Manfredini A., Fugazzola Delpino M.A., Sarti L., Silvestrini M., Martini F., Conati Barbaro C.,...

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Rivista di Scienze Preistoriche - LIX- 2009, 115-180 (1) Dipartimento di Scienze Storiche, Archeologiche, Università di Roma "La Sapienza"; e-mail: [email protected] (2) Soprintendenza al Museo Nazionale preistorico etnografico "Luigi Pigorini", Roma, e-mail: [email protected] (3) Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Università degli Studi di Siena; e-mail: [email protected] (4) Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, Via Birarelli 18, 60121, Ancona; e-mail: [email protected] (5) Dipartimento di Scienze dell'Antichità "G. Pasquali", Università degli Studi di Firenze; e-mail: fmartini@unifi.it (6) Dipartimento di Scienze Storiche, Archeologiche, Università di Roma "La Sapienza"; e-mail: [email protected] (7) Dipartimento di Scienze Storiche, Archeologiche, Università di Roma "La Sapienza"; e-mail: [email protected] (8) Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Università degli Studi di Siena; e-mail: [email protected] (9) Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Università degli Studi di Siena; e-mail: e-mail: [email protected] fasi iniziali della neolitizzazione fino alla piena Età del Rame. La quantità dei dati e l'importanza delle testi- monianze emerse nel corso degli anni erano tali da rendere indispensabile un intervento organico e coordinato che consentisse di valutare il feno- meno nella sua globalità con un'impostazione metodologica rigorosa, garantendo nel contempo la lettura più articolata e accurata delle singole testimonianze. Molte regioni dell'Italia centrale tirrenica e adriatica sono state negli ultimi anni intensamente indagate, rivelando l'esistenza di numerosi elementi di omogeneità culturale che superano il dato locale, fornendo informazioni interpretabili in un'ottica più ampia. L'affiancare alla più tradizionale prospettiva sincronica un'ottica diacronica avrebbe consenti- to di individuare i modi di occupazione del ter- ritorio e il loro modificarsi nel periodo preso in considerazione, che interessa circa tre millenni; la sostituzione di modelli più articolati alle tra- dizionali ipotesi diffusioniste avrebbe forse fatto emergere una diversa interpretazione, che evi- denziasse il probabile apporto del sostrato alla formazione delle nuove culture. Si era scelto di operare sulla base di vaste aree campione, omogenee dal punto di vista fi- ALESSANDRA MANFREDINI (1) - MARIA ANTONIETTA FUGAZZOLA DELPINO (2) - LUCIA SARTI (3) - MARA SILVESTRINI (4) - FABIO MARTINI (5) - CECILIA CONATI BARBARO (6) - ITALO M. MUNTONI (7) - GIOVANNA PIZZIOLO (8) - NICOLETTA VOLANTE (9) Adriatico e Tirreno a confronto: analisi dell'occupazione territoriale tra il Neolitico finale e l'età del Rame in alcune aree campione dell'Italia centrale 1. IL PROGETTO: OBIETTIVI, METODOLOGIA E STRUMENTI DI INDAGINE Il progetto originale Nella sua formulazione originaria il progetto presentato era molto complesso e articolato, na- scendo dall'esigenza di leggere, in una prospetti- va di più ampio respiro, una serie di testimonian- ze, ormai quantitativamente significative, relative al popolamento dell'Italia centrale a partire dalle SUMMARY - COMPARING ADRIATIC AND THYRRENIAN REGIONS: ANALYSIS OF SETTLEMENT STRATEGIES FROM FINAL NEOLITHIC TO COPPER AGE IN SOME SAMPLE AREAS OF CENTRAL ITALY - This paper reports the results of a one-year IIPP project "Adriatico e Tirreno a confronto". The project aimed to compare the settlement strategies during Final Neolithic and Copper Age in four sample areas of Toscana, Latium and Marche. Sites known in literature were systematically filed on database and positioned on maps. The acquired data (topography, geology, archaeology, radiocarbon dates) were collected and organized in a dedicated GIS. Parole chiave: Adriatico-Tirreno, Neo-eneolitico, popolamento. Key words: Adriatic-Thyrrenian regions, Neolithic-Copper Age, peopling.

Transcript of Manfredini A., Fugazzola Delpino M.A., Sarti L., Silvestrini M., Martini F., Conati Barbaro C.,...

Rivista di Scienze Preistoriche - LIX- 2009, 115-180

(1) Dipartimento di Scienze Storiche, Archeologiche, Università di Roma "La Sapienza"; e-mail: [email protected](2) Soprintendenza al Museo Nazionale preistorico etnografico "Luigi Pigorini", Roma, e-mail: [email protected](3) Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Università degli Studi di Siena; e-mail: [email protected](4) Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, Via Birarelli 18, 60121, Ancona; e-mail: [email protected](5) Dipartimento di Scienze dell'Antichità "G. Pasquali", Università degli Studi di Firenze; e-mail: [email protected](6) Dipartimento di Scienze Storiche, Archeologiche, Università di Roma "La Sapienza"; e-mail: [email protected](7) Dipartimento di Scienze Storiche, Archeologiche, Università di Roma "La Sapienza"; e-mail: [email protected](8) Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Università degli Studi di Siena; e-mail: [email protected](9) Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Università degli Studi di Siena; e-mail: e-mail: [email protected]

fasi iniziali della neolitizzazione fino alla piena Età del Rame.

La quantità dei dati e l'importanza delle testi-monianze emerse nel corso degli anni erano tali da rendere indispensabile un intervento organico e coordinato che consentisse di valutare il feno-meno nella sua globalità con un'impostazione metodologica rigorosa, garantendo nel contempo la lettura più articolata e accurata delle singole testimonianze. Molte regioni dell'Italia centrale tirrenica e adriatica sono state negli ultimi anni intensamente indagate, rivelando l'esistenza di numerosi elementi di omogeneità culturale che superano il dato locale, fornendo informazioni interpretabili in un'ottica più ampia.

L'affiancare alla più tradizionale prospettiva sincronica un'ottica diacronica avrebbe consenti-to di individuare i modi di occupazione del ter-ritorio e il loro modificarsi nel periodo preso in considerazione, che interessa circa tre millenni; la sostituzione di modelli più articolati alle tra-dizionali ipotesi diffusioniste avrebbe forse fatto emergere una diversa interpretazione, che evi-denziasse il probabile apporto del sostrato alla formazione delle nuove culture.

Si era scelto di operare sulla base di vaste aree campione, omogenee dal punto di vista fi-

AlessAndrA MAnfredini (1) - MAriA AntoniettA fugAzzolA delpino (2) -luciA sArti (3) - MArA silvestrini (4) - fAbio MArtini (5) - ceciliA conAti bArbAro (6) -

itAlo M. Muntoni (7) - giovAnnA pizziolo (8) - nicolettA volAnte (9)

Adriatico e Tirreno a confronto: analisidell'occupazione territoriale tra il Neolitico finale e l'età

del Rame in alcune aree campione dell'Italia centrale

1. il progetto: obiettivi, MetodologiA e struMenti di indAgine

Il progetto originaleNella sua formulazione originaria il progetto

presentato era molto complesso e articolato, na-scendo dall'esigenza di leggere, in una prospetti-va di più ampio respiro, una serie di testimonian-ze, ormai quantitativamente significative, relative al popolamento dell'Italia centrale a partire dalle

SUMMARy - coMpAring AdriAtic And thyrreniAn regions: AnAlysis of settleMent strAtegies froM finAl neolithic to copper Age in soMe sAMple AreAs of centrAl itAly - This paper reports the results of a one-year IIPP project "Adriatico e Tirreno a confronto". The project aimed to compare the settlement strategies during Final Neolithic and Copper Age in four sample areas of Toscana, Latium and Marche. Sites known in literature were systematically filed on database and positioned on maps. The acquired data (topography, geology, archaeology, radiocarbon dates) were collected and organized in a dedicated GIS.

Parole chiave: Adriatico-Tirreno, Neo-eneolitico, popolamento.Key words: Adriatic-Thyrrenian regions, Neolithic-Copper Age, peopling.

116 A. MANFREDINI ET AL.

sio-geografico, poiché si riteneva che fenomeni ed eventi individuabili in aree limitate avrebbero potuto concorrere all'elaborazione di più puntua-li modelli interpretativi.

Nelle intenzioni originarie, la ricerca era vol-ta alla ricostruzione delle modalità del popola-mento in Italia centrale, dal Tirreno all'Adriatico, a partire dalle prime fasi del Neolitico fino alla piena età del Rame. Questo arco cronologico di circa tre millenni ha visto una serie di modifica-zioni importanti dal punto di vista culturale nei gruppi che hanno abitato queste regioni: si tratta di zone nelle quali esigenze ed interessi diversifi-cati possono aver influito sulle strategie di popo-lamento e di sfruttamento del territorio.

Si intendeva in sintesi:- riprendere in esame il materiale edito, con

la revisione e l'archiviazione informatizzata dei dati provenienti dai vecchi scavi;

- rendere omogenee nell'impostazione e nello svolgimento le ricerche in corso nelle aree prescelte in modo da poter confrontare i risultati secondo linee di indagine comuni, preventiva-mente concordate;

- pianificare nuove indagini di superficie e scavi in estensione, eventualmente riprendendo vecchi scavi in siti-chiave, a suo tempo inda-gati solo parzialmente (ad esempio Attiggio di Fabriano, Maddalena di Muccia, Ripabianca di Monterado, Tufarelle, Palidoro, Valle Ottara) o siti individuati attraverso indagini di superficie (Torre Crognola, Monte Rozzi, ecc.). Il metodo di scavo in estensione avrebbe permesso una inter-pretazione antropologica di situazioni sincroni-che permettendo di mettere in relazione tra loro non solo strutture di abitazione, ma anche strut-ture di servizio (siloi, pozzetti, forni, aree di atti-vità specializzate) per una comprensione sempre più ampia del "funzionamento" di una cultura in un determinato momento. Questo punto avrebbe costituito la fase di massima operatività del pro-getto, parallela allo sviluppo e al completamento degli altri interventi, venendo a rappresentare il momento privilegiato dell'indagine; ricerche di superficie e scavi prescelti, condotti con rigorosi metodi scientifici, avrebbero fornito infatti una serie di informazioni, non solo archeologiche, rappresentando un indispensabile riferimento anche per il recupero ottimale dei vecchi dati e una guida per la pianificazione di ulteriori inda-gini;

- procedere alla ricostruzione del paleoam-biente, con il contributo di specialisti quali il geo-logo, il geomorfologo e il pedologo, allo scopo di individuare i terrazzi fluviali e i paleoalvei, i fe-nomeni di erosione o di colluvio, le antiche linee di riva. Queste osservazioni avrebbero costituito

la base per l'elaborazione di carte di visibilità dei complessi archeologici, indispensabili strumen-ti per programmare una sistematica ricerca sul campo.

- coinvolgere archeozoologi, paleobotanici e antropologi che avrebbero condotto le indagini, oltre che sui dati provenienti da scavi in corso, anche su reperti delle vecchie collezioni, in modo da integrare e attualizzare dati altrimenti inser-vibili.

- procedere all'analisi sistematica dei ma-nufatti, che avrebbe comportato lo studio delle diverse classi di materiali rinvenute nel corso delle ricerche sul campo (ceramica, industria li-tica, industria in materia dura animale, metallo), utilizzando, ove possibile, analisi archeometriche e traceologiche.

Il nuovo progettoIl progetto è stato approvato dall'I.I.P.P. in

data 15/07/2004 e ha ottenuto un finanziamento relativo ad un solo anno, rispetto ai tre anni ri-chiesti, per una cifra totale di 30.000 euro.

Il progetto ha previsto un coordinatore (Ales-sandra Manfredini) e tre Unità operative: Unità operativa per il Lazio (responsabile Maria Anto-nietta Fugazzola); Unità operativa per la Toscana (responsabile Lucia Sarti); Unità operativa per le Marche (responsabile Mara Silvestrini).

Al progetto partecipano i seguenti Enti, coin-volti a vari livelli di partecipazione:- Soprintendenza al Museo Nazionale preistorico etnografico "Luigi Pigorini", Roma;- Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana;- Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche;- Soprintendenza per i Beni Archeologici del-l'Umbria- Soprintendenza per i Beni Archeologici del-l'Etruria meridionale;- Sapienza Università di Roma; - Università degli Studi di Firenze;- Università degli Studi di Siena;- Università degli Studi di Pisa.La drastica riduzione del finanziamento, che ha previsto un solo anno di attività, rispetto ad un progetto molto più ampio e strutturato, che si sarebbe svolto in un triennio, ha necessariamen-te determinato una riduzione degli obiettivi da raggiungere, pur salvaguardando, ove possibile, i principi guida del progetto.

È risultata naturalmente alterata, in gran parte, la complessa articolazione iniziale che si era voluta dare alla ricerca:

- si è forzatamente ridotta l'estensione cro-

117ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

nologica, con la scelta di prendere in esame so-lamente le fasi finali del Neolitico fino al pieno Eneolitico;

- si sono ridotte in estensione le aree cam-pione prese in esame, che alla fine risultano es-sere (fig. 1):

1) due valli toscane, la Valle dell'Arno e la Valdichiana;

2) la bassa valle del Tevere (compresa la sua foce), che a Sud raggiunge il complesso dei Col-li Albani, a Nord comprende la fascia costiera e breve tratto dell'entroterra, tra la foce del Tevere e il Fiora; questa scelta ha lo scopo di evidenziare particolari preferenze insediamentali, legate in particolare a situazioni di costa.

3) sul versante Adriatico, l'area costiera e in-terna delle valli comprese tra il Chienti a Sud e il Nevola-Misa a Nord.

Si tratta di zone riconducibili a due princi-pali tipologie ambientali: nei primi due casi ven-gono prese in considerazione le valli di grandi fiumi nel loro complessivo bacino idrografico (Arno, Valdichiana, bassa valle del Tevere) e le si-tuazioni costiere laziali, nell'altro l'area analizza-ta è quella adriatica, all'interno della quale sono rappresentate unità geomorfologiche variamente distribuite (costa, entroterra collinare e vallivo, strette pianure alluvionali, zone montuose).

SchedaturaNon è stato possibile programmare nuove

indagini di superficie e scavi in estensione, come era nel programma originario, e la ricerca si è concentrata soprattutto nella schedatura infor-matizzata del materiale edito. Per ogni situazione (sito, rinvenimento di superficie, grotta, evidenze funerarie) è stato quindi valutato lo stato dell'arte della documentazione esistente. Questa fase si è presentata particolarmente delicata, soprattutto per tutti quei complessi di primaria importanza, ma esplorati nel passato con metodologie non sempre adeguate: ove possibile, sono stati inoltre inseriti tutti i dati relativi alle evidenze di caratte-re bioarcheologico per una adeguata ricostruzio-ne dell'aspetto economico.

Una parte consistente della ricerca è quin-di consistita in una catalogazione informatiz-zata dei dati, adeguata ai criteri utilizzati per precedenti progetti portati avanti nell'ambito dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria (Progetto Neolitico), per ottenere una banca dati ampia e coerente, utilizzabile da una vasta uten-za; è stato così possibile ottimizzare le risorse già esistenti, evitando al contempo la prolifera-zione di diversi criteri di schedatura tra loro non confrontabili.

La schedatura, articolata su due livelli a se-conda del tipo di documentazione esistente, è stata effettuata da giovani laureati, specializzan-di e dottorandi secondo una consolidata prassi di formazione di giovani ricercatori già attuata nei precedenti progetti. Si è proceduto ad omo-geneizzare, per quanto possibile, l'inevitabile dif-formità di elaborazione della scheda: in questo caso, il numero ridotto di schedatori ha permesso risultati di buona confrontabilità.

Analisi spaziale e GISSulla base della catalogazione dei siti si è

svolta, organizzata per regioni, un'analisi spa-ziale, che ha visto sia l'esame degli insediamen-ti in relazione con l'ambiente circostante, sia lo studio dei rapporti reciproci tra gli insediamenti stessi. Attraverso l'utilizzo di modelli mutuati dal campo della geografia umana e locazionale, secondo una metodologia ormai ben consolidata in archeologia, si è tentato di far emergere una distribuzione territoriale legata all'esistenza di ricorrenti caratteristiche geomorfologiche, indice di specifiche esigenze locazionali o, forse, da por-re in relazione con diversità funzionali o cronolo-giche tra gli insediamenti.

Tutte le schede così elaborate sono state or-ganizzate in un sistema GIS per ottenere una archiviazione consultabile dei dati spaziali e per costruire modelli predittivi di organizzazione del territorio. L'elaborazione del GIS ha visto la par-tecipazione di specialisti informatici che hanno affiancato gli archeologi; sulla base di precedenti esperienze, questi ultimi hanno fornito l'imposta-zione metodologica per creare categorie e para-metri significativi.

Datazioni radiometricheLa necessità di fornire una adeguata cornice

cronologica alle testimonianze prese in esame ha imposto la programmazione di una serie di da-tazioni radiometriche, per dare una collocazione temporale anche a importanti contesti indagati nel passato.

Una parte del finanziamento è stato quindi utilizzato per realizzare datazioni C14 AMS, in regime di convenzione con il Centro di Datazio-ne e Diagnostica (CEDAD) dell'Università del Salento - Lecce; preventivamente all'invio è sta-ta effettuata la determinazione specifica di tutti i campioni archeozoologici e archeobotanici. Le numerose datazioni effettuate hanno costituito una componente significativa del progetto, pro-ducendo risultati che hanno in alcuni casi inte-grato, in altri colmato alcune più evidenti lacu-

118 A. MANFREDINI ET AL.

Fig. 1 - Le aree campione prese in esame dal progetto. The sample areas considered in the project.

119ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

ne nella griglia cronologica del Neolitico finale-Eneolitico dell'Italia centrale.

Risultati finaliIl progetto ha quindi affrontato due fonda-

mentali tematiche: - il fenomeno della fine del Neolitico e il

passaggio all'Eneolitico, visto nei suoi molteplici aspetti che investono la sfera sociale, economica, tecnologica, ideologica;

- il periodo della piena Età del Rame; in questo caso, la documentazione di maggiore consistenza e ben caratterizzata permette un in-quadramento più puntuale dell'organizzazione territoriale e sociale dei gruppi, giustificando la formulazione di ipotesi su scelte abitative, con-tatti tra comunità e relativi percorsi.

I risultati del progetto possono essere rias-sunti nei punti di seguito elencati:

- trattamento dei dati con tecnologie avanza-te e loro archiviazione informatizzata;

- utilizzazione dei sistemi multimediali in ambiente off-line (CDR, DVD) che hanno come ri-sultato la fruizione della documentazione scienti-fica e la consultazione del sistema GIS

- ampliamento delle conoscenze relative a tematiche particolarmente significative nel cam-po della preistoria e conseguente incentivo per lo sviluppo di analoghi programmi di ricerca in altre aree campione nell'ambito del territorio na-zionale;

- formazione di giovani ricercatori nel cam-po di discipline specialistiche;

- arricchimento della griglia cronologica nel-la quale inserire le diverse facies culturali, age-volandone la lettura e la comprensione e sottoli-neando contemporaneità tra siti prima ipotizza-bili solo su confronti formali;

- incremento delle relazioni tra Enti di ricer-ca e di tutela ai fini di un capillare intervento di salvaguardia, tutela e valorizzazione del patri-monio culturale italiano.

A.M.

2. criteri di schedAturA

La catalogazione informatizzata dei siti è sta-ta effettuata con il database relazionale "Tabula-rium© Sito" (Tiné 2004) creato dalla Società ECS di Roma nell'ambito del progetto "Il Neolitico in Italia" promosso nel 2001 dall'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria e dalla Soprintendenza Speciale al Museo Nazionale Preistorico Etno-grafico "Luigi Pigorini". La scelta di utilizzare un software già messo a punto in un precedente progetto condotto nell'ambito dell'Istituto è stata

motivata dall'obiettivo di organizzare i dati in un unico formato, rendendo possibile una loro futu-ra integrazione in una banca dati coerente e più ampia, utilizzabile anche da una vasta utenza, evitando al contempo il proliferare di più softwa-re di catalogazione tra loro o del tutto incompati-bili o di complessa integrazione.

Contestualmente sono state operate una se-rie di modifiche al software conseguenti sia alla specificità del progetto ed ai suoi obiettivi, sia alla esperienza di sua utilizzazione durante le varie fasi di immissione ed elaborazione dei dati condotte nel progetto sul Neolitico.

Dei tre sottosistemi (Archivi, Bibliografia e Siti) che costituivano il database è stato disatti-vato quello relativo agli Archivi, non essendo stato possibile condurre in questo progetto una ricognizione archivistica analoga a quella con-dotta nel corso della fase iniziale del progetto sul Neolitico.

La schedatura dei 149 siti è stata condotta, sotto la diretta supervisione del coordinatore e/o dei responsabili delle varie unità operative, da giovani collaboratori archeologi (Neva Chiarenza e Martina Rosini per la Toscana, Gaia Pignocchi per le Marche e Nadia Marconi per il Lazio), se-condo la consolidata prassi di formazione di gio-vani ricercatori già attuata nei precedenti proget-ti dell'Istituto. Sono stati analogamente distinti, a seconda del tipo di documentazione esistente, i cd. ‘siti di I e II livello', ovvero ‘segnalazioni-recuperi' e ‘ricognizioni-sondaggi', e i cd. ‘siti di III livello', ovvero i siti più importanti oggetto di scavi sistematici. I dati provenienti da ciascun collaboratore, dopo una successiva verifica da parte del coordinatore e/o dei responsabili del-le varie unità operative, sono stati unificati in un database unitario.

La schedatura di complessi eneolitici ha ov-viamente richiesto, preliminarmente all'avvio della fase di schedatura, un necessario aggiorna-mento dei vocabolari di campo, con particolare riferimento a quelli relativi ai campi ‘Ricerche Cronologia\Cronologia e Cultura\Cronologia\Fase cronologica relativa' e ‘Frazione cronologi-ca assoluta BP' (tab. I), e una loro sostituzione complessiva in riferimento al campo ‘Ricerche Cronologia\Cronologia e Cultura\Ambito cul-turale\Denominazione' e al campo ‘Dati analiti-ci\Materiali Presenti\Stile, Facies, Gruppo' (tab. II). Minori integrazioni si sono rese necessarie (tab. III) per i campi Dati analitici\Materiali Pre-senti\Materia, Tecnica, Materie Prime e Elementi Particolari.

Significativamente modificato è stato anche il paragrafo relativo alla ‘Georeferenziazione' che già nella precedente configurazione del software

120 A. MANFREDINI ET AL.

costituiva di fatto una semplificazione dell'omo-logo ‘Georeferenziazione tramite punto' dell'IC-CD. Per evitare equivoci e per rendere esplicita tale corrispondenza, è stata modificata la deno-minazione del paragrafo in ‘Georeferenziazione tramite punto'. Anche se il progetto non prevede-va un controllo sul territorio dei siti schedati, di ogni sito è stata effettuata la georeferenziazione su base cartografica IGMI in scala 1:25.000, per rendere possibile l'analisi spaziale tramite GIS finalizzata all'esame della distribuzione territo-riale dei siti. Sono stati pertanto ampliati (tab. IV) i vocabolari relativi ai campi ‘Tipo', ‘Metodo', ‘Tecnica' e ‘Sistema di riferimento', eliminando il sistema chiuso obbligatorio, previsto nel pro-getto sul Neolitico, di georeferenziazione tramite punto approssimato. È stata pertanto utilizzata la finestra (campo Carta), precedentemente solo predisposta, inserendo una scansione della base cartografica in scala 1:25.000 contenente la loca-lizzazione tramite punto di ogni sito. La localiz-zazione del sito, effettuata da ciascun collabora-tore, è stata poi verificata e, se necessario meglio puntualizzata, in fase di analisi spaziale tramite GIS. Tutte le coordinate sono state espresse con il sistema di riferimento UTM fusi 32 e 33.

Coerentemente all'aggiornamento dei cam-pi del sottosistema Siti, si è anche intervenuto nel sottosistema Bibliografia. Nella schermata ‘Fonti e documenti' è stato migliorato in primo luogo il collegamento tra la Scheda Sito e il data-base della Bibliografia. Accanto al collegamento diretto (attraverso il bottone Apri file), che con-sentiva l'apertura dell'intero database bibliogra-fico, è stato aggiunto un secondo collegamento (attraverso il bottone Schede citate) che consente l'apertura delle sole schede bibliografiche citate nella Scheda Sito. Accanto ad ogni scheda citata, infine, è stato inserito un pulsante che consente la visualizzazione di quella sola scheda bibliogra-fica. Una analoga predisposizione è stata messa a punto per i collegamenti al database Archivi: anche se quest'ultimo database, come già pre-cedentemente motivato, è stato disattivato, tale miglioria potrà essere sfruttata in fase di auspi-cata fusione dei contenuti informatizzati dei due progetti.

Per quanto attiene più specificatamente il sot-tosistema Bibliografia, è stato integrato il Thesau-rus, già elaborato dallo scrivente per il progetto sul Neolitico (Lattanzi 2004), intervenendo (tab. V) in due (Periodo e Ambito tematico) delle tre categorie semantiche principali e integrando sia i Descrittori Principali (D/P) che quelli Secondari (D/S). Nella classe relativa alla scansione in facies archeologiche sono stati inseriti quattro nuovi D/P (‘Eneolitico', ‘Eneolitico iniziale', ‘Eneolitico

pieno' ed ‘Eneolitico tardo') e numerosi D/S ana-loghi ai nuovi vocabolari, precedentemente cita-ti, del campo ‘Ricerche Cronologia\Cronologia e Cultura\Ambito culturale\Denominazione' e del campo ‘Dati analitici\Materiali Presenti\Sti-le, Facies, Gruppo'. Nella classe relativa a specifi-ci contenuti tematici, oltre a limitate integrazioni ai D/S già esistenti, è stato aggiunto il solo D/P ‘Metallo', con i relativi D/S del tutto analoghi a quelli esistenti per i D/P ‘Industria litica' e ‘Ce-ramica'. L'inserimento delle 386 schede biblio-grafiche e la relativa indicizzazione sono stati effettuati dai singoli schedatori contestualmente alla compilazione della Scheda Sito e ne è stata verificata la coerenza in fase di accorpamento nel database unitario.

Per rendere disponibile il database in for-mato elettronico, d'intesa con la Società ECS di Roma, è stata predisposta una versione stand-alo-ne del software "Tabularium© Sito" con la scheda-tura informatizzata, contenuta nel CD allegato al presente numero della Rivista. In considerazione della maggiore diffusione che il software avreb-be avuto, è stata migliorata anche la funzione di stampa delle schede, attraverso la messa a punto di un formato di stampa unico in cui è stato ri-servato un adeguato spazio di stampa per tutti i campi contenuti nel database.

Tab. I - Scheda SI, Tracciato IIPP: aggiunte ai vocabolari di campo esistenti.

Ricerche Cronologia\Cronologia e Cultura\Cronolo-gia\Fase cronologica relativaEneoliticoEneolitico inizialeEneolitico pienoEneolitico tardo

Ricerche Cronologia\Cronologia e Cultura\Cronolo-gia\Frazione cronologica assoluta BPIV - III millennio BPIII millennio BP

Tab. II - Scheda SI, Tracciato IIPP: nuovi vocabolari di campo.

