 4; XII, 23, 2.

In Cassiodoro il sostantivo sors è usato due volte nelle Variae perindicare una proprietà, e in entrambi i casi la proprietà di Ostro-goti12. Variae II, 17 è una lettera di Teoderico ai maggiorenti romanidella città di Trento, responsabili dell’esazione fiscale nel territoriocivico. In questo testo fondamentale il re solleva la comunitàromana dall’onere di pagare tasse per la sors che il sovrano stesso haassegnato al presbitero goto Butilan :

Munificentiam nostram nulli volumus extare damnosam, ne quodalteri tribuitur, alterius dispendiis applicetur. Et ideo praesenti auctori-tate cognoscite, pro sorte, quam Butilani presbytero nostra largitatecontulimus, nullum debere persolvere fiscalis calculi functionem, sed inea praestatione quanti se solidi comprehendunt, de tertiarum illatio-nibus vobis noveritis esse relevandos. Nec inferri a quoquam volumus,quod alteri nostra humanitate remisimus, ne, quod dictu nefas est, benemeriti munus innocentis contingat esse dispendium.

Limitandoci a una lettura parziale di un testo molto ricco – sucui torneremo più volte – è sufficiente rilevare che il re spiega aimaggiorenti romani della città di Trento, al tempo stesso esattori econtribuenti, che nessuno di loro è tenuto a pagare tasse su quellasors donata al presbitero (pro sorte, quam Butilani presbyteronostra largitate contulimus nullum debere persolvere fiscalis calculifunctionem). In questo contesto una sors, offerta (contulimus)dalla munificenza di Teoderico (nostra largitate) al goto Butilan,non può che essere terra sita nel territorio di Trento, terra tassa-bile, e fino ad allora regolarmente tassata, e il cui gettito era comesempre calcolato nell’ammontare fiscale dovuto dalla città. Proprioil fatto che nel testo la sors è certamente sottoposta a regolareesazione fiscale (fiscalis calculi functionem) dimostra senza dubbioche il termine sors designa una concreta proprietà agraria produt-tiva.

La seconda occorrenza tecnica di sors è in Variae VIII, 26, unalettera del re Atalarico ai Goti di Rieti e di Norcia circa la conferma

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dell’elezione di un notabile ostrogoto, Quindilan, a prior delle comu-nità gote insediate nelle due città. Il punto di maggiore interesse sitrova nell’esortazione finale che chiude la lettera (§. 4) :

Nam quae necessitas ad iniusta compellat, cum vos et sortes alantpropriae et munera nostra domino iuvante ditificent? Nam et si cuialiquid expetendum est, speret de munificentia principis quam de prae-sumptione virtutis, quia vobis proficit, quod Romani quieti sunt, qui,dum aeraria nostra ditant, vestra donativa multiplicant.

Nelle parole di Atalarico ai suoi Ostrogoti installati a Rieti e aNorcia risulta descritto esplicitamente il sistema bipolare chepermette il sostentamento dei barbari, e anche il loro arricchi-mento. Gli Ostrogoti devono sforzarsi di mantenere buoni rapporticon i Romani, senza commettere abusi – nella «Laus Liberii» ilmessaggio è proposto nella versione pensata per i senatori –perché l’assegnazione di porzioni di terre romane produttive(sortes), passate in proprietà ai Goti (propriae), forniscono larendita agraria e il sostentamento alle famiglie ostrogote (alant,‘nutrono’); le tasse versate dai Romani, lasciati liberi di condurrele loro attività (quieti), colmano le casse del fisco regale (aerarianostra ditant), e concorrono così a formare i donativi militari inoro per i guerrieri ostrogoti (vestra donativa), che costituisconouna notevole fonte di arricchimento per loro (de munificentia prin-cipis ... munera nostra domino iuvante ditificent). Nel passo l’oppo-sizione tra ‘sortes assegnate in proprietà che nutrono’ (cum vos etsortes alant propriae) e ‘donativi del re in oro, che arricchiscono’(munera nostra domino iuvante ditificent) spingono a vedere nellesortes terreni agricoli e produttivi. Il sistema prevedeva due fontidi introito parallele per gli Ostrogoti : rendite agrarie dalle sortesloro assegnate, e donativa in oro, almeno per i guerrieri e per gliufficiali goti in servizio. Quest’assetto valeva naturalmente per tuttigli Ostrogoti insediati in Italia, e non solo per quanti avevano sedea Rieti e a Norcia.

L’esistenza di sortes da intendere nel senso di fundi assegnati inproprietà agli Ostrogoti, i quali beneficiano delle relative rendite inbeni materiali e in denaro, appare confermata da un interessantepapiro di Ravenna contenente la registrazione nei gesta municipaliadi un contratto di compravendita di porzioni di due fundi, i cuiprediali sono Domicilius e Centum, tra Domnicus vir honestus(venditor) e Montanus vir clarissimus notarius (emptor), stipulato nel540 (P. Ital. 31, vol. II, p. 68-71 Tjäder). La parte fondamentale ècostituita dalla sezione del documento (col. I, linn. 6-9) in cui sispecificano gli eventuali gravami da cui i due fundi sono dichiaratiliberi dal venditore, pena la nullità del contratto. La struttura e lalogica di questa dichiarazione (professio) in questo atto notarile

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13 Sulle questioni giuridiche relative alla proprietà cfr. di recente CapogrossiColognesi 1999.

possono illuminare circa il contenuto giuridico esatto del terminesors :

Liberas autem inlibatas portiones duorum fundorum ab omninexu fisci, deviti populi pribative et ab here alieno, litibus, causis,controversihisque omnibus nec non et a sorte barbari et a ratione [tute-laria sed et cure] et ab obligatione citerisque aliis titulis vel honeribussive contractibus, nullique antea portiones iuris sui sive conpetentes inintegro a se donatas, cessas neque distractas nec alicui offiduciatas,[nec cum quoquam e]as habere comm[un]es [n]eq[ue] p[e]r cautionemneque per venditionem aliove quolibet iure transtulisse sed sui iurisesse professus est.

Questo documento ufficiale è un atto notarile che obbediscealla logica stringente del diritto romano e delle sue imprescindibiliformule giuridiche, elencate per iscritto con un ordine rigoroso. Inquesto tipo di documento nulla può essere elencato casualmente,omesso, o collocato fuori posto. Questa categoria di testi eraredatta e fruita dai tecnici dell’amministrazione civica, che segui-vano i percorsi espressivi vincolati dalla trama, ormai sedimentata,di una fredda e asciutta casistica. Non sfuggirà che questa tipo-logia di testi è lontanissima dal solenne formalismo politico dellelettere di Cassiodoro, o, per esempio, dalle preoccupazioni stili-stiche che opprimono gli epistolari privati o le pagine degli storicitardi.

Nel nostro atto notarile i vincoli pregiudizievoli per la legitti-mità della vendita sono stati elencati dal notaio – che ha fatto le vecidel venditore dichiaratosi analfabeta (col. I, lin. 13) – all’interno del-la professio (essa ruota intorno all’affermazione cruciale liberasautem inlibatas portiones duorum fundorum ... sed sui iuris esseprofessus est che apre e chiude la dichiarazione). Questi vincoli sonostati ordinati suddividendoli in due gruppi : quelli derivanti dall’in-tervento dell’autorità pubblica (statale e civica), e quelli derivantidai rapporti con privati. Essi sono stati raggruppati altresì in tresezioni : debiti pubblici e privati contratti dal venditore; iniziative diterzi in merito alla proprietà, o contenziosi con terzi sulla proprietàin vendita; stipulazioni volontarie del venditore che coinvolgano lastessa proprietà13. La struttura della professio può essere riassuntaper semplicità nello schema che segue :

238 PIERFRANCESCO PORENA

CASISTICA TESTO DEL P. ITAL. 31, COL. I, LINN. 6-9 FATTISPECIE GIURIDICA

(incipitprofessionis)

Liberas autem inlibatas portionesduorum fundorum ➝

Debiti delvenditore

Rapporti con l’autorità pubblica e civica

ab omni nexu fiscideviti populi

debito col fisco;debito con l’autoritàcittadina;

Rapporti con privati

pribative et ab here alieno debito con privati edebito volontario gene-rico;

Pretese diterzi sullaproprietà

litibus, causis, controversihisqueomnibusnec non et a sorte barbariet a ratione [tutelaria sed et cure]

cause (con terzi);

sors del barbaro;rendiconto tutelario ocura;

Stipulazionidel venditore

et ab obligatione citerisque aliis titulisvel honeribus sive contractibus,nullique antea portiones iuris sui siveconpetentes in integro a se donatas,cessas neque distractas nec alicui offi-duciatas,[nec cum quoquam e]as haberec o m m [ u n ] e s [ n ] e q [ u e ] p [ e ] rcautionem neque per venditionemaliove quolibet iure transtulisse,

ipoteca o contrattionerosi;

donazione, cessione,distrazione, pegno;

comunione,garanzia,vendita

(explicitprofessionis)

sed sui iuris esse professus est.

Innanzi tutto la sors barbari riguarda due fundi in vendita,chiaro indizio della relazione stretta tra sortes e fundi, ‘terre colti-vate’. In secondo luogo il possibile vincolo rappresentato dalla sorsbarbari sui fundi rientra nella sfera della proprietà privata. Il puntochiave di questa rigida e calcolata elencazione dei vincoli da cui idue fundi sarebbero liberi consiste nella posizione riservata allaformula nec non et a sorte barbari : nell’atto notarile essa segue lasezione sulle cause pendenti tra il venditore e privati sulla proprietàdei fundi (litibus, causis, controversihisque omnibus), sezione allaquale la formula è strettamente connessa dalla congiunzione necnon et. Questa congiunzione articolata – nec non et – dimostra chia-ramente che la formula a sorte barbari è stata aggiunta alla preesi-stente sezione sulle eventuali cause pendenti tra il venditore e i

239VOCI E SILENZI SULL’INSEDIAMENTO DEGLI OSTROGOTI IN ITALIA

14 Con cautela si potrebbe pensare al periodo dell’insediamento dell’esercitodi Odoacre in Italia a partire dal 476. L’espressione a sorte barbari fu aggiuntanell’elenco dei vincoli dichiarati inesistenti dal venditore nella professio in unmomento in cui i barbari beneficiari delle assegnazioni non potevano essereancora compresi in un etnonimo comune, per es. Gothi (cioè Ostrogoti; il testoravennate non dice a sorte gothica, o a sorte Gothi / Gothorum). Questo indiziopotrebbe far pensare a un momento anteriore al consolidamento del dominioostrogoto in Italia.

15 La distribuzione di sole quote della fiscalità tra i Goti, non di terre espro-priate ai Romani, è alla base della ricostruzione di W. Goffart (1980, p. 58-102;2006, p. 119-186, in part. p. 162-179; e il contributo nel presente volume), con laquale però dobbiamo dissentire. Le Variae di Cassiodoro mostrano che il sistemafiscale d’età ostrogota funzionava ancora come nel pieno V secolo, con esazionelocale a cura delle curie cittadine dell’intero ammontare contributivo, e attra-verso il controllo sull’intero circuito a livello provinciale esercitato della prefet-tura del pretorio mediante suoi emissari. Nell’epistolario non c’è traccia delprelievo di quote del prodotto fiscale presso i singoli contribuenti romani diretta-mente da parte dei Goti. Per un recente inquadramento storiografico della tesiGoffart cfr. Halsall 2007, p. 417-436.

privati. La sequenza formulare originaria prevedeva soltanto ‘le liti,le cause e ogni genere di controversie tra privati’ (litibus, causis,controversihisque omnibus), seguita direttamente dal ‘rendicontotutelario ma anche dalla cura’ (et a ratione [tutelaria sed et cure]). Laposizione della formula a sorte barbari segnala l’inserimento diquesta fattispecie tra le controversie legali sulla proprietà, evidente-mente nel momento in cui in Italia furono istituite le sortes barbari14.La sors barbari, per la sua collocazione nell’atto notarile – colloca-zione non casuale, ma rispondente alla logica stringente dellaprofessio – deve necessariamente configurarsi come una realtà colle-gata alla proprietà dei fundi, e, soprattutto, all’eventuale contesta-zione da parte di terzi in sede giudiziaria di detta proprietà. L’ipotesiche la sors sia invece il diritto a una quota della fiscalità dei fundiappare contraddetta dal fatto che nell’atto notarile la sors è elencatatra le possibili pendenze di natura privata, risolvibili in tribunale, enon fra gli oneri fiscali, che pure aprono la dichiarazione del vendi-tore (lin. 6)15. Parimenti è escluso che la sors barbari fosse costituitaattraverso la normale compravendita dei fundi, dato che alla finedella professio è prevista l’esistenza di vincoli pregiudizievoli suifundi legati alla vendita e ad altri trasferimenti della proprietà attra-verso normali negozi giuridici (per venditionem aliove quolibet iuretranstulisse). L’indicazione a sorte barbari precede immediatamentela dichiarazione di immunità dei beni fondiarii dalla tutela e verosi-milmente dalla cura del minore o dell’incapace : si tratta di unindizio che questa sezione della professio riguardava i vincoliconnessi allo stato giuridico del concreto proprietario-possessoredei due fundi, che poteva essere un minore, nel caso della tutela, un

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incapace nel caso della cura, o un barbaro detentore di una sors nelcaso della formula a sorte barbari. Più in generale, dal momento chel’intera dichiarazione registrata nell’atto riguarda le eventuali pretesee i diritti che altri, diversi dal venditore, potrebbero accampare sullaconcreta proprietà, ancor più che sul possesso, delle porzioni dei duefundi, la sors barbari deve essere un diritto sulla proprietà dei fundi :non c’è dubbio infatti – ed è un punto essenziale – che questaprofessio non riguardi in nessun modo le eventuali rendite, gliusufrutti, o i versamenti fiscali delle porzioni dei due fundi invendita, bensì solo ed esclusivamente la proprietà di essi. Non si devedimenticare che lo scopo della professio era uno solo : obbligare ilvenditore, Domnicus, a dichiarare dettagliatamente e in modo incon-trovertibile all’acquirente, Montanus, che i fundi in vendita erano disua esclusiva proprietà. Pertanto l’inserimento da parte dei giurispe-riti tardoromani nelle professiones notarili dell’espressione a sortebarbari dopo le liti e prima della tutela e della cura, e non altrove,sembra essere stata stimolata dal particolare caso di una proprietà,la sors, ricavata dal cespite di un proprietario romano, e quindi passi-bile di essere reclamata in giudizio (litibus causis controversihisqueomnibus del papiro). Questa nuova tipologia di cause e di giudizirelativi alla contestazione della titolarità dei fundi confluiti nella sors– il papiro mostra senza dubbio l’equazione tra fundi e sors – deveaver prodotto una concreta casistica giudiziale nel periodo dellostanziamento dei contingenti barbarici in Italia. Solo questa dina-mica sembra in grado di giustificare l’esigenza per i giurisperiti diinserire la dichiarazione di libertà dei fundi a sorte barbari in strettaconnesione (nec non et) con le liti giudiziarie pendenti.

