Il golpe cileno a Reggio Emilia
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Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna
Anno accademico 2012-2013
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di Laurea Magistrale in Scienze Storiche Profili di Storia Globale
IL GOLPE CILENO A REGGIO EMILIA
Tesi di Laurea di:
Lorenzo Notari
Relatore:
prof. Tolomelli Marica
Correlatore:
prof. Dondi Mirco
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INDICE
Introduzione
p. 4
I L’antimperialismo nel contesto reggiano
- Le componenti politiche reggiane dal dopoguerra agli anni ‘60
p. 7
- Antimperialismo e dissenso cattolico
p. 21
- Uno sguardo globale: lotte e nuove necessità in America Latina
p. 25
II Golpe cileno e Italia
- La svolta di Allende
p. 34
- il golpe visto dall’Italia
p. 47
III La solidarietà reggiana fino a dove si spinge?
- Golpe: reazioni istituzionali
p. 56
- Nasce il Comitato di solidarietà
p. 68
- Gli esuli e la Camera del Lavoro
p. 80
IV Conclusioni
p. 84
Immagini
p. 89
Bibliografia
p. 96
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INTRODUZIONE
Gli anni ‘50 e ‘60 del XX secolo rappresentano senza ombra di dubbio una fase di grandi
trasformazioni e cambiamenti sotto il profilo politico, sociale, economico, dei diritti. Senza
dover elencarli tutti, può essere sufficiente richiamante l’attenzione sull’inedita crescita
economica dei paesi occidentali, dovuta a innovazioni tecnologiche, alla più efficacie
modalità di produzione in scala (fordismo) e a nuovi consumi, alle politiche di libero
scambio in particolare in Europa, al superamento della fase forse più acuta della Guerra
Fredda con la conferenza di Ginevra del 1955, nella quale si stabilivano le aree di influenza
di Usa e Urss. La stessa Unione Sovietica, pur con le lentezze proprie dell’apparato
comunista, aveva avvertito la necessità di superare il periodo staliniano, stimolata anche
dalla Cina, che con il “grande balzo” di Mao, si proponeva di superare Mosca come faro del
comunismo e delle lotte mondiali per il socialismo. All’inizio degli anni Sessanta emergeva il
movimento dei paesi non allineati che rifiutava la logica dei blocchi e invocava maggior
libertà d’azione sulla scena mondiale. Ma non solo la politica e l’economia davano segnali
di risveglio o per lo meno di cambio di rotta. Perfino nel mondo cattolico, tradizionalmente
conservatore, gli anni ‘60 rappresentano uno spartiacque fondamentale, con la
convocazione del Concilio Vaticano II e una nuova visione di Chiesa proiettata nel mondo,
finalmente adeguata alla modernità con cui doveva confrontarsi.
È dunque un mondo che cambia in fretta, e anche le distanze geografiche, pur riducendosi
ogni giorno, sono rese ancora più brevi da condivisioni ideologiche e da appartenenze
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politiche comuni. Sotto questo profilo si gettano ponti che collegano gli oceani, sorretti da
affinità ideali e aspirazioni comuni, che servono a spiegare come ad esempio in Italia
prenda sempre più spazio la questione cilena e come essa venga letta ad uso interno, nel
tentativo di dare corpo a strategie politiche di lungo periodo. La strada verso il socialismo
indicata da Allende nel 1970 diventa paradigmatica dei tentativi operati dal Partito
Comunista Italiano e dalla Democrazia Cristiana di dare una propria lettura dei fatti che si
svolgevano a Santiago in quegli anni, proiettando queste nuove suggestioni nell’agone
politico interno. In sostanza l’elezione di Allende, a capo di una coalizione guidata da
comunisti e socialisti, e la forte presenza di un partito di ispirazione cristiana
all’opposizione, rappresentano una sorta di contraltare del contesto politico italiano. La
rovinosa fine dell’esperienza di Unidad Popolar , sotto le bombe dei golpisti, proporrà una
lezione sia al PCI che alla DC, determinando orientamenti e riflessioni su una possibile
convergenza di interessi politici atti ad evitare ricadute reazionarie come quella cilena.
A Reggio Emilia il dibattito interno non fa eccezioni e si articola tra i sostenitori di un nuovo
corso descritto dal “compromesso storico” di Berlinguer e tra coloro che si oppongo al
disegno. Sarà dunque nostro compito analizzarne il contesto per capire quali sensibilità si
manifestarono e in che modo agirono nei giorni drammatici del golpe militare cileno. È
chiaro fin d’ora che due sono in particolare i fili che si dipartono: uno è quello ufficiale del
Partito Socialista che governava la provincia e che chiaramente avvertiva la maggior
vicinanza ideologica con Allende e che non a caso istituì il comitato di solidarietà
all’indomani del golpe per coordinare le iniziative a sostegno della causa cilena. L’altro
percorso era quello del dissenso cattolico che faceva capo a Corrado Corghi e alla sinistra
della DC, che osteggiava la condotta di Fanfani e il suo sostegno a Eduardo Frei, leader della
democrazia cristiana cilena. A partire da queste due strade proveremo a ricostruire il
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percorso della solidarietà reggiana, cercando di capire il contesto specifico in cui nasce, chi
furono i suoi padri politici, e fin dove essa si spinge. Manifestazioni, comitati, iniziative
pubbliche furono certo auspicate e gestite dai partiti, mai come allora capaci di attirare le
masse e proporre una narrazione che mobilitasse intere città. Ma gli eventi cileni
attecchirono perché la popolazione era già predisposta alla lotta per la solidarietà
internazionale? Ed era adusa e preparata a discutere certe questioni?
Qui cercheremo di analizzare quale impatto ha avuto la vicenda cilena a Reggio Emilia,
nelle numerose forme, artistiche culturali e politiche, in cui la reazione agli eventi
sudamericani si è espressa.
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I
L’ANTIPERIALISMO NEL CONTESTO REGGIANO
Le componenti politiche reggiane dal Dopoguerra agli anni ‘60
“A conoscenza di prime, allarmanti, notizie provenienti dal Cile che affermano essere in atto in
quel Paese un tentativo di colpo di stato militare contro il governo costituzionale e
democratico di Allende, il Consiglio Provinciale esprime la propria solidarietà al legittimo
governo di unità popolare, all’insieme delle forze politiche cilene antifasciste, ai sindacati
operai e contadini, fa appello ai cittadini reggiani a manifestare al popolo del Cile piena
solidarietà, invita il governo italiano a rendersi interprete attivo di tali orientamenti in tutte le
sedi possibili e competenti, ravvisa la soluzione della grave crisi cilena nell’affermazione di un
accordo politico fra tutte le forze popolari antifasciste di matrice socialista e di matrice
cattolica, rifiutando la modificazione dei rapporti politici attraverso pronunciamenti militari”1.
Questo ordine del giorno, votato e approvato dal Consiglio provinciale, presieduto dal
socialista Vittorio Parenti, l’11 settembre 1973, rappresenta il primo atto pubblico della
vicenda che vedrà legati Reggio Emilia e il Cile, con fasi alterne, per tutti gli anni Settanta.
Reggio Emilia, nella figura istituzionale della provincia, si pone dunque in prima linea
nell’esprimere solidarietà al popolo cileno, pur nella precarietà e imprecisione delle notizie
che giungono da oltreoceano. La risposta che il Consiglio invia al popolo cileno giunge
immediata e non sarà l’unica; le iniziative politiche infatti non si interrompono qui: il 17
1 ARCHIVIO PROVINCIA, Fondo Centro di Solidarietà, verbali seduta Consiglio Provinciale 11 settembre 1973.
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settembre, a una settimana esatta dal golpe di Pinochet, si mette ai voti un ordine del giorno
che ha come oggetto “Proposta della Giunta di intitolare il palazzo della provincia a Salvador
Allende”.
Il Cile entra al centro del dibattito politico, con i rappresentanti dei vari gruppi politici
impegnati nella discussione nel merito della proposta del presidente Vittorio Parenti. Alla base
della motivazione risiedeva, perlomeno nella retorica del discorso pubblico, la volontà di
trasferire nella sede della provincia il “forte e supremo”2 senso del dovere manifestato dal
presidente cileno nella sua ultima ora, sicché animasse anche coloro che avrebbero
amministrato la cosa pubblica in quelle mura. Ma evidentemente la sola motivazione ideale
non basta a giustificare un atto che sorprende per la tempestività con cui viene presentato, e
che ci fa ipotizzare: quell’atto evocasse una valenza simbolica che andava oltre la contingenza
e l’emozione del momento. A questo punto le domande che si affacciano alla mente dello
studioso sono molteplici: cosa rappresentava Allende per i socialisti reggiani e più in generale
per la sinistra italiana? Qual è il contesto in cui matura questa decisione e quali frutti porta?
Sappiamo e abbiamo già accennato al tentativo di portare la questione, o meglio la “lezione”
cilena, sul tavolo del dibattito politico italiano, e più avanti vedremo meglio come. Ma ora ciò
che più ci preme è tentare di costruire il percorso che porta all’intitolazione del palazzo della
provincia e che ha senza dubbio due strade che corrono affiancate, a volte incrociandosi, che
sono la rappresentazione reggiana del teatro politico nazionale: i movimenti di sinistra e i
cattolici.
Ora quello che faremo qui non è ricostruire la storia emiliana dei partiti politici e dei loro
protagonisti, dato che esula dall’argomento che ci preme trattare e, cosa non secondaria, la
2 ARCHIVIO PROVINCIA, Fondo Centro di Solidarietà, verbali seduta Consiglio Provinciale 11 settembre 1973.
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mole del lavoro sarebbe quantomeno proibitiva; ci limiteremo quindi a fornire alcune
coordinate per orientare meglio il lettore nella materia e aiutarlo a contestualizzare i fatti del
’73 cercando di coglierne, nella storia, nella formazione dei soggetti politici, le radici più
profonde. Attraverso studi storiografici sulla nascita del cosiddetto “modello emiliano”
proveremo a restituire il clima che ha formato la coscienza della sinistra a Reggio Emilia,
dall’area più moderata a quella rivoluzionaria, e che ha nel bene e nel male ha plasmato le
coscienze migliaia di militanti e semplici cittadini. Il modo in cui i fatti di Santiago del Cile
vengono recepiti sono, a nostro avviso, la ovvia conseguenza di queste premesse unite
certamente ad altri fattori, come la sensibilità personale di coloro che erano chiamati ad un
impegno pubblico e che si prodigarono in questa direzione, spesso ben al di là dei compiti
assegnati dal loro mandato. È dunque necessario approfondire anche lo sviluppo e la nascita
di un pensiero “alternativo” anche fuori dalla dimensione locale, in particolare vedremo come
in Sud America si sviluppi e preda corpo una visione spirituale che si lega profondamente con
le istanze di cambiamento che in Italia cominciavano a manifestarsi nel mondo cattolico, in
particolar modo dopo il Concilio. Questo insieme di elementi ci permetterà, crediamo, di
cogliere i vari aspetti di una stagione di grande respiro, presto richiusa nei solchi di un
generale riflusso culturale, ideale, politico che ha caratterizzato i decenni successivi.
La Resistenza ha rappresentato una tappa fondamentale del cammino di creazione
dell’identità emiliana e ne ha in qualche modo determinato anche i rapporti di forza. La lotta
partigiana che ha infiammato le campagne e le montagne, più violenta che altrove, ha
restituito un partito comunista più forte e soprattutto più adeguato dei socialisti a farsi carico
delle aspirazioni degli ex combattenti e delle masse. Dopo il 25 Aprile nella Provincia reggiana
il Partito Comunista ha 37 348 aderenti; nel 1953 saliranno a 63 350, mentre 15 955
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aderiranno alla FGCI3. Gli altri elettori si divideranno tra PSDI, PLI, MSI, e soprattutto DC; la
fase caotica successiva alla liberazione, con diversi omicidi politici, viene gestita dai dirigenti
locali grazie anche al deciso intervento di Togliatti: ormai è chiaro che la lotta politica va
incanalata nel solco democratico e non nella guerriglia. In Emilia il PCI sceglie di operare in
continuità con il modello socialista emiliano. Nella patria del socialista Camillo Prampolini, i
comunisti riprendono in mano il modello cooperativo e democratico che non era stato
distrutto dal fascismo, ma che covava sotto le macerie; non è un caso infatti che proprio a
Reggio Emilia si generi questo processo storico di sviluppo ed estensione sociale del partito
comunista: le sue basi furono proprio la Resistenza e il socialismo riformista prampoliniano,
ed essendo entrambi a carattere di massa e con capacità egemonica come pochi in Italia
funsero da punti di partenza per quello che si può definire il “caso reggiano”. E sempre in
Emilia, Togliatti getta le basi per una nuova strategia politica, che prende avvio dalla
composizione sociale peculiare emiliana; nell’immediato dopoguerra, era un territorio poco
industriale, con una forte presenza bracciantile (che la accomunava per certi versi al
meridione), e popolazioni contadine spesso proprietarie. Prima della guerra non si erano
infatti verificate le condizioni per uno sviluppo industriale importante: la conduzione
mezzadrile spinge i proprietari a non investire capitali ma a sfruttare la forza lavoro, e la
limitata estensione dei poderi rende pressoché impossibile l’acquisto di macchinari che erano
convenienti se utilizzati su ampia scala. I movimenti sociali intervengono sulla classe
padronale obbligandola ad investire, mentre le forme cooperative assicurano la ripartizione
dei costi permettendo ai soci l’utilizzo temporaneo delle macchine. Si avverte la necessità,
all’interno del partito comunista, di costruire una nuova base sociale, non più fondata sulla
3 MIETTO MARCO, I partiti negli anni della Ricostruzione, in AA.VV., Storia Illustrata di Reggio Emilia, a cura di
Maurizio Festanti e Giuseppe Gherpelli, Aiep Editore, 1987.
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lotta in fabbrica, ma che fosse una rappresentanza di contadini e braccianti, a cui offrire una
prospettiva e un ideale. A Reggio coloro che erano iscritti al PCI, rappresentavano il 26,8% (gli
operai erano il 25,5%)4. È dunque chiaro come Togliatti proprio da Reggio Emilia, il 24
settembre del 1946, proponesse un “nuovo corso”5, un laboratorio di alleanze sociali, che
puntasse alla ricostruzione nazionale tenendo conto dell’interesse generale del paese, certo di
stampo socialista, ma tale da non sopprimere, ma anzi sviluppare l’iniziativa privata e
imprenditoriale. La regione si pone come avamposto e laboratorio sociale, in cui il partito è
percepito come un “tutto”, che punta a “fare” la società e a includere all’interno di essa tutte
le sue componenti. Il rinnovamento proposto sollecita una riformulazione dell’asse del partito:
“la centralità dei ceti medi in funzione antimonopolistica, prospettiva di una nuova
maggioranza, ruolo dinamico assegnato al governo locale, mutamenti organizzativi del partito
e rinnovamento dei suoi gruppi dirigenti, vengono connessi in un quadro sistematico, dandosi
come momenti costitutivi di una intelaiatura strategica di lungo periodo”6. Sono gli anni in cui
la linea più intransigente e in conflitto con Togliatti, incarnata dalla figura di Secchia, viene
messa da parte, ma questo ricambio dei quadri dirigenti a Reggio avviene solo a partire dal
1959, proprio per il forte radicamento del partito nel territorio. La svolta comunque avviene,
certe ideologie forti vengono abbandonate (erano gli anni dei fatti in Ungheria, della morte di
Stalin, del XX Congresso del PCUS) e la società emiliana si organizza e si esprime al meglio, pur
con tendenze a chiusure dogmatiche e di burocratizzazione, in cui il dibattito politico sembra
chiudersi, vuoi anche per l’accerchiamento delle opposte fazioni e l’appiattimento sulle
posizioni raggiunte. La conferenza di organizzazione del 1959 ha proprio questo intento:
l’apertura ai modernizzatori e riformisti, che saldano il modello emiliano alla sfida da portare
4 MIETTO MARCO, op. cit.
5 TOGLIATTI PALMIRO, Politica Nazionale e Emilia rossa, Editori Riuniti, 1974, p.30. 6 D’ATTORE PIER PAOLO, a cura di, I comunisti in Emilia Romagna, Istituto Gramsci, 1981, p.19.
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in campo nazionale; si possono coniugare buon governo e trasformazioni sociali con la
programmazione e con l’amministrazione locale. Gli anni Sessanta, grazie allo stimolo del
miracolo economico e dei governi di centro-sinistra sono il momento i cui gli enti locali
rappresentano il “cuore pulsante della politica comunista”. Per usare le parole di Carlo Galli,
“il Pci offre un modello amministrativo politico e sociale ad un capitalismo che nasce e che in
parte fa nascere”7. Si intraprende la strada dello sviluppo dei servizi sociali, con il
coinvolgimento della popolazione (istituzioni scolastiche per l’infanzia, consorzi sanitari,
trasporti). Gli anni Settanta rappresentano invece una cesura e un momento di crisi per il Pci e
il modello che negli anni si era costituito in Emilia. Rispetto alla instabile situazione nazionale,
qui il partito mantiene stabile la sua base elettorale, grazie soprattutto ai risultati ottenuti
dalle amministrazioni locali. Il partito, in una fase di contestazione che arriva dai movimenti
operai e studenteschi, si interroga sulle strategie per uscire dalla crisi e per fondare una nuova
alleanza tra classe operaia (fortemente aumentata rispetto agli anni ’50 e ‘60) e ceto medio. Il
’68 aveva inoltre posto in primo piano i temi dell’internazionalismo aprendo uno squarcio sul
mondo, creando una nuova frontiera per lo scontro politico. Già alla seconda conferenza
regionale del Pci tenutasi a Bologna nel gennaio 1968 Cesare Gavina illustra lo scenario
mondiale che si dipana, e le prospettive “pesanti e gravide” che investono il futuro prossimo.
Uno dei nodi riscontrati a livello nazionale, il cui scioglimento secondo i leader del PCI darebbe
un notevole impulso al rinnovamento, è il malgoverno della DC e del centro-sinistra; l’accusa
ai governi è duplice: da una parte quella di un sostanziale appiattimento sulle posizioni della
NATO, che costringe l’Italia ad alleanze quanto mai discutibili in nome degli obblighi militari
derivanti dal Patto Atlantico, come avvenuto durante le crisi nel Mediterraneo, in particolare
nella Grecia dei colonnelli dall’altra, secondo Gavina, si era assistito sul piano nazionale al
7 CAPITANI LORENZO, a cura di, Emilia Rossa, Vittoria Maselli Editore, 2012, p.19.
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tentativo della DC di penetrare in Emilia cercando di rompere il fronte delle sinistre, operando
per un isolamento dei comunisti8. Viene di fatto giudicata fallimentare l’esperienza dei governi
di centro-sinistra, che hanno visto per la prima volta in Italia un partito di ispirazione socialista
al governo, ma le cui divisioni interne hanno reso difficile portare a termine le riforme
richieste. È anche il periodo degli attentati stragisti, inaugurato dalla bomba di Piazza Fontana,
che scuotono il sistema politico italiano e che portano la Dc a optare per un ritorno al
centrismo. Il partito comunista, con l’approssimarsi delle elezioni regionali del 1970, analizza
la situazione dell’Emilia, stilando un quadro di forte cambiamento rispetto ai decenni
precedenti: la classe operaia è in aumento, anche se frazionata per la maggior parte in
aziende a conduzione famigliare, ma il vero fatto nuovo è ravvisato nell’ “intervento delle
masse studentesche nelle lotte sociali e politiche della Regione”, che raffigurano, secondo
Gavina, “tendenze nuove nello sviluppo della società”9, nella quale è sempre più
preponderante il peso della cultura, della scienza e della tecnica. Si apre una fase in cui il Pci si
propone come partito riformista, alla ricerca di intese per creare una maggioranza per via
democratica, e allo stesso tempo vedrà crescere i movimenti di studenti e operai che,
saltando la fase di mediazione politica proveranno a superare il Pci a sinistra.
Ma Reggio Emilia non era solo PCI. Abbiamo accennato alla duplice linea caratterizzante il
dibattito politico reggiano, quindi non possiamo trascurare il ruolo della DC e dei cattolici, che
ebbe personalità assolutamente rilevanti, che sin dai primi anni del Dopoguerra funsero da
tramite tra la Resistenza, i Comitati di liberazione e la rappresentanza cattolica democratica
cittadina (tra tutti Giuseppe Dossetti, Pasquale Marconi, Mons. Angelo Cocconcelli). La
Democrazia cristiana, pur nella fatica di tener insieme anime diverse, trova obbiettivi comuni
8 D’ATTORE PIER PAOLO, op. cit., p.234.
9 Ibidem.
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nella ricostruzione, nella libertà. Con l’esclusione operata da De Gasperi delle sinistre al
governo (1947), iniziò il periodo di propaganda anticomunista, che a Reggio ebbe nel vescovo
Beniamino Socche uno dei maggior portavoce. Ma sarebbe sbagliato identificare nella sua
persona partito e chiesa, non fosse altro per la presenza di Giuseppe Dossetti. Egli, già
protagonista della Resistenza cattolica, fu una delle maggiori personalità della Costituente, e
oppositore di De Gasperi. La visione di Dossetti era tesa a recuperare alla DC i valori e gli ideali
della Resistenza, e che esigevano collaborazione tra i partiti. Distruggere l’edificio fascista,
significava per Dossetti “accettare la sfida del marxismo, del quale respingeva la dimensione
atea, la dittatura del proletariato e la dialettica materialistica, ma significò anche rovesciare le
posizioni concettuali e pratiche della società borghese”10. Nella lettera che scrisse ai parroci
italiani il 27 marzo del 1945, presenta la sua idea di movimento democristiano, chiarendo fin
da subito la necessità di separare “il ministero esclusivamente spirituale dei parroci” con
“l’attività organizzativa e politica della DC”; l’obbiettivo deve essere solamente uno, ossia la
“ricostruzione morale, prima ancora che economica e politica della nazione”. È ben chiaro in
Dossetti che la DC che egli immagina non può e non deve essere un movimento reazionario,
ma anzi è convinto che “tra l’ideologia e l’esperienza del liberalismo capitalista e l’esperienza
(…) dei nuovi grandi movimenti anti-capitalisti, la più radicalmente anticristiana non è la
seconda ma la prima11. La sua visione di Stato solidale e democratico si scontrò con la volontà
dei vertici della Democrazia Cristiana di recuperare le strutture prefasciste, nell’ottica di una
contrapposizione radicale al comunismo. Le dimissioni di Dossetti da deputato della
Democrazia Cristiana, dovute all’impossibilità di veder riconosciute le sue prerogative
segnarono una svolta del mondo cattolico reggiano, e secondo Sandro Spreafico “una caduta
10 NESTI ARNALDO, SCARPELLINI ALBA a cura di, Mondo democristiano, mondo cattolico nel secondo Novecento
italiano. A colloquio con Corrado Corghi, Firenze University Press, Firenze 2006, p.52. 11
NESTI ARNALDO, SCARPELLINI ALBA, op. cit., p.42-43.