Ricerche Cronologia\Cronologia e Cultura\Ambito culturale\DenominazioneDati analitici\Materiali Presenti\Stile, Facies, Gruppo

Chassey-LagozzaLagozzaChasseyBrenoVBQ (stile ad impressioni e incisioni)White wareCeramica a decoro metopaleCeramica a fori non passantiCeramica a fori passanti

121ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

Ceramica a cordoni plasticiRemedelloSpilambertoCivateCeramica a striature (Besenstrich)Ceramica a scanalatureCampaniformeCampaniforme anticoCampaniforme evolutoVecchianoNeto - Via Verga, liv. 5Volpaia, str. 5Sesto - Via Leopardi, liv. sup.Gruppo seneseGruppo grossetanoGruppo delle tombe a fossaSassi NeriAttiggio, str. 4ConelleCeramica a squameRinaldoneRipoli evolutoLe CosteOrtucchioGaudoTaurasiDianaMacchia a Mare - zinzulusa - SpatarellaLaterzaCellino San MarcoPiano ContePiano QuartaraSan Cono - Piano Notaro - Grotta zubbiaConzoConca d'OroSerraferlicchioMalpasso - ChiusazzaSant'IppolitoSub-OzieriAbealzuFiligosaMonte Claro

Tab. III - Scheda SI, Tracciato IIPP: aggiunte ai vocabolari di campo esistenti.

Dati analitici\Materiali Presenti\MateriaCorno

Dati analitici\Materiali Presenti\Tecnicaa squamea spazzolaa pettinea stralucidomartellaturafusione

Dati analitici\Materiali Presenti\Materie primeRameSteatiteArgentoDiaspro

Dati analitici\Materiali Presenti\Elementi particolariCiottoliStatue-stele

Tab. IV - Scheda SI, Tracciato IIPP: nuovi vocabolari di campo.

Anagrafica\Georeferenziazione tramite punto\TipoCentroide area archeologicaArea posta alla quota più elevataLocalizzazione toponimoLocalizzazione comunale

Anagrafica\Georeferenziazione tramite punto\Meto-doPunto approssimatoPunto esatto

Anagrafica\Georeferenziazione tramite punto\Tecni-caRilievo da cartografia con sopralluogoRilievo tramite GPS

Anagrafica\Georeferenziazione tramite punto\Siste-ma di riferimentoUTM 32UTM 33GB1GB2WGS84

122 A. MANFREDINI ET AL.

Tab. V - Il nuovo Thesaurus bibliografico.

D/P AREA D/S REGIONE

ItaliaValle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Sardegna, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia

Italia settentrionale Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia

Italia centrale Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, SardegnaItalia meridionale Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia

D/P PERIODO D/S CULTURANeolitico Tutte le facies

Neolitico antico

Impresse, Impresse arcaiche meridionali, Impresse evolute meridionali, Impresse pre-stentinelliane, Impresse adriatiche, Impresse tirreniche, Impresse liguri, Graffite, Graffite liguri, Graffite murgiane, Masseria La Quercia, Lagnano da Piede, Marmotta, Fagnigola-Sammardenchia, Vasi a coppa, Fiorano, Vhò, Gaban, Isolino, Kronio

Neolitico medioStentinello, Lineari tosco-laziali, VBQ, VBQ (geometrico-lineare), VBQ (meandro-spiralico), Monte Venere, Bande rosse, Passo di Corvo, Catignano, Tricromiche, Bonu Ighinu, Serra d'Alto, Ripoli, Ripoli antico

Neolitico recente-finale Ripoli evoluto, Chassey, Lagozza, Chassey-Lagozza, VBQ (ad impressioni e incisioni), Breno, Serra d'Alto-Diana, Diana, San Ciriaco, Ozieri

Neolitico-Eneolitico Indeterminabile

Eneolitico Tutte le facies

Eneolitico iniziale

Ceramica con cordoni plastici, Ceramica a fori passanti, Ceramica a fori non passanti, White Ware, Ceramica a striature, Attiggio str. 4, Macchia a Mare - zinzulusa - Spatarella, San Cono-Piano Notaro-Grotta zubbia, Conzo, Sub-Ozieri, Filigosa, Abealzu

Eneolitico pieno

Ceramica a decoro metopale, Ceramica a scanalature, Remedello, Spilamberto, Civate, Vecchiano, Neto-Via Verga str. 5, Volpaia str. 5, Sesto-Via Leopardi liv. sup., Gruppo senese, Gruppo grossetano, Gruppo delle tombe a fossa, Sassi Neri, Rinaldone, Conelle, Le Coste, Ceramica a squame, Gaudo, Taurasi, Laterza, Piano Conte, Serraferlicchio, Conca d'Oro, Monte Claro

Eneolitico tardo Ortucchio, Cellino San Marco, Piano Quartara, Malpasso-Chiusazza, Sant'Ippolito, Campaniforme, Campaniforme antico, Campaniforme evoluto

D/P AMBITO TEMATICO D/S TEMATutti i temiStudi generali Epistemologia, Storia delle ricerche, MetodologieAmbiente Geologia, Climatologia, Pedologia, Sedimentologia, Geomorfologia

Territorio Prospezioni geofisiche, Fotografia aerea, Ricognizione di superficie, Telerilevamento, GIS

Economia Domesticazione, Agricoltura, Allevamento, Dieta, Scambi, Navigazione, Caccia, Pesca, Altre attività economiche

Società Organizzazione, Culti, Riti funerariInsediamenti Abitati all'aperto, Abitati perilacustri, Grotte/Ripari

Strutture Strutture abitative, Muri, Fossati, Palizzate, Palafitta, Forni, Focolari, Altre strutture di abitato

123ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

Sepolture Necropoli, Tombe isolate, Deposizioni non strutturate, Tumulo, Cista, Pozzetto/Fossa, Grotticella, Ipogeo, Dolmen, Incinerazione

Siti specializzati Cave/Miniere, Aree con strutture megalitiche

Materie prime Selce, Ossidiana, Pietre verdi, Steatite, Diaspro, Altre rocce, Argille, Coloranti, Rame, Argento

Ceramica Ceramica-Tipologia, Ceramica-Tecnologia, Ceramica-Analisi funzionale, Ceramica-Sperimentazione, Ceramica-Provenienza

Industria litica Litica-Tipologia, Litica-Tecnologia, Litica-Analisi funzionale, Litica-Sperimentazione, Litica-Provenienza

Metallo Metallo-Tipologia, Metallo-Tecnologia, Metallo-Sperimentazione, Metallo-Provenienza

Industria su osso e corno

Manifestazioni artistiche Pitture rupestri, Incisioni rupestri, Statue-stele, Statuette, Ciottoli, Pintaderas, Ornamenti, Altri oggetti d'arte

Fauna Tafonomia, Osteometria, Malacofaune, Ittiofaune, AvifauneFlora Antracologia, Carpologia, Palinologia, Micologia, XilologiaAltri materiali organici Legno, Tessuti, IntrecciResti ossei umani Paleobiologia dello scheletro, Genetica

CronologiaCronologia relativa, Cronologia assoluta, Radiocarbonio, Racemizzazione aminoacidi, Dendrocronologia, Archeomagnetismo, Termoluminescenza, Tracce di fissione

Archeometria Analisi chimica, Diffrazione di raggi X, Analisi termica, Petrografia, Altre metodiche chimico-fisiche, Micropaleontologia, Stereoscopia

Altre analisi Metodi statistici e informatici, Conservazione e restauro

I.M.M.

3. il sisteMA inforMAtivo geogrAfico dei contesti neolitici ed eneolitici dell'itAliA centrAle

IntroduzioneDate le premesse metodologiche già espres-

se nel paragrafo 2 e in base alle finalità messe in luce durante la progettazione del lavoro la possi-bilità di consultare e visualizzare le informazioni immesse nel database "Tabularium" su una base geografica si delinea come un passaggio fonda-mentale per lo sviluppo della ricerca. Dal punto di vista informatico la scelta che meglio risponde a queste esigenze risulta l'adozione di un Sistema Informativo Geografico (GIS) che, come è noto, rende possibile analizzare e visualizzare dati che hanno una distribuzione spaziale. La creazione di un GIS consente infatti di visualizzare infor-mazioni, contenute all'interno di un database, in uno spazio geografico georeferenziato, in cui è possibile sovrapporre e confrontare i dati con

rappresentazioni territoriali presenti sulla carto-grafia di base e tematica.

Nel nostro caso la creazione del GIS ha come scopo la visualizzazione, all'interno di un uni-ca cornice territoriale, della distribuzione delle evidenze neolitiche ed eneolitiche e la loro con-testualizzazione su un adeguato substrato in-formativo. In questo modo si può soddisfare la necessità di avere una visione d'insieme che sia la base per una lettura sia sintetica che analitica -propria delle rappresentazioni cartografiche - del popolamento del Neolitico Finale ed Eneolitico della fascia centrale della penisola.

Dopo aver verificato la coerenza topografica dei dati il primo obiettivo del lavoro si articola nella realizzazione di carte tematiche che illustri-no la distribuzione dei siti in relazione ad alcune delle loro caratteristiche (ad esempio la tipologia di sito). Tali rappresentazioni costituiscono la base per sviluppare le analisi distributive e dei modelli di insediamento che si presentano qui suddivise per ambiti regionali.

124 A. MANFREDINI ET AL.

3.1. Dal database al GIS: creazione di un sistema di vi-sualizzazione e analisi dei dati in ambito territoriale

Come abbiamo accennato quindi la creazio-ne del GIS è funzionale alla realizzazione di carte tematiche che rendono leggibili ed apprezzabili, ad un tempo, la localizzazione e le caratteristi-che dei contesti insediativi e funerari mettendo eventualmente in luce le relazioni spaziali fra i dati archeologici e la loro contestualizzazione ambientale.

Come è stato già messo in evidenza, l'im-postazione di "Tabularium" ha previsto nella sua struttura le indicazioni relative al posizio-namento e localizzazione dei siti. I dati riportati nella scheda anagrafica risultanto pertanto fon-damentali per trasferire le informazioni presenti in "Tabularium" all'interno del GIS attraverso la creazione di elementi vettoriali ai quali collegare le schede del database. Coppia di coordinate rife-rite ai siti schedati sono state quindi trasformate in punti, distribuiti nello spazio georeferenziato del GIS, ai quali è stato associato un database che contiene una selezione delle informazioni pre-senti in "Tabularium".

A questo scopo quindi una prima analisi del-la struttura del Database ha condotto alla scelta dei campi da importare all'interno del sistema per permettere una corretta georeferenziazione delle evidenze archeologiche. Dalla tabella "ana-grafica" si sono selezionate tutte le informazioni concernenti la localizzazione del sito ed in parti-colare i campi: tipo di piazzamento, metodo di piaz-zamento, tecnica, sistema di riferimento, fuso di rife-rimento, base di riferimento, coordinata X, coordinata Y, quota slm.

Come è stato accennato la localizzazione del sito è restituita in forma di punto ed il suo posi-zionamento - indicato da una coppia di coordi-nate - viene effettuato a scala territoriale ed è ge-neralmente svolto utilizzando basi cartografiche a scala 1:25000.

È opportuno precisare che la localizzazione dei contesti - a prescindere dalla loro estensione - è stata effettuata individuando il punto che meglio rappresenta il centro dell'evidenza archeologica. Per le finalità di questo studio infatti si intende censire i siti e visualizzare il loro posizionamento a livello regionale o interregionale attraverso la realizzazione di carte tematiche. Data la scala di indagine e considerato che si utilizzano spesso fonti che non offrono indicazioni di dettaglio né riportano rilievi topografici, la scelta di registrare il posizionamento dei siti in forma di punto risul-ta dunque essere quella più opportuna.

Al fine di attuare controlli di coerenza topo-grafica si sono riportate all'interno del GIS anche

le informazioni presenti nella scheda anagrafica relative a regione, provincia, comune, località. Parti-colare attenzione è stata rivolta al sistema di indi-cizzazione dei siti e alla scelta dell'identificativo.

Per rendere possibile la visualizzazione te-matica delle evidenze archeologiche sono stati importati nel sistema i campi che definiscono la tipologia di sito, in particolare dalla sottoscheda oggetto si sono importate le informazioni relative a definizione del sito, livello di individuazione e deno-minazione e numero sito. Queste informazioni sono fondamentali per creare una visualizzazione del dato il più possibile obbiettiva e calibrata. Ad esempio infatti non tutti i siti sono riferibili allo stesso livello di individuazione (scavo sistema-tico, ricognizioni di superficie, segnalazione…) per cui diviene necessario poter attribuire simbo-li differenziati, in termini di forma o dimensione, a evidenze messe in luce attraverso diverse me-todologie di indagine.

Le informazioni più interessanti, per svi-luppare le analisi distributive ed individuare modelli insediativi preferenziali, risiedono nelle descrizioni della tipologia, cronologia, comples-sità delle strutture, caratteristiche culturali, eco-nomiche etc. di ciascun sito e nelle informazioni paleoambientali messe in luce dai singoli studi. Per organizzare la visualizzazione di queste ca-ratteristiche si è passati all'analisi dei contenuti presenti nel database e alla progettazione del loro trasferimento sulla base GIS.

Dalla scheda relativa alle informazioni sul-l'ambiente si sono estratti, per le sottoschede geografia geomorfologia e geologia, i campi relati-vi alle loro definizioni. Dalla scheda relativa alla cronologia si sono estratte le informazioni con-tenute nei campi fase interna sito, fase cronologica relativa, frazione cronologica assoluta. Dalla scheda ambito culturale le informazioni sulla denomina-zione. Dalla scheda relativa ai dati analitici si sono estratte le informazioni contenute nei campi ti-pologia insediamentale, stratigrafia, strutture macro e strutture micro e la presenza di sepolture. Per quanto riguarda la scheda materiali si sono im-portate le informazioni presenti nel campo stile, facies, gruppo.

Il sistema informativo del progetto è stato costruito utilizzando il software ESRI ArcGis 8.1. Questo programma permette di gestire ef-ficacemente le relazioni fra i siti e la morfolo-gia del territorio attraverso strumenti di visua-lizzazione tematica, sviluppando elaborazioni morfologiche e svolgendo procedure di analisi spaziale. Come in ogni progetto GIS, affinché i siti siano visualizzabili correttamente nello spa-zio, occorre che la loro posizione sia registrata in base ad un sistema di riferimento omogeneo che

125ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

nel nostro caso risulta l'UTM ED50 fuso 32. Tut-ti i dati sono stati pertanto ricondotti al sistema UTM e quelli appartenenti al fuso 33 riproiet-tati nel fuso 32 in modo da poter visualizzare correttamente le informazioni relative all'intera fascia dell'Italia centrale. I dati morfologici sono stati visualizzati sia in scala di grigi che con gradazioni di colore dal marrone al verde. Sono inoltre stati acquisiti gli elementi principali del-l'idrografia attuale e i limiti amministrativi rela-tivi a regioni, province e comuni.

La visualizzazione dei siti in forma di pun-to ha reso necessario un controllo capillare delle coordinate e la verifica corrispondente tra valori immessi e relativo sistema di riferimento. Que-sta operazione ha consentito di creare un livello informativo unico contenente 146 punti correlati alle diverse schede del database importate nel si-stema GIS.

3.2. Il primo livello di analisi: la coerenza e il control-lo dei dati

Il passaggio delle informazioni dal database "Tabularium" al GIS ci consente in primo luogo di verificare la coerenza e correttezza dei dati im-messi dal punto di vista del loro posizionamento. Questa operazione risulta fondamentale quando si elaborano dati provenienti da fonti eterogenee in special modo se si effettua una catalogazione su base bibliografica che abbraccia un ampio am-bito territoriale includendo anche pubblicazioni non recenti. Ciascun Autore infatti posiziona il sito secondo i propri criteri, talvolta indicando solo elementi di toponomastica, talvolta segna-lando la posizione del sito in base alla vicinan-za ad altri elementi topografici quali idrografia e viabilità (non sempre individuabili sulle basi cartografiche a disposizione), talvolta indicando solo il centro abitato più vicino, talora indicando le coordinate ma non il sistema di riferimento, infine fornendo a volte indicazioni precise ed ac-curate o in casi rari riportando uno stralcio car-tografico in cui sia presente la localizzazione del sito. La carenza di informazioni circa il posizio-namento dei siti - specialmente frequente quando si tratta di vecchie notizie - ha sovente reso più complesso il lavoro di schedatura. Infatti nel caso in cui non siano presenti le indicazioni delle coor-dinate occorre procedere all'analisi delle indica-zioni descrittive riportate nelle fonti e ad un loro posizionamento cartografico. In "Tabularium" si è prevista anche l'immissione, oltre all'indicazione delle coordinate, di un parziale cartografico della cartografia IGM in scala 1:25.000 dove si segna-la il posizionamento del sito. Questa indicazione risulta di grande utilità e quanto mai preziosa al

fine di una localizzazione di massima del sito; tuttavia, nonostante tali immagini abbiano costi-tuito un buon riferimento si è ritenuto importan-te procedere ad una attenta verifica topografica prima di poter validare le coordinate immesse nel sistema.

Infatti, considerando sia questi casi sia al-tri tipi di errori dovuti ad informazioni parziali, lacunose o solo descrittive, ad errori di attribu-zione di fuso o ad un'errata immissione del dato si è ritenuto opportuno verificare la coerenza delle informazioni immesse nell'archivio al fine di poter "confermare" la correttezza del posizio-namento. Questa fase di validazione del dato si è articolata attraverso un esame dei valori delle coordinate (alcune immissioni riportavano cifre incompatibili con il sistema di riferimento) ma soprattutto attraverso una verifica su base carto-grafica. Quest'ultima si è sviluppata utilizzando le opportunità offerte dal GIS che permettono un confronto fra dati diversi in base alla loro sovrap-posizione spaziale (overlay). Si è infatti attuato un controllo incrociato di informazioni analiz-zando la coerenza fra le indicazioni espresse nel database rispetto all'appartenenza ai comuni amministrativi e quelle rilevate in cartografia. Sulla base di una procedura ben sperimentata (De Silva e Pizziolo 2006) si è verificato pertan-to che l'indicazione del comune espressa nella scheda anagrafica di "Tabularium" coincidesse con il nome del territorio comunale all'interno del quale risulta posizionata l'evidenza neolitica od eneolitica in base alle sue coordinate espres-se nel database; nel caso di non corrispondenza è stata effettuata un'ulteriore analisi per indi-viduare l'eventuale errore di posizionamento o di attribuzione del comune di appartenenza. La verifica su base toponomastica e un'attenta rilettura di tutte le informazioni presenti nella scheda, accompagnata da una analisi cartogra-fica di dettaglio, hanno costituito gli strumenti principali per arrivare ad una localizzazione va-lidata dei siti. Questo riscontro su base cartogra-fica ha consentito di eliminare una serie di errori e di imprecisioni restituendo un insieme di dati coerenti e corretti dal punto di vista della loro localizzazione. Ovviamente resta il problema re-lativo al fatto che l'accuratezza e il grado di po-sizionamento cambiano in base alla storia e alla modalità delle ricerche o alla visibilità a terra delle evidenze archeologiche. A tal fine occorre sempre considerare le informazioni presenti nei campi definizione del sito, livello di individuazione di "Tabularium" opportunamente importati nel GIS.

Un altro tipo di controllo si è svolto relati-vamente alla verifica di coerenza fra le caratteri-

126 A. MANFREDINI ET AL.

stiche geografiche, geomorfologiche e geologiche registrate in Tabularium e l'analisi della cartogra-fia inserita nel GIS. Infatti in taluni casi è stato possibile correggere alcune informazioni presenti nelle schede geografia geomorfologia e geologia ed in particolare nei campi relativi alle loro definizioni grazie ad un'osservazione cartografica di detta-glio talvolta resa più proficua dall'inserimento di specifica cartografia geologica e geomorfologica di confronto.

3.3. I tematismi territoriali e le analisi spazialiIl passaggio delle informazioni dal database

al GIS e i controlli cartografici ottenuti attraverso le analisi di overlay hanno consentito dunque di creare un livello vettoriale di punti, corrispon-denti ai siti schedati in Tabularium, correttamente georeferenziati in coordinate UTM ED50. La base cartografica utilizzata per il progetto è costitui-ta dalle carte topografiche IGMI in scala 1:25000. Questo supporto è risultato fondamentale per tutti i controlli topografici e tematici basati sul-l'interpretazione cartografica.

La base di dati archeologica è stata confron-tata con alcuni tematismi territoriali al fine di giungere ad una più efficace analisi delle moda-lità insediative fra Neolitico Finale ed Eneolitico e ad un confronto topografico tra gli areali presi in esame. Date le finalità del progetto abbiamo considerato l'orografia l'elemento principale per poter contestualizzare i dati ed analizzarli rispet-to alle caratteristiche morfologiche del territorio. Conseguentemente si è scelto come base temati-ca la forma più efficace di descrizione orografica utilizzabile in ambiente GIS: il Modello di Eleva-zione Digitale (DEM).

Nel nostro caso si tratta di un modello di interpolazione delle quote altimetriche sul livello del mare espresso attraverso un formato griglia (GRID) composta da celle che hanno una riso-luzione a terra di metri 80. Ciascuna cella forni-sce dunque un valore medio rispetto alle quote slm presenti nella porzione di territorio al quale si riferisce. Questo tipo di modello digitale per-mette di analizzare la morfologia attraverso sue variazioni altimetriche e nel nostro caso offre una chiave di lettura per contestualizzare le evidenze neolitiche ed eneolitiche in relazione alle carat-teristiche fisiche che modellano il paesaggio. Il DEM, ottimale per eseguire analisi morfologiche, ci consente di sviluppare nuove elaborazioni te-matiche per individuare i parametri primari: si possono creare rappresentazioni relative all'om-breggiatura dei versanti (hillshade), all'orienta-mento dei versanti (aspect) e alla pendenza dei versanti (slope) espressa in gradi o in percentuale.

Attraverso le analisi morfologiche è stato possibi-le osservare la distribuzione dei siti anche in base alle caratteristiche del territorio in cui è avvenuta la scelta insediativa. Attraverso queste elabora-zioni si sono contestualizzati i siti con maggio-re accuratezza, si sono controllate alcune voci incerte e colmate alcune lacune presenti nella schedatura in Tabularium rendendo ancora una volta positiva ed efficace la complementarietà fra GIS e database messa a punto per questo proget-to. Per ogni sito è infatti possibile verificare la sua quota slm e l'esposizione e la pendenza del versante in cui si situa l'insediamento. Tuttavia l'estrazione automatica dei valori derivati dal DEM, quali l'orientamento dei versanti e la pen-denza, possono risentire di alcuni problemi legati alla risoluzione del dato cartografico. È necessa-rio ricordare che la griglia ha una maglia di m 80 e che la localizzazione del sito può avere margini di errore nel posizionamento superiori ai m 100; tutto ciò influisce sui valori che estraiamo dai li-velli tematici e quindi talvolta diventa rischioso affidarsi ad una estrazione automatica diretta. Dobbiamo pertanto ricordare che i dati estrapo-lati vanno considerati come valori medi e non puntuali e solo in caso di lacune o errori palesi hanno sostituito le indicazioni derivate dalle fon-ti archeologiche edite utilizzate per la schedatura in Tabularium. Nel nostro caso abbiamo quindi preferito una lettura visuale del dato cartografico che ci consente di articolare nuove osservazioni. Riteniamo infatti sia utile procedere ad un'osser-vazione a scala locale che consenta di relazionare il sito al territorio che lo ospita. Negli esempi ri-portati in figura (fig. 2) si nota come la distribu-zione dei siti nell'area del della Val di Chiana e Val d'Orcia possa trovare chiavi interpretative sia che si consideri la semplice altimetria (fig. 2A) sia che si osservi il posizionamento in base alla mor-fologia - resa più evidente dall'effetto ombreggia-tura (fig. 2B) - sia che si consideri l'esposizione dei versanti (fig. 2C) - dove prevale un orienta-mento verso S, SW, SE - sia infine che si osservi il posizionamento dei siti ripetto alle classi di pen-denza (fig. 2D).

Le osservazioni su scala locale possono esse-re comunque comparate con il trend insediativo messo in rilievo dai puri dati quantitativi accor-pati per categorie. A titolo generale, e per rendere disponibili alcune informazioni non presenti in "Tabularium", riportiamo il dato riassuntivo sul-l'esposizione dei siti del Neolitico Finale ed Eneo-litico estratta dalla carta dell'orientamento dei ver-santi ottenuta attraverso l'elaborazione del DEM.

Dal confronto tra i dati (espressi in forma per-centuale) si rileva in generale (fig. 3) una scarsa predisposizione per l'orientamento a N e mentre

127ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

Fig. 2 - Esempio di lettura morfologica di una porzione di territorio dove insistono siti neolitici ed eneolitici (rappresentati dai punti in nero). Si visualizzano i siti sulla base del DEM (A); sul modello in cui si è sovrapposto il calcolo delle ombre (B), sull'orientamento dei versanti (C), sulle classi di pendenza espresse in gradi (D).An example of a morphological Landscape analysis of Neolithic and Eneolithic sites (black dots in the maps). A view of the sites on different backgrounds: DEM (A); Hillshading (B); Aspect (C); Slope in degrees (D).

per i siti neolitici si nota una più spiccata tendenza a prediligere le esposizioni ad E, NW ed in misu-ra leggermente inferiore verso S, SE e SW, per i siti eneolitici gli orientamenti verso E e verso W sono paritari e sono seguiti senza troppo distacco dalle scelte di posizioni locazionali esposte verso SE, SW e S.

Come abbiamo già sottolineato nel nostro approccio metodologico, l'approfondimento dei modelli insediativi passa attraverso il confron-to tra il trend generale e le realtà locali presen-ti nelle singole unità geografiche dal momen-to che ognuna è caratterizzata da peculiarità territoriali. Anche la scelta dell'esposizione topografica dei siti va quindi contestualizza-ta affinché siano resi espliciti altri eventuali fattori che hanno determinato quel posizio-

namento. A titolo esemplificativo citiamo la Valle dell'Esino in cui le diverse esposizioni topografiche dei siti sembrano non essere si-gnificative o perlomeno secondarie rispetto al generale interesse espresso sia nel Neolitico che nell'Eneolitico per il posizionamento sulla sinistra idrografica della valle.

La componente idrografica del territorio è stata inserita nel GIS solo a livello principale e in forma vettoriale: elementi lineari per i fiumi e po-ligonali per i corpi d'acqua. L'idrografia nei suoi lineamenti principali costituisce un riferimento generale rispetto agli assetti territoriali e, anche se legato alle forme attuali, risulta essere un elemen-to geografico importante. Non si è invece ritenuto opportuno inserire nel GIS il reticolo idrografico minore perché può aver subito maggiori trasfor-

128 A. MANFREDINI ET AL.

mazioni ed essere quindi connesso agli assetti territoriali recenti. Per la stessa ragione si sono volutamente omessi dalle rappresentazioni carto-grafiche i dati relativi agli assetti territoriali storici e contemporanei quali la viabilità, le aree urbane e le infrastrutture. Siamo infatti consapevoli che gli elementi cartografici a nostra disposizione per un progetto a scala interregionale sono forzatamente riferiti agli assetti attuali e descrivono un territo-rio che ha subito profonde trasformazioni rispetto a quello che doveva essere il paesaggio dell'Italia centrale durante il Neolitico Finale e l'Eneolitico. Quando sono disponibili, infatti, i dati paleoam-bientali rivelano molto spesso spostamenti e cam-biamenti dei corsi d'acqua o delle zone umide compromettendo pertanto le eventuali interpre-tazioni che mettono in relazione i siti preistorici con l'idrografia attuale (cfr. Mazzanti 1994; Man-fredini 2002; Pizziolo e Sarti 2005). Anche lo studio accurato della geomorfologia e delle dinamiche di trasformazione del paesaggio offre spesso signi-ficative risposte per comprendere le ragioni che sottendono a determinate distribuzioni di eviden-ze preistoriche nel territorio (si veda ad esempio Arnoldus-Huyzendveld et alii 2007). Questo tipo di ricerche, proprie dell'archeologia del paesaggio,

vanno infatti condotte ad una scala di indagine di-versa che permetta l'acquisizione anche in forma cartografica delle indagini paleoambientali e della geomorfologia a scala di dettaglio. Tale livello di analisi non è realizzabile a scala interregionale e prescinde quindi dal nostro progetto.