Se è corretta questa lettura, la necessità nell’atto notarile dispecificare l’immunità dei fundi dalla sors barbari nasceva probabil-mente dal fatto che alcuni proprietari romani vendevano a terziporzioni di loro proprietà su cui pendeva, al momento della stipuladell’atto di compravendita, una causa innescata dalla contestazionedi una sors barbari; ovvero vendevano a terzi porzioni di loro origi-narie proprietà, successivamente assegnate a un barbaro e da questilegittimamente occupate al momento della vendita; ovvero vende-vano a terzi porzioni di proprietà romane assegnate a un barbaro,che col tempo erano rientrate nel cespite romano originario, peresempio per acquisto o per morte senza eredi del barbaro, o perrioccupazione abusiva protratta nel tempo da parte del proprietarioromano : questi poteva vendere la quota barbarica, salvo poi sorgereun contenzioso tra il nuovo proprietario e i pretendenti barbari, cherivendicavano in qualche modo la proprietà venduta. Sembrainsomma che, dalla fine del V secolo, una delle garanzie per l’acqui-rente di un fondo agricolo fosse verosimilmente la dichiarazionenella professio del proprietario-venditore, vergata per iscritto nei

241VOCI E SILENZI SULL’INSEDIAMENTO DEGLI OSTROGOTI IN ITALIA

16 Sul senso del sostantivo praedium in Cassiodoro vd. sopra nota 6. Perl’occupatio materiale di spazi nelle Variae vd. sotto nota 29. Per la normativatardoantica sull’invasio bonorum cfr. Delmaire 1995; Jaillette 1995.

documenti notarili – dove fu aggiunta a un formulario preesistente econsolidato, costruito solo su antiche fattispecie giuridiche romane– che quel fondo non fosse mai stato assegnato in passato a nessunbarbaro, non fosse mai stato, cioè, una sors barbari. Quest’ultimadeve essere concepita, dunque, come la proprietà terriera di unbarbaro costituita da fundi appartenuti a Romani.

Torniamo alla situazione d’età teodericiana, perché le lettere diCassiodoro hanno conservato traccia di questo genere di contenziosie consentono di avanzare delle ipotesi circa il meccanismo di costru-zione delle sortes degli Ostrogoti.

Negli anni 507-511 il re Teoderico scrisse a due suoi ufficiali, ilromano Domitianus e il goto Wilia, chiamati a dirimere una violentaoccupazione di proprietà. I due ufficiali intervennero in una disputatra un Romano e un barbaro riguardo alla proprietà della terra(praedium), che poteva essere risolta soltanto risalendo ai docu-menti di assegnazione della stessa al barbaro (Var. I, 18, 2-3) :

Si Romani praedium, ex quo deo propitio Sonti fluenta transmi-simus, ubi primum Italiae nos suscepit imperium, sine delegatoris cuiu-squam pittacio praesumptor barbarus occupavit, eum priori dominosummota dilatione restituat. Quod si ante designatum tempus remvidetur ingressus, quoniam praescriptio probatur obviare tricennii, peti-tionem iubemus quiescere pulsatoris. Illa enim reduci in mediumvolumus, quae, nostris temporibus praesumpta, damnamus, quia locuscalumniandi non relinquitur, cum longi temporis obscuritas praeteritur.

L’oggetto del contenzioso è senza dubbio una proprietà privata,con ogni probabilità della terra messa a coltura (praedium)16. Ildiritto che si esercita sul bene oggetto della contesa è il diritto diproprietà : l’indicazione del re ai suoi funzionari sull’eventuale resti-tuzione del bene al ‘precedente proprietario’ (priori domino) invita acircoscrivere il contenzioso all’ambito del trasferimento della pienaproprietà del bene da un Romano a un barbaro. Il bene contesoappare di proprietà di un Romano (Romani praedium), ma risultaoccupato da un barbaro (barbarus occupavit), a quanto pare illegitti-mamente (praesumptor). Questa è verosimilmente la versione delRomano, che deve essere identificato con il pulsator, cioè con il‘promotore della causa’. La violenza della lite tra due membri di duecomunità diverse (l’utraque natio della «Laus Liberii») ha richiestol’intervento degli ufficiali romano e goto (questa l’architettura giudi-ziaria sottesa alla Formula comitivae Gothorum per singulas civi-

242 PIERFRANCESCO PORENA

17 Sulla longi temporis praescriptio cfr. di recente Vacca 1993-1994; Pellecchi2003; Solidoro Maruotti 2010.

18 Nelle Variae il verbo delegare è invece molto frequente, e segnala un’ampiagamma di esecuzioni di ordini, per lo più dal re ai suoi funzionari e ufficialiminori, civili e militari, ma anche esecuzioni ai vari livelli amministrativi; cfr.Var. I, 6, 2; I, 44, 3; III, 8, 2; III, 36, 2; III, 38, 2; III, 48, 1; IV, 14, 1; IV, 18, 1; IV,23, 1 e 2; IV, 37, 2; V, 8, 1; V, 9, 1; V, 10, 2; V, 20, 1; V, 30, 1; VI, 5, 1; VII, 5, 4; VII,12, 1; VII, 17, 2; VIII, 14, 4; VIII, 24, 4; IX, 2, 1-3; IX, 4, 3; X, 2, 4; XII, 3, 3; XII, 5,7. Nella raccolta i delegata sono sinonimo di mandata del re, da eseguire local-mente; cfr. Var. V, 8, 1; IX, 4, 3. Per i libelli delegatorii e le epistulae delegatoriaeemessi dal prefetto del pretorio d’Italia nel regno ostrogoto cfr. Var. XI, 33 e 35.La prassi per cui il debito verso il fisco può essere delegato dalle autorità civicheresponsabili dell’esazione locale ai contribuenti si trova ancora nell’EdictumTheoderici (126 sg.) : ivi il sostantivo delegatio è unito a pittacium, come nellalettera di Teoderico a Domitianus e Wilia, per indicare il documento che le auto-rità cittadine possono emettere per denunciare i debitori del fisco della loro città.Tuttavia la testimonianza più interessante sul fatto che la delegatio fosse un prov-vedimento dell’autorità regale, strettamente inerente all’assegnazione di terre aibarbari proviene dal Liber Constitutionum dei Burgundi (LIV, 1, p. 88 sg. DeSalis) : la proprietà (superficie + beni) che forma l’assegnazione viritana al guer-riero burgundo, composta da due parti di terra e una di schiavi, è delegata dal re.Sulla delegatio nel diritto romano cfr. ora Zandrino 2010.

tates), cui Teoderico raccomanda quella iustitia e quell’aequitas chesole possono realizzare ‘l’amore’ tra le due ‘nazioni’, nucleo pulsantedella prospettiva regia, esaltata nella lode di Liberius letta a Roma insenato. Purtroppo l’oscurità sui termini della querela ha spinto idestinatari della missiva regale, Domitianus e Wilia, a chiedere lumial re. Teoderico stabilisce che l’unico modo per accertare la legit-tima proprietà del praedium è di verificare la documentazione inpossesso del barbaro : essa è costituita da un pittacium – come siintuisce, un ‘atto di proprietà’ – rilasciato da un generico delegator(delegatoris cuiusquam pittacium). Se dal pittacium risulterà che ilpraedium appartiene al barbaro da un momento successivo all’in-gresso di Teoderico in Italia (ex quo deo propitio Sonti fluenta trans-misimus, ubi primum Italiae nos suscepit imperium), cioè dal 28agosto 489, il barbaro potrà legittimamente occupare quellaproprietà, altrimenti dovrà restituirla al proprietario romano. Seinvece dal pittacium risulterà che il praedium appartiene al barbaroda un momento precedente all’ingresso di Teoderico in Italia, ilRomano non potrà rivendicare la proprietà a causa della prescri-zione trentennale17.

L’elemento più interessante del meccanismo di accertamentodei termini della proprietà è costituito dal profilo dell’autorità cheha redatto e garantito la validità del pittacium : un (anonimo) dele-gator. Il sostantivo delegator ricorre solo in questo caso nelle Variae,ed è, in generale, molto raro18. Esso compare in due Novelle di

243VOCI E SILENZI SULL’INSEDIAMENTO DEGLI OSTROGOTI IN ITALIA

19 Cfr. Nov. Iust. 130, del 545, al prefetto del pretorio d’Oriente PetrusBarsymes; Nov. Iust. 147, del 553, al prefetto del pretorio d’Oriente Areobindus;Malal., Chron. XIII, 4 (p. 319 Dindorf = p. 244 sg. Thurn).

20 Vd. sopra bibl. cit. a nota 1.

Giustiniano e nella Chronographia di Giovanni Malalas nella sezionesu Costantino19. Senza entrare nel dettaglio dei tre testi, molto ricchie articolati, si può affermare che queste occorrenze del termine dele-gator contribuiscano certamente a gettare luce sulla dinamica del-l’insediamento dei Goti in Italia. Il denominatore comune tra i passidelle due Novelle di Giustiniano e la Chronographia di Malalas in cuicompaiono delegatores consiste nel fatto che l’ufficiale è attivo, cometutto lascia supporre in qualità di agente della prefettura delpretorio, negli spazi cittadini e provinciali dove un esercito (lamilitia armata) o un comitatus civile (la militia inermis) devonoavere un rapporto temporaneo, più o meno lungo, con i provinciali.Egli agisce in relazione al prelievo dell’annona e delle forniturefiscali necessarie alla loro missione, ma anche in relazione all’al-loggio riservato ai funzionari e ai militari mentre erano in marcialontano dai praetoria e dagli accasermamenti fissi. Con la dovutacautela, il caso dello stanziamento ostrogoto in Italia presentaalcune analogie. Gli Ostrogoti dopo l’affermazione su Odoacre eranol’esercito di stanza nella diocesi Italiciana; come attesta chiara-mente la documentazione relativa al mandato prefettizio di Libe-rius, la prefettura del pretorio ha avuto l’onere di insediare questiguerrieri in Italia dopo il 49320; naturalmente la stabilità e la duratadell’insediamento goto in Italia è diversa dal rifornimento ai distac-camenti e ai corpi di spedizione in marcia delle fonti orientali(Giustiniano e Malalas), ma la prefettura del pretorio, almeno nel VIsecolo, era solita distaccare delegatores al seguito dei contingentimilitari tardoromani, per controllare sul posto il regolare funziona-mento del circuito annonario e di alloggio, ed evitare abusi ai dannidei civili contribuenti : non sarebbe impossibile immaginare che ilprefetto del pretorio Liberius, nella complessa congiuntura creatasidopo il 493, si servisse di suoi officiales, i delegatores, dei praefectianiscelti all’interno del suo officium, come i cancellarii e i canonicarii,specializzati in questo genere di operazioni, per seguire localmentele fasi dell’insediamento dei Goti, secondo le direttive emanate dallaprefettura del pretorio. Questa operazione delicata, decisa dal reTeoderico e affidata al prefetto del pretorio Liberius, poteva essererealizzata da funzionari detti delegatores, proprio perché la loroazione si configurava come il controllo del corretto trasferimento dibeni ai militari goti. In questa complicata dinamica è probabile che,sul piano organizzativo, la prefettura del pretorio seguisse pratiche

244 PIERFRANCESCO PORENA

21 Cfr. Var. Praef. 6; I, 4, 6; II, 16, 4; VI, 3, 1 e 9; VI, 15, 1; VI, 18, 5; IX, 7, 2; IX,24, 9 e 11; IX, 25, 12; XI, Praef. 4; XI, 35, 2; XII, 1, 4.

22 Il caso esattamente opposto, di un pittacium rilasciato proprio dal prefettodel pretorio Liberius, è testimoniato in Var. III, 35, su cui vd. oltre.

sperimentate : per esempio facendo accompagnare nelle province igruppi di Ostrogoti da delegatores prefettizi, muniti della necessariadocumentazione e responsabili del corretto insediamento dei Goti.Il profilo della delegatio, nelle accezioni tipiche della prassi ammini-strativa tardoromana, mostra una connessione stretta tra le sceltedell’autorità imperiale (o regale) e la loro applicazione locale adopera della prefettura del pretorio, attraverso una serie di deleghe,non solo in ambito strettamente fiscale.