15
nell’etica della vita politica” in cui si passa da coloro che avevano fatto la Democrazia
Cristiana, a coloro che hanno creduto di gestire, in modo però molto diverso, il partito”12.
(SPREAFICO, P 394). Non si riuscì più a pensare il partito come nella visione dossettiana di
partito militante, di mobilitazione. La vicenda delle OMI Reggiane (su cui ci soffermeremo in
seguito) è emblematica della incapacità della Dc di rivolgersi alla classe operaia con linguaggi e
strumenti adatti. Ma come ha sottolineato Salvatore Fangareggi non fu una testimonianza
infeconda, perché le generazione successive hanno ricevuto in lascito la sua profonda
“identità con i problemi delle classi più emarginate, il rifiuto di accettare una riconoscibilità
dell’impegno cristiano nella conservazione degli interessi dei ceti finanziariamente dominanti
e l’obbiettiva valutazione del fenomeno comunista”13. La presenza di Dossetti volle dire
l’affermarsi a Reggio Emilia di una DC di sinistra e di un dossettismo non teorico ma radicato
sul territorio. Di contro va sottolineata la presenza a capo della chiesa locale di Beniamino
Socche, vicentino, che guidò la diocesi reggiana a partire dal 1945. Il suo compito non fu
affatto facile, in una terra “rossa”, teatro in quel periodo di un gran numero di casi di “vedette
private” e regolamenti di conti. La sua fermezza e condanna nei confronti dei comunisti gli
valsero l’etichetta di vescovo di destra, contribuendo ad esacerbare lo scontro tra cattolici e
marxisti (come vedremo nel caso delle Reggiane). Mentre quindi la chiesa si assestava su
posizioni intransigenti, il mondo cattolico si dibatteva tra esse, e le proposte si rinnovamento
politico e sociale prospettate da Dossetti e dal suo gruppo (Giuseppe Lazzati, Amintore
Fanfani). A seguito dell’uscita di Dossetti dal partito, la DC nonostante l’opposizione interna
delle componenti di sinistra, si piega su posizioni di centro-destra È un periodo di forte
ristagno per il corso del partito, che a Reggio ha scarsi spazi di manovra per la preponderante
12 SPREAFICO SANDRO, I cattolici reggiani: dallo Stato totalitario alla democrazia, la Resistenza come problema,
Tecnograf, Reggio Emilia 1986, p. 394. 13 FANGAREGGI SALVATORE, Il partigiano Dossetti, Vallecchi, Firenze 1978, p.109.
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forza del PCI, e lo stesso avviene nella società causa potere della Chiesa14. È ancora vivo il
sogno della creazione della “civiltà cattolica” e destra e sinistra si confrontano alla pari, ma
restano scarsamente omogenee; periodo in cui nascono e si sperimentano nuovi gruppi di
dissenso dalle tematiche politiche, avvertite come insufficienti per le generazioni che si
affacciavano sulla scena politica.
Prima di analizzare questa pur breve stagione di dissenso, partecipazione e associazionismo,
occorre evidenziare due momenti cruciali nella vita cittadina, quali fabbricanti di nuove
convinzioni e cambiamenti. Uno come già accennato è il caso delle Officine Meccaniche
Italiane “Reggiane”, l’altro riguarda i fatti di sangue del 7 luglio 1960.
Si è detto di Togliatti e del suo discorso “Ceti medi e Emilia rossa” nel quale la proposta della
politica delle alleanze mirava ad unire intorno a programmi di sviluppo non solo i ceti operai
ma anche contadini, artigiani e commercianti. Nella realtà regionale è presente un sistema
politico omogeneo, controllato dal partito comunista, un sistema di imprese promosse da tale
sistema, un sistema sociale aderente a leghe o associazioni militanti15. A Reggio il modello si
impone sia per le lotte contadine e operaie, sia per la presenza del socialismo riformista, sia
per il decollo dell’industria e del settore agricolo, oltre che per l’equilibrio raggiunto, più che
altrove tra campagna e città. L’agricoltura, a partire dal secondo dopoguerra andò
aumentando il livello di meccanizzazione e specializzazione. Era importante anche l’impresa a
conduzione famigliare, che creerà le condizioni per svilupparsi successivamente in impresa
artigianale. Un ruolo rilevante fu assunto dalle cooperative, attive e presenti dalla seconda
metà dell’Ottocento, ma che dopo il 1945, si riorganizzano, in particolare nel settore agricolo,
nella trasformazione dei prodotti (latterie, macellerie, cantine, consorzi). L’industria invece,
14 MIETTO MARCO, op. cit., p.620
17
Officine Reggiane a parte, si sviluppa in modo deciso a partire dagli anni Sessanta. Ma fu
proprio la vicenda delle Reggiane a segnare il passo nei rapporti tra comunisti e cattolici nello
scenario cittadino e a costituire un punto di svolta nella loro storia locale. La più grande
fabbrica cittadina che al tempo della sua massima espansione occupava circa 5000 persone,
era in crisi dal dopoguerra. Il problema delle Reggiane era determinato soprattutto dalle
esigenze della riconversione industriale a un’economia civile in tempi di pace. La produzione
di materiale bellico declina, la situazione nell’industria meccanica e pesante nei primi anni del
dopoguerra proprio a causa di queste ragioni si fa difficile. La mutata situazione politica
italiana del ‘47, con l’esclusione del fronte delle sinistre dal governo, provocò una ulteriore
radicalizzazione dello scontro all’interno della fabbrica. La richiesta di licenziamenti presentata
l’anno successivo alla commissione interna dello stabilimento e al consiglio di gestione
provocò la immediata opposizione degli operai sfociati in scioperi di protesta. Ma ormai la
situazione delle Reggiane era tale che la produzione costava il 30% in più del fatturato16. Alla
proposta di misure alternative al licenziamento individuate dal consiglio di gestione si rispose
con l’impossibilità di attuarle vista la situazione finanziaria. Gli incontri tra i rappresentanti
degli operai e la direzione, oltre alla presenza dei funzionari del ministero non riuscirono a
sbloccare la situazione: era un dialogo tra sordi. Il FIM non sbloccava i fondi se prima non si
licenziava, ma il consiglio di gestione si opponeva e la direzione si trovava di fronte a un muro:
quando provò a spiegare la situazione direttamente ai lavoratori con la distribuzione di
volantini, essi li bruciarono in un falò sotto le finestre della dirigenza. Giorgio La Pira, allora
sottosegretario al ministero del lavoro, riuscì a raggiungere un compromesso, ma era pura
illusione pensare che avrebbe salvato l’azienda. La DC sul piano della elaborazione teorica
15 ZINI CLARA, Cristiani a confronto 1973-1981, tesi di laurea, Università degli studi di Parma, facoltà di Lettere e Filosofia, 1996-97, p. 20-21. 16 SANDRO SPREAFICO, Un’industria, una città – Cinquant’anni alle Officine “Reggiane”, Il Mulino, Bologna 1968.
18
poteva fornire ben poco a supporto del problema. Solo alcuni intellettuali d’area bolognese
avevano intuito lo sviluppo della regione articolato sulla piccola-media impresa e sul
decentramento, e questa linea sarà appoggiata dal partito solamente alla fine degli anni
Cinquanta, quando il boom economico è alle porte17. (MIETTO P.617). All’interno della
fabbrica invece la situazione era insostenibile, e la mancanza di un strumento di lavorazione
diventava il pretesto per vibrate proteste; gli operai entravano nei reparti non autorizzati
senza rispettare i turni, si svolgevano comizi in pieno orario di lavoro, si suonava
abusivamente la sirena per interrompere la produzione, i muri erano imbrattati da scritte. Il
dissidio andò ingigantendosi anche perché l’ala sindacale più radicale, la FIOM aumentava i
propri sostenitori, terrorizzati dai possibili licenziamenti.
Per quattro settimane si susseguirono agitazioni e scioperi a singhiozzo, e nel mese di maggio
furono 30mila le ore perse18. Nell’estate del ’50 gli avvenimenti si fecero più serrati. Ormai la
FIOM era in netto dissenso con la linea moderata degli altri sindacati, e il consiglio di gestione
continuava a indicare nuovi indirizzi di gestione per trovare una via di salvezza. A rendere
ancora più surreale il clima arrivò la richiesta della dirigenza di 2000 licenziamenti in risposta
agli scioperi generali e locali. Seguirono ovviamente manifestazioni di protesta, comizi e atti di
solidarietà verso gli operai. Il 5-6 ottobre la fabbrica venne chiusa e la dirigenza si rifugiò in
città. Si era giunti alla serrata. Si aprì un breve periodo di lotta che culminò il 2 ottobre 1950
con l’occupazione della fabbrica. Tra l’ottobre del ’50 e la primavera del ’51 si assistette alla
più lunga occupazione di uno stabilimento nella storia italiana. La liquidazione coatta
amministrativa è l’epilogo di una vicenda che aveva visto una contrapposizione
profondamente ideologica tra PCI e DC che dall’una e dall’altra parte aveva impedito soluzioni
di compromesso che forse avrebbero potuto dare un finale diverso. La lotta era stata
17
MIETTO MARCO, op. cit. p.617.
19
principalmente politica I comunisti criticavano la DC, considerando la sua politica come una
prosecuzione della politica della Chiesa locale, allora guidata da Beniamino Socche, che non
faceva mistero delle sue posizioni fortemente anticomuniste. Il PCI tentò di alzare il livello
dello scontro, cercando consensi e alleanze anche fuori dal mondo operaio, mettendo i campo
tutto lo sforzo di mobilitazione di cui era capace e si dimostrò in grado di “cogliere e veicolare
bisogni elementari, ma non per questo vaghi”19. E se l’Unità contribuì a rendere il caso delle
Reggiane una questiona nazionale, la DC si chiuse nella condanna dei metodi di lotta
comunista ma non tentò mai di rivendicare per sè le rimostranze del mondo operaio,
lasciando sostanzialmente campo libero agli avversarsi di sempre. Anche la stampa locale si
limitò a riferire ciò che avveniva, senza tuttavia tentare un’analisi di ciò che accadeva. Quello
delle Reggiane è stato un momento importante nella vita politica della città: la sconfitta
sindacale fu in realtà una vittoria politica per il PCI, che consolidò il proprio radicamento
sociale, ma ne modificò anche la composizione: la dispersione operaia a seguito dello
smantellamento portò una riduzione del peso operaio all’interno del partito (da un terzo a un
quarto) e contribuì ai ripensamenti di linea successivi20. Ripensamenti che furono accelerati
anche da Valdo Magnani, segretario provinciale, leader indiscusso, che durante il VII
congresso di partito, mise in dubbio alcuni cardini del pensiero comunista. Bollato come
traditore, fatto oggetto di una massiccia campagna propagandistica, ed allontanato dal
partito, anticipò di trent’anni questioni che il PCI non poté più rimandare.
Altro evento avvertito come un momento di passaggio, e di nuove consapevolezze fu quello
che ebbe luogo il 7 luglio 1960. A causa della formazione, dopo mille vicissitudini, del governo
Tambroni, con i voti decisivi del MSI, e la richiesta, accolta, di quest’ultimo ad indire il proprio
18
SANDRO SPREAFICO, op. cit. 19
MIETTO MARCO, op. cit. p.618. 20 Ibidem.
20
congresso nazionale a Genova, città antifascista, provocarono la reazione delle piazze in
diverse città d’Italia, con morti e feriti. A Reggio Emilia si ebbe il bilancio più grave, con cinque
morti e ventidue feriti. La crisi non avveniva in un momento casuale, ma all’interno delle
trasformazioni in atto nella società italiana: le prospettive del miracolo economico, la crisi dei
governi di centro e la formazione dell’idea di un possibile governo di centro-sinistra, l’inizio di
una frattura generazionale, che la piazza renderà evidente. La DC nazionale esprimerà
solidarietà al governo, mentre Corrado Corghi, segretario democristiano per l’Emilia Romagna
e membro della direzione nazionale, si porrà in aperto contrasto con il ministro dell’Interno e
con l’operato della polizia. Come nel caso delle Reggiane, la CGIL fu la animatrice della piazza,
mentre le sigle sindacali cattoliche non aderirono allo sciopero perché considerato politico. I
giovani reggiani della FUCI emisero un comunicato per denunciare il sabotaggio del partito
contro l’apertura a sinistra. In piazza accanto agli adulti, protagonisti della lotta alle Reggiane,
ora c’erano dei giovani, che manifestavano per la prima volta. Si annunciava una fase nuova,
una rottura con il passato, una stagione che avrebbe portato i suoi protagonisti alle lotte del
’68.
La terza e ultima componente politica della scena reggiana, rilevante per la nostra ricerca è il
partito socialista. Il PSI reggiano non era certo in una posizione facile. I gruppi dirigenti erano
anziani, mentre i giovani erano attratti dal fascino della Resistenza e dalla propaganda
comunista. Anche il PSI come il PCI era attraversato dal dilemma tra spinte rinnovatrici e
resistenze, ma a differenza dei comunisti ai socialisti mancavano le masse. Inoltre, rispetto al
dato nazionale, per cui nell’allora PSIUP le tendenze fusioniste erano maggioritarie rispetto a
quelle autonomistiche, al congresso provinciale prevalse la linea anti-fusionista per il 90%.
Durante la Resistenza la partecipazione numerosa dei socialisti non aveva avuto i caratteri di
una organizzazione di massa come era accaduto per il PCI, e la difesa della gloriosa tradizione
21
socialista portava una certa dose di diffidenza nei confronti dei comunisti. Nel 1953 il PSI
aveva 11 850 elettori mentre la componente socialdemocratica (PSDI) solamente 1 200.
Questo comportò la sostanziale ininfluenza della linea socialdemocratica, e l’aumento della
maggioranza della corrente di “sinistra” all’interno del PSI, che lo guiderà per tutti gli anni
Cinquanta.
Antimperialismo e dissenso cattolico
Per dirla con le parole di Corrado Corghi, scritte nel 1975, con antimperialismo si intende “la
fine dei rapporti di sfruttamento tra metropoli e colonie, tra paesi ricchi e paesi poveri,
significa l’aiuto a paesi in via di sviluppo senza pretese di ingerenza (…) per i paesi europei
significa rinunciare a voler costruire un antagonismo agli USA su una maggior crescita delle
proprie forze neo-capitalistiche”21. È una analisi della realtà economica , sociale e politica che
vede nell’oppressione del capitale la minaccia alla libertà e alla dignità umana. Due anni prima
di questo intervento di Corghi, nel 1973, al Convegno della ACLI lombarde il tema centrale è I
cristiani e l’internazionalismo: la lotta nel Terzo Mondo, si legge nella relazione introduttiva,
diventata attuale dopo il Vietnam e il Cile, interroga il cristiano e in modo in cui la sua fede è
posta nel mondo. Si chiede al credente di porsi in modo nuovo di fronte ai problemi della
povertà e del sottosviluppo, seguendo sostanzialmente le linee teologiche indicate dai vescovi
sudamericani a Medellin. Ancora prima, in un dibattito del 1966 sull’analisi delle prospettive
dei cattolici impegnati in politica emergeva forte dalle parole di Corghi la consapevolezza della
necessità di uno sguardo ampio: “senza Africa, senza l’America Latina, senza l’Asia non si farà
21 CORGHI CORRADO, Solidarietà antimperialista e diritti dell’uomo, in Vita Sociale n°164, Gennaio-Febbraio 1975, p.75.
22
il mondo di domani”22 (CORGHI L’AZIONE E LE PROSPETTIVE P.22). Da questa considerazione
sorge una nuova consapevolezza per il cattolico, e cioè la necessità della conoscenza, politica
e religiosa, che metta in discussione anche la politica estera italiana e avvii “rapporti profondi
e duraturi di cooperazione e integrazione culturale”23.
Ma anche il mondo comunista è scosso da profondi contrasti e contraddizioni. Dopo le
divisioni sull’intervento in Cecoslovacchia il PCUS, nel tentativo di ricucire gli strappi e
ripristinare il vecchio ordine gerarchico indisse la Conferenza mondiale di Mosca nel giugno
del 1969. In quella occasione maturò la linea italiana, portata avanti da Longo e Berlinguer, di
rifiutare il partito-guida, rivendicando l’indipendenza, il ruolo “nazionale” del PCI, e la sua
vocazione per un socialismo all’interno della cornice democratica. Inoltre il PCI non approva i
capitoli del documento conclusivo in cui si parla di antimperialismo, denunciando i “vuoti” e le
analisi approssimative e per la mancanza “di un esplicito rifiuto del modello unico del
socialismo”24. Fin dal ’56, pur senza sciogliere il “legame forte” che lo univa al modello
sovietico, il PCI nella figura di Togliatti ammetteva l’esistenza di vie nazionali al socialismo. Ora
si apriva una fase nuova, una “nuova proiezione del partito”, sempre più favorevole (con
Berlinguer in particolare) ad una Europa comunitaria che fosse portatrice di valori nuovi, di
una “idea diversa del benessere individuale e della crescita umana”. La nuova sensibilità del
partito, portata avanti non in modo omogeneo e ben definito, in particolare nei primi anni ’60,
si concentrò sull’intensificazione dei rapporti diplomatici e di solidarietà, più che aiuti tecnici e
finanziari, in particolare in Africa, ma anche Sud America e Asia. Le problematiche del
sottosviluppo che si aprirono agli occhi dei dirigenti del PCI li resero consapevoli che nuovi
22 CORRADO CORGHI, L’azione e le prospettive dei cattolici impegnati a rinnovare lo stato e la vita politica, I quaderni
di Corea, n°6, Livorno 1966, p.22. 23 Ibidem. 24 GUERRA ADRIANO, La solitudine di Berlinguer. Governo, etica e politica, da “no” a Mosca alla “questione morale”,
Ediesse, Roma 2009, p.79.
23
attori si affacciavano sulla scena mondiale, non più riconducibili alle categorie bipolari. Lo
squilibrio Nord-Sud, la fame e la povertà meritavano riflessioni di più larghe vedute.
Il fermento che attraversa gli anni ’60, periodo di grandi cambiamenti economici e sociali, si
può osservare nella grande vivacità e nel numero di espressioni culturali che si realizza a
Reggio Emilia. Fu significativo in questo caso, il lavoro di Corghi, il quale, dopo la sua
clamorosa uscita dalla DC nel ‘68, aderì a gruppi non istituzionalizzati e circoli, che nascevano
nel territorio durante la stagione post-conciliare. È forte in lui la critica al modello capitalistico
occidentale, che trova conferma nei numerosi viaggi intrapresi proprio a partire da quegli anni
in vari paesi del cossi detto Terzo Mondo, e in particolare in America Latina, ma soprattutto è
una voce ascoltata nel panorama dei gruppi di base e dei cattolici di sinistra reggiani25. È
avvertita chiaramente dai giovani la necessità di un salto qualitativo nelle iniziative politiche e
culturali, che tenga conto dei fermenti maturati dal Concilio, abbandonando l’etichetta di
“cristiani” in politica, e che riconosca il bisogno di un adeguamento alle realtà profondamente
trasformate. Il Movimento Giovanile della DC ravvisa nei giovani della FGCI l’interlocutore
privilegiato per una cooperazione sul territorio legati soprattutto a temi di politica estera,
dove l’antimperialismo di fondo comune ai due gruppi favorisce i dialogo e l’azione comune
(già manifestatasi nella protesta contro l’arrivo di Henry Kissinger in Italia), per recuperare “la
tradizione del pensiero cattolico ed antifascista”26. Se si analizzano i contenuti dei convegni
che il MG reggiano organizza in quegli anni anche con realtà limitrofe (è il caso del convegno
tenuto sul lago di Garda assieme i Movimenti Giovanili di Brescia, Ferrara e Mantova) si può
comprendere meglio quale fosse il tipo di analisi intrapresa dai gruppi e di conseguenza la loro
25
Intervista a Pierluigi Bertolotti, che durante gli anni ’60-’70 fu esponente di spicco del Movimento Giovanile della DC a Reggio Emilia.