La ricerca si è focalizzata pertanto sul con-testo geografico ed ha proposto interpretazioni e connessioni tra i siti analizzando a fondo l'aspet-to morfologico. In questo senso avere avuto a disposizione un apparato cartografico dinamico e aggiornabile ha costituito una buona base di partenza per sviluppare osservazioni a carattere territoriale e insediativo: in sintesi, seguendo gli obiettivi del progetto, è stato costruito uno stru-mento efficace per poter indagare gli assetti del passato. Tali considerazioni e approfondimenti, quando sono stati corredati da informazioni di natura paleoambientale, hanno consentito di in-dividuare linee di tendenza e modelli insediati-vi che vedono il susseguirsi di scelte territoriali diverse per ambiti cronologici e geografici (para-grafo 5).

Nell'ambito di una contestualizzazione dei dati archeologici è stato inserito all'interno del

Fig. 3 - Esposizione topografica dei siti neolitici ed eneolitici.The topographical context of Neolithic and Eneolithic sites.

129ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

GIS il dato cartografico relativo alla copertura del suolo. Si tratta del Corine Land Cover ovvero una carta vettoriale della copertura del suolo realizza-ta in base al programma CORINE1 e resa disponi-bile in scala 1:100.000 (http://www.centrointer-regionale-gis.it/). Le analisi sulla copertura del suolo si sono rivelate utili dal punto di vista della contestualizzazione o verifica delle informazioni provenienti dal database Tabularium. Il Corine è stato utilizzato anche per tentare un primo ap-proccio al problema della visibilità del record

1 Il programma CORINE (COoRdination of INformation on Environ-ment) è stato definito dalla Commissione Europea nel 1985 con lo scopo di organizzare la raccolta di informazioni sull'ambiente e le risorse naturali della Comunità. Il progetto CORINE Land Cover ha creato una copertura d'uso del suolo secondo una metodologia univoca utilizzando immagini da satellite, fotografie aeree e controlli a terra: la nomeclatura dell'uso del suolo, organizzata in livelli gerarchici è diventata uno standard di riferimento assoluto.

archeologico. In questa sede, oltre a riferirsi ad alcune riflessioni note in letteratura (Cherry et alii 1991; Leonardi 1992; Terrenato e Ammerman 1996; Van Leusen 1996, 2001; Terrenato 2000a-b, 2004; Francovich e Patterson 2000), si sono tenta-te elaborazioni a scala regionale che hanno visto il confronto tra la carta della Copertura del Suolo e la distribuzione dei siti. In particolare l'atten-zione si è concentrata sulle attività antropiche di disturbo, i territori modificati artificialmente e ad alto impatto sulla superficie del piano di campagna, riorganizzando in un'unica classe di uso del suolo le aree urbane, le infrastrutture, le discariche, le aree industriali e commerciali, i cantieri; senza entrare nel dettaglio delle analisi condotte per questo progetto in via sperimentale vogliamo solo sottolineare quanto l'individua-zione delle evidenze neolitiche ed eneolitiche (rispettivamente il 15,6% e il 20% del totale dei

Fig. 4 - Distribuzione dei siti neolitici ed eneolitici rispetto alla classe di uso del suolo in cui si trovano estratta dal Corine Land Cover. Il confronto con l'estensione totale di ciascuna classe rende significativa la differenza fra i valori osservati.The distribution of Neolithic and Enolithic sites on land use classes extracted by the Corine Land Cover maps. The com-parison with the relative percentage of the extension of each class shows a significant difference between the observed frequencies.

130 A. MANFREDINI ET AL.

siti) sia connessa ai contesti urbani e alla realiz-zazione di cantieri o trasformazioni artificiali (la cui area arriva solo al 3,8% della copertura totale del suolo delle regioni Toscana, Lazio e Marche) (fig. 4).

L'utilizzo del Corine Land Cover offre dun-que interessanti spunti di riflessione in termini di valutazione degli elementi di disturbo che possono aver influito sull'individuazione del-le evidenze preistoriche; l'approfondimento di questo argomento però esula dalle finalità principali del progetto e ci limitiamo a proporre quindi alcune considerazioni.

Il numero maggiore di siti si trova all'inter-no di aree attualmente utilizzate con colture a seminativo e con sistemi particellari complessi; non molto rappresentativa la percentuale dei siti rinvenuti in aree boschive (in parte da collegarsi alla presenza di siti in ripari o cavità), mentre scarsi sono i siti rinvenuti in aree a pascolo o su prati stabili. Altre indicazioni possono nascere dal confronto fra le classi di uso del suolo in cui si trovano i siti del Neolitico Finale rispetto ai siti dell'Eneolitico. Da questa analisi emerge una prevalenza dei siti eneolitici ad essere collocati in aree attualmente definite a seminativo non irriguo ("Cereali, leguminose in pieno campo, colture foraggere, coltivazioni industriali", ge-neralmente su terreni alluvionali) mentre i siti neolitici si trovano prevalentemente in aree at-tualmente definite come sistemi colturali e par-ticellari complessi ("Mosaico di piccoli appez-zamenti con varie colture annuali, prati stabili e colture permanenti; orti"). La tendenza a in-sediarsi in siti dalle caratteristiche eterogenee è confermata dal fatto che siti neolitici si trovano con un'interessante percentuale relativa in aree collinari, un tempo coltivate, ma adesso abban-donate e in via di rimboschimento.

Altre indagini possono essere sviluppate nell'ambito della valutazione dell'uso del suolo attuale come indicatore - indiretto e parziale - della potenzialità agricola del terreno. Tuttavia anche in questo caso siamo propensi ad utiliz-zare queste informazioni con molta cautela sia a causa della scala di rappresentazione del Corine ma soprattutto a causa dei tanti fattori che diffe-renziano il potenziale agricolo attuale da quello riferibile alle attività economiche del Neolitico ed Eneolitico, prime fra tutti le tecniche di col-tivazione.

In questo senso abbiamo già sostenuto che un dato fondamentale per l'analisi delle stra-tegie insediative preistoriche è costituito dalla cartografia geologica e geomorfologica.

Numerosi sono i progetti a carattere regio-nale o provinciale che prevedono la realizzazio-

ne di cartografia di medio e grande dettaglio (scala 1:50.000; scala 1.25.000; scala 1:10.000); tuttavia non è ancora disponibile un livello in-formativo omogeneo che copra l'intera area di studio del progetto. Siamo pertanto ricorsi alla consultazione della cartografia geologica in sca-la 1:100.000 che come è noto copre tutto il territo-rio italiano. In taluni casi si sono georeferenziati stralci della cartografia geologica o si sono uti-lizzati gli elementi cartografici - talvolta presen-ti anche in scala 1:10.000 -messi a disposizione dagli Enti locali. In sintesi l'eterogeneità dei dati ci porta a condurre indagini con livelli di appro-fondimento diverso: per alcune aree è stato pos-sibile effettuare una buona contestualizzazione geomorfologica permettendo confronti puntua-li fra i modelli insediativi proposti; in altri casi invece le considerazioni sono rimaste ancorate alle informazioni singole derivate dalla scheda-tura dei siti riportata in “Tabularium“.

Fra i livelli informativi che abbiamo inseri-to nel GIS manca tuttavia un dato importante: la delimitazione delle aree realmente sottoposte ad attività di ricerca archeologica. Purtroppo ad oggi non è stato possibile reperire queste infor-mazioni anche perché nel nostro database sono censiti dati presenti su fonti bibliografiche e di archivio che spesso non esplicitano l'estensione e la localizzazione delle aree indagate. Nel caso si riesca a reperire queste informazioni in futuro, e conseguentemente a mappare le aree indagate, potremmo valutare nuovamente i dati a nostra disposizione al fine di ottenere una contestualiz-zazione più precisa e una consapevole gestione del potenziale archeologico del nostro territorio al fine di interpretare le scelte insediative prei-storiche. Per questo motivo le aree campione del progetto sono state definite solo a livello di areali geografici, individuabili morfologicamen-te, ma per i quali non abbiamo ritenuto oppor-tuno creare delle delimitazioni da riportare sulle carte tematiche prodotte.

3.4. ConclusioniLa strutturazione del sistema e l'importazio-

ne all'interno del GIS delle informazioni presenti in Tabularium hanno permesso la realizzazione di carte tematiche che illustrano la distribuzio-ne dei siti neolitici ed eneolitici in rapporto ad alcune caratteristiche. Il processo si è articolato inizialmente attraverso la visualizzazione dei dati secondo le macro tipologie quali la defini-zione del sito o il livello di individuazione per poi esplorare le caratteristiche distributive in base a criteri più specifici. In questo senso il GIS risul-

131ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

ta uno strumento molto efficace per esplorare, individuare ed apprezzare sistemi insediativi preistorici. Infatti, attraverso un'osservazione dinamica dei contesti, operando cambi di scala e selezionando diversi tipi di fonte si possono sviluppare letture interpretative che evidenzino areali geografici di distribuzione delle docu-mentazioni neolitiche ed eneolitiche. L'aspetto geografico della distribuzione delle evidenze risponde alla necessità di fare ricerche trasver-sali che comparino aspetti culturali rispetto alla variabile "territorio". Le potenzialità del GIS si esplicano inoltre attraverso il confronto spaziale fra tematismi sovrapponendo dati di tipo diver-so ed in particolare le elaborazioni cartografi-che connesse alle dinamiche di trasformazione del paesaggio. La realizzazione del progetto ha costituito un sistema aperto, aggiornabile, in grado di produrre nuova cartografia tematica rispondendo alla necessità di inserire e visualiz-zare dati che possono emergere da nuove inda-gini e scoperte.

La possibilità di osservare la distribuzione spaziale delle evidenze neolitiche ed eneolitiche risulta, a nostro avviso, un rilevante valore ag-giunto che ha una ricaduta diretta sulle poten-zialità di utilizzo del sistema.

L'esplorazione dei dati in ambiente GIS ha consentito di avere una visione d'insieme, altri-menti non apprezzabile attraverso il posiziona-mento dei singoli siti in un ambiente statico, e al contempo di enucleare alcuni raggruppamenti di siti che corrispondono ad unità territoriali e culturali. In questa direzione di ricerca nuo-vi spunti di riflessione si sviluppano quando si visualizza la distribuzione dei siti neolitici ed eneolitici mettendo in evidenza quali di questi hanno una continuità insediativa e quali relazio-ni spaziali si individuano con il territorio e con i siti pertinenti alle due fasi.

G.P.

4. AnAlisi dei Modelli di insediAMento nelle Aree cAMpione

4.1. PremessaRispetto al nostro progetto iniziale le mo-

dalità di svolgimento della ricerca hanno subìto significative modificazioni. La schedatura dei siti (vedi CDRom allegato) ha utilizzato il database "Tabularium", già adottato nel lavoro sui siti neo-litici, effettuato nell'ambito del progetto "Il Neo-litico in Italia", promosso nel 2001 dall'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria e dalla Soprin-tendenza Speciale al Museo Nazionale Preistori-co Etnografico "Luigi Pigorini".

Naturalmente, si sono resi necessari cam-biamenti ed adeguamenti al nuovo tipo di cen-simento che si voleva effettuare: dove possibile sono state messe in evidenza le caratteristiche ambientali e geomorfologiche e sono state intro-dotte nuove categorie, adattando il vocabolario alla più ampia estensione cronologica di questo progetto (per la struttura della scheda e relative modifiche, vedi Muntoni in questa sede).

Per effettuare la schedatura sono stati attiva-ti dei contratti che hanno coinvolto giovani stu-diosi in relazione alle regioni in studio.

Le modalità di schedatura corrispondono a diversi criteri di approccio alla documentazione: se per Lazio e Toscana si è proceduto utilizzando solo dati noti in letteratura, per le Marche si è in-vece deciso di utilizzare anche la documentazio-ne d'archivio presente nella Soprintendenza Ar-cheologica delle Marche e messa a disposizione per il progetto. Tale scelta operativa è servita ad evidenziare quanto possa essere capillare la di-stribuzione delle presenze umane in un territorio circoscritto se si considerano tutte le informazio-ni topograficamente ben individuabili, anche se culturalmente poco definite.

A.M.

4.2. Le Marche: l'ambienteÈ stata prescelta come territorio campione

l'area compresa tra il corso dei fiumi Nevola-Misa a Nord e Chienti a Sud perché in essa si concen-trano più numerose le testimonianze relative alle frequentazioni tardoneolitiche ed eneolitiche; essa rappresenta, inoltre, un ideale spaccato di una situazione geomorfologica e ambientale che si ripete, nei caratteri generali, su un ampio tratto dell'Italia centrale adriatica. L'individuazione di modelli di popolamento che verranno evidenzia-ti nel corso di questa analisi potrà costituire una base di lavoro da applicare alle altre aree delle Marche, simili nella loro configurazione ambien-tale, costituendo una base predittiva per future ricerche pianificate.

La linea di costa attuale tra il Nevola-Misa e il Chienti si presenta piatta e abbastanza regola-re, lievemente articolata dalle foci dei fiumi, con una breve striscia di sabbia che soltanto in alcuni punti raggiunge la profondità di 100 m; l'unica interruzione è costituita dall'alta falesia del Mon-te Conero, soggetto a continua erosione ad opera del mare: ai suoi piedi due insenature naturali sono state chiuse e trasformate in laghetti da cor-doli sabbiosi.

Proseguendo verso l'interno, un'ampia area collinare copre un'estensione sensibilmente mag-

132 A. MANFREDINI ET AL.

giore rispetto alla superficie occupata dalle cate-ne montuose; la fascia collinare, estesa per una profondità di 30-35 km, è costituita da una serie di alture dalla sommità spianata che raggiungo-no quote omogenee intorno ai 200-300 m e che, nel tempo, sono state prescelte per l'insediamen-to umano.

Infine, i rilievi montuosi appenninici rag-giungono le quote maggiori procedendo da Nord a Sud, dai 1700 m del Monte Catria ai 1400 del Monte Penna. L'orografia si sviluppa a catene pa-rallele con quattro o cinque allineamenti, inter-rotti a volte da strette valli trasversali e profonde gole che ostacolano il passaggio verso il versan-te tirrenico, come, ad esempio, la gola del Nera dopo Visso.

Le formazioni rocciose, costituite parzial-mente da dolomia e calcare, sono caratterizzate da forte permeabilità, che favorisce la creazione di una rete di scorrimento sotterraneo delle ac-que e dà luogo a fenomeni carsici: tra i complessi carsici più noti vi è quello dell'alto bacino del-l'Esino, ampio circa 20 kmq. Piani carsici chiusi, cioè senza sfogo per le acque, come il bacino di Colfiorito, erano interessati da specchi d'acqua, che nel tempo hanno ridotto la loro estensione.

I fiumi marchigiani condividono una serie di aspetti, quali il parallelismo dei corsi, la carenza di affluenti, il regime torrentizio; a quest'ultima peculiarità è legata l'ampiezza dei letti ghiaiosi. Hanno, inoltre, corso relativamente breve (Cesa-no 55 km, Esino 75 km, Musone 65 km, Potenza 88 km, Chienti 91 km) e foci non ramificate, at-tualmente spesso adattate a porti-canale.

Questi caratteri dell'idrografia contrastano fortemente con la situazione del versante tirre-nico, dove i fiumi hanno un corso lungo e sono ricchi di affluenti.

L'attuale morfologia dell'area risente del-l'abbondanza del reticolo idrografico con percor-si fluviali che hanno creato valli profondamen-te incise: queste sono particolarmente strette e incassate nei tratti iniziali in area montana, ma tendono ad aprirsi in corrispondenza della fascia collinare, dove i fiumi hanno un corso più rallen-tato con maggiore possibilità di divagamenti e conseguente formazione di meandri.

Le valli interessate dall'indagine sono forma-te da una serie di depositi alluvionali terrazzati, disposti su quattro ordini, il più antico dei quali risale al Pleistocene medio-superiore e il più re-cente all'Olocene antico (Silvestrini et alii 1992-1993, p.129): su queste formazioni si rinvengono spesso tracce, anche consistenti, di frequentazio-ni neo-eneolitiche.

Nel corso del Quaternario la regione ha subi-to una serie di modificazioni in rapporto alle fasi regressive e trasgressive dell'Adriatico, che hanno influito sulla portata e sull'andamento dei fiumi con conseguente incisione (o aumento) dell'attivi-tà di deposito di materiale sedimentario. Durante l'Olocene antico, intorno alla metà del X millennio B.P. cal. BP, l'apporto alluvionale raggiunge un'al-tezza di circa 30 m (Cilla e Dramis 2005, p. 83). A partire dal IX millennio cal. BP nei tratti iniziali delle valli fluviali è testimoniata la deposizione di travertini, che, sbarrando tratti di fiume, davano luogo alla formazione di piccoli specchi d'acqua. La formazione dei travertini cessa, probabilmente per cause climatiche, alla fine del IV millennio cal. BP e a partire da questo momento gli sbarramenti naturali vengono incisi e i laghetti progressiva-mente scompaiono (Cilla e Dramis 2000, p. 82).

4.3. Le Marche: la distribuzione insediamentaleNell'area compresa tra il Nevola-Misa e il

Chienti sono stati individuati 56 siti da sottopor-re a schedatura: di questi, 16 sono attribuibili al Neolitico recente-finale, 22 all'Eneolitico, mentre 18 appartengono ad entrambe le fasce cronologi-che. Per quanto riguarda quest'ultimo gruppo è importante evidenziare alcuni caratteri distintivi circa la natura dei dati in nostro possesso. Dei 18 siti, 6 appartengono alla categoria "segnala-zione/recupero", gli altri 12 sono invece contesti interessati da indagini di scavo: questa prima os-servazione è importante per valutare l'eventuale grado di continuità di frequentazione nel tempo del medesimo luogo. Un conto è, infatti, ipotiz-zare la continuità in base alla dispersione in su-perficie di materiali appartenenti a due momenti cronologici, un altro è trovarla testimoniata in una sequenza stratigrafica (tabb. VI-VIII).

Tab. VI. Carattere della documentazione dei siti marchigiani.

segnal./rec. ricogn./sopr. scavo tot.

Neolitico recente-finale 7 2 7 16Neolitico recente-finale - Eneolitico 6 12 18Eneolitico 12 1 9 22TOTALE 25 3 28 56

133ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

Tab. VII. Tipologia dei siti.

all'aperto grotta tomba necropoli aperto+necr rinv. isol.Neolitico recente-finale 16 Neolitico recente-finale - Eneolitico 13 4 1 Eneolitico 12 1 7 1 1TOTALE 41 5 7 1 1 1

Tab. VIII. Collocazione altimetrica.

0-100 100-200 200-300 300-400 400-500 500-600Neolitico recente-finale 3 8 1 3 1 Neolitico recente-finale - Eneolitico 1 8 5 3 1Eneolitico 7 4 3 2 3 3TOTALE 11 12 12 10 7 4

Fig. 5 - Marche: distribuzione dei siti del Neolitico finale.Marche: final Neolithic sites distribution.

I siti del Neolitico recente/finaleI siti schedati che hanno restituito materiali

databili alla fase finale del Neolitico sono noti sia attraverso segnalazioni e/o raccolte di superficie,

sia attraverso interventi di scavo (tab. IX). Nel primo caso si tratta di raccolte non sistematiche o segnalazioni di concentrazioni di materiali li-tici e ceramici. In un solo caso, a San Lorenzo,

134 A. MANFREDINI ET AL.

sono stati rinvenuti anche frammenti di intonaco di capanna. I siti scavati presentano tutti testimo-nianze di strutture infossate, anche di una certa complessità e articolazione, come il ben noto caso di Santa Maria in Selva (fig. 5).

La loro distribuzione appare molto varia e interessa le tre fasce geografiche già evidenziate da Barker (1981) e Skeates (1997): nell'area co-stiera si trovano Portonovo Fosso Fontanaccia (4 siti), San Lorenzo, Collemarino, Saline, Cop-petella e San Vito. La vicinanza al mare non sembra però aver avuto un valore particolare nella dislocazione topografica di questi inse-diamenti: se escludiamo Saline di Senigallia e Collemarino che si trovano in prossimità della linea di riva attuale (ricordiamo che durante il Neolitico la linea di costa doveva essere a -10 m) (Cilla e Dramis 2005), gli altri siti, pur essen-do in linea d'aria molto vicini al mare, non ap-paiono in stretta relazione con esso: è il caso di Fosso Fontanaccia e San Lorenzo, collocati sul promontorio del Conero, a circa 100 m slm, in un contesto pienamente collinare. Per quanto

riguarda gli ultimi due siti, Coppetella e San Vito, si trovano in realtà a qualche chilometro dal mare, sulle prime alture lungo la bassa valle del fiume Esino. I siti collocati nelle aree collina-ri più interne presentano spesso una posizione su terrazzi alluvionali olocenici o pleistocenici, frequentemente posti sulla sinistra idrografica dei fiumi principali. In qualche caso si trovano nelle immediate vicinanze di fossi o piccoli af-fluenti secondari.

I siti del Neolitico recente/finale - EneoliticoL'attribuzione di alcuni siti al Neolitico re-

cente/finale - Eneolitico è dovuta a diverse ra-gioni, legate soprattutto alla natura delle ricerche condotte: in alcuni casi si tratta di indagini di su-perficie, in altri di saggi esplorativi o di recupero, in altri ancora di scavi sistematici (tab. X).

Per quanto riguarda i siti di segnalazione, si tratta di ritrovamenti di superficie avvenuti nel corso del tempo, non riferiti a ricerche siste-matiche. I materiali rinvenuti comprendono so-

Tab. IX. Siti del Neolitico recente/finale.

Segnalazione/raccolta di superficie ScavoPortonovo Fosso Fontanaccia - 3 siti, Ancona Portonovo Fosso Fontanaccia - 1 sito (NA+NF), AnconaCollemarino, Ancona Rio Madonna dell'Ospedale, CingoliCerquetana La Posta, Cingoli Donatelli, GengaCondotto, Cingoli Coppetella, JesiCastel Rosino, Jesi Braccano, MatelicaSan Vito, Monte San Vito Saline, SenigalliaSan Lorenzo, Sirolo Santa Maria in Selva, Treia

Tab. X. Siti del Neolitico recente/finale - Eneolitico.

Segnalazione/raccolta di superficie ScavoPiano di Fonte Marcosa, Cingoli Cava Giacometti, ArceviaS. Esuperanzio, Cingoli SP Arceviese, zona ArtigianaleSacramento, Fabriano Berbentina, SassoferratoSerrone Colle Morico, S. Severino Attiggio di FabrianoPitino Maggioli, S. Severino Pianacci di GengaCastellano, Cingoli (NF-E) Grotta dei Baffoni, Genga

Grotta del Mezzogiorno, GengaGrotta del Carbone, GengaPianello, GengaFontenoce area Guzzini, RecanatiMaddalena di MucciaStazione di Albacina

135ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

prattutto industria litica e quindi l'indicazione cronologica non può essere che genericamente al Neolitico finale - Eneolitico.

Più numerosi sono i siti scavati: nei primi 5, dei quali si parlerà più avanti, è stata messa in luce una chiara sequenza stratigrafica nel-la quale è ben distinguibile la fase di frequen-tazione risalente al Neolitico finale da quella attribuibile all'Eneolitico. Da approfondire sa-rebbe l'insieme dei materiali provenienti dagli scavi della Grotta dei Baffoni, dove sono pre-senti due distinti livelli, uno (E) attribuito al Neolitico recente-finale, l'altro (F) all'Eneoliti-co. Per quanto riguarda le altre grotte (Mezzo-giorno, Carbone) e i siti all'aperto di Pianello e Stazione di Albacina si tratta di materiali con generica attribuzione al Neolitico finale-Eneo-litico. Infine, i siti di Maddalena di Muccia e Fontenoce testimoniano la persistenza della scelta del medesimo luogo di abitazione, ma le fasi neolitiche qui presenti risalgono ad un momento più antico rispetto alle attestazioni tipiche del Neolitico finale marchigiano.

Come abbiamo già detto, cinque siti mostra-no una chiara attestazione di continuità stratigra-fica tra Neolitico finale ed Eneolitico (Cava Giaco-metti, SP Arceviese, zona Artigianale, Berbenti-na, Sassoferrato, Attiggio di Fabriano, Pianacci di Genga): essi occupano una medesima posizione topografica, su terrazzi fluviali, a volte alla con-fluenza di affluenti secondari del corso d'acqua maggiore (Cava Giacometti), spesso privilegian-do la sponda sinistra del fiume (Cava Giacometti, Berbentina, Attiggio, Pianacci). Escludendo Cava Giacometti, posto ad una quota di 500 m slm, tut-ti gli altri si trovano in una fascia di altitudine media intorno ai 300 m slm.

Tutti questi siti d'abitato sono collocati a una distanza tra 30 e 50 km dal mare, in una fascia collinare interna, vicina alla dorsale appenninica marchigiana. Questo territorio si colloca a caval-lo tra due delle tre zone enucleate da Skeates in base a parametri geografici ed archeologici: l'area pianeggiante interna e le valli intermontane in-terne (Skeates 1997: 56).

Fig. 6 - Marche: distribuzione dei siti dell'Eneolitico.Marche: Copper Age sites distribution.

136 A. MANFREDINI ET AL.

I siti eneoliticiA differenza di quanto osservato per i perio-

di precedenti, tra i siti attribuiti esclusivamente all'Eneolitico sono presenti, oltre a contesti di abi-tato, anche tombe isolate o vere e proprie necro-poli (tab. XI; fig. 6).

La documentazione relativa ad alcune delle tombe documentate è frutto di segnalazioni o ri-trovamenti fortuiti avvenuti tra la fine dell'800 e la prima metà del '900 del secolo scorso, motivo per il quale spesso non sono presenti precise in-dicazioni relative alla collocazione topografica e alle condizioni del ritrovamento. Si tratta in par-ticolare dei siti di Ancona, Moie e Monticello dei Frati. Ad Ancona, sulle pendici meridionali del Colle Cardeto, in un'area che in antico era attra-versata da un fosso, alla fine dell'800 si rinvenne un inumato con associati manufatti in selce. Al-l'inizio del '900 risale il recupero a Moie di Maio-lati di alcuni manufatti pertinenti ad una o forse due sepolture, rinvenuti su un terrazzo alluvio-nale lungo la media valle dell'Esino. Anche dei materiali rinvenuti a Monticello dei Frati presso Osimo non si conosce l'esatta provenienza: si trat-ta probabilmente di un corredo di una sepoltura, della quale però non si hanno dati relativi alla struttura tombale, rinvenuto in un'area collina-re a poca distanza dalla costa. Altre tombe sono state oggetto di scavi di emergenza nel corso del '900: Loreto-Via Marconi, San Rocco, Vescovara di Osimo, Recanati-Via Duomo, Camerano-San Giovanni, sono tutti siti collocati su pendii colli-nari distanti pochi km dalla costa.

Le necropoli di Fontenoce-Cava Koch e Area Guzzini si trovano invece su terrazzi alluviona-li, anch'essi poco distanti dalla costa. La costante

Tab. XI - Siti eneolitici.

