Il golpe cileno a Reggio Emilia

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1 Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna Anno accademico 2012-2013 FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di Laurea Magistrale in Scienze Storiche Profili di Storia Globale IL GOLPE CILENO A REGGIO EMILIA Tesi di Laurea di: Lorenzo Notari Relatore: prof. Tolomelli Marica Correlatore: prof. Dondi Mirco

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Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna

Anno accademico 2012-2013

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

Corso di Laurea Magistrale in Scienze Storiche Profili di Storia Globale

IL GOLPE CILENO A REGGIO EMILIA

Tesi di Laurea di:

Lorenzo Notari

Relatore:

prof. Tolomelli Marica

Correlatore:

prof. Dondi Mirco

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3

INDICE

Introduzione

p. 4

I L’antimperialismo nel contesto reggiano

- Le componenti politiche reggiane dal dopoguerra agli anni ‘60

p. 7

- Antimperialismo e dissenso cattolico

p. 21

- Uno sguardo globale: lotte e nuove necessità in America Latina

p. 25

II Golpe cileno e Italia

- La svolta di Allende

p. 34

- il golpe visto dall’Italia

p. 47

III La solidarietà reggiana fino a dove si spinge?

- Golpe: reazioni istituzionali

p. 56

- Nasce il Comitato di solidarietà

p. 68

- Gli esuli e la Camera del Lavoro

p. 80

IV Conclusioni

p. 84

Immagini

p. 89

Bibliografia

p. 96

4

INTRODUZIONE

Gli anni ‘50 e ‘60 del XX secolo rappresentano senza ombra di dubbio una fase di grandi

trasformazioni e cambiamenti sotto il profilo politico, sociale, economico, dei diritti. Senza

dover elencarli tutti, può essere sufficiente richiamante l’attenzione sull’inedita crescita

economica dei paesi occidentali, dovuta a innovazioni tecnologiche, alla più efficacie

modalità di produzione in scala (fordismo) e a nuovi consumi, alle politiche di libero

scambio in particolare in Europa, al superamento della fase forse più acuta della Guerra

Fredda con la conferenza di Ginevra del 1955, nella quale si stabilivano le aree di influenza

di Usa e Urss. La stessa Unione Sovietica, pur con le lentezze proprie dell’apparato

comunista, aveva avvertito la necessità di superare il periodo staliniano, stimolata anche

dalla Cina, che con il “grande balzo” di Mao, si proponeva di superare Mosca come faro del

comunismo e delle lotte mondiali per il socialismo. All’inizio degli anni Sessanta emergeva il

movimento dei paesi non allineati che rifiutava la logica dei blocchi e invocava maggior

libertà d’azione sulla scena mondiale. Ma non solo la politica e l’economia davano segnali

di risveglio o per lo meno di cambio di rotta. Perfino nel mondo cattolico, tradizionalmente

conservatore, gli anni ‘60 rappresentano uno spartiacque fondamentale, con la

convocazione del Concilio Vaticano II e una nuova visione di Chiesa proiettata nel mondo,

finalmente adeguata alla modernità con cui doveva confrontarsi.

È dunque un mondo che cambia in fretta, e anche le distanze geografiche, pur riducendosi

ogni giorno, sono rese ancora più brevi da condivisioni ideologiche e da appartenenze

5

politiche comuni. Sotto questo profilo si gettano ponti che collegano gli oceani, sorretti da

affinità ideali e aspirazioni comuni, che servono a spiegare come ad esempio in Italia

prenda sempre più spazio la questione cilena e come essa venga letta ad uso interno, nel

tentativo di dare corpo a strategie politiche di lungo periodo. La strada verso il socialismo

indicata da Allende nel 1970 diventa paradigmatica dei tentativi operati dal Partito

Comunista Italiano e dalla Democrazia Cristiana di dare una propria lettura dei fatti che si

svolgevano a Santiago in quegli anni, proiettando queste nuove suggestioni nell’agone

politico interno. In sostanza l’elezione di Allende, a capo di una coalizione guidata da

comunisti e socialisti, e la forte presenza di un partito di ispirazione cristiana

all’opposizione, rappresentano una sorta di contraltare del contesto politico italiano. La

rovinosa fine dell’esperienza di Unidad Popolar , sotto le bombe dei golpisti, proporrà una

lezione sia al PCI che alla DC, determinando orientamenti e riflessioni su una possibile

convergenza di interessi politici atti ad evitare ricadute reazionarie come quella cilena.

A Reggio Emilia il dibattito interno non fa eccezioni e si articola tra i sostenitori di un nuovo

corso descritto dal “compromesso storico” di Berlinguer e tra coloro che si oppongo al

disegno. Sarà dunque nostro compito analizzarne il contesto per capire quali sensibilità si

manifestarono e in che modo agirono nei giorni drammatici del golpe militare cileno. È

chiaro fin d’ora che due sono in particolare i fili che si dipartono: uno è quello ufficiale del

Partito Socialista che governava la provincia e che chiaramente avvertiva la maggior

vicinanza ideologica con Allende e che non a caso istituì il comitato di solidarietà

all’indomani del golpe per coordinare le iniziative a sostegno della causa cilena. L’altro

percorso era quello del dissenso cattolico che faceva capo a Corrado Corghi e alla sinistra

della DC, che osteggiava la condotta di Fanfani e il suo sostegno a Eduardo Frei, leader della

democrazia cristiana cilena. A partire da queste due strade proveremo a ricostruire il

6

percorso della solidarietà reggiana, cercando di capire il contesto specifico in cui nasce, chi

furono i suoi padri politici, e fin dove essa si spinge. Manifestazioni, comitati, iniziative

pubbliche furono certo auspicate e gestite dai partiti, mai come allora capaci di attirare le

masse e proporre una narrazione che mobilitasse intere città. Ma gli eventi cileni

attecchirono perché la popolazione era già predisposta alla lotta per la solidarietà

internazionale? Ed era adusa e preparata a discutere certe questioni?

Qui cercheremo di analizzare quale impatto ha avuto la vicenda cilena a Reggio Emilia,

nelle numerose forme, artistiche culturali e politiche, in cui la reazione agli eventi

sudamericani si è espressa.

7

I

L’ANTIPERIALISMO NEL CONTESTO REGGIANO

Le componenti politiche reggiane dal Dopoguerra agli anni ‘60

“A conoscenza di prime, allarmanti, notizie provenienti dal Cile che affermano essere in atto in

quel Paese un tentativo di colpo di stato militare contro il governo costituzionale e

democratico di Allende, il Consiglio Provinciale esprime la propria solidarietà al legittimo

governo di unità popolare, all’insieme delle forze politiche cilene antifasciste, ai sindacati

operai e contadini, fa appello ai cittadini reggiani a manifestare al popolo del Cile piena

solidarietà, invita il governo italiano a rendersi interprete attivo di tali orientamenti in tutte le

sedi possibili e competenti, ravvisa la soluzione della grave crisi cilena nell’affermazione di un

accordo politico fra tutte le forze popolari antifasciste di matrice socialista e di matrice

cattolica, rifiutando la modificazione dei rapporti politici attraverso pronunciamenti militari”1.

Questo ordine del giorno, votato e approvato dal Consiglio provinciale, presieduto dal

socialista Vittorio Parenti, l’11 settembre 1973, rappresenta il primo atto pubblico della

vicenda che vedrà legati Reggio Emilia e il Cile, con fasi alterne, per tutti gli anni Settanta.

Reggio Emilia, nella figura istituzionale della provincia, si pone dunque in prima linea

nell’esprimere solidarietà al popolo cileno, pur nella precarietà e imprecisione delle notizie

che giungono da oltreoceano. La risposta che il Consiglio invia al popolo cileno giunge

immediata e non sarà l’unica; le iniziative politiche infatti non si interrompono qui: il 17

1 ARCHIVIO PROVINCIA, Fondo Centro di Solidarietà, verbali seduta Consiglio Provinciale 11 settembre 1973.

8

settembre, a una settimana esatta dal golpe di Pinochet, si mette ai voti un ordine del giorno

che ha come oggetto “Proposta della Giunta di intitolare il palazzo della provincia a Salvador

Allende”.

Il Cile entra al centro del dibattito politico, con i rappresentanti dei vari gruppi politici

impegnati nella discussione nel merito della proposta del presidente Vittorio Parenti. Alla base

della motivazione risiedeva, perlomeno nella retorica del discorso pubblico, la volontà di

trasferire nella sede della provincia il “forte e supremo”2 senso del dovere manifestato dal

presidente cileno nella sua ultima ora, sicché animasse anche coloro che avrebbero

amministrato la cosa pubblica in quelle mura. Ma evidentemente la sola motivazione ideale

non basta a giustificare un atto che sorprende per la tempestività con cui viene presentato, e

che ci fa ipotizzare: quell’atto evocasse una valenza simbolica che andava oltre la contingenza

e l’emozione del momento. A questo punto le domande che si affacciano alla mente dello

studioso sono molteplici: cosa rappresentava Allende per i socialisti reggiani e più in generale

per la sinistra italiana? Qual è il contesto in cui matura questa decisione e quali frutti porta?

Sappiamo e abbiamo già accennato al tentativo di portare la questione, o meglio la “lezione”

cilena, sul tavolo del dibattito politico italiano, e più avanti vedremo meglio come. Ma ora ciò

che più ci preme è tentare di costruire il percorso che porta all’intitolazione del palazzo della

provincia e che ha senza dubbio due strade che corrono affiancate, a volte incrociandosi, che

sono la rappresentazione reggiana del teatro politico nazionale: i movimenti di sinistra e i

cattolici.

Ora quello che faremo qui non è ricostruire la storia emiliana dei partiti politici e dei loro

protagonisti, dato che esula dall’argomento che ci preme trattare e, cosa non secondaria, la

2 ARCHIVIO PROVINCIA, Fondo Centro di Solidarietà, verbali seduta Consiglio Provinciale 11 settembre 1973.

9

mole del lavoro sarebbe quantomeno proibitiva; ci limiteremo quindi a fornire alcune

coordinate per orientare meglio il lettore nella materia e aiutarlo a contestualizzare i fatti del

’73 cercando di coglierne, nella storia, nella formazione dei soggetti politici, le radici più

profonde. Attraverso studi storiografici sulla nascita del cosiddetto “modello emiliano”

proveremo a restituire il clima che ha formato la coscienza della sinistra a Reggio Emilia,

dall’area più moderata a quella rivoluzionaria, e che ha nel bene e nel male ha plasmato le

coscienze migliaia di militanti e semplici cittadini. Il modo in cui i fatti di Santiago del Cile

vengono recepiti sono, a nostro avviso, la ovvia conseguenza di queste premesse unite

certamente ad altri fattori, come la sensibilità personale di coloro che erano chiamati ad un

impegno pubblico e che si prodigarono in questa direzione, spesso ben al di là dei compiti

assegnati dal loro mandato. È dunque necessario approfondire anche lo sviluppo e la nascita

di un pensiero “alternativo” anche fuori dalla dimensione locale, in particolare vedremo come

in Sud America si sviluppi e preda corpo una visione spirituale che si lega profondamente con

le istanze di cambiamento che in Italia cominciavano a manifestarsi nel mondo cattolico, in

particolar modo dopo il Concilio. Questo insieme di elementi ci permetterà, crediamo, di

cogliere i vari aspetti di una stagione di grande respiro, presto richiusa nei solchi di un

generale riflusso culturale, ideale, politico che ha caratterizzato i decenni successivi.

