Louis Finson tra Europa e Mediterraneo

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14 LOUIS FINSON TRA BRUGES, NAPOLI E LA FRANCIA 1. Louis Finson Ritratto di gentiluomo nordico 1613 Roma, Accademia Nazionale di San Luca

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1. Louis Finson Ritratto di gentiluomo nordico1613Roma, Accademia Nazionale di San Luca

Giovanna capitelli 15

Louis Finson tra Bruges, Napoli e la Francia

Giovanna Capitelli

Louis Finson rappresenta una figura davvero singolare nel panorama artistico eu-

ropeo di primo Seicento1. Noto alla storia dell’arte per essersi distinto a Napoli, in

Francia e in Olanda nelle vesti di copista e mercante di Caravaggio, il fiammingo

è un artista molto più complesso di quanto a prima vista si possa immaginare.

Louis Finson è, infatti, un pittore di ‘confine’, come per definizione sono coloro

che si siano formati su di un linguaggio e poi si siano trovati a praticarne un altro.

Abile sperimentatore, capace di cortocircuiti formali insospettabili, versatile fino

al parossismo, spronato, ma al contempo anche frenato, dal confronto in fieri tra

il bagaglio figurativo da cui parte e la conoscenza di prima mano del naturalismo

di Michelangelo Merisi, attivo in generi diversi (nella pittura di figura, nel ritratto,

finanche nella natura morta), Finson è per talento e capacità forse un gregario, ma

d’indubbio peso specifico.

Da fiammingo – qual è certamente, almeno di nascita – Finson frequenta con

curiosità le invenzioni del tardo manierismo olandese e anversese, interpretando,

pur con qualche impaccio, il repertorio di soggetti sofisticati praticato qualche

anno prima a Haarlem, ad Anversa come a Praga; da napoletano d’elezione guar-

da con attitudine predatoria alle novità presenti sulla scena partenopea del primo

decennio del secolo, accordando il pennello, alla bisogna, alla lezione del Cavalier

d’Arpino, di Caravaggio, di Battistello; da artista organizzato, vorace nell’accet-

tare commissioni e veloce nell’eseguirle, è fra i primi a far circolare formule del

caravaggismo nella manciata di anni trascorsi in Francia; da mercante e copista,

in Italia come nei Paesi Bassi o in Danimarca, infine, si assicura un posto d’elezione

nel traffico europeo di opere d’arte, conquistando spazi fin lì liberi nella competi-

zione dettata dal collezionismo borghese come da quello principesco.

Nato a Bruges prima del 1580, non sappiamo con esattezza quando – ma di certo

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mentre vi si consuma la storica cesura tra la Repubblica delle Sette Provincie Uni-

te e le Fiandre, olandese e calvinista la prima, cattoliche e confermate spagnole le

seconde – Louis Finson riceve verosimilmente la propria formazione nella bottega

familiare, gestita dal padre Jacques. Di quest’ultimo, pur non conoscendo alcuna

opera, sappiamo quanto basta. Figlio d’arte, formatosi alla fine negli anni Quaran-

ta presso l’École de Bogards e poi presso Ambrosius Benson e Pogier de Paeuw,

due onesti e affermati professionisti di Bruges, Jacques Finson è documentato

come pittore di tessuti (kleerschrijver), ma anche come pittore tout court, e dal

1555 quale membro attivo, e per le cariche rivestite anche di rilievo, della locale

Gilda di San Luca. Per l’invasività della guerra in corso, da Bruges, cittadina un

tempo incredibilmente fiorente ma in quel frangente in pieno declino economico

e culturale, fuggire è più facile che restare. Nel 1585 la famiglia dei “Finson artisti/

artigiani” (i cui altri membri sono ben documentati) si trasferisce a Veere, una

vivace cittadina portuale sull’isola di Walcheren, in Zelanda2.

Negli anni a venire, facendo propria la dimensione di artista itinerante comune a

molti suoi connazionali, Louis Finson troverà spesso il modo di ribadire orgoglio-

samente, all’interno delle proprie opere, la sua provenienza fiamminga da Bruges.