Segnalazione/raccolta di superficie ScavoAncona, Colle Cardeto Camerano, San GiovanniCase Popolari, Esanatoglia Cartiere Miliani, FabrianoColle San Biagio, Cingoli Conelle di ArceviaCrocifisso, Esanatoglia Fontenoce- Cava Koch, Recanati Gagliannuovo, San Severino La Svolta-Via Duomo, RecanatiGaglianvecchio, San Severino Palazzo Mestica, JesiMoie, Maiolati San Rocco, Monte San VitoMonticello dei Frati, Osimo Vescovara, OsimoSaltregna, Cingoli Via Marconi, LoretoStigliano, San SeverinoTana del Monaco, FabrianoValle dei Grilli, San SeverinoValle di Magliano, Cingoli

di tutti i siti funerari, già più volte sottolineata, sembra proprio la dislocazione molto prossima al mare, non legata a fattori di natura ambienta-le, come, ad esempio la presenza di formazioni geologiche particolarmente adatte allo scavo del-le grotticelle artificiali: si tratta infatti di depositi limosi/ghiaiosi di origine alluvionale o di argille marnose di depositi di versante.

Più articolata sembra essere la posizione to-pografica degli abitati, tutti collocati in aree in-terne, a quote variabili dai 100 ai 600 m, spesso in aree collinari, su terrazzamenti alluvionali. Anche nel caso degli insediamenti all'aperto la natura della documentazione è molto eteroge-nea: dei 13 siti, solo tre (Conelle, Cartiere Milia-ni, Palazzo Mestica) sono stati oggetto di scavi e di questi solo Conelle ha restituito consistenti testimonianze della presenza di un abitato. Il ri-trovamento di Palazzo Mestica a Jesi consiste in esigue tracce strutturali (un buco di palo e del concotto), mentre di quello di Cartiere Miliani, risalente agli inizi del secolo scorso, si conosce solo la notizia dell'esistenza di alcuni "fondi di capanna". Le conoscenze relative agli altri conte-sti abitativi derivano da interventi di recupero e da raccolte di superficie (Crocifisso, Case popola-ri, Valle di Magliano, Colle San Biagio, Saltregna, Valle dei Grilli) a volte con scarse informazioni sulla posizione esatta dei materiali (Gagliannuo-vo, Stigliano, Gaglianvecchio).

Alla Tana del Monaco, una grotta che si tro-va in area montana, a 600 m di altezza, i saggi eseguiti in occasione dell'esplorazione effettuata dalla Soprintendenza Archeologica per le Mar-che nel 1968 hanno portato in luce tracce di fuo-co, pochi frammenti ceramici e una mandibola

137ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

umana, elementi che fanno pensare ad una fre-quentazione di tipo non abitativo.

Mettendo a confronto il popolamento del Neolitico recente/finale con quello dell'Eneoliti-co nell'ambito dell'area campione emerge innan-zitutto una differenza quantitativa dal punto di vista della conoscenza dei siti, più numerosi nel secondo periodo. Compatibilmente con la qualità della documentazione esistente, possiamo inoltre osservare una più marcata presenza di attestazio-ni neolitiche nella "fascia valliva intermontana", secondo la definizione di Skeates (1997), e lungo la costa, mentre nella zona collinare interna i siti appaiono più dispersi e meno numerosi. Il collo-camento preferenziale degli insediamenti lungo le principali direttrici naturali di collegamento con l'area montana e, attraverso questa, con il versan-te tirrenico, costituisce un punto di raccordo con l'Eneolitico, durante il quale tale tradizione sem-bra rispettata e ulteriormente incrementata. D'al-tra parte non possiamo evidenziare forti elementi di frattura tra i due momenti: anzi, il passaggio si attua con continuità, dimostrata, oltre che dalle produzioni artigianali (es. Attiggio, Cava Giaco-metti), anche dalle scelte insediative, soprattutto per quanto concerne le attestazioni dell'area più interna. Diversa è invece l'occupazione della fa-scia costiera, con siti collocati in prossimità del mare nel Neolitico recente/finale, vicini, ma non immediatamente contigui ad esso nell'Eneolitico, periodo durante il quale, come già detto, questa zona viene principalmente scelta per scopi fune-rari. La tendenza a diversificare la collocazione topografica degli insediamenti è già presente alla fine del Neolitico, ma si rafforza nel successivo Eneolitico, indicando strategie economiche e or-ganizzazione dei gruppi, ben adattabili a un'am-pia gamma di situazioni ambientali.

C.C.B. - M.S.

4.4. Il Lazio: l'ambienteL'area tirrenica laziale, dal fiume Fiora alla

foce del Tevere e il tratto terminale di quest'ul-timo, con il suo ampio bacino idrografico, sono stati scelti come area campione per evidenziare criteri di insediamento e di utilizzazione del ter-ritorio in aree contigue ma diversamente caratte-rizzate dal punto di vista ambientale.

Anche in questo caso, di fronte alla diffor-mità della documentazione archeologica, si sono privilegiate aree nelle quali vecchi e nuovi scavi indicavano una più intensa frequentazione alla fine del Neolitico e nel corso dell'Eneolitico.

Il territorio preso in esame presenta territori molto diversi, che risultano in una decisa fram-

mentarietà: si va infatti da aree costiere, con lidi bassi e sabbiosi spesso orlati da stagni e lagune retrodunari, a zone collinari interne, percorse da un reticolo idrografico di scarsa portata; rilievi vulcanici occupano l'area tra Toscana, Tevere e Mar Tirreno: si tratta di una regione collinosa, che, nel tratto che ci interessa, comprende l'appa-rato vulcanico dei Monti Albani.

Il litorale laziale, che dal Fiora al Tevere mi-sura circa 45 km, può essere morfologicamente distinto in vari settori: da Sud a Nord, dal Tevere a S. Severa, l'area coincide in parte con la Marem-ma laziale, dai contorni grosso modo triangolari, con il Tevere che funge da base e il vertice all'al-tezza di S. Severa; il suo limite all'interno è rap-presentato da tavolati tufacei, spesso sede, anche nella preistoria, di significativi insediamenti. La costa è caratterizzata da un ampio e regolare are-nile, che costituisce l'ala destra del delta tiberino, composto da uno o più cordoni di dune, spesso colonizzate da vegetazione arbustiva: queste, fino al secolo scorso, hanno costituito un ostaco-lo al deflusso al mare delle acque, creando una situazione di paludi, laghi e stagni costieri. L'in-tero tratto è stato interessato da bonifiche più o meno recenti, tra le quali la più impegnativa è stata quella di Maccarese. Dalle Grottacce a Capo Linaro la costa diventa rocciosa e articolata, con piccole spiagge di ciottoli e sabbia in corrispon-denza degli sbocchi di modesti corsi d'acqua. Da Santa Severa a S. Agostino la morfologia della co-sta si presenta accidentata e irregolare, con pro-montori alternati a calette, fortemente erose dal mare.

Più a Nord, da S. Agostino fino al Fiora, la bassa e sabbiosa pianura costiera è interrotta dalle foci di fiumi, quali il Mignone, il Marta e l'Arrone, e da numerosi fossi di secondaria im-portanza. Qui la formazione di specchi d'acqua costieri è facilitata dalla presenza di dune fossili di formazione eolica, che ostacolano il defluire delle portate alluvionali dei fiumi. Il paesaggio costiero ha morfologia collinare a debole eleva-zione, costituita da terrazzi marini legati ai mo-vimenti tettonici e alle variazioni altimetriche del livello del mare.

Alle spalle del litorale il paesaggio è caratte-rizzato da una serie di rilievi collinari di modesta entità in gran parte di origine vulcanica, quali i Monti di Canino, i Monti della Tolfa, i Ceriti e i Colli Albani. L'insediamento umano tra Neolitico ed Eneolitico ha privilegiato alcune aree all'inter-no di questo territorio, in relazione a particolari condizioni fisiogeografiche, come ad esempio, nell'area vulcente, la presenza di sorgenti con-nesse al bacino dei travertini idrotermali e di una fitta rete di scorrimento superficiale delle acque

138 A. MANFREDINI ET AL.

che fanno parte del bacino imbrifero del Fiora. Più a Sud, il versante costiero dei Monti della Tol-fa, è caratterizzato da un rilievo accidentato con accentuate forme di erosione, come dimostrano gli alvei fortemente incassati dei corsi d'acqua, tra i quali il Mignone; versano direttamente a mare Fiora, Marta, Mignone, Arrone. L'idrogra-fia superficiale, ricca di risorgive, a volte di tipo idrotermale, dà luogo attualmente ad un'ampia varietà di biotopi, probabilmente non molto dif-forme da quella antica.

Il limite meridionale dell'area presa in esa-me è costituito dal tratto finale della Valle del Tevere fino alla foce: l'asse idrografico del Lazio è rappresentato da questo grande fiume che ha costituito, nel passato, un vero e proprio confine culturale tra Lazio settentrionale e Lazio meri-dionale, mentre le variazioni del suo corso, in particolare nel tratto finale, hanno fortemente influenzato l'impianto o l'abbandono di insedia-menti preistorici. Sulla sinistra idrografica del fiume si estendono ampi tabulati di tufo litoide, incisi da una fitta rete idrografica superficiale, con fossi a carattere stagionale e fiumi di più ampia portata come l'Aniene: la valle di questo importante affluente del Tevere fungeva da via principale di comunicazione verso l'interno, in direzione dell'Abruzzo. Lungo il suo corso si trovano, infatti, numerosi siti preistorici, spesso collocati in prossimità della confluenza di corsi d'acqua minori.

Tuttora oggetto di studio è la complessa evo-luzione della foce del Tevere, della quale sono nell'area di Ostia e Fiumicino numerose tracce:

questo territorio corrisponde alla piana deltizia del fiume, distinta in inferiore, costituita da cor-doni litorali, e in superiore (Bellotti et alii 1995) dove, a Nord e a Sud dell'alveo fluviale, fino agli inizi del XX secolo, erano presenti estese paludi, collocate in aree depresse, circondate da aree bo-schive e pascoli.

Nella zona più prossima alla costa, la presen-za di raggruppamenti, a tratti, di cordoni litorali, riconducibili a fasi di avanzamento cronologica-mente distinte nell'ambito del Tardo Olocene, ha permesso di ricostruire l'evoluzione del delta a partire dal 4000 cal. BC (Giraudi 2004).

A Sud del Tevere, i Colli Albani (o Laziali) rappresentano un sistema montuoso isolato, di origine vulcanica, le cui propaggini giungono ad una decina di km dalla città di Roma: la loro forma ad arco si identifica con l'antico cratere; i crateri periferici sono colmati dai laghi di Alba-no e Nemi e un tempo da quello di Ariccia, ora prosciugato.

4.5. Il Lazio: la distribuzione insediamentaleSi ricorda che, per quanto riguarda il Lazio,

la nostra area campione interessa una fascia co-stiera limitata a Nord dal Fiora e a Sud dalla foce del Tevere: in questo territorio sono state consi-derate la bassa valle del Tevere, fino alla foce, su entrambe le sponde e i Colli Albani.

Su 46 siti dell'area-campione del Lazio sche-dati, 6 sono da riferire al Neolitico recente-finale, 9 mostrano una significativa continuità tra Neo-litico ed Eneolitico, 31 appartengono ai vari mo-menti dell'Eneolitico.

Tab. XII - Qualità della documentazione dei siti laziali.

segnal. rec. ricogn.-sopr. scavo N. SITINeolitico recente-finale -- 2 4 6Neolitico recente-finale/ Eneolitico -- 3 6 9Eneolitico 7 6 18 31TOTALE 7 11 28 46

Tab. XIII - Tipologia dei siti (il totale è 45 perché un sito è "non determinato").

all'aperto grotta tomba necropoliNeolitico recente-finale 5 - 1 -Neolitico recente-finale/ Eneolitico 9 - - -Eneolitico 16 - 8 6TOTALE 30 9 6

139ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

Come per le altre aree considerate, è oppor-tuno riflettere sulla poca consistenza dei dati pro-venienti da segnalazioni o raccolte di superficie, indicativi tuttavia di una sistematica frequentazio-ne del territorio nel tempo. L'abbondanza di siti scavati invece, che rappresentano più della metà del totale, rende possibile elaborare considera-zioni relative alla distribuzione insediamentale e alle scelte ambientali. Procedendo ad esaminare in dettaglio la documentazione relativa ai singoli periodi:

I siti del Neolitico recente/finaleIn un'area a sud-sud/est di Roma si con-

centrano, con una distanza reciproca che non supera i 5 km, i siti all'aperto di Casale di Val-leranello, Casali di Porta Medaglia, Ponte della Mandriola, Fosso del Cavaliere e Quadrato di Torre Spaccata (quest'ultimo verrà considerato a parte, data la presenza, nella stessa area, di un Eneolitico tardo) (tab. XV). La posizione am-bientale mostra caratteri di omogeneità: si trat-

Tab. XIV - Collocazione altimetrica.

0-50 50-100 Oltre 100Neolitico recente-finale 2 3 1Neolitico recente-finale/ Eneolitico 1 3 4Eneolitico 15 9 7TOTALE 18 15 12

Tab. XV - I siti del Neolitico recente/finale.

Segnalazione/raccolta superficie ScavoPonte della Mandriola Maccarese sito DSetteville di Guidonia Casale di Valleranello

Casale di Porta MedagliaQuadrato di Torre SpaccataFosso del Cavaliere

ta, in tutti i casi, di abitati all'aperto, situati ad altezze moderate (meno di 100 metri) su leggeri pendii, affacciati su fossi la cui configurazione è in parte ancora individuabile (figg. 7-8).

Al di là di parziali differenziazioni nella cul-tura materiale, le datazioni radiometriche dei siti citati indicano una singolare convergenza (Anzi-dei et alii 2002), collocandosi tutti alla fine del V millennio cal. 1σ.

In posizione differente, soprattutto per la quota (115 m slm), si pone Setteville di Guidonia, indiziato solo da raccolte di superficie. Un caso a sé è inoltre rappresentato da Maccarese sito D, dove lo scavo di una tomba a fossa isolata ha confermato il precoce sfruttamento di un habitat particolarmente favorevole.

I siti del Neolitico recente/finale - EneoliticoL'occupazione del territorio sembra essere

sistematica (tab. XVI). Una programmata inda-gine territoriale effettuata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma nel corso degli anni '80 ha

Tab. XVI - Siti del Neolitico recente/finale - Eneolitico.

Segnalazione/raccolta superficie Scavo

Tenuta Torrenova Quadrato di TorreSpaccata

Tufarelle (Allumiere) Le CaprineBufalareccia q. 77 Palidoro

Ripa MaialePoggio OlivastroLa Diga

140 A. MANFREDINI ET AL.

Fig. 8 - Lazio, valle del Tevere: distribuzione dei siti del Neolitico finale.Latium, Tiber valley: final Neolithic sites distribution.

Fig. 7 - Lazio settentrionale: distribuzione dei siti del Neolitico finale.Northern Latium: final Neolithic sites distribution.

141ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

messo in evidenza nell'area del comune di Roma concentrazioni di siti neo-eneolitici che, secondo gli AA., indicherebbero un modello di occupa-zione con brevi frequentazioni, spiegabile forse con la pratica della "shifting agricolture" (AA.VV. 1984, 1986).

Per contro, gli altri siti laziali scavati con in-dagini sistematiche indicano l'occupazione dello stesso luogo per un lungo periodo consentendo di individuare continuità piuttosto che fratture nell'insediamento; gruppi sostanzialmente simili si sovrappongono nel tempo utilizzando, forse in modo differenziato, le stesse risorse.

Affacciato sul bacino imbrifero del Fiora, Poggio Olivastro occupa un rilievo isolato, in vi-sta del mare ed è situato nella bassa valle del Fio-ra, il cui percorso divide ambienti naturali com-pletamente diversi: sulla riva sinistra si estende un tavolato tufaceo, affacciato sulla piana costie-ra, un tempo orlata di dune e stagni costieri, si-tuazione confermata dal rinvenimento di mala-cofauna specifica nei livelli antropici del sito. A poca distanza, La Diga, sempre sulla riva sinistra del Fiora, si affaccia su un attuale sbarramento artificiale del fiume (Pennacchioni 1977; Di Gen-naro 1988)

Gravitante nell'area tolfetana è l'abitato di Tufarelle (Allumiere) anch'esso pluristratificato,

oggetto di iniziali indagini di scavo tuttora inedite (Fugazzola Delpino 1982), motivo che ha spinto a collocarlo nella categoria di ricognizione/recupe-ro; l'abitato era posto a mezza costa su un colle tu-faceo, sulla riva destra del Rio Fiume; le ricerche hanno messo in luce una sistemazione del pendìo a terrazzamenti, con frequentazione dal Neolitico antico all'età del Bronzo. I siti di Bufalareccia e Ripa Maiale, occupano, nello stesso ambito, altu-re naturalmente terrazzate (Bufalareccia q. 77) o posizioni subcostiere; per Ripa Maiale, posto sul-le pendici nord-occidentali del gruppo montuoso tolfetano, il discorso è complesso, trattandosi di una frequentazione a carattere rituale, protrattasi a lungo nel tempo.

Nell'area meridionale sub-costiera si pone il sito di Palidoro, con una lunga sequenza strati-grafica che va dal Neolitico medio all'Eneolitico (Peroni 1965).

Sulla riva sinistra del Tevere si collocano due importanti siti: uno è Quadrato di Torre Spaccata, posto alle pendici dei Colli Albani, nei sedimenti colluviali del paleoalveo del fosso di Gregna, an-tico tributario dell'Aniene; qui, ai margini di un lieve pendìo della collina tufacea, un vasto abita-to dell'età del Rame si sovrappone a un preceden-te villaggio del Neolitico finale (Anzidei 1987); l'altro è il sito di Le Caprine presso Montecelio di

Tab. XVII - Siti eneolitici.

Segnalazione/raccolta superficie ScavoTorre Crognola Bandita San PantaleoLa Diga Codata delle MacinePrimi Archi Maccarese Le CerqueteCava della Scaglia Monte della MuratellaCastelmalnome Casale del CavaliereCecio Torrino Mezzocammino 1Maccarese sito E Torrino Mezzocammino 2Maccarese sito H LunghezzinaMaccarese sito KL Piscina di Torre SpaccataMaccarese sito I Tenuta del TorrinoPaluzzi Cava di Selce (Trigoria)San Gaudenzio Fosso della Selcetta

Tenuta della SelcettaOsteria del CuratoVigna SchiboniMarcellina VecchiaLuni Tre Erici Ponte Sette MigliaCinquefrondiRomaninaTenuta della Mandriola

142 A. MANFREDINI ET AL.

Guidonia (Guidi e zarattini 1993), sito all'aperto, con continuità di occupazione dal Neolitico an-tico all'età del Bronzo, situato ai margini di una pianura, a poca distanza dall'Aniene, delimitato da fossi ora parzialmente colmati.

I siti eneoliticiDopo aver esaminato i siti che presentano

successione di occupazione dal Neolitico fina-le all'Eneolitico, prenderemo in considerazione quelli più recenti, indizio di una nuova frequen-tazione dell'area, legata probabilmente a nuovi modi di sfruttamento del territorio.

Più ricca e articolata si presenta la documen-tazione relativa all'Eneolitico, dove le raccolte di superficie e le segnalazioni rappresentano una minoranza nei confronti dei siti scavati; soprat-tutto per questo periodo, infatti, una serie di scavi sistematici ha permesso di ampliare le nostre co-noscenze di alcune aree, che divengono punti di partenza per avanzare ipotesi sul popolamento.

L'ampio abitato di Maccarese, ad esempio, posto in situazione sub-costiera, ha indicato estensione di abitato e complessità di strutture abitative e di servizio prima difficilmente con-cepibili; la somiglianza tipologica dei manufatti, soprattutto ceramici, con l'area marchigiana, ha ulteriormente messo in evidenza la connessione tra gruppi che in questo periodo, popolavano i due versanti.

Anche la capillare occupazione delle aree a S e SE di Roma acquista una significativa con-sistenza, grazie agli interventi programmati di esplorazione estensiva di abitati e di numerose, piccole necropoli (Anzidei et alii 2007).

Partendo dal Nord, possono in qualche modo essere accumunati a Poggio Olivastro, per la loro posizione geografica e ambientale, i siti di Torre Crognola e La Diga, anch'essi ubicati su pianori terrazzati affacciati sul Fiora; è interessante nota-re come una serie di siti si dispongano regolar-mente sul margine della formazione a travertini, tipica della bassa valle del Fiora (figg. 9-10).

Più interno Primi Archi, presso Tarquinia, che ha rivelato due tombe a forno scavate all'inizio del secolo e Luni Tre Erici, che mostra indizi di fre-quentazione neolitica, posta su un altopiano è in posizione naturalmente difesa, su formazioni tu-facee dai fianchi ripidi, tagliati da corsi d'acqua.

Cava della Scaglia e Bandita San Pantaleo rappresentano testimonianze funerarie al di fuori dell'area nucleare di Rinaldone, ma sono signifi-cative ai fini di una frequentazione più ampia del territorio costiero e sub-costiero; sui monti della Tolfa, Codata delle Macine è un abitato su altura affacciato sul torrente Marangone.

Più a sud, ma sempre in vicinanza della co-sta, in un'area limitata, si addensano i ritrova-menti di Cecio, Castel Malnome (i cui materiali, riferibili probabilmente ad una tomba, suggeri-scono dislocazioni simili alle precedenti testi-monianze funerarie), i siti eneolitici dell'area di bonifica di Maccarese indiziati da un'intensa at-tività di perlustrazione (Maccarese siti E, H, K-L, I) e il villaggio estesamente indagato di Le Cer-quete-Fianello; questi ultimi abitati indicano una frequentazione, sistematica e ripetuta nel tempo, di piccole alture o dune sabbiose, non lontano dal mare, affacciate su un lago interno.

Monte della Muratella, piccola necropoli tut-tora inedita, rappresenta un probabile raccordo topografico con Castelmalnome, posto in una simile posizione ambientale, sulle alture che si affacciano sull'ampia piana costiera.

Per quanto riguarda l'area sulla riva sini-stra del Tevere, sistematiche indagini svolte per conto della Soprintendenza hanno messo in luce abitati e necropoli che ci portano a correggere la nostra visione del popolamento preistorico del Lazio meridionale, suggerendo un'intensità di occupazione che, per altre aree meno esplorate, probabilmente non riusciamo a cogliere. Interes-sante soprattutto la presenza di materiali tipo Rinaldone in contesti di abitato in vari momenti dell'Eneolitico: si possono citare i siti di Quadra-to di Torre Spaccata, Osteria del Curato, Torrino Mezzocammino 1, Casale del Cavaliere, Via Cin-quefrondi.

Situati prevalentemente in pianura, tra il Te-vere e i Colli Albani, si allineano una serie di siti, il più interno dei quali è rappresentato da Casale del Cavaliere, a NE di Roma, posto su un piano-ro tufaceo sulla riva destra dell'Aniene che, in quel punto, circonda l'altura con un'ampia ansa. In posizione simile si pongono i siti all'aperto di Piscina di Torre Spaccata e di Quadrato di Torre Spaccata (del quale si è già detto precedentemen-te), entrambi su colline di formazione tufacea, af-facciati su un affluente di sinistra dell'Aniene; a pochissima distanza, Osteria del Curato, abitato all'aperto posto su zone pianeggianti attraversate da corsi d'acqua.

A meno di un km di distanza tra loro si pon-gono gli abitati di pianura, a SW di Roma, di Tor-rino Mezzocammino 1 e 2, localizzati su antichi terrazzi fluviali del Tevere. Sempre gravitanti nel bacino idrografico del Tevere e dei suoi affluenti sono gli abitati di Tenuta Selcetta e Cava di Selce, anch'essi molto vicini tra loro, su pianori di colline tufacee.

Diverso è il discorso riguardo alle testimo-nianze funerarie: le tombe, alcune delle quali sca-vate o recuperate fortunosamente, testimoniano

143ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

Fig. 10 - Lazio, valle del Tevere: distribuzione dei siti dell'Eneolitico.Northern Latium: Copper Age sites distribution.

Fig. 9 - Lazio settentrionale: distribuzione dei siti dell'Eneolitico.Northern Latium: Copper Age sites distribution.

144 A. MANFREDINI ET AL.

comunque una frequentazione, anche se non sistematica e continua, di un dato territorio: Pa-luzzi e Vigna Schiboni indicano una conoscenza e un probabile occasionale sfruttamento delle ri-sorse dei Colli Albani; lo stesso discorso vale per una tomba a fossa, piuttosto interna, localizzata ai margini dei monti Cornicolani, a Marcellina Vecchia.

Nella periferia di Roma, in aree di pianura, si localizzano le testimonianze funerarie di San Gaudenzio, Fosso della Selcetta e Lunghezzina; quest'ultima, sulla sommità di un pianoro tufa-ceo è una necropoli, con 7 tombe a grotticella e una, più isolata, a fossa.

Le necropoli di tombe a grotticella di Ponte Sette Miglia (13 tombe), Cinquefrondi (6 tombe) e Romanina (21 tombe), poste a poca distanza le une dalle altre, sono state scavate nell'ambito di un progetto di tutela e salvaguardia da parte del-la Soprintendenza Archeologica di Roma (Anzi-dei et alii 2007); il raggruppamento delle tombe, le caratteristiche delle strutture funerarie, i tipi di sepoltura, i corredi indicano strette connessioni con l'area nord-laziale e con quella marchigiana costiera. Questa eccezionale documentazione evidenzia, ancora una volta, la provvisorietà del-le ipotesi da noi formulate, in aree meno indaga-te, sui modi di occupazione del territorio.

OsservazioniForzatamente limitata per la qualità delle te-

stimonianze anche molto disomogenee tra loro, questa rassegna è però sufficiente ad indiziare scelte ricorrenti delle quali, spesso, è possibile cogliere il significato.

Nei momenti più tardi del Neolitico, come era già stato evidenziato (Fugazzola Delpino 1987), molti degli abitati precedentemente fre-quentati vengono abbandonati; i nuovi insedia-menti, non particolarmente numerosi, sembra-no obbedire a scelte locazionali precise, in zone sub-costiere o gravitanti nella valle del Tevere e dell'Aniene: alcuni di questi mostrano una conti-nuità di frequentazione nel tempo che sottolinea, come si è già detto, continuità piuttosto che frat-tura. Per quanto riguarda l'Eneolitico, che in al-cuni casi eccezionali abbiamo considerato fino al Campaniforme, la posizione degli abitati di nuo-vo impianto e la dislocazione topografica delle testimonianze funerarie evidenzia, ancora una volta, l'esistenza di vie sistematicamente percor-se, ipotesi ampiamente suffragata, come è noto, da affinità tipologiche nella produzione ceramica e, più in generale, in tutta la cultura materiale. L'occupazione regolare dei primi tavolati tufacei, nel Lazio settentrionale, indica preferenze per

aree di media altezza, affacciate sul mare ma da questo separate da zone di costa paludose o co-munque umide.

Diverse le scelte nel delta tiberino e nel-la campagna romana, dove altri gruppi hanno scelto di insediarsi: alla decisa situazione di pia-nura costiera e sub-costiera di alcuni siti a nord di Roma (Maccarese, Palidoro ecc.) si alterna, in questa area, ma più a sud, l'occupazione di al-ture delimitate e sagomate da complessi reticoli idrografici, costituiti da torrenti e fossi, non sem-pre attualmente distinguibili (Quadrato di Torre Spaccata, Casale di Valleranello ecc.).

Sono state prese in considerazione e sche-date anche tombe isolate, in aree più interne e a quote elevate, tra i 250 e i 400 m slm (Paluzzi, Vigna Schiboni, Marcellina Vecchia) in quanto anch'esse sembrano segnalare, con la loro pre-senza, abituali vie di percorrenza, permettendo di formulare ipotesi sulla rete di comunicazione dei gruppi (come era stato tentato, a suo tempo, per il territorio del Lazio meridionale; Cazzella 1973).

Tale tipo di analisi dovrà basarsi, oltre che su indispensabili confronti tipologici dei manufatti, su analisi archeometriche che evidenzino le carat-teristiche della ceramica e sulla provenienza delle materie prime quali selce, ossidiana, pietre dure, individuando percorsi complessi e probabilmente diversi tra loro per intensità e lunghezza.