26 Atti del XVI Congresso provinciale Movimento giovanile DC, Polo Archivistico Reggio Emilia
24
azione sul territorio, e nello specifico la grande mobilitazione pro Cile27. Il messaggio del
Sinodo dei vescovi del 1971, che va nel solco tracciato dalla Populorum progressio, afferma
che “chiunque osi parlare agli uomini di giustizia deve apparire innanzitutto giusto ai loro
occhi” e viene letto da Corghi come un invito a radicarsi nella lotta di liberazione della classe
operaia per affermare i diritti umani. La Chiesa, o meglio una sua parte, appare dunque su
posizioni più avanzate rispetto a quello che della Chiesa è sempre stato, fin dalla sua creazione
il partito di riferimento, la DC. Quest’ultima si trova impantanata in un centrismo
conservatore, senza che l’orizzonte di nuove aperture apparisse vicino. Il mondo cattolico
animato dal Concilio si trova così nella condizione di imbastire un dialogo con posizioni non
propriamente “ortodosse”, interpretando una crescente esigenza. L’esperienza dei gruppi
spontanei si esaurisce presto, causa le prospettive confuse e utopiche, mentre nascono e si
sviluppano numerose iniziative, gruppi e associazioni, riviste (solo a Reggio quelle che
esprimono posizioni cattoliche avanzate vendono 3 500 copie28) e circoli come Il Risveglio a
Reggio Emilia e Leonardo a Correggio. Questi fenomeni intellettuali, è bene ricordarlo, sono
sempre in collegamento con la gerarchia ecclesiastica locale, che però nel frattempo è guidata
da mons. Gilberto Baroni il cui scopo, fin da suo insediamento è di portare nella diocesi
reggiana i frutti del concilio. Per cui il suo episcopato sarà caratterizzato da numerose
iniziative in anticipo sui tempi. Negli ambienti della sinistra avviene nello stesso periodo un
dialogo “costante e produttivo”29 tra le componenti giovanili, in particolare il Circolo
universitario comunista e il circolo Antonio Gramsci, che denota la volontà della FGCI di
ricercare il dialogo con altre componenti giovanili. In particolare è il Vietnam a fornire la un
argomento di dissenso dalla linea ufficiale e a fornire occasioni di incontri unitari tra marxisti e
27 Ibidem. 28
PELLACANI, op. cit., p.85 29 PELLACANI CARLO, Il sogno dell’alternativa, vicende e protagonisti del dissenso ecclesiale e politico. Dal Sessantotto al movimento No-global, Consulta, Reggio Emilia 2002, p. 86
25
cattolici (significativo fu il ruolo di Mario Primicerio nell’opera di divulgazione della realtà
vietnamita e dei retroscena del tentativo di pace). Foglio di informazione alternativa, pur con
il beneplacito del PCI, sarà Reggio 15, mentre la pagina locale de L’Unità rimarrà quella
ancora a più larga diffusione. In ambito cattolico da sottolineare la presenza di Alternative,
rivista che promuove la “ricerca di itinerari diversi sulle strade di una nuova coscienza
ecclesiale e religiosa, di un nuovo impegno culturale e politico”, e Cristiani a Confronto, rivista
che nasce dall’esperienza della comunità di base di Castenuovo di Sotto, il cui intento era
quello di cercare un confronto tra le diverse anime del mondo cattolico, con atteggiamento
critico che non facesse a meno di esperienza nella Chiesa e di impegno civile30; significativa
per quest’ultima realtà fu il primo convegno nazionale che si tenne a Bologna dal 21 al 23
settembre 1973 dei Cristiani per il socialismo, ispirato dall’incontro di Santiago del Cile di due
anni prima.
Alla luce di queste premesse si comprende la grande stagione della solidarietà reggiana, le cui
radici vanno ricercate senza dubbio nella rinnovata linea politica del PCI, nel fermento
maturato nel mondo cattolico, oltre che nella sensibilità degli amministratori locali. Il partito
dunque si proponeva come primo attore in grado di compiere una decisiva riflessione sulle
problematiche della decolonizzazione e sulle nuove forme di socialismo.
Uno sguardo globale: lotte e nuove necessità in America Latina
Se dunque questo era il quadro reggiano, in cui insistevano elementi propri accanto a
tendenze omologhe a quelle nazionali, non possiamo non ampliare il nostro sguardo e provare
30 ZINI CARLA, op.cit., p.65-66
26
a definire meglio le tendenze e gli orientamenti internazionali a cui per forza di cose
dobbiamo guardare per renderci conto del clima in cui queste vicende si inseriscono e quali
conseguenze hanno prodotto a livello locale. È impossibile capire lo svolgersi degli
avvenimenti se non definiamo meglio qual era l’humus in cui nuove ideologie, dottrine e
correnti avevano trovato il luogo fertile e il giusto habitat per attecchire e svilupparsi.
Contrariamente all’uso comune che suole partire da ottiche generali per poi scendere ad
analizzare il quadro locale, la nostra scelta vuole indicare soprattutto l’ambito privilegiato
delle ricerche, che riguarda la realtà emiliana e più precisamente reggiana; quindi dopo aver
detto della genesi delle componenti politiche e la loro evoluzione connessa all’ambito
territoriale, occorre dare un respiro più ampio, per collegare le lontane vicende cilene,
oggetto del nostro lavoro, con la situazione italiana, i cui effetti a cascata si ripercuotono a
Reggio Emilia.
Compiendo un ampia ricognizione sulla situazione del socialismo sul scala globale, possiamo
notare come fosse ad uno stadio avanzato l’intreccio fra movimenti di liberazione, radicali
riforme sociali ed economiche nei paesi appena emancipatisi, e nuovo allargarsi del fronte
antimperialista in alleanza con l’URSS e la Cina. In Egitto Nasser, quando giunse al potere,
promosse una profonda riforma agraria; l’India di Nehru proclamò la sua scelta verso il
socialismo; ma soprattutto questi e altri ventisette paesi (tra cui Cina, Giappone, Indonesia,
Vietnam del Nord e Iraq), riuniti a Bandung per la Conferenza afro-asiatica, presero
apertamente posizione contro il colonialismo in tutte le sue forme e a favore di coesistenza
pacifica e cooperazione internazionale, ponendo le basi di quel movimento dei “non allineati”
di cui farà parte anche la Jugoslavia di Tito. Come osserva Hobsbawm, molti di questi paesi
27
“erano o dicevano di essere socialisti secondo una via nazionale (diversa cioè dal modello
sovietico)31”.
Ma l’evento più importante e allo stesso tempo più destabilizzante e che ebbe conseguenze
indirette anche sulle travagliate vicende cilene, fu la nascita del regime marxista di Castro a
Cuba su finire degli anni Cinquanta. La rivoluzione cubana creava notevoli difficoltà a Mosca,
peraltro già scossa dallo scisma con Pechino, che la situazione cubana contribuì a consolidare.
Era infatti importante per Mosca conservare la preminenza dottrinale in materia di passaggio
al socialismo e la via indicata per i paesi latinoamericani era una rivoluzione a tappe, di
alleanze con forze borghesi. La presa di potere di Castro, avvenuta senza l’apporto del ceto
deputato della trasformazione sociale, e cioè la classe operaia, ma ottenuta attraverso al
dottrina del fuoco guerrigliero elaborata da Ernesto “Che” Guevara32, costrinse Mosca a
rivedere le proprie teorie onde evitare uno scavalcamento a sinistra e un avvicinamento a
Pechino, che a sua volta denunciava il tradimento sovietico verso i popoli in lotta contro
l’imperialismo. I vertici del Cremlino aumentarono il loro interesse per la realtà
latinoamericana, ma allo stesso tempo, nel tentativo di costruire una convivenza pacifica con
Washington evitarono un coinvolgimento diretto nelle attività di guerriglia che si stanno
organizzando nel continente. Questi movimenti, dal canto loro, si andarono organizzando
dopo anni di emarginazione politica. Il marxismo propagandato in America latina aveva
assunto i tratti caratteristici conferiti dalle teorie di Josè Carlos Mariategui33 e dalla “scoperta”
e diffusione dell’opera di Gramsci: la ricerca di una via nazionale al socialismo fu perseguita
affiancando ad esso tratti di un nazionalismo tipico della tradizione politica populista
latinoamericana, mentre la teorica economica di riferimento era la critica marxista al
31
ERIC HOBSBAWN, Il secolo breve, 1914/1991, BUR, Milano 2006, p.420 32
ZANATTA LORIS, Storia dell’America Latina contemporanea, Editori Laterza, Roma 2010, p.146. 33 Josè Carlos Mariategui (1894-1930) fu un giornalista e un politico peruviano, tra i più importanti pensatori marxisti latinoamericani e uno dei fondatori del Partito Comunista peruviano.
28
desarrolismo, vale a dire la teoria della dipendenza. Certo occorre procedere con i piedi di
piombo e non ricorrere a semplici generalizzazioni che non danno ragione ad una realtà
mutevole da regione a regione, ma che presenta tuttavia dei tratti comuni.
Gli anni ’60 e ’70 in America Latina furono senza dubbio il periodo cruciale per cogliere quegli
elementi di novità che il Cile di Allende porterà nel panorama sudamericano e che ne
segnarono anche la tragica conclusione. A partire dal nuovo corso avviato dall’Unidad Popolar
si può infatti capire la grande importanza che fu data all’esperimento cileno dalla classe
dirigente italiana. D’altra parte non si può capire la scelta della via cilena al socialismo senza
conoscere il panorama ideologico che si andava delineando.
Dopo la breve parentesi riformista avviata alla fine della seconda guerra mondiale, l’inizio
della Guerra fredda provocò un ritorno reazionario in tutto il continente, risparmiando
solamente Uruguay, Cile e Costa Rica. Certo non solo l’irrigidimento delle posizioni dovuto alla
Guerra fredda può spiegare la crisi democratica; altri fattori questa volta endogeni si
sommarono, come ad esempio la fragile cultura democratica, la debolezza delle giovani
istituzioni rappresentative e la reazione del ceto medio e borghese al radicalismo popolare. Le
nuove oligarchie al potere generalmente attuarono politiche economiche volte a
industrializzare i rispettivi paesi. Le conseguenze della modernizzazione, della trasformazione
della società in una società di massa (crescita economica, inurbamento, industrializzazione),
generarono, oltre che maggior speranza di vita, un divario sempre più crescente tra città e
campagna, e portarono alla luce profonde fratture in una società cosi eterogenea come quella
sudamericana. In questo oceano di cambiamenti che scosse le società latinoamericane, si
possono riscontrare alcuni punti chiave: la nascita di un nazionalismo che divenne base
comune a ogni ideologia, “humus imprescindibile” delle dispute ideologiche, e che nasceva dal
problema dell’integrazione delle masse; mentre l’altro elemento sul tavolo era la questione
29
sociale, che poneva seri interrogativi ai cambiamenti in atto; e fornire delle risposte divenne il
bisogno più impellente nei decenni successivi34.
Le strade seguite dalle riforme o meglio dai tentativi di riforma, furono prevalentemente
rivoluzionarie o controrivoluzionarie, agitate dalle questioni economiche e sociali. Le masse
sub proletarie delle città, l’aumento generalizzato degli studenti, i movimenti contadini, le
teorie dello sviluppo economico, concorsero a innescare la fiamma della guerra civile
ideologica35. Come se non bastasse, il panorama, già di per sè magmatico, fu ulteriormente
caricato dalle convulsioni interne della Chiesa cattolica. Questo, lungi dall’essere un elemento
secondario nell’analisi politica e sociale del contesto continentale, è un fattore fondamentale
perché connette il nuovo progressismo cattolico post conciliare, la storia politica cilena e la
situazione italiana. Di fatto nelle vicende di cui ci occupiamo, oltre alle sinistre (comunisti e
socialisti), l’altra variabile, per così dire, fu l’ala cattolica più attenta e vicina alle
trasformazioni sociali e alle contraddizioni della modernità, in Cile così come in Italia (pure se
con premesse ed esiti differenti). È importante ribadire che un momento di sicura svolta per il
discorso cattolico è senz’altro rappresentato, dal Concilio Vaticano II. La sua grande apertura
segnò un punto di non ritorno per la storia della Chiesa, ma ha significato anche il
dispiegamento di potenzialità che, se non represse, erano certo confinate e tenute ai margini.
Per la prima volta si ha l’idea della universalità della Chiesa e i nuovi scenari internazionali
vengono colti con maggior chiarezza e consapevolezza. I mutamenti in atto, soprattutto nelle
aree del cosiddetto sottosviluppo avevano necessità di un aggiornamento, di un adeguamento
alle grandi contraddizioni che sono chiamate ad affrontare. L’America Latina proporrà
qualcosa in più, dato che la ricerca di una teologia rinnovata, che precede in termini
cronologici il Concilio, era già stata avviata e si afferma con la teorizzazione della Teologia
34 ZANATTA LORIS, op. cit., p. 125-130
30
della Liberazione. Non è nostro compito fare una storia della formulazione della Teologia della
Liberazione, ma solamente soffermarsi sui contenuti principali che l’hanno dotata di senso
all’interno delle realtà del Terzo Mondo, in modo da proiettare questa nuova coscienza che va
formandosi tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’70 nelle percezioni dei cattolici cileni. La
Teologia è sicuramente stata un momento cruciale per una nuova presa di coscienza del
mondo cattolico sulla realtà che lo circondava, ha fornito nuovi strumenti e nuove categorie
interpretative sociali e politiche per capire la realtà circostante, letta sempre più come
ingiusta e dunque chiamata alla liberazione36. Non va nemmeno dimenticato che l’America
Latina è il continente cattolico per eccellenza con il 45% dei fedeli dell’intera chiesa romana e
un terzo dei vescovi37. È quindi facilmente comprensibile lo spostamento di attenzione verso
quest’area soprattutto in un momento storico in cui l’America Latina viveva una fase di
modernizzazione e urbanizzazione con tutte le conseguenze che essa comportava nel tessuto
sociale e nella tenuta politica nei paesi del continente. Un episcopato, quello latinoamericano
tradizionalmente conservatore e legato alle classi dirigenti, ma grazie alle organizzazioni
catechistiche o apostoliche, alle congregazioni laiche e religiose che stimolano iniziative in
campo etico e sociale e alla nascita di partiti e sindacati di ispirazione cristiana si assistette ad
un rinnovamento dello spirito della Chiesa, risveglio stimolato senza dubbio dal concilio
Vaticano II38. Nel 1955 era stato creato il CELAM (Consiglio episcopale latino-americano), che
acquisì negli anni maggior autonomia, e che, grazie al confronto costante, al lavoro comune,
alla linfa ricevuta dal Concilio, poté sempre più aumentare la consapevolezza del proprio
significato episcopale e presentarsi come organismo consolidato in cui la Chiesa
latinoamericana poteva identificarsi. Capo del CELAM in quegli anni era l’arcivescovo di
35
ZANATTA LORIS, op. cit., p. 155 36
SCATENA SILVIA, La teologia della liberazione in America Latina, Carocci, Roma 2008 p.42 37
ROUQUIÈ ALAIN, L’America Latina, Bruno Mondadori, Milano 2000, pag. 180 38 Ibidem.
31
Santiago del Cile Juan Francisco Larrain, la cui pastorale fu bloccata in Cile dalle forze
conservatrici del governo Frei. Larrain aveva colto i limiti del desarrolismo, individuando nella
condizione materiale e spirituale di sottosviluppo del Terzo Mondo la più grande violazione
della dignità umana. Lo sviluppo della persona umana che Larrain immaginava non si
conciliava con lo sviluppo economico del continente, che peraltro iniziava a mostrare i primi
segni del suo fallimento. Le sue riflessioni su un nuovo “sviluppo”, una maggior attenzione
sociologia ai bisogni delle popolazioni, condivise con Dom Helder Camara, vescovo brasiliano,
trovarono una sorta di legittimazione nell’enciclica di Paolo VI Populorum progressio (1967),
che per la prima volta connetteva le elaborazioni dell’episcopato latino americano e il
magistero romano. La fase più compiuta del processo di formulazione della Teologia si colloca
tra il 1968 e il 1972, in particolare nella conferenza di Medellin del 1968 in cui l’episcopato
riunito nel CELAM si fa interprete del senso della situazione latinoamericana, dedicando
maggior attenzione alle categorie sviluppo-sottosviluppo e liberazione-oppressione. I primi
frutti della conferenza si videro soprattutto con aumento e la dinamicità sempre maggiore
delle comunità ecclesiali di base, che sorte in Brasile nel 1957, ora ricevevano nuova linfa,
quali centri primari di evangelizzazione. In sostanza da Medellin uscì una Chiesa che riscopriva
i poveri come centro della vita ecclesiale, e viveva la fede come un momento liberatore, che
attraverso le scienze sociali cercava di orientarsi e di articolarsi nella società, operando per
una trasformazione dello status-quo. Colui che per primo teorizzò e delineò la metodologia
della Teologia della Liberazione fu Gustavo Gutierrez, sacerdote peruviano, con il testo
Teologìa de la Liberaciòn. Perspectivas del 1971. L’atto di liberazione, l’incontro con Dio e con
Cristo, suo compimento avviene già nel presente, nella trasformazione politica delle
condizioni di miseria e sfruttamento. I contenuti dell’opera di Gutierrez come quelli di
Leonardo Boff, francescano brasiliano, sono incentrati sulla figura di Gesù storico, sul suo
32
annuncio del Regno di Dio, inteso come un nuovo ordine delle cose, spirituale e materiale,
come era nella natura stessa di Cristo. È evidente come a questa riflessione sull’azione del
uomo nella storia39 si combinasse con l’analisi marxista dei processi storici, spogliata da ogni
ateismo. In particolare Gutierrez preferiva la dimensione utopica dell’azione rivoluzionaria,
legata ai bisogni dei poveri, degli ultimi, “schiacciati dai meccanismi del sistema capitalistico
mondiale”.
È evidente che non tutta la Chiesa, sia sudamericana che europea, fosse favorevole alla nuova
teologia che prendeva corpo. Tanto più che la nuova ondata di governi militari nella regione
utilizzò la Chiesa cattolica per potersi erigere a paladini dell’occidente nella lotta al
comunismo. E la paura del comunismo fu senza dubbio una zavorra che costrinse la Chiesa a
chiusure reazionarie e ad complicità con regimi per nulla democratici (come il caso della
posizione della gerarchia ecclesiastica in Argentina). Quello che in Italia abbiamo visto sarà
identificato con il dissenso cattolico, si manifesta prima in America Latina, in particolare ebbe
grande risonanza il primo incontro continentale dei Cristiani per il socialismo tenutosi a
Santiago del Cile nell’aprile del 1972.
39 SCATENA SILVIA, op. cit., p.36.
34
II
L’ITALIA E IL GOLPE CILENO
La svolta di Allende
Questa seconda parte tratta soprattutto gli argomenti che riguardano il Cile, e cioè le
premesse al golpe, il colpo di stato e le relazioni che si erano create tra l’Italia e i partiti cileni
nel corso degli anni precedenti, a sottolineare una certa somiglianza di condizioni e strategie
politiche. È una premessa che ci permette di collocare la parte fondamentale del nostro
lavoro, il caso reggiano, all’interno di una rete di relazioni e condizioni politiche già avviate che
ne costituirono in un certo modo la traccia su cui costruire i rapporti di solidarietà dopo l’11
settembre 1973.
La nascita del PDC e la Rivoluzione nella libertà
Tra i paesi latinoamericani il Cile era sicuramente un’anomalia in termini di stabilità
democratica e tenuta del governo. Tra le cause principali che tennero lontana la democrazia
cilena da derive militariste o estremiste per tutta la prima parte del secolo scorso,
sicuramente una parte fondamentale la ebbero la capacità dei partiti tradizionali (radicali,
liberali e conservatori) di operare attraverso mediazioni e compromessi, oltre alla scarsa
partecipazione politica, che favorì un maggior controllo sulle dinamiche politiche. Quando lo
scenario cambiò, alla fine degli anni Cinquanta, l’equilibrio interno tra i tre maggiori partiti fu
sconvolto, e sulla scena politica fecero la loro comparsa le masse più marginali, rappresentate
dai partiti socialisti; liberali e conservatori diedero vita al Partito Nacional (PN) con l’apporto
35
fondamentale di forze ultranazionaliste e antidemocratiche, come Acciòn nacional, mentre al
centro si andava organizzando e strutturando il Partito cristiano democratico cileno (Partido
Demòcrata Cristiano de Chile ), nato da una costola progressista dei conservatori e dall’unione
con la Falange Nacional (formazione nazionalista di centro)1. All’interno della DC al momento
della ascesa alla presidenza di Eduardo Frei nel 1964, erano presenti tre distinte correnti: la
prima, degli oficialistas composta dallo stesso Frei, Tomic, Leighton; una seconda, cosiddetta
dei non-conformisti rappresentata da Gumucio, Solar, Jerez e dal presidente del movimento
giovanile Rodrigo Ambrosio. La terza linea, i falangisti era formata da coloro che volevano un
ritorno alla dinamica più popolare alle origini del movimento ed era guidata da Parra,
Fuentealba e Aguirre2.
Come scritto nel capitolo precedente, a partire dagli anni Cinquanta, furono sviluppate diverse
teorie e analisi economiche per rendere conto del cronico problema del sottosviluppo nel
continente sudamericano. Sicuramente una delle più significative fu quella del CEPAL
(Comisiòn Econòmica para Amèrica Latina), i cui teorici furono tra i primi ad affrontare
concretamente i problemi legati ad una visione superficiale dell’arretratezza del continente. I
suoi più decisi critici furono i sostenitori della teoria della dipendenza, i quali sostenevano
come l’afflusso massiccio di capitali stranieri avesse gettato le basi per la creazione di un
monopolio capitalistico nordamericano da cui i paesi sudamericani dipendevano pressoché
interamente, impedendo di fatto lo sviluppo di una classe imprenditoriale locale. Ma nel 1959
la teoria economica di Lipset sosteneva come l’innalzamento degli indici di ricchezza,
industrializzazione, urbanizzazione e istruzione garantiti da una economia di stampo
marcatamente capitalistica, avrebbe garantito il perdurare di democrazie liberali,
1 CORGHI CORRADO, Avvento della DC cilena, in Vita Sociale, Maggio-Giugno 1973, p.265-66. 2 Ibidem.
36
allontanando il rischio di derive marxiste, in un area fortemente a rischio. La tesi, espressa nel
saggio Some Social Requisities of Democracy: Economic Development and Political Legitimacy
fu sposata decisamente da Kennedy con la sua “Alianza para el Progresso”, lanciata nel 1961.
Essa rispondeva alla nuova strategia americana, resa necessaria dalla conquista di Cuba da
parte dei castristi, facendo temere a Washington ogni tentativo di riforma sociale ottenuto
con l’appoggio di partiti di sinistra. Per questo motivo Eduardo Frei, democristiano, e
supportato dai ceti borghesi più progressisti, ricevette direttamente molti aiuti per realizzare il
programma della Alianza, onde evitare, nella visione fortemente manichea imposta dalla
guerra fredda, l’avvento di una nuova Cuba al di là delle Ande.