Se, com’è evidente, la delegatio si configura nei termini del-l’espletamento in ambito locale di un’azione pianificata, autorizzatae garantita da un’autorità superiore, il caso del trasferimento di unaproprietà (praedium) da un Romano a un barbaro dopo il 28 agosto489 può rientrare bene nelle operazioni di insediamento dei guer-rieri di Teoderico brillantemente condotta e certificata dall’alloraprefetto del pretorio Liberius. L’incidenza locale dell’azione del dele-gator merita attenzione. Il delegator dell’epistola a Domitianus e aWilia non è il prefetto del pretorio. Innanzi tutto perché questosostantivo non è mai utilizzato nelle fonti antiche come sinonimo diprefetto del pretorio. Poi perché, pur nell’incertezza, Teoderico-Cassiodoro poteva usare l’espressione generica praetorianae praefec-turae pittacium, o espressioni simili, visto che analoghi riferimentidiretti alla prefettura del pretorio ricorrono diverse volte nelleVariae21. Infine Teoderico, attraverso Cassiodoro, non ha indicatoesplicitamente il nome di Liberius in relazione al pittacium in manoal barbaro, un nome che, se fosse stato scritto nell’epistola originale,non sarebbe in nessun caso caduto più tardi al momento della reda-zione della raccolta22. L’espressione usata dal re per indicare gliautori-latori del pittacium – delegatoris cuiusquam –, implica il rife-rimento a una pluralità di delegatores possibili. Questo dato è incon-trovertibile. Com’è incontrovertibile che sia stata la prefettura delpretorio d’Italia a realizzare l’insediamento degli Ostrogoti nelladiocesi. La spiegazione più aderente alla lettera del testo va ricercatanel fatto che questi pittacia in possesso dei barbari erano sì rilasciatiai barbari dall’ufficio del prefetto del pretorio, e avevano nel prefettodel pretorio l’autorità garante del documento, ma non erano emessia nome del prefetto, bensì a nome del singolo delegator. Questaprassi è chiaramente testimoniata da un raro e prezioso testo papi-raceo, contemporaneo della lettera a Domitianus e Wilia e della«Laus Liberii» : due fogli contenenti i resti di un inventario della

245VOCI E SILENZI SULL’INSEDIAMENTO DEGLI OSTROGOTI IN ITALIA

23 Cfr. P. Ital. 47-48 = ChLA XXV, 792, e ChLA XXIX, 870. Nei resti di questoinventario prefettizio i pittacia sono documenti redatti dagli arcari e dai nume-rarii (la selezione mostra soltanto le linee dei papiri in cui compare il sostantivopittacium / -a) :

A10 Pittacium Stefani v(iri) s(pectabilis) ad n(omen) Petri de sol(idis) IIII ettremissis duo.

A18 Pittacium [......]dis ad n(omen) [s(upra)s(cripti) Petri ar]cari de solid(is)n(umero) CCII[......].

A19 Pittacium c(uius) s(upra) ad nom(en) Macedoni de vini amforasol(idorum) n(umero) XXXXVS in mense Aug(usto) ind(ictionis) tertiae.

A26 Pittacium Verecundi ad nom(en) Rustici v(iri) c(larissimi) de titulistertiarum sol(idorum) n(umero) CCLVIIS Volusiano consule.

B7 Facta pittacia ab Abundantio, Exuperio et Benedicto de inlatis panis L.B10 Pittacia de susceptis fac(ta) a Paulo arcario, quas facta ratione recollegit.B12 Fasciculus in quo sunt pittacia de suscepto diversorum de emolumenta

c[..]a vicarior[......].B15 Epistula Fadini facta ad nomen Petri, et pittacium rationis.24 Per le operazioni affidate localmente ai delegati della prefettura del

pretorio largamente testimoniate nei libri XI e XII delle Variae, cfr. per es. il testodella Tavola di Trinitapoli, in Giardina, Grelle 1983. Riguardo al termine stessodelegator la prassi linguistica tardolatina ha abituato a individuare nei sostantivicon suffisso -tor gli esecutori di un mandato amministrativo proveniente dall’au-torità centrale, non i titolari, loro mandanti (per es. censitor, compulsor,discussor, exactor, metator, opinator, peraequator, reliquator, susceptor, tractator,ecc.).

sezione finanziaria dell’officium del prefetto del pretorio d’Italia aRavenna, conservati su papiri redatti poco dopo il 51023. Se laresponsabilità individuale dei singoli praefectiani nella stesura dellemigliaia di documenti emessi dalla prefettura del pretorio su ordinedel suo illustre titolare è indiscutibile all’interno dell’officium raven-nate, tanto più questa prassi delegatoria doveva essere diffusa,ormai da secoli, nelle migliaia di operazioni che avvenivano annual-mente nelle infinite ramificazioni provinciali facenti capo all’ammi-nistrazione prefettizia. Si noti che riguardo alla documentazionerelativa all’esazione fiscale annuale, il prefetto del pretorio delegavaovunque i suoi officiales inviati presso le sedi provinciali (per es. icancellarii e i canonicarii), ma anche i governatori di provincia e iloro sottoposti, a eseguire localmente le operazioni necessarie e aregistrarle per iscritto : non sembra che quegli atti fossero redatti anome del prefetto del pretorio24. L’azione individuale di più delega-tores nella confezione dei singoli pittacia, come quello in possessodel barbaro citato in giudizio davanti a Domitianus e Wilia, puòavere una logica se proiettata nel contesto dell’azione condotta dalprefetto Liberius dopo l’affermazione di Teoderico in Italia. Siconsideri infatti che l’insediamento dei guerrieri ostrogoti saràconsistito in forse venticinquemila o trentamila assegnazioni neglianni 493 e seguenti, effettuate probabilmente in otto / dieci province

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25 Le province interessate furono verosimilmente Alpes Cottiae, Liguria,Aemilia, Venetia et Histria, Flaminia et Picenum Annonarium, Picenum Subur-bicarium, Tuscia Annonaria, Tuscia Suburbicaria, Valeria, Samnium; l’Italiacentro-meridionale, a sud di Roma, non conobbe insediamenti di famiglie ostro-gote. Sul numero degli Ostrogoti e sulla geografia del loro insediamento cfr.Burns 1978; Wolfram 1985, p. 484 sg. e 517; Bierbrauer 1975 e 1994; Heather1996, p. 164 e 236-242; Brogiolo 2007.

26 Per la prefettura del pretorio tardoantica l’organizzazione della logisticaordinaria e straordinaria per l’esercito, e dei circuiti fiscali con esazione e redi-stribuzione di beni in natura o d’oro, erano sempre operazioni largamente decen-trate nei territori provinciali.

27 Su pittacium cfr. di recente Ratti 1998, p. 132-138. A differenza di altrisostantivi specifici della terminologia diplomatica latina che fanno riferimento al

diverse dell’Italia25. Non sarebbe improbabile che nelle assegnazionidi proprietà in Italia su ampia scala esistessero più delegatores,responsabili finali della redazione dei pittacia consegnati ai barbariassegnatari. In altri termini, è probabile che i pittacia non fosseroredatti nell’officium del prefetto del pretorio, dove pure era elabo-rato il programma e, forse, si conservava un archivio delle opera-zioni, ma localmente nelle province, a margine delle concreteassegnazioni. Il pittacium, essendo in possesso del barbaro – si badiche secondo Teoderico il barbaro è tenuto a esibirlo a Domitianus ea Wilia – sembra rappresentare l’ultimo documento ufficiale del-l’assegnazione, e dunque essere redatto alla fine del processo, all’i-nizio del quale stava verosimilmente la ripartizione effettuata aRavenna dal prefetto del pretorio. Emergono dunque dal testoteodericiano a Domitianus e Wilia alcuni elementi di fondamentaleimportanza. Come suggeriscono le Novelle giustinianee e Malalas,l’azione di un delegator collega l’intervento di questo ufficiale allasupervisione della prefettura del pretorio nell’operazione di insedia-mento degli Ostrogoti, che è testimoniata da Cassiodoro e daEnnodio indipendentemente dalle fonti orientali. L’originariaresponsabilità di un delegator nella legittimità di un atto di proprietàdi un praedium, occupato da un barbaro, mostra che quellaproprietà contesa di fronte a Domitianus e Wilia non era pervenutaal barbaro attraverso un normale contratto civile di compravenditatra privati, analogo a quello registrato da Domnicus e Montanus neigesta ravennati confluiti nel P. Ital. 31, ma attraverso l’interventodell’autorità amministrativa : il praedium era, probabilmente, laporzione di una sors assegnata al barbaro. L’azione di numerosidelegatores suggerisce una dispersione nel territorio dell’operazionesupervisionata dalla prefettura del pretorio, situazione peraltroconsueta nell’attività della carica in età tardoantica26.

Un ulteriore elemento sensibile della lettera di Teoderico aDomitianus e a Wilia è rappresentato dal termine pittacium27.

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contenuto o alla forma del testo scritto sul supporto (per es. brevis, cautio,epistula, notitia, obligatio, securitas, ecc.), pittacium sembra trarre origine, purcon qualche incertezza, dal supporto del testo scritto (analogamente a tabula,tabella, codex, volumen, ecc.). La sua funzione originaria sembra essere stataquella di etichette applicate a oggetti : per es. a contenitori, sul cui pittacium eradescritto il contenuto (così ancora nel VII secolo per le reliquie di Monza, su cuicfr. ora Trout 2005); oppure di etichette con l’indicazione del nome del proprie-tario di un oggetto. Forse proprio questa relazione tra proprietario e benepotrebbe essere all’origine dell’estensione del termine a più ampi e dettagliatidocumenti di proprietà, come suggerirebbe la sua precoce applicazione inambiente romano al sorteggio delle parcelle agrarie assegnate ai coloni romanitra tarda Repubblica e alto Impero (vd. sotto nota 31). È probabile che i pittaciadell’amministrazione tardoromana fossero documenti cartacei destinati a conte-nere testi diversi (per es. ricevute di prelievo, atti di assegnazione di beni, regi-strazioni di prestiti, ‘partite di giro’ nella contabilità interna alla militia, ecc.)caratterizzati però dal certificare un trasferimento di beni reali. Con moltacautela è possibile che i pittacia fossero destinati a documentare anche le ‘uscite’di beni e di denaro dall’arca prefettizia, come suggerirebbe il papiro cit. sopra,nota 23.

28 Per l’inquadramento storico di Var. III, 35 mi permetto di rinviare al miocommento nell’edizione delle Variae di Cassiodoro diretta da A. Giardina, incorso di stampa.

Questo importante documento cartaceo deve essere identificato conun atto di proprietà della sors. L’equazione tra pittacium e atto diproprietà nel caso del praedium conteso al barbaro, sembra assicu-rata da un’altra lettera cassiodorea, anch’essa scritta negli stessianni 507-511, che chiama direttamente in causa l’azione del prefettodel pretorio Liberius (Var. III, 35) :

Liberalitatem nostram firmam decet tenere constantiam, quiainconcussum esse debet principis votum nec pro studio malignorumconvelli, quod nostra noscitur praeceptione firmari. Atque ideo prae-senti iussione censemus, ut, quicquid ex nostra ordinatione patriciumLiberium tibi matrique tuae per pittacium constiterit deputasse, in suorobore debeat permanere, nec a quoquam metuas irrationabilem quae-stionem, qui nostri beneficii possides firmitatem.

Con questo rescritto, contemporaneo della lettera a Domitianuse Wilia, il re Teoderico confermò Romulus – probabilmente l’ultimoimperatore romano d’Occidente – nel suo diritto di possedere i beniche il re stesso gli aveva assegnato attraverso l’azione del prefetto delpretorio Liberius28. Questi, al momento della stesura della presenteadnotatio, era stato congedato, ed è indicato dunque semplicementecol titolo di patricius. L’intervento regale si era reso necessario per ilricorso di Romulus a Ravenna, contro le illecite pretese di alcuni,non meglio identificati. Anche in questo caso il beneficium del reverso il giovane e sua madre deve corrispondere a una proprietàimmobile contesa : i ricorsi al re per il possesso di beni (quidquid ...

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29 Cfr. Var. I, 5; I, 7; I, 8; I, 15; I, 18; I, 38; II, 10; II, 11; III, 14; III, 18; III, 20;III, 35; III, 37; III, 45; III, 52; IV, 9; IV, 10; IV, 11; IV, 12; IV, 17; IV, 20; IV, 32; IV,35; IV, 39; IV, 40; IV, 44; V, 12; VIII, 25; VIII, 27; VIII, 28; X, 5; XII, 5; XII, 9; lalotta all’invasio apre l’Editto di Atalarico del 533-534 (Var. IX, 18, 2); riferimentinella normativa soprattutto Var. IX, 2; 18; XI, 8; 9.

deputasse) nelle Variae riguardano di regola beni immobili, in unasocietà in cui la loro invasio e la loro occupatio appare diffusa29; sepoi i destinatari dell’adnotatio andassero identificati, come sembraprobabile, in Romolo Augustolo e sua madre Barbaria, la proprietàcontesa sarebbe l’ampia tenuta napoletana del Castellum Lucul-lanum. In ogni caso, come nel contenzioso innanzi a Domitianus eWilia, anche in questa vicenda la proprietà contesa deve esseredifesa dal proprietario (Romulus e sua madre) attraverso il pitta-cium emesso dal prefetto del pretorio, che al momento della stesuradel documento era Liberius. Quel documento, garantito dall’autoritàdella prefettura del pretorio, era verosimilmente un ‘atto diproprietà’, da far valere nell’istruttoria (quaestio). Il fatto che, inquesto caso, il pittacium sia stato emesso direttamente dal prefettodel pretorio non sorprende : si tratta infatti di un ben preciso ecircoscritto beneficium di Teoderico a un particolare singolo desti-natario, un personaggio unico, se si trattasse dell’ultimo imperatoreromano d’Occidente. Era dunque una liberalità isolata, affidatadirettamente dal re alle cure del prefetto, non ripetibile migliaia divolte su un’area molto vasta, come la massiccia assegnazione inserie di proprietà ai guerrieri ostrogoti. Non a caso nella lettera si fariferimento ‘a quanto concesso per ordine del re’ ai querelati (quic-quid ex nostra ordinatione patricium Liberium tibi matrique tuae perpittacium constiterit deputasse), una proprietà sui generis, noninquadrabile in un termine uniforme e indifferenziato ma tecnicocome sors, che, ancora una volta, si conferma mai impiegato perdefinire le proprietà dei Romani, ma solo quelle dei barbari.Tuttavia non solo l’uso del termine pittacium per indicare il docu-mento in possesso del beneficiario del bene, ma anche l’impiego delverbo deputare, che riecheggia direttamente la deputatio della «LausLiberii», invitano a individuare nel pittacium di Romulus un atto diproprietà rilasciato dalla prefettura del pretorio analogo, almenonella funzione, a quelli rilasciati da ‘un qualunque delegator’.