A.M. - M.A.F.D.

4.6. La Toscana: l'ambientePer questo progetto sono state prese in con-

siderazione come aree campione per la Toscana il Valdarno e la Valdichiana, due territori morfo-logicamente variati che offrono utili spunti di ri-flessione per lo studio delle dinamiche insediati-ve, delle articolazioni culturali, delle strategie di inserimento nel contesto ambientale e delle con-nessioni con altri contesti culturali peninsulari.

Il ValdarnoIl contesto ambientale del Valdarno è sicura-

mente eterogeneo e caratterizzato da un sistema costituito da diversi sottobacini relativi a confor-mazioni geologiche e litologiche molto diverse. Indichiamo brevemente quali sono i sottosistemi relativi ai diversi tratti del corso del Fiume Arno da monte verso valle. L'alta valle dell'Arno si ri-ferisce al Casentino e al Mugello caratterizzati dalla presenza di conche intermontane di origine pliocenica, dai rilievi massicci e dai fondovalle ricchi di acque. Il Valdarno Superiore è compreso fra la catena del Pratomagno a NE (caratterizza-

145ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

ta da una fascia superiore di cime ampie e ton-deggianti, caratteristiche del paesaggio arenaceo appenninico che si mantiene a quote elevate fra i 1200 e i 1500 m slm e si presenta come un gran-de contrafforte dell'Appennino - altezza massi-ma, Croce di Pratomagno, m 1591) e i monti del Chianti a SW (altezza massima, in comune di Greve, Monte S. Michele, m 892).

Nel suo complesso il corso del fiume è a più riprese interrotto da strettoie che segnano spesso il distacco tra una pianura o un bacino interno e quelli successivi. In questo caso il pas-saggio dalla conca aretina al Valdarno Superio-re è segnato dalla stretta di Levane; qui l'Arno scorre in direzione SE-NW talvolta erodendo i depositi fluviolacustri; questi sono riconduci-bili a tre principali fasi: la prima nel Pliocene superiore, la seconda nel Pleistocene inferiore ed una definitiva fase di colmamento nel Plei-stocene medio. Una quarta fase di erosione e terrazzamento si ebbe nel Pleistocene superiore con la formazione di una rete idrografica simi-le all'attuale. In tutto il territorio sono messi in luce diversi ordini di terrazzi fluviali che si ar-ticolano sulle valli interne degli affluenti sia in destra che in sinistra idrografica testimoniando una dinamica attiva intervallata da momenti di equilibrio. La conformazione della valle del-l'Arno si articola in destra idrografica attraverso forme stabili e meno soggette ad alluvioni e per questo prescelte fin dall'età etrusca, e in seguito confermate in età romana, come sede per la co-struzione di viabilità (connessione tra Chiusi e Fiesole poi diventata Cassia vetus/Via Clodia) e di insediamenti (Tracchi 1978). La viabilità storica segue un limite morfologico tra la zona collina-re e la fascia pedemontana staccando l'ambiente fluviale da quello alto collinare e montano carat-terizzato dalla presenza di fitti boschi.

È interessante segnalare che a partire dalla quota di circa 250 m slm si sviluppa in direzione del Pratomagno un altopiano molto regolare, fre-quentemente interrotto dalle incisioni dei corsi d'acqua che provengono dalla montagna. Questo costituisce il residuo della superficie di colma-mento del bacino lacustre pleistocenico e in su-perficie si ritiene che non ci siano stati fenomeni erosivi di grande entità permettendo quindi di ipotizzare una buona conservazione delle even-tuali evidenze riferibili alle fasi di frequentazione preistoriche dell'area.

Caratteristiche del Valdarno Superiore sono le "balze", forme erosive dei depositi sabbioso conglomeratici che assumono forme pittore-sche. Il termine del Valdarno Superiore è se-gnato dalla strettoia di Incisa, passata la quale l'Arno vede la confluenza con il fiume Sieve ed

entra, dopo aver percorso un breve tratto in-cassato, nella piana di Firenze-Prato-Pistoia. Si tratta di un bacino intermontano che definisce il Medio Valdarno ed è formato dalla confluenza di acque del Mugnone, del Bisenzio e dell'Om-bone in destra idrografica e della Greve e del Vigone in sinistra idrografica. Questi afflluenti hanno caratteristiche eterogenee per lunghezza del corso, portata e complessità del reticolo e, soprattutto, sono provenienti da diversi siste-mi orografici. Oltre a questo aspetto il Medio Valdarno conserva un carattere "intermedio" in quanto elemento di passaggio dell'asta fluviale dall'area montana all'area pericostiera e costie-ra. La conca intermontana inoltre, attraverso le valli interne che si sviluppano in direzione NE, mette in comunicazione il Valdarno con il ver-sante appenninico e transappenninico fungendo da cerniera tra ambienti geografici diversi.

Il bacino intermontano, costituito attual-mente dalla piana di Firenze-Prato-Pistoia, si sviluppa in forma allungata in direzione NW-SE per circa km 45 raggiungendo un'ampiezza massima di circa km 10. I rilievi che limitano il versante settentrionale sono costituiti dal pre-Appennino e quelli del versante meridionale dalla dorsale carbonatica del Monte Albano e dalle colline del Chianti. L'Arno, dopo aver at-traversato Firenze, solca la piana nella sua par-te sud-orientale uscendo dal bacino alla stretta della Gonfolina. L'area della piana fiorentina, ed in particolare quella relativa a Sesto Fiorentino si trova ai margini nord-occidentali di Firenze e si estende dalle pendici del Monte Morello fino ad occupare un settore della parte centrale del-la piana in destra idrografica dell'Arno. Data la densità di siti relativi alla fascia crono-cultura-le che va dal Neolitico antico al Bronzo finale presenti in quest'area si descrivono con maggior approfondimento le caratteristiche ambientali di questo contesto.

I rilievi del Monte Morello e della vicina Calvana costituiscono un elemento fondamen-tale degli assetti geografici di questa parte do-minando con vette al di sopra dei m 900 slm la sottostante area pianeggiante. Attraverso i loro versanti articolati vanno poi a formare tra i 100 e 50 m di quota una zona meno acclive che costituisce la fascia pedecollinare. I rilievi su-bappeninici consentono la formazione di corsi d'acqua che scendono a pettine verso la piana partecipando attivamente al suo modellamento fino ad entrare, anche attraverso canali artificia-li, nella zona di confluenza con l'Arno. La piana di Firenze-Prato-Pistoia nasce come depressione a carattere endoreico in epoca plio-pleistocenica (Capecchi et alii 1975, cum bibl.) in relazione ai

146 A. MANFREDINI ET AL.

movimenti dell'Appennino che in fase di disten-sione diede origine ai bacini intermontani del Mugello, del Valdarno Superiore, del Casentino e della Valdichiana così come alle faglie norma-li appenniniche ed antiappeniniche. Il lago era alimentato da corsi d'acqua che con i loro de-triti ne compensavano l'abbassamento tettonico. Inizialmente il lago non aveva emissari e la sola evaporazione ne manteneva costante il livello. L'età dei sedimenti del paleo-lago è determinata da fossili di vertebrati ed è attribuibile al Villa-franchiano medio e superiore (Azzaroli e Cita 1967). Gli spessori dei depositi lacustri e fluviali evidenziano un'asimmetria del bacino con ba-sculamento positivo verso NE. Diversi autori (Conedera e Ercoli 1973; Capecchi et alii 1975; Coli et alii 2004) concordano nel pensare che a causa del sollevamento della parte NE (corri-spondente alla zona occupata attualmente da Firenze) si crea un dislivello che rende possibile l'azione erosiva dell'emissario (il paleo-Arno) attraverso la stretta della Gonfolina quando ancora il lago non si era completamente colma-to. Tale ricostruzione spiega bene le differenze litologiche presenti nei sondaggi della piana. Nell'area di Firenze si crea dunque un reticolo fluviale che sbocca nella piana depositando una pseudo-conoide mentre nell'area centrale del-la piana e soprattutto nell'area di Prato-Pistoia continua la sedimentazione lacustre lasciando spazio alla formazione di paludi. Da questo mo-mento l'evoluzione del bacino si differenzia tra l'area occidentale, in cui le condizioni lacustri e palustri permangono fino ad un'epoca recente, e l'area fiorentina sollevata, in cui si instaurano condizioni di erosione e deposizione fluviale ad opera del Fiume Arno e dei suoi affluenti (Coli et alii 2004, p.199 cum bibl.). Il lago viene comple-tamente colmato durante il Paleolitico inferiore dando luogo alla pianura paludosa di Firenze-Prato-Pistoia costituita nella parte sommitale del suo sottosuolo da sedimenti fini argillo-sab-biosi. I rilievi sono inoltre contrassegnati da una serie di faglie che marcano l'andamento vallivo di alcuni corsi d'acqua; fra queste vogliamo sot-tolineare quelle con orientamento NE-SW (che individuano il corso del Torrente Rimaggio e la parte superiore del Torrente zambra). Dal punto di vista ambientale, le analisi dei dati che emer-gono dagli scavi confermano che durante le fasi del popolamento preistorico la piana si presen-tava come un ambiente umido e aperto. Infatti, lo studio palinologico dei sedimenti provenienti dall'abitato neolitico di Neto di Bolasse (Sarti 1985) descrive una vegetazione piuttosto ricca di ambiente temperato umido con una maggiore preponderanza dei taxa non arborei sulle piante

arboree, rappresentate prevalentemente da pini e da latifoglie legate ad ambienti umidi come Ulmus, Corylus, Betula, ed Alnus,; il substrato er-baceo, in cui sono presenti le famiglie Cyperaceae e Ranunculaceae del tipo Caltha palustris, docu-menta la presenza di ambienti palustro-lacustri e di ampie aree umide. In sintesi l'ambiente che ha ospitato il popolamento neolitico ed eneoliti-co nella piana fiorentina doveva essere umido, e dunque ricco di risorse, e sottoposto ad una for-te dinamica alluvionale che prevedeva l'insedia-mento su depositi in continua trasformazione, sottoposti a fasi alterne di erosione e accumulo determinate dalla relazione fra i conoidi di deie-zione e i detriti di falda formatesi alla base dei versanti e lo scorrimento delle acque superficia-li. In questo contesto la paleoidrografia minore giocava un ruolo fondamentale nel determinarsi delle scelte insediative.

Il carattere alluvionale della piana riguarda anche il versante meridionale che subisce dina-miche erosive che hanno intaccato le paleoconoi-di dei corsi della Greve e del Vingone in parte compromettendo la conservazione dei depositi presenti fino alle prime fasi oloceniche (cfr. il po-sizionamento dei siti di San Lorenzo a Greve e Scandicci-Via Deledda: Aranguren e Perazzi 2007; Volante et alii 2008). Complessivamente i contesti preistorici sono potenzialmente compromessi da queste intense dinamiche di trasformazione e in ogni caso risultano sempre sepolti sotto uno spes-so deposito, frutto delle alluvioni storiche e delle opere di bonifica, che non permette di identificar-li in superficie attraverso le attività di survey.

L'Arno, passata la stretta della Gonfolina, attraversa la dorsale del Monte Albano e si apre sul Valdarno Inferiore. Questo ultimo tratto del-l'asta fluviale può essere suddiviso nel segmen-to che dal Monte Albano arriva al nodo fluviale di Pontedera e nel segmento che si apre sulla pianura di Pisa e nei rilievi contermini fino alla foce. Il primo tratto è caratterizzato dalla pre-senza di numerosi affluenti fra cui svolgono un ruolo principale quelli in sinistra idrografica: la Pesa, l'Elsa e l'Era; in destra idrografica invece si segnalano gli ampi paduli di Fucecchio e di Bientina separati dai rilievi delle Cerbaie e sot-toposti in età storica a vari interventi di bonifi-ca e canalizzazione delle acque. Anche lo stesso Fiume Arno è stato arginato e canalizzato in più riprese e i suoi larghi spazi laterali di esondazio-ne sono stati bonificati. La ricostruzione paleo-geografica (Federici e Mazzanti 1988) evidenzia diverse fasi evolutive: dal Pleistocene inferiore l'area è stata occupata dalle acque del Sinus Pisa-nus e del Lago delle Pianore e ha subito notevoli trasformazioni fino a quando durante il Würm

147ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

II il Valdarno Inferiore ha assunto una forma assimilabile agli assetti attuali. L'area presenta quindi formazioni di tipo marino e lacustre e abbondanti sedimenti di origine fluviale pro-venienti dagli affluenti in sinistra idrografica che spesso formano grandi conoidi nel punto di confluenza con l'asse dell'Arno.

Dolci colline di formazione marina e mari-no-transizionale del Pliocene inferiore-medio lambiscono la valle sul versante meridionale ero-so dagli affluenti dell'Arno. Su queste formazioni si trovano i siti di Casa Bagni e Poggio alle Conce, collocati sulla sommità dei depositi sabbiosi ar-gillosi, a breve distanza dalle alluvioni terrazzate oloceniche che si raccordano agli alvei attuali. Si-mile scelta inseditiva si registra sul pianalto del-le Cerbaie in corrispondenza di depositi fluviali del Pleistocene Medio caratterizzati da matrice sabbiosa. I colli sabbiosi probabilmente offrono con le loro componenti geomorfologiche caratte-ristiche insediative di grande attrazione, tuttavia anche le aree di piana, attualmente coperte dal-le alluvioni recenti, dovevano costituire aree di interesse durante la fase del popolamento neo-eneolitico dell'area. Il caso di Podere Casanuova e dei ritrovamenti limitrofi (Aranguren e Perazzi 2003) conferma infatti che scassi occasionali che incidono profondamente il terreno sono l'occasio-ne, talvolta unica, per riportare in luce evidenze archeologiche riferibili al Neolitico o Eneolitico relative alle aree di pianura o ai contesti posti in continuità topografica con alvei fluviali.

Problemi analoghi si registrano nella pianu-ra di Pisa interessata da una dinamica alluviona-le attiva e articolata. La delimitazione geografica della pianura segue i limiti dei rilievi principali, ovvero i Monti Pisani e i Monti d'Oltre Serchio a N con le Colline delle Cerbaie; verso S il pie-de delle Colline Pisane e Livornesi, mentre meno marcato è il limite che si individua con il Lago di Massaciuccoli e il Padule di Bientina. Dal nodo idrico di Pontedera si entra nel sistema idrico ter-minale dell'Arno che assume le caratteristiche di una sorta di "delta interno" formato da un insie-me di idrografia relitta naturale e storica (ad es. il Fiume Morto, il Canale dei Navicelli, i segmenti dei paleomeandri), dalle nuove canalizzazioni e dalla regimazione dell'estuario.

La formazione della pianura è stata interes-sata da numerose trasformazioni (Mazzanti 1994, pp. 74-77) fra le quali si sottolinea lo sviluppo di una serie di lidi dividenti l'area marina da quel-la planiziale - quest'ultima alimentata anche da-gli apporti del Fiume Serchio - e l'impatto che i cambiamenti glacio-eustatici del livello del mare hanno determinato sulla sedimentazione dei de-positi fluviali e retrolitorali. Il substrato superiore

della pianura è caratterizzato dalla presenza di Calcareniti e Sabbie del Pleistocene superiore, dai depositi alluvionali riferibili all'Olocene in cui prevalgono le sabbie in prossimità degli alvei (attuali e antichi) mentre sono più diffuse le argil-le e le torbe nelle aree soggette a impaludamento, e dai depositi sabbiosi dei lidi e dune litoranee. Questi ultimi si sviluppano lungo la costa verso l'interno per un'estensione che varia dai 7 ai 4 km, originati dal sistema dei lidi e dune che se-guono l'andamento del litorale e corrispondono a barre emerse per sovraccumulo litoraneo; zone lagunari o palustri si intercalano nella sequenza dei lidi. Le dune, invece, di origine eolica seguo-no un andamento indipendente rispetto ai lidi e raggiungono anche altezze intorno a m 7.

Risulta importante sottolineare la presenza delle superfici piane dei terrazzi del Pleistocene medio e superiore che si attestano su quote che variano da 30 a 100 m slm.

L'analisi della distribuzione dei siti nella Pia-nura di Pisa mette in evidenza alcune costanti: sul versante dei Monti Pisani e dell'Oltre Serchio i siti in grotta e riparo (Grotta del Castello, Riparo La Romita, Grotta del Leone) sono posizionati sul margine pedecollinare dei rilievi al limite con de-positi alluvionali prevalentemente argillosi e sab-biosi (Olocene) e con coni di deiezione terrazzati. Sul litorale i siti (Poggio di Mezzo, Castagnolo, Coltano e Paduletto di Coltano) sono posizionati sulle dune di formazione eolica o ai margini di esse, spesso in aree di contatto con depositi allu-vionali o con ambienti paludosi posti all'interno della fascia dei lidi costieri ad una distanza fra 5 e 8 km dall'attuale linea di costa. Proseguendo ver-so S si individuano i siti posti alla base delle Col-line Livornesi di composizione sabbiosa, attribui-bile al Pleistocene superiore, che ospitano anche evidenze relative al Paleolitico inferiore e medio. Anche per la Pianura di Pisa, come già commen-tato da Renata Grifoni (Mazzanti 1994), potrem-mo estendere le valutazioni sulla scarsa visibilità in superficie del record preistorico neolitico ed eneolitico relativa a tutte quelle aree interessate dalle alluvioni recenti. Tale riflessione ci induce a considerare come parziali i dati in nostro pos-sesso e a riservarci di approfondire le modalità insediative fra Neolitico recente ed Eneolitico in attesa di nuovi dati che rendano il nostro campio-namento più completo e rappresentativo.

La ValdichianaAlla Valdichiana viene spesso associata in

questo lavoro anche l'alta Valle dell'Orcia, so-prattutto quando si evidenziano i caratteri dei siti neo-eneolitici del Monte Cetona. Il contesto

148 A. MANFREDINI ET AL.

ambientale nel quale sono inserite le evidenze archeologiche considerate è vario; in realtà que-ste due zone vengono unificate in questa sede solo perché limitrofe, ma in verità esse sono dif-ferenziate sia dal punto di vista geomorfologico, geolitologico che paleoidrografico. Il Monte Ce-tona, strutturalemente appartenente al sistema dell'Antiappennino toscano, è una catena che si eleva sino a m 1.148 slm ed è formata essenzial-mente da calcari mesozoici, mentre Pienza, ove è localizzato uno dei siti chiave toscani, è situata su una dorsale (quote inferiori a m 500 slm) costi-tuita da una placca di arenarie e calcari organo-geni pliocenici immersi in un vasto affioramento di argille e argille sabbiose anch'esse plioceniche. La Valdichiana in quanto tale, si identifica nel-l'area interna racchiusa ad E tra le colline umbre e i monti cortonesi ed a W tra il vario sistema collinare-montano che si eleva con andamento quasi parallelo al solco longitudinale della valle separandola dalla Val d'Orcia e dalla Val d'Asso. Questo sistema raggiunge le massime quote con il complesso del Monte Cetona a cui si contrap-pongono sull'altro versante orientale il comples-so montuoso dell'Alta di sant'Egidio che divide la Valdichiana dall'alta valle Tiberina.

Dal punto di vista idrografico la valle, attual-mente solcata dal Canale Maestro Chiana, ha subi-to numerose trasformazioni, la più profonda delle quali risale alla deposizione delle colate basalti-che ed eruzioni tufacee fuoriuscite dai crateri dei monti Volsinii; queste costituirono una barriera trasversale allo sviluppo longitudinale N-S della depressione. Allora le acque si raccolsero in una conca più stretta adducente a Nord al bacino del Valdarno superiore e a Sud alla depressione del Pa-glia. Come in altri bacini interni della Toscana, un progressivo sollevamento del fondo prodotto dai detriti di fiumi e torrenti portò ad una provvisoria sistemazione della valle con tipica conformazione lacustre e vaste aree semipaludose. Queste ultime, via via con l'intervento della natura e, a partire dal IV sec. a.C., anche dell'uomo, si sono ridotte fino ad essere completamente bonificate durante il secolo scorso. Gli interventi idraulici effettuati durante la fase etrusca e romana miravano ad uno sfruttamento delle terre e ad una gestione delle ac-que che permettesse la navigabilità fino a Roma; fu invece durante la bonifica rinascimentale, con-seguente al fenomeno diffuso di impaludamento avvenuto durante il Medioevo, che lo spartiacque della Valle fu invertito e durante il XVI sec. arretrò progressivamente verso Sud facendo confluire al-cuni torrenti nel tratto del Canale Maestro, indotti a defluire verso Nord. Attualmente all'altezza di Chiusi si configura una sorta di spartiacque arti-ficiale che separa la Valdichiana toscana dalla Val-

dichiana romana. Il trasferimento artificiale delle acque dal versante del Tevere a quello dell'Arno ha, dunque, profondamente influenzato il senso di sviluppo della valle e ci ha restituito un siste-ma di gestione delle acque decisamente diverso da quello che doveva essere l'assetto idrografico durante il Neolitico e l'Eneolitico. Possiamo pen-sare alla Valdichiana toscana, inclusi i contermi-ni territori lacustri di Chiusi, Montepulciano e il Trasimeno, come un territorio di transizione o un corridoio ambientale tra i bacini del Tevere e del-l'Arno fiancheggiato da basse colline.

In definitiva, i caratteri ambientali che caratterizzano l'areale della Valdichiana nella fascia crono-culturale neo-eneolitica dovevano essere diversi dagli aspetti fisici attuali: la par-te interna e pianeggiante della valle si configu-rava come un ambiente interessato da trasfor-mazioni a carattere alluvionale dove l'apporto dei detriti doveva contribuire alla dinamica di impaludamento. Più sicure dovevano appari-re le fasce collinari che ospitano gli impianti funerari della Valdichiana aretina occidenta-le, i quali sono collocati in ambiente collinare dalle forme dolci, caratterizzate da quote che variano fra 300-500 m slm. Su questi contesti si individuano alcune evidenze neo-eneolitiche, in particolare il sito di Montemaggiore, col-locato su un dolce versante della propaggine di Bettolle alla confluenza del T. Foenna con il Chiana, e il sito del Teso anch'esso posto sulle dolci colline sabbiose pleistoceniche che lam-biscono i recenti depositi alluvionali e le aree di colmata artificiali. È importante sottolineare in questa sede l'influenza negativa che la crea-zione di deposito alluvionale prima e le azioni di bonifica per colmata poi hanno avuto sulla possibilità di individuare evidenze archeologi-che nelle aree più basse della valle attualmente coperte da depositi successivi alle fasi di fre-quentazione neolitica ed enolitica.

Sul versante orientale della Valle si registra una prevalenza per posizioni a quote più alte come attestano il sito di Battifolle e di San Cristo-foro (che raggiunge la quota di m. 840), colloca-ti in ambiente connesso con il sistema montano e caratterizzato dalla formazione geologica del Macigno.

Nella fascia pedemontana del Cetona le for-me collinari incise sui depositi marini pliocenici assumono dolci morfologie: su questo contesto si trova il sito di Morelli collocato su una formazio-ne pliocenica composta da sabbia e arenarie.

Risalendo la fascia collinare e percorrendo il versante orientale del Monte Cetona si perce-piscono diversi caratteri fisiografici intimamente legati alla varietà degli affioramenti geologici esi-

149ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

stenti. La fascia collinare è dominata dell'impo-nente sistema montano dove la formazione cal-carea crea delle forme dall'aspetto più articolato. Fra gli affioramenti spicca la così detta "scogliera" e si può apprezzare la formazione di estese plac-che di travertino che fratturandosi hanno causa-to il crollo e l'accumulo di enormi blocchi di roc-cia frequentati già dalla preistoria. Sul versante orientale del Monte Cetona si trovano la Grotta dell'Orso, la Grotta Lattaia e l'Antro del Noce.

Analizzando l'articolazione dei rilievi e spostandosi verso W si individua la dorsale che connette i rilievi di Rapolano e quelli del Monte Cetona: questa costituisce un elemento nodale in quanto spartiacque tra i bacini dell'Arno, dell'Or-cia-Ombrone e del Tevere.

Volgendosi dunque sul lato occidentale dei rilievi del Cetona si entra in Valdorcia articolata in forme più dolci in cui la presenza di argille e argille sabbiose pliceniche rende morbide le con-vessità delle sommità e l'acclività dei versanti. Nella valle si individuano anche forme erosive più accentuate e vistose che hanno dato luogo al fenomeno dei calanchi e biancane (sbiancamento delle cupolette argillose) presenti presso Pienza, San Quirico e Radicofani. Dall'antico vulcano di Radicofani e dalle eruzioni del Monte Amiata si sono originate le trachiti che caratterizzano la valle. La genesi vulcanica dei rilievi ha anche una diretta connessione con l'affioramento di copiose acque termali la cui importanza a livello fisiogra-fico è ben nota già dall'età romana. I calcari della serie toscana sono infatti molto permeabili, origi-nando falde profonde da cui le acque risalgono in superficie attraverso le vie preferenziali costitui-te dalle faglie dirette che vanno ad alimentare le sorgenti termominerali.

L'Orcia, dopo aver percorso i primi 10 km con un andamento articolato ed essere sceso di quota di circa 150 m, si apre su una valle più am-pia e da quota 700 m slm scende gradualmente fino alla confluenza con il Fiume Ombrone. Nel-la sua parte centrale la valle è caratterizzata da

depositi alluvionali disposti in una articolata se-quenza dal Pleistocene ad oggi che si aprono in una fascia di circa 2 km intorno all'attuale alveo. Fra le formazioni pleistoceniche si individuano anche aree che possono aver costituito interesse da parte delle comunità preistoriche neolitiche ed eneolitiche come dimostra il sito di Spedalet-to collocato sopra un deposito argilloso-ghiaio-so di formazione pleistocenica individuato alla confluenza dell'Orcia con il Torrente Tresa. Altre strategie insediative caratterizzano l'occupazio-ne delle grotte o ripari che si distanziano dall'al-veo attuale talvolta dominando il corso d'acqua (lo dimostra il sito della Buca di S. Antimo posto nei pressi del contatto fra la formazione Ligure e il Travertino) o il sito di Camigliano connesso visivamente con la valle dell'Ombone da cui si distacca, anche in questo caso per dislivello di quota di circa 150 m.

Un'altra tipologia insediativa della Valdor-cia può essere individuata nel sito di Chiarenta-na: collocato su un contesto ambientale diver-sificato, posto al limite fra conglomerati marini poligenici e argille siltose grigio-azzurre, il sito si trova in corrispondenza di una fascia di depo-siti di versante a ghiaie e sabbie che certamente devono aver offerto una permeabilità e una la-vorabilità maggiore per chi si accinge a svolgere attività produttive o insediative in superficie.

G.P.

4.7. La Toscana: la distribuzione insediamentaleI siti esaminati per le due aree (Valdarno e

Valdichiana) sono complessivamente 46 e la loro ripartizione crono-culturale è la seguente: 12 (di cui uno incerto) sono attribuibili al Neolitico re-cente-finale, tra cui 3 localizzati in Valdichiana e 9 nel Valdarno (tab. XVIII); 39 (di cui 4 incerti) sono riferibili all'Eneolitico, dei quali 16 in Val-dichiana e 23 nel Valdarno (tab. XIX); un sito (La Padula, Livorno) rimane dubbio per la colloca-zione crono-culturale.

Tab. XVIII - Siti del Neolitico recente-finale in Valdarno e in Valdichiana.