“Belga Brugensis” è l’aggettivo con cui sigla molti dei suoi dipinti: il suo marchio di

fabbrica, come a segnalare un’eredità di eccellenza dalle radici antiche. Tuttavia,

come altri coetanei, e seguendo un iter che era diventato frequente nel corso del

secondo Cinquecento, l’artista lascia le Fiandre (o, meglio, la Zelanda?) per cercare

fortuna. Quando, però, ciò sia avvenuto, quando Finson abbia abbandonato la sua

famiglia e dove abbia trascorso la sua gioventù, non è ancora possibile stabilire. Di

lui non si sa nulla per i quindici anni che corrono dal 1580, data di morte della ma-

dre, quando il suo nome è menzionato negli archivi di Bruges, fino al 1605, quando

l’artista è documentato a Napoli. Qui ricompare solo nel marzo del 1605. Il suo

nome è ricordato per la prima volta in un pagamento fatto a “fra Paulo di Raimo

d(ocati) ventisette et per lui a Loise Finson pittore per tanta op(er)a di pittura che

li ha da fare”3. A questa altezza cronologica, come ci spiega qui Giuseppe Porzio,

Finson sembra già ben inserito nell’ambiente partenopeo. Solo nel 1605 tre sono

gli incarichi registrati nelle carte del Banco del Popolo e nel Banco di Sant’Eligio

di Napoli. Nell’articolato del primo pagamento, quello appena citato, e in quello

del terzo, non si specifica per che tipo di opere l’artista venisse ricompensato, ma

con il secondo mandato gli viene pagato un ritratto già portato a termine: quasi

certamente quello di Filippo Spinelli, lo zio del liquidatore, Carlo Spinelli, II princi-

pe di Cariati. Uomo di punta della Roma di Clemente VIII, già nunzio pontificio a

Praga presso la corte di Rodolfo II (e questo dato potrebbe costituire persino una

pista di ricerca sugli inizi di Finson!), Filippo Spinelli era stato creato cardinale col

titolo di San Bartolomeo all’Isola nel giugno del 1604, assumendo la responsabilità

di vescovo di Policastro e l’anno successivo anche quella di vescovo di Aversa4.

Accedere a una committenza come questa poteva aver rappresentato per Finson

una chiave per conquistare i favori della nobiltà cittadina.

È verosimile quindi che Finson fosse giunto a Napoli prima del 1605, e che qui si

fosse mantenuto grazie alla pratica della ritrattistica e grazie al sodalizio stretto

con un altro pittore nordico, Abraham Vinck, che resterà suo socio d’affari per

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tutta la vita, come ci spiega in questo stesso volume Cristina Terzaghi. Il numero

limitato di ritratti attribuibili a Finson, tutti eseguiti più tardi in Francia, in parte solo

documentati da stampe di traduzione, fa sì che non sia possibile oggi determinare

le ragioni della sua affermazione a Napoli in quest’ambito, se non ricorrendo al

paradigma della reputazione dei fiamminghi nel genere. Il primo ritratto firmato e

datato che ci resta di Finson raffigura un ignoto gentiluomo nordico (1613; Roma,

Accademia Nazionale di San Luca) [fig. 1]; ed è un pezzo di mediocre fattura,

certo non testimonianza vivida di un particolare talento. L’opera attesta la cono-

scenza della lezione normativa di Frans Pourbus, anche lui di Bruges, aggiornata,

in particolare nel dettaglio delle mani, da una consuetudine con gli effetti natura-

listici caravaggeschi.

Il genere del ritratto è poi praticato, a livelli apparentemente più alti, anche dal suo

compagno di avventure napoletane e poi olandesi, Abraham Vinck. Giunto a Na-

poli alla fine del Cinquecento, Vinck condivide con Finson l’abitazione e, di certo,

l’attività imprenditoriale di mercante e copista, ma i documenti, le fonti coeve, e in

questo caso finanche le opere conservate, fra le quali i due bei ritratti di Utrecht

[figg. 2-3] firmati e datati 1613, gli riconoscono la specializzazione di ritrattista5. A

ricevere Finson nella Napoli tanto popolosa di primo Seicento è, dunque, l’enclave

fiammingo-nederlandese piuttosto compatta e organizzata, già perfettamente

rodata nel sistema delle arti cittadino, che fa capo a Vinck.