Il termine pittacium, nell’uso che ne fa Cassiodoro, offre un’ulte-riore conferma per l’identificazione nella prefettura del pretoriod’Italia dell’autorità responsabile della stesura concreta dell’attoscritto nel pittacium relativo alla sors del barbaro, citato in giudiziodavanti a Domitianus e Wilia. In una lettera di Cassiodoro, da lui

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30 Sulla lettera cfr. di recente Vitiello 2005, p. 110-115. 31 Sul meccanismo di assegnazione delle parcelle di proprietà ai coloni come

descritto nel Corpus Agrimensorum cfr. Campbell 1995; Guillaumin 1998; Ratti1998.

stesso inviata quando era prefetto del pretorio in carica ai suoi duearcarii, Thomas e Petrus (Var. XII, 20), il funzionario ricorda che nel536 papa Agapito, in partenza per una legazione a Costantinopoli suordine del re Teodato, diede in pegno alla prefettura del pretorioravennate alcuni vasi preziosi del tesoro di S. Pietro, ed ebbe incambio alcune libbre d’oro per finanziare il suo viaggio. L’opera-zione fu documentata attraverso la stesura di un’obbligazione chiro-grafa a Ravenna da parte degli arcarii, a firma dei messi del papa(sanctorum vasa cum obligatione chirographi actoribus sancti Petriapostoli sine aliqua dilatione refundite), la quale restò nell’archivioprefettizio ravennate, e attraverso la simultanea stesura di un pitta-cium, come sembra, rilasciato dagli arcarii prefettizi ai messi ponti-fici in partenza per Roma (datis pignoribus a vobis tot libras aurifacto pittacio sollemniter accepisse)30. Questo negozio espletato nel536 attesta esplicitamente che gli officiales della prefettura delpretorio, come suggerito peraltro dai resti papiracei originali del-l’inventario della sezione finanziaria dell’officium del prefetto delpretorio d’Italia a Ravenna (P. Ital. 47-48), emettevano pittacia comecertificati al destinatario per l’emissione e per l’assegnazione di beniamministrati dalla prefettura del pretorio (in questo specifico caso,oro). Sembra dunque che, come gli arcarii prefettizi potevano emet-tere pittacia relativi al prelievo di oro dall’arca prefettizia, pittaciache restavano in possesso dei privati debitori, analogamente ilprefetto del pretorio, nel caso della proprietà di Romulus, o i delega-tores prefettizi, nel caso della proprietà contesa innanzi a Domi-tianus e Wilia, potevano rilasciare pittacia relativi alla concessionedi proprietà immobili. Del resto il nesso tra pittacium e sors nellessico latino era tradizionale : nel Corpus Agrimensorum, che preseforma nella Ravenna ostrogota, esiste un legame stretto tra il proce-dimento di assegnazione di una sors, cioè di una proprietà agricola,ai coloni romani e la relativa documentazione vergata in un pitta-cium31.

L’insieme degli elementi emersi nell’indagine sul sostantivopittacium trova riscontro nel testo della lettera stessa di Teoderico aDomitianus e a Wilia. Secondo la risposta del re, ogni barbaroproprietario di terre in Italia doveva possedere un documento, ilpittacium, senza il quale non poteva avanzare pretese su nessunaproprietà. Non abbiamo copie di questo genere di testi, ma le paroledel re assicurano che il documento conteneva il nome del barbaro

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32 Vd. sopra nota 25.

destinatario della o delle proprietà; una data di emissione, ovverouna data di assegnazione della proprietà, altrimenti non avrebbesenso la praescriptio per petitiones anteriori al 28 agosto 489; l’indi-cazione esatta del nome e dell’ubicazione della singola proprietà(praedium) passata dal Romano al barbaro, ovvero un elenco delleproprietà globalmente assegnate al barbaro, in cui era individuabilenome e ubicazione dei singoli praedia. Quest’insieme di coordinatefanno del pittacium un atto di proprietà, come tutto lascia supporre,garantito dalla prefettura del pretorio. Nella lettera in questione ilbene occupato dal barbaro è definito praedium e non sors, perché,probabilmente, la sors poteva contenere più praedia, verosimilmentedifferenziati a loro volta in fundi, agri, casae, ecc. Questa relazionetra una porzione e l’intera proprietà in possesso del barbaro non èsecondaria; insieme ai dati raccolti sulla base delle fonti esaminatefinora, essa consente di avanzare ipotesi sulla struttura del-l’insediamento ostrogoto in Italia.

A partire dal 493 Liberius, a capo della prefettura del pretoriod’Italia, ebbe il gravoso compito di insediare l’esercito ostrogotovittorioso nella diocesi. Per i trasferimenti di proprietà connessiall’insediamento degli Ostrogoti era necessario un riscontro tra idati in possesso della prefettura a Ravenna, i dati in possesso degliarchivi cittadini, e le reali parcelle di proprietà romane esistenti nelterritorio, che richiedevano un’ispezione sul posto. Il vantaggio prin-cipale di attuare un’operazione di assegnazione ai barbari diporzioni di proprietà romane tra la fine del V e gli inizi del VI secoloconsisteva nel fatto che tutte le proprietà romane erano già accata-state da lungo tempo (i censimenti più efficaci risalivano all’etàdioclezianea). Inoltre il re e il suo prefetto del pretorio potevanoselezionare terre abbondantemente messe a coltura, di cui si cono-scevano senza incertezze l’ubicazione, l’appartenenza, l’estensione,la produttività e la rendita, l’onere fiscale. Un aspetto caratteristicodelle assegnazioni teodericiane era l’eterogeneità dell’insediamento.Come indicano le fonti, e come ha confermato l’archeologia, gliOstrogoti, non numerosissimi, furono insediati nell’Italia centro-settentrionale, per lo più lungo direttrici che facilitassero il collega-mento con Ravenna e con le grandi piazzaforti militari padane everso i confini alpini32. Pertanto molti territori cittadini dell’Italia,soprattutto meridionale, non conobbero insediamenti goti. L’esi-genza di riunire gli Ostrogoti assegnatari per nuclei compatti lungoarterie di veloce comunicazione era ineludibile per un gruppo dimilitari, non numeroso, culturalmente ed etnicamente distinto dallamaggioranza romana, e che aveva il monopolio delle armi in una

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33 Sulla struttura della proprietà tardoromana cfr. Vera 1986 e 1995; in etàostrogota cfr. Vera 1993. Naturalmente anche il proprietario ostrogoto in serviziocome combattente agli ordini del re era un proprietario assenteista, essendodistaccato in città o in fortezze strategiche, ma sembra probabile che la sua fami-glia come anche i Goti in congedo risiedessero continuativamente nelle proprietàurbane e rurali ricevute dal re attraverso la prefettura del pretorio. Probabil-mente gli Ostrogoti assegnatari a partire dal 493 possedevano all’inizio soltantola proprietà loro concessa dal re. Naturalmente alcuni di loro avranno acquistatocol tempo altre proprietà in zone vicine o lontane dall’ubicazione della loro sors,somigliando via via ai proprietari assentesisti romani con patrimonio disperso,sviluppo assicurato dai dislivelli economico-sociali interni alla stessa società gota(il caso dell’Amalo Teodato, nipote di Teoderico, è eclatante). Tuttavia in questasede preme ragionare sul sistema di insediamento originario.

diocesi montuosa e geograficamente a rischio di dispersione.Accanto a questa strategica dislocazione delle proprietà dei capifa-miglia goti, concentrate solo in alcune zone d’Italia, sembra ragione-vole ipotizzare che anche la composizione della proprietà assegnataal singolo capofamiglia barbaro fosse nell’insieme abbastanzaconcentrata. Sembra probabile, insomma, che essa non somigliasseal grande patrimonio del ricco proprietario romano assenteista,dispersa in unità rurali di varia misura, distribuite all’interno didecine e decine di territori civici da un capo all’altro dell’Italia, esitodi un disordinato, secolare accumulo di beni acquistati, ereditati,ricevuti in dono, ecc.33. L’idea di concentrazione geografica degliinsediamenti dei Goti, a gruppi compatti, probabilmente si sposavabene con l’idea di ritagliare per i singoli capifamiglia goti sortes rela-tivamente omogenee dalle proprietà romane nei territori civici inte-ressati dall’insediamento. Anche al fine di evitare esproprii massiccidi interi patrimonii, impensabili per i grandi proprietari come per ipreziosi curiali e possessori delle città tardoantiche, sembra proba-bile che la sors del capofamiglia barbaro fosse ricavata da una quotaminoritaria di proprietà rurali limitrofe di più cittadini romani, chenell’insieme risultavano espropriati in misura ragionevole.L’impatto dell’esproprio poteva essere almeno in parte tamponatoripartendolo su più proprietari vicini, e limitandolo a quote conte-nute di beni immobili. Questa ipotesi appare avvalorata dall’idea divicinitas e dall’uso del sostantivo consortes con cui Cassiodorodescrive le relazioni tra Ostrogoti insediati e Romani : la formazionedi sortes barbariche da porzioni di proprietà confinanti di piùproprietari romani realizzava la communio delle nuove proprietà,coerenti nel paesaggio agrario, perché unità originarie, ed affian-cava Romani e Ostrogoti (consortes) nella concordia che Teodericoauspica in ogni sua missiva. Questa situazione non urta con l’uso deltermine consortes in Cassiodoro : dal momento che le sortes desti-nate ai barbari erano ricavate da proprietà romane, una volta effet-

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34 Per l’uso di tituli come segnacoli sui confini di proprietà in età ostrogotacfr. Cassiod., Var. III, 20, 2; IV, 14, 2; V, 6, 2; V, 7, 2; IX, 18, 2. L’espressioneerigere titulos in Var. IV, 20, 1 è metaforica, ma descrive un’azione concreta; cfr.anche Edictum Theoderici 45-47; 104-105. Sul sostantivo terminus, diffusissimonel Corpus Agrimensorum, cfr. Campbell 2000, p. 468-471; sulle testimonianzeepigrafiche del loro uso cfr. l’ampia documentazione raccolta dall’autore, p. 452-467; sulla relativa giurisprudenza cfr. Dig. X, 1 e XLVII, 21; CI III, 39. Un’epistula

tuata la divisione e assegnata la quota globale di nuova proprietà albarbaro, la sua sors, i proprietari romani che avevano contribuitocon porzioni della loro terra alla costituzione della sors barbaricadiventavano automaticamente consortes del barbaro, in quanto suoiconfinanti su parcelle un tempo unite, benché i Romani non fosseroassegnatari di nulla. Per questo non sono mai testimoniate sortes diRomani, e tuttavia questi sono esplicitamente definiti da Cassiodoroconsortes dei barbari. Un’asimmetria significativa. Ma soprattutto laconcentrazione territoriale della sors del capofamiglia, come esitodell’esproprio e dell’unione di più parcelle limitrofe di proprietà dipiù Romani, aveva il vantaggio di facilitare la presa di possesso daparte del barbaro della sua nuova proprietà e il controllo del-l’operazione da parte dell’autorità romana. Il singolo capofamigliagoto o un suo rappresentante non doveva recarsi presso più praedia,lontani tra loro e sparsi in diversi territori civici, distanti anchemolti chilometri, per rivendicare il possesso dei beni divenuti suoi, eper occuparli, ma gli era sufficiente recarsi in una certa zona ruralefacente capo sul piano amministrativo possibilmente a una solacittà, e prendere possesso di beni vicini. Questa dinamica offriva lapossibilità all’autorità prefettizia di agevolare la necessaria prassidel rilascio del pittacium al barbaro da parte del delegator. Il rilasciopoteva essere contemporaneo all’effettiva presa di possesso dellasors da parte del Goto : il documento poteva essere dato sul posto albarbaro assegnatario, perché la proprietà assegnatagli era concen-trata in uno spazio rurale di un solo territorio cittadino. La concen-trazione topografica della sors poteva evitare all’autorità romana lamoltiplicazione dei pittacia, sempre pericolosa, per beni siti in loca-lità distanti e facenti capo a distretti amministrativi diversi. Se,insomma, le parcelle che componevano la sors del barbaro erano nelterritorio rurale di una sola città, le operazioni di registrazione delleassegnazioni tra prefettura del pretorio e autorità civiche eranosemplificate, così come la presa di possesso da parte dell’assegna-tario : la traditio materiale del bene e l’impianto dei tituli o terminidi proprietà nel VI secolo avveniva ancora sul posto, sotto gli occhidei magistrati civici, che contestualmente cancellavano dai polypticiil nome del vecchio proprietario e lo sostituivano col nome delnuovo34. Inoltre, da un punto di vista fiscale, ritagliare intere sortes

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traditionis completa, con indicazioni della procedura di presa di possesso in locoe di sostituzione del nome del proprietario sui registri civici, è conservata proprionei gesta ravennati di vendita delle porzioni di due fundi Domicilius e Centum del540 esaminati sopra (P. Ital. 31, col. II, linn. 5-14, p. 70 Tjäder). Proceduraanaloga e dettagliata di traditio possessionum nelle campagne di Siracusa deipraedia donati da Odoacre, in Ravenna, al suo comes domesticorum Pierius,attivo in Italia settentrionale, nel 489 (P. Ital. 10-11, col. III, linn. 10-13 e col. IV,linn. 1-11).

35 Cfr. Vera 1999.

all’interno del territorio di una sola città aveva il pregio di facilitarenotevolmente qualsiasi variazione tributaria : qualunque cambia-mento nel carico fiscale gravante sulle parcelle agrarie che costitui-vano le nuove sortes, o su quelle rimaste in possesso dei Romani, eracomputato e ripartito dai responsabili dell’amministrazione di unasola città, che era anche l’unità-base del circuito esattivo. Questaipotesi appare confortata dalla lettera di Teoderico alle autorità diTrento (Var. II, 17) : l’intera sors assegnata dal re al presbiteroButilan ricade senza dubbio nel solo territorio civico trentino. Aquesto proposito non si deve dimenticare che la stessa organizza-zione della gestione privata ai fini della rendita terriera delle diversee numerose proprietà agrarie dei Romani e della Chiesa in etàtardoantica era organizzata per massae : la caratteristica di questosistema organizzativo privato era la circoscrizione della massa entroil territorio di una singola città35. È chiaro che le esigenze ammini-strative e fiscali della città tardoromana, vera unità-base del-l’amministrazione generale della diocesi, hanno determinatol’accorpamento per massae. Nell’Italia ostrogota le esigenze ammini-strative e fiscali delle città italiche erano ancora sostanzialmenteimmutate rispetto all’età di Diocleziano e di Costantino, comemostrano le Variae. Sarebbe del tutto logico che anche l’insedia-mento barbarico nella diocesi, peraltro pilotato dalla prefettura delpretorio, tenesse conto di questa necessità strutturale.