La Resistenza ha rappresentato una tappa fondamentale del cammino di creazione

dell’identità emiliana e ne ha in qualche modo determinato anche i rapporti di forza. La lotta

partigiana che ha infiammato le campagne e le montagne, più violenta che altrove, ha

restituito un partito comunista più forte e soprattutto più adeguato dei socialisti a farsi carico

delle aspirazioni degli ex combattenti e delle masse. Dopo il 25 Aprile nella Provincia reggiana

il Partito Comunista ha 37 348 aderenti; nel 1953 saliranno a 63 350, mentre 15 955

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aderiranno alla FGCI3. Gli altri elettori si divideranno tra PSDI, PLI, MSI, e soprattutto DC; la

fase caotica successiva alla liberazione, con diversi omicidi politici, viene gestita dai dirigenti

locali grazie anche al deciso intervento di Togliatti: ormai è chiaro che la lotta politica va

incanalata nel solco democratico e non nella guerriglia. In Emilia il PCI sceglie di operare in

continuità con il modello socialista emiliano. Nella patria del socialista Camillo Prampolini, i

comunisti riprendono in mano il modello cooperativo e democratico che non era stato

distrutto dal fascismo, ma che covava sotto le macerie; non è un caso infatti che proprio a

Reggio Emilia si generi questo processo storico di sviluppo ed estensione sociale del partito

comunista: le sue basi furono proprio la Resistenza e il socialismo riformista prampoliniano,

ed essendo entrambi a carattere di massa e con capacità egemonica come pochi in Italia

funsero da punti di partenza per quello che si può definire il “caso reggiano”. E sempre in

Emilia, Togliatti getta le basi per una nuova strategia politica, che prende avvio dalla

composizione sociale peculiare emiliana; nell’immediato dopoguerra, era un territorio poco

industriale, con una forte presenza bracciantile (che la accomunava per certi versi al

meridione), e popolazioni contadine spesso proprietarie. Prima della guerra non si erano

infatti verificate le condizioni per uno sviluppo industriale importante: la conduzione

mezzadrile spinge i proprietari a non investire capitali ma a sfruttare la forza lavoro, e la

limitata estensione dei poderi rende pressoché impossibile l’acquisto di macchinari che erano

convenienti se utilizzati su ampia scala. I movimenti sociali intervengono sulla classe

padronale obbligandola ad investire, mentre le forme cooperative assicurano la ripartizione

dei costi permettendo ai soci l’utilizzo temporaneo delle macchine. Si avverte la necessità,

all’interno del partito comunista, di costruire una nuova base sociale, non più fondata sulla

3 MIETTO MARCO, I partiti negli anni della Ricostruzione, in AA.VV., Storia Illustrata di Reggio Emilia, a cura di

Maurizio Festanti e Giuseppe Gherpelli, Aiep Editore, 1987.

11

lotta in fabbrica, ma che fosse una rappresentanza di contadini e braccianti, a cui offrire una

prospettiva e un ideale. A Reggio coloro che erano iscritti al PCI, rappresentavano il 26,8% (gli

operai erano il 25,5%)4. È dunque chiaro come Togliatti proprio da Reggio Emilia, il 24

settembre del 1946, proponesse un “nuovo corso”5, un laboratorio di alleanze sociali, che

puntasse alla ricostruzione nazionale tenendo conto dell’interesse generale del paese, certo di

stampo socialista, ma tale da non sopprimere, ma anzi sviluppare l’iniziativa privata e

imprenditoriale. La regione si pone come avamposto e laboratorio sociale, in cui il partito è

percepito come un “tutto”, che punta a “fare” la società e a includere all’interno di essa tutte

le sue componenti. Il rinnovamento proposto sollecita una riformulazione dell’asse del partito:

“la centralità dei ceti medi in funzione antimonopolistica, prospettiva di una nuova

maggioranza, ruolo dinamico assegnato al governo locale, mutamenti organizzativi del partito

e rinnovamento dei suoi gruppi dirigenti, vengono connessi in un quadro sistematico, dandosi

come momenti costitutivi di una intelaiatura strategica di lungo periodo”6. Sono gli anni in cui

la linea più intransigente e in conflitto con Togliatti, incarnata dalla figura di Secchia, viene

messa da parte, ma questo ricambio dei quadri dirigenti a Reggio avviene solo a partire dal

1959, proprio per il forte radicamento del partito nel territorio. La svolta comunque avviene,

certe ideologie forti vengono abbandonate (erano gli anni dei fatti in Ungheria, della morte di

Stalin, del XX Congresso del PCUS) e la società emiliana si organizza e si esprime al meglio, pur

con tendenze a chiusure dogmatiche e di burocratizzazione, in cui il dibattito politico sembra

chiudersi, vuoi anche per l’accerchiamento delle opposte fazioni e l’appiattimento sulle

posizioni raggiunte. La conferenza di organizzazione del 1959 ha proprio questo intento:

l’apertura ai modernizzatori e riformisti, che saldano il modello emiliano alla sfida da portare

4 MIETTO MARCO, op. cit.

5 TOGLIATTI PALMIRO, Politica Nazionale e Emilia rossa, Editori Riuniti, 1974, p.30. 6 D’ATTORE PIER PAOLO, a cura di, I comunisti in Emilia Romagna, Istituto Gramsci, 1981, p.19.

12

in campo nazionale; si possono coniugare buon governo e trasformazioni sociali con la

programmazione e con l’amministrazione locale. Gli anni Sessanta, grazie allo stimolo del

miracolo economico e dei governi di centro-sinistra sono il momento i cui gli enti locali

rappresentano il “cuore pulsante della politica comunista”. Per usare le parole di Carlo Galli,

“il Pci offre un modello amministrativo politico e sociale ad un capitalismo che nasce e che in

parte fa nascere”7. Si intraprende la strada dello sviluppo dei servizi sociali, con il

coinvolgimento della popolazione (istituzioni scolastiche per l’infanzia, consorzi sanitari,

trasporti). Gli anni Settanta rappresentano invece una cesura e un momento di crisi per il Pci e

il modello che negli anni si era costituito in Emilia. Rispetto alla instabile situazione nazionale,

qui il partito mantiene stabile la sua base elettorale, grazie soprattutto ai risultati ottenuti

dalle amministrazioni locali. Il partito, in una fase di contestazione che arriva dai movimenti

operai e studenteschi, si interroga sulle strategie per uscire dalla crisi e per fondare una nuova

alleanza tra classe operaia (fortemente aumentata rispetto agli anni ’50 e ‘60) e ceto medio. Il

’68 aveva inoltre posto in primo piano i temi dell’internazionalismo aprendo uno squarcio sul

mondo, creando una nuova frontiera per lo scontro politico. Già alla seconda conferenza

regionale del Pci tenutasi a Bologna nel gennaio 1968 Cesare Gavina illustra lo scenario

mondiale che si dipana, e le prospettive “pesanti e gravide” che investono il futuro prossimo.

Uno dei nodi riscontrati a livello nazionale, il cui scioglimento secondo i leader del PCI darebbe

un notevole impulso al rinnovamento, è il malgoverno della DC e del centro-sinistra; l’accusa

ai governi è duplice: da una parte quella di un sostanziale appiattimento sulle posizioni della

NATO, che costringe l’Italia ad alleanze quanto mai discutibili in nome degli obblighi militari

derivanti dal Patto Atlantico, come avvenuto durante le crisi nel Mediterraneo, in particolare

nella Grecia dei colonnelli dall’altra, secondo Gavina, si era assistito sul piano nazionale al

7 CAPITANI LORENZO, a cura di, Emilia Rossa, Vittoria Maselli Editore, 2012, p.19.

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tentativo della DC di penetrare in Emilia cercando di rompere il fronte delle sinistre, operando

per un isolamento dei comunisti8. Viene di fatto giudicata fallimentare l’esperienza dei governi

di centro-sinistra, che hanno visto per la prima volta in Italia un partito di ispirazione socialista

al governo, ma le cui divisioni interne hanno reso difficile portare a termine le riforme

richieste. È anche il periodo degli attentati stragisti, inaugurato dalla bomba di Piazza Fontana,

che scuotono il sistema politico italiano e che portano la Dc a optare per un ritorno al

centrismo. Il partito comunista, con l’approssimarsi delle elezioni regionali del 1970, analizza

la situazione dell’Emilia, stilando un quadro di forte cambiamento rispetto ai decenni

precedenti: la classe operaia è in aumento, anche se frazionata per la maggior parte in

aziende a conduzione famigliare, ma il vero fatto nuovo è ravvisato nell’ “intervento delle

masse studentesche nelle lotte sociali e politiche della Regione”, che raffigurano, secondo

Gavina, “tendenze nuove nello sviluppo della società”9, nella quale è sempre più

preponderante il peso della cultura, della scienza e della tecnica. Si apre una fase in cui il Pci si

propone come partito riformista, alla ricerca di intese per creare una maggioranza per via

democratica, e allo stesso tempo vedrà crescere i movimenti di studenti e operai che,

saltando la fase di mediazione politica proveranno a superare il Pci a sinistra.

Ma Reggio Emilia non era solo PCI. Abbiamo accennato alla duplice linea caratterizzante il

dibattito politico reggiano, quindi non possiamo trascurare il ruolo della DC e dei cattolici, che

ebbe personalità assolutamente rilevanti, che sin dai primi anni del Dopoguerra funsero da

tramite tra la Resistenza, i Comitati di liberazione e la rappresentanza cattolica democratica

cittadina (tra tutti Giuseppe Dossetti, Pasquale Marconi, Mons. Angelo Cocconcelli). La

Democrazia cristiana, pur nella fatica di tener insieme anime diverse, trova obbiettivi comuni

8 D’ATTORE PIER PAOLO, op. cit., p.234.

9 Ibidem.

14

nella ricostruzione, nella libertà. Con l’esclusione operata da De Gasperi delle sinistre al

governo (1947), iniziò il periodo di propaganda anticomunista, che a Reggio ebbe nel vescovo

Beniamino Socche uno dei maggior portavoce. Ma sarebbe sbagliato identificare nella sua

persona partito e chiesa, non fosse altro per la presenza di Giuseppe Dossetti. Egli, già

protagonista della Resistenza cattolica, fu una delle maggiori personalità della Costituente, e

oppositore di De Gasperi. La visione di Dossetti era tesa a recuperare alla DC i valori e gli ideali

della Resistenza, e che esigevano collaborazione tra i partiti. Distruggere l’edificio fascista,

significava per Dossetti “accettare la sfida del marxismo, del quale respingeva la dimensione

atea, la dittatura del proletariato e la dialettica materialistica, ma significò anche rovesciare le

posizioni concettuali e pratiche della società borghese”10. Nella lettera che scrisse ai parroci

italiani il 27 marzo del 1945, presenta la sua idea di movimento democristiano, chiarendo fin

da subito la necessità di separare “il ministero esclusivamente spirituale dei parroci” con

“l’attività organizzativa e politica della DC”; l’obbiettivo deve essere solamente uno, ossia la

“ricostruzione morale, prima ancora che economica e politica della nazione”. È ben chiaro in

Dossetti che la DC che egli immagina non può e non deve essere un movimento reazionario,

ma anzi è convinto che “tra l’ideologia e l’esperienza del liberalismo capitalista e l’esperienza

(…) dei nuovi grandi movimenti anti-capitalisti, la più radicalmente anticristiana non è la

seconda ma la prima11. La sua visione di Stato solidale e democratico si scontrò con la volontà

dei vertici della Democrazia Cristiana di recuperare le strutture prefasciste, nell’ottica di una

contrapposizione radicale al comunismo. Le dimissioni di Dossetti da deputato della

Democrazia Cristiana, dovute all’impossibilità di veder riconosciute le sue prerogative

segnarono una svolta del mondo cattolico reggiano, e secondo Sandro Spreafico “una caduta

10 NESTI ARNALDO, SCARPELLINI ALBA a cura di, Mondo democristiano, mondo cattolico nel secondo Novecento

italiano. A colloquio con Corrado Corghi, Firenze University Press, Firenze 2006, p.52. 11

NESTI ARNALDO, SCARPELLINI ALBA, op. cit., p.42-43.

15

nell’etica della vita politica” in cui si passa da coloro che avevano fatto la Democrazia

Cristiana, a coloro che hanno creduto di gestire, in modo però molto diverso, il partito”12.

(SPREAFICO, P 394). Non si riuscì più a pensare il partito come nella visione dossettiana di

partito militante, di mobilitazione. La vicenda delle OMI Reggiane (su cui ci soffermeremo in

seguito) è emblematica della incapacità della Dc di rivolgersi alla classe operaia con linguaggi e

strumenti adatti. Ma come ha sottolineato Salvatore Fangareggi non fu una testimonianza

infeconda, perché le generazione successive hanno ricevuto in lascito la sua profonda

“identità con i problemi delle classi più emarginate, il rifiuto di accettare una riconoscibilità

dell’impegno cristiano nella conservazione degli interessi dei ceti finanziariamente dominanti

e l’obbiettiva valutazione del fenomeno comunista”13. La presenza di Dossetti volle dire

l’affermarsi a Reggio Emilia di una DC di sinistra e di un dossettismo non teorico ma radicato

sul territorio. Di contro va sottolineata la presenza a capo della chiesa locale di Beniamino

Socche, vicentino, che guidò la diocesi reggiana a partire dal 1945. Il suo compito non fu

affatto facile, in una terra “rossa”, teatro in quel periodo di un gran numero di casi di “vedette

private” e regolamenti di conti. La sua fermezza e condanna nei confronti dei comunisti gli

valsero l’etichetta di vescovo di destra, contribuendo ad esacerbare lo scontro tra cattolici e

marxisti (come vedremo nel caso delle Reggiane). Mentre quindi la chiesa si assestava su

posizioni intransigenti, il mondo cattolico si dibatteva tra esse, e le proposte si rinnovamento

politico e sociale prospettate da Dossetti e dal suo gruppo (Giuseppe Lazzati, Amintore

Fanfani). A seguito dell’uscita di Dossetti dal partito, la DC nonostante l’opposizione interna

delle componenti di sinistra, si piega su posizioni di centro-destra È un periodo di forte

ristagno per il corso del partito, che a Reggio ha scarsi spazi di manovra per la preponderante

12 SPREAFICO SANDRO, I cattolici reggiani: dallo Stato totalitario alla democrazia, la Resistenza come problema,

Tecnograf, Reggio Emilia 1986, p. 394. 13 FANGAREGGI SALVATORE, Il partigiano Dossetti, Vallecchi, Firenze 1978, p.109.