Oltre alle copie da Caravaggio (dalla perduta Giuditta e Oloferne, dalla Madda-

lena, ecctera) – a rigor di senso realizzate dopo il 1606 – non è ancora possibile

riferire con certezza documentaria alcun dipinto a Finson prima del 1610, anno in

cui data la Resurrezione di Aix-en-Provence (che molti ritengono esemplata sul

modello di quella perduta di Caravaggio per la cappella dei Fenaroli in Sant’Anna

dei Lombardi a Napoli), la Toletta di Betsabea (nel 2007 a Milano, collezione Giulio

Romieri) e l’Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre (Marburg, Marburger Univer-

sitätsmuseum für Kunst und Kulturgeschichte).

Certamente precedente a queste tre opere, ma già risultato del soggiorno italia-

no, dovrebbe essere, a mio parere, la non datata Venere e Cupido con la coppia

ineguale, un’aggiunta recente di Bodart al suo catalogo6 [fig. 4]. Se, infatti, si

accetta che la firma “AL VISO. FINSON. F” non sia posticcia, come sono pro-

pensa a credere, ma piuttosto ripassi pedissequamente quella originale, questo

dipinto dovrebbe precedere la stagione in cui l’artista applica le formule ibride

fiammingo-naturaliste comuni a tutti i suoi dipinti datati dal 1610 in poi, che esa-

mineremo di seguito.

Vagamente sgraziata nel colorito e nella composizione, costruita su delicatezze

formali assenti nel resto del corpus di Louis Finson – altrimenti popolato da rigi-

dità e da enfasi anatomiche – l’opera rappresenta una testimonianza del coinvol-

gimento dell’artista nel mondo pittorico popolato da Veneri nude proposte alla

vista dei collezionisti di cui il tardo manierismo nederlandese e rudolfino è una

miniera a cielo aperto7, fornendoci così qualche nuovo spunto per pervenire alla

ricostruzione di una sua possibile prima attività. Nella Venere e Cupido con la

coppia ineguale, Finson coniuga, infatti, un’impaginazione della scena tardo ma-

nierista, fondata sulla rivisitazione di formule venete (ma che denuncia parentele

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2. Abraham VinckRitratto di Hans Martens (1555-1613) e del figlio David (1605-1665)1613Utrecht, Centraal Museum

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3. Abraham VinckRitratto di Mayken Baccher (1565-1612), moglie di Hans Martens (1555-1613)1613Utrecht, Centraal Museum

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strette con la produzione dell’anversese Jacob de Backer, o meglio del così detto

“de Backer group”8, ma anche con i dipinti praghesi di Dirck de Quade van Raven-

stein, nella tipologia del viso, nel trattamento dei capelli), con l’inserimento sullo

sfondo di un soggetto secondario. Qui è di scena, sinteticamente abbozzata, una

coppia ineguale, composta da un anziano e da una giovane donna, accompagna-

ta dalla mezzana, figura rivelatrice del mercimonio in corso. È questo un soggetto

che vantava già allora una lunga tradizione iconografica nordica e che era torna-

to in auge nei Paesi Bassi settentrionali alla fine del Cinquecento. Nonostante il

dipinto rappresenti in primo piano Venere e Cupido, i protagonisti del pantheon

amoroso latino, il soggetto principale della scena va piuttosto individuato in quel-

lo secondario, ossia nelle macchiette dell’anziano e della giovane bellezza, unite

dall’oro e non da sincero amore9.