Dal momento della sua nascita il PDC andò sempre più strutturandosi e diventando un partito
di primo piano nella scena politica cilena. Soprattutto rispetto ai suoi predecessori, il partito
democristiano seppe svincolarsi da una politica preminentemente di palazzo, ponendosi alla
ricerca di trasformazioni sociali, di fatto competendo sullo stesso terreno della sinistra. E
questa scelta di campo ebbe il beneplacito delle gerarchie ecclesiastiche, oltre che il
fondamentale sostegno economico americano (la CIA finanziò buona parte della campagna
elettorale di Frei nel 19643). La crescita esponenziale del PDC consentì a quest’ultima di
intessere rapporti con altri partiti democristiani europei, in particolare con la DC italiana, che
proprio in quegli anni sperimentava le aperture a sinistra, con il quarto governo Fanfani nato
grazie all’astensione dei socialisti, e che appariva ai dirigenti cileni come un esempio possibile
di partito progressista senza alleanze con i marxisti. D’altra parte il programma elettorale di
Frei, Revolucion en la libertad prometteva una cambiamento delle strutture cilene, rifiutando
decisamente le parole d’ordine dei comunisti, che la propaganda freista dipingeva come
potenziali dittatori. Il punto forte della strategia di Frei era la Legge Agraria, nodo cruciale in
37
un paese a larga maggioranza contadina, in cui il 98% dei terreni era in mano al 2% della
popolazione4. La ley de Riforma Agraria doveva rappresentare la punta più avanzata del
programma di riforme presentato dal leader democristiano, ma nonostante l’iniziale apporto
di comunisti e socialisti, l’obbiettivo che si prefiggeva venne largamente disatteso. Stessa
sorte toccò ai programmi di destinazione dei capitali stranieri (in larga parte provenienti
dall’Alleanza per il progresso), che non vennero destinati a servizi, infrastrutture e salari. Il
fallimento della Rivoluzione di Frei fu parallelo a quello dell’Alleanza per il progresso, e le
responsabilità vanno certo distribuite tra i soggetti in campo e i fattori che concorsero al suo
sviluppo: certamente influì il diverso approccio del presidente Johnson rispetto a quello
iniziale di Kennedy, la difficoltà dei paesi latino-americani a scardinare i sistemi agrari, la
mancanza di un ceto medio in grado di supportare le riforme, anzi sempre più impaurito
dall’ascesa delle classi subalterne e infine la mancanza di un accrescimento e diffusione delle
pratiche democratiche mature.
Il PCCh
Seguendo il racconto che ne fa Santoni nel suo saggio5 ci spostiamo a sinistra dell’arco
parlamentare cileno, analizzando la storia del Partito comunista cileno, la cui eccezionalità del
panorama politico sudamericano gli consentì di essere conosciuto nel mondo come il
fondatore della “via cilena al socialismo”.
Rispetto ad altre realtà continentali il PCCh poteva rifarsi ad una figura di spicco della storia
cilena, vale a dire Luis Emilio Recabarren. Egli, considerato il padre del movimento operaio,
aveva fondato il Partito obrero socialista (POS) da cui nel 1922, era nato il Partito Comunista.
3 SANTONI ALESSANDRO, Il PCI e i giorni del Cile, Carocci, Roma 2008, p.61. 4 MULAS ANDREA, Allende e Berlinguer, Il Cile dell’Unidad Popolar e il compromesso storico italiano, Manni, Lecce
2005, p.20
38
Questa origine operaia fece sì che il partito fosse più assimilabile “alla tradizione del
movimento operaio dei paesi occidentali che a quella dei movimenti rivoluzionari dei paesi del
terzo mondo”6. Dopo la tragica morte del fondatore il partito visse una fase di travaglio
interno, fino a quando nel 1933, definì chiaramente e ufficialmente i suoi obiettivi e cioè la
rivoluzione democratico - borghese, contro il latifondo, l’imperialismo e il capitalismo. Il
partito iniziò così una crescita di consenso che lo portò nel 1947 ad essere il primo partito
cileno (22%) e a far eleggere tre uomini nel governo. Ma il presidente radicale Videla
promulgò la celebre ley maldida, mettendo fuorilegge il PCCh e incarcerando i suoi leader. In
tutto questo tempo però il PCCh non perse mai la legittimità conquistatosi nell’esperienza del
Fronte. Riabilitato alla lotta politica, dopo il X Congresso tenuto in clandestinità, il PCCh sancì
l’ufficialità della ricerca di una via pacifica al socialismo. Cardine di questa nuova linea era
l’alleanza con i socialisti, attraverso la creazione del FRAP (Frente de Acciòn Popular), che
riuscì a portare Allende, di area socialista, ad un passo dalla vittoria alle presidenziali del ’58
contro il candidato indipendente delle destre Alessandri. Allende fu sconfitto anche nel ’64,
quando alla presidenza si insediò Frei e il suo programma di Rivoluzione social-cristiana. La
storica vittoria fu possibile nel 1970, quando Allende, alla guida della coalizione di Unidad
Popolar, vinse con il 36,2% dei suffragi, percentuale che gli consentì, pur non avendo
raggiunto la maggioranza assoluta, di venire investito della carica presidenziale dalla seduta
plenaria del Parlamento, con il voto decisivo dei cattolici democratici. Questo avveniva dopo
settimane di incertezze e tentativi non troppo velati di ribaltare il risultato elettorale con un
colpo di Stato, culminati con l’assassinio del comandante dell’esercito Renè Schneider. I
socialisti e i comunisti erano dunque alleati al governo del Cile, i primi avevano in Allende il
loro leader carismatico, profondamente socialdemocratico, portatore di una visione chiara
5 SANTONI, op.cit., p.28-46.
39
della sua idea di socialismo, anche se incapace di indicare il modo di procedere7 (SANTONI P
13), mentre i secondi avevano trovato nel XX Congresso del PCUS la formulazione teorica delle
loro idee, e anche se con più difficoltà ideali rispetto ad Allende, portavano avanti la loro
visione di “rivoluzione attraverso le istituzioni”8.
Il governo di Unidad Popolar
Ma come mai la vittoria di Unidad Popolar allarmava a tal punto da prevedere un golpe per
estrometterla dal governo? Essa era la coalizione di comunisti, socialisti, radicali e fuoriusciti
del PDC, che si erano organizzati nel MAPU, e un gruppo di indipendenti di sinistra (API);
godeva inoltre dell’appoggio della Federazione dei Sindacati Nazionali e del CUT (Central
Ùnica de Trabajadores), e nel suo programma elettorale proponeva di creare “una alleanza di
classe fra il proletariato e i ceti medi progressisti e patriottici”. I loro avversari politici erano
divisi tra il democristiano Tomic (co-fondatore del PDC assieme a Frei) e il conservatore
Alessandri, e questa divisone non poté che giovare alle sinistre, specialmente dopo il fallito
tentativo di riformismo praticato dal Frei, che a detta di Luis Maira (deputato di Isquierda
Cristiana) fu causa della radicalizzazione politica in atto in quel frangente: da una parte la
classe dirigente più conservatrice reagì ai tentativi di ammodernamento del PDC, dall’altra il
partito di inimicò i settori di sinistra quando non procedette con ulteriori trasformazioni
rivoluzionarie9. La tensione all’indomani delle elezioni era evidente negli ambienti militari e
borghesi, ancora prima che si potesse esercitare il potere della nuova coalizione. Non a caso
Corghi nel suo libro, scritto qualche mese prima dell’11 settembre del 1973 e quindi ancora
ignaro di ciò che sarebbe successo di lì a poco, li definirà i giorni più caldi della democrazia
6 SANTONI, op. cit., p.30. 7 SANTONI, op. cit., p.13 8 Ibidem. 9 CORGHI CORRADO, FINI MASSIMO, Viva il Cile, una lotta per il socialismo, Feltrinelli, Milano ottobre 1973, p. 13.
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cilena. Ma una parte dell’esercito (oltre al sacrificio del generale Schneider) scelse la via
costituzionale, assieme al PDC, impedendo di fatto che il paese precipitasse nel caos. Questa
scelta di campo, fa notare Mulas, fu fatale all’Unidad Popolar, la quale riconoscendo un ruolo
atipico alle Forze Armate cilene, credette che esse non fossero influenzabili dagli Stati Uniti e
non rappresentassero un ostacolo alle trasformazioni radicali che Allende aveva in mente.
Questo errore di valutazione sarà il punto di partenza per errori sulle “interpretazioni delle
posizioni strategiche” dell’esercito e il loro collegamento con la CIA.
Il Cile di Allende ereditava una situazione di crisi, strutturale e congiunturale, a cui nemmeno il
governo Frei aveva posto rimedio. Abbiamo detto del latifondo come principale base per
l’economica agricola, e dell’economia basata sul monopolio, mentre la composizione della
piramide sociale vede al vertice la ristretta cerchia oligarchica, un ceto medio fluttuante e una
gran massa di proletariato e poveri. Ciò che si proponeva il programma dell’UP era lo
sradicamento delle strutture generatici di dipendenza e sottosviluppo, da realizzare attraverso
un periodo di transizione. Le riforme necessarie per raggiungere tale ambizioso obbiettivo
erano raggruppate nel cosiddetto Plan 71, il programma elettorale di Unidad Popolar;
prevedeva tra gli altri, la costruzione di case popolari, l’espansione dei servizi educativi, il
potenziamento delle reti di protezioni sociale e la Riforma agraria, vero cardine del progetto.
Senza la liberazione dal latifondo non sarebbe stata possibile l’emancipazione sociale e lo
sviluppo economico, sottraendo alla destra il suo terreno elettorale e creando una nuova base
sociale. Gli effetti delle nuove politiche si tradussero con un bilancio negativo da punto di vista
economico (era crollata la domanda di beni di consumo), mentre ebbe come effetto positivo
l’aumentare della partecipazione della popolazione al progetto di rilancio nazionale: crebbero
gli iscritti al CUT (Central Unica de Trabajadores) e crebbe la produzione industriale. Sul fronte
politico i primi mesi confermarono la fiducia all’azione allendista, e l’Unidad Popolar accrebbe
41
il proprio consenso alle elezioni municipali del 1971. Rimane però importante considerare che
nonostante la vittoria alle presidenziali, le opposizioni nel loro complesso contavano più voti
dell’UP, e questo frenò notevolmente la capacità legislativa di Allende e dei suoi. Era dunque
importante per la riuscita del programma delle sinistre il voto esterno, quindi instabile e
opportunista, di fuoriusciti dai partiti di Alessandri e Tomic. Lo stesso Tomic, a capo del PDC e
soprattutto di una corrente più moderata che all’interno dei democristiani prendeva le
distanze dall’influenza del Partido Nacional, fu all’inizio alla ricerca di un dialogo costruttivo ,
svolgendo il ruolo di opposizione in modo responsabile e democratico. Al Consiglio Nazionale
del PDC si arrivò ad affermare che il partito era “socialista, comunitario, pluralista e
democratico”. Tomic non fece a meno di notare come molte riforme del governo fossero
presenti nel suo stesso programma, e pur respingendo la dottrina marxista, riconosceva in
Allende l’unica forma possibile di socialismo democratico e pacifico.
Le cose presero un’altra direzione dopo l’assassinio di Edmundo Pèrez Zujovic, l’8 giungo 1971
ad opera di un gruppo estremista di sinistra, il VOP (Vanguardia Organizada del Pueblo)10.
Zujovic era stato ex ministro del governo Frei, e questo servì a produrre uno sfaldamento dei
rapporti tra UP e PDC, spostando l’asse dei democristiani verso destra, sotto la rinnovata
leadership di Frei e della corrente centrista del partito. La conferma si ebbe alle elezioni
municipali di Valparaìso, dove il candidato unico di PDC e PN vinse con il 50,1% su candidato
socialista11. Questo patto d’azione tra i due partiti d’opposizione non fu indolore per il PDC,
che subì una spaccatura interna con la fuoriuscita di alcuni elementi progressisti determinati a
10 Questa tragica circostanza fu il motivo di un violento attacco che Corghi diresse ad Arnaldo Forlani, allora
segretario della DC: Forlani aveva infatti ipotizzato che dietro l’assassinio del Ministro dell’Interno ci fossero le stesse forze eversive di Unidad Popolar al governo in quel momento in Cile. Corghi dal canto suo lesse l’omicidio come parte di un disegno della estrema destra per destabilizzare il governo (come già accaduto con il generale Schneider) e non esitò a definire il segretario del suo ex partito Forlani “uomo miope” ubriacato dalla contesa elettoralistica (fonte: Archivio Corrado Corghi, presso Polo Archivistico Reggio Emilia). 11 SANTONI, op. cit. p.141.
42
formare la Izquierda Cristiana (IC). Questa divisione fu avvertita come un pericolo sia da
Allende, il quale aveva sempre puntato “ad avvicinare nel suo mandato la coalizione
governativa quella parte della DC che si identificava in Tomic”12, sia dallo stesso Tomic il quale
capì il pericolo della scissione, che non lavorando più all’interno del partito per un
avvicinamento con l’UP, avrebbe ceduto la maggioranza interna all’ala conservatrice di Frei, di
fatto creando una pericolosa polarizzazione delle forze politiche. Nel frattempo il governo
procedeva con la sua opera di pianificazione statale, che consisteva in primo luogo nella
nazionalizzazione dell’industria del rame (che rappresentava circa l’81% delle esportazioni
cilene ed era per l’80% in mano a imprese straniere); dalla nazionalizzazione passava la
strategia di rilancio economico del paese, a cui si affiancava il progetto Vuskovic per le grandi
imprese industriali, suddividendo in tre distinte aree la collocazione delle industrie: area di
proprietà sociale, di proprietà privata e a partecipazione mista. Nonostante in questa fase si
registrasse ancora una collaborazione tra UP e PDC la rottura era ormai inevitabile. Rivela Luis
Maira come la strategia del PDC fosse congeniata a tavolino, con lo scopo di indebolire il
governo: prima avveniva la scelta dell’obbiettivo, quindi si imbastiva una violenta campagna
mediatica, si attaccavano politicamente i membri del governo e quando lo scontro era sul
punto di diventare frontale anziché scatenare l’offensiva il PDC si ritirava fino al momento di
riproporre il prossimo attacco. Questo contrasto ciclico tra Governo e Parlamento rese quanto
mai difficile contrastare la crisi economica che, a dispetto delle misure prese da Allende,
stringeva il paese in una morsa. Washington rifiutò di concedere prestiti ad un paese che
nazionalizzava proprietà statunitensi e allo stesso continuava ad esprimere con i suoi atti la
contraddizione presente al suo interno, in cui la rivoluzione in corso si scontrava con le
strutture legate ai precedenti regimi economici e politici. La chiusura dei rubinetti perpetrata
12 MULAS, op. cit., p.45
43
in Europa come in America e la ancora scarsa indipendenza del settore industriale, frutto della
reazione borghese e imperialista ai programmi allendisti, finì per schiacciare il governo, che
sottovalutò il grado di dipendenza della propria economia, misurando ogni giorno la distanza
sempre maggiore tra i traguardi promessi e la realtà quotidiana. La crisi si manifestò con il
paro di ottobre (1971), lo sciopero dei trasportatori organizzato dalle opposizioni e manovrato
dagli Stati Uniti, che diventò il momento in cui la classe media vide l’occasione per far cadere il
governo. Le mosse politiche in particolare del PN avevano come pretesto la legittima
ribellione nel caso di mancanza di legittimità dell’operato del governo. Su questi argomenti si
provvide a muovere una accusa costituzionale a quattro ministri, che costrinse Allende ad un
rimpasto di gabinetto, inserendo tre generali delle Forze Armate nell’esecutivo. La presenza
dei militari, oltre che derivante dalla fiducia risposta da Allende dopo i fatti del ’70 di cui
abbiamo detto, servì a garantire la solidità di Stato, essendo nota la loro fedeltà
costituzionale, e tranquillizzò la destra, che immaginava un cambio di passo del governo. Allo
sciopero indetto da PN e PDC le masse popolari non restarono a guardare anzi reagirono al
blocco, sostenendo la mobilitazione generale invocata da Allende contro il paro, garantendo il
rifornimento delle materie di prima necessità, dimostrando una volta in più quanto fosse
elevato il consenso verso l’UP. Ma si stavano manifestando anche una serie di tensioni tra le
frange più estreme, i cordones industriales ad esempio, i quali, nati come coordinamento tra
fabbriche intenzionate a passare ad una gestione socialista, rivendicavano maggiore
autonomia per esercitare un ruolo guida e giungere alla democrazia proletaria. A riprova dei
forti legami del governo Allende con le masse, le elezioni del marzo ’73 videro una crescita
notevole dell’Unidad Popolar, mentre registrarono un calo di consensi della CODE, la
coalizione dei partiti di centro-destra. Da un lato la vittoria elettorale e il sostegno al
presidente frenarono il progetto di alcuni gruppi di creare “un polo di sinistra il quale […] si
44
sarebbe sostituito all’UP e alla sua politica originaria, emarginando i comunisti e includendo,
invece, gli esponenti del MIR13 (Movimiento de Izquierda Revolucionaria). Dall’altro fece sì che
i generali presenti nel governo, una volta garantito lo svolgimento regolare delle votazioni,
uscissero dall’esecutivo, pur garantendo fedeltà al Presidente. Ormai la frattura tra le
componenti dei due blocchi pareva insanabile, da una parte il movimento operaio e le classi
emarginate, dall’altra la borghesia e le oligarchie, che man mano conquistarono anche la
fiducia dell’esercito, soprattutto dopo il tancazo, un fallito golpe del colonnello Souper che
riportò d’attualità il tema della sicurezza interna.
Un nuovo paro alla fine di luglio bloccò nuovamente il paese. Allende cercò allora il dialogo
con il PDC, allora guidato da Aylwin, vicino alla linea intransigente di Frei, onde evitare uno
scontro tra le due parti in lotta o un plebiscito. Le richieste di Aylwin di un governo con i
militari furono respinte e si ruppero i rapporti tra governo e opposizione. Il 22 agosto,
l’opposizione, in maggioranza alla Camera, votò per dichiarare illegittimo l’Esecutivo, con
l’accusa di incostituzionalità. Era la vittoria della destra del partito democristiano, che culminò
con la rinuncia dell’incarico governativo del generale Prats, Ministro della Difesa, resosi ormai
conto di non aver più la guida del suo steso esercito. Il suo posto venne preso dal generale
Augusto Pinochet, nominato da Allende, il quale era convinto che la sua presenza avrebbe
contributo a normalizzare la situazione. Nell’idea del presidente infatti il prossimo passaggio
era l’indizione di un plebiscito che rendesse evidenti i rapporti di forza e nonostante la
difficoltà anche politica per promuovere la consultazione, egli era convinto della fedeltà delle
Forze Armate e del generale Pinochet, che avrebbero allontanato lo spettro del golpe. Le forze
di sinistra fecero appello ai contadini e ai lavoratori perché vigilassero sulle forze oscure che
13 MULAS, op. cit., p.88
45
tramavano per colpire la democrazia cilena e l’ultimo appello apparve sulle colonne de El Siglo
la mattina dell’11 settembre14.
È necessario osservare come il processo democratico che avviò il governo Allende nel 1970 si
contrapponesse in modo netto all’esperienza rivoluzionaria cubana. Queste due opposte
dinamiche avevano nel socialismo il loro punto comune di approdo, ottenuto con la
rivoluzione di Castro uno, attraverso libere elezioni il secondo. Quest’ultimo però al suo
interno presentava numerose contraddizioni che ebbero un ruolo considerevole nel
destabilizzare il sistema, aprendo la strada al golpe. Come ebbe a dire lo stesso Allende “non
si poteva confondere la Rivoluzione cubana con la incipiente transizione cilena”15 e la violenza
avrebbe cancellato ogni sforzo di trasformazione democratica. Egli si rivolgeva in particolare al
MIR, che si presentava come il gruppo più a sinistra della sinistra e che teoricamente non
rinunciò mai alla lotta armata. Ma anche nei principali partiti dell’Unidad Popolar le cose non
erano viste in maniera unitaria. Intanto profonde divergenze nascevano sulla scelta della via
legale o della via armata, che furono oggetto di dibattito tanto tra i socialisti quanto tra i
comunisti. Questi ultimi, con il nuovo segretario Altamirano, riconoscevano la necessità
dell’unita tra socialisti e comunisti e “puntavano all’applicazione intransigente
dell’programma dell’UP”, contrapponendosi alla scelta di Allende di trovare una soluzione
moderata (cosa che gli procurerà l’accusa di attuare politiche borghesi da parte dello stesso
Altamirano). Allende era costantemente vincolato dal frenare “l’eccitazione rivoluzionaria” nel
rispetto delle leggi vigenti. Anche le aperture al PDC erano fondamentali nel disegno di
Allende per lo sviluppo del paese, tenendo conto che non si poteva emarginare un avversario
che deteneva la maggioranza parlamentare, il 30% dell’elettorato e controllava radio e
14 SANTONI, op. cit., p.160. 15 MULAS, op. cit., p.121.
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televisioni; ma queste aperture furono duramente avversate da socialisti e comunisti, per i
quali gli accordi con i democristiani rappresentavano un’interruzione della marcia
rivoluzionaria dei lavoratori. Altro punto di frizione fu la scelta da compiere dopo le elezioni
del ’73 quando bisognava scegliere se avanzar sin transar oppure consolidar para avanzar. Per
i socialisti la scelta era la prima ipotesi, una opzione intransigente, motivata dall’idea che
l’avanzata avrebbe provocato un aumento della coscienza popolare in merito alle lotte da
portare avanti; mentre i comunisti erano favorevoli al perseguimento del socialismo senza
bisogno del confronto armato. Queste divergenze non consentirono all’UP di portare avanti
politiche unitarie, democratiche e progressiste che attirassero le parti più moderate del PDC,
consentendo invece ai democristiani di spostarsi a destra con le conseguenze che conosciamo.