16

forza del PCI, e lo stesso avviene nella società causa potere della Chiesa14. È ancora vivo il

sogno della creazione della “civiltà cattolica” e destra e sinistra si confrontano alla pari, ma

restano scarsamente omogenee; periodo in cui nascono e si sperimentano nuovi gruppi di

dissenso dalle tematiche politiche, avvertite come insufficienti per le generazioni che si

affacciavano sulla scena politica.

Prima di analizzare questa pur breve stagione di dissenso, partecipazione e associazionismo,

occorre evidenziare due momenti cruciali nella vita cittadina, quali fabbricanti di nuove

convinzioni e cambiamenti. Uno come già accennato è il caso delle Officine Meccaniche

Italiane “Reggiane”, l’altro riguarda i fatti di sangue del 7 luglio 1960.

Si è detto di Togliatti e del suo discorso “Ceti medi e Emilia rossa” nel quale la proposta della

politica delle alleanze mirava ad unire intorno a programmi di sviluppo non solo i ceti operai

ma anche contadini, artigiani e commercianti. Nella realtà regionale è presente un sistema

politico omogeneo, controllato dal partito comunista, un sistema di imprese promosse da tale

sistema, un sistema sociale aderente a leghe o associazioni militanti15. A Reggio il modello si

impone sia per le lotte contadine e operaie, sia per la presenza del socialismo riformista, sia

per il decollo dell’industria e del settore agricolo, oltre che per l’equilibrio raggiunto, più che

altrove tra campagna e città. L’agricoltura, a partire dal secondo dopoguerra andò

aumentando il livello di meccanizzazione e specializzazione. Era importante anche l’impresa a

conduzione famigliare, che creerà le condizioni per svilupparsi successivamente in impresa

artigianale. Un ruolo rilevante fu assunto dalle cooperative, attive e presenti dalla seconda

metà dell’Ottocento, ma che dopo il 1945, si riorganizzano, in particolare nel settore agricolo,

nella trasformazione dei prodotti (latterie, macellerie, cantine, consorzi). L’industria invece,

14 MIETTO MARCO, op. cit., p.620

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Officine Reggiane a parte, si sviluppa in modo deciso a partire dagli anni Sessanta. Ma fu

proprio la vicenda delle Reggiane a segnare il passo nei rapporti tra comunisti e cattolici nello

scenario cittadino e a costituire un punto di svolta nella loro storia locale. La più grande

fabbrica cittadina che al tempo della sua massima espansione occupava circa 5000 persone,

era in crisi dal dopoguerra. Il problema delle Reggiane era determinato soprattutto dalle

esigenze della riconversione industriale a un’economia civile in tempi di pace. La produzione

di materiale bellico declina, la situazione nell’industria meccanica e pesante nei primi anni del

dopoguerra proprio a causa di queste ragioni si fa difficile. La mutata situazione politica

italiana del ‘47, con l’esclusione del fronte delle sinistre dal governo, provocò una ulteriore

radicalizzazione dello scontro all’interno della fabbrica. La richiesta di licenziamenti presentata

l’anno successivo alla commissione interna dello stabilimento e al consiglio di gestione

provocò la immediata opposizione degli operai sfociati in scioperi di protesta. Ma ormai la

situazione delle Reggiane era tale che la produzione costava il 30% in più del fatturato16. Alla

proposta di misure alternative al licenziamento individuate dal consiglio di gestione si rispose

con l’impossibilità di attuarle vista la situazione finanziaria. Gli incontri tra i rappresentanti

degli operai e la direzione, oltre alla presenza dei funzionari del ministero non riuscirono a

sbloccare la situazione: era un dialogo tra sordi. Il FIM non sbloccava i fondi se prima non si

licenziava, ma il consiglio di gestione si opponeva e la direzione si trovava di fronte a un muro:

quando provò a spiegare la situazione direttamente ai lavoratori con la distribuzione di

volantini, essi li bruciarono in un falò sotto le finestre della dirigenza. Giorgio La Pira, allora

sottosegretario al ministero del lavoro, riuscì a raggiungere un compromesso, ma era pura

illusione pensare che avrebbe salvato l’azienda. La DC sul piano della elaborazione teorica

15 ZINI CLARA, Cristiani a confronto 1973-1981, tesi di laurea, Università degli studi di Parma, facoltà di Lettere e Filosofia, 1996-97, p. 20-21. 16 SANDRO SPREAFICO, Un’industria, una città – Cinquant’anni alle Officine “Reggiane”, Il Mulino, Bologna 1968.

18

poteva fornire ben poco a supporto del problema. Solo alcuni intellettuali d’area bolognese

avevano intuito lo sviluppo della regione articolato sulla piccola-media impresa e sul

decentramento, e questa linea sarà appoggiata dal partito solamente alla fine degli anni

Cinquanta, quando il boom economico è alle porte17. (MIETTO P.617). All’interno della

fabbrica invece la situazione era insostenibile, e la mancanza di un strumento di lavorazione

diventava il pretesto per vibrate proteste; gli operai entravano nei reparti non autorizzati

senza rispettare i turni, si svolgevano comizi in pieno orario di lavoro, si suonava

abusivamente la sirena per interrompere la produzione, i muri erano imbrattati da scritte. Il

dissidio andò ingigantendosi anche perché l’ala sindacale più radicale, la FIOM aumentava i

propri sostenitori, terrorizzati dai possibili licenziamenti.

Per quattro settimane si susseguirono agitazioni e scioperi a singhiozzo, e nel mese di maggio

furono 30mila le ore perse18. Nell’estate del ’50 gli avvenimenti si fecero più serrati. Ormai la

FIOM era in netto dissenso con la linea moderata degli altri sindacati, e il consiglio di gestione

continuava a indicare nuovi indirizzi di gestione per trovare una via di salvezza. A rendere

ancora più surreale il clima arrivò la richiesta della dirigenza di 2000 licenziamenti in risposta

agli scioperi generali e locali. Seguirono ovviamente manifestazioni di protesta, comizi e atti di

solidarietà verso gli operai. Il 5-6 ottobre la fabbrica venne chiusa e la dirigenza si rifugiò in

città. Si era giunti alla serrata. Si aprì un breve periodo di lotta che culminò il 2 ottobre 1950

con l’occupazione della fabbrica. Tra l’ottobre del ’50 e la primavera del ’51 si assistette alla

più lunga occupazione di uno stabilimento nella storia italiana. La liquidazione coatta

amministrativa è l’epilogo di una vicenda che aveva visto una contrapposizione

profondamente ideologica tra PCI e DC che dall’una e dall’altra parte aveva impedito soluzioni

di compromesso che forse avrebbero potuto dare un finale diverso. La lotta era stata

17

MIETTO MARCO, op. cit. p.617.

19

principalmente politica I comunisti criticavano la DC, considerando la sua politica come una

prosecuzione della politica della Chiesa locale, allora guidata da Beniamino Socche, che non

faceva mistero delle sue posizioni fortemente anticomuniste. Il PCI tentò di alzare il livello

dello scontro, cercando consensi e alleanze anche fuori dal mondo operaio, mettendo i campo

tutto lo sforzo di mobilitazione di cui era capace e si dimostrò in grado di “cogliere e veicolare

bisogni elementari, ma non per questo vaghi”19. E se l’Unità contribuì a rendere il caso delle

Reggiane una questiona nazionale, la DC si chiuse nella condanna dei metodi di lotta

comunista ma non tentò mai di rivendicare per sè le rimostranze del mondo operaio,

lasciando sostanzialmente campo libero agli avversarsi di sempre. Anche la stampa locale si

limitò a riferire ciò che avveniva, senza tuttavia tentare un’analisi di ciò che accadeva. Quello

delle Reggiane è stato un momento importante nella vita politica della città: la sconfitta

sindacale fu in realtà una vittoria politica per il PCI, che consolidò il proprio radicamento

sociale, ma ne modificò anche la composizione: la dispersione operaia a seguito dello

smantellamento portò una riduzione del peso operaio all’interno del partito (da un terzo a un

quarto) e contribuì ai ripensamenti di linea successivi20. Ripensamenti che furono accelerati

anche da Valdo Magnani, segretario provinciale, leader indiscusso, che durante il VII

congresso di partito, mise in dubbio alcuni cardini del pensiero comunista. Bollato come

traditore, fatto oggetto di una massiccia campagna propagandistica, ed allontanato dal

partito, anticipò di trent’anni questioni che il PCI non poté più rimandare.

Altro evento avvertito come un momento di passaggio, e di nuove consapevolezze fu quello

che ebbe luogo il 7 luglio 1960. A causa della formazione, dopo mille vicissitudini, del governo

Tambroni, con i voti decisivi del MSI, e la richiesta, accolta, di quest’ultimo ad indire il proprio

18

SANDRO SPREAFICO, op. cit. 19

MIETTO MARCO, op. cit. p.618. 20 Ibidem.

20

congresso nazionale a Genova, città antifascista, provocarono la reazione delle piazze in

diverse città d’Italia, con morti e feriti. A Reggio Emilia si ebbe il bilancio più grave, con cinque

morti e ventidue feriti. La crisi non avveniva in un momento casuale, ma all’interno delle

trasformazioni in atto nella società italiana: le prospettive del miracolo economico, la crisi dei

governi di centro e la formazione dell’idea di un possibile governo di centro-sinistra, l’inizio di

una frattura generazionale, che la piazza renderà evidente. La DC nazionale esprimerà

solidarietà al governo, mentre Corrado Corghi, segretario democristiano per l’Emilia Romagna

e membro della direzione nazionale, si porrà in aperto contrasto con il ministro dell’Interno e

con l’operato della polizia. Come nel caso delle Reggiane, la CGIL fu la animatrice della piazza,

mentre le sigle sindacali cattoliche non aderirono allo sciopero perché considerato politico. I

giovani reggiani della FUCI emisero un comunicato per denunciare il sabotaggio del partito

contro l’apertura a sinistra. In piazza accanto agli adulti, protagonisti della lotta alle Reggiane,

ora c’erano dei giovani, che manifestavano per la prima volta. Si annunciava una fase nuova,

una rottura con il passato, una stagione che avrebbe portato i suoi protagonisti alle lotte del

’68.

La terza e ultima componente politica della scena reggiana, rilevante per la nostra ricerca è il

partito socialista. Il PSI reggiano non era certo in una posizione facile. I gruppi dirigenti erano

anziani, mentre i giovani erano attratti dal fascino della Resistenza e dalla propaganda

comunista. Anche il PSI come il PCI era attraversato dal dilemma tra spinte rinnovatrici e

resistenze, ma a differenza dei comunisti ai socialisti mancavano le masse. Inoltre, rispetto al

dato nazionale, per cui nell’allora PSIUP le tendenze fusioniste erano maggioritarie rispetto a

quelle autonomistiche, al congresso provinciale prevalse la linea anti-fusionista per il 90%.

Durante la Resistenza la partecipazione numerosa dei socialisti non aveva avuto i caratteri di

una organizzazione di massa come era accaduto per il PCI, e la difesa della gloriosa tradizione

21

socialista portava una certa dose di diffidenza nei confronti dei comunisti. Nel 1953 il PSI

aveva 11 850 elettori mentre la componente socialdemocratica (PSDI) solamente 1 200.

Questo comportò la sostanziale ininfluenza della linea socialdemocratica, e l’aumento della

maggioranza della corrente di “sinistra” all’interno del PSI, che lo guiderà per tutti gli anni

Cinquanta.