Presentano invece i sedimenti di un connubio in fieri tra modi nederlandesi e in-

serti naturalistici napoletani i due primi quadri datati 1610 in cui – diversamente

dalla Resurrezione – paiono emergere più chiaramente i tratti autoriali del primo

Finson: i già citati la Toletta di Betsabea [fig. 5] e l’Adamo ed Eva nel Paradiso

terrestre [fig. 6]. Il primo dipinto trova possibili confronti formali nell’opera di Ja-

cob de Backer, in particolare nella redazione del nudo di spalle della servente

dell’eroina vetero-testamentaria10. Il secondo, Adamo ed Eva in Paradiso, fornisce

una nuova interpretazione del tema tanto fortunato in quegli anni (Genesi 3:1-7).

Con il tripudio di frutti, ortaggi e verzura con cui Finson circonda i progenitori

dell’umanità, l’artista propone a Napoli una testimonianza nuovissima, anche per il

fuori scala, di natura morta. Il soggetto diventa nel pennello del fiammingo un’oc-

casione per mostrare la propria abilità nel dipingere fiori e frutta e nel ritrarre gli

antenati nudi in una situazione di pieno godimento, in un’armonia senza peccato

con la natura rigogliosa e generosa che li avvolge11.

A voler trovare precedenti ai Quattro elementi del 1611, a quell’intrico di corpi mu-

scolosi e colorati che invadono uno dei dipinti più geniali di Finson, oltre all’ovvio

riferimento a Caravaggio (che tuttavia appare in questo caso come una coperta

troppo corta) basterà riguardare al repertorio manierista olandese della così detta

Dawn of the Golden Age, ai nudi in caduta libera di Cornelis Cornelisz van Haarlem

tradotti in incisione da Hendrick Goltzius12, o ancora una volta a quello di Jacob

de Backer, e in particolare ai suoi nudi del pannello centrale con il Giudizio uni-

versale del polittico per Anversa13. Nei dettagli di umanità dolente che popolano

l’ordine inferiore di questo pannello, si trovano in piccolo tutti i capricci anatomici,

le ricerche cromatiche (corpi nivei delle donne giovani, corpi color bronzo degli

uomini e della donna anziana), le striature che segnano la muscolatura, che Finson

fa esplodere nella tela già di Rob Smeets, concentrandoli in una ben congeniata

composizione, in cui i corpi occupano con violenza e audacia tutto lo spazio a

disposizione, in questo sì andando al cuore della lezione del maestro lombardo.

A farci comprendere il modus operandi napoletano di Finson, quella disorientata

ma attraente traduzione di modelli nederlandesi in un sistema compositivo ag-

giornato sulle novità incontrate in loco – quanto attraente può essere la pronuncia

molto straniera di parole italiane –, sono poi due dipinti dissimili ma uniti dagli

stessi rovelli compositivi: da un lato la grande Decollazione del Battista di Braun-

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4. Louis FinsonVenere e Cupido con la coppia inegualeFrancia, collezione privata

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5. Louis FinsonToletta di Betsabea1610Milano, collezione Giulio Maniero

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schweig e dall’altro il Sansone e Dalila di Marsiglia. In entrambi i dipinti la ricerca

sui corpi, sulle muscolature, sui gesti, provenienti da un’interpretazione anche li-

bera del naturalismo caravaggesco, si mescola all’utilizzo di fisionomie femminili

ancora nordiche.

Nella pittura a soggetto e destinazione sacra realizzata a Napoli, e ancora su-

perstite, cioè nelle sue prime Annunciazioni, datate e firmate 1612 – i suoi esordi

‘parziali’, opere in cui l’autorialità dell’artista ha la meglio sulle suggestioni allogene

– Finson aggiorna il proprio vocabolario con formule modernissime desunte dal

naturalismo caravaggesco. Amplificando in scala maggiore il gruppo di Maria e

l’Angelo nunciante dal sapore neo-quattrocentesco alla fiamminga, con un ef-

fetto che riduce le due figure protagoniste in statue vestite, manichini di legno

incamottato, Finson introduce nell’ordine superiore il gruppo degli angeli in volo

mutuato dalle Sette opere di misericordia, sgrammaticato e spericolato come un

elemento di spaesamento di cui l’artista non teme l’effetto dissonante.