C’è poi un altro aspetto delicato, che dovrebbe essere valutato :il delegator, come rivela il profilo giustinianeo dell’incarico, con ogniprobabilità accompagnava i gruppi di Ostrogoti a prendere possessodelle loro sortes. La sua presenza era necessaria in vista del-l’eventuale contradittorio col proprietario romano, con le autoritàcittadine, con i lavoranti dei praedia, ecc. Era auspicabile che, adifferenza di quanto accaduto in altre diocesi d’Occidente, gli Ostro-goti facessero valere pacificamente le loro ragioni, occupando solo ibeni assegnati loro dalla prefettura del pretorio : il conflitto potevaessere evitato solo se fosse stato presente almeno un ufficialeromano autorizzato dal prefetto del pretorio a supervisionare, docu-menti alla mano, le prese di possesso nei limiti stabiliti dalla prefet-

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tura. Il delegator aveva verosimilmente questa funzione. Questomeccanismo, basato sulla concentrazione topografica della singolaproprietà gota, moltiplicato per gruppi di capifamiglia, consentivaeventualmente al re, attraverso la prefettura del pretorio, di instal-lare in un determinato spazio rurale i suoi Ostrogoti per unitàformate da famiglie affini (per parentela, per origine etnica, perstoria militare, ecc.). Questo poteva aumentare la loro compattezzaed eliminare fenomeni di dispersione. Anche questa ipotesi appareconfortata dalla testimonianza di Cassiodoro : la lettera di Atalaricoai Goti di Rieti e di Norcia (Var. VIII, 26) mostra il caso di duegruppi di Ostrogoti stanziati nel territorio di due città vicine e colle-gate, ma formanti una ‘comunità etnica’, capace di esprimere ununico prior. Un numero contenuto di gruppi di delegatores potevaseguire gli insediamenti nelle diverse province dell’Italia centro-settentrionale interessate da questa dinamica. Se questa ipotesi èvicina alla realtà, allora il pittacium del barbaro citato innanzi aDomitianus e Wilia probabilmente conteneva l’elenco completo del-le proprietà romane divenute porzioni della sua sors, meglio occupa-bili e reclamabili anche in giudizio, perché limitrofe e interne aiconfini di un solo territorio civico. La sors del singolo barbaro, vero-similmente sita per intero entro un solo territorio civico, poteva (odoveva) essere formata dall’assembramento di più praedia limitrofi,espropriati a diversi proprietari romani confinanti. Cassiodorosuggerisce questa situazione : il caso della lettera a Domitianus eWilia mostra infatti che l’anonimo ricorrente romano (il pulsator)reclamava non l’intera sors del barbaro, ma solo un praedium diessa; è estremamente probabile che quel praedium conteso – chenon è indicato col termine specifico di ager, agellum, fundus, casa,ecc. – fosse solo una parte della sors assegnata a quel barbaro (ma èincerto invece se fosse anche l’intera porzione espropriata a quelsingolo cittadino romano ricorrente). Pertanto al fine di costituire lasors destinata al singolo guerriero barbaro si sarebbe attinto a varipraedia limitrofi, espropriati a diversi cittadini romani appartenentialla stessa civitas, sì che il ricorso del singolo cittadino romano perun vizio nell’assegnazione o per un’occupazione abusiva si configu-rava solo come ricorso per un praedium, e non per un’intera sors.Anche questo aspetto della parcellizzazione dell’esproprio, probabil-mente, limitava i ricorsi da parte dei Romani e rappresentava unvantaggio per la stabilità del sistema. L’idea cardine celebrata daTeoderico davanti al senato nella «Laus Liberii» e comunicata aisuoi sudditi nell’editto confluito nella Formula comitivae Gothorumper singulas civitates (Var. VII, 3) che l’affetto e la collaborazionedebba unire quanti vivono in proprietà confinanti – si ricordi l’insi-stenza ossessiva sulla vicinitas e sulla communio – aveva una suaconcreta base materiale, costituita dall’esproprio di più porzioni di

255VOCI E SILENZI SULL’INSEDIAMENTO DEGLI OSTROGOTI IN ITALIA

36 Nelle Variae il sostantivo deputatio compare solo nella «Laus Liberii», mail tema deput- ricorre ben quaranta volte (inclusa la «Laus Liberii») : Var. I, 21,1-2; I, 25, 2; II, 4, 1; II, 7, 1; II, 16, 5; II, 28, 3; II, 30, 3; II, 34, 1-2; II, 37, 1; III, 26,1; III, 31, 4; III, 35, 1; III, 53, 5; IV, 7, 1; IV, 20, 2; IV, 41, 3; V, 13, 1; V, 18, 3; VI, 7,8 (due occorrenze); VI, 13, 6; VI, 18, 4; VI, 20, 1; VII, 4, 1; VII, 7, 4; VII, 8, 3; VII,19, 1; IX, 21, 1; IX, 25, 9; XI, 10, 4; XI, 30 tit. e 1; XI, 35, 3; XI, 36, 2 e 4; XI, 38, 6;XII, 3, tit. e 2. Si noti che in Var. III, 35, esaminata nel testo, il verbo indica laconcreta assegnazione della proprietà dal prefetto Liberius a Romulus e a suamadre; in Var. II, 37 il verbo segnala la concessione di una concreta superficieagraria (millena) per la città di Spoleto; in Var. IV, 20, una proprietà donata dagliimperatori alla chiesa del vescovo Constantius è detta deputata e collata, espres-sione quest’ultima che ricorda la collatio praediorum destinata all’insediamentodegli Ostrogoti nella lettera di Ennodio (IX, 23).

proprietà appartenenti a più cittadini romani (praedia) destinate acostituire la nuova proprietà del guerriero ostrogoto (sors), che nelpaesaggio rurale facente capo a una civitas era necessariamenteconfinante con le parcelle di proprietà rimaste in possesso deiRomani. La dinamica descritta nella lettera a Domitianus e Wilia –occupazione legittima di un praedium di un Romano da parte di unbarbaro grazie a un documento ufficiale garantito dall’autoritàromana (il delegatoris pittacium) – scaturisce senza dubbio da un’oc-cupazione autorizzata e controllata dalla prefettura del pretorio diterre di Romani da parte di barbari in età teodericiana. Questo è ilcuore della lode della magnifica azione del prefetto Liberius sia inCassiodoro sia in Ennodio. E d’altra parte è opportuno chiedersiquali alternative pacifiche si offrissero a Teoderico quando nel 493,dopo tre anni e mezzo di guerra, fu chiamato a compensare i suoiguerrieri e a trovare un accordo con la potente e ricca aristocraziaromana e con l’influente e diffusa nobiltà provinciale che esprime-vano le massime cariche amministrative della diocesi. Affidarsi aipittacia della prefettura del pretorio probabilmente fu una sceltaobbligata.

L’ipotesi ricostruttiva dell’insediamento degli Ostrogoti in Italiaproposta invita a tornare su un elemento critico della «Laus Liberii».Nella lettera di Teoderico al senato l’intera operazione di insedia-mento degli Ostrogoti nella diocesi, ottimamente realizzato da Libe-rius, è definita tertiarum deputatio. Dal momento che questa partedella lettera descrive, in base a quanto esposto, un’assegnazione diproprietà terriere ai Goti, la tertiarum deputatio deve essere unadistribuzione di terre, e, quindi, nelle tertiae devono essere indivi-duate delle quote di proprietà terriera, ovviamente espropriate aiRomani36. Senza entrare nell’annosa discussione sulla relazione traquesta quota e i limiti imposti dalla legislazione tardoromana sul’hospitalitas, e senza estendere l’analisi alle quote di un terzo testi-moniate nei regni burgundo e visigoto, sembra opportuno circoscri-

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37 Sul problema dell’hospitalitas cfr. di recente Roda 1991; TavolieriD’Andrea 2007 e 2008. Sulle quote negli insediamenti cfr. di recente e in generaleWood 1998; Innes 2006; Halsall 2007, p. 417-454; per la posizione di Goffart vd.sopra nota 15; alcune contraddizioni nella rilettura complessiva di Krieger 1992.Per il caso visigoto cfr. Kulikowski 2001; per il caso burgundo cfr. Wood 1990,p. 64-69 e il suo contributo nel presente volume; per il caso longobardo cfr. Pohl2001 e il suo contributo nel presente volume.

38 ‘Al punto che essi (Sciri, Alani e alcune genti gotiche) pretesero sfrontata-mente, oltre alle molte cose estorte contro voglia, anche che alla fine distribuis-sero loro tutti i campi in Italia. Ingiunsero a Oreste di dare loro la terza parte diquesti, ma dal momento che egli non voleva affatto farlo, lo uccisero subito. Fraloro c’era uno di nome Odoacre, guardia dell’imperatore, che si prestava a farequanto chiedevano a patto che lo elevassero al potere. Avendo così usurpato, nonfece altro male all’imperatore, ma lasciò che vivesse da quel momento come unprivato. E fornendo ai barbari la terza parte delle terre e consolidando la lorodevozione in questo modo, tenne la tirannide per dieci anni’.

39 Sul regno di Odoacre cfr. Cesa 1994 e 2001; Henning 1999, p. 58-70; 178-187; 209-212; 332-334.

vere l’indagine su queste tertiae innanzi tutto all’Italia intorno aglianni dell’affermazione di Teoderico, evocati nella «Laus Liberii»37. Ilrisultato è alquanto fruttuoso, grazie al contributo del passo celeber-rimo di Procopio di Cesarea in cui è descritta l’eliminazione diOreste e l’affermazione di Odoacre nel 476 (Procop., B.G. I [V], 1,4-8) :

w™ ste ayßtoyùv aßnaı¥dhn, a¶lla te pollaù oy¶ ti eΩkoysı¥oyv hßna¥gkazon,kaıù teleytwntev jy¥mpantav proùv ayßtoyùv neı¥masuai toyùv eßpıù thv �Italı¥avaßgroyùv hßjı¥oyn. wü n dhù toù trithmo¥rion sfı¥si dido¥nai toùn �Ore¥sthneßke¥leyon, tayta¥ te poih¥sein ayßtoùn wΩ v h™kista oΩmologoynta, eyßuyùve¶kteinan. h®n de¥ tiv eßn ayßtoıv �Odo¥akrov o¶noma, eßv toyùv basile¥wv dory-fo¥royv telwn, oıüv ayßtoùv to¥te poih¥sein taù eßpaggello¥mena wΩ molo¥gesenh¶nper ayßtoùn eßpıù thv aßrxhv katasth¥swntai. oy™tw te thùn tyrannı¥da para-labwù n a¶llo meùn oyßdeùn toùn basile¥a kakoùn e¶drasen, eßn ıßdiw¥ toy deù lo¥gw∞biotey¥ein toù loipoùn eı¶ase. kaıù toıv barba¥roiv toù trithmo¥rion twn aßgrwnparasxo¥menov toy¥tw∞ te t√ tro¥pw∞ ayßtoyùv bebaio¥tata eΩtairisa¥menov thùntyrannı¥da eßv e™th eßkraty¥neto de¥ka38.

Il passo di Procopio mostra che nel 476 i barbari di Odoacrechiesero e ottennero terre nella diocesi Italiciana39. Lo mostra l’usodel sostantivo aßgroı¥ per indicare l’oggetto delle assegnazioni, e logiustifica la congiuntura storica di crisi tributaria in cui versaval’imperatore d’Occidente, crisi cresciuta progressivamente dopo laperdita del tributo dalla diocesi d’Africa nel 439. I guerrieri barbarial servizio di Oreste aspiravano ad avere rendite annuali sicure,fornite direttamente da stabili proprietà agrarie, loro assegnate e daloro autonomamente gestite come proprietari terrieri; le renditeavrebbero continuato a essere affiancate dai consueti donativaimperiali, la cui incertezza e la cui consistenza però, legata ormai da

257VOCI E SILENZI SULL’INSEDIAMENTO DEGLI OSTROGOTI IN ITALIA

40 Si tratta della dinamica descritta dal re Atalarico nella lettera ai Goti diRieti e di Norcia (vd. sopra Var. VIII, 26) in cui le rendite delle sortes sono affian-cate ai donativi elargiti dal re.

tempo ai fluttuanti introiti fiscali della sola diocesi Italiciana, nondava sufficienti garanzie di benessere40. Riguardo alla quota di terreespropriate da Odoacre lo storico bizantino non afferma che i suoiguerrieri barbari ottennero la terza parte di tutte le terre d’Italia(jy¥mpantav ... toyùv eßpıù thv �Italı¥av aßgroyùv ... toù trithmo¥rion sfı¥sidido¥nai), che avevano preteso invano da Oreste, ma semplicementeche essi ricevettero da Odoacre delle terre per una quota di un terzo(toıv barba¥roiv toù trithmo¥rion twn aßgrwn parasxo¥menov). È benesottolineare questo aspetto : nel testo di Procopio è netta la diffe-renza tra l’originaria richiesta dei guerrieri a Oreste, i quali preten-devano un terzo di tutte le terre della diocesi, e la risposta data loropoco dopo da Odoacre, consistente nell’assegnazione di un terzo diterre – questo è il punto – sufficiente a coagulare il loro sostegno allasua causa (toy¥tw∞ te t√ tro¥pw∞ ayßtoyùv bebaio¥tata eΩtairisa¥menov). Iguerrieri barbari che uccisero Oreste e che acclamarono Odoacrenel 476 difficilmente avranno avuto chiara cognizione del-l’ammontare totale delle terre coltivabili nella diocesi Italiciana (lastessa cosa deve dirsi ancor di più per Teoderico e per i suoi Ostro-goti, che provenivano dall’Illirico e che non avevano mai messopiede in Italia prima del 489). I guerrieri barbari beneficiari delleassegnazioni nel 476, e poi nel 493, non erano dei dignitari latino-foni, pratici di amministrazione civile e fiscale, o gestori di ampipatrimonii fondiarii, né burocrati cresciuti negli officia tardoro-mani, né erano immersi nei meandri dell’amministrazione civica.Conoscevano i meccanismi della distribuzione annonaria e dellalogistica destinata agli eserciti; avevano visto, e talvolta saccheg-giato, nelle loro peregrinazioni armate molte proprietà tardoro-mane, alcune ricche fattorie rurali e molte piccole aziende; avevanoabitato in alloggiamenti urbani più o meno scomodi. Quando lamassa combattente barbarica, concentrata a Ravenna e in alcunepiazzeforti dell’Italia settentrionale, chiese ad Oreste, poi adOdoacre, come poi a Teoderico, assegnazioni stabili di terre colti-vate, non poteva calcolare a cosa corrispondesse un terzo di tutte leterre della diocesi Italiciana in cui voleva insediarsi definitivamente.Quei guerrieri erano troppo poco numerosi non solo per occupare eper prendere possesso di un terzo dell’intero patrimonio fondiarioitaliciano – sia la concreta e legittima traditio bonorum, sia l’invasioviolenta richiedevano una presenza fisica – ma anche per control-larlo indirettamente : infatti le fonti mostrano che gli insediamentibarbarici nella diocesi tra il tardo V e la metà del VI secolo tocca-