Antimperialismo e dissenso cattolico

Per dirla con le parole di Corrado Corghi, scritte nel 1975, con antimperialismo si intende “la

fine dei rapporti di sfruttamento tra metropoli e colonie, tra paesi ricchi e paesi poveri,

significa l’aiuto a paesi in via di sviluppo senza pretese di ingerenza (…) per i paesi europei

significa rinunciare a voler costruire un antagonismo agli USA su una maggior crescita delle

proprie forze neo-capitalistiche”21. È una analisi della realtà economica , sociale e politica che

vede nell’oppressione del capitale la minaccia alla libertà e alla dignità umana. Due anni prima

di questo intervento di Corghi, nel 1973, al Convegno della ACLI lombarde il tema centrale è I

cristiani e l’internazionalismo: la lotta nel Terzo Mondo, si legge nella relazione introduttiva,

diventata attuale dopo il Vietnam e il Cile, interroga il cristiano e in modo in cui la sua fede è

posta nel mondo. Si chiede al credente di porsi in modo nuovo di fronte ai problemi della

povertà e del sottosviluppo, seguendo sostanzialmente le linee teologiche indicate dai vescovi

sudamericani a Medellin. Ancora prima, in un dibattito del 1966 sull’analisi delle prospettive

dei cattolici impegnati in politica emergeva forte dalle parole di Corghi la consapevolezza della

necessità di uno sguardo ampio: “senza Africa, senza l’America Latina, senza l’Asia non si farà

21 CORGHI CORRADO, Solidarietà antimperialista e diritti dell’uomo, in Vita Sociale n°164, Gennaio-Febbraio 1975, p.75.

22

il mondo di domani”22 (CORGHI L’AZIONE E LE PROSPETTIVE P.22). Da questa considerazione

sorge una nuova consapevolezza per il cattolico, e cioè la necessità della conoscenza, politica

e religiosa, che metta in discussione anche la politica estera italiana e avvii “rapporti profondi

e duraturi di cooperazione e integrazione culturale”23.

Ma anche il mondo comunista è scosso da profondi contrasti e contraddizioni. Dopo le

divisioni sull’intervento in Cecoslovacchia il PCUS, nel tentativo di ricucire gli strappi e

ripristinare il vecchio ordine gerarchico indisse la Conferenza mondiale di Mosca nel giugno

del 1969. In quella occasione maturò la linea italiana, portata avanti da Longo e Berlinguer, di

rifiutare il partito-guida, rivendicando l’indipendenza, il ruolo “nazionale” del PCI, e la sua

vocazione per un socialismo all’interno della cornice democratica. Inoltre il PCI non approva i

capitoli del documento conclusivo in cui si parla di antimperialismo, denunciando i “vuoti” e le

analisi approssimative e per la mancanza “di un esplicito rifiuto del modello unico del

socialismo”24. Fin dal ’56, pur senza sciogliere il “legame forte” che lo univa al modello

sovietico, il PCI nella figura di Togliatti ammetteva l’esistenza di vie nazionali al socialismo. Ora

si apriva una fase nuova, una “nuova proiezione del partito”, sempre più favorevole (con

Berlinguer in particolare) ad una Europa comunitaria che fosse portatrice di valori nuovi, di

una “idea diversa del benessere individuale e della crescita umana”. La nuova sensibilità del

partito, portata avanti non in modo omogeneo e ben definito, in particolare nei primi anni ’60,

si concentrò sull’intensificazione dei rapporti diplomatici e di solidarietà, più che aiuti tecnici e

finanziari, in particolare in Africa, ma anche Sud America e Asia. Le problematiche del

sottosviluppo che si aprirono agli occhi dei dirigenti del PCI li resero consapevoli che nuovi

22 CORRADO CORGHI, L’azione e le prospettive dei cattolici impegnati a rinnovare lo stato e la vita politica, I quaderni

di Corea, n°6, Livorno 1966, p.22. 23 Ibidem. 24 GUERRA ADRIANO, La solitudine di Berlinguer. Governo, etica e politica, da “no” a Mosca alla “questione morale”,

Ediesse, Roma 2009, p.79.

23

attori si affacciavano sulla scena mondiale, non più riconducibili alle categorie bipolari. Lo

squilibrio Nord-Sud, la fame e la povertà meritavano riflessioni di più larghe vedute.

Il fermento che attraversa gli anni ’60, periodo di grandi cambiamenti economici e sociali, si

può osservare nella grande vivacità e nel numero di espressioni culturali che si realizza a

Reggio Emilia. Fu significativo in questo caso, il lavoro di Corghi, il quale, dopo la sua

clamorosa uscita dalla DC nel ‘68, aderì a gruppi non istituzionalizzati e circoli, che nascevano

nel territorio durante la stagione post-conciliare. È forte in lui la critica al modello capitalistico

occidentale, che trova conferma nei numerosi viaggi intrapresi proprio a partire da quegli anni

in vari paesi del cossi detto Terzo Mondo, e in particolare in America Latina, ma soprattutto è

una voce ascoltata nel panorama dei gruppi di base e dei cattolici di sinistra reggiani25. È

avvertita chiaramente dai giovani la necessità di un salto qualitativo nelle iniziative politiche e

culturali, che tenga conto dei fermenti maturati dal Concilio, abbandonando l’etichetta di

“cristiani” in politica, e che riconosca il bisogno di un adeguamento alle realtà profondamente

trasformate. Il Movimento Giovanile della DC ravvisa nei giovani della FGCI l’interlocutore

privilegiato per una cooperazione sul territorio legati soprattutto a temi di politica estera,

dove l’antimperialismo di fondo comune ai due gruppi favorisce i dialogo e l’azione comune

(già manifestatasi nella protesta contro l’arrivo di Henry Kissinger in Italia), per recuperare “la

tradizione del pensiero cattolico ed antifascista”26. Se si analizzano i contenuti dei convegni

che il MG reggiano organizza in quegli anni anche con realtà limitrofe (è il caso del convegno

tenuto sul lago di Garda assieme i Movimenti Giovanili di Brescia, Ferrara e Mantova) si può

comprendere meglio quale fosse il tipo di analisi intrapresa dai gruppi e di conseguenza la loro

25

Intervista a Pierluigi Bertolotti, che durante gli anni ’60-’70 fu esponente di spicco del Movimento Giovanile della DC a Reggio Emilia.

26 Atti del XVI Congresso provinciale Movimento giovanile DC, Polo Archivistico Reggio Emilia

24

azione sul territorio, e nello specifico la grande mobilitazione pro Cile27. Il messaggio del

Sinodo dei vescovi del 1971, che va nel solco tracciato dalla Populorum progressio, afferma

che “chiunque osi parlare agli uomini di giustizia deve apparire innanzitutto giusto ai loro

occhi” e viene letto da Corghi come un invito a radicarsi nella lotta di liberazione della classe

operaia per affermare i diritti umani. La Chiesa, o meglio una sua parte, appare dunque su

posizioni più avanzate rispetto a quello che della Chiesa è sempre stato, fin dalla sua creazione

il partito di riferimento, la DC. Quest’ultima si trova impantanata in un centrismo

conservatore, senza che l’orizzonte di nuove aperture apparisse vicino. Il mondo cattolico

animato dal Concilio si trova così nella condizione di imbastire un dialogo con posizioni non

propriamente “ortodosse”, interpretando una crescente esigenza. L’esperienza dei gruppi

spontanei si esaurisce presto, causa le prospettive confuse e utopiche, mentre nascono e si

sviluppano numerose iniziative, gruppi e associazioni, riviste (solo a Reggio quelle che

esprimono posizioni cattoliche avanzate vendono 3 500 copie28) e circoli come Il Risveglio a

Reggio Emilia e Leonardo a Correggio. Questi fenomeni intellettuali, è bene ricordarlo, sono

sempre in collegamento con la gerarchia ecclesiastica locale, che però nel frattempo è guidata

da mons. Gilberto Baroni il cui scopo, fin da suo insediamento è di portare nella diocesi

reggiana i frutti del concilio. Per cui il suo episcopato sarà caratterizzato da numerose

iniziative in anticipo sui tempi. Negli ambienti della sinistra avviene nello stesso periodo un

dialogo “costante e produttivo”29 tra le componenti giovanili, in particolare il Circolo

universitario comunista e il circolo Antonio Gramsci, che denota la volontà della FGCI di

ricercare il dialogo con altre componenti giovanili. In particolare è il Vietnam a fornire la un

argomento di dissenso dalla linea ufficiale e a fornire occasioni di incontri unitari tra marxisti e

27 Ibidem. 28

PELLACANI, op. cit., p.85 29 PELLACANI CARLO, Il sogno dell’alternativa, vicende e protagonisti del dissenso ecclesiale e politico. Dal Sessantotto al movimento No-global, Consulta, Reggio Emilia 2002, p. 86

25

cattolici (significativo fu il ruolo di Mario Primicerio nell’opera di divulgazione della realtà

vietnamita e dei retroscena del tentativo di pace). Foglio di informazione alternativa, pur con

il beneplacito del PCI, sarà Reggio 15, mentre la pagina locale de L’Unità rimarrà quella

ancora a più larga diffusione. In ambito cattolico da sottolineare la presenza di Alternative,

rivista che promuove la “ricerca di itinerari diversi sulle strade di una nuova coscienza

ecclesiale e religiosa, di un nuovo impegno culturale e politico”, e Cristiani a Confronto, rivista

che nasce dall’esperienza della comunità di base di Castenuovo di Sotto, il cui intento era

quello di cercare un confronto tra le diverse anime del mondo cattolico, con atteggiamento

critico che non facesse a meno di esperienza nella Chiesa e di impegno civile30; significativa

per quest’ultima realtà fu il primo convegno nazionale che si tenne a Bologna dal 21 al 23

settembre 1973 dei Cristiani per il socialismo, ispirato dall’incontro di Santiago del Cile di due

anni prima.

Alla luce di queste premesse si comprende la grande stagione della solidarietà reggiana, le cui

radici vanno ricercate senza dubbio nella rinnovata linea politica del PCI, nel fermento

maturato nel mondo cattolico, oltre che nella sensibilità degli amministratori locali. Il partito

dunque si proponeva come primo attore in grado di compiere una decisiva riflessione sulle

problematiche della decolonizzazione e sulle nuove forme di socialismo.

Uno sguardo globale: lotte e nuove necessità in America Latina

Se dunque questo era il quadro reggiano, in cui insistevano elementi propri accanto a

tendenze omologhe a quelle nazionali, non possiamo non ampliare il nostro sguardo e provare

30 ZINI CARLA, op.cit., p.65-66

26

a definire meglio le tendenze e gli orientamenti internazionali a cui per forza di cose

dobbiamo guardare per renderci conto del clima in cui queste vicende si inseriscono e quali

conseguenze hanno prodotto a livello locale. È impossibile capire lo svolgersi degli

avvenimenti se non definiamo meglio qual era l’humus in cui nuove ideologie, dottrine e

correnti avevano trovato il luogo fertile e il giusto habitat per attecchire e svilupparsi.

Contrariamente all’uso comune che suole partire da ottiche generali per poi scendere ad

analizzare il quadro locale, la nostra scelta vuole indicare soprattutto l’ambito privilegiato

delle ricerche, che riguarda la realtà emiliana e più precisamente reggiana; quindi dopo aver

detto della genesi delle componenti politiche e la loro evoluzione connessa all’ambito

territoriale, occorre dare un respiro più ampio, per collegare le lontane vicende cilene,

oggetto del nostro lavoro, con la situazione italiana, i cui effetti a cascata si ripercuotono a

Reggio Emilia.

Compiendo un ampia ricognizione sulla situazione del socialismo sul scala globale, possiamo

notare come fosse ad uno stadio avanzato l’intreccio fra movimenti di liberazione, radicali

riforme sociali ed economiche nei paesi appena emancipatisi, e nuovo allargarsi del fronte

antimperialista in alleanza con l’URSS e la Cina. In Egitto Nasser, quando giunse al potere,

promosse una profonda riforma agraria; l’India di Nehru proclamò la sua scelta verso il

socialismo; ma soprattutto questi e altri ventisette paesi (tra cui Cina, Giappone, Indonesia,

Vietnam del Nord e Iraq), riuniti a Bandung per la Conferenza afro-asiatica, presero

apertamente posizione contro il colonialismo in tutte le sue forme e a favore di coesistenza

pacifica e cooperazione internazionale, ponendo le basi di quel movimento dei “non allineati”

di cui farà parte anche la Jugoslavia di Tito. Come osserva Hobsbawm, molti di questi paesi

27

“erano o dicevano di essere socialisti secondo una via nazionale (diversa cioè dal modello

sovietico)31”.