Lasciata Napoli per Roma, per un soggiorno che fu forse breve, il 27 febbraio 1613

Finson è certamente a Marsiglia con Martin Hermansz Faber (pittore anche di

paesaggio della cerchia di Adam Elsheimer, documentato con certezza a Roma

nel 1611 e a Napoli nel maggio 1611 e nel 1612)14 e da qui, come testimonia Peiresc –

l’intellettuale provenzale che ci fornisce uno dei primi referti critici sul pittore – “ha

intenzione di andarsene in Spagna per qualche tempo”15. Fu dunque su sollecita-

zione dell’itinerario Viceregno/Regno, dove poteva trovare nuovi acquirenti per

i dipinti portati in viaggio con sé, che egli prese la via del Nord? Difficile stabilirlo,

per quanto la pista dei rapporti con il viceré anche qui ribadita da Denunzio abbia

i suoi elementi probatori. Quale fosse in principio la sua destinazione, Finson si

fermò di certo in Francia, e trovandovi dei clienti vi rimase a lungo, spostandosi di

città in città, raccogliendo e onorando in tempi rapidissimi numerose commissio-

ni, in larga parte documentate.

Negli almeno tre anni trascorsi in Francia (vi è documentato dal 1613 al 1615), Fin-

son lavora a Marsiglia, a Aix-en-Provence, ad Arles, a Parigi, a Montpellier, a Tou-

lose, a Bordeaux, a Poitiers e in molti altri piccoli posti16. Con un ruolino di marcia

accelerato, accompagnato da lettere commendatizie prestigiose e dalla prote-

zione di un circuito di intellettuali di primo piano, del calibro di Pereisc, l’artista

incontra un pieno successo. Sebbene le sue opere siano costose, le commissioni

fioccano. Realizza tanti ritratti. Ad Aix lascia il suo Autoritratto, accompagnato

dall’Autoritratto di Martin Faber, segnali di gggrande autoconsapevolezza. Sono,

questi ultimi, dipinti di un certo sapore grottesco, autoritratti beffardi che muovo-

no dall’osservazione di opere come il Bacchino malato di Caravaggio e che spin-

gono in direzione di una trasformazione radicale della tipologia dell’autoritratto

d’artista. Ma, soprattutto, Finson esegue un numero imponente di pale d’altare

di grandi e di medie dimensioni, la cui fattura sarebbe impensabile senza tenere

conto della collaborazione di aiuti. Un aneddoto narrato da Peiresc ci fa ipotizzare

che Martin Hermansz Faber, suo compagno di viaggio in Provenza, fosse in gra-

do di dipingere alla maniera di Finson, e ci induce a credere che quest’ultimo lo

abbia aiutato nell’esecuzione delle opere francesi17. Non va inoltre sottovalutato

il fatto che, come testimonia una lettera di Pereisc, Finson avesse portato con sé

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6. Louis FinsonAdamo ed Eva nel Paradiso terrestre1610Marburg, Marburger Universitätsmuseum für Kunst und Kulturgeschichte

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da Napoli, già pronti, “une treintaine des plus beaux quadres q’il est possible de

voir”18 (come molto probabilmente la Resurrezione di Aix, personalizzata con l’in-

serimento di uno stemma dalla famiglia che la acquista). Fra questi alcune copie

da Caravaggio, versioni di opere realizzate per Napoli (come l’Annunciazione) e,

verosimilmente, anche le opere autografe di Caravaggio che saranno menzionate

nel suo testamento.