Anche la Chiesa giocò un ruolo importante in quegli anni cruciali. Come abbiamo visto erano
numerosi i movimenti di sinistra che si ispiravano apertamente ai valori cristiani (abbiamo
detto di Izquierda Cristiana, del MAPU ecc…). È indubbio che così tanti cristiani abbiano scelto
una collaborazione con i marxisti se non vi fosse stata, da parte della gerarchia non una
esplicita approvazione, ma quanto meno un tacito consenso. Ed in effetti la Chiesa cilena era
decisamente aperta alle nuove idee che si diffondevano in seno alla comunità cristiana. Del
resto il cardinale Raoul Silva Enriquez aveva pronunciato la frase “c’è più vangelo nel
socialismo che nel capitalismo”16. Egli si dimostrò fin da subito amico di Allende e non mancò
pubblicamente di sostenere il governo, anche durante il paro di ottobre, o partecipando per la
prima volta nella storia alle manifestazioni della CUT per il 1 maggio 1971 e anche nel 1972.
Corrado Corghi, osservatore privilegiato delle vicende cilene per via dei suoi numerosi viaggi in
Sud America e in Cile in particolare, ci presenta la situazione della chiesa cilena come
16 CORGHI CORRADO, FINI MASSIMO, op. cit., p.148.
47
profondamente rinnovata dai nuovi stimoli proposti dal Vaticano II e dalla nascente Teologia
della Liberazione. La Chiesa è così assediata da coloro che cercano nuovi utilizzi della dottrina
cristiana in ambito politico. Per Izquerda cristiana il problema sta nell’ apoliticità della Chiesa,
la sua ricerca di un cambiamento interiore che deve precedere ogni mutamento sociale ed
economico, mentre perde di vista la contraddizione di fondo che esiste tra sfruttatori e
sfruttati. Chi è per la rivoluzione rifiuta il riformismo già sperimento dai cattolici con Frei, e ha
come guida la frase di Che Guevara quando esorta i cattolici a intraprendere la rivoluzione
integrale che a suo modo di vedere è l’approdo vero e finale del messaggio evangelico. A
partire da questi spunti prenderà il via la già citata conferenza dei cristiani per il socialismo a
Santiago, il cui intento finale è quello di combattere l’ideologia dominante smascherando i
falsi cristiani che nascondo il conflitto di classe, punto imprescindibile per il cammino di
liberazione17. È dunque una “Chiesa in bilico” come la definisce Corghi18, che riflette le
profonde spaccature createsi nella società cilena ormai a tutti i livelli, conflitti la cui
radicalizzazione anche all’interno di realtà che teoricamente si dovrebbero pensare come
unitarie (come i cattolici) denotano il punto di non ritorno verso cui si sta incamminando
sempre più rapidamente il Cile.
Il golpe visto dall’Italia
Alle 6.30 dell’11 settembre 1973 Allende fu informato che alcuni reparti della Marina, i
carabineros e l’Esercito avevano tradito. Alle 8.42 ci fu il primo comunicato dei militari che
intimava il Presidente di rimettere il mandato alle Forze Armate. Allende che si trovava fin dal
17 CORGHI CORRADO, FINI MASSIMO, op. cit., p. 153. 18 CORGHI CORRADO, FINI MASSIMO, op. cit., p. 145.
48
primo mattino al palazzo presidenziale della Moneda, nonostante i ripetuti inviti dei suoi
collaboratori si rifiutò di fuggire, accettando di fatto il suo destino. Restò in contatto con il
popolo cileno attraverso i comunicati radiofonici di Radio Magallanes, invitando i cileni a non
lasciarsi provocare o massacrare, difendendo le proprie conquiste democratiche. Il suo
obbiettivo fino all’ultimo instante fu quello di preservare il Cile dalla sciagura oramai
imminente. Alle 11.52 iniziò il bombardamento della Moneda e la vana resistenza dei suoi
occupanti. Quando gli uomini di Pinochet entrarono nel palazzo conquistato, il Presidente
Allende era morto, suicidandosi. Il giorno seguente si instaurò la giunta militare con a capo il
generale Augusto Pinochet. Potremmo discutere quanto e in che modo influì il Dipartimento
di Stato americano, guidato da Kissinger, e in che misura invece fu determinante la situazione
politica che i partiti avevano contribuito massicciamente a creare, ma altri se ne sono occupati
meglio e più approfonditamente di quanto potremmo fare noi19. Quello che qui ci preme
descrivere sono i fili, le connessioni che portano da questi tragici eventi in Italia, che dal Cile si
dipartono fino a raggiungere il cuore della nostra indagine, il punto da cui siamo partiti, vale a
dire Reggio Emilia, il consiglio provinciale, le mobilitazioni spontanee.
Appare ovvio come Cuba (per tacere della rivoluzione maoista) rappresentasse per buona
parte dei movimenti comunisti un esempio, un’ispirazione e allo stesso tempo una fonte di
problemi e contraddizioni. Il PCI lo vivrà sulla propria pelle con la scissione del gruppo del
Manifesto che uscirà dal partito, proprio sull’onda delle nuove spinte che dai movimenti
terzomondisti più radicali sconvolgevano la rigida dottrina comunista. D’altra parte il partito
era stato pensato, fin da Togliatti, come basato su una strategia di alleanze per fare una
presenza forte di “difesa e ampliamento delle forze democratiche”20 e la stessa impostazione
19 Ne sono un esempio i testi di MULAS e SANTONI citati in nota e in bibliografia. 20 SANTONI, op. cit., p.34.
49
era condivisa da Luis Corvalan, che rivendicava per il suo partito la fedeltà alla democrazia,
contro le spinte autoritarie. La politica nazionale e volutamente autonoma e pacifica del PCI
gli consentiva di operare in base alle proprie convinzioni, che derivavano da un ascolto
costante dei problemi del paese. E su questa strada si era posto anche il PCCh, forte della sua
omogeneità con la tradizione dei partiti comunisti occidentali e della vicinanza ideologica e
dottrinale con il PCI; per questo Mosca lo aveva scelto come “garante dell’unità delle tre forze
motrici della rivoluzione mondiale”21, vale a dire paesi socialisti, forze operaie e movimenti di
liberazione terzomondisti. Nel corso degli anni Sessanta si intensificarono dunque gli scambi,
in particolare in occasione dei congressi, sulle riviste collegate al PCI uscirono con maggior
frequenza articoli che avevano come tema le lotte sudamericane e i compagni cileni, ci fu una
sempre maggior opportunità di scambi e di studio delle rispettive realtà in occasione dei
numerosi viaggi ufficiali che gli esponenti di entrambi i partiti compirono in Cile e in Italia. Il
PCI colse nel governo di Unidad Popolar un formidabile strumento per rivendicare la bontà
della scelta della via pacifica, reagendo così ai vari gruppi di sinistra che inneggiavano alla
guerriglia e alla lotta per portare anche in Italia la rivoluzione. L’esperimento cileno viene
dunque letto come lezione, esempio di lotta politica e democratica per tentare di arginare una
spinta antipartitica che emerge dal basso e “tende ad aggirare la mediazione partitica”22. Il
PCI, negli anni che vedono l’esaurirsi della stagione della contestazione, deve però fare i conti
con vari gruppi che predicano la rivoluzione (Lotta Continua, Potere Operaio) e altri che dalla
predicazione passeranno alle vie di fatto (Brigate Rosse). Il gruppo secessionista del
Manifesto, e Rossana Rossandra prendendo spunto dal caso cileno, esaltavano la posizione
del MIR, che agiva al di fuori dell’UP, come l’unico in grado di creare un nuovo fronte
rivoluzionario prima di una inevitabile sconfitta dell’allendismo da destra; e la stessa
21 SANTONI, op. cit., p.30.
50
situazione veniva prospettata per l’Italia, indicando come i problemi della lotta sudamericana
fossero simili a quelli italiani. La via cilena al socialismo rappresenta quindi per il PCI una
formidabile occasione di rivendicazione della propria linea politica proprio perché in essa si
riconoscevano le stesse modalità di lotta e di affinità politica e dottrinale, che potevano essere
giocate sul tavolo della partita nazionale. Le analogie con la realtà andina risultano ancora più
evidenti nel corso del 1972. Al congresso di Milano, il neo eletto segretario Berlinguer il
problema del dialogo con la DC, la ricerca di un punto di contatto con i cattolici più
progressisti, onde evitare una deriva conservatrice. Allo stesso tempi in Cile Fuentealba,
presidente della PDC provava a riaprire la porta del dialogo chiusa dopo l’omicidio Zujovic;
essa fu accolta favorevolmente dal PCCh ma fu frenata in modo decisivo dai freisti e dai
socialisti più intransigenti, determinando il fallimento della proposta che ebbe eco anche nel
nostro paese. Proprio durante questa fase le elezioni italiane avevano confermato un ritorno
al centrismo, con un governo Andreotti, ragion per cui il PCI si lanciò nella polemica con la DC
attraverso le vicende cilene e le chiusure all’UP da parte della democrazia cristiana di Tomic e
Frei. Appariva ormai chiaro sia ai compagni cileni che italiani di come non fosse più
percorribile il tentativo di creare una scissione all’interno della DC, ma rimanevano ancora
senza risposta le domande su come fare per attirare i ceti medi verso le proprie posizioni. In
Italia fu senza dubbio Aldo Moro colui che ridiede slancio ad una strategia da lui definita
“dell’attenzione” che superasse l’immobilismo del partito contrapposto alla responsabilità
dimostrata dai comunisti. In Cile era chiaro, ascoltando i resoconti di Tomic, di come gli effetti
della politica dell’UP avesse prodotto un deciso spostamento a destra con le conseguenze che
sarebbero divenute visibili da lì a poco.
22 SANTONI, op. cit., p. 114.
51
All’indomani del golpe si aprì il dibattito all’interno di PCI e DC, sulla ennesima lezione da
trarre dai fatti cileni. Nel partito ci si interrogò a lungo sul modo in cui gestire la situazione:
apparivano ovvie ai dirigenti del PCI le colpe dei democristiani d’oltreoceano, della sua politica
di opposizione, come, così almeno per Pajetta, erano evidenti gli errori di valutazione
dell’Unidad Popolar, che non aveva saputo procedere ad una trasformazione pienamente
democratica dello stato, tentando di arrivare al socialismo senza operare una radicale
metamorfosi della società. È chiaro quindi che nonostante il rischio di indicare il Cile come
mito negativo, vi era la certezza che la linea da seguire fosse sempre quella pacifica e
graduale, con maggior attenzione al tema delle alleanze sociali e politiche. Su l'Unità del 13
settembre 1973, due giorni dopo il golpe, si poteva leggere un comunicato della Direzione del
PCI che recitava: "Più che mai i comunisti italiani traggono da questi avvenimenti la
riconferma della validità della loro linea di avanzata democratica al socialismo e l'impegno a
porre a suo fondamento la sempre più larga partecipazione di massa e il più largo
schieramento sociale e politico. Questa linea ha sempre stabilito il nesso più stretto tra
trasformazione sociale e riforma dello Stato, il che comporta la democratizzazione degli
apparati burocratici e militari". L’elaborazione della vicenda fu sicuramente significativa per la
proposta che avanzò Berlinguer sul celebre articolo Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile,
uscito in tre numeri su Rinascita a partire dal settembre ’73, che segnò anche una certa
discontinuità rispetto alle iniziative precedenti. Divenuto ormai celebri per la proposta del
compromesso storico, in essi Berlinguer evidenziava la necessità di un rilancio della
democrazia, una rivoluzione che è possibile solo all’interno della Costituzione antifascista,
respingendo ogni germe di violenza; un consenso a tale realizzazione può essere possibile solo
con la grande maggioranza del paese. Il punto centrale evidenziato è quello delle alleanze,
che devono risultare funzionali per far convergere rivendicazioni e obbiettivi comuni che
52
diano una prospettiva alle forze sociali impegnate che “possibilmente migliorino il loro livello
di esistenza e il loro ruolo nella società”23. Per questo progetto è necessaria una alternativa
democratica tra le forze socialiste e le forze di ispirazione cattolica, poiché i lavoratori da soli,
oggi e alla luce del Cile, non sono garanzia di tenuta del sistema democratico. Il segretario era
infatti convinto che la sua strategia rappresentasse l’unica via d’uscita da un possibile esito
alla cilena24.
Il golpe ebbe ovviamente grande risonanza in una realtà italiana che, negli anni Settanta, era
estremamente sensibile alle trame eversive, e seguì l’intera vicenda con grande
partecipazione. Ma l’analisi dei fatti non si limitò al solo PCI. Craxi, leader del PSI si era recato
immediatamente in Cile alla notizia della morte di Allende, e venne fermato dai carabineros
mentre tentava di recarsi alla tomba del Presidente ed espulso. Il Presidente della Camera, il
socialista Pertini, ricordò Allende paragonandolo a Matteotti sottolineandone l’aspirazione ad
un “socialismo dal volto umano”25. Nel suo partito le reazioni poi erano essenzialmente di due
tipi: chi cercava di rimarcare la differenza tra la DC italiana e quella cilena in previsione di un
governo di centro-sinistra e chi invece dal golpe proponeva di rilanciare un alleanza anti-
democristiana con il PCI.
Più complessa era certamente la posizione del partito di Piazza del Gesù che doveva
fronteggiare le correnti interne e i legami con il PDC, additato come responsabile principale
della rovina di Allende. Inoltre la DC era stato il primo motivo di interesse verso la questione
cilena, allorquando Frei aveva vinto le elezioni, entusiasmando in molti con la sua Rivoluzione
nella libertà. Nomi, protagonisti diventavano sempre più famigliari agli italiani, anche se
l’evolversi delle vicende cilene era sempre riportato al confronto politico italiano.
23 BERLINGUER ENRICO, Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile, in Rinascita n°40, ottobre 1973. 24 MULAS, op. cit., p.203.
53
L’accostamento tra lo slancio progressista freista e l’immobilismo democristiano italiano
preda delle correnti appariva tridente soprattutto al mondo comunista, che ironizzava sulla
differenza di linguaggio tra Frei e gli amici italiani. Interesse principale di Rumor era l’idea di
una internazionale bianca, rilanciando l’Unione Mondiale democristiana, mettendo insieme i
democristiani europei (UEDC) e quelli latinoamericani (ODCA). Dietro a queste ambizioni
internazionaliste si potevano nascondere altri interessi, riferiti in particolare a Washington e
Vaticano, oltre a incontrare l’opposizione tra le due principali correnti della DC. Il fallimento
della rivoluzione di Frei e la mancanza di riforme prodotta dai governi di centro sinistra in
Italia diedero modo al mondo comunista di ripensare ad una proposta di alternativa di
governo e in Cile come in Italia si cercò di attirare la parte più sensibile a certi temi all’interno
dei partiti cattolici. Se questa fase ebbe un certo compimento nei tre anni di presidenza
Allende in Italia non si arrivò mai ad avere un partito comunista al governo, ma la fase del
golpe significò un momento di riflessione che inevitabilmente coinvolgeva la DC e le scelte di
campo compiute negli anni precedenti. Per questo diciamo che la situazione, il 12 settembre
1973 era particolarmente delicata a Piazza del Gesù. La condanna del golpe fu certo unanime
(ad eccezione delle destre) ma i distinguo sul comportamento di Allende e dell’Unidad Popolar
non mancano. Si cercò di minimizzare le responsabilità di Frei nella preparazione morale del
golpe, ma alcuni dissidenti non poterono ignorare le accuse al presidente del PDC mosse dai
suoi stessi colleghi (in particolare Fuentealba, Palma, Leighton e Tomic) i quali criticavano il
comunicato del 12 settembre che scaricava tutte le responsabilità su Allende; pur
denunciando con fermezza l’operato dei militari, il Governo e il Ministro degli Esteri non
ebbero una linea altrettanto dura al momento di capire in che rapporti si sarebbe posta l’Ita lia
con la giunta militare che guidava il Paese, scegliendo una posizione di attesa: “l’attendismo
25 MULAS, op. cit., p. 188.
54
del governo italiano non portò ad altro se non, di lì a poco, al non riconoscimento di fatto
della giunta militare”26. In sostanza l’Esecutivo doveva evitare le strumentalizzazioni a sinistra
della propria condotta, che oltre alla condanna del golpe doveva riuscire ad evitare la rottura
dei legami con il PDC; il tutto dislocandosi tra le tensioni interne delle varie correnti. Se il
rapporto almeno epistolare con Frei fu recuperato, più difficile fu la convivenza col la dittatura
cilena, soprattutto la linea italiana di continuare a non riconoscere il governo e allo stesso
tempo utilizzare la propria ambasciata a Santiago per far espatriare gli esuli cileni. La sua
posizione ambigua permise di mantenere “distanti il piano politico-ideologico da quello
economico”27.
26 NOCERA RAFFAELE, ROLLE CRUZ CLAUDIO a cura di, Settanatrè. Italia e Cile,destini incrociati, Think Thanks, Napoli
2010, p.93. 27 NOCERA, op. cit., p. 107-108.
56
III
LA SOLIDARIETÀ REGGIANA
Golpe: reazioni istituzionali
L’ultima parte del nostro lavoro vuole evidenziare le modalità con cui la comunità reggiana,
nei suoi vari aspetti politici, culturali, sociali, ha reagito alla notizia del golpe cileno. È una
analisi delle dinamiche locali (manifestazioni, comizi, raccolte fondi) che vengono attivate e
condizionate da eventi internazionali (il golpe, il dibattito politico nazionale), pur mantenendo
esse un carattere di originalità dovuto al contesto in cui esse si sviluppano. Reggio Emilia ha
infatti sviluppato, a partire dal dopoguerra, una particolare sensibilità per lo sviluppo della
solidarietà internazionale; tale attitudine può essere vista come il frutto delle componenti che
abbiamo descritto nel primo capitolo, e cioè un cristianesimo sociale e alternativo che si rifà
direttamente a Dossetti, e una componente comunista che ha sviluppato una particolare
sensibilità verso certe tematiche, spinta dalla rinnovata linea del PCI in materia di politica
estera (superamento della logica bipolare e tentativo di ricollocarsi in uno scenario che non
fosse dipendente in tutto e per tutto da Mosca), ma anche in virtù del suo ruolo ormai
consolidato di guida cittadina. Queste nuove premesse videro la loro prima attuazione con i
progetti di solidarietà avviati con il Fronte di Liberazione del Mozambico (FRELIMO) che a
partire dal 1963 assorbirà molte risorse, umane ed economiche, della municipalità. Ben presto
l’impegno reggiano nell’area africana sarà esteso ai paesi confinanti del Mozambico, in
particolare il Sud Africa, grazie alla rete di relazioni intrecciata a partire dai primi contatti con i
leader dei movimenti di liberazione mozambicani. È una solidarietà concreta che resiste al
57
raggiungimento degli obiettivi previsti (indipendenza nel caso del Mozambico, sconfitta
dell’apartheid nel caso del Sud Africa) e che si traduce in consolidati rapporti istituzionali in
forma di gemellaggio, che proseguono tutt’oggi. La proficua esperienza di solidarietà con
l’Africa a causa della sua storia, della sua ricaduta sul territorio, del coinvolgimento di diverse
persone che hanno collaborato e collaborano ai progetti di solidarietà, non deve far
dimenticare le altre importanti esperienze di sostegno a paesi del terzo mondo che sono stati
posti sotto la lente del solidarismo reggiano.
Procedendo in ordine cronologico un avvenimento che attivò nuovamente quel circuito di
iniziative di solidarietà, non solo a Reggio ma in tutta Italia, fu la guerra in Vietnam. Per tutto
coloro che contestavano l’imperialismo americano, fossero essi cattolici o comunisti, la guerra
del Vietnam fu un momento fondamentale per manifestare il proprio dissenso e prodigarsi in
azioni concrete di sostegno alle popolazioni vietnamite colpite dai bombardamenti americani.
In particolare si organizzarono una serie di raccolte fondi e di indumenti da destinare ai
bambini delle zone di guerra1.
Il 1973 è la volta del Cile: il golpe di Pinochet palesa anche all’Italia la possibilità di un
ribaltamento antidemocratico delle istituzioni, in un momento di forte tensione politica da cui
Reggio non è esente. È ancora vivo in città il ricordo della strage del 7 luglio 1960 in cui
persero la vita 5 manifestanti che protestavano contro la decisione di far tenere all’MSI il
proprio congresso a Genova. Il governo che ordina la repressione delle proteste è sostenuto
proprio dai voti del Movimento Sociale, che, soprattutto in città legate fortemente alla
Resistenza, viene avvertita come insostenibile per la democrazia stessa. Ora non vogliamo
certo fare dei parallelismi tra il colpo di stato cileno e la situazione italiana, che hanno storie,
problemi, dinamiche totalmente differenti; resta il fatto che molte delle testimonianze dai noi
58
raccolte nelle nostre ricerche di persone che hanno vissuto in prima persona gli avvenimenti
di cui parliamo, indichino nel 7 luglio come un momento decisivo, una cesura nel modo di
intendere la vita politica e gli obiettivi della lotta: la notizia della caduta di Allende arriva in
una città che ha fatto propria una esperienza di conflitto con forze reazionarie e dunque è
pronta a sostenere e a far propria la causa cilena contro i militari. Il 4 luglio 1973, a tredici anni
dalla strage, il Consiglio provinciale di Reggio Emilia commemora i caduti in piazza ricordando
che il loro sacrificio deve essere un invito a “mirare al supremo bene del nostro paese, per la
salvaguardia delle istituzioni democratiche”2. La Provincia sarà chiamata a pronunciarsi di
nuovo in difesa della democrazia e contro forze reazionarie solo un paio di mesi dopo, in
occasione dell’assalto dei militari alla Moneda. Perché proprio la Provincia è la sede del
dibatto sul Cile quando da ormai dieci anni le relazioni internazionali sono gestite dal Comune
che nel corso del tempo ha organizzato una rete di solidarietà con altri paesi e quindi vanta un
esperienza maturata nel tempo? Se non disponiamo dei mezzi per fornire una risposta
esauriente alla domanda possiamo cercare di spiegare questa differenza osservando la
composizione politica della provincia di Reggio Emilia nel 1973: pur avendo il PCI la
maggioranza dei seggi, a capo dell’amministrazione provinciale sedeva Vittorio Parenti, ex
partigiano, militante del Partito Socialista, aveva aderito alla scissione di Palazzo Barberini del
1947 ed era stato prima segretario provinciale del PSDI poi, a partire dal 1965, consigliere
provinciale e presidente a partire dalle elezioni del 1972. Ma anche i predecessori di Parenti,
Dante Montanari e Franco Ferrari provenivano dal Partito Socialista. C’è dunque una
componente socialista che rivendica una sua importanza e una sua autonomia rispetto alla
maggioranza comunista, come ha osservato Mauro Del Bue3 che nel 1973 era segretario della
1 “Iniziative di solidarietà”, busta n°156, Archivio Camera territoriale del Lavoro, Polo Archivistico Reggio Emilia 2 “Cile”, Archivio Centro Unitario di Solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia. 3 Mauro Del Bue nel 1973 era segretario della Federazione Giovanile del Partito Socialista reggiano.