Segnalazione/raccolta di superficie ScavoVALDARNO VALDICHIANA VALDARNO VALDICHIANA

Travalle Suese? Sesto F.no-Neto di Bolasse Grotta LattaiaLa Padula? Sesto F.no-NetoVia Verga Antro della Noce

Scandicci-Via Deledda ChiarentanaGrotta del LeonePodere CasanuovaRiparo La RomitaPoggio di Mezzo

150 A. MANFREDINI ET AL.

Tab. XIX - Siti dell'Eneolitico in Valdarno e in Valdichiana.

Segnalazione/raccolta di superficie ScavoVALDARNO VALDICHIANA VALDARNO VALDICHIANA

Settequerce? Il Teso Sesto F.no-Via Leopardi Grotta Lattaia ?Tricolle Battifolle Sesto F.no-Mileto Antro della NoceColtano S. Cristoforo Sesto F.no-Olmicino Antro del PoggettoLaiatico Morelli Sesto F.no-Podere della Gora 1 Grotta S. FrancescoCastagnolo Montemaggiore Sesto F.no-Neto Via Verga Grotta dell'OrsoPaduletto Camigliano Sesto F.no - Volpaia Grotta di GostoPoggio alle Conce Spedaletto Podere Pietrino Buca del LeccioCasa Bagni Ponte a Greve Grotta del BeatoSuese? Montespertoli Buca di S. AntimoLa Puzzolente Riparo La RomitaLa Padula? Grotta del CastelloPodere Uliveto Poggio di Mezzo

Il Valdarno

Per quanto concerne la frequenza dei siti, nel Valdarno sono state censite per questo progetto 32 località, in maggioranza riferite all'età del Rame, con un valore di quasi tre volte superiore a quello delle evidenze del Neolitico recente-fi-nale (figg. 11, 13). Va rilevato che non esistono segnalazioni nel Valdarno superiore aretino re-lative al segmento storico qui considerato e che, prescindendo da scarsi e generici rinvenimenti di pochi manufatti in superficie, alcune testimo-nianze neo-eneolitiche sono localizzate in Valti-berina (Martini cds).

Si rileva quindi nel passaggio dal Neolitico all'Eneolitico uno sviluppo demografico nella zona in esame, sviluppo che si ricollega soprat-tutto ad una fase non iniziale dell'Eneolitico lo-cale. Si tratta di contesti noti per regolari scavi stratigrafici (fa eccezione il sito di Suese, nel Li-vornese, relativo ad un recupero in superficie). È interessante notare che solo in quattro casi (uno con riserva) si rileva una continuità di fre-quentazione nel medesimo sito nel passaggio tra Neolitico ed età del Rame. Tale continuità della presenza umana nel medesimo sito, rara, è limi-tata alla frequentazione a scopo abitativo sotto riparo (La Romita di Asciano) o all'aperto nella piana fiorentina (Neto-Via Verga) e nell'area co-stiera pisana (Poggio di Mezzo). Ad eccezione di Olmicino (pieno Eneolitico) che ha visto un solo momento di frequentazione preistorica (la serie stratigrafica è chiusa da livelli di età orientaliz-zante e romana), quasi tutti i siti di Sesto Fioren-tino sono stati utilizzati in più momenti della Preistoria. A Mileto il primo impianto insediati-

vo risale al Neolitico a linee incise ed è deputato ad un'attività specializzata relativa a strutture di combustione; dopo l'abbandono del sito, l'area è stata di nuovo frequentata nell'Eneolitico inizia-le. In Via Leopardi sono attestati due orizzonti eneolitici precampaniformi. Volpaia ha restituito più orizzonti eneolitici, compreso il Campanifor-me, e una fase ultima di frequentazione relativa all'età del Bronzo. Ancora più articolata è la si-tuazione di Podere della Gora 1, un sito localiz-zato in un'area della piana fiorentina che ha visto ripetute frequentazioni dal Neolitico a linee inci-se sino al Villanoviano. Nel territorio di Scandicci S. Lorenzo a Greve ha visto una serie di impianti dell'età dei Metalli e anche di epoca storica.

In area pisana e livornese sono documentati orizzonti eneolitici monofase in una ristretta fa-scia costiera abbastanza antropizzata (Coltano, Castagnolo, Lajatico, Poggio alle Conce, Casa Bagni, forse La Padula e Podere Uliveto), altri in-sediamenti sono legati a più momenti di frequen-tazione (Grotta del Leone, Grotta del Castello, La Romita, Poggio di Mezzo, Paduletto). Un ampio abitato del Neolitico recente-finale è quello di Po-dere Casanuova presso Pontedera, nel Valdarno pisano, che ha avuto anche un seguito di frequen-tazione nell'età del Rame.

L'aspetto qualitativo dei contesti del Valdar-no (tabb. XX-XXI) non è omogeneo e solo in al-cune aree ha avuto luogo una intensa attività di scavo. L'area fiorentina è interessata dal 1982 da un progetto di tutela e di valorizzazione del ter-ritorio di Sesto Fiorentino che ha portato al rico-noscimento di un'ampia rete di insediamenti dal primo Neolitico all'età del Ferro. In queste sede figurano i siti eneolitici di Mileto, Via Leopardi,

151ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

Fig. 11 - Toscana, Valdarno: distribuzione dei siti del Neolitico finale.Tuscany, Arno Valley: final Neolithic sites distribution.

Fig. 12 - Toscana, Valdichiana: distribuzione dei siti del Neolitico finale.Tuscany, Valdichiana: final Neolithic sites distribution.

152 A. MANFREDINI ET AL.

Olmicino, Volpaia, Podere della Gora 1 e quelli del Neolitico recente-finale di Neto di Bolasse e Neto-Via Verga, quest'ultimo con una serie stra-tigrafica che indica una continuità al passaggio tra Neolitico ed età del Rame. Sulla sponda sini-stra dell'Arno, dell'area fiorentina nel Comune di Scandicci fanno parte i siti di Via Deledda (Neoli-tico recente-finale) e di S. Lorenzo a Greve (Eneo-litico), entrambi oggetto di recenti indagini con conseguenti studi pluridisciplinari.

Tra i siti di segnalazione figurano evidenze rappresentate da pochi elementi fittili e/o litici, eccezionalmente metallici, che sembrano riferibi-li a contesti insediativi. In area pisana e livornese diverse attribuzioni crono-culturali saranno da confermare sulla base di auspicate nuove inda-gini; esse riguardano nel circondario pisano Col-tano, Laiatico, Castagnolo, Paduletto, Poggio alle Conce, Casa Bagni, in area livornese concernono La Puzzolente, La Padula, Podere Uliveto e infi-ne Suese che ad oggi è il più generico. In pratica si tratta di quasi tutti i siti non in grotta del Val-darno costiero, che ha visto rare indagini strati-grafiche all'aperto. In area fiorentina, rimanendo nell'ambito dei siti relativi a recuperi e a ricogni-zioni, al Neolitico risale Travalle, al passaggio Neo-Eneolitico Podere Pietrino, ad una fase ge-nerica eneolitica Tricolle (un elemento in rame) e Settequerce (un'accetta levigata forse eneolitica). Un cenno merita Podere Pietrino, ricollegabile culturalmente a Neto-Via Verga orizzonte 5, dove

è documentata la lavorazione del rame, sulla base di scorie e frammenti di crogiolo.

Nel Neolitico recente-finale la distribuzione di siti all'aperto principalmente lungo il corso fluviale maggiore tende a creare una nuova stra-tegia rispetto al passato. Infatti nel primo Neo-litico le scarsissime evidenze sono localizzate in area costiera (ciò vale, ampliando la prospettiva ad un areale più ampio, per tutto il medio e alto versante tirrenico) oppure in ambienti insulari prossimi ad essa, con una fisionomia di approdi legati sia ad espansioni territoriali sia ad attività economiche specializzate (ossidiana?), o ancora su crinali e lungo valle appeniniche (Garfagna-na, Monte Calvana presso Firenze, Mugello). A questi primi impianti neolitici segue una fase di espansione dalla costa, dove continuano ad essere utilizzati siti più antichi (aree del Livor-nese e del Pisano), verso l'interno, utilizzando le grandi incisioni vallive. Questa modalità di am-pliamento del controllo territoriale, che in Tosca-na si rileva nel Valdarno (Mileto), in Valdorcia (Pienza) e in Valdichiana (Grotta dell'Orso, Grot-ta del Beato, Grotta Lattaia), caratterizza anche altri territori del medio e alto versante tirrenico. Tornando al Neolitico recente-finale, quindi, un elemento significativo pare l'abbandono degli approdi insulari e la frequentazione della zona costiera. Nel Valdarno gli insediamenti, posti in prossimità di corsi d'acqua importanti, talora di grande estensione (Podere Casanuova, Neto-Via

Tab. XX - Tipologia dei rinvenimenti nel Valdarno per fascia cronologica (* attribuzione generica e dubbia).

aperto grotta tomba necropoli aperto+ necropoli rinv. isolato

Neolitico recente-finale 4 1

Neolitico recente-finale+Eneolitico 3 1

Eneolitico 14 1 1 4 *TOTALE 21 3 1 - - 4

Tab. XXI - Tipologia dei rinvenimenti in Valdichiana per fascia cronologica.

aperto grotta tomba necropoli aperto+ necropoli rinv. isolato

Neolitico recente-finale 1

Neolitico recente-finale+Eneolitico 2

Eneolitico 2 6 4 2TOTALE 3 8 4 - - 2

153ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

Verga) e articolati nella organizzazione interna, insistono anche su impianti precedenti (Neto-Via Verga, su livelli VBQ). Le principali incisio-ni vallive possono aver favorito la penetrazio-ne nelle aree montane interne (per esempio, in Valtiberina). Nel pieno Eneolitico in Toscana, al pari di altre zone dell'Italia centrale, si registra un incremento dei rinvenimenti di tipo funera-rio (sepolcreti, piccoli gruppi di tombe, tombe isolate) soprattutto in alcuni territori e al loro confronto le testimonianze relative agli insedia-menti di questo periodo sono più rari. Continua la frequentazione di aree costiere e subcostiere (Castagnolo, Coltano, La Padula), talora con at-tività specializzate (La Puzzolente per la lavora-zione della steatite). Permane la frequentazione di grotte e ripari (Leone, la Romita), non solo a scopo cultuale e funerario, che si protrarrà sino all'età del Bronzo.

Un elemento di dettaglio che merita consi-derazione concerne la localizzazione dei siti del Valdarno in rapporto alla quota altrimetrica (tab. XXII). Essi si estendono in nettissima maggioran-za lungo il corso dell'Arno o a breve distanza da esso, sopra i depositi alluvionali che conformano l'area fiorentina all'interno del più ampio bacino di Firenze-Prato-Pistoia (siti di Sesto Fiorentino) e l'area a NW di Pisa (Poggio di Mezzo), in bassa area collinare del Pisano (Casa Bagni) e del Livor-nese (La Padula, Podere Uliveto) sempre in pros-simità di corsi d'acqua. Eccezionali sono gli stan-ziamenti pericollinari, sia insediativi sotto riparo (La Romita) o all'aperto (Casa Bagni) sia funerari (Montespertoli). Questo parametro di valutazio-ne evidenzia una sostanziale differenza con i siti della Valdichiana (tab. XXIII) (vedi infra).

Non pare fuori luogo, evidenziando i dati geografici, aprire una parentesi e, per quanto concerne il popolamento del solo Valdarno fio-rentino, inserire nel repertorio dei siti anche esi-gue evidenze secondarie che non rientrano tra quelle primarie censite (tab. XVIII), vale a dire gli scarni ritrovamenti di superficie che in ogni caso possono essere ricondotti genericamente ad un ambito Neo-Eneolitico sulla base dei pochi

elementi diagnostici. Ciò permette di evidenzia-re un dettaglio che meglio esemplifica le strate-gie insediative in rapporto alle zone fisiografi-che del Valdarno fiorentino in senso stretto ma anche nelle immediate vicinanze. Tale dettaglio vuole essere anche uno spunto metodologico per eventuali future analisi destinate ad un sistema informativo territoriale, che avrebbe potuto esse-re già applicato se fosse stato possibile realizzare questo progetto "Adriatico e Tirreno a confronto" nella sua versione originaria.

Mentre nel Paleolitico superiore (per il Me-solitico non si può al momento procedere con va-lutazioni su base statistica a causa del bassissimo numero di evidenze) la zona maggiormente fre-quentata è quella a ridosso del corso dell'Arno, con stanziamenti su terrazzi fluviali dell'Arno medesimo o dei suoi affluenti, nel Neolitico e nel-l'Eneolitico i gruppi umani si spostano nel vicino bacino fluvio-lacustre di Firenze-Prato-Pistoia, precedentemente pressoché inutilizzato, dando origine quindi ad un sistema di insediamenti di pianura. Nel Neolitico con uguale intensità altri stanziamenti vengono installati a ridosso del cor-so dell'Arno, sul crinale pre-appenninico e più a S sulle prime pendici del Chianti, mentre nel-l'Eneolitico i passaggi sul crinale preappenninico vedono una certa flessione. In entrambe le fasce crono-culturali non sembra essere stato utilizzato il sistema collinare del Monte Albano localizzato a pochi km dall'incisione fluviale, sul quale sono noti solo rari stanziamenti paleolitici.

Ne consegue che in questa microarea di dettaglio, che corrisponde al tratto mediano del Valdarno inferiore (area fiorentina), la fascia al-timetrica privilegiata è quella sino a 50 m slm, alla quale seguono in modo molto meno incisivo le fasce tra 50-100 m slm e, ancor più seconda-ria, quella tra 100-150 m slm. Due sole evidenze rappresentate da pochi reperti di superficie (at-tribuzione culturale incerta) sono segnalate tra 250-300 m slm. L'analisi delle pendenze delle su-perfici delle aree di insediamento (piana alluvio-nale, terrazzo, crinale etc.) indica una scelta de-cisamente preferenziale per le zone a bassissima

Tab. XXII - Collocazione altimetrica slm dei siti del Valdarno.

0-100 100-200 200-300 300-400 400-500 500-600Neolitico recente-finale 4

Neolitico recente-finale+Eneolitico 2 1

Eneolitico 17 1 1TOTALE 23 2 1 - - -

154 A. MANFREDINI ET AL.

pendenza, pressoché piane, oppure con una pen-denza di pochi gradi. La posizione preferenzia-le nel bacino fluvio-lacustre e in ambienti aperti consentiva un'ottima esposizione all'assolazione annua2. Per quanto concerne le classi geologiche, la scelta preferenziale è rivolta a terreni alluvio-nali recenti dell'Olocene.

Tornando ad una illustrazione dei dati per l'intero Valdarno, da Firenze al mare, nel Neoli-tico recente-finale e nell'età del Rame le tipologie insediative sono abbastanza standardizzate. L'uso delle grotte è saltuario e destinato sia al ricovero sia a pratiche rituali e funerarie. Il modello pre-valente degli abitati, stando alla documentazione acquisita, è quello degli impianti all'aperto in aree pianeggianti interessate da una intensa rete idro-grafica che conferisce al territorio una vocazione all'utilizzo di aree umide. È il caso soprattutto del territorio fiorentino, dove tale modello appare già pienamente acquisito nel Neolitico recente (Neto di Bolasse e Neto-Via Verga che costituiscono un unico abitato, Scandicci-Via Deledda) e destinato ad essere adottato anche nel primo Eneolitico lo-cale e, in seguito, dai gruppi campaniformi (Piz-ziolo e Sarti 2005). Delle fasi neolitiche più antiche si conoscono poche evidenze che non aiutano a definire eventuali modelli insediativi. Infatti, del Neolitico a linee incise è noto l'impianto funzio-nale specializzato con strutture di combustione di Mileto; il sito VBQ di Spazzavento possiede un'ar-ticolazione di fosse polilobate e di piani d'uso che rimandano direttamente agli impianti transap-penninici. A partire dal Neolitico recente-finale si adotta un sistema di drenaggio dei piani d'uso e delle eventuali strutture coperte basato sulla costruzione di una pavimentazione, non troppo potente, con pietrame, ghiaie di fondo canale e re-sti faunistici e fittili. Tale sistema continua nell'età del Rame, con l'adozione anche di avvallamenti naturali di fondo canale (talora già drenati na-turalmente da letti residuali di ghiaie) nei quali viene allestito un piano drenante. Si tratta di un modello che vede soprattutto nel Campaniforme il momento di massima adozione in area fioren-tina e che è destinato ad alcune modificazioni a partire dalla media età del Bronzo. Gli insedia-menti all'aperto (possiamo legittimamente accor-pare in questo caso le due fasce cronologiche), estesi anche su molte centinaia di mq (Neto Via Verga) possiedono aree funzionali, focolari sia in cuvettes poco profonde sia col piano d'appoggio per il combustibile lastricato, sottostrutture per

la combustione dei cibi e per lo stoccaggio (Po-dere Casanuova), rari fori di palo in brevissimi allineamenti, canalette perimetrali (Neto Via Ver-ga), fossette poco profonde la cui funzione resta enigmatica; rimane al momento un caso isolato il fossato artificiale di Podere della Gora 1. A Neto-Via Verga è documentata una zona destinata alle attività metallurgiche. Le strutture coperte non sono evidenti e mancano allineamenti regolari di pali: la loro esistenza è ipotizzata sulla base della densità e della concentrazione dei reperti.

Per quanto concerne l'uso funzionale dei siti, i risultati del nostro censimento appaiono diso-mogenei e sicuramente parziali per cause che ri-guardano la storia e l'occasionalità delle ricerche.

Nel Valdarno inferiore fiorentino sono note evidenze quasi esclusivamente insediative (fa ec-cezione l'inumazione eneolitica di Montespertoli, frutto di un vecchio recupero occasionale). L'as-senza di evidenze funerarie nell'area fiorentina può essere legata al fatto che localmente in quei contesti culturali il rituale funerario non era svol-to all'interno dell'insediamento, area nella quale sono circoscritte le indagini di scavo3. Fa eccezio-ne in area fiorentina la presenza di una inumazio-ne di bambino intra moenia, al di sotto del piano d'uso di una struttura coperta di età neolitica.

Invece in area costiera il focalizzarsi delle ri-cerche soprattutto all'interno delle grotte ha per-messo l'acquisizione di impianti rituali sia duran-te il Neolitico recente-finale (Grotta del Leone) sia nell'età del Rame (Grotta del Castello) oltre che la documentazione anche di un uso utilitari-stico delle cavità. Esso tuttavia rimane dominan-te e concerne sia siti all'aperto costieri (Poggio di Mezzo nel Neo-Eneolitico; Coltano, Paduletto, Castagnolo, La Puzzolente nell'Eneolitico; Suese, La Padula in fasi non determinabili con certez-za del Neo-Eneolitico) sia insediamenti interni nella piana fluviale dell'Arno e dei suoi affluenti (sito neolitico di Podere Casanuova; Casa Bagni, Laiatico, Poggio alle Conce e Podere Uliveto nel-l'Eneolitico), sia frequentazione di grotte e ripari (Grotta del Leone, Grotta del Castello, Riparo La Romita). L'ampio abitato del Neolitico recente-fi-nale di Podere Casanova ha restituito numerose strutture polifunzionali per cottura degli alimen-ti, stoccaggio e altro.

Attività specializzate sono attestate al pas-saggio Neo-Eneolitico a Neto-Via Verga orizzon-te 5 (metallurgia) e nel primo Eneolitico a La Puz-zolente (lavorazione della steatite).

2 L'assolazione annua è stata calcolata come somma della radiazione diffusa e quella riflessa nel punto in cui è posizionato il sito archeologico. Viene espressa in Wh/mq.3 Ciò è confermato, ad oggi, dallo scavo di una piccola necropoli eneo-

litica a Sesto Fiorentino (Sarti, dati inediti), ancora in corso di indagine, non direttamente connessa all'area insediativa per quanto distante poche centinaia di metri. La sua scoperta e la conseguente indagine sul campo sono successive all'elaborazione dei dati di questo progetto.

155ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

A livello di regime economico, va rilevato probabilmente un'attività preferenziale di alle-vamento rispetto all'agricoltura, visto l'aumen-to, rispetto alle fasi precedenti, di ovicaprini e la rarissima documentazione concernente attività agricole. Questa interpretazione potrebbe far ipotizzare un uso stagionale dei siti e una pre-senza periodica dei gruppi umani nel territorio. A tale assetto rimanderebbero anche le tipologie delle strutture coperte, di scarso impegno e, di conseguenza, di difficile identificazione, non-ché i risultati delle analisi polliniche di Neto di Bolasse le quali indicano, in estrema sintesi, un territorio umido, con aree boschive e poco an-tropizzato.

Un elemento per valutare la mobilità dei gruppi umani è rappresentato dalla caratterizza-zione degli areali di approvvigionamento delle materie prime. Nei siti neo-eneolitici del Val-darno è in atto un progetto di studio destinato ad ampliare le conoscenze sul tema, che furono esposte per la prima volta in un lavoro di sintesi sulla Toscana (Martini et alii 1996), il quale rima-ne ancora oggi un punto di riferimento per inda-gini future.

Le analisi su un campione delle produzioni ceramiche relative a due siti dell'area fiorentina inseriti in questo lavoro (Neto di Bolasse, Neoliti-co recente-finale; Sesto Fiorentino-Via Leopardi, Eneolitico) hanno evidenziato la presenza di tre tipi di impasto: con minerali e frammenti lapidei provenienti dalle locali rocce sedimentarie; con frammenti di calcite frantumata e aggiunta al-l'impasto; con minerali e frammenti di rocce pro-venienti dalle masse ofiolitiche. Si tratta di ele-menti che provengono da affioramenti di rocce arenacee, calcaree e ofioliti posti nelle immediate vicinanze dei siti, che connotano quindi una pro-duzione locale.

Per quanto concerne il Valdarno pisano, disponiamo dei risultati di campioni relativi a Grotta del Leone, Poggio di Mezzo e La Romi-ta, localizzati tra il fiume Serchio e l'Arno, in un'area delimitata ad W dal litorale tirrenico e ad E dai rilievi del Monte Pisano, ma anche di analisi sulla ceramica di Podere Casanuova nella piana fluviale presso Pontedera. Anche in questo caso sono stati rilevati due tipi di impasto: con minerali da rocce sedimentarie e metamorfiche locali; con inclusi esclusivamente di calcite fran-tumata e aggiunta. Gli inclusi del primo gruppo sono da relazionare con le rocce del vicino Monte Pisano, anche il secondo gruppo testimonia una produzione locale. Non è fuori luogo notare, in termini di mobilità delle genti neolitiche, che tra le produzioni di Poggio di Mezzo a linee incise compaiono eccezionalmente impasti con inclusi

vulcanici che ampliano l'areale di approvvigiona-mento verso il territorio livornese e l'alto Lazio, con distanze quindi superiori a 50 km. Sposta-menti così rilevanti non sono ad oggi documen-tati dalle analisi mineralogico-petrografiche sino-ra effettuate per la successiva fase del Neolitico recente-finale pisano.

Le informazioni sulle strategie di approvvi-gionamento delle materie prime litiche proven-gono, ad oggi, da una serie di analisi rivolte ad alcuni siti campione (Martini et alii 2006), ma è in atto uno studio che allarga la visuale ad al-tri contesti neo-eneolitici dell'area fiorentina. Il quadro che segue va inteso generalizzabile per le due fasce crono-culturali in discorso, in atte-sa che i nuovi risultati permettano un maggio-re dettaglio in merito ad una microscansione in fasi e facies.

Le produzioni litiche sono ricavate in lar-ga maggioranza da selce locale (Arenarie del Cervarola, Diaspri di Monte Alpi, Formazione di Monte Morello), con valori attorno al 70%, e sono integrate da selci esogene di migliore quali-tà. L'utilizzo della selce locale ha portato ad una produzione standard caratterizzata da un largo spettro di manufatti non ritoccati, nuclei e resi-dui di lavorazione, maggioritari rispetto ai sup-porti sottoposti a ritocco. Al contrario il numero (e anche il peso) dei manufatti ritoccati su selce esogena (Formazioni umbro-marchigiane, di provenienza umbro-marchigiana, nel dettaglio Scaglia Rossa, Scaglia Bianca, Maiolica) supera quello dei non ritoccati; ciò fa presupporre che la materia prima giunta nel sito da lunghe distanze (anche oltre 100 km) fosse introdotta sotto forma di prodotto finito o semilavorato (molto rari o assenti sono i nuclei). Ne consegue che è lecito ipotizzare che tale materia prima fosse raccolta, e lavorata preliminarmente almeno nelle fasi di sgrossamento, in situ, evitando così il trasporto su lunghe distanze. Da questa materia prima eso-gena di migliore qualità sono ricavate preferen-zialmente lame regolari (a sezione triangolare e trapezoidale) e strumenti specializzati a dorso e geometrici.

La modalità preferenziale di approvvigio-namento è la raccolta in alveo, che ha procurato ciottoletti o rocce a spigoli smussati. La zona di raccolta, per l'area fiorentina, è presumibilmente situata lungo la fascia pedemontana dei Monti della Calvana e di Monte Morello, che sovrasta-no il corso dell'Arno al limite orientale del bacino fluvio-lacustre di Firenze-Prato-Pistoia, ma an-che lungo il corso del fiume Sieve, in direzione del Mugello, che ha trasportato rocce (soprattut-to Arenaria di Cervarola) dai conoidi presenti nel Mugello medesimo.

156 A. MANFREDINI ET AL.

La Valdichiana

La Valdichiana, che ha rivestito una grande importanza come via di comunicazione attraverso l'Italia centrale tirrenica, ha sino ad oggi restituito 19 evidenze relative all'arco cronologico preso in considerazione (figg. 12, 14). Come nel Valdarno, anche in questo territorio si rileva un aumento de-mografico nell'Eneolitico, con un rapporto pari a 1:5 circa. Per la zona in discorso molte evidenze sono in relazione alle ricerche di Umberto Cal-zoni sul Monte Cetona; chi scrive ha coordinato un progetto di revisione delle collezioni Calzoni presso il Museo Archeologico Nazionale di Peru-gia al fine di ricomporre i contesti e di valutarne la funzione. Per quanto concerne i problemi e i temi qui affrontati possiamo dire che non sempre per le cavità indagate dal Calzoni è possibile verifica-re una continuità di uso del sito, con l'eccezione di Grotta Lattaia (Neolitico-Eneolitico) e del Riparo del Leccio (Eneolitico-età del Bronzo).

L'aspetto qualitativo dei contesti non è omo-geneo neppure in questa seconda zona della To-scana sottoposta all'indagine e in questo caso ciò dipende dal fatto che in Valdichiana le ricerche archeologiche recenti sono rarissime e che il pa-norama noto si basa essenzialmente su indagini ormai datate, anche qualitativamente di diverso spessore. Nel dettaglio, oltre alle cavità indagate dal Calzoni sul Monte Cetona (Grotta Lattaia, An-tro della Noce e del Poggetto, Grotta di S. France-sco, Grotta di Gosto) prima dell'ultimo conflitto mondiale, altre indagini più recenti procurano dati attendibili, sebbene risalenti ad alcuni de-cenni orsono (Grotta dell'Orso, Grotta del Beato, Buca di S. Antimo), mentre indagini recenti che alzano il livello qualitativo della documentazio-ne sono state condotte solo alla Buca del Leccio sul Cetona e a Chiarentana. Tra i siti di segnala-zione figurano evidenze rappresentate da pochi elementi fittili e/o litici che sembrano riferibili a contesti insediativi (Morelli) e a pratiche fune-rarie (Camigliano, Spedaletto di Pienza e forse Montemaggiore). Scarse informazioni riguarda-no i vecchi recuperi delle evidenze funerarie di

Battifolle, Il Teso, S. Cristoforo, localizzate nella Valdichiana aretina.