I dipinti francesi di Finson incrociano suggestioni caravaggesche con soluzioni

compositive nederlandesi, leggermente retrò. Le opere firmate, che sono la mag-

gioranza, recano tutte un cartellino di carta dipinto in trompe-l’oeil, distintivamen-

te collocato in basso a sinistra, su cui viene apposta la segnatura, in una sorta

di logo molto riconoscibile. Nella Crocifissione (La Calade, Bouches du Rhône),

nell’Incredulità di san Tommaso (firmato e datato 1613; Aix-en-Provence, Saint-

Saveur), nell’Elemosina di san Martino (firmato e datato 1615; Ermenonville, Oise,

chiesa parrocchiale) prevalgono frequenti citazioni dal Caravaggio anche roma-

no, ma utilizzate in scenografie architettoniche complesse, in una pittura larga,

pausata, distesa, anche se popolata di figure sempre un po’ rigide, disposte in

posture che ne accentuano la muscolatura, il piegarsi degli arti, l’incrocio delle

mani. Il dipinto più caravaggesco fra quelli francesi mi pare vada riconosciuto nel

Martirio di san Sebastiano (firmato e datato 1615; Rougiers, Var, chiesa parroc-

chiale) (fig. 7), un quadro che meriterebbe di essere studiato più attentamente di

quanto si sia fatto fin qui e che potrebbe per iconografia essere scambiato per

una Flagellazione di Cristo in presenza di Erode. Di altra natura, più debitrici nei

confronti degli artisti nederlandesi e fiamminghi tardo cinquecenteschi – le cui

invenzioni erano note all’artista anche attraverso stampe –, sono opere come la

Resurrezione di Lazzaro (Marsiglia, chiesa di Chatêau-Gombert), il Massacro degli

Innocenti (Andenne, chiesa di Sainte-Begge), il Martirio di santo Stefano, firmato

e datato 1614, l’Adorazione dei Magi, firmata e datata 1614 (ambedue ad Arles,

chiesa di Saint-Trophime), e la bella e monumentale Circoncisione (Parigi, Saint-

Nicolas-des-Champs).

Nei due anni che trascorrono tra il luglio 1615 e il luglio 1617 di Finson si per-

dono di nuovo le tracce, ma è probabile che il fiammingo si trovi già ad Am-

sterdam, forse operoso su quadri da cavalletto di facile smercio come i Cinque

sensi di Braunschweig, Herzog Anton-Ulrich Museum, un soggetto davvero alla

moda nei Paesi Bassi settentrionali dopo la pubblicazione della fortunata suite a

stampa disegnata da Hendrick Goltzius e incisa da Jan Saenredam. Nelle figure

femminili si avvertono echi delle donne di Dirck de Quade van Ravenstein, ma il

soggetto dialoga apertamente con la contemporanea pittura nederlandese più

all’avanguardia in quel delicato trascolorare dalla pittura di personificazioni alla

pittura di genere tout court.

Nella città olandese la sua presenza è documentata il 2 agosto 1617. In questa data,

infatti, l’artista si reca dal notaio con alcuni testimoni, fra cui il pittore Abraham de

Vinck, per il contratto relativo all’esecuzione di alcune incisioni di traduzione dalle

sue opere ordinate l’anno precedente a Egbert van Paenderen. In settembre l’arti-

sta si ammala e fa redigere il suo testamento, così prezioso per conoscere alcune

delle opere in suo possesso e per chiarire la rinnovata consuetudine con Abraham

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7. Louis FinsonMartirio di san Sebastiano1615Rougiers, Var, chiesa parrocchiale

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de Vinck, rientrato ad Amsterdam nel 1610, ma evidentemente rimasto sodale

d’impresa commerciale. Finson muore in una data precedente al gennaio 1618.

L’assenza dell’inventario dei suoi beni, previsto nel testamento, ma non ancora

disseppellito fra le carte notarili di Amsterdam (o mai redatto) non ci permette di

conoscere nel dettaglio cosa contenesse la sua quadreria di mercante.

Longhi, che lo definì correttamente, con Voss, il più antico dei caravaggeschi fran-

cesi, scrisse di lui: “è un fiammingo di Bruges, ma si può quasi considerare france-

se, avendo lavorato quasi sempre in Provenza, ad Aix e nei dintorni fin dal 1610,

che è l’anno di morte del Caravaggio. Forse conobbe ancora il maestro a Napoli,

dove bazzicava spesso, credo per i suoi traffici antiquari […] è un caravaggista di

fatica, che ostenta ancora, nella nuova condotta, le muscolature dei michelangio-

listi nordici. Certi bicipiti! Non che riesca in qualche pezzo di bravura, in qualche

buona appoggiatura di tocco, ma, quasi sempre, passa il segno”19.