Ma l’evento più importante e allo stesso tempo più destabilizzante e che ebbe conseguenze

indirette anche sulle travagliate vicende cilene, fu la nascita del regime marxista di Castro a

Cuba su finire degli anni Cinquanta. La rivoluzione cubana creava notevoli difficoltà a Mosca,

peraltro già scossa dallo scisma con Pechino, che la situazione cubana contribuì a consolidare.

Era infatti importante per Mosca conservare la preminenza dottrinale in materia di passaggio

al socialismo e la via indicata per i paesi latinoamericani era una rivoluzione a tappe, di

alleanze con forze borghesi. La presa di potere di Castro, avvenuta senza l’apporto del ceto

deputato della trasformazione sociale, e cioè la classe operaia, ma ottenuta attraverso al

dottrina del fuoco guerrigliero elaborata da Ernesto “Che” Guevara32, costrinse Mosca a

rivedere le proprie teorie onde evitare uno scavalcamento a sinistra e un avvicinamento a

Pechino, che a sua volta denunciava il tradimento sovietico verso i popoli in lotta contro

l’imperialismo. I vertici del Cremlino aumentarono il loro interesse per la realtà

latinoamericana, ma allo stesso tempo, nel tentativo di costruire una convivenza pacifica con

Washington evitarono un coinvolgimento diretto nelle attività di guerriglia che si stanno

organizzando nel continente. Questi movimenti, dal canto loro, si andarono organizzando

dopo anni di emarginazione politica. Il marxismo propagandato in America latina aveva

assunto i tratti caratteristici conferiti dalle teorie di Josè Carlos Mariategui33 e dalla “scoperta”

e diffusione dell’opera di Gramsci: la ricerca di una via nazionale al socialismo fu perseguita

affiancando ad esso tratti di un nazionalismo tipico della tradizione politica populista

latinoamericana, mentre la teorica economica di riferimento era la critica marxista al

31

ERIC HOBSBAWN, Il secolo breve, 1914/1991, BUR, Milano 2006, p.420 32

ZANATTA LORIS, Storia dell’America Latina contemporanea, Editori Laterza, Roma 2010, p.146. 33 Josè Carlos Mariategui (1894-1930) fu un giornalista e un politico peruviano, tra i più importanti pensatori marxisti latinoamericani e uno dei fondatori del Partito Comunista peruviano.

28

desarrolismo, vale a dire la teoria della dipendenza. Certo occorre procedere con i piedi di

piombo e non ricorrere a semplici generalizzazioni che non danno ragione ad una realtà

mutevole da regione a regione, ma che presenta tuttavia dei tratti comuni.

Gli anni ’60 e ’70 in America Latina furono senza dubbio il periodo cruciale per cogliere quegli

elementi di novità che il Cile di Allende porterà nel panorama sudamericano e che ne

segnarono anche la tragica conclusione. A partire dal nuovo corso avviato dall’Unidad Popolar

si può infatti capire la grande importanza che fu data all’esperimento cileno dalla classe

dirigente italiana. D’altra parte non si può capire la scelta della via cilena al socialismo senza

conoscere il panorama ideologico che si andava delineando.

Dopo la breve parentesi riformista avviata alla fine della seconda guerra mondiale, l’inizio

della Guerra fredda provocò un ritorno reazionario in tutto il continente, risparmiando

solamente Uruguay, Cile e Costa Rica. Certo non solo l’irrigidimento delle posizioni dovuto alla

Guerra fredda può spiegare la crisi democratica; altri fattori questa volta endogeni si

sommarono, come ad esempio la fragile cultura democratica, la debolezza delle giovani

istituzioni rappresentative e la reazione del ceto medio e borghese al radicalismo popolare. Le

nuove oligarchie al potere generalmente attuarono politiche economiche volte a

industrializzare i rispettivi paesi. Le conseguenze della modernizzazione, della trasformazione

della società in una società di massa (crescita economica, inurbamento, industrializzazione),

generarono, oltre che maggior speranza di vita, un divario sempre più crescente tra città e

campagna, e portarono alla luce profonde fratture in una società cosi eterogenea come quella

sudamericana. In questo oceano di cambiamenti che scosse le società latinoamericane, si

possono riscontrare alcuni punti chiave: la nascita di un nazionalismo che divenne base

comune a ogni ideologia, “humus imprescindibile” delle dispute ideologiche, e che nasceva dal

problema dell’integrazione delle masse; mentre l’altro elemento sul tavolo era la questione

29

sociale, che poneva seri interrogativi ai cambiamenti in atto; e fornire delle risposte divenne il

bisogno più impellente nei decenni successivi34.

Le strade seguite dalle riforme o meglio dai tentativi di riforma, furono prevalentemente

rivoluzionarie o controrivoluzionarie, agitate dalle questioni economiche e sociali. Le masse

sub proletarie delle città, l’aumento generalizzato degli studenti, i movimenti contadini, le

teorie dello sviluppo economico, concorsero a innescare la fiamma della guerra civile

ideologica35. Come se non bastasse, il panorama, già di per sè magmatico, fu ulteriormente

caricato dalle convulsioni interne della Chiesa cattolica. Questo, lungi dall’essere un elemento

secondario nell’analisi politica e sociale del contesto continentale, è un fattore fondamentale

perché connette il nuovo progressismo cattolico post conciliare, la storia politica cilena e la

situazione italiana. Di fatto nelle vicende di cui ci occupiamo, oltre alle sinistre (comunisti e

socialisti), l’altra variabile, per così dire, fu l’ala cattolica più attenta e vicina alle

trasformazioni sociali e alle contraddizioni della modernità, in Cile così come in Italia (pure se

con premesse ed esiti differenti). È importante ribadire che un momento di sicura svolta per il

discorso cattolico è senz’altro rappresentato, dal Concilio Vaticano II. La sua grande apertura

segnò un punto di non ritorno per la storia della Chiesa, ma ha significato anche il

dispiegamento di potenzialità che, se non represse, erano certo confinate e tenute ai margini.

Per la prima volta si ha l’idea della universalità della Chiesa e i nuovi scenari internazionali

vengono colti con maggior chiarezza e consapevolezza. I mutamenti in atto, soprattutto nelle

aree del cosiddetto sottosviluppo avevano necessità di un aggiornamento, di un adeguamento

alle grandi contraddizioni che sono chiamate ad affrontare. L’America Latina proporrà

qualcosa in più, dato che la ricerca di una teologia rinnovata, che precede in termini

cronologici il Concilio, era già stata avviata e si afferma con la teorizzazione della Teologia

34 ZANATTA LORIS, op. cit., p. 125-130

30

della Liberazione. Non è nostro compito fare una storia della formulazione della Teologia della

Liberazione, ma solamente soffermarsi sui contenuti principali che l’hanno dotata di senso

all’interno delle realtà del Terzo Mondo, in modo da proiettare questa nuova coscienza che va

formandosi tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’70 nelle percezioni dei cattolici cileni. La

Teologia è sicuramente stata un momento cruciale per una nuova presa di coscienza del

mondo cattolico sulla realtà che lo circondava, ha fornito nuovi strumenti e nuove categorie

interpretative sociali e politiche per capire la realtà circostante, letta sempre più come

ingiusta e dunque chiamata alla liberazione36. Non va nemmeno dimenticato che l’America

Latina è il continente cattolico per eccellenza con il 45% dei fedeli dell’intera chiesa romana e

un terzo dei vescovi37. È quindi facilmente comprensibile lo spostamento di attenzione verso

quest’area soprattutto in un momento storico in cui l’America Latina viveva una fase di

modernizzazione e urbanizzazione con tutte le conseguenze che essa comportava nel tessuto

sociale e nella tenuta politica nei paesi del continente. Un episcopato, quello latinoamericano

tradizionalmente conservatore e legato alle classi dirigenti, ma grazie alle organizzazioni

catechistiche o apostoliche, alle congregazioni laiche e religiose che stimolano iniziative in

campo etico e sociale e alla nascita di partiti e sindacati di ispirazione cristiana si assistette ad

un rinnovamento dello spirito della Chiesa, risveglio stimolato senza dubbio dal concilio

Vaticano II38. Nel 1955 era stato creato il CELAM (Consiglio episcopale latino-americano), che

acquisì negli anni maggior autonomia, e che, grazie al confronto costante, al lavoro comune,

alla linfa ricevuta dal Concilio, poté sempre più aumentare la consapevolezza del proprio

significato episcopale e presentarsi come organismo consolidato in cui la Chiesa

latinoamericana poteva identificarsi. Capo del CELAM in quegli anni era l’arcivescovo di

35

ZANATTA LORIS, op. cit., p. 155 36

SCATENA SILVIA, La teologia della liberazione in America Latina, Carocci, Roma 2008 p.42 37

ROUQUIÈ ALAIN, L’America Latina, Bruno Mondadori, Milano 2000, pag. 180 38 Ibidem.

31

Santiago del Cile Juan Francisco Larrain, la cui pastorale fu bloccata in Cile dalle forze

conservatrici del governo Frei. Larrain aveva colto i limiti del desarrolismo, individuando nella

condizione materiale e spirituale di sottosviluppo del Terzo Mondo la più grande violazione

della dignità umana. Lo sviluppo della persona umana che Larrain immaginava non si

conciliava con lo sviluppo economico del continente, che peraltro iniziava a mostrare i primi

segni del suo fallimento. Le sue riflessioni su un nuovo “sviluppo”, una maggior attenzione

sociologia ai bisogni delle popolazioni, condivise con Dom Helder Camara, vescovo brasiliano,

trovarono una sorta di legittimazione nell’enciclica di Paolo VI Populorum progressio (1967),

che per la prima volta connetteva le elaborazioni dell’episcopato latino americano e il

magistero romano. La fase più compiuta del processo di formulazione della Teologia si colloca

tra il 1968 e il 1972, in particolare nella conferenza di Medellin del 1968 in cui l’episcopato

riunito nel CELAM si fa interprete del senso della situazione latinoamericana, dedicando

maggior attenzione alle categorie sviluppo-sottosviluppo e liberazione-oppressione. I primi

frutti della conferenza si videro soprattutto con aumento e la dinamicità sempre maggiore

delle comunità ecclesiali di base, che sorte in Brasile nel 1957, ora ricevevano nuova linfa,

quali centri primari di evangelizzazione. In sostanza da Medellin uscì una Chiesa che riscopriva

i poveri come centro della vita ecclesiale, e viveva la fede come un momento liberatore, che

attraverso le scienze sociali cercava di orientarsi e di articolarsi nella società, operando per

una trasformazione dello status-quo. Colui che per primo teorizzò e delineò la metodologia

della Teologia della Liberazione fu Gustavo Gutierrez, sacerdote peruviano, con il testo

Teologìa de la Liberaciòn. Perspectivas del 1971. L’atto di liberazione, l’incontro con Dio e con

Cristo, suo compimento avviene già nel presente, nella trasformazione politica delle

condizioni di miseria e sfruttamento. I contenuti dell’opera di Gutierrez come quelli di

Leonardo Boff, francescano brasiliano, sono incentrati sulla figura di Gesù storico, sul suo

32

annuncio del Regno di Dio, inteso come un nuovo ordine delle cose, spirituale e materiale,

come era nella natura stessa di Cristo. È evidente come a questa riflessione sull’azione del

uomo nella storia39 si combinasse con l’analisi marxista dei processi storici, spogliata da ogni

ateismo. In particolare Gutierrez preferiva la dimensione utopica dell’azione rivoluzionaria,

legata ai bisogni dei poveri, degli ultimi, “schiacciati dai meccanismi del sistema capitalistico

mondiale”.

È evidente che non tutta la Chiesa, sia sudamericana che europea, fosse favorevole alla nuova

teologia che prendeva corpo. Tanto più che la nuova ondata di governi militari nella regione

utilizzò la Chiesa cattolica per potersi erigere a paladini dell’occidente nella lotta al

comunismo. E la paura del comunismo fu senza dubbio una zavorra che costrinse la Chiesa a

chiusure reazionarie e ad complicità con regimi per nulla democratici (come il caso della

posizione della gerarchia ecclesiastica in Argentina). Quello che in Italia abbiamo visto sarà

identificato con il dissenso cattolico, si manifesta prima in America Latina, in particolare ebbe

grande risonanza il primo incontro continentale dei Cristiani per il socialismo tenutosi a

Santiago del Cile nell’aprile del 1972.

39 SCATENA SILVIA, op. cit., p.36.

33

34

II

L’ITALIA E IL GOLPE CILENO

La svolta di Allende

Questa seconda parte tratta soprattutto gli argomenti che riguardano il Cile, e cioè le

premesse al golpe, il colpo di stato e le relazioni che si erano create tra l’Italia e i partiti cileni

nel corso degli anni precedenti, a sottolineare una certa somiglianza di condizioni e strategie

politiche. È una premessa che ci permette di collocare la parte fondamentale del nostro

lavoro, il caso reggiano, all’interno di una rete di relazioni e condizioni politiche già avviate che

ne costituirono in un certo modo la traccia su cui costruire i rapporti di solidarietà dopo l’11

settembre 1973.