Nel Neolitico recente-finale la distribuzione di siti in Valdichiana e zone limitrofe rimanda al modello (vedi supra) di incentivazione della penetrazione dei gruppi umani verso l'interno, attraverso le grandi valli che mettono in comuni-cazione il territorio costiero con i rilievi e i bacini dell'entroterra. L'area Senese condivide col Val-darno, come già detto, questa strategia di colo-nizzazione delle aree centrali della Toscana attra-verso la Valdorcia (Pienza e Grotta del Beato) e la Valdichiana (Grotta dell'Orso, Grotta Lattaia), talora recuperando percorsi già collaudati e siti già utilizzati in precedenza (Pienza e Monte Ce-tona). L'area in discorso potrebbe aver favorito la diffusione dei gruppi umani verso la cresta ap-penninica dell'Alta Valtiberina e dell'Umbria.

Per quanto riguarda la localizzazione dei siti in rapporto alla quota altimetrica (tab. XXIII), nel confronto con quanto è stato rilevato nell'area del Valdarno (vedi supra) dove gli stanziamenti sono soprattutto di pianura, in Valdichiana il campio-ne disponibile, che certamente risente dell'enfa-si dovuta alle ricerche sul Monte Cetona, indica stanziamenti collinari prevalenti. Riteniamo che questa osservazione, fondata tra l'altro su un nu-mero non rilevante di effettivi, non possa essere considerata del tutto significativa, vista anche la scarsità delle ricerche nelle zone della Valdichia-na a bassa quota, e che quindi rifletta una conse-guenza della storia delle ricerche. In questo con-testo del tutto fluido e aleatorio, per quanto possa valere segnaliamo che gli impianti funerari della Valdichiana aretina sono collocati in ambiente collinare fra 300-500 m slm (Il Teso e Battifolle) o di pianura (S. Cristoforo, 25 m slm).

La documentazione relativa alle tipologie delle strutture in Valdichiana e nelle aree limi-trofe è scarsa e differenziata: a Chiarentana l'im-pianto è costituito da un'ampia e profonda cavità a profilo irregolare, mentre a Pienza, in Val d'Or-cia, le aree del Neolitico recente indagate da G. Calvi Rezia su un'estensione limitata sono poco strutturate, forse con focolari.

Tab. XXIII - Collocazione altimetrica slm dei siti in Valdichiana.

0-100 100-200 200-300 300-400 400-500 500-600Neolitico recente-finale 1

Neolitico recente-finale+Eneolitico 2

Eneolitico 1 4 5 5TOTALE 1 - 4 - 8 5

157ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

Fig. 14 - Toscana: Valdichiana: distribuzione dei siti dell'Eneolitico.Tuscany, Valdichiana: Copper Age sites distribution.

Fig. 13 - Toscana: Valdarno:distribuzione dei siti dell'Eneolitico.Tuscany, Arno Valley: Copper Age sites distribution.

158 A. MANFREDINI ET AL.

La grande struttura infossata di Chiarentana rimanda alle tipologie coeve marchigiane (cavità di diverse dimensioni, tra loro adiacenti o ravvi-cinate, generalmente abbastanza profonde) piut-tosto che agli impianti infossati della Toscana set-tentrionale, in ragione della notevole profondità della cavità. L'unico impianto infossato in area valdagnese è quello di Spazzavento, relativo ad un contesto insediativo VBQ, che rimanda a tipo-logie transappenniniche.

Per quanto concerne l'uso funzionale dei siti, un problema assai discusso riguarda le cavità sca-vate dal Calzoni a Cetona (Antro della Noce, An-tro del Poggetto, Grotta di S. Francesco) e le grotte carsiche (Lattaia e Gosto); per esse non sempre è possibile verificare un esclusivo impiego rituale-funerario che è certamente attestato ma che non parrebbe così enfatizzato come alcuni AA, anche recentemente, hanno voluto sostenere (Balducci et alii 2007). Le recenti indagini hanno fatto emer-gere impianti insediativi anche di lunga durata dall'Eneolitico all'età del Bronzo (Buca del Leccio sul Monte Cetona). L'utilizzo della grotta ad uso insediativo con occasionali pratiche simboliche e rituali è documentato nelle altre cavità del terri-torio in un'articolazione diacronica della doppia funzione assai complessa. Ad esempio a Grotta dell'Orso evidenze funerarie risalgono al primo Neolitico, durante l'età del Rame la caverna sem-bra utilizzata solo a scopo insediativo, mentre il doppio uso caratterizza l'età del Bronzo. Nella Valdichiana aretina sono localizzate le evidenze funerarie eneolitiche di Il Teso, di Battifolle e S. Cristoforo, relative a vecchi recuperi occasionali, con metodologie oggi superate e del tutto scis-se da notizie sulle strategie insediative coeve. La presenza di alcune evidenze insediative in zone limitrofe (Valtiberina) sottolinea la parzialità del dato oggi disponibile per questo territorio.

In merito alla caratterizzazione degli areali di approvvigionamento delle materie prime, i dati disponibili per le produzioni ceramiche sono molto scarsi (Martini et alii 1996), ma sufficienti per evidenziare un quadro che sarà ampliato con l'avanzamento di un progetto di ricerca attual-mente in atto presso il Laboratorio di Archeome-tria del Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria. Le analisi degli inclusi su campioni di Grotta del-l'Orso (Neo-Eneolitico) e Grotta del Beato (Neo-Eneolitico), ai quali aggiungiamo per confronto quelli di Pienza (Neolitico), indicano una com-posizione omogenea, comprendente una compo-nente sedimentaria reperibile localmente e una componente vulcanica esogena relativa agli affio-ramenti vulcanici del Monte Amiata. All'interno della serie neolitica di Pienza si coglie una cre-scente complessità composizionale nei livelli più

recenti. Infatti nei livelli a ceramica impressa gli inerti sono di natura sedimentaria, sedimentari sono anche gli inerti della ceramica a linee incise ma con aggiunta di calcite. Nei livelli più recenti del Neolitico la composizione degli impasti è più variata e alle rocce utilizzate nelle fasi precedenti si uniscono ora minerali derivati da rocce verdi. La provenienza di queste ultime non è attual-mente definibile: nelle immediate vicinanze del sito esse sono assenti, ma qualche affioramento è noto a distanze non troppo elevate. Mancano ad oggi analisi sulle materie prime litiche.

Osservazioni conclusive sulle due aree campione della Toscana

La frequentazione umana nel Valdarno è sufficientemente documentata ad oggi solo nel suo tratto inferiore tra Firenze e la costa tirreni-ca, lungo il corso dell'Arno e in alcune incisioni secondarie dei suoi affluenti maggiori. Una certa frequentazione si registra anche lungo la fascia costiera tirrenica del Livornese e del Pisano. Il Valdarno, che è stato preso come zona campio-ne all'interno di questo progetto in quanto è una delle aree toscane meglio note, possiede al suo interno una documentazione non omogenea che è senza dubbio frutto della inevitabile casualità della storia delle ricerche. Infatti la grande quan-tità di informazioni per l'area fiorentina nasce da un progetto ormai quasi trentennale di inve-stigazione sistematica del territorio, ricerche in-tensive di superficie sono state condotte già da alcuni decenni nel tratto mediano del Valdarno inferiore e nelle zone attorno a Pisa e sui rilievi circostanti, allo stesso modo la fascia costiera è stata da tempo oggetto di ricerche di superficie e di segnalazioni, anche se ad esse solo raramen-te hanno fatto seguito scavi regolari. Al di fuori quindi di queste tre microaree, passate attraver-so il vaglio sistematico di survey ad opera degli Enti istituzionali e di Gruppi Archeologici, altre microaree del Valdarno hanno ricevuto sino ad oggi minore attenzione e quindi il quadro che oggi si delinea potrebbe essere suscettibile di cambiamenti.

Le microaree campione all'interno della macroarea considerata sembrano indicare una strategia insediativa ricorrente, caratterizzata da insediamenti più o meno ampi e strutturati a bassa quota e a breve distanza dal corso prin-cipale dell'Arno. Ciò vale per l'area fiorentina, sino quasi all'attuale confine amministrativo con Pisa, in particolare sino a Pontedera, dove tra la fine del Neolitico e il pieno Eneolitico sino alla diffusione del Campaniforme si osservano modelli insediativi che paiono costituire uno

159ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

standard. Nelle epoche precedenti siti paleo-me-solitici del Valdarno ed aree limitrofe erano loca-lizzati sui rilievi circostanti la valle dell'Arno o su terrazzi fluviali a bassa quota, con particolare riguardo in area fiorentina al sistema collinare a S dell'Arno medesimo (colline delle Cerbaie) e al comprensorio di Empoli-Montelupo Fiorentino, dove sono noti contesti acheuleani e musteriani e, più raramente, del Paleolitico superiore (Gali-berti 2002). Il primo utilizzo della piana fluviale è documentato dal Mesolitico di Olmicino a Se-sto Fiorentino (si ricorda anche il sito di Levane a Terranova Bracciolini presso Arezzo, nel Val-darno superiore, localizzato sull'attuale sponda dell'Arno), che viene poi seguito da una serie di insediamenti neolitici e poi eneolitici e dell'età del Bronzo con un costante aumento delle evi-denze che testimonia una progressiva interazio-ne col territorio, legata alla capacità di utilizzare le risorse disponibili e le possibilità di scambi e contatti legati al corso del fiume e dei suoi af-fluenti, dimostrando una sapienza ambientale che deriva forse proprio dalla standardizzazione di un sistema comportamentale nel territorio.

Un cenno all'area limitrofa al Valdarno verso il sistema appenninico, che ha restituito più scar-se evidenze per i periodi più antichi della prei-storia e che solo con la deglaciazione a partire dal Tardoglaciale vede una sistematica frequentazio-ne dei rilievi. È il caso del Mugello, dell'Appenni-no pistoiese e della Valle del Serchio e della Gar-fagnana, che tuttavia costituiscono, con le loro scarsissime evidenze archeologiche, dei distretti apparentemente non collegati al Valdarno che nel periodo qui in esame sembra aver avuto la fun-zione di catalizzare l'interesse delle comunità di agricoltori-allevatori. La loro importanza risiede nelle possibilità offerte agli ultimi cacciatori-rac-coglitori mesolitici di risalire i rilievi utilizzando le aree deglacializzate per le battute di caccia o per l'approvvigionamento di materie prime. Inoltre i passi dell'Appennino tosco-emiliano-romagno-lo sono stati zona di transito per i primi gruppi neolitici della ceramica a linee incise (Muraccio, Pian di Cerreto nella Toscana occidentale, Cialdi-no in Mugello) che hanno incontrato qui gruppi castelnoviani che recepiscono alcune innovazioni neolitiche (Cantagrilli sui rilievi a N di Firenze) (Baglioni, Dini et alii cds). Il Neolitico a ceramica impressa è ben noto in Toscana nel circuito co-stiero e nel sistema degli scali dell'arcipelago to-scano (Tozzi e Weiss 2000; Grifoni et alii 2001); più rare evidenze nella Toscana centro-meridionale dimostrano il superamento del modello della dif-fusione costiera e, attraverso alcune valli interne, raggiungono la Valdichiana (Grotta dell'Orso) e valli minori limitrofe (Pienza in Val d'Orcia).

Il quadro relativo al primo Neolitico del Valdarno e della Valdichiana è quindi articolato e concerne la diffusione dell'impressa tirrenica in area costiera e delle linee incise nell'interno e in area appenninica, anche con attestazioni, su base stratigrafica di contesti sicuri, di incontro e di commistione (Pienza, Grotta dell'Orso). L'at-testazione del VBQ nelle due aree campione in discorso concerne soprattutto Spazzavento a Se-sto Fiorentino, che ha restituito molto materiale ceramico e litico di connotazione settentrionale e che possiede un impianto insediativo che risente dei modelli transappenninici; attestazioni spora-diche con rari elementi fittili VBQ sono segna-lati a La Romita, a Massaciuccoli in Versilia, in area fiorentina a Scandicci-Via Deledda (Volante et alii 2008) e in Valdichiana a Chiarentana, in contesti che, quando datati, sono più recenti di Spazzavento (Sarti 2006). Tali attestazioni, non numerose, potrebbero essere indicative di una lacuna di conoscenze oppure di un effettivo calo demografico nella zona. In effetti in base al nu-mero delle evidenze note, il Valdarno e tutta la Toscana settentrionale vedono un aumento delle comunità agricole-pastorali a partire dal Neoliti-co recente-finale, con aspetti anche locali ricolle-gabili a caratteri chasseani e lagozziani. I recenti ritrovamenti di Scandicci-Via Deledda e di S. Lo-renzo a Greve, entrambi in territorio fiorentino ma a Sud dell'Arno, ampliano le conoscenze sul territorio e fanno prospettare la possibilità di una consistenza demografica anche a Sud dell'Arno medesimo a partire dal Neolitico finale.

In questa fase, sebbene si rilevino esiti pro-duttivi microregionali, è evidente una certa omogeneità culturale che accomuna la Toscana interna e quella costiera. La collocazione geogra-fica del Valdarno inferiore, tra Firenze e la costa tirrenica, certamente ha facilitato i contatti tran-sappeninici attraverso le valli orientate verso N; si consideri inoltre che il Valdarno superio-re è geograficamente strettamente connesso alla Valtiberina e a possibili vie di transito sia verso l'Adriatico attraverso l'Appennino sia verso l'Ita-lia centrale lungo la Valdichiana. Tale posizione ha fatto di quest'area della Toscana settentriona-le, a partire dal Neolitico, un'area culturalmen-te vivace. Le influenze culturali del Valdarno fiorentino con altre aree riguardano soprattutto l'ambiente transappennino già nel primo Neoli-tico sino al segmento occupato dalla facies VBQ.

Nella successiva fase recente-finale i contatti verso N si mantengono ma si integrano con rap-porti con realtà centro-meridionali e adriatiche. Le affinità tra le regioni interne della Toscana settentrionale e delle Marche, evidenziate dal-le produzioni ceramiche (Baglioni et alii cds),

160 A. MANFREDINI ET AL.

sembrano assumere un peso maggiore grazie alla più o meno contemporanea introduzione della metallurgia. Presenze di tipo Ripoli tardo, al momento meno numerose e forse lievemente più avanzate, sono note nel sito umbro di Norcia e nel Valdarno pisano e fiorentino a S. Rossore (Bagnone 1982), a Neto-Via Verga orizzonte 5 (Volante 2003) e a Scandicci-Via Deledda (Volan-te et alii 2008). Precisi rapporti tra area toscana tirrenica, marchigiana ed emiliana sembrano collegare il gruppo di siti dell'area montana in-terna (Attiggio strato 6, Pianacci orizzonte su-periore e Cava Giacometti), databili al primo quarto del IV millennio a.C (cronologia calibra-ta) con i complessi dell'area fiorentina (Neto-Via Verga orizzonte 5) ed emiliana (Spilamberto-sito III). Tra la metà del VI e la fine del V millennio cal. BC l'area del Valdarno sembra caratterizzata da tradizioni culturali diverse che interagiscono con una certa variabilità anche in ambiti territo-riali ristretti. Una singolare e per ora originale affinità con l'area adriatica emerge a Scandic-ci-Via Deledda (Volante 2008), dove convivono tradizioni che rimandano al VBQ, al gruppo Chassey-Lagozza e ad apporti meridionali di tipo "Diana". La componente adriatica riman-da alla sfera di Ripoli-Fossacesia e di Ripoli-S. Maria in Selva (ceramica pseudofigulina, alcune morfologie di impasto fine e grossolano, alcuni elementi di presa tra cui quelli a lobi etc.); questa direttrice E-W lascia traccia in Umbria (capanna di Norcia e Grotta del Lago di Triponzo) e nel Lazio a SE di Roma (Quadrato di Torre Spaccata, Casale di Valleranello, Casali di Porta Medaglia), continuando una tradizione di contatti che risale già al primo Neolitico. Dobbiamo rimarcare, tut-tavia, che nel Valdarno la componente adriatica è saltuaria e minoritaria rispetto agli influssi set-tentrionali e non determina l'imprinting locale che è condizionato soprattutto da elementi occi-dentali chasseani, uniti ad un apporto VBQ che deve ancora essere messo a fuoco con maggiore chiarezza. Infatti, stando all'indicatore ceramico, sporadici elementi adriatici hanno raggiunto la costa tirrenica (San Rossore), probabilmente at-traverso il corso dell'Arno (Neto-Via Verga oriz-zonte 5, Scandicci-Via Deledda) in una fase tarda del Neolitico, al passaggio all'età del Rame, tra V e IV millennio. I contatti con l'ambiente adriati-co, che la Toscana nord-orientale condivide con alcune zone della Romagna, potrebbero aver se-guito percorsi transappenninici (Volante 2008) coinvolgendo ipoteticamente anche il Mugello.

La Valdichiana, invece, come la Toscana merdionale in generale, sembra aver istituito nel Neolitico una rete più articolata e meno saltuaria di contatti con l'ambiente adriatico. Ne farebbe-

ro fede le evidenze che rimandano al versante medio-adriatico sin dalle fasi più antiche della cultura di Ripoli (forme fiascoidi figuline a Pien-za tagli 9 e 10 del saggio VI, associate a cerami-ca a linee incise ed impressa) e che proseguono nel Neolitico recente-finale nelle produzioni di Chiarentana (Volante 2008).

Il quadro ad oggi evidenziabile sembra te-stimoniare, nelle sue linee generali, l'esistenza in Italia centrale di una via preferenziale di collega-mento su un asse EW lungo il quale l'area abruz-zese-ripolina avrebbe direttamente contattato i territori laziali ed umbri mentre, più a Nord, si può supporre che gli apporti da Ripoli, in verità più sporadici, siano stati mediati dall'esperienza marchigiana e che abbiano raggiunto i territori occidentali attraverso vie di passo dislocate in più punti della dorsale appenninica, non ultime quelle tosco-romagnole, in un momento forse re-cenziore. Le presenze di Ripoli ad W della cresta appenninica sembrano attestate durate le ultime manifestazioni del II aspetto del Neolitico mar-chigiano, perdurando sino a tutto il primo quar-to del IV millennio a.C. (in cronologia calibrata). Più tardo potrebbe forse essere il movimento contrario, grazie al quale elementi occidentali, di stampo francese, sarebbero stati accolti nelle re-gioni marchigiane a partire dal III momento del locale Neolitico. Questo ritardo apparente risulta tanto maggiore quanto sempre più antiche risul-tano le testimonianze di carattere chasseano pre-senti lungo il versante tirrenico, in associazione anche con elementi padani di tipo VBQ, Diana e Serra d'Alto. Altrettanto antiche risultano le testimonianze occidentali nell'area abruzzese, anche qui associate ad elementi di stile Serra d'Alto e Diana. Tale documentazione, in assenza di datazioni radiometriche per il terzo momento del Neolitico regionale, tende ad isolare la realtà marchigiana rispetto alle altre realtà dell'Italia centrale in attesa di ulteriori chiarimenti.

In Toscana la fase di passaggio all'età del Rame è meno documentata rispetto all'area mar-chigiana. In questo momento formativo nell'area fiorentina il contesto produttivo ceramico e litico presenta la persistenza di modelli stilistici neo-litici associati ad elementi di ampia circolazione che vengono recepiti e reinterpretati talora con originalità. In questo quadro assai articolato, an-che per gli apporti da varie regioni, compaiono elementi (cordonature, superfici rese scabre me-diante varie tecniche) che saranno poi enfatizza-ti nei successivi contesti locali dell'età del Rame intorno alla metà del millennio. Anche nella To-scana nord-occidentale (La Romita livv. 11-10) è forse documentato un aspetto analogo, risalente ad una fase iniziale dell'Eneolitico, permeato di

161ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

elementi legati alla tradizione neolitica. A Sesto Fiorentino si registrano le uniche testimonianze della lavorazione di rame (frammenti riferibili ad un crogiolo) e di oggetti finiti (una lesina a sezione quadrangolare).

Dopo questa fase formativa, ancora legata alla tradizione neolitica, i caratteri delle pro-duzioni eneolitiche sui due versanti dell'Italia centrale sono, come altri Autori hanno già rile-vato, alquanto articolati e mostrano fisionomie originali e in parte diversificate, al cui interno si osservano caratteri indicativi di relazioni re-ciproche4. In Toscana le produzioni eneolitiche intorno alla metà del millennio non sono omo-genee. Sono evidenti aspetti conservativi circo-scritti territorialmente in area pisana e in Versilia (facies di di Vecchiano) che presentano caratteri evolutivi con valenza locale e poco variati; il ca-rattere prevalentemente centripeto è dato dalla rarità di elementi che escono da quel limitato ambito territoriale verso un'ampia circolazione. Altri aspetti, invece, relativi ai gruppi del Val-darno fiorentino e delle grotte del Senese (ad esse si uniscono anche le evidenze grossetane), sebbene inseriti anch'essi in un ambito geogra-fico circoscritto (la cui estensione non sempre è chiaramente individuata), mostrano, insieme a forti legami con la tradizione locale, una mag-giore capacità centrifuga e un inserimento nella rete di scambi e di relazioni.

I contatti tra Marche e Toscana nella secon-da metà del millennio appaiono più consistenti e puntuali se limitati alla Toscana meridionale (tombe a forno e produzioni rinaldoniane). La Toscana nord-orientale mantiene una connota-zione più locale, tuttavia l'esistenza di relazioni con l'ambiente adriatico è documentata dall'ado-zione, per quanto non abbondante e sporadica, di elementi formali e decorativi quali le forme composte e le forme troncoconiche con ansa sull'orlo, il motivo della rosetta, i segmenti di cordoni ad impressione, il decoro a puntini, le solcature. Non va dimenticato, per inciso, che selce marchigiana compare nelle produzioni li-tiche fiorentine, probabilmente nel solco di una diffusione di certi particolari litototipi iniziata da molto tempo5.

F.M.-L.S.-N.V.

5. Le nuove datazioni nel quadro cronologico dell'Ita-lia centrale

Un aspetto rilevante della ricerca, che si è voluto conservare nonostante la forte riduzione del finanziamento, è quello riguardante le data-zioni radiometriche di alcuni siti-chiave collocati nell'arco di tempo da noi preso in esame. Non sempre alle nostre scelte corrispondeva una buo-na disponibilità di campioni, trattandosi, in molti casi, di vecchi scavi.

Alcuni di questi siti (Bandita San Pantaleo, Santa Maria in Selva, Pianacci), scoperti e inda-gati alcuni decenni orsono, rappresentano conte-sti molto noti in letteratura, ai quali il nostro pro-getto intendeva dare una collocazione cronologi-ca in termini assoluti, che confermasse o meno le ipotesi elaborate su base tipologica.

Altre datazioni sono state effettuate su cam-pioni provenienti da siti più recentemente inda-gati (Podere della Gora, Verga, Torrino Mezzo-cammino 2), con lo scopo di integrare e confer-mare l'inquadramento cronologico già noto; nel caso di Verga, sembrava importante la possibilità di collocare in modo più puntuale il momento di passaggio in Toscana tra fine Neolitico ed Eneo-litico.

Tra questi contesti risulta di particolare in-teresse la nuova data di Maccarese, effettuata su un campione proveniente da un ritrovamento ancora inedito: nell'ultima campagna di scavo effettuata (2002) sono stati rinvenuti resti di un incinerato, riferibile alla fase più antica di occu-pazione del villaggio.

Infine, si è ritenuto opportuno inserire nel programma di datazione altri contesti funerari collocati al di fuori delle nostre aree campione: la tomba a grotticella di Casanuova di San Biagio in Umbria rappresenta, per il tipo di struttura e per il materiale di corredo, un complesso di chiara impronta rinaldoniana in una strategica zona di contatto tra i versanti tirrenico e adriatico.

Analogamente, la necropoli di Poggialti Val-lelunga era stata presa in considerazione per po-ter agganciare ad una griglia cronologica assolu-ta testimonianze tipiche della facies di Rinaldone all'interno dell'area nucleare eponima; purtroppo la datazione non è andata a buon fine per la totale mancanza di collagene nelle ossa analizzate.

Ci è sembrato inoltre opportuno cogliere l'occasione per tentare due datazioni su campio-ni provenienti da Ponte S. Pietro (una delle quali fallita per mancanza di collagene) e una da Fon-tanile di Raim.

Si presentano qui di seguito le schede relati-ve ai contesti datati, divisi per regione.

4 Sarti 1998; Cazzella e Moscoloni 1999; Cazzella 2000; Cocchi Genick 2000; Anzidei e Carboni 2000; Boccuccia et alii 2000; Manfredini et alii 2000; Sarti e Martini 2000; Manfredini, a cura di, 2002.5 Per la Toscana G. Pizziolo ha curato il tema ambientale e geografico, le riflessioni sugli aspetti insediativi e i contesti culturali si devono a F. Martini, L. Sarti e N. Volante con uguale contributo.

162 A. MANFREDINI ET AL.

Fig. 15 - Elenco delle datazioni effettuate nell'ambito del progetto.Radiocarbon dates carried out as a part of the project

163ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

S. Maria in Selva di Treia (Marche)La serie di datazioni ottenuta per le strutture 2

(1, 2) e 4 (a, c, d) di S. Maria in Selva di Treia confer-ma la sequenza crono-culturale proposta per il sito marchigiano sulla base della tipologia ceramica. Sia la struttura 4 che la struttura 2 si inquadrano negli esiti finali del Neolitico marchigiano (tra la fine del-la II e l'inizio della III Fase, Manfredini et alii 2005) ma nello specifico la struttura 4, per alcuni caratteri tipologici e tecnologici, appare precedente alla 2 e, probabilmente, la più antica della quattro strutture scavate (Sarti et alii 2005). La struttura 2, nella quale sono stati per altro ritrovati alcuni manufatti in me-tallo, ha caratteri più evoluti. La coerenza delle date radiometriche rispetto alla successione proposta per le diverse strutture sembra invece contraddirsi nella sequenza interna alla struttura 2. Se infatti è esatta l'interpretazione dei dati dello scavo Lollini, secondo cui i numeri che seguono la struttura do-vrebbero corrispondere a tagli artificiali (Martini et alii 2005), i tagli 1 e 2 avrebbero restituito datazioni invertite.

Pianacci dei Fossi di Genga (Marche)Per questo sito sono state eseguite datazioni

relative a due focolari in fase con il livello 1. No-nostante il discreto scarto cronologico tra le due misure, entrambe appaiono coerenti con l'inqua-dramento proposto sulla base della tipologia liti-ca, nell'ambito dell'ultimo Neolitico marchigiano (Fase III) (Baglioni 2005).

Casanuova di San Biagio (Umbria)La data di 4396±60 BP, 3130-2890 cal. BC 2σ è

stata realizzata sul femore della sepoltura di ma-schio adulto della tomba a grotticella rinvenuta a Casanuova di San Biagio6: si tratta di un'inuma-zione singola incompleta, mancante del cranio e di altre ossa. La tomba rappresenta la prima strut-tura ipogeica rinvenuta in Umbria, anche se una serie di tombe a fossa rinvenute nella regione tra la fine dell'800 e i primi del '900 (Pozzuolo, Poggio Aquilone, Spoleto, Narni e Cerreto di Stroncone) potrebbero rientrare in questa tipologia tombale. Anche se questo ritrovamento non è inserito nelle aree campione di questo progetto, si è colta l'op-portunità di puntualizzare la sua posizione crono-logica per l'importanza del contesto. Infatti, que-sta tomba, probabilmente parte di una più ampia necropoli, mostra nel corredo caratteri formali che la accomunano alle coeve facies tirreniche eneoli-tiche. Il corredo è costituito da un vaso a fiasco, una ciotola e tre manufatti in rame, un'alabarda, un pugnale e un'ascia. La data conferma l'inqua-dramento proposto da De Angelis (1995-96) in un momento avanzato della facies di Rinaldone, tra la fine del IV e l'inizio del III millennio.