59
Federazione Giovanile Socialista. Questa volontà di rivendicare un proprio spazio forse può
essere il motivo per cui l’11 settembre 1973 il Consiglio Provinciale, quando ancora le notizie
erano “abbastanza imprecise”4 ma già gravide di preoccupazioni per la situazione del
presidente cileno, decise di votare un ordine del giorno di “solidarietà delle forze politiche
democratiche ad un governo legittimo democratico che non ha voluto imboccare la via della
forza”. Dagli interventi dei consiglieri appare evidente come in gioco “ci [fosse] qualcosa che
va al di là del Cile”. Lo stesso Bernardi annunciò per il giorno successivo una manifestazione
pubblica promossa da PCI e PSI per esprimere solidarietà. La posizione della DC espressa dal
consigliere Bernazzali riconobbe le strumentalizzazioni fatte sulle vicende cilene a causa dei
“collegamenti ideali” che si volevano trovare con l’Italia ed espresse preoccupazione per
l’arresto che stava subendo il tentativo di collaborazione tra forze popolari e democratiche.
Apparve chiaro invece a Parenti, esponente del PSDI, che ciò che stava accadendo in Cile fosse
largamente prevedibile e chi lo negava era perché inconsciamente tentava di nascondere la
preoccupazione che potessero esserci ripercussioni anche in Italia5.
Documenti di condanna del colpo di stato e di solidarietà con le forze democratiche cilene
arrivarono anche dalla Federazione reggiana del Partito di unità proletaria (PSIUP), dall’ANPI,
dal consiglio sindacale delle Farmacie Riunite, dalla Federazione provinciale delle cooperative
dei dipendenti del Municipio di Reggio6. La Federazione CGIL CISL UIL invitava tutti i lavoratori
ad una fermata di 15 minuti “come concreta solidarietà”7 all’atto eversivo. Il Comitato
provinciale dell’UDI (Unione Donne Italiane) invitava le donne a manifestare la propria
solidarietà al popolo cileno oppresso. L’ ANPI, nel suo notiziario mensile del settembre 1973,
esprimeva “sdegno e dolore” per il “soffocamento delle libertà in Cile”. Emerge qui, come
4 “Verbali Consiglio Provinciale”, 11/09/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia. 5 Ibidem. 6 Gazzetta di Reggio, 12/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi
60
accadrà altrove, il tema della lezione da trarre dai tragici eventi di Santiago: la prima lezione è
che con la mancanza di intesa tra le masse popolari (forze democratiche e lavoratori) si
assiste al trionfo delle forze reazionarie; mentre la seconda lezione, più originale nei
contenuti, richiama l’attenzione su una democratizzazione delle Forze Armate, il cui compito
deve essere quello della difesa della Patria e dei suoi ordinamenti democratici, evitando ogni
“insidia di carattere fascista e autoritario”8. A nostro avviso riecheggiano in queste parole gli
eventi drammatici del 7 luglio 1960, quando Polizia e Carabinieri spararono su alcuni
manifestanti pacifici durante lo sciopero proclamato dalla CGIL in. Anche l’ANPI provinciale
sostenne “il convincente insegnamento” per le forze politiche italiane che emerse dal colpo di
stato: la garanzia democratica era possibile solo combattendo le forze reazionarie che ancora
“germogliano nella nostra terra”. In generale gli interventi sul Cile si rifacevano ai medesimi
concetti espressi ampiamente nelle sedute consiliari, ma tra le forze di sinistra gli esponenti
del PSDI furono quelli che più di altri cercarono di stigmatizzare la scelta di Allende di prestare
orecchio alla parte più estremista della sinistra rinunciando al dialogo con la democrazia
cristiana, e questo fu detto soprattutto per rivendicare la propria scelta di essere al governo
con la DC.
Ma le iniziative più importanti furono preparate e promosse dalle federazioni giovanili di PCI,
PSI e DC le quali la sera stessa dell’11 si riunirono in un coordinamento unitario per decidere
le azioni da intraprendere. Stilarono un comunicato congiunto e si prepararono alla
manifestazione che alla sera avrebbe attraversato le vie della città. Il comunicato dei
Movimenti Giovanili FGCI, FGC-PSI, ACLI, DC, PDUP testimoniava la grande forza di attrazione
che la morte di Allende aveva provocato, sulla quale convergevano le posizioni di movimenti
7 Il Resto del Carlino, 12/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi 8 “Notiziario ANPI”, Archivio Centro Unitario di Solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia.
61
anche così diversi come FGCI e ACLI, tanto più che nel testo dell’appello si leggeva una
condanna chiara dell’operato di Frei, leader della destra DC. I giovani attraverso il comunicato
diedero grande impulso alle azioni a favore della causa cilena, “costringendo” di fatto le
istituzioni locali a seguire il sentiero tracciato: essi proposero la promozione di un Centro
Unitario di Solidarietà “al quale invitano ad aderire tutte le forze politiche e sociali, le autorità
morali che si riconoscono in questo unitario impegno di lotta”9. Il comunicato proseguiva
chiedendo il lancio di una sottoscrizione e la raccolta di firme per chiedere al Governo italiano
di non riconoscere la Giunta militare cilena.
Il 13 settembre si tenne dunque la manifestazione di protesta contro gli avvenimenti cileni,
come per altro stava avvenendo in molte altre città italiane (dove si registrò una massiccia
partecipazione)10. Il corteo si radunò alle ore 18 in viale monte Grappa e passando per il
centro sfociò in piazza Cavour dove si tenne il comizio conclusivo. Parlarono l’onorevole Otello
Montanari (PCI), Rameres Taddei (Unità Proletaria), Giannetto Patacini (segretario provinciale
PCI), l’onorevole Dino Felisetti del PSI e Pier Luigi Bertolotti della segreteria provinciale della
DC che però ufficialmente non aderì alla manifestazione11 (CARLINO). Altre manifestazioni di
piazza si svolsero a Sant’Ilario d’Enza e a Guastalla, promosse dalle sezioni locali di PCI e PSI e
nei giorni successivi in quasi tutti i comuni della provincia di Reggio Emilia si registrarono
sostegni e iniziative12 (L’Unità).
A questa prima mobilitazione seguì una sessione straordinaria del Consiglio Provinciale il 17
settembre 1973 per discutere l’ordine del giorno approvato dalla Giunta che ha come oggetto
l’intitolazione del Palazzo sede della Provincia a Salvador Allende. I consiglieri presenti in aula
9 L’Unità, 13/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi. 10 Ibidem. 11 Il Resto del Carlino, 14/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi. 12 L’Unità, 14/09/1973.
62
erano: Artioli Lidio, Bassoli Natale, Bedogni Remo, Benassi Ugo, Bernardi Antonio, Bernazzoli
Bruno, Bottazzi Loris, Catellani Peppino, Davoli Claudio, Del Bue Stefano, Denti Adele, Ferrarini
Augusto, Gherpelli Giuseppe, Greci Lidia, Messori Lucio, Orlandini Ermanno Vanni, Parenti
Vittorio, Scalabrini Mario, Simonelli Gustavo, Tedeschi Franco, Valenza Romano e Vallini Velia.
La motivazione dell’o.d.g. si può leggere nell’accorato discorso che lesse il presidente Parenti
all’apertura dei lavori del Consiglio, tratteggiando la figura del Presidente cileno e lodandone
l’eroico sacrificio. La figura di Allende, secondo Parenti, richiamava quella di Giacomo
Matteotti, che pur nella convinzione del rischio a cui esponeva la sua vita, non rinunciò alla
sua battaglia contro la violenza fascista. Oppure l’idealismo romantico di Allende poteva
paragonarsi a quello di Camillo Prampolini nella cui figura agivano insieme dottrina marxista,
solidarietà e umanità. Un altro aspetto interessante è il rifarsi di Parenti alla figura del
cardinale Silva “autorità morale e anche religiosa più alta del Cile” per legittimare il buon
governo di Allende, senza mai citare l’ambigua e discussa politica dei cattolici legati a Frei, nel
tentativo, forse, di rendere più universale e riconosciuto l’omaggio al defunto presidente. Per
Parenti e la Giunta provinciale il richiamo ad Allende nel palazzo provinciale dovrà servire a
ricordare ai cittadini che in esso siedono “uomini liberamente eletti dal popolo” che nel
ricordo di Allende dovranno tener fede al mandato ricevuto. E proprio la spiegazione sul
significato del nome del palazzo servirà a rinnovare “la storia e il ricordo di quest’uomo”13.
All’intervento di Parenti segue quello di Stefano Del Bue, consigliere del PSDI, che pur
celebrando la figura di Allende e il suo eroico sacrificio non mancò di sottolineare i limiti della
sua azione di governo, a suo giudizio dovuti ai contrasti interni. La preoccupazione che Del
Bue esprimeva era che i partiti di sinistra, in Italia, si convincessero che “il più legalitario
13
“Verbali Consiglio Provinciale”, 17/09/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia.
63
ingresso nel governo della cosa pubblica [sarebbe] osteggiato con ogni mezzo illegittimo”14 e
per tale ragione reagissero con violenza a loro volta, determinando così la sconfitta della
democrazia. Contrario all’intitolazione fu il consigliere del Partito Liberale, l’avvocato Franco
Tedeschi, il quale pur rispettando il giudizio morale su Allende non ne condivideva l’operato
politico. Inoltre nel suo intervento sostenne come fosse più opportuno dedicare il palazzo a un
qualche reggiano illustre, evitando scelte a suo avviso demagogiche e strumentali. Al
consigliere DC Bruno Bernazzoli spettava il difficile compito di sciogliere le ambiguità che
gravavano sul rapporto tra DC e il suo omologo cileno, accusato da più parti di essere stato
complice del golpe. Rimarcò infatti la decisione del proprio gruppo di “stralciare la propria
responsabilità all’interno della DC cilena”, condannando insieme al cardinale Silva “l’azione
banditesca” avvenuta a Santiago. In conclusione al proprio intervento lesse un comunicato di
12 esponenti della DC cilena che, in dissenso con la linea ufficiale del partito, rimarcavano la
via democratica come unica soluzione ai problemi del paese. L’assessore Lidia Greci, del PSI,
non fu così morbida con il partito di Frei, accusato di aver premeditato i suoi attacchi parlando
di democrazia ma in realtà richiamando modi fascisti. L’attenzione della Greci si sposta in Italia
dove, a suo giudizio, “occorre una supremazia morale e culturale” per aumentare coloro che
si proclamano veri democratici e fermare chi tale democrazia voglia colpire15.
Al termine del dibattito il presidente lesse un telegramma da far pervenire al Consiglio dei
Ministri, ai presidenti di Camera e Senato e al Ministro degli Interni, in cui “il Consiglio
Provinciale commemorando Salvador Allende esprime ferma protesta mancanza disposizione
esporre bandiera abbrunata in omaggio morte capo stato in carica punto”16.
14
“Verbali Consiglio Provinciale”, 17/09/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia. 15
Ibidem. 16 Ibidem.
64
Il comunicato venne approvato con l’adesione dei gruppi presenti e cioè PCI, PSI, PSDI, PLI e
DC. Inoltre, un nuovo ordine del giorno venne discusso: si trattava di un appello affinché
cessassero le violenze in Cile e si agisse attraverso “tutte le vie possibili” per “restituire al Cile
le libertà democratiche”. Il tema della discussione era se inviare o meno il telegramma anche
al Segretario delle Nazioni Unite; nello specifico da alcuni consiglieri (Del Bue in particolare) si
rimarcò l’inutilità dell’invio di tale sollecitazione all’ONU, preferendo richiedere ai
parlamentari reggiani e al Governo di far presentare la cosa all’ONU. Parenti difendeva il
merito dell’iniziativa. Alla fine la questione venne risolta con la compilazione di due testi, uno
da inviare al Governo e ai parlamentari per esprimere il proprio dissenso per non aver esposto
le bandiere a mezz’asta alla notizia della morte di Allende, capo di stato cileno, l’altro da
presentare alle Nazioni Unite per chiedere di adoperarsi per fermare i massacri e restituire al
Cile la libertà. La proposta dei due testi, come quella sull’intitolazione del palazzo ad Allende
furono votate all’unanimità dei presenti. Fu inoltre letto l’appello delle Federazioni giovanili
alla manifestazione unitaria e i vari gruppi espressero il loro assenso all’iniziativa17.
Il giorno successivo (18 settembre 1973) si riunì anche il Consiglio comunale in seduta
straordinaria. Fu lo stesso sindaco Renzo Bonazzi a rilevare come solo in rarissime occasioni il
Consiglio si fosse riunito in forma straordinaria, a significare l’importanza non solo celebrativa
del momento. Il Consiglio Comunale votò l’approvazione dell’appello dei movimenti giovanili
aderendo inoltre alla manifestazione prevista inizialmente per il 19 settembre e promossa
dagli stessi gruppi giovanili. Da sottolineare il fatto che fu negata all’esponente della Destra
nazionale la possibilità di parlare nell’aula consigliare18. Aderendo all’appello delle federazioni
giovanili dei diversi partiti politici si organizzò per il 19 settembre 1973 una grande
17
“Verbali Consiglio Provinciale”, 17/09/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia. 18 Gazzetta di Reggio, 19/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi
65
manifestazione pubblica che venne riportata dalla pagina locale de l’Unità e dal giornale della
diocesi reggiana La Libertà, ma di cui non troviamo notizia sulla Gazzetta di Reggio e sul Resto
del Carlino. Si registrarono altre iniziative sul territorio provinciale come l’assemblea sindacale
dei lavoratori della CAAM-CAMC in cui si discusse della situazione cilena e si stilò un ordine del
giorno unitario, o come l’analoga protesta che allestirono i dipendenti delle latterie. La Libera
Associazione Artigiani e la Confesercenti aderirono con un comunicato congiunto allo sciopero
nazionale unitario indetto per il 21 settembre da CGIL CISL e UIL, protestando per la situazione
cilena e invitando i commercianti e gli artigiani ad una serrata di un quarto d’ora.
In questo clima di grande coinvolgimento la manifestazione del 19 fu organizzata per essere
più imponente della precedente. Il maggior tempo a disposizione permise una capillare
diffusione di volantini su tutto il territorio provinciale; su di essi erano stampati l’appello
congiunto di Georges Marchais (segretario del PCF) e di Enrico Berlinguer in cui si invitavano i
cittadini a scendere in piazza per manifestare il loro dissenso alle azioni violente in atto in Cile.
Gruppi di giovani distribuirono i volantini davanti alle chiese la domenica (il 19 settembre
sarebbe caduto il mercoledì successivo), mentre altri attivisti li distribuivano all’ingresso delle
fabbriche. Come corollario alla mobilitazione a Cadelbosco (comune della bassa reggiana) su
iniziativa del Comune e del Comitato antifascista furono eretti alcuni pannelli in piazza
raffiguranti Allende, sotto i quali si potevano apporre le firme in calce ad un ordine del giorno
unitario di PCI, PSI e DC. In un giorno si raccolsero più di 700 firme19. In quegli stessi giorni
inoltre a Reggio Emilia si stava organizzando la settimana di studi marxisti incentrati sulla
figura di Rosa Luxemburg promossa dall’ISSOCO (Istituto per lo studio della società
contemporanea). Del comitato scientifico dell’Istituto faceva parte Lelio Basso, il quale, a
motivo della sua presenza in città, venne invitato a tenere un discorso alla manifestazione sul
66
Cile. Del resto Basso, grazie al suo approccio né dogmatico né eurocentrico, seppe cogliere
meglio di altri le peculiarità, le caratteristiche e le dinamiche socio-politiche del continente
sudamericano. Attraverso la sezione America Latina dell’ISSOCO (la cui fondazione risale al
1969) approfondì l’analisi delle realtà dei paesi in via di sviluppo, seguendo con particolare
interesse la peculiare via del socialismo cileno; instaurò collaborazioni con importati centri di
ricerca sudamericani e si recò in Cile due volte, nel 1971 e nel 1973. Proprio a partire dal
pensiero della Luxemburg, sosteneva che l’acme dello scontro tra proletariato e capitalismo,
vale a dire la presa di potere da parte di quest’ultimo, fosse solo un punto finale di un
processo rivoluzionario che egli ravvisava nella politica di Allende in Cile20. Per la sera della
manifestazione al palazzetto era prevista una conferenza al teatro Ariosto per l’inizio di una
campagna a sostegno del popolo brasiliano, oppresso dalla dittatura. La drammatica attualità
degli avvenimenti cileni costrinse gli organizzatori a unire i due eventi, che peraltro risultavano
legati da un filo comune.
La manifestazione fu un successo. Secondo il resoconto degli Amici de “l’Unità” (la pagina
locale del quotidiano del PCI) alle 8.30 del 19 settembre cominciarono a radunarsi in viale
monte Grappa migliaia di persone, tra bandiere rosse, slogan e cartelli inneggianti ad Allende
e contro il colpo di stato. Il corteo proseguì poi lungo la via Emilia verso piazza Gioberti e il
Palazzetto dello Sport. Marciavano i sindacati e le delegazioni di varie fabbriche della provincia
e “massiccia … vivace e combattiva”21 era la presenza dei giovani, che erano scesi in campo in
prima persona e fin da subito per condannare il golpe e per attivare la mobilitazione della
città. All’intero del Palasport gremito parlarono il sindaco di Reggio Renzo Bonazzi, che
presiedeva la manifestazione, il presidente della provincia Parenti che non mancò di
19 L’Unità, 18/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi. 20 NOCERA RAFFAELE, ROLLE CRUZ CLAUDIO a cura di, op. cit. pp 158-59. 21 L’Unità, 20/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi.
67
sottolineare il valore dell’unità raggiunta in tutta la provincia nella condanna e nella
solidarietà e un esponente di Unidad Popolar, Juan Carvayal, che si trovava in Italia durante il
rovesciamento di Allende. Si annunciò la raccolta fondi a sostegno della resistenza cilena e si
osservò un minuto di silenzio in memoria delle vittime del terrore di Pinochet. Quindi prese la
parola Lelio Basso che chiese un aiuto per finanziare, attraverso il tribunale Russel, la raccolta
di documentazione sul regime fascista brasiliano, da lui ritenuto perno della politica
imperialista americana. Quindi diede lettura della sua “Lettera aperta al compagno Allende”,
in cui metteva in risalto il valore personale della lotta di Allende contro i reazionari cileni. A
conclusione della serata andò in scena uno spettacolo realizzato da alcuni attori in cui si diede
conto, attraverso immagini, documenti, testimonianze e canzoni, del quadro della situazione
cilena22.
Appare evidente che la manifestazione al Palazzetto dello Sport non era un momento
conclusivo, ma l’inizio di un momento di avvio di iniziative unitarie. La lotta per la causa cilena
viene letta con una consapevolezza nuova: in Italia come in Cile è necessario battersi contro
chi si oppone agli interessi dei lavoratori e delle classi più deboli, invocando una soluzione
reazionaria. Questa coscienza diventa il collante che permette di concepire azioni unitarie di
gruppi politici che vanno dal PCI alla DC (sia a livello istituzionale che giovanile) e confermano
soprattutto una presenza attiva dei cattolici più progressisti, non sempre osservanti della
posizione ufficiale della DC nazionale. È importante ricordare come ci furono anche voci un
po’ fuori dal coro nei giorni delle celebrazioni; sulle pagine della Gazzetta di Reggio,
quotidiano di stampo conservatore, si misero ad esempio in risalto alla notizia, effettivamente
diffusa da Frei, di una insurrezione comunista, sventata solo dal colpo di stato di Pinochet. In
22 L’Unità, 20/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi.
68
questo modo si cercava di dare credito all’operato del generale, visto come il male minore a
fronte di una possibile dittatura “rossa”. Un altro articolo datato 19 settembre, annunciava
come la situazione in Cile (a poco più di una settimana dal golpe) stesse tornando alla
normalità. Tutti esempi di come ci fosse comunque in città, una stampa e un opinione
pubblica che non era totalmente schierata con la linea unitaria portata avanti da PCI, socialisti
e larga parte della DC.
Quella al Palazzetto non fu l’unica attività prevista in quei giorni: il 21 settembre nel comune
di Campagnola si tenne un’assemblea sul Cile, come pure a Villa Cella, mentre un dibattito
organizzato da PCI, PSI e DC fu organizzato a Quattro Castella. In numerosi circoli e paesi
soprattutto della bassa reggiana si tennero incontri e furono votati ordini del giorni di
solidarietà con il popolo cileno. Infine, sempre a Reggio Emilia, nella sala Verdi ci fu una
manifestazione organizzata dal PDUP, con proiezione di un documentario e relazioni di
Corrado Corghi e della socialista bassiana Silvia Boba23. Altre manifestazioni di solidarietà
ebbero luogo in occasione della morte del poeta Neruda, commemorato dal consiglio
comunale e da quello provinciale nelle rispettive sedute24, e con una celebrazione al teatro
Ariosto il 27 settembre. Alla memoria del poeta sudamericano fu intitolato la scuola per
l’infanzia in via Passo Buole.