La nascita del PDC e la Rivoluzione nella libertà

Tra i paesi latinoamericani il Cile era sicuramente un’anomalia in termini di stabilità

democratica e tenuta del governo. Tra le cause principali che tennero lontana la democrazia

cilena da derive militariste o estremiste per tutta la prima parte del secolo scorso,

sicuramente una parte fondamentale la ebbero la capacità dei partiti tradizionali (radicali,

liberali e conservatori) di operare attraverso mediazioni e compromessi, oltre alla scarsa

partecipazione politica, che favorì un maggior controllo sulle dinamiche politiche. Quando lo

scenario cambiò, alla fine degli anni Cinquanta, l’equilibrio interno tra i tre maggiori partiti fu

sconvolto, e sulla scena politica fecero la loro comparsa le masse più marginali, rappresentate

dai partiti socialisti; liberali e conservatori diedero vita al Partito Nacional (PN) con l’apporto

35

fondamentale di forze ultranazionaliste e antidemocratiche, come Acciòn nacional, mentre al

centro si andava organizzando e strutturando il Partito cristiano democratico cileno (Partido

Demòcrata Cristiano de Chile ), nato da una costola progressista dei conservatori e dall’unione

con la Falange Nacional (formazione nazionalista di centro)1. All’interno della DC al momento

della ascesa alla presidenza di Eduardo Frei nel 1964, erano presenti tre distinte correnti: la

prima, degli oficialistas composta dallo stesso Frei, Tomic, Leighton; una seconda, cosiddetta

dei non-conformisti rappresentata da Gumucio, Solar, Jerez e dal presidente del movimento

giovanile Rodrigo Ambrosio. La terza linea, i falangisti era formata da coloro che volevano un

ritorno alla dinamica più popolare alle origini del movimento ed era guidata da Parra,

Fuentealba e Aguirre2.

Come scritto nel capitolo precedente, a partire dagli anni Cinquanta, furono sviluppate diverse

teorie e analisi economiche per rendere conto del cronico problema del sottosviluppo nel

continente sudamericano. Sicuramente una delle più significative fu quella del CEPAL

(Comisiòn Econòmica para Amèrica Latina), i cui teorici furono tra i primi ad affrontare

concretamente i problemi legati ad una visione superficiale dell’arretratezza del continente. I

suoi più decisi critici furono i sostenitori della teoria della dipendenza, i quali sostenevano

come l’afflusso massiccio di capitali stranieri avesse gettato le basi per la creazione di un

monopolio capitalistico nordamericano da cui i paesi sudamericani dipendevano pressoché

interamente, impedendo di fatto lo sviluppo di una classe imprenditoriale locale. Ma nel 1959

la teoria economica di Lipset sosteneva come l’innalzamento degli indici di ricchezza,

industrializzazione, urbanizzazione e istruzione garantiti da una economia di stampo

marcatamente capitalistica, avrebbe garantito il perdurare di democrazie liberali,

1 CORGHI CORRADO, Avvento della DC cilena, in Vita Sociale, Maggio-Giugno 1973, p.265-66. 2 Ibidem.

36

allontanando il rischio di derive marxiste, in un area fortemente a rischio. La tesi, espressa nel

saggio Some Social Requisities of Democracy: Economic Development and Political Legitimacy

fu sposata decisamente da Kennedy con la sua “Alianza para el Progresso”, lanciata nel 1961.

Essa rispondeva alla nuova strategia americana, resa necessaria dalla conquista di Cuba da

parte dei castristi, facendo temere a Washington ogni tentativo di riforma sociale ottenuto

con l’appoggio di partiti di sinistra. Per questo motivo Eduardo Frei, democristiano, e

supportato dai ceti borghesi più progressisti, ricevette direttamente molti aiuti per realizzare il

programma della Alianza, onde evitare, nella visione fortemente manichea imposta dalla

guerra fredda, l’avvento di una nuova Cuba al di là delle Ande.

Dal momento della sua nascita il PDC andò sempre più strutturandosi e diventando un partito

di primo piano nella scena politica cilena. Soprattutto rispetto ai suoi predecessori, il partito

democristiano seppe svincolarsi da una politica preminentemente di palazzo, ponendosi alla

ricerca di trasformazioni sociali, di fatto competendo sullo stesso terreno della sinistra. E

questa scelta di campo ebbe il beneplacito delle gerarchie ecclesiastiche, oltre che il

fondamentale sostegno economico americano (la CIA finanziò buona parte della campagna

elettorale di Frei nel 19643). La crescita esponenziale del PDC consentì a quest’ultima di

intessere rapporti con altri partiti democristiani europei, in particolare con la DC italiana, che

proprio in quegli anni sperimentava le aperture a sinistra, con il quarto governo Fanfani nato

grazie all’astensione dei socialisti, e che appariva ai dirigenti cileni come un esempio possibile

di partito progressista senza alleanze con i marxisti. D’altra parte il programma elettorale di

Frei, Revolucion en la libertad prometteva una cambiamento delle strutture cilene, rifiutando

decisamente le parole d’ordine dei comunisti, che la propaganda freista dipingeva come

potenziali dittatori. Il punto forte della strategia di Frei era la Legge Agraria, nodo cruciale in

37

un paese a larga maggioranza contadina, in cui il 98% dei terreni era in mano al 2% della

popolazione4. La ley de Riforma Agraria doveva rappresentare la punta più avanzata del

programma di riforme presentato dal leader democristiano, ma nonostante l’iniziale apporto

di comunisti e socialisti, l’obbiettivo che si prefiggeva venne largamente disatteso. Stessa

sorte toccò ai programmi di destinazione dei capitali stranieri (in larga parte provenienti

dall’Alleanza per il progresso), che non vennero destinati a servizi, infrastrutture e salari. Il

fallimento della Rivoluzione di Frei fu parallelo a quello dell’Alleanza per il progresso, e le

responsabilità vanno certo distribuite tra i soggetti in campo e i fattori che concorsero al suo

sviluppo: certamente influì il diverso approccio del presidente Johnson rispetto a quello

iniziale di Kennedy, la difficoltà dei paesi latino-americani a scardinare i sistemi agrari, la

mancanza di un ceto medio in grado di supportare le riforme, anzi sempre più impaurito

dall’ascesa delle classi subalterne e infine la mancanza di un accrescimento e diffusione delle

pratiche democratiche mature.

Il PCCh

Seguendo il racconto che ne fa Santoni nel suo saggio5 ci spostiamo a sinistra dell’arco

parlamentare cileno, analizzando la storia del Partito comunista cileno, la cui eccezionalità del

panorama politico sudamericano gli consentì di essere conosciuto nel mondo come il

fondatore della “via cilena al socialismo”.

Rispetto ad altre realtà continentali il PCCh poteva rifarsi ad una figura di spicco della storia

cilena, vale a dire Luis Emilio Recabarren. Egli, considerato il padre del movimento operaio,

aveva fondato il Partito obrero socialista (POS) da cui nel 1922, era nato il Partito Comunista.

3 SANTONI ALESSANDRO, Il PCI e i giorni del Cile, Carocci, Roma 2008, p.61. 4 MULAS ANDREA, Allende e Berlinguer, Il Cile dell’Unidad Popolar e il compromesso storico italiano, Manni, Lecce

2005, p.20

38

Questa origine operaia fece sì che il partito fosse più assimilabile “alla tradizione del

movimento operaio dei paesi occidentali che a quella dei movimenti rivoluzionari dei paesi del

terzo mondo”6. Dopo la tragica morte del fondatore il partito visse una fase di travaglio

interno, fino a quando nel 1933, definì chiaramente e ufficialmente i suoi obiettivi e cioè la

rivoluzione democratico - borghese, contro il latifondo, l’imperialismo e il capitalismo. Il

partito iniziò così una crescita di consenso che lo portò nel 1947 ad essere il primo partito

cileno (22%) e a far eleggere tre uomini nel governo. Ma il presidente radicale Videla

promulgò la celebre ley maldida, mettendo fuorilegge il PCCh e incarcerando i suoi leader. In

tutto questo tempo però il PCCh non perse mai la legittimità conquistatosi nell’esperienza del

Fronte. Riabilitato alla lotta politica, dopo il X Congresso tenuto in clandestinità, il PCCh sancì

l’ufficialità della ricerca di una via pacifica al socialismo. Cardine di questa nuova linea era

l’alleanza con i socialisti, attraverso la creazione del FRAP (Frente de Acciòn Popular), che

riuscì a portare Allende, di area socialista, ad un passo dalla vittoria alle presidenziali del ’58

contro il candidato indipendente delle destre Alessandri. Allende fu sconfitto anche nel ’64,

quando alla presidenza si insediò Frei e il suo programma di Rivoluzione social-cristiana. La

storica vittoria fu possibile nel 1970, quando Allende, alla guida della coalizione di Unidad

Popolar, vinse con il 36,2% dei suffragi, percentuale che gli consentì, pur non avendo

raggiunto la maggioranza assoluta, di venire investito della carica presidenziale dalla seduta

plenaria del Parlamento, con il voto decisivo dei cattolici democratici. Questo avveniva dopo

settimane di incertezze e tentativi non troppo velati di ribaltare il risultato elettorale con un

colpo di Stato, culminati con l’assassinio del comandante dell’esercito Renè Schneider. I

socialisti e i comunisti erano dunque alleati al governo del Cile, i primi avevano in Allende il

loro leader carismatico, profondamente socialdemocratico, portatore di una visione chiara

5 SANTONI, op.cit., p.28-46.

39

della sua idea di socialismo, anche se incapace di indicare il modo di procedere7 (SANTONI P

13), mentre i secondi avevano trovato nel XX Congresso del PCUS la formulazione teorica delle

loro idee, e anche se con più difficoltà ideali rispetto ad Allende, portavano avanti la loro

visione di “rivoluzione attraverso le istituzioni”8.

Il governo di Unidad Popolar

Ma come mai la vittoria di Unidad Popolar allarmava a tal punto da prevedere un golpe per

estrometterla dal governo? Essa era la coalizione di comunisti, socialisti, radicali e fuoriusciti

del PDC, che si erano organizzati nel MAPU, e un gruppo di indipendenti di sinistra (API);

godeva inoltre dell’appoggio della Federazione dei Sindacati Nazionali e del CUT (Central

Ùnica de Trabajadores), e nel suo programma elettorale proponeva di creare “una alleanza di

classe fra il proletariato e i ceti medi progressisti e patriottici”. I loro avversari politici erano

divisi tra il democristiano Tomic (co-fondatore del PDC assieme a Frei) e il conservatore

Alessandri, e questa divisone non poté che giovare alle sinistre, specialmente dopo il fallito

tentativo di riformismo praticato dal Frei, che a detta di Luis Maira (deputato di Isquierda

Cristiana) fu causa della radicalizzazione politica in atto in quel frangente: da una parte la

classe dirigente più conservatrice reagì ai tentativi di ammodernamento del PDC, dall’altra il

partito di inimicò i settori di sinistra quando non procedette con ulteriori trasformazioni

rivoluzionarie9. La tensione all’indomani delle elezioni era evidente negli ambienti militari e

borghesi, ancora prima che si potesse esercitare il potere della nuova coalizione. Non a caso

Corghi nel suo libro, scritto qualche mese prima dell’11 settembre del 1973 e quindi ancora

ignaro di ciò che sarebbe successo di lì a poco, li definirà i giorni più caldi della democrazia

6 SANTONI, op. cit., p.30. 7 SANTONI, op. cit., p.13 8 Ibidem. 9 CORGHI CORRADO, FINI MASSIMO, Viva il Cile, una lotta per il socialismo, Feltrinelli, Milano ottobre 1973, p. 13.

40

cilena. Ma una parte dell’esercito (oltre al sacrificio del generale Schneider) scelse la via

costituzionale, assieme al PDC, impedendo di fatto che il paese precipitasse nel caos. Questa

scelta di campo, fa notare Mulas, fu fatale all’Unidad Popolar, la quale riconoscendo un ruolo

atipico alle Forze Armate cilene, credette che esse non fossero influenzabili dagli Stati Uniti e

non rappresentassero un ostacolo alle trasformazioni radicali che Allende aveva in mente.