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rono soltanto alcune zone dell’Italia centro-settentrionale, di granlunga inferiori a un terzo di tutte le terre coltivate nella diocesi.Sembra logico che Odoacre non trasferisse in blocco le proprietà atutti i suoi uomini in un brevissimo periodo. L’operazione sarà statadiluita nello spazio e nel tempo. Mentre il re procedeva nelle asse-gnazioni, il numero dei combattenti barbari in attesa di sistema-zione diminuiva, quello dei combattenti barbari sostanzialmentesoddisfatti dalla loro trasformazione in proprietari terriericresceva : in questo modo la forza di pressione dell’armata barba-rica, intesa come corpo unitario, scemava progressivamente(peraltro si trattava di un’armata già etnicamente molto mescolata).Inoltre le assegnazioni di proprietà rurali in territori civici diversi ein province diverse d’Italia produceva un positivo effetto di disper-sione. La maggior parte dei guerrieri poi, a causa del servizio attivoagli ordini di Odoacre, era trasformata dall’assegnazione in unnucleo di proprietari terrieri assenti : essi avranno visitato la loronuova proprietà in qualche provincia italica anche anni dopo averlaricevuta in sorte. Anche questo limitava molto le capacità diconfronto sugli esiti della sistemazione individuale o per piccoli emedi gruppi da parte dei barbari assegnatari. Infine era sostanzial-mente impossibile per i barbari assegnatari, germanofoni e privi diun rapporto consolidato con le diverse amministrazioni urbane– molti avranno ricevuto terre in territori civici mai visitati prima –verificare presso le curie cittadine le carte di proprietà dei diversicittadini romani espropriati per ogni sors, al fine di controllare lacorrettezza delle quote espropriate : dovevano fidarsi dei funzionariromani che localmente li guidavano nelle prese di possesso. Inconclusione, i barbari che chiedevano a Oreste l’assegnazione di unterzo di tutte le terre della diocesi reclamavano qualcosa le cuidimensioni, generali e particolari, concretamente sfuggivano loro.Quella pretesa era irrealizzabile. La soluzione pragmatica diOdoacre funzionò. Le terre effettivamente distribuite devono esserestate espropriate dal re solo nella misura utile a soddisfare i guer-rieri suoi sostenitori, una misura certamente inferiore, molto infe-riore, a un terzo di tutte le terre messe a coltura nella diocesiItaliciana. Del resto Odoacre non aveva bisogno di espropriare piùdi quanto necessario a sistemare via via tutti i barbari che l’avevanoacclamato, e, come sembra, non lo fece, cosa che appare confermatadai suoi buoni rapporti con l’aristocrazia italica e con la Chiesa.L’assegnazione delle proprietà effettuata dal re, diluita cronologica-mente e geograficamente, dovette soddisfare progressivamente isingoli beneficiari, neutralizzando il loro pericoloso potenzialeoppositivo, e comunque neutralizzandolo come armata compatta.

Torniamo alla quota testimoniata da Procopio di Cesarea, perchéessa invita a spostare l’obiettivo sull’altro polo dell’operazione : i

259VOCI E SILENZI SULL’INSEDIAMENTO DEGLI OSTROGOTI IN ITALIA

41 Queste quote minime all’interno di singole unità, per esempio abitative,sono piuttosto proprie dell’istituto del tutto diverso dell’hospitalitas, finalizzata adassicurare temporaneamente un riparo e un certo agio a un militare o a un uffi-ciale civile al servizio del principe e senza famiglia (vd. sopra bibl. cit. a nota 37).

Romani espropriati. Nel contesto storico esaminato la ‘terza parte deicampi coltivati’ (toù trithmo¥rion twn aßgrwn) rappresenta verosimil-mente la frazione di proprietà massima espropriabile a un cittadinoromano per creare il lotto (la sors, intera o, con maggiori probabilità,parte di essa) destinato al singolo guerriero barbaro. Il passo diProcopio mostra che nel 476 i barbari di Odoacre ottennero effettiva-mente terre in Italia attraverso esproprii ai danni dei Romani diparcelle di proprietà agricole non superiori, come sembra, a un terzodella proprietà del singolo cittadino romano espropriato. Se, comedetto, è escluso che la quota di un terzo (toù trithmo¥rion) ricordata daProcopio consista in ‘un terzo dell’intera proprietà dei Romani nelladiocesi Italiciana’, è parimenti escluso che la quota di un terzo possaconsistere nell’esproprio di un terzo di un singolo praedium, ofundus, o casa, ecc., cioè di una singola porzione produttiva o abita-tiva autonoma all’interno della proprietà di un singolo cittadinoromano, perché quella frazione per lo più aveva dimensioni minime einsufficienti a sostenere la famiglia di un barbaro41. A livello diipotesi, in base a quanto esposto nelle pagine precedenti, sembrapossibile che la quota, la ‘terza parte’ procopiana, sia stata calcolatasull’intero ammontare delle proprietà (cespes) del singolo cittadinoromano sottoposto a esproprio; ovvero che essa sia stata calcolatasull’ammontare delle proprietà (cespes) del singolo cittadino romanosottoposto a esproprio posseduta all’interno di un singolo e determi-nato territorio rurale facente capo a una sola civitas. Dal momentoche la sors del barbaro sembra ricavata interamente entro il territoriorurale di una sola civitas, sarebbe possibile che un determinato citta-dino romano fosse espropriato solo una volta, per la formazione diuna sors; ovvero nel caso di proprietari con beni in più città, un casoassai comune, sembra possibile che un certo proprietario romanofosse espropriato in un territorio civico, ma non in un altro. Questasoluzione consentiva di assegnare praedia economicamente autosuf-ficienti e redditizi per il barbaro, senza intaccare in profonditàl’intero patrimonio del cittadino romano. Naturalmente questocalcolo dell’incidenza della quota della ‘terza parte’ della proprietàdei Romani è ipotetico. All’opposto appare evidente l’esistenza di unacontinuità tra la quota espropriabile ricordata da Procopio nel 476 ela deputatio tertiarum esaltata da Teoderico nella «Laus Liberii»riguardo alle assegnazione dal 493.

L’aggettivo plurale tertiae usato da Cassiodoro nell’esaltazione

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42 ‘E (Teoderico) quasi non commise alcuna ingiustizia ai danni dei suoigovernati, né consentì ad altri da lui incaricati di commetterne, ad eccezione delfatto che i Goti distribuirono fra loro la parte dei fondi rustici che Odoacre diedeai soldati suoi sostenitori’.

della deputatio tertiarum della «Laus Liberii» sottintende un sostan-tivo femminile plurale. Potrebbe esistere una relazione linguisticastretta tra il sostantivo composto di Procopio, trithmo¥rion, cioè ‘ilterzo di tre parti’, e le tertiae di Cassiodoro. Il trithmo¥rion presup-pone l’esistenza di trı¥tai moırai, che in latino deve essere tradottotertiae partes, cioè le ‘terze parti’ della proprietà espropriabile alcittadino romano. In questo caso saremmo di fronte a un calcolinguistico greco-latino, in cui il più sintetico toù trithmo¥rion si adat-tava meglio di una lunga perifrasi ad esprimere il concetto nelledense pagine storiche di Procopio. Tutto lascia supporre dunque cheesista un nesso diretto, non solo linguistico, tra il trithmo¥rion asse-gnato in Italia ai guerrieri di Odoacre dal 476 e le tertiae assegnatesolo diciassette anni dopo ai guerrieri di Teoderico da Liberius apartire dal 493 nella medesima diocesi. Questa continuità è attestataesplicitamente in un altro passo di Procopio di Cesarea. Alla finedella sezione sulla caduta di Odoacre, Procopio tratta in modorapido della guerra tra Odoacre e Teoderico in Italia, poi del carat-tere del re Teoderico, sezione in cui inserisce, in modo cursorio, unapreziosa notazione sull’insediamento degli Ostrogoti in Italia nel493 (Procop., B.G. I [V], 1, 28) :

Kaıù aßdı¥khma sxedo¥n ti oyßdeùn oy¶te ayßtoùv eßv toyùv aßrxome¥noyv eıßrga¥-zeto oy¶te t√ a¶llw∞ taù toiayta eßgkexeirhko¥ti eßpe¥trepe, plh¥n ge dhù o™titwn xwrı¥wn thùn moıran eßn sfı¥sin ayßtoıv Go¥tuoi eßneı¥manto, h™nper�Odo¥akrov toıv stasiw¥ taiv toıv ayßtoy e¶dwken42.

Agli occhi dello storico bizantino, testimone oculare sbarcato inItalia con il corpo di spedizione di Belisario, quando gli Ostrogotierano ancora in pieno possesso delle loro proprietà italiche, non sipotevano imputare a Teoderico vessazioni ai danni dei sudditi del-l’Impero, eccetto l’insediamento degli Ostrogoti sulle terre deiRomani. Questo insediamento era avvenuto in continuità con quelloeffettuato da Odoacre per i suoi guerrieri barbari. Il re ostrogoto,secondo Procopio, aveva insediato i suoi combattenti vittoriosi nelladiocesi Italiciana sulla ‘parte di fondi rustici’ (twn xwrı¥wn thùnmoıran) già assegnata da Odoacre ai suoi sostenitori. Questa affer-mazione può significare due cose : che Teoderico dopo la sconfitta ela morte di Odoacre requisì le singole proprietà materialmente asse-gnate ai soldati barbari sostenitori del defunto re e vi insediò i suoiOstrogoti (moıran avrebbe il senso di pars agri, concrete proprietàterriere già assegnate, destinate a cambiare proprietario barbaro);

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43 Riferimenti espliciti a Odoacre in Var. II, 16, 2; IV, 38, 3; VIII, 17, 2; impli-cito in Var. III, 28, 2; gli abiecta tempora e gli abiecta saecula di Odoacre sonoricordati rispettivamente in Var. V, 41, 5, e VIII, 17, 2.

44 Teoderico ebbe mano libera nelle assegnazioni nella diocesi Italiciana solodopo il marzo 493, mentre la sua praescriptio inziava già dall’agosto 489 : proba-bilmente la sfasatura non sollevava veri problemi strutturali, perché le lineeguida e il modello dell’insediamento teodericiano non differivano da quelli delperiodo di Odoacre.

ovvero che Teoderico dopo la sconfitta e la morte di Odoacre insediòi suoi Ostrogoti su una quota di terre romane identica a quella inbase alla quale Odoacre aveva proceduto agli esproprii per i suoi,cioè ‘la terza parte’ (toù trithmo¥rion) : moıran avrebbe il senso di‘percentuale’ di terreni agricoli di proprietà del singolo cittadinoromano espropriabili, dove xwrı¥on indicherebbe terreni ruraliproduttivi. È possibile che Procopio suggerisca entrambe le solu-zioni. Purtroppo Cassiodoro non aiuta a capire la relazione tra leassegnazioni odoacriane e quelle teodericiane, perché la damnatiodi Odoacre ha fatto sì che nelle Variae le azioni di Teoderico risul-tino prive di relazioni con l’esperienza anteriore43. Questo vale tantopiù per interventi nevralgici e politicamente fondamentali comel’insediamento pacifico degli Ostrogoti in Italia. Tuttavia la letteradel re a Domitianus e Wilia (Var. I, 18) nel segnalare il discrimine trai due cicli di assegnazioni al 28 agosto 489 sembra fissare un puntofermo nel calcolo della praescriptio longi temporis a fini giudiziari,non una cesura nella tipologia delle assegnazioni ai barbari44. Lastessa cosa suggerisce il consolidamento di un’espressione come asorte barbari nella professio dell’atto di vendita registrato a Ravennanel 540 (P. Ital. 31), ben quarantasette anni dopo l’inizio delle asse-gnazioni di Teoderico, e sessantaquattro anni dopo l’inizio di quelledi Odoacre : i giurisperiti tardoromani non avevano sentito ilbisogno di aggiornare una formula verosimilmente escogitata aridosso del 476. Un ultimo elemento, non trascurabile, collega l’inse-diamento dei barbari di Odoacre dal 476 a quello dei barbari diTeoderico dal 493 : il coinvolgimento di Liberius nelle operazioni didistribuzione delle proprietà agli Ostrogoti. Petrus Marcellinus FelixLiberius percorse la prima parte della sua carriera amministrativaagli ordini di Odoacre, cui restò fedele fino all’affermazione diTeoderico. Quest’ultimo, con una scelta sorprendente, lo valorizzòimmediatamente nominandolo prefetto del pretorio d’Italia nel 493e affidandogli l’incombenza di insediare gli Ostrogoti nella diocesi.Una delle ragioni di questa scelta dovrà essere individuata nel fattoche Liberius aveva una solida esperienza dell’assetto amministrativoe fiscale creatosi in Italia nell’età di Odoacre. La scelta di Teodericodi insediare nella massima carica civile romana, la prefettura del

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pretorio, responsabile dell’installazione ostrogota, un funzionariocresciuto nell’amministrazione di Odoacre andava nella direzionedella continuità, o, al massimo, di un cambiamento che tenesse indebito conto la realtà dell’assegnazione di terre ai barbari effettuatanegli anni precedenti da Odoacre. Tutto invita a concludere che lediscusse tertiae evocate da Cassiodoro nell’espressione deputatiotertiarum, che riassume l’efficace azione di Liberius nell’insedia-mento dell’esercito teodericiano nella diocesi Italiciana dal 493,corrisponda al toù trithmo¥rion ricordato da Procopio in riferimentoall’insediamento dell’esercito di Odoacre nella medesima diocesi dal476 : la quota massima espropriabile di proprietà romane, consi-stente nelle ‘terze parti’ (tertiae partes = trı¥tai moırai) delle proprietàdi più cittadini romani, destinate a costituire la singola sors asse-gnata (deputata appunto) dal re, attraverso la prefettura del pretorio,al singolo guerriero ostrogoto.