L’esperienza del Centro Unitario di solidarietà
Il 27 settembre i movimenti giovanili della DC, la FIGC, la FGS e la gioventù aclista avevano
proposto la creazione di un Comitato Nazionale unitario per coordinare le iniziative da
23 L’Unità, 22/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi. 24 “Verbali Consiglio Provinciale”, Archivio Provinciale Reggio Emilia
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promuovere e proporre nel mese di ottobre, che era stato proposto come mese di solidarietà
cilena in tutta Europa dalla Conferenza dei giovani democratici. A Reggio Emilia si erano
anticipati i tempi, dato che un Centro Unico di Solidarietà si era andato formando, in modo
informale, già nei giorni successivi alla caduta di Allende, soprattutto per iniziativa dei
movimenti giovanili. L’idea delle organizzazioni giovanili dei partiti reggiani all’indomani della
notizia della caduta di Allende, dava prova di grande attivismo e partecipazione. Con l’inizio
delle scuole, approfittando anche della disponibilità di alcuni presidi (in particolare quello
della scuola superiore Filippo Re) erano numerose le assemblee e i dibattiti che occupavano i
giovani sul tema della causa cilena. In particolare in una riunione al teatro Ariosto gli studenti
del liceo scientifico Spallanzani e degli istituti tecnico-professionali avevano espresso ai
membri del Centro Unitario la volontà di organizzare per il 2 ottobre una manifestazione di
solidarietà con la partecipazione di Obernan Rodriguez di Unidad Popolar. In una riunione
svoltasi il 3 ottobre in Provincia tra amministratori provinciali, amministratori del Comune di
Reggio e i rappresentanti di FGCI, FGS, PSDI, DC e PDUP si era discusso proprio del costituendo
Centro Unitario, accogliendo la richiesta dei movimenti di dotare il Centro di una sede,
identificata con un ufficio debitamente attrezzato nel palazzo della Provincia, futuro palazzo
Allende e di autorizzare l’apertura di Conto Corrente presso la Cassa di Risparmio presso cui
potevano operare direttamente il Presidente dell’Amministrazione e l’economo Carlo Coda,
registrando i movimenti di denaro sul bilancio provinciale25. La Provincia dopo aver deliberato
il 19 ottobre, diede mandato al Centro di individuare “alcune iniziative a livello provinciale
attraverso le quali s’intende sensibilizzare l’opinione pubblica sulla tragedia cilena e
concretizzare conseguentemente un vasto movimento di solidarietà popolare”26. Fu un
passaggio fondamentale perché determinò un salto qualitativo nella gestione degli eventi a
25 “Cile”, Archivio Centro Unitario di Solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia.
70
favore del Cile, garantendo di fatto il proseguimento unitario delle iniziative di solidarietà.
All’inizio come abbiamo visto furono soprattutto gli studenti a rendersi protagonisti, non solo
con la creazione del Centro, ma anche con assemblee nelle scuole, volantinaggio davanti agli
istituti, cortei. Ci fu anche il tempo per qualche lite, come riportò sempre l’Unità, quando il 2
ottobre, alcuni studenti classificati come monarchici realizzarono un contro-volantino in cui
inneggiavano a Pinochet insultando Allende. Questo portò ad uno scontro fisico con alcuni
studenti e la protesta di questi ultimi all’autorità scolastica27. Il giorno successivo si tenne la
manifestazione dei ragazzi delle scuole al Palasport, con la proiezione del documentario
Intervista con il presidente Allende girato in Cile da Roberto Rossellini, alla presenza di
Rodriguez e di tremila giovani arrivati dalle scuole cittadine. Ma è veramente difficile dare
conto di tutte le espressioni di solidarietà che si diffusero su tutto il territorio provinciale: ogni
comune era interessato da una manifestazione, da un dibattito pubblico o da un comizio.
Spesso gli oratori che erano a Reggio Emilia per l’evento principale, venivano “prestati” a
qualche comune limitrofo per una nuova assemblea. Molti consigli comunali votarono ordini
del giorno per esprimere solidarietà al popolo cileno, per manifestare il proprio antifascismo
in qualunque forma si presentasse o per esortare il governo nazionale ad azioni forti in campo
internazionale di condanna del regime. Numerose aziende locali videro i propri lavoratori
organizzare comizi sul Cile, incrociare le braccia per 10-15 minuti, sottoscrivere donazioni
volontarie a sostegno della causa partigiana cilena. Nei mesi caldi della protesta dunque
Reggio Emilia e provincia furono teatro di una forte mobilitazione sociale, che testimoniava
anche il grado di penetrazione di schemi e attinenze politiche, per cui l’appoggio
incondizionato a Unidad Popolar andava di pari passo con il richiamo alla tradizione
antifascista ancora molto forte e viva: nella dichiarazione di solidarietà non poteva mancare
26 “Cile”, Archivio Centro Unitario di Solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia.
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mai l’accenno ai diritti e alla libertà nati dalla Resistenza da preservare da attacchi di forze
ostili e reazionarie.
Uno dei motivi per cui si avvertì la necessità di istituzionalizzare il Centro Unitario di
solidarietà dopo le prime iniziative, fu quello di gestire in maniera più trasparente la quantità
di sottoscrizioni che al Centro pervenivano durante gli eventi organizzati o spontaneamente
da associazioni e gruppi culturali. Già alla notizia dell’arresto di Luis Corvalan, in occasione
dell’ennesima manifestazione organizzata dal Centro Unitario, si erano registrate alcune
sottoscrizioni, come quella lanciata dal consiglio sindacale delle farmacie comunali riunite per
la trattenuta di due ore dello stipendio28. L’idea della sottoscrizione, lanciata proprio dai
movimenti giovanili nel loro primo comunicato a settembre iniziò ad avere un certo successo
tanto che ad ottobre si erano raccolti più di un milione di lire, in parte donazioni delle varie
sezioni di partito, in parte raccolti alle numerose manifestazioni (quasi 800.000 lire) e, cosa
interessante, circa 10.000 lire da alcuni soldati della Caserma Zucchi. A novembre dello stesso
anno si iniziò inoltre una sottoscrizione promossa dai movimenti giovanili democratici a livello
nazionale e anche il Centro unitario di Reggio aderì anche se sulla questione dei fondi si aprì
una accesa discussione in Consiglio provinciale. Tutto nacque da alcuni manifesti che
apparvero sui muri della città, che invitavano la popolazione a versare contributi per
acquistare armi per il Cile e per il MIR (partito di estrema sinistra cileno). Ovviamente gli
esponenti del PLI in consiglio chiesero chiarimenti sulla posizione della Amministrazione
Provinciale e del Centro Unitario e sulla destinazione effettiva dei soldi raccolti. Fu ribadito, in
particolare dai consiglieri Barbieri e Bernardi che il documento con cui si chiedeva la
sottoscrizione non accennava assolutamente all’acquisto di armi e comunque si rivolgeva a
27 L’Unità, 3/10/1973, Biblioteca Comunale Panizzi. 28 “Iniziative di solidarietà per Cile, Sudafrica, Spagna, Portogallo 1974-76”, busta n°155, Archivio Camera Territoriale del Lavoro, Polo Archivistico Reggio Emilia.
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tutte le forze impegnate nella Resistenza cilena e non solo ad alcuni suoi esponenti più
radicali. Del Bue si dimostrò ancora più radicale, sostenendo che la destinazione finale del
denaro raccolto non dovesse essere decisa dall’Amministrazione ma dai rappresentanti della
Resistenza stessa, anche qualora fosse una spesa per l’acquisto di armi. A questo punto la
discussione si infiammo, dato che il consigliere Tedeschi contestò all’Amministrazione
Provinciale il compito di raccolta fondi per la causa cilena, tanto più se era per armare
qualcuno. In realtà il problema era pretestuoso, essendo impossibile per il centro organizzare
una raccolta fondi per armi, stante la legislazione vigente in Italia. Si trattava di un discorso
soprattutto politico e cioè la motivazione con cui appoggiare e sostenere la causa cilena. La
motivazione con cui il Centro e la Provincia aderivano alla raccolta fondi era indirizzata ad
azioni di solidarietà che erano espressamente richieste dai cileni come testimonia l’appello di
Hortensia Allende in cui chiede che l’indignazione suscitata dall’11 settembre si traduca in
“aiuto solidale”. A monte doveva esserci la forte adesione, da parte dei consiglieri con la
battaglia messa in campo dalle forze contrarie a Pinochet, un supporto morale e politico, una
piattaforma di solidarietà come Reggio Emilia aveva approntato in altre occasioni (si fece
riferimento in particolare ai trattori richiesti dal Vietnam e inviati dall’Amministrazione)29.
Ma la questione economica non era certo secondaria, tanto che dovette intervenire il
Comitato di Controllo sugli Atti delle Province per chiedere chiarimenti in merito
all’attribuzione del Presidente della provincia di operare sul conto corrente del Centro di fatto
agendo come un contabile, con tutte le responsabilità derivanti, e chiedendo l’introduzione di
una figura di tesoriere per gestire il bilancio del Centro30. L’Amministrazione corse ai ripari
annullando il precedente atto e, riaffermando le motivazioni politiche per cui costituiva un
29 “Verbali Consiglio Provinciale”, 13/11/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia. 30 “Cile”, Centro Unitario di Solidarietà, 15/11/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia.
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Centro di solidarietà, rimuovendo la figura del Presidente della provincia da responsabilità di
bilancio e investendo l’ufficio stesso del Centro della gestione diretta dei fondi. A capo del
Centro fu posto Antonio Casoli, che fino al quel momento si occupava in provincia di turismo,
sport, politiche giovanili e scambi internazionali. Siccome si tennero diversi incontri con
rappresentanti cileni, si rese necessario l’assunzione di una traduttrice, Giuliana Salsi, che
prestò servizio nei primi anni dell’attività del centro. Inoltre fu assunto un autista, Enzo
Borciani, incaricato degli spostamenti delle varie personalità che giungevano in città (qualora
non fosse previsto il taxi)31. All’inizio le principali attività del Centro furono quelle
dell’organizzazione di eventi per sensibilizzare la popolazione reggiana, che si era dimostrata
particolarmente ricettiva, sul dramma cileno e le sofferenze quotidiane a cui il popolo era
costretto dal regime di Pinochet. La prima grande iniziativa promossa e organizzata dal Centro
Unitario di solidarietà fu la cerimonia di intitolazione del palazzo della provincia a Salvador
Allende. L’Amministrazione stanziò circa un milione di lire per predisporre ogni cosa: ospiti
attesi a Reggio Emilia l’ambasciatore cileno in Italia Carlos Vassallo di Unidad Popolar (dato
che l’Italia non aveva ancora riconosciuto il nuovo governo cileno, questi non aveva potuto
cambiare l’ambasciatore), Rafael Alberti e la moglie Maria Teresa Leon, Ignazio Delogu e il
complesso degli Inti Illimani. Questi ultimi erano in tournè in Germania quando Pinochet
prese il potere, e grazie alla mediazione di Jaime Nazar, che era il segretario nazionale della
gioventù comunista cilena, scappato in Italia dopo il golpe, furono accolti in Italia e ospitati a
lungo, divenendo in breve tempo, attraverso le loro canzoni di ribellione, simbolo della lotta
del popolo cileno contro la dittatura32.
31 “Cile”, Centro Unitario di Solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia. 32
Intervista ad Antonio Casoli, che, oltre a svolgere vari incarichi per l’Amministrazione Provinciale, fu responsabile del Centro Unitario di solidarietà fin dalla sua creazione nel 1973.
74
La giornata del 16 novembre fu ricca di appuntamenti; gli studenti delle scuole furono divisi in
tre distinti gruppi: quelli del liceo classico, scientifico e di ragioneria si radunarono al teatro
Ariosto, quelli di agraria, di geometra e dell’Istituto d’Arte al teatro Municipale mentre alla
palestra dell’IPSIA (Istutito Professionale) trovarono posto gli studenti dell’Istituto tecnico. A
tutte le assemblee, affollatissime, intervennero gli Inti Illimani, Delogu e Vassallo, oltre agli
esponenti dei movimenti giovanili. Arrivava dagli oratori la richiesta di una forte unità di tutte
le componenti antifasciste per dare sempre più validità alla mobilitazione internazionale,
superando quegli steccati ideologici che frammentavano i movimenti di sinistra in Italia. A
Reggio Emilia, soprattutto a livello giovanile, c’era una grande vicinanza ideale, anche perché
in quel periodo sia tra il Movimento giovanile DC che nell’ACLI prevaleva la maggioranza più
progressista, la quale su temi di politica estera, internazionalismo ed economia, non si
discostava molto dalle analisi dei gruppi di sinistra33.
Al termine delle assemblee vari gruppi di studenti confluirono in piazza Martiri del 7 luglio e
da lì diedero vita ad un corteo che attraverso la via Emilia e corso Garibaldi giunse davanti al
palazzo della provincia dove si sciolse in attesa della intitolazione prevista per il pomeriggio34.
Lungo l’elenco delle personalità chiamate a intervenire nel discorso di inaugurazione che, per
richiamare le parole di Parenti, rappresenta “un impegno permanente al fianco di chi milita
nella resistenza cilena”35. Toccanti furono anche le parole che pronunciò Rafael Alberti, il
poeta spagnolo dal 1967 cittadino onorario di Reggio, che descrisse la straordinaria vocazione
reggiana per la solidarietà, da lui sperimentata l’anno precedente, quando fu celebrata la
Resistenza spagnola e il 70esimo compleanno del poeta nella piazza della città. Una
“sensibilità speciale, un senso civico” che egli definisce unico in Europa, e che deriva
33 Archivio Movimento Giovanile Dc, Polo Archivistico Reggio Emilia. 34 L’Unità, 17/11/1973, Biblioteca Comunale Panizzi. 35 Ibidem.
75
dall’essere città Medaglia d’oro della Resistenza, che matura dall’esperienza di città
antifascista e dunque la porta a farsi carico di battaglie così fisicamente lontane, ma
idealmente vicine e simili a quelle vissute solo pochi anni prima36. Seguirono interventi dei vari
rappresentanti dei gruppi del consiglio provinciale, dei parlamentari reggiani Alessandro Carri,
Lidio Artioli e Carmen Zanti e dell’ambasciatore Vassallo. Alla sera, come era ormai
consuetudine degli ultimi mesi, grande veglia di solidarietà al Palazzetto dello Sport con i canti
degli Inti Illimani, del gruppo Americanta e la lettura di alcune poesie di Pablo Neruda da parte
di alcuni attori. Durante la serata furono raccolti 1 milione e 123 mila lire, a cui si aggiunsero i
3 milioni raccolti dai dipendenti del Municipio, 1 milione proveniente dalla COOP, 20.000
dell’ANPI di via Lungo Crostolo, i 50.000 dell’Azienda gas e i 30.000 del Teatro Popolare per un
totale di 9 milioni di lire pervenute al Centro unitario di solidarietà nell’arco della serata37.
L’intera cerimonia costò al Centro unitario 990.400 lire, di cui 32.000 per un paio di eskimo
donati agli Inti Illimani, evidentemente poco preparati ad affrontare le rigide temperature
invernali38.
Il bilancio che si può tracciare dei primi mesi di iniziative è sicuramente positivo. Fin dai primi
giorni si è assistito ad una forte presa di coscienza della situazione che è sfociata in azioni
concrete e di forte richiamo. Si agisce su un tessuto sociale che è già fortemente preparato ai
grandi temi internazionali e quindi sa come gestire e organizzare le proprie risorse, contando
sulla capillarizzazione del partito comunista, sulle sigle sindacali, sul ricco tessuto parrocchiale.
Un grande fronte unitario si forma immediatamente nel nome della lotta contro
l‘imperialismo e la violenza fascista in Cile e prosegue nella sua battaglia negli anni successivi,
trascinato anche dal grande clamore suscitato in città, dalla grande partecipazione e supporto.
36 “Verbali Consiglio Provinciale”, seduta straordinaria 16/11/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia 37 L’Unità, 17/11/1973, Biblioteca Comunale Panizzi.
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Il fatto di una forte presenza, di una vicinanza alla causa cilena, può essere testimoniato dalla
decisione del Comitato di gestione della scuola nata in via Gattalupa nel 1974: intitolando la
scuola a Salvador Allende si voleva non solo dare un “doveroso omaggio”, ma manifestare
l’idea che attraverso l’istruzione si potessero formare “uomini liberi”39.
Il Centro di solidarietà continuò la sua attività di diffusione e conoscenza, nonché di raccolta
fondi e supporto materiale, in costante contatto con il Centro nazionale Italia-Cile che aveva
sede a Roma in largo di Torre Argentina (ogni mese veniva fatto un resoconto delle attività40).
Fu organizzata, assieme all’Amministrazione comunale, la proiezione di un ciclo di
documentari sull’America latina, già presentati alla IX Mostra del Cinema Internazionale di
Pesaro, presso la casa dello studente, in via della Abbadessa; tra i titoli in programma Giron di
Manuel Herrera e Julio Garcia Espinosa, Tupamaros di Jan Lindqvist, Los traidores realizzato
dal Gurpo cine de la base e il documentario Viva la Repubblica girato da Pastor Vega nel
197241. Alle fine di novembre del 1973 arrivò sul tavolo del Sindaco Bonazzi e al Centro di
solidarietà la proposta del Servizio Civile Internazionale (membro consultivo dell’UNESCO) per
organizzare, su proposta del Comitato Italia-Cile, un campo di lavoro volontario, da tenersi dal
16 al 6 gennaio, per raccogliere fondi da inviare in Cile al fine di sostenere i cileni perseguitati
e licenziati. Oltre al lavoro volontario, per approfondire la conoscenza del problema cileno al
lavoro si sarebbe affiancata una parte di seminari politici, spettacoli e film42. Il 1974 si aprì con
nuove iniziative promosse dal Centro unitario reggiano tra cui una manifestazione per il 5
gennaio in favore dei bambini cileni, a cui partecipò un dirigente sindacale spagnolo della
Comisiones Obreras, e la stampa di 5000 volantini e poster del poeta e martire cileno Victor
38 “Cile”, Archivio Centro Unitario di solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia e testimonianza diretta di Antonio Casoli. 39 LA PROVINCIA DI REGGIO EMILIA, periodico mensile a cura dell’Amministrazione provinciale, n°6, ottobre 1974. 40 Intervista Antonio Casoli. 41 L’Unità, 20/10/1973, Biblioteca Comunale Panizzi.
77
Jara da distribuire su tutto il territorio, con una spesa prevista di 2 milioni di lire43. L’evento
però di maggior richiamo fu l’incontro tra intellettuali e artisti italiani e cileni previsto per l’11
giugno 1974 al teatro Ariosto con la partecipazione dei Carlos Vassallo, Manuel Ortega,
Patricio Ramirez, Ines Carmona, Giuseppe Gherepelli, oltre che del complesso degli Inti
Illimani, nuovamente invitati in città. Obiettivo del convegno era presentare la realtà culturale
cilena al momento attuale, nel tentativo di stimolare la conoscenza e la diffusione dell’opera
degli intellettuali sudamericani, sia che fossero in esilio oppure ancora in patria, mobilitando a
tal proposito le case editrici popolari e l’università. Per realizzare questi traguardi si propose
nel corso dell’incontro, la creazione di un tavolo di intellettuali italiani e cileni in grado di
predisporre le misure necessarie e procurare i contatti utili allo scopo. Alla repressione anche
culturale in atto in Cile si cercò di rispondere con una iniziativa che potesse restituire dignità
ad una delle culture più avanzate dell’America Latina. Fu l’occasione per il lancio dell’iniziativa
culturale promossa dal Centro Unitario di Solidarietà denominata Libertad para
Chile44(ARCHIVIO CENTRO). Sempre nel ’74 ma il 12 settembre, ad un anno esatto dal golpe, si
tenne una nuova manifestazione per chiedere la liberazione dei dirigenti incarcerati (Luis
Corvalan, Clodomiro Almeyda e altri) e la cessazione delle torture e degli arresti arbitrari.
Parlarono dal palco del teatro Ariosto Carlos Vassallo e gli Inti Illimani che tennero un
concerto45.
Dalle carte raccolte nell’Archivio provinciale emerge come fosse numerose le occasioni in città
per esprimere la solidarietà verso il popolo cileno e affiora una realtà locale veramente attiva
e impegnata. Solo nel 1975 furono stampati circa 45.000 volantini per manifestazioni o appelli
per la liberazione di donne o attivisti incarcerati in Cile. Ovviamente una tale mole di lavoro
42 “Cile”, Archivio Centro Unitario di Solidarietà, 21/11/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia. 43 Ibidem. 44 Ibidem.
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richiedeva un continuo finanziamento da parte della Amministrazione, dato che le
sottoscrizioni effettuate avevano lo scopo di aiutare le popolazioni cilene. Si realizza un
continuo botta e risposta tra l’Amministrazione provinciale e il Comitato Regionale di
Controllo dei conti che fa notare come le continue uscite di denaro per le varie iniziative
realizzare con il Centro Unitario non rientrino nei compiti specifici dell’ente. Questo lo
riscontriamo ad esempio per la spesa di 2.367.200 lire presentata per organizzare l’incontro
sopracitato tra intellettuali e artisti nel giugno del ’7446. L’assessore Giuseppe Gherpelli
confermò integralmente la delibera con cui si approvava il pagamento, motivandola con il
fatto che “la lotta contro il fascismo e la difesa delle istituzioni democratiche non possono
essere considerate estranee agli interessi di un Ente Locale”47, corpo di uno stato antifascista
e democratico come recita la Costituzione. Le delibere di carattere finanziario (fondi o
incarichi professionali) dell’Amministrazione provinciale a favore del Centro Unitario, per
avere un’idea della situazione in cui poteva operare, furono sette tra il 17 gennaio 1974 e l’8
giugno 1981. Nel marzo del 1980 il fondo del Centro risultava essere di 14.500.000 lire. La
dottoressa Miriam Grasselli, che nel frattempo aveva sostituito alla gestione dell’ufficio
Antonio Casoli, passato ad altri incarichi, segnalava come tale patrimonio fosse “non
proporzionato” alle attuali esigenze del Centro, tanto più che le principali voci di spesa si
erano notevolmente ridotte. Pur non escludendo la possibilità di realizzare qualche intervento
economico Grasselli era convinta che “non devieremo dallo spirito con cui questo Comitato fu
costituito, se ritenessimo di dover devolvere parte di questi fondi alle numerose iniziative di
solidarietà” che Reggio Emilia aveva ancora in piedi in diversi paesi che ancora si battevano
45 “Cile”, Archivio Centro Unitario di Solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia. 46 Ibidem. 47
Ibidem.