Questo errore di valutazione sarà il punto di partenza per errori sulle “interpretazioni delle

posizioni strategiche” dell’esercito e il loro collegamento con la CIA.

Il Cile di Allende ereditava una situazione di crisi, strutturale e congiunturale, a cui nemmeno il

governo Frei aveva posto rimedio. Abbiamo detto del latifondo come principale base per

l’economica agricola, e dell’economia basata sul monopolio, mentre la composizione della

piramide sociale vede al vertice la ristretta cerchia oligarchica, un ceto medio fluttuante e una

gran massa di proletariato e poveri. Ciò che si proponeva il programma dell’UP era lo

sradicamento delle strutture generatici di dipendenza e sottosviluppo, da realizzare attraverso

un periodo di transizione. Le riforme necessarie per raggiungere tale ambizioso obbiettivo

erano raggruppate nel cosiddetto Plan 71, il programma elettorale di Unidad Popolar;

prevedeva tra gli altri, la costruzione di case popolari, l’espansione dei servizi educativi, il

potenziamento delle reti di protezioni sociale e la Riforma agraria, vero cardine del progetto.

Senza la liberazione dal latifondo non sarebbe stata possibile l’emancipazione sociale e lo

sviluppo economico, sottraendo alla destra il suo terreno elettorale e creando una nuova base

sociale. Gli effetti delle nuove politiche si tradussero con un bilancio negativo da punto di vista

economico (era crollata la domanda di beni di consumo), mentre ebbe come effetto positivo

l’aumentare della partecipazione della popolazione al progetto di rilancio nazionale: crebbero

gli iscritti al CUT (Central Unica de Trabajadores) e crebbe la produzione industriale. Sul fronte

politico i primi mesi confermarono la fiducia all’azione allendista, e l’Unidad Popolar accrebbe

41

il proprio consenso alle elezioni municipali del 1971. Rimane però importante considerare che

nonostante la vittoria alle presidenziali, le opposizioni nel loro complesso contavano più voti

dell’UP, e questo frenò notevolmente la capacità legislativa di Allende e dei suoi. Era dunque

importante per la riuscita del programma delle sinistre il voto esterno, quindi instabile e

opportunista, di fuoriusciti dai partiti di Alessandri e Tomic. Lo stesso Tomic, a capo del PDC e

soprattutto di una corrente più moderata che all’interno dei democristiani prendeva le

distanze dall’influenza del Partido Nacional, fu all’inizio alla ricerca di un dialogo costruttivo ,

svolgendo il ruolo di opposizione in modo responsabile e democratico. Al Consiglio Nazionale

del PDC si arrivò ad affermare che il partito era “socialista, comunitario, pluralista e

democratico”. Tomic non fece a meno di notare come molte riforme del governo fossero

presenti nel suo stesso programma, e pur respingendo la dottrina marxista, riconosceva in

Allende l’unica forma possibile di socialismo democratico e pacifico.

Le cose presero un’altra direzione dopo l’assassinio di Edmundo Pèrez Zujovic, l’8 giungo 1971

ad opera di un gruppo estremista di sinistra, il VOP (Vanguardia Organizada del Pueblo)10.

Zujovic era stato ex ministro del governo Frei, e questo servì a produrre uno sfaldamento dei

rapporti tra UP e PDC, spostando l’asse dei democristiani verso destra, sotto la rinnovata

leadership di Frei e della corrente centrista del partito. La conferma si ebbe alle elezioni

municipali di Valparaìso, dove il candidato unico di PDC e PN vinse con il 50,1% su candidato

socialista11. Questo patto d’azione tra i due partiti d’opposizione non fu indolore per il PDC,

che subì una spaccatura interna con la fuoriuscita di alcuni elementi progressisti determinati a

10 Questa tragica circostanza fu il motivo di un violento attacco che Corghi diresse ad Arnaldo Forlani, allora

segretario della DC: Forlani aveva infatti ipotizzato che dietro l’assassinio del Ministro dell’Interno ci fossero le stesse forze eversive di Unidad Popolar al governo in quel momento in Cile. Corghi dal canto suo lesse l’omicidio come parte di un disegno della estrema destra per destabilizzare il governo (come già accaduto con il generale Schneider) e non esitò a definire il segretario del suo ex partito Forlani “uomo miope” ubriacato dalla contesa elettoralistica (fonte: Archivio Corrado Corghi, presso Polo Archivistico Reggio Emilia). 11 SANTONI, op. cit. p.141.

42

formare la Izquierda Cristiana (IC). Questa divisione fu avvertita come un pericolo sia da

Allende, il quale aveva sempre puntato “ad avvicinare nel suo mandato la coalizione

governativa quella parte della DC che si identificava in Tomic”12, sia dallo stesso Tomic il quale

capì il pericolo della scissione, che non lavorando più all’interno del partito per un

avvicinamento con l’UP, avrebbe ceduto la maggioranza interna all’ala conservatrice di Frei, di

fatto creando una pericolosa polarizzazione delle forze politiche. Nel frattempo il governo

procedeva con la sua opera di pianificazione statale, che consisteva in primo luogo nella

nazionalizzazione dell’industria del rame (che rappresentava circa l’81% delle esportazioni

cilene ed era per l’80% in mano a imprese straniere); dalla nazionalizzazione passava la

strategia di rilancio economico del paese, a cui si affiancava il progetto Vuskovic per le grandi

imprese industriali, suddividendo in tre distinte aree la collocazione delle industrie: area di

proprietà sociale, di proprietà privata e a partecipazione mista. Nonostante in questa fase si

registrasse ancora una collaborazione tra UP e PDC la rottura era ormai inevitabile. Rivela Luis

Maira come la strategia del PDC fosse congeniata a tavolino, con lo scopo di indebolire il

governo: prima avveniva la scelta dell’obbiettivo, quindi si imbastiva una violenta campagna

mediatica, si attaccavano politicamente i membri del governo e quando lo scontro era sul

punto di diventare frontale anziché scatenare l’offensiva il PDC si ritirava fino al momento di

riproporre il prossimo attacco. Questo contrasto ciclico tra Governo e Parlamento rese quanto

mai difficile contrastare la crisi economica che, a dispetto delle misure prese da Allende,

stringeva il paese in una morsa. Washington rifiutò di concedere prestiti ad un paese che

nazionalizzava proprietà statunitensi e allo stesso continuava ad esprimere con i suoi atti la

contraddizione presente al suo interno, in cui la rivoluzione in corso si scontrava con le

strutture legate ai precedenti regimi economici e politici. La chiusura dei rubinetti perpetrata

12 MULAS, op. cit., p.45

43

in Europa come in America e la ancora scarsa indipendenza del settore industriale, frutto della

reazione borghese e imperialista ai programmi allendisti, finì per schiacciare il governo, che

sottovalutò il grado di dipendenza della propria economia, misurando ogni giorno la distanza

sempre maggiore tra i traguardi promessi e la realtà quotidiana. La crisi si manifestò con il

paro di ottobre (1971), lo sciopero dei trasportatori organizzato dalle opposizioni e manovrato

dagli Stati Uniti, che diventò il momento in cui la classe media vide l’occasione per far cadere il

governo. Le mosse politiche in particolare del PN avevano come pretesto la legittima

ribellione nel caso di mancanza di legittimità dell’operato del governo. Su questi argomenti si

provvide a muovere una accusa costituzionale a quattro ministri, che costrinse Allende ad un

rimpasto di gabinetto, inserendo tre generali delle Forze Armate nell’esecutivo. La presenza

dei militari, oltre che derivante dalla fiducia risposta da Allende dopo i fatti del ’70 di cui

abbiamo detto, servì a garantire la solidità di Stato, essendo nota la loro fedeltà

costituzionale, e tranquillizzò la destra, che immaginava un cambio di passo del governo. Allo

sciopero indetto da PN e PDC le masse popolari non restarono a guardare anzi reagirono al

blocco, sostenendo la mobilitazione generale invocata da Allende contro il paro, garantendo il

rifornimento delle materie di prima necessità, dimostrando una volta in più quanto fosse

elevato il consenso verso l’UP. Ma si stavano manifestando anche una serie di tensioni tra le

frange più estreme, i cordones industriales ad esempio, i quali, nati come coordinamento tra

fabbriche intenzionate a passare ad una gestione socialista, rivendicavano maggiore

autonomia per esercitare un ruolo guida e giungere alla democrazia proletaria. A riprova dei

forti legami del governo Allende con le masse, le elezioni del marzo ’73 videro una crescita

notevole dell’Unidad Popolar, mentre registrarono un calo di consensi della CODE, la

coalizione dei partiti di centro-destra. Da un lato la vittoria elettorale e il sostegno al

presidente frenarono il progetto di alcuni gruppi di creare “un polo di sinistra il quale […] si

44

sarebbe sostituito all’UP e alla sua politica originaria, emarginando i comunisti e includendo,

invece, gli esponenti del MIR13 (Movimiento de Izquierda Revolucionaria). Dall’altro fece sì che

i generali presenti nel governo, una volta garantito lo svolgimento regolare delle votazioni,

uscissero dall’esecutivo, pur garantendo fedeltà al Presidente. Ormai la frattura tra le

componenti dei due blocchi pareva insanabile, da una parte il movimento operaio e le classi

emarginate, dall’altra la borghesia e le oligarchie, che man mano conquistarono anche la

fiducia dell’esercito, soprattutto dopo il tancazo, un fallito golpe del colonnello Souper che

riportò d’attualità il tema della sicurezza interna.

Un nuovo paro alla fine di luglio bloccò nuovamente il paese. Allende cercò allora il dialogo

con il PDC, allora guidato da Aylwin, vicino alla linea intransigente di Frei, onde evitare uno

scontro tra le due parti in lotta o un plebiscito. Le richieste di Aylwin di un governo con i

militari furono respinte e si ruppero i rapporti tra governo e opposizione. Il 22 agosto,

l’opposizione, in maggioranza alla Camera, votò per dichiarare illegittimo l’Esecutivo, con

l’accusa di incostituzionalità. Era la vittoria della destra del partito democristiano, che culminò

con la rinuncia dell’incarico governativo del generale Prats, Ministro della Difesa, resosi ormai

conto di non aver più la guida del suo steso esercito. Il suo posto venne preso dal generale

Augusto Pinochet, nominato da Allende, il quale era convinto che la sua presenza avrebbe

contributo a normalizzare la situazione. Nell’idea del presidente infatti il prossimo passaggio

era l’indizione di un plebiscito che rendesse evidenti i rapporti di forza e nonostante la

difficoltà anche politica per promuovere la consultazione, egli era convinto della fedeltà delle

Forze Armate e del generale Pinochet, che avrebbero allontanato lo spettro del golpe. Le forze

di sinistra fecero appello ai contadini e ai lavoratori perché vigilassero sulle forze oscure che

13 MULAS, op. cit., p.88

45

tramavano per colpire la democrazia cilena e l’ultimo appello apparve sulle colonne de El Siglo

la mattina dell’11 settembre14.

È necessario osservare come il processo democratico che avviò il governo Allende nel 1970 si

contrapponesse in modo netto all’esperienza rivoluzionaria cubana. Queste due opposte

dinamiche avevano nel socialismo il loro punto comune di approdo, ottenuto con la

rivoluzione di Castro uno, attraverso libere elezioni il secondo. Quest’ultimo però al suo

interno presentava numerose contraddizioni che ebbero un ruolo considerevole nel

destabilizzare il sistema, aprendo la strada al golpe. Come ebbe a dire lo stesso Allende “non

si poteva confondere la Rivoluzione cubana con la incipiente transizione cilena”15 e la violenza

avrebbe cancellato ogni sforzo di trasformazione democratica. Egli si rivolgeva in particolare al

MIR, che si presentava come il gruppo più a sinistra della sinistra e che teoricamente non

rinunciò mai alla lotta armata. Ma anche nei principali partiti dell’Unidad Popolar le cose non

erano viste in maniera unitaria. Intanto profonde divergenze nascevano sulla scelta della via

legale o della via armata, che furono oggetto di dibattito tanto tra i socialisti quanto tra i

comunisti. Questi ultimi, con il nuovo segretario Altamirano, riconoscevano la necessità

dell’unita tra socialisti e comunisti e “puntavano all’applicazione intransigente

dell’programma dell’UP”, contrapponendosi alla scelta di Allende di trovare una soluzione

moderata (cosa che gli procurerà l’accusa di attuare politiche borghesi da parte dello stesso

Altamirano). Allende era costantemente vincolato dal frenare “l’eccitazione rivoluzionaria” nel

rispetto delle leggi vigenti. Anche le aperture al PDC erano fondamentali nel disegno di

Allende per lo sviluppo del paese, tenendo conto che non si poteva emarginare un avversario

che deteneva la maggioranza parlamentare, il 30% dell’elettorato e controllava radio e

14 SANTONI, op. cit., p.160. 15 MULAS, op. cit., p.121.

46

televisioni; ma queste aperture furono duramente avversate da socialisti e comunisti, per i

quali gli accordi con i democristiani rappresentavano un’interruzione della marcia

rivoluzionaria dei lavoratori. Altro punto di frizione fu la scelta da compiere dopo le elezioni

del ’73 quando bisognava scegliere se avanzar sin transar oppure consolidar para avanzar. Per

i socialisti la scelta era la prima ipotesi, una opzione intransigente, motivata dall’idea che

l’avanzata avrebbe provocato un aumento della coscienza popolare in merito alle lotte da

portare avanti; mentre i comunisti erano favorevoli al perseguimento del socialismo senza

bisogno del confronto armato. Queste divergenze non consentirono all’UP di portare avanti

politiche unitarie, democratiche e progressiste che attirassero le parti più moderate del PDC,

consentendo invece ai democristiani di spostarsi a destra con le conseguenze che conosciamo.