Ma il problema delle tertiae nell’Italia ostrogota non si esauriscecon l’ipotesi, fondata, che esse costituissero la concreta quota diproprietà romane espropriabile nell’ambito dell’assegnazionepromossa da Teoderico attraverso Liberius, sulla scorta di quellaeffettuata pochi anni prima da Odoacre. A complicare la questioneinterviene la constatazione che nelle Variae di Cassiodoro l’aggettivosostantivato tertiae ricorre altre due volte : nella lettera alle autoritàdi Trento sulla sors del presbitero goto Butilan, esaminata prima(Var. II, 17), e in una lettera di Teoderico al prefetto del pretoriod’Italia Faustus Niger con cui si concede una variazione nella ripar-tizione del versamento fiscale per la comunità dei Catalienses (Var.I, 14). Le tertiae menzionate in queste due lettere cassiodoree sonosenza dubbio una quota dell’imposta fondiaria ordinaria. Lo indicala lettera del re Teoderico al prefetto Faustus Niger (Var. I, 14) :

Libentes omnimodis praebemus assensum, quotiens vox est iustaposcentium, quia nec decet esse difficile beneficium, quod non patiturlargitate detrimentum. Et ideo praecelsa magnificentia tua, quod aCataliensibus inferebatur genere tertiarum, faciat annis singulis intributaria summa persolvi, nec post super hac parte patiantur supplicesaliquam quaestionem. Quid enim interest, quo nomine possessorinferat, dummodo sine imminutione quod debetur exsolvat? Ita et illissuspectum tertiarum nomen auferimus et a nostra mansuetudineimportunitates competentium summovemus.

Con questa epistola il re Teoderico intende informare il prefettodel pretorio di una sua decisione (beneficium), a favore di unacomunità non meglio identificata, i Catalienses. Il beneficio è dinatura fiscale, per questo il re ne informa prontamente il prefettodel pretorio, che è il responsabile del circuito fiscale della diocesiItaliciana. Esso consiste nel computare i versamenti dei Cataliensesdestinati finora al titolo delle tertiae (quod a Cataliensibus infere-

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batur genere tertiarum) direttamente nell’ammontare complessivodelle tasse da questi pagate annualmente (faciat annis singulis intributaria summa persolvi). Il re motiva la sua decisione affermandochiaramente che questa incorporazione delle tertiae nel totale dellafiscalità versata annualmente dai Catalienses non comporta alcunadiminuzione del gettito fiscale della comunità a favore del fisco(quod non patitur largitate detrimentum e Quid enim interest, quonomine possessor inferat, dummodo sine imminutione quod debeturexsolvat?). Conclude infine con l’interessante notazione che il titolodelle tertiae è considerato dai contribuenti ‘un versamento sospetto’(Ita et illis suspectum tertiarum nomen auferimus). La lettera mostrache le tertiae erano soltanto un capitolo specifico (titulus, genus) del-l’ammontare complessivo delle tasse ordinarie (summa tributaria)che una comunità della diocesi Italiciana era tenuta a versareannualmente (annis singulis), e di cui il prefetto del pretorio eraresponsabile. Le tertiae erano dunque calcolate sulla base del-l’imposta ordinaria sulla proprietà fondiaria, da sempre esatta econtabilizzata dalla prefettura del pretorio. Esse erano prelevatecome tali all’origine al livello della curia cittadina, e non erano soloun capitolo di spesa ripartito alla fine del processo esattivo dallaprefettura del pretorio. I Catalienses sono infatti consapevoli cheuna parte dei loro versamenti in solidi confluisce nelle tertiae (quoda Cataliensibus inferebatur genere tertiarum), con ogni probabilitàperché essi stessi riscuotevano le somme di quel titolo come tali, ecome tali quelle somme confluivano nella contabilità dell’arcaprefettizia. Dal momento che il genus tertiarum poteva essere ricom-putato nel versamento annuale complessivo al fisco, senza che ilfisco patisse alcuna perdita – la decisione di Teoderico di eliminarele tertiae dei Catalienses insomma non comportava per sua paleseammissione una diminuzione delle entrate del fisco riguardo aiCatalienses – è evidente che le tertiae erano solo un capitolo partico-lare della fiscalità ordinaria, non una tassa a parte pagata oltrel’ammontare annuale ordinario dell’imposta fondiaria. Pertanto erasufficiente per il prefetto del pretorio, una volta che Teoderico haaccolto il ricorso dei Catalienses contro le tertiae, far confluire quellaquota di contribuzione ordinaria annuale della comunità, primacalcolata come genus tertiarum, all’interno del capitolo generale del-la contribuzione fondiaria, cioè nel paniere annuale delle tasseversate dai Catalienses senza finalità specifiche. A livello di curiacivica, verosimilmente i responsabili dei Catalienses avrannoriscosso da quel momento il medesimo monte-tasse annuo a basefondiaria nelle consuete tre rate, ma senza più trasferire la quota ditertiae nell’apposito capitolo, che per decisione del re nel loro casonon esisteva più. In sostanza i Catalienses chiedevano a Teodericonon di essere esentati da una determinata imposta, né chiedevano

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45 Cfr. P. Ital. 47-48 (cit. sopra, a nota 23), lin. A 26 : Pittacium Verecundi adnom(en) Rustici v(iri) c(larissimi) de titulis tertiarum sol(idorum) n(umero)CCLVIIS Volusiano consule.

46 Non esiste un’imposta con il nome di tertiae nella fiscalità tardoromana,prima della testimonianza delle Variae, né nell’impero d’Oriente del V-VI secolo(per un’analisi delle diverse tasse tardoromane cfr. Karayannopulos 1958, p. 92-147). Si tratta dunque di un elemento del circuito fiscale dell’Italia ostrogota. Insecondo luogo si noti che, a differenza di molte tasse pagate nel tardo imperoromano, il nome di questa imposta d’età ostrogota è un aggettivo numerale ordi-nale plurale e non un sostantivo singolare (cfr. per es. chrysargyron, gleba, follis,vestis o canon vestium, aurum tironicum, ecc.; anche in riferimento al mecca-nismo esattivo si pensi a termini astratti femminili singolari come capitatio-iugatio, adaeratio-coemptio, praebitio tironum, collatio equorum, ecc.); nel caso ditasse indicate per mezzo di aggettivi sostantivati, questo tende a essere un neutrosingolare, come per es. siliquaticum. Inoltre le tertiae cassiodoree non possonoessere confuse nell’Italia ostrogota con le tre rate quadrimestrali (pensiones, illa-tiones) in cui erano ripartiti i versamenti ordinari delle tasse nell’anno indizio-nale (functio, annua devotio, ecc.), perché questa sovrapposizione non è attestata,e perché le tradizionali rate di versamento erano definite nell’insieme trina illatio(cfr. Var. II, 24, 3; XI, 7, 3; XII, 2, 5; XII, 16, 3), mentre una per una sono indicatecon il numerale al singolare : prima, secunda, tertia illatio (Var. II, 24, 2; XI, 15, 2;XI, 35, 3; XI, 36, 4; XI, 37, 4; XI, 38, 6; per illatio senza distributivo cfr. Var. I, 25,2; II, 16, 4; II, 24, 4; II, 25, 2; II, 38, 1; III, 42, 2; IV, 38, 1; V, 5, 1; VII, 45, 1; IX, 11,1; XI, 7, 4; XI, 37, 2; XI, 39, 4; XII, 8, 3; XII, 16, 1). Dunque trina illatio e tertiaillatio non sono mai sinonimo di illatio tertiarum. Le tertiae non possono essereconfuse con le binae et ternae exactiones, che erano un’imposta a sé, destinata alcomes sacrarum largitionum (cfr. Var. VII, 21-22) e non alla prefettura delpretorio.

47 Vd. sopra nota precedente.

una decurtazione sull’imposta fondiaria ordinaria, ma semplice-mente chiedevano che le tertiae dell’imposta da loro versata nonconfluissero in quel particolare capitolo fiscale, definito suspectum.

Che le tertiae fossero solo un capitolo delle entrate della fiscalitàfondiaria ordinaria dell’arca prefettizia lo conferma una linea del-l’inventario papiraceo della sezione finanziaria dell’officium delprefetto del pretorio d’Italia a Ravenna (P. Ital. 47-48)45. Il docu-mento permette di stabilire che queste tertiae erano esatte in solidied erano gestite dalla prefettura del pretorio. Il confronto tra ilpapiro ravennate e le istruzioni contenute nella lettera al prefetto delpretorio Faustus Niger invita a vedere nelle tertiae non una nuovatassa, aggiunta in età ostrogota ad altre tasse, con un aggravio del-l’onere fiscale per i contribuenti, ma una porzione della normaleimposta sulla proprietà fondiaria. Queste tertiae, poi, non possonoessere confuse con imposte già esistenti46.

Il fatto che questa ‘porzione d’imposta’ abbia il curioso nome ditertiae è probabilmente da ricercarsi proprio nel suo non essere unanuova imposta, che avrebbe prodotto forse una denominazioneanaloga a quella di altre tasse tardoromane47. Se, infatti, si conside-

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rano le tertiae d’età ostrogota in Italia come semplici quote dellafiscalità fondiaria ordinaria, calcolate sulla proprietà terriera, prele-vate in solidi e destinate a un capitolo a parte, fra i molti, dellanormale fiscalità facente capo alla prefettura del pretorio (i titulitertiarum dell’archivio ravennate e il genus tertiarum della lettera aFaustus Niger sui Catalienses e alle autorità di Trento su Butilan),l’enigma del nome può essere ragionevolmente risolto. Pur concautela, e sulla scorta dell’uso di una terminologia simile per laquota terriera espropriabile ai Romani per la costituzione dellesortes barbariche, le tertiae in ambito fiscale con ogni probabilitàaltro non erano se non le tertiae partes delle tre consuete rate quadri-mestrali dell’imposta fondiaria, in cui erano ripartiti i versamentiannuali dei contribuenti romani. Un terzo di ciascuna rata quadri-mestrale era percepito sempre in solidi, raccolto a parte e trasmessodalle autorità civiche alla prefettura del pretorio. Il plurale tertiaeera d’obbligo, perché, con ogni probabilità, ‘le terze parti’ del versa-mento erano scorporate e computate nell’apposito titulus in ognunadelle tre rate in cui era suddiviso l’anno indizionale.

La lettera di Teoderico alle autorità di Trento (Var. II, 17) sugge-risce un ulteriore elemento : le tertiae erano versate solo dai contri-buenti romani. Come abbiamo visto, dal testo della lettera si deduceche Teoderico ha ricavato da alcune proprietà rurali o da porzioni diproprietà rurali site nel territorio di Trento una proprietà (sors), cheha munificamente assegnato (nostra largitate contulimus) al presbi-tero Butilan, un ostrogoto. L’insieme delle proprietà confluite aformare la sors di Butilan erano fino ad allora regolarmente sotto-poste a tassazione fondiaria (nullum debere persolvere fiscalis calculifunctionem), che le autorità di Trento, e la prefettura del pretorio,calcolavano nel monte dell’imposta annuale da loro esatta, e in cuierano comprese anche le tertiae (de tertiarum illationibus). Lo scor-poro delle tertiae (sicuro : de tertiarum illationibus vobis noveritisesse relevandos) dalla contribuzione in solidi per le proprietàconfluite nella sors (i solidi della praestatio nella fiscalis calculifunctio) conferma che le tertiae erano una porzione della contribu-zione ordinaria su base fondiaria esatta in solidi dall’autorità civica.Anche da questo si può dedurre che le proprietà donate dal re aButilan erano appartenute a Romani, i quali pagavano sulleproprietà poi confluite nella sors l’imposta fondiaria ordinariacomprensiva della quota delle tertiae. Il re, però, informa le autoritàdi Trento di due disposizioni distinte relative alla fiscalità cittadina,tra loro strettamente connesse : nessuno dei contribuenti ascrittialla città di Trento è più tenuto a pagare tasse su quella sors donataal presbitero (ulteriore conferma che le parcelle con cui il re haformato la sors per Butilan erano di proprietà di cittadini romanicontribuenti); le autorità di Trento devono decurtare dal capitolo

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48 Cassiodoro (Var. I, 19; IV, 14; V, 14) mostra chiaramente che la compo-nente ostrogota della società manifesta insofferenza verso un sistema fiscale chenon risparmia le loro proprietà. Gli Ostrogoti versavano dunque al fisco le tassesulla proprietà fondiaria, come sembra, anche sulle sortes ricevute in assegna-zione. Il regolare invio dalla prefettura del pretorio ravennate nelle singoleprovince di un saione ostrogoto al fianco del cancellarius e del canonicariusromani si giustificherebbe meglio se anche i Goti figurassero fra i contribuenti dasollecitare.

delle tertiae versate dalla città di Trento la quota di tertiae esatte rela-tivamente alle proprietà assegnate a Butilan. Sono due informazionimolto significative riguardo alla fiscalità nell’Italia ostrogota e alrapporto tra Romani e barbari. Che nessun contribuente di Trentodebba più versare l’imposta fondiaria per la sors di Butilan è laconseguenza del fatto che dal momento dell’assegnazione regale è ilnuovo proprietario goto, Butilan, a versare le tasse calcolate sullasua sors48. Il fatto che dalla contribuzione fiscale esatta sui praediache compongono la sors di Butilan le autorità di Trento nondebbano più estrarre le relative tertiae (in ea praestatione quanti sesolidi comprehendunt, de tertiarum illationibus vobis noveritis esserelevandos), oltre a confermare il nesso tra imposta fondiaria globalee tertiae, indica che, con ogni probabilità, i Goti non pagano letertiae. La proprietà terriera confluita nella sors del goto Butilan nonfornirà più la sua quota di tertiae in solidi all’arca prefettizia;pertanto la quota in solidi relativa alle tertiae esatte sulle terre diTrento divenute sors barbari di Butilan deve essere scorporata dalmonte annuale del titulus tertiarum esatto nella città, perché altri-menti quella quota destinata a un titulus a parte della prefettura delpretorio graverà su altri contribuenti. E il re non vuole che sia così.La situazione fiscale di Trento differisce da quella dei Catalienses inquesto : questi ultimi continuavano a versare l’intera impostafondiaria senza più destinarne la terza parte al titulus tertiarum(l’intero prodotto ricadeva nel solo titolo dell’imposta fondiaria, e ilfisco, come afferma il re, non subiva perdite); i Trentini continua-vano a versare l’intera imposta fondiaria (intera perché Butilanpagava la sua parte di imposta fondiaria), comprese le tertiae, madecurtavano la quota di tertiae calcolata sulla sors di Butilandall’ammontare globale annuo del titulus tertiarum. Ribadiamo :Teoderico si oppone a che i Romani di Trento paghino le impostesulle terre passate a Butilan al posto del nuovo proprietario goto, edi sua iniziativa impone altresì di scorporare e di cancellare daltitulus tertiarum di Trento la quota di tertiae esatte sulla contribu-zione relativa alle proprietà dell’assegnatario neo-proprietario,

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perché il presbitero goto è esente da quel versamento, e non è giustoche esso continui a gravare sui Romani di Trento.