79
per i propri diritti48. Del resto proprio in quegli anni la municipalità reggiana è molo attiva in
Africa australe, con progetti che richiedevano importanti sforzi da parte dell’amministrazione.
Basti pensare che la cooperazione tecnica italiana in Mozambico raggiunge una tale
dimensione e importanza “da assicurargli il secondo posto dopo la Somalia nella graduatoria
mondiale dell’impegno italiano in questo settore”49 e Reggio funge da cerniera nei rapporti di
aiuto tra Italia e Mozambico. Il dirottamento dei fondi del Centro produce una contrazione
delle attività, rese anche meno necessarie dal diverso clima politico e dall’interesse generale”
e un passivo di 333.627 £50. Nel 1982 il Comitato di Controllo regionale annulla lo
stanziamento di un milione di lire che la Provincia aveva destinato alle iniziative del Centro. La
Provincia di nuovo l’anno successivo avanza una proposta per la ricostituzione di un Fondo Pro
Cile con una base di 9 milioni, ma di cui non sappiamo l’esito. Possiamo però supporre che di
tale proposta non si fece nulla dato che solo due anni dopo, il 5 marzo 1985, il conto corrente
del Centro Unitario di Solidarietà venne estinto51. Se si esaurì la funzione del Centro Unitario
fu soprattutto perché ormai le componenti che fin dall’inizio ne avevano promosso la
costituzione avevano perduto la necessaria unità di intenti; le dinamiche politiche avevano
naturalmente prevalso sulla iniziale spinta anche emotiva, che la fine di Allende aveva
suscitato tra i movimenti giovanili e i partiti stessi. Ma la fine del Centro non significò un
abbandono della causa cilena, dato che il referendum che avrebbe sconfitto Pinochet era
ancora lontano. Tra il giugno e l’agosto del 1983 ci furono 3 comunicati della Giunta e un
ordine del giorno votato dal Consiglio comunale di condanna del regime di Pinochet e delle
brutali repressioni di studenti e lavoratori. Il Comune chiese espressamente una presa di
posizione forte dell’Italia in sede internazionale che portasse ad un isolamento del regime
48 “Cile”, Archivio Centro Unitario di solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia. 49 CARMELO MARIO LANZAFAME, CARLO POLIDORI, La stagione della solidarietà sanitaria a Reggio Emilia: Mozambico 1963-197, L’Harmattan Italia, Torino, 2004.
80
sudamericano e che sostenesse la causa della Resistenza cilena. Altri comunicati
succederanno l’anno seguente, votati sempre da sinistra e democrazia cristiana insieme.
Gli esuli e la Camera del Lavoro
Protagonista in prima persona delle attività di solidarietà a Reggio Emilia fin dalla prima ora fu
la Camera Territoriale del Lavoro. Una organizzazione quantitativamente significativa (90 mila
iscritti del 1976) ma soprattutto in costante rapporto con il territorio, non solo sul fronte delle
lotte contrattuali, ma anche nel campo della “estensione dei diritti […], di strutturazione della
società attraverso azioni di solidarietà e servizio”52. La Camera del Lavoro era il perno delle
organizzazioni sindacali agricole, operaie, artigiane e della cooperazione, garantendo la
creazione di un tessuto di solidarietà sociale di altissimo livello a Reggio Emilia53. Negli archivi
della Camera del Lavoro si trova traccia delle iniziative organizzate dal 1978 in poi. All’inizio
dell’anno la Federazione regionale di CGIL, CIL e UIL promosse una sottoscrizione attraverso la
quale gli operai potevano donare un’ora di lavoro a favore del sindacato cileno, la CUT, e
inoltre incoraggiò il boicottaggio dei prodotti ortofrutticoli cileni, distribuiti in Italia anche dal
mercato all’ingrosso di Bologna. Si chiese di approntare una serie di iniziative per promuovere
il sostegno alla CUT cilena, la diffusione di informazioni attraverso la stampa del sindacato,
l’organizzazione delle manifestazioni e serate popolari per raccogliere finanziamenti da inviare
in Cile. Nel 1975 assieme al Centro Unitario, la Federazione organizzò un incontro al teatro
Municipale in occasione del 22° anniversario della nascita della CUT con al partecipazione dei
50
“Cile”, Archivio Centro Unitario di solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia. 51 Ibidem. 52 MIRCO CARRATTIERI, La Camera del Lavoro di Reggio Emilia nel Novecento, in Le Camere del Lavoro in Emilia-Romagna: ieri e domani, CARLO DE MARIA, a cura di, Editrice Socialmente, Bologna 2013, p. 76. 53 MORIS BONACINI, Reggio Oggi, in AA.VV., Storia Illustrata di Reggio Emilia, op. cit., 626.
81
Quilapayun, definiti un complesso “folk-politico” cileno fra i più amati in Sudamerica, divenuti
esuli in Francia dopo il colpo di stato54. La grande rete sindacale permise di avere constanti
rapporti con la CUT cilena e le notizie arrivavano continuamente alle varie federazioni che
predisponevano i vari progetti. Importante fu la sottoscrizione che nel 1979 raccolse
9.257.000 milioni di cui una parte fu impiegato per il viaggio in Cile di una delegazione
regionale della Federazione55. L’anno precedente la raccolta di fondi tra i lavoratori attraverso
la vendita di alcune cartoline da 2.000 £ non aveva dato invece i risultati sperati come scrisse
l’amministratore provinciale Francesco Bassi, ma questo non arrestò le iniziative
volontaristiche promosse dalla Camera del Lavoro. In quegli anni infatti si sviluppò un’intensa
attività di informazione, cooperazione e sostegno svolta nel nome dell’unità sindacale, rivolta
a realtà in grande sofferenza e in lotta per i proprio diritti: dall’archivio della Camera del
Lavoro reggiana emergono le iniziative di solidarietà a sostegno delle battaglie sindacali in
Vietnam, in Nicaragua, in Mozambico e in Sudafrica. Grazie ai rapporti che si consolidano con
esponenti della CUT cilena, a Reggio la Federazione può contare su rapporti e resoconti che
illustrano la situazione quotidiana del sindacato e della popolazione cilena sotto Pinochet
come l’incontro al Palazzetto tenuto dal dirigente della CUT Juan Fica accompagnato dalle
musiche dei Pucara, o come la relazione sulle torture praticate in Cile sui dissidenti, che la
commissione cilena sui diritti umani fece pervenire alla Federazione regionale nel 198556.
Un capitolo a parte meriterebbe la questione degli esuli cileni che giunsero a Reggio Emilia
dopo il golpe e chiesero ospitalità alla comunità reggiana. In molti fuggirono in Europa e
Reggio Emilia ne accolse diversi, aumentando la conoscenza della situazione in Cile. Ad
54 “Manifestazione Cile 19-2-1975”, busta n°155, Archivio Camera Territoriale del Lavoro, Polo Archivistico Reggio Emilia. 55 “Sottoscrizione sostengo lotta cileni”, busta n°155, Archivio Camera Territoriale del Lavoro, Polo Archivistico Reggio Emilia. 56 “Politica internazionale”, busta n°900, Archivio Camera Territoriale del Lavoro, Polo Archivistico Reggio Emilia.
82
occuparsene fu il Centro di Solidarietà che curò i rapporti con gli esuli, attraverso il loro
connazionale Patricio Ramirez che era il responsabile della organizzazione degli esuli a Reggio
Emilia57. Da documenti della Provincia risultano circa 15 i cileni residenti a Reggio Emilia nel
1974, mentre altri sei giunsero in occasione dell’incontro tra intellettuali cileni ed italiani
dell’11 giugno del medesimo anno: in occasione delle varie manifestazioni infatti le maggiori
personalità cilene ospitate nella regione venivano invitate nelle varie città per presiedere ai
comizi e agli incontri e rendere ancora più concreta l’azione di solidarietà. Ad esempio Corghi
raccomandò il pittore Eduardo Sanfurgo Lima, esule cileno, per una “eventuale utilizzazione” a
Reggio Emilia in occasione di un possibile evento58. Spesso il Centro si faceva carico di tutte le
necessità delle persone ospitate, dalla ricerca di un alloggio, all’acquisto di capi di vestiario, al
reperimento dei fondi per l’eventuale viaggio di ritorno, che di solito avveniva via nave dal
porto di Genova59. Per il viaggio di ritorno di Mariangel Julio Toledo e Ramirez Faundez
Patricio furono acquistati bauli e valige per il viaggio, vestiti e scarpe, e inoltre fu pagato un
contributo di 100.000 £ al mese per sei mesi, necessari per ricominciare la nuova vita in Cile.
La partenza da Genova era fissata per 13 giungo 197860. Ricostruire la storia degli esuli cileni
presenti nella provincia non è semplice. Quasi tutti fecero ritorno in patria a cavallo degli anni
’80 e non lasciarono tracce significative dietro di loro. Attraverso gli elenchi dei lavoratori
stranieri presenti negli archivi della Camera del Lavoro si può in parte ricostruire la presenza di
cileni in provincia di Reggio Emilia. Nel ’74 e ’75 risultava un solo cileno impiegato
stabilmente, anche se sappiamo che in realtà la loro presenza era maggiore, ma
evidentemente non erano stati ancora collocati. In Italia nello stesso periodo sono 458 i cileni
presenti. Passando con un salto temporale al 1981 sono 33 i lavoratori autorizzati cileni
57 Intervista ad Antonio Casoli. 58 “Cile”, Archivio Centro Unitario di solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia. 59 Ibidem.
83
presenti nel territorio reggiano che scendono poi a 16 (1,6% degli stranieri totali) nel biennio
’88 - ’8961 e che vanno sempre più riducendosi negli anni successivi, rientrando
progressivamente nel Cile finalmente democratico.
60
“Cile”, Archivio Centro Unitario di Solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia. 61
Archivio Camera Territoriale del Lavoro, Polo Archivistico Reggio Emilia
85
IV
CONCLUSIONI
Con il celebre referendum del 5 ottobre 1988 quasi 4 milioni di cileni (55,99% dei votanti) si
espressero per il ritorno alla democrazia e la fine della dittatura di Pinochet, che dunque
avvenne per via plebiscitaria e senza rivoluzioni. Secondo quanto stabilito dall’esito delle
consultazioni, il 14 dicembre 1989 si tennero le prime libere elezioni per il parlamento cileno a
quasi vent’anni dalla vittoria elettorale di Allende. La vittoria fu salutata in tutta l’Emilia dai
tanti che avevano supportato la causa cilena nei lunghi anni della dittatura. A Bologna, sede
del Comitato Italia-Cile regionale, l’attesa per il risultato del referendum fu “preparata” con
una settimana di eventi in piazza Maggiore e anche a Modena furono organizzati dei presidi e
pure una finta elezione pro o contro Pinochet (dall’esito quanto mai scontato)1. A Parma
venne preparato un meeting sul Cile in piazza Garibaldi mentre a Reggio Emilia la Fgci propose
per la sera del 5 ottobre una veglia in piazza della Vittoria a partire dalle 182. La parola
d’ordine a Reggio era sor-vegliare con il Cile, assieme a tutti coloro che avevano contribuito
alla solidarietà reggiana che, in ultimo, aveva inviato oltreoceano le donazioni per poter
pagare ad alcuni cittadini cileni la “tassa per votare” imposta da Pinochet. Assieme ai reggiani
era presente Mario Huerta, esule nella città emiliana dal 1974.
Possiamo quindi osservare che la fine di Pinochet coincise con la fine della solidarietà reggiana
verso il Cile. Inevitabilmente i canali che si erano aperti e che gli stessi esuli avevano
mantenuto operativi per quasi vent’anni, con la democratizzazione del paese e il ritorno della
1 L’Unità, 1/10/1988, Biblioteca Comunale Panizzi. 2 L’Unità, 5/10/1988, Biblioteca Comunale Panizzi.
86
quasi totalità dei cileni ospitati a Reggio in patria determinarono la fine di una stagione
intensa e partecipata. Gli anni Sessanta e Settanta erano stati propulsivi di una stagione di
organizzazione sociale ed economica supportata dai partiti di sinistra, oltre che da un
cattolicesimo impegnato a confluire nei processi di politicizzazione. La vicenda cilena viene
letta dai vari soggetti operanti (FGCI, MG, PSI) come in continuità con l’azione e la direzione
da intraprendere per ricercare la realizzazione dei valori di progresso e giustizia sociale (in
questo senso può essere letto il legame con il 7 luglio 1960). Non è un caso che la caduta di
Allende produsse uno scarto e una accelerazione di pensiero all’interno di alcuni fuoriusciti
dalla FGCI, come Tonino Paroli, che fu tra i primi esponenti del gruppo reggiano delle Brigate
Rosse. Egli infatti sostenne che il golpe cileno fu la scintilla che lo convinse ad entrare in
clandestinità3.
Gli anni Ottanta rappresentano una fase nuova, segnata da trasformazioni e mutamenti che
interessano la sfera politica e sociale. Il consenso politico non rappresenta più, o comunque
non solo, una appartenenza e una “adesione ad un corpo di valori”, ma prevale la motivazione
utilitaristica e di interesse4. Anche all’interno del mondo religioso cala la volontà di inserirsi
nel processo politico preferendo una visione più distaccata e disillusa. C’è dunque uno scarto
rispetto agli anni precedenti che si riflette indubbiamente anche nelle azioni di solidarietà
intraprese. Abbiamo visto le difficoltà che il Centro Unitario ha affrontato dal punto di vista
economico, pur non venendo meno la motivazione ideologica, ma questa sola, nella nuova
fase che la città e il Paese sta attraversando non basta più. L’interesse per il Cile, così forte e
sentito nel momento in cui veniva legato ad una contingenza politica, ad ideali comuni e
condivisi cede il passo ad altre esigenze e necessità. Questo non significa un venir meno, da
3 PERGOLIZZI PAOLO, L’appartamento. BR: dal PCI alla lotta armata, Aliberti, Reggio Emilia2006. 4 BONACINI MORIS, op. cit., p.649.
87
parte della politica, degli impegni assunti per la solidarietà internazionale, che dunque
continua ad operare perdendo però quella spinta corale che l’aveva investita all’inizio, nel
momento della sua affermazione.
Per tornare quindi ai quesiti che ci ponevamo nella introduzione di questa trattazione, sulla
recettività o meno da parte dei reggiani dei fatti di Santiago del 1973, possiamo affermare che
era presente una certa predisposizione alla causa derivante dalla visione comunista dei
rapporti internazionali; a Reggio poi la mancanza dell’Università ha di fatto impedito la nascita
di un dibattito al di fuori del PCI come invece avveniva in altre parti d’Italia dove la sinistra
extraparlamentare aveva forza e seguito. In città l’unica forza in grado di mobilitare le masse
di studenti e di lavoratori era solamente il PCI assieme alla Federazione giovanile, mentre
accanto ai partiti tradizionali di sinistra era il mondo progressista cattolico a farsi portatore di
un rinnovamento, sia grazie alle novità introdotte dal Concilio Vaticano II, sia per la presenza
di figure di spicco come Corrado Corghi, che funsero da riferimento per il coinvolgimento dei
cattolici nelle lotte politiche per la solidarietà internazionale. Se infatti sui temi di politica
interna, fossero essi economici o sociali, esistevano ancora profonde differenze tra i due
mondi, per quanto riguardava la politica internazionale spesso le conclusioni a cui giungevano
i movimenti cattolici non erano dissimili dagli slogan dei partiti di sinistra. Favoriti da una
stagione politica che sembrava potesse porre le basi per una nuova fase che prevedesse un
diverso modo di concepire i rapporti tra DC e PCI (compromesso storico), la vicenda cilena
funse da ponte, da trait d'union da due realtà apparentemente così differenti. La fine di quella
visione (anche per mano delle Brigate Rosse che pure a Reggio avevano avuto incubazione e
88
primi vagiti) contribuì, assieme ad altri fattori5, al riflusso di attenzione e partecipazione che
poi si fece più evidente nel corso degli anni Ottanta come descritto in precedenza.
In fondo cosa rimane della grande stagione che si aprì nel settembre del 1973 a Reggio Emilia
e che vide l’impiego di tante risorse umane e materiali a sostegno di una causa solo
apparentemente così lontana come poteva sembrare la battaglia per la libertà del Cile? È
inutile negare che, se ci è concesso fare paragoni, rispetto a quanto venne messo in piedi dal
Comune per l’Africa, il Cile è rimasto in secondo piano sia come aiuti che come permanenza
nel tempo di rapporti e relazioni; e questo principalmente per un motivo: la grande
operazione per il Mozambico e per il Sud Africa (che continua tutt’oggi) fu il frutto oltre che di
un indirizzo dell’amministrazione comunale, di una scelta personale di alcune persone che vi
dedicarono con grande passione buona parte della loro vita. Era una situazione inoltre in cui
Reggio fungeva da apripista, avvertendo il peso e la responsabilità della sua azione di
solidarietà per una causa in cui era possibile intravedere una via d’uscita vincente e
concretamente realizzabile. Per il Cile si trattò soprattutto di un vasto sentimento di rabbia e
indignazione che interessava trasversalmente le varie frange politiche e che assunse un
significato all’interno dell’agone politico italiano, ma soprattutto fu un sentimento diffuso in
tutta la penisola per cui Reggio non assunse quel ruolo di coordinamento che invece poteva
avere per il caso africano. Certo le condizioni politiche reggiane descritte fecero sì che la
solidarietà verso il Cile fosse particolarmente intensa e ripetuta nel tempo lasciando un segno
tangibile nella storia della città. Ed è questo anche uno dei motivi che ci ha spinto a cercare di
raccontare di queste vicende che paiono lontane dagli interessi che oggi riguardano la vita
5 Ad esempio la crisi della “politicizzazione della vita sociale” può essere dovuta ad un modo nuovo di intendere i rapporti con i partiti, più disincantato e meno ideologico, che ha come conseguenza una maggiore mobilità elettorale (BONACINI MORIS, op. cit.)
89
della città. Ma basta passeggiare lungo corso Garibaldi per imbattersi, proprio di fronte al
Tempio della Ghiara, nel palazzo Allende, sede della Provincia di Reggio Emilia, e capire che in
un certo momento della Storia il Sud America, il Cile, Allende stesso, sono stati molto vicini a
noi, alla nostra quotidianità e pertanto era a nostro avviso necessario recuperare la memoria
di quei giorni.
Una città infatti, mentre si proietta verso il futuro, non può e non deve dimenticare le lotte,
l’impegno civile e politico che ne ha formato la struttura profonda, per sapere poi farsi
portatrice consapevole e legittima di quei valori necessari per sostenere le nuove sfide che la
attendono.
90
Il complesso degli Inti Illimani al concerto della manifestazione del 19/09/1973 (La Provincia)
Scritte contro Pinochet apparse in Circonvallazione a Reggio (La Gazzetta di
Reggio)
IMMAGINI
91
Così il settimanale cattolico reggiano “La Libertà” definiva i nuovi governanti del Cile
Un momento della grande manifestazione cittadina del 19 settembre (L’Unità, 20/09/1973)
92
Alcuni momenti della manifestazione del 19/09/1973, nella foto la sezione del PCI e della
FGCI di Casalgrande (La Provincia)
Il Palazzetto gremito per la manifestazione del 19/09/1973 (La Provincia)
Locandina della manifestazione promossa dalla Federazione sindacale (Archivio Centro
Unitario di solidarietà)
93
Incontro tra intellettuali e artisti italiani e cileni l’11 giugno 1974 al teatro
Ariosto (La Provincia)
Da sinistra: il sindaco Renzo Bonazzi e Lelio Basso dal palco della manifestazione del 19/09/1973 al Palazzetto dello sport (La Provincia)
94
Esempio di cartolina venduta in città dalla Federazione sindacale per raccogliere fondi a favore del Cile
(Archivio Camera del Lavoro)
Nota spese per la cerimonia di intitolazione del Palazzo della Provincia il 19/9/1973 (Archivio Centro
Unitario di solidarietà)
Elenco degli esuli cileni residenti a Reggio Emilia il 12/06/1974 (Archivio Centro Unitario di Solidarietà)
95
Stretta di mano tra Salvador Allende (sinistra) e Corrado Corghi al Palazzo della Moneda di Santiago in occasione della Operaciòn Verdad
(La Nacion, Santiago 22/4/1971)
Targa commemorativa apposta sul Palazzo della Provincia (La Provincia)
Da sinistra: il vice indaco Ivan Medici e Jorge Montes, membro dell’ufficio politico cileno in visita a Reggio Emilia (L‘Avanti)
96
Il Cile democratico in piazza per il “no” in vista del Referendum dell’88 (L’Avanti)
Inti Illimani alla manifestazione di Reggio Emilia per il terzo anniversario del golpe (L’Unità, 13/09/1976)
Al Palazzetto dello Sport per il Cile (La Provincia)
97
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ARCHIVIO PROVINCIA REGGIO EMILIA, Fondo Centro di Solidarietà per il Cile
ARCHIVIO DI PROTOCOLLO GENERALE DEL COMUNE DI REGGIO EMILIA
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Ringraziamenti
È d’obbligo ringraziare colui che ha suggerito l’idea iniziale di questa tesi, quindi la mia riconoscenza va
a Mirco Carrattieri per le preziose indicazioni fornite; un grazie anche alla professoressa Marica
Tolomelli per la pazienza con cui ha seguito l’evolversi del mio lavoro e al professor Mirco Dondi per
l’interesse mostrato. Un grazie a tutte le persone a cui ho sottratto tempo prezioso, in particolare
Antonio Casoli, Corrado Corghi, Pierluigi Bertolotti, Mauro Del Bue e Leonardo Barcelò. Inoltre un
ringraziamento a tutti coloro che mi hanno aiutato concretamente nel lavoro di ricerca presso gli
archivi che ho consultato: Alberto Ferraboschi, Luciano Berselli, Laura Serafini e il personale di
Istoreco.
Non posso dimenticare in questo elenco di nomi quello di Irene, che è stata fondamentale con il suo
sostegno, quelli dei miei imprescindibili amici e della mia famiglia (nonne incluse): a tutti grazie di
cuore.
Lorenzo Notari