1 Per un profilo dell’artista si vedano in particolare l’im-portante monografia di Bo-dart 1970 (anche per la bi-bliografia precedente); Ma-rini 1987; Les Massacres des Innocents 1992; Causa 1999; Papi 2001; Bodart 2007; Louis Finson. The Four Ele-ments 2007; Capitelli 2010. 2 Janssen 2007, pp. 13-16, in part. p. 14; Bok 1986.3 Si veda qui il regesto dei documenti napoletani in me-rito a Finson allestito da Giu-seppe Porzio.4 Orabona 2003.5 Su Abraham Vinck, che fu anche pittore di natura mor-ta di frutti (e non è escluso che come specialista anche in questo genere abbia col-laborato con Finson nell’A-damo ed Eva in Paradiso di Marburg) e di scene di mer-cato con pesci, si veda De Roever 1885, p. 185; Van Ee-ghen 1980, pp. 31-34; Briels 1997, p. 399; Willigen, Meijer 2003, pp. 207-208; ma an-che per una proposta al suo corpus Leone de Castris 2007, in part. pp. 42-46.6 Bodart 2007, pp. 32-33.7 Sluijter 2000.8 Su Jacob de Backer si veda in particolare Leuschner 2001.9 Il dipinto appare oggi fir-

mato “AL VISO. FINSON. F”. Non mi pare di spingere troppo oltre l’esegesi inter-pretativa proponendo qui che il nome di battesimo di Louis Finson, che appare tradotto ‘alla veneta’ in Al-vise nella firma, ma scritto in calce al dipinto nella for-ma di “AL VISO” (con uno spazio frapposto tra le due parole) possa rappresentare una consapevole citazione da parte dell’artista di un passo stra-abusato tratto da un madrigale di Petrar-ca: “Perché al viso, d’Amor portava insegna”. Le parole chiave della colta citazione in italiano antico, che pos-sono tradursi in un italiano corrente con l’espressione “all’apparenza”, potrebbero così fornire un commento moraleggiante a quanto è rappresentato sullo sfondo del dipinto: il tema della cop-pia ineguale. 10 Diversi esemplari di nudi di spalle di Jacob de Backer, anche tradotti in incisione, in Leuschner 2001.11 In un codicillo del testa-mento di Finson, fra i legati destinati a Abraham Vinck, compare la menzione di un dipinto che potrebbe condi-videre con quello di Marburg la propensione alla raffigu-

razione di natura morta nel contesto nella pittura di fi-gura: “een stuck schilderij, wesende Venus en Bacchus, met fruijten” (Bodart 1970, p. 229, n. 7).12 Mi riferisco naturalmente alla suite raffigurante Tan-talo, Icaro, Fetone, Ixio, e alla loro fonte: la stampa di Dirck Volkertsz Coornhert da Maarten van Heemskerk, I pericoli dell’ambizione uma-na (Hollstein). Cfr. Hendrick Goltzius 2003, p. 98, n. 33.13 Leuschner 2001, in part. pp. 168-169.14 Bodart 1970, p. 12, nota 2; Kanzenbach, Scheele 2003; da ultimo Papi 2013.15 Lettera di Pereisc a Pacius del 25 maggio 1613, Aix-en-Provence, trascritta in Bo-dart 1970, pp. 242-243, in part. p. 243. 16 Sull’attività di Finson in Francia si veda Bodart 1970, pp. 17-29. 17 Lettera di Pereisc a Merri de Vic del 12 settembre 1614, Aix-en-Provence, trascritta in Bodart 1970, p. 250, n. B5518 Lettera di Pereisc a Pacius del 25 maggio 1613, Aix-en-Provence, trascritta in Bo-dart 1970, pp. 242-243, n. B38. 19 Longhi [1935] 1972, p. 6.