Tab. XXIV - I siti datati.

regione sito nuMero cAMpioni

MArche S. Maria in Selva 5

Pianacci di Genga 2

uMbriA Casanuova di S. Biagio 1

lAzio Ponte S. Pietro 1

Fontanile di Raim 1

Bandita S. Pantaleo 1

Maccarese Le Cerquete 1

Torrino Mezzocammino 2 1

toscAnA Podere della Gora 1B 2

Podere della Gora 2 1

Podere della Gora 5 2

Verga 5 3

6 Si ringrazia la dott.ssa Maria Cristina De Angelis per aver fornito il campione osseo della sepoltura di Casanuova di San Biagio.

164 A. MANFREDINI ET AL.

Ponte San Pietro7 (Lazio)

Sono stati sottoposti a datazione due cam-pioni provenienti da questa necropoli: il primo, riferito alla Tomba III (successivamente denomi-nata n. 15) non conteneva abbastanza collagene e quindi l'esito è stato negativo. Il secondo campio-ne, riferibile a un individuo femminile proviene dalla Tomba V o 13, in seguito indicata come n. 19, ed è stato denominato da Parenti 4C (Parenti 1963, 1967; Miari 1993). Questa struttura, rinve-nuta intatta, conteneva i resti di più individui: di questi, tre (un bambino e due adulti di sesso ma-schile e femminile) erano in connessione anato-mica; su un lato della grotticella vi erano, inoltre, ossa ammassate di altri due uomini, una donna e un neonato. Il campione prelevato fa parte di quest'ultimo insieme osseo ed ha restituito una

7 Si ringrazia la dott.ssa Monica zavattaro, del Museo di Storia Natu-rale, Sezione di Antropologia e Etnologia, dell'Università degli Studi di Firenze per la preziosa collaborazione, anche nella ricerca del campione da datare.

data 4629±35 BP, 3520-3340 cal. BC 2σ, che si col-loca in un momento intermedio rispetto al range indicato dalla altre sei datazioni effettuate per la stessa necropoli da Dolfini e presentate alla XLIII Riunione Scientifica dell'Istituto Italiano di Prei-storia e Protostoria tenutasi nel novembre 2008 a Bologna.

Bandita San Pantaleo (Lazio)Scavata alla fine degli anni '60 del secolo

scorso, la tomba a grotticella di Bandita San Pan-taleo (Barich et alii 1968), situata a 2 km a NW di Tarquinia, al momento della scoperta appari-va tagliata da una cava, che ne aveva asportato il dromos e la parte anteriore della cella8.

Nella porzione conservata, le ossa umane

8 Si ringrazia la prof. Barbara E. Barich senza la cui disponibilità e deter-minazione non sarebbe stato possibile recuperare i campioni da datare. Si ringrazia anche il prof. Formicola che si è sobbarcato il difficile compito di rintracciare le ossa nei depositi dell'Istituto di Antropologia.

Fig. 16 - Localizzazione dei siti datati.Position of the dated sites.

165ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

Fig. 17 - Calibrazione delle date ottenute.Calibrated dates.

rinvenute, fortemente cementate tra loro, appar-tenevano a quattro individui (un uomo, 2 don-ne, uno di incerta determinazione); accanto, un gruppo di ossa non definibili, una delle quali co-perta di cinabro.

Il femore scelto per essere sottoposto a da-tazione appartiene all'individuo maschile (n. 1), che gli studi antropologici di Parenti descrivono

di costituzione gracile e di bassa statura.All'interno della grotticella, il corredo super-

stite consisteva in un vaso a fiasco integro, con 4 bugnette sulla carena, di impasto nero lucido, alcuni frammenti ceramici riferibili ad almeno quattro vasi e due cuspidi di selce peduncolate.

Si è scelto di datare un complesso di tipo ri-naldoniano che rientrasse nei limiti geografici da

166 A. MANFREDINI ET AL.

noi scelti per questa indagine: il sito è posizionato, infatti, lungo la fascia costiera del Lazio settentrio-nale e rappresenta una delle poche testimonianze funerarie conosciute al di fuori dell'area nucleare di Rinaldone: il recupero di dati provenienti da vecchi scavi attraverso l'applicazione di attuali metodologie di indagine costituisce, infatti, uno dei punti programmatici di progetto.

Una serie di elementi inserisce questo ritro-vamento nel più ampio quadro delle manifesta-zioni eneolitiche del versante tirrenico settentrio-nale: tra questi, la struttura ipogeica, la deposi-zione multipla (tomba ossario), il vaso a fiasco con breve colletto.

La datazione ottenuta (3958±65 BP, 2650-2200 cal. BC 2σ) colloca questo ritrovamento in un mo-mento avanzato del periodo, che trova confronto con situazioni come quelle della necropoli della Selvicciola; in questa necropoli, una fitta serie di datazioni ne ha sottolineato l'utilizzo per circa un millennio, con una fase finale di frequentazione che giunge fino all'ultimo quarto del III millennio a.C., in cronologia calibrata.

Maccarese (Lazio)Durante l'ultima campagna di scavo condot-

ta nel 2002 nel sito di Le Cerquete, in un settore aperto a S-W del villaggio, è venuta alla luce una fossa (n. 16) contenente, nella parte più superfi-ciale del riempimento, una piccola concentrazio-ne di ossa combuste; la loro collocazione, molto raccolta, potrebbe far pensare alla sistemazione in un contenitore in materiale deperibile, andato distrutto nel tempo. Le ossa appartengono ad un individuo maschile di circa 20-30 anni, probabil-mente combuste quando erano ormai prive dei tessuti.(Salvadei com. pers.)9. La struttura in nega-tivo nella quale è collocata la deposizione dell'in-cinerato si colloca in una zona decentrata rispetto al nucleo abitativo del villaggio, il cui carattere di liminarietà era stato evidenziato dalla presenza di altre due testimonianze funerarie (un adolescente sepolto in fossa e un cranio maschile).

Un primo tentativo di datazione sulle ossa è fallito a causa dello scarso contenuto di collage-ne; si è deciso quindi di far datare un campione di carbone prelevato dal sedimento nel quale era-no contenute le ossa.

Il campione, in legno di Fraxinus sp., ha for-nito una data (4595±60 BP, 3550-3050 cal. BC 2σ), che risulta esser la più antica ottenuta nel sito nel

quale, come è noto (Manfredini et alii 2002), l'in-quadramento effettuato sulla base della cronolo-gia radiometrica va da 4555±40 BP (3380-3090 cal. BC 2σ) a 4375±55 BP (3310-2900 cal. BC 2σ).

La nuova data conferma la validità dell'as-setto cronologico del sito, già in precedenza de-lineato, sottolineando la continuità abitativa di questo villaggio, che si sviluppa nel corso di circa 250 anni.

Torrino Mezzocammino 2 (Lazio) Il campione datato10 proviene dal livello basa-

le dello strato 6 (taglio 11) del fossato naturale obli-terato in età eneolitica (Anzidei e Carboni 2000).

Il carbone, riferito a Phillyrea sp., ha fornito la data di 6005±55 BP; 5050-4740 cal. BC 2σ, col-locandosi quindi in un pieno Neolitico; a questa fase, nel riempimento del fossato, non sono asso-ciati materiali archeologici, ma solo concentrazio-ni di carboni, probabilmente da porre in relazio-ne con eventi naturali di combustione (incendio ?). Come è noto il sito era già stato inquadrato nel pieno Eneolitico con una data di 4310±50 BP, 3350-2650 cal. BC 2σ; Anzidei e Carboni 1999); anche la cultura materiale mostra strette affinità con il vicino sito di Le Cerquete-Fianello a Mac-carese.

Fontanile di Raim (Lazio)11

La datazione è stata ottenuta da un femore umano proveniente dalla tomba 2. La tomba fa parte della necropoli scavata a più riprese a partire dal 1998; delle 7 tombe individuate, la n. 2 è quella in migliori condizioni di conservazione. I materia-li rinvenuti indicano la compresenza di elementi rinaldoniani (vaso a fiasco) associati ad altri tipi-camente campaniformi (vaso con profilo ad S e decorazione a pettine, brassard in pietra) (Negroni Catacchio e Miari 1998; Petitti et alii 2002).

Podere della Gora (Toscana)Si tratta di un ampio sito pluristratificato,

ancora in gran parte inedito (Martini et alii 1999), comprendente oltre a piani d'uso, anche un pro-fondo fossato (dal quale provengono i carboni campionati per la misura radiometrica). Le data-zioni sembrano rivelare, pur con qualche proble-ma di inversione, un ampio arco di utilizzo della struttura.

9 Si ringrazia la dott.ssa Loretana Salvadei per aver fornito, per questa pubblicazione, i risultati dello studio antropologico da lei effettuato e tuttora inedito.10 Si ringrazia la dott.ssa Anna Paola Anzidei per aver fornito i campioni

da sottoporre a datazione.11 Si ringrazia la dott.ssa Patrizia Petitti della Soprintendenza Archeo-logica per l'Etruria meridionale per aver fornito il campione sottoposto a datazione.

167ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

Neto-Via Verga (Toscana)Del sito di Neto-Via Verga sono stati datati

gli orizzonti 5 e 7, rinvenuti in successione stra-tigrafica nell'area 5. Sulla base della tipologia ceramica l'orizzonte 5 è stato inquadrato ad un momento della seconda fase dell'Eneolitico di Se-sto Fiorentino (Martini e Sarti 1999). La data ra-diometrica (Verga 5 102) effettuata su carbone di Fagus sylvatica dal tg. 9, quadrati AA103 risale a 4427±65 BP, 3340 - 2910 cal. BC 2σ e ben si adatta alla fase crono-culturale prospettata su base ti-pologica. Conforme all'inquadramento culturale su base tipologica appare anche la data attribuita alla base dell'orizzonte 7 (Verga 5 103) dove, en-tro una struttura infossata, è stato riconosciuto un impianto della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata (Sarti 2006) cui si è sovrapposta una frequenta-zione neolitica più tarda.

C.C.B.-A.M.-L.S.-N.V.

ConsiderazioniI campioni provenienti dall'area marchigiana

confermano la posizione cronologica di aspetti del Neolitico finale, precedentemente inquadrati solo su base tipologica. Per il sito di Santa Maria in Sel-va, caratterizzato da strutture differenziate, che coprono però un arco di tempo piuttosto ristretto, si sono ottenute cinque datazioni che lo collocano negli ultimi secoli del IV millennio; fa eccezione una data (3950-3660 cal. BC 2σ), relativa all'area 2, che già lo studio del materiale indicava come momento più recente. Queste date si inseriscono bene in un momento finale del Neolitico marchi-giano (Manfredini et alii 2005) per il quale era sta-ta proposta la denominazione di "fase di S. Maria in Selva". Tra la fine del V - inizio IV millennio vengono infatti a ricadere i siti di Cava Giacomet-ti, Coppetella di Iesi, Monte Tinello, Attigio 6; in questa fascia cronologica rientra pienamente una delle due nuove date di Pianacci di Genga, mentre l'altra indica uno scarto temporale di alcune cen-tinaia di anni.

Si viene così a precisare, acquistando spes-sore cronologico, un momento significativo nella preistoria marchigiana, in parte già collegato con le profonde modificazioni culturali e teconologi-che che caratterizzeranno l'Eneolitico.

Abbiamo già indicato i motivi che ci hanno spinto a datare il complesso umbro di Casanuova di S. Biagio, interessante sia perché, come tomba, rappresenta un contesto omogeneo sia perché, per la sua posizione topografica, sta ad indicare un punto di passaggio importante per i contat-ti transappenninici; la data sembrerebbe alta se confrontata con alcuni materiali del corredo, ma

le ricerche attuali fanno arretrare, ormai in nume-rosi casi, la comparsa del fenomeno Eneolitico, soprattutto in ambito tirrenico.

Per il Lazio, una serie di campioni non sono stati oggetto di datazione per mancanza di col-lagene.

La data di Ponte San Pietro si inserisce per-fettamente nell'ambito cronologico che si va de-finendo per l'area nucleare di Rinaldone, ponen-dosi, in cronologia calibrata, alla metà del IV mil-lennio, in pieno accordo, quindi, con la posizione cronologica di alcune tombe della Selvicciola (tt. 23 e 8) e con le altre tombe della necropoli di Ponte S. Pietro, presentate da Dolfini nell'ultima Riunione dell'I.I.P.P. a Bologna (XLIII) e ancora inedite.

A sottolineare la lunga durata di questa fa-cies eneolitica sul versante tirrenico,la tomba a grotticella di Bandita S. Pantaleo si colloca quasi un millennio più tardi, avvicinandosi cronologi-camente alle testimonianze più recenti della Sel-vicciola (ad es. t. 5) e di Fontanile di Raim, la cui data ben si accorda con la compresenza di mate-riale rinaldoniano e campaniforme.

La fossa con ossa combuste rinvenuta nel villaggio di Maccarese, oltre ad indicare un com-portamento funerario inusuale nell'Eneolitico dell'Italia centrale, ha anche fornito una datazio-ne che la pone nel momento più antico del vil-laggio (Manfredini et alii cds), la cui cronologia si articola in un periodo limitato nel corso della seconda metà del IV millennio. I confronti crono-logici più puntuali sono quelli con le fasi più anti-che di Rinaldone e, a S di Roma, con la necropoli della Lunghezzina.

Le date dei siti toscani, Verga e Podere della Gora, contribuiscono a definire gli aspetti inse-diativi nell'area fiorentina, individuando crono-logicamente anche i momenti di passaggio tra Neolitico finale ed Eneolitico; le date conferma-no, anche se con qualche interrogativo per i cam-pioni di Podere della Gora, la cronologia già ipo-tizzata sulla base del materiale rinvenuto.

A.M.

6. il popolAMento trA neolitico finAle ed eneolitico: Affinità e differenze trA versAnte AdriAtico e tirrenico

Da molti decenni, grazie a uno studio sem-pre più articolato della produzione dei manufatti e in particolare della ceramica - tra le testimo-nianze più abbondanti e durature della cultura materiale - si è concentrata l'attenzione degli ar-cheologi su variabili tipologiche sempre più det-tagliate, che hanno poi dimostrato la loro validità

168 A. MANFREDINI ET AL.

come elemento caratterizzante e spesso datante dei gruppi che la produssero. I confronti sui ma-nufatti, che identificano regioni diverse o periodi diversi nell'ambito della stessa regione, hanno da sempre costituito lo strumento metodologico per arrivare a comprendere raggruppamenti o facies culturali.

Popolazioni che occupavano le regioni del-l'Italia centrale sono state riconosciute e indagate attraverso le loro produzioni ceramiche e litiche e in tal modo sono state messe in rilievo le forti affinità nella cultura materiale tra i due versan-ti adriatico e tirrenico, già a partire dal Neolitico antico, ma ben più consistenti tra Neolitico finale ed Eneolitico.

In questa ricerca si è volutamente privile-giata l'analisi delle scelte insediamentali con l'in-dividuazione dei possibili percorsi che unisco-no i due versanti: somiglianze tipologiche nella produzione ceramica e, in una fase più avanzata, nelle strutture funerarie indicano una comunica-zione anche intensa tra le due aree, nonostante la barriera rappresentata dalla catena appenninica.

Il nostro è un tentativo, non certo nuovo ma forse più sistematico, di esaminare, al di là della cultura materiale, i motivi di determinate scelte locazionali mettendo in rilievo la compo-nente ambientale che, in molti casi, favorisce la lunga durata degli insediamenti; l'attestazione di continuità abitativa si è rivelata particolarmente frequente nelle sequenze Neolitico finale-Eneoli-tico.

Il momento preso in esame, infatti, è partico-larmente significativo, rappresentando il passag-gio da un'economia di tipo tradizionale, legata ad un sistema agricoltura/allevamento ormai col-laudato nel tempo, a nuove forme di produzione, all'introduzione del metallo e a visibili, profon-di mutamenti nella sussistenza, nei rapporti tra gruppi, nell'articolarsi della società.

Tutto questo non emerge naturalmente solo dalla ricostruzione, sempre incompleta e par-ziale, del paleoambiente e dai modelli insedia-mentali; sono passati decenni dalle teorizzazioni della Settlement Archaeology di Chang (1968) e degli altri studiosi della New Archaeology (Wil-ley, Trigger ecc.) ma la scelta di indagare "oltre il dato materiale" rappresenta un modo di prende-re in esame altre variabili che, interrelate tra loro, possono arrivare ad indicare la configurazione spaziale di una comunità.

Oltre alle scelte di carattere ecologico, che corrispondono al soddisfacimento di esigenze elementari (la possibilità di acquisizione e pro-duzione di cibo, la vicinanza all'acqua, la difen-dibilità dell'abitato) chiaramente intuibili ed in-dividuabili anche ad un esame superficiale della

distribuzione, ci sono altri parametri che dovrem-mo essere in grado di cogliere.

L'impostazione della nostra ricerca si avvale dei dati forniti dalla schedatura sistematica delle aree campione (nel caso della Toscana e del Lazio effettuata solo su dati editi) nel cui ambito sono previsti campi specifici quali l'altimetria dei siti, la loro posizione ambientale, la distanza da corsi d'acqua ecc.

In tutte le aree da noi prese in considera-zione le scelte insediamentali appaiono caratte-rizzate da una certa uniformità, che permette di distinguere situazioni ricorrenti nei due versanti considerati: nelle Marche, gli insediamenti del Neolitico finale sembrano prediligere, come si è visto, zone interne, collinari, ad una distanza in-termedia tra la catena appenninica e il mare; la scelta è influenzata sicuramente dalla vicinanza a fiumi importanti (o ai loro affluenti) che nelle Marche scorrono in direzione EW, grosso modo paralleli tra loro e ortogonali rispetto alla costa, formando ampi terrazzamenti.

In Toscana la frequentazione del Valdarno è senza dubbio condizionata dalla direttrice EW del corso dell'Arno che collega facilmente le zone interne orientali (Basso Mugello, Casentino, area fiorentina) al territorio costiero; di conseguenza gli insediamenti sono in larghissima misura nelle zone pianeggianti a breve distanza dall'Arno, con più rari insediamenti collinari o lungo affluenti dell'Arno medesimo.

La continuità di occupazione fino all'età del Rame, individuata in molti casi nelle Marche (At-tigio, Pianacci, Cava Giacometti) e più raramente in Toscana, indica che queste posizioni risponde-vano a esigenze primarie: per i periodi più anti-chi forse ad un maggiore interesse per le risorse locali, compresa la preferenza per terreni di facile lavorabilità, in quelli più recenti ad una maggio-re enfasi sulle attività di allevamento/pastorizia, gravitanti stagionalmente nelle aree interne mon-tuose, forse non sistematicamente frequentate nel Neolitico.

Vie di percorrenzaIn Toscana e nel Lazio le ampie valli fluviali

dell'Arno, della Valdichiana, del Tevere e dell'Anie-ne hanno rappresentato da sempre vie di transito privilegiate; il fiume Nera, che dall'Appennino umbro-marchigiano taglia la conca reatina e si im-mette nel Tevere all'altezza di Orte, costituisce un ulteriore percorso verso il territorio marchigiano, in corrispondenza della vallata del Chienti.

L'area marchigiana ha inoltre accessi facili-tati al versante tirrenico attraverso passi che non raggiungono mai i 1000 m: Bocca Serriola (730

169ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

m), Passo di Scheggia (575 m), Sella di Fossato (740 m) e l'altopiano di Colfiorito (750 m) rappre-sentano bassi valichi che mettono in comunica-zione l'alta valle del Tevere, del Chiascio e del To-pino con le valli dell'Esino e del Chienti (Puglisi 1959). Non a caso questi percorsi coincidono, in gran parte, con le vie di transumanza dei secoli scorsi e con la viabilità attuale.

Nell'ipotizzare vie di transito occorre tenere presente la varietà di fattori che possono aver in-fluenzato spostamenti sistematici: la transuman-za, anche se importante e in alcuni casi documen-tata archeologicamente (Cocchi Genick 1990), non può essere considerata come unico modo di trasferimento: il sistematico stagionale passag-gio delle greggi dai pascoli invernali costieri a quelli estivi di altura e viceversa rappresenta una visione rigida e poco articolata di un fenomeno che può avere numerosissime varianti, legate al-l'ampiezza dei percorsi, alla quantità delle perso-ne coinvolte, al numero degli animali. Anche se questa pratica, quindi, nella sua applicazione più ampia, ha sicuramente favorito incontri e con-tatti, con relativa diffusione di oggetti e di cono-scenze, ne va ridimensionata la reale portata, che probabilmente si svolgeva nell'ambito dell'incon-tro, non organizzato, di pochi individui.

Altri modi di trasmissione di oggetti e di idee possiamo arrivare ad ipotizzarli: lo spostamento fisico delle donne nei matrimoni esogamici, il re-cupero e lo scambio del sale, il baratto di materie prime e di alimenti.

Piccoli "segmenti" di percorsi più ampi pos-sono essere individuati nelle Marche soprattutto nell'area collinare centrale e nella zona appenni-nica, in Toscana, nel Lazio, dove alcuni territo-ri, quale quello gravitante nella valle del Fiora (che sbocca nel Tirreno ma ha origine nel Monte Amiata), possono aver rappresentato aree au-tosufficienti, in posizioni ambientali particolar-mente favorevoli; in questo caso la breve distanza mare-montagna, ma anche la vicinanza all'area di sfruttamento delle materie prime ha favorito una fitta frequentazione. Percorsi N-S sono te-stimoniati, ad esempio, dalle fortissime affinità formali, soprattutto della produzione ceramica, e non solo, tra San Lorenzo in Greve in Valdichiana e Maccarese (Aranguren e Perazzi 2004).

In altri casi, forse meno legati a vie di tran-sito e di percorrenza, abitati stabili di una certa complessità (Fontenoce nelle Marche, Maccare-se, Poggio Olivastro, La Diga-Poppetta nel La-zio) sembrano aver privilegiato aree costiere e subcostiere, affacciate su laghi interni o su ampi letti fluviali soggetti ad esondamenti (come in Toscana), più in generale su zone umide; le aree montuose interne, a breve distanza dai siti citati,

possono aver offerto modi di sussistenza comple-mentari.

Un'area particolare, nel Lazio, è rappresen-tata da un territorio compreso tra i Colli Albani e i fiumi Tevere e Aniene: qui, come si è visto, una ricerca sistematica, legata all'archeologia preven-tiva in relazione all'espansione urbana degli ulti-mi anni, ha evidenziato una densità di frequen-tazione eccezionale, dal Neolitico all'Eneolitico, mettendo in luce una fitta serie di siti di abitato e necropoli, con scelte locazionali molto simili tra loro, posizionati su modeste alture spesso sago-mate da profondi fossi che ne hanno eroso le pen-dici; i siti gravitanti nella valle dell'Aniene (ad es. Casale del Cavaliere e Le Caprine) si pongono su un percorso naturale che collega la pianura a S di Roma con la Sabina e la valle del Fucino in Abruzzo, anche se, in molti casi, la vicinanza dei Colli Albani può aver costituito una soluzione per spostamenti di breve portata. La ricerca orga-nizzata e pianificata ha modificato in questo caso una serie di ipotesi sulla distribuzione regionale, ampliando l'area di influenza di facies eneolitiche tipo Rinaldone che in origine erano state riferite solo a piccoli territori "nucleari".

L'individuazione di percorsi probabili non chiarisce automaticamente la loro utilizzazione che può essere articolata e diversa nel tempo: una varietà di azioni, e non solo quelle legate ad un tipo particolare di sussistenza, può essere riflessa nel modello insediamentale: l'ubicazione dei siti può rispondere ad esigenze di carattere religioso, "politico", di difesa o di distanza programmata da siti vicini. Ma sicuramente, come dimostrano i manufatti con le loro forti somiglianze forma-li, una parte della comunicazione tra gruppi si basava su attività di scambio: limitarci a pensa-re a piccoli baratti di oggetti significativi (vasi particolari, strumenti in pietra, metallo) vuol dire prendere in considerazione solo una piccola parte di questa attività che, come sappiamo da esempi etnografici, può coinvolgere scambi di prodotti alimentari, di manufatti in materia de-peribile (cuoio, legno, piuma), di donne, scambi che possono avvenire in occasione in incontri dal particolare significato sociale o rituale (Conati Barbaro e Manfredini 2004).

Lo scambio di materiale di uso quotidiano può essere tanto più probabile nel momento in cui consideriamo un territorio così diversamente caratterizzato dal punto di vista ambientale, che va da situazioni di montagna a quelle di bassa pianura costiera, con produzioni sicuramente differenziate: il problema resta quello della "invi-sibilità archeologica" di queste attività.

Gli aspetti sociali, strettamente collegati al-l'approvvigionamento e alla circolazione delle

170 A. MANFREDINI ET AL.

materie prime e dei manufatti, si riflettono in parte nei modi di distribuzione dei siti: questo è apparso evidente nella ubicazione delle testimo-nianze abitative e funerarie lungo vie transap-penniniche.

Le testimonianze funerarie, in particolare, per i periodi più recenti, suggeriscono l'esistenza di forti vincoli tra gruppi dislocati sui due oppo-sti versanti: anche i corredi, attraverso inevitabili differenze, mostrano elementi comuni che attra-versano trasversalmente ampi territori, indican-do significative affinità di base.

LimitiOccorre essere ben consapevoli dei limiti di

una tale ricerca, specialmente se ridotta rispetto alla sua prevista estensione originale: una carta di distribuzione elaborata sulla base di ritrovamen-ti isolati perde di significato quando venga mes-sa a confronto con un'area limitata, ma indagata estensivamente, quale quella a S di Roma. Spesso ci si trova a ipotizzare distribuzione, rapporti tra sito e ambiente e rapporti di siti tra loro sulla base di un "palinsesto" che appiattisce sequenze della durata di alcuni millenni; allo stesso modo, anche nel caso di una contemporaneità di situazioni ba-sata su date assolute, sarà difficile, in assenza di scavi estensivi, valutare l'esistenza di differenze nella funzionalità di siti, tanto più importanti se si vuole, almeno in parte, sostenere l'esistenza del fenomeno della transumanza: siti di altura, con-trapposti a insediamenti stabili di pianura, come parte di un percorso annuale e di una strategia economica particolare, ben conosciuta, fino al se-colo scorso, in tutto il Mediterraneo.

Ancora, in questa ottica, si rischia di soprav-valutare la componente ecologica, più visibile, a scapito della componente sociale nella quale l'or-ganizzazione della comunità, i modi di produzio-ne di approvvigionamento e di scambio, la divi-sione del lavoro rappresentano fattori essenziali.

Inoltre, nell'Eneolitico, il significato profon-damente diverso delle strutture abitative e delle testimonianze funerarie porta a doverle conside-rare su piani diversi, al di là della loro posizione nel territorio, anche se questa, nel caso di tombe isolate o di necropoli, indica ancora una volta la frequentazione di aree particolari dal punto di vi-sta delle risorse (area " nucleare" di Rinaldone) ed evidenzia, anche con le sepolture occasionali, vie di transito e di percorrenza.

Per concludere, questo lavoro dovrebbe esse-re considerato un punto di partenza, un approc-cio alternativo per collocare spazialmente e cro-nologicamente testimonianze di diverso peso e

spessore: riprendere vecchi scavi particolarmente significativi e promettenti, scegliendoli secondo un progetto coerente, intensificare i surveys in aree prescelte, lungo percorsi precedentemente ipotizzati, rappresenterebbero modi di arricchire la nostra comprensione di questo particolare mo-mento culturale.

A.M.-C.C.B.

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175ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

FF7

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176 A. MANFREDINI ET AL.

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177ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

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178 A. MANFREDINI ET AL.

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77

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179ADRIATICO E TIRRENO A CONFRONTO: ANALISI DELL'OCCUPAzIONE TERRITORIALE TRA IL NEOLITICO .....

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