La lettera del re alle autorità di Trento mostra che le tertiae sonoesatte già all’origine dalla curia cittadina come somme di quel parti-colare titolo fiscale, e non sono scorporate dal paniere totale del-l’imposta annuale a base fondiaria solo in seconda istanza dallaprefettura del pretorio. Insomma, i contribuenti romani eranoconsapevoli di pagare le tertiae (il suspectum nomen della lettera alprefetto Faustus Niger), perché erano solo loro che le versavano eche le esigevano a livello civico attraverso le rispettive autorità citta-dine. Il fatto che le tertiae fossero esatte come tali già a livello curialeè comprensibile, e anzi inevitabile : soltanto a quel livello era possi-bile per gli esattori richiedere una certa somma per un certo titolofiscale dai soli Romani e non dai Goti. È una distinzione che sipoteva fare soltanto a livello locale, dove erano distinguibili l’iden-tità etnica del contribuente e l’estensione della sua proprietà tassata.Solo i responsabili cittadini potevano distinguere quanto era dovutoda ciascuno nei diversi titoli dell’esazione fiscale, comprese le tertiaeestratte dall’imposta fondiaria, per poi prelevare le quote in tre rate,e rendicontare il tutto, versandolo in oro alle autorità provinciali ealla prefettura del pretorio. Non è chiaro se i Romani che avevanosubito esproprii di tertiae-terre pagassero anche le tertiae-tasse ofossero esenti. Le fonti sembrano mute in proposito, anche se unaripartizione del genere con relative esenzioni individuali era possi-bile a livello di singolo territorio cittadino. Ma sembra chiaro che letertiae erano imposte pagate dai Romani, esatte localmente in solidi,comprese all’origine in questo titulus, e calcolate a livello dellasingola ammnistrazione civica sull’imposta fondiaria dei contri-buenti romani. Per questo quando porzioni di proprietà agricoleromane diventavano sortes barbariche, come nell’assegnazione aTrento, il calcolo delle tertiae andava riformulato. Due postille. Ladisamina condotta sottolinea ancora una volta l’importanza di inse-rire l’assegnazione della sors entro i confini della singola ammini-strazione civica : variazioni fiscali come quelle effettuate a Trentosarebbero state molto più complicate se la sors di Butilan avessecompreso praedia sparsi in città diverse, ognuna singolarmenteresponsabile del suo circuito fiscale. L’assegnazione di Teoderico alpresbitero goto avvenne nel periodo 507-511, probabilmente alcunianni dopo l’insediamento della gran parte o della totalità del-l’esercito ostrogoto (ca. 493-500), ma le dinamiche legali, fiscali emateriali del processo restavano invariate. Senza entrare nel meritodi una questione molto ampia, la «Laus Liberii» evocava un prov-vedimento verosimilmente teodericiano, una lex et aequabilis disci-plina, che avrebbe legato Romani e Ostrogoti nelle assegnazionieffettuate dal prefetto Liberius. Sembra probabile che Cassiodoro

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49 L’insistenza sull’asimmetria fiscale a vantaggio della minoranza ostrogota,che sola compensa ampiamente le spese fiscali con la percezione dei donativa,caratterizza anche una lettera di Teoderico al saione Gesila (Var. IV, 14), scrittaquindici-venti anni prima dell’epistola di Atalarico.

alluda a un editto teodericiano, perduto, con cui si fissavano leregole degli insediamenti, e che verosimilmente era ancora in vigoreall’epoca dell’attribuzione della sors a Butilan.

La distinzione tra contribuenti romani tenuti al versamento del-le tertiae-tasse e Goti esenti è significativa. Il fatto che i Goti nonversino imposte nel capitolo fiscale a base fondiaria chiamato tertiae– un suspectum nomen – invita a ipotizzare, pur con cautela, che letertiae siano quella quota della fiscalità ordinaria destinata a costi-tuire i donativa per l’esercito ostrogoto. Appare infatti logico ecoerente che i militari barbari non paghino quella quota della fisca-lità fondiaria destinata a formare la loro principale remunerazionein oro. Naturalmente si tratta di un’ipotesi. E tuttavia, in coerenzacol quadro finora tratteggiato, essa potrebbe costituire un’impor-tante novità nel panorama della fiscalità tardoromana. La nuovadestinazione delle ‘terze parti’ del versamento fiscale fondiario del-l’anno al pagamento dell’esercito goto rendeva il capitolo suspectumai Romani, e ai barbari non compresi nell’esercito dei Goti, che solilo pagavano (Var. I, 14), ma spiega bene l’insistenza del re Atalariconella lettera ai Goti di Rieti e Norcia sul ruolo indispensabile deicontribuenti romani per il benessere dell’esercito ostrogoto(Var. VIII, 26). Il re sottolineava l’importanza dei versamenti fiscalidei Romani, che arricchivano i combattenti goti : le tasse versate daicittadini romani, lasciati liberi di gestire con profitto le loro attività(quieti), riempivano il fisco regale (aeraria nostra ditant), e concorre-vano così a costituire i donativi militari in oro per i guerrieri ostro-goti (vestra donativa), che costituivano una notevole fonte diarricchimento per loro (de munificentia principis ... munera nostradomino iuvante ditificent)49.

Le tertiae dovevano essere un capitolo fiscale consistente, se viconfluiva un terzo dell’imposta fondiaria annuale della diocesi.Quel capitolo era percepito in solidi dalla prefettura del pretorio,come indica l’inventario su papiro dell’officium ravennate. Ci siattenderebbe che i donativa per i guerrieri goti fossero pagati dallesacrae largitiones, ma la crescita della riscossione fiscale in oro acura della prefettura del pretorio dagli inizi del V secolo e ilprogressivo declino delle largitiones nella percezione dei tituli largi-tionales tra V e VI secolo potrebbe aver indotto i re ostrogoti a

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50 Sul declino delle sacrae largitiones in Occidente e in Oriente a partire dal Vsecolo cfr. Delmaire 1989a e 1989b, p. 708-714. Né la Formula praefecturae prae-torio (Var. VI, 3), né la Formula comitivae sacrarum largitionum (Var. VI, 7)contengono allusioni chiare alla corresponsione di donativa ai militari ostrogotida parte dei due funzionari. Anche l’uso del sostantivo aerarium / -a nelle Variaedi Cassiodoro (per esempio l’espressione aeraria nostra della lettera ai Goti diRieti e Norcia, Var. VIII, 26) appare generico e sembra potersi riferire alle diversecasse in cui confluiva il prodotto dell’esazione fiscale, dall’arca prefettizia, allelargitiones, ma anche alla res privata e al cubiculum del re. I millenarii ostrogoti sirecavano a Ravenna per ricevere direttamente dal re il loro donativo (Var. V, 26 e27), ma non ci sono riferimenti all’autorità civile che forniva i donativa prelevatidai soldati goti nella capitale (sulla corresponsione dei donativi cfr. anche Var.IV, 14; V, 36; VII, 42; VIII, 26). Il versamento degli emolumenta ai domestici deicomites goti era a cura del comes patrimonii (Var. IX, 13).

51 Cfr. Cassiod., Var. I, 10, 2, e V, 16, 4.

trasferire i donativa ai militari in servizio fra le competenze dellaprefettura. Era opportuno trarre il denaro per i donativa non daimagri titoli tradizionalmente appannaggio delle largitiones, ma dalben più corposo e costante titolo generale dell’imposta a basefondiaria, esatto nel territorio, come del resto i tituli largitionales,dai funzionari della prefettura del pretorio50. Del resto in due casinelle Variae il prefetto del pretorio appare come il responsabile delpagamento di donativa, non solo a Ravenna, erogati dai suoiarcarii51. In vista delle esigenze dei combattenti ostrogoti, ilvantaggio per l’amministrazione romana di destinare le ‘terze parti’dei versamenti dell’imposta terriera ai donativa per l’esercito ostro-goto – donativa che costituivano ormai la quasi totalità della pagadi questi guerrieri – consisteva probabilmente nel fatto che questasoluzione lasciava un certo margine di compensazione nel prelievodel prodotto in casi di congiunture sfavorevoli : una carestia o unaguerra di rado colpivano uniformemente tutte le province delladiocesi, e il prodotto fiscale, pur fluttuando, restava relativamenteal sicuro. Parimenti le tertiae costituivano una quota abbastanzastabile di un gettito, quello fondiario, che, dopo il riassetto conse-guente alla perdita della diocesi Africana, salvo catastrofi, era abba-stanza prevedibile, e meno soggetto all’arbitrio di congiunture dilunga durata, quelle congiunture che invece avevano condizionatoe continuavano a minacciare il reperimento di moneta in metallonobile e di oro attraverso altri canali. Ma soprattutto – ed è unpunto chiave – questa soluzione imponeva una sorta di «calmieresui donativa». Rispetto alle oscillazioni della spesa militare impostedalle crisi belliche del V secolo, da Alarico e Radagaiso a Odoacre,sembra ragionevole ipotizzare che questa nuova ripartizione del

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52 Cfr. Var. II, 16, 4 : Is igitur infatigabili cura, quod difficillimum virtutisgenus est, sub generalitatis gratia publica videtur procurasse compendia, censumnon addendo, sed conservando protendens, dum illa, quae consueverant maledispergi, bene industria providente collegit. Sensimus auctas illationes, vos additatributa nescitis. Ita utrumque sub ammiratione perfectum est, ut et fiscus cresceretet privata utilitas damna nulla perferret.

Ennod., Ep. IX, 23, 3-5 : Felicissime hominum, hoc totis hostilitas viriumsuarum laborat inpendiis, ut per totum orbem tu solus dissipata componas. Aesti-mationi remanet qualis sit ille cui militas, quando lapsa, exusta, perdita, cum teaspexerint, convalescunt. Vix pascebatur Italia publici sudore dispendii, quando tueam sine intervallo temporis, et ad spem reparationis, et ad praebitionem tributa-riam commutasti. Laeti coepimus te moderante inferre aerariis publicis quod cummaximo dolore solebamus accipere. Fuit semper ubertas nostra dispensatio tua.Iuverunt venerabile superna consilium. Nam vires vectigalium tu vel nutristi probono publico, vel dedisti. Culminibus omnibus sublimior, tu primus fecisti regalescopias sine malo privatae concussionis affluere. Tibi post Deum debetur, quod apudpotentissimum dominum et ubique victorem securi divitias confitemur : tuta enimest subiectorum opulentia, quando non indiget imperator.

gettito fiscale possa aver costituito un risparmio per i contribuentiitalici, almeno per quanto concerneva i donativa in oro, peresempio riducendo notevolmente le richieste fiscali dei tituli largi-tionales ed evitando che quote più ampie del prodotto fiscalefossero accaparrate dall’amministrazione di Ravenna per pagare iguerrieri goti, o che questi ultimi accampassero continuamentepretese in questa direzione. Una quota limite concordata e stabileper un elemento critico del bilancio di spesa annuale era pursempre una forma di protezione per i contribuenti. Probabilmentenon è un caso che la difesa dei contribuenti romani e la razionaliz-zazione e il mantenimento sotto controllo del peso fiscale sianoesaltati al primo posto, sorprendentemente prima della lode perl’assegnazione delle terre ai Goti, sia nella «Laus Liberii» letta insenato, sia nella lettera di Ennodio all’abile prefetto52. Nella sensibi-lità dei contemporanei il contenimento fiscale costituiva il successomaggiore del coraggioso funzionario.

Il denominatore comune dei due tipi di tertiae, significativa-mente omonime – le tertiae-terre e le tertiae-tasse – consistevanell’essere entrambe una ‘quota-calmiere’, rispettivamente a prote-zione della proprietà privata espropriabile ai Romani, e a limita-zione dei costi fiscali sostenuti dai contribuenti Romani, costi, comesembra probabile, per il pagamento in oro dell’esercito goto.

La caratteristica più rilevante dell’insediamento degli Ostrogotinella diocesi Italiciana a partire dal 493 è costituita dal controlloesercitato dalla prefettura del pretorio sia sugli esproprii e sulladistribuzione di proprietà terriere, sia sul circuito fiscale. Probabil-

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mente soltanto in questa diocesi dell’Occidente la prefettura delpretorio continuò a operare a pieno regime. Le istituzioni civilitardoromane costituirono in Italia uno strumento efficace e unmezzo di espressione della volontà politica della nobiltà e dei nota-bili romani. Nell’Italia dei re ostrogoti la classe dirigente romanacercò di pilotare e di irregimentare l’inevitabile insediamento deibarbari, affinché esso avvenisse con il minor danno possibile.

Pierfrancesco PORENA

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