Anche la Chiesa giocò un ruolo importante in quegli anni cruciali. Come abbiamo visto erano

numerosi i movimenti di sinistra che si ispiravano apertamente ai valori cristiani (abbiamo

detto di Izquierda Cristiana, del MAPU ecc…). È indubbio che così tanti cristiani abbiano scelto

una collaborazione con i marxisti se non vi fosse stata, da parte della gerarchia non una

esplicita approvazione, ma quanto meno un tacito consenso. Ed in effetti la Chiesa cilena era

decisamente aperta alle nuove idee che si diffondevano in seno alla comunità cristiana. Del

resto il cardinale Raoul Silva Enriquez aveva pronunciato la frase “c’è più vangelo nel

socialismo che nel capitalismo”16. Egli si dimostrò fin da subito amico di Allende e non mancò

pubblicamente di sostenere il governo, anche durante il paro di ottobre, o partecipando per la

prima volta nella storia alle manifestazioni della CUT per il 1 maggio 1971 e anche nel 1972.

Corrado Corghi, osservatore privilegiato delle vicende cilene per via dei suoi numerosi viaggi in

Sud America e in Cile in particolare, ci presenta la situazione della chiesa cilena come

16 CORGHI CORRADO, FINI MASSIMO, op. cit., p.148.

47

profondamente rinnovata dai nuovi stimoli proposti dal Vaticano II e dalla nascente Teologia

della Liberazione. La Chiesa è così assediata da coloro che cercano nuovi utilizzi della dottrina

cristiana in ambito politico. Per Izquerda cristiana il problema sta nell’ apoliticità della Chiesa,

la sua ricerca di un cambiamento interiore che deve precedere ogni mutamento sociale ed

economico, mentre perde di vista la contraddizione di fondo che esiste tra sfruttatori e

sfruttati. Chi è per la rivoluzione rifiuta il riformismo già sperimento dai cattolici con Frei, e ha

come guida la frase di Che Guevara quando esorta i cattolici a intraprendere la rivoluzione

integrale che a suo modo di vedere è l’approdo vero e finale del messaggio evangelico. A

partire da questi spunti prenderà il via la già citata conferenza dei cristiani per il socialismo a

Santiago, il cui intento finale è quello di combattere l’ideologia dominante smascherando i

falsi cristiani che nascondo il conflitto di classe, punto imprescindibile per il cammino di

liberazione17. È dunque una “Chiesa in bilico” come la definisce Corghi18, che riflette le

profonde spaccature createsi nella società cilena ormai a tutti i livelli, conflitti la cui

radicalizzazione anche all’interno di realtà che teoricamente si dovrebbero pensare come

unitarie (come i cattolici) denotano il punto di non ritorno verso cui si sta incamminando

sempre più rapidamente il Cile.

Il golpe visto dall’Italia

Alle 6.30 dell’11 settembre 1973 Allende fu informato che alcuni reparti della Marina, i

carabineros e l’Esercito avevano tradito. Alle 8.42 ci fu il primo comunicato dei militari che

intimava il Presidente di rimettere il mandato alle Forze Armate. Allende che si trovava fin dal

17 CORGHI CORRADO, FINI MASSIMO, op. cit., p. 153. 18 CORGHI CORRADO, FINI MASSIMO, op. cit., p. 145.

48

primo mattino al palazzo presidenziale della Moneda, nonostante i ripetuti inviti dei suoi

collaboratori si rifiutò di fuggire, accettando di fatto il suo destino. Restò in contatto con il

popolo cileno attraverso i comunicati radiofonici di Radio Magallanes, invitando i cileni a non

lasciarsi provocare o massacrare, difendendo le proprie conquiste democratiche. Il suo

obbiettivo fino all’ultimo instante fu quello di preservare il Cile dalla sciagura oramai

imminente. Alle 11.52 iniziò il bombardamento della Moneda e la vana resistenza dei suoi

occupanti. Quando gli uomini di Pinochet entrarono nel palazzo conquistato, il Presidente

Allende era morto, suicidandosi. Il giorno seguente si instaurò la giunta militare con a capo il

generale Augusto Pinochet. Potremmo discutere quanto e in che modo influì il Dipartimento

di Stato americano, guidato da Kissinger, e in che misura invece fu determinante la situazione

politica che i partiti avevano contribuito massicciamente a creare, ma altri se ne sono occupati

meglio e più approfonditamente di quanto potremmo fare noi19. Quello che qui ci preme

descrivere sono i fili, le connessioni che portano da questi tragici eventi in Italia, che dal Cile si

dipartono fino a raggiungere il cuore della nostra indagine, il punto da cui siamo partiti, vale a

dire Reggio Emilia, il consiglio provinciale, le mobilitazioni spontanee.

Appare ovvio come Cuba (per tacere della rivoluzione maoista) rappresentasse per buona

parte dei movimenti comunisti un esempio, un’ispirazione e allo stesso tempo una fonte di

problemi e contraddizioni. Il PCI lo vivrà sulla propria pelle con la scissione del gruppo del

Manifesto che uscirà dal partito, proprio sull’onda delle nuove spinte che dai movimenti

terzomondisti più radicali sconvolgevano la rigida dottrina comunista. D’altra parte il partito

era stato pensato, fin da Togliatti, come basato su una strategia di alleanze per fare una

presenza forte di “difesa e ampliamento delle forze democratiche”20 e la stessa impostazione

19 Ne sono un esempio i testi di MULAS e SANTONI citati in nota e in bibliografia. 20 SANTONI, op. cit., p.34.

49

era condivisa da Luis Corvalan, che rivendicava per il suo partito la fedeltà alla democrazia,

contro le spinte autoritarie. La politica nazionale e volutamente autonoma e pacifica del PCI

gli consentiva di operare in base alle proprie convinzioni, che derivavano da un ascolto

costante dei problemi del paese. E su questa strada si era posto anche il PCCh, forte della sua

omogeneità con la tradizione dei partiti comunisti occidentali e della vicinanza ideologica e

dottrinale con il PCI; per questo Mosca lo aveva scelto come “garante dell’unità delle tre forze

motrici della rivoluzione mondiale”21, vale a dire paesi socialisti, forze operaie e movimenti di

liberazione terzomondisti. Nel corso degli anni Sessanta si intensificarono dunque gli scambi,

in particolare in occasione dei congressi, sulle riviste collegate al PCI uscirono con maggior

frequenza articoli che avevano come tema le lotte sudamericane e i compagni cileni, ci fu una

sempre maggior opportunità di scambi e di studio delle rispettive realtà in occasione dei

numerosi viaggi ufficiali che gli esponenti di entrambi i partiti compirono in Cile e in Italia. Il

PCI colse nel governo di Unidad Popolar un formidabile strumento per rivendicare la bontà

della scelta della via pacifica, reagendo così ai vari gruppi di sinistra che inneggiavano alla

guerriglia e alla lotta per portare anche in Italia la rivoluzione. L’esperimento cileno viene

dunque letto come lezione, esempio di lotta politica e democratica per tentare di arginare una

spinta antipartitica che emerge dal basso e “tende ad aggirare la mediazione partitica”22. Il

PCI, negli anni che vedono l’esaurirsi della stagione della contestazione, deve però fare i conti

con vari gruppi che predicano la rivoluzione (Lotta Continua, Potere Operaio) e altri che dalla

predicazione passeranno alle vie di fatto (Brigate Rosse). Il gruppo secessionista del

Manifesto, e Rossana Rossandra prendendo spunto dal caso cileno, esaltavano la posizione

del MIR, che agiva al di fuori dell’UP, come l’unico in grado di creare un nuovo fronte

rivoluzionario prima di una inevitabile sconfitta dell’allendismo da destra; e la stessa

21 SANTONI, op. cit., p.30.

50

situazione veniva prospettata per l’Italia, indicando come i problemi della lotta sudamericana

fossero simili a quelli italiani. La via cilena al socialismo rappresenta quindi per il PCI una

formidabile occasione di rivendicazione della propria linea politica proprio perché in essa si

riconoscevano le stesse modalità di lotta e di affinità politica e dottrinale, che potevano essere

giocate sul tavolo della partita nazionale. Le analogie con la realtà andina risultano ancora più

evidenti nel corso del 1972. Al congresso di Milano, il neo eletto segretario Berlinguer il

problema del dialogo con la DC, la ricerca di un punto di contatto con i cattolici più

progressisti, onde evitare una deriva conservatrice. Allo stesso tempi in Cile Fuentealba,

presidente della PDC provava a riaprire la porta del dialogo chiusa dopo l’omicidio Zujovic;

essa fu accolta favorevolmente dal PCCh ma fu frenata in modo decisivo dai freisti e dai

socialisti più intransigenti, determinando il fallimento della proposta che ebbe eco anche nel

nostro paese. Proprio durante questa fase le elezioni italiane avevano confermato un ritorno

al centrismo, con un governo Andreotti, ragion per cui il PCI si lanciò nella polemica con la DC

attraverso le vicende cilene e le chiusure all’UP da parte della democrazia cristiana di Tomic e

Frei. Appariva ormai chiaro sia ai compagni cileni che italiani di come non fosse più

percorribile il tentativo di creare una scissione all’interno della DC, ma rimanevano ancora

senza risposta le domande su come fare per attirare i ceti medi verso le proprie posizioni. In

Italia fu senza dubbio Aldo Moro colui che ridiede slancio ad una strategia da lui definita

“dell’attenzione” che superasse l’immobilismo del partito contrapposto alla responsabilità

dimostrata dai comunisti. In Cile era chiaro, ascoltando i resoconti di Tomic, di come gli effetti

della politica dell’UP avesse prodotto un deciso spostamento a destra con le conseguenze che

sarebbero divenute visibili da lì a poco.

22 SANTONI, op. cit., p. 114.

51

All’indomani del golpe si aprì il dibattito all’interno di PCI e DC, sulla ennesima lezione da

trarre dai fatti cileni. Nel partito ci si interrogò a lungo sul modo in cui gestire la situazione:

apparivano ovvie ai dirigenti del PCI le colpe dei democristiani d’oltreoceano, della sua politica

di opposizione, come, così almeno per Pajetta, erano evidenti gli errori di valutazione

dell’Unidad Popolar, che non aveva saputo procedere ad una trasformazione pienamente

democratica dello stato, tentando di arrivare al socialismo senza operare una radicale

metamorfosi della società. È chiaro quindi che nonostante il rischio di indicare il Cile come

mito negativo, vi era la certezza che la linea da seguire fosse sempre quella pacifica e

graduale, con maggior attenzione al tema delle alleanze sociali e politiche. Su l'Unità del 13

settembre 1973, due giorni dopo il golpe, si poteva leggere un comunicato della Direzione del

PCI che recitava: "Più che mai i comunisti italiani traggono da questi avvenimenti la

riconferma della validità della loro linea di avanzata democratica al socialismo e l'impegno a

porre a suo fondamento la sempre più larga partecipazione di massa e il più largo

schieramento sociale e politico. Questa linea ha sempre stabilito il nesso più stretto tra

trasformazione sociale e riforma dello Stato, il che comporta la democratizzazione degli

apparati burocratici e militari". L’elaborazione della vicenda fu sicuramente significativa per la

proposta che avanzò Berlinguer sul celebre articolo Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile,

uscito in tre numeri su Rinascita a partire dal settembre ’73, che segnò anche una certa

discontinuità rispetto alle iniziative precedenti. Divenuto ormai celebri per la proposta del

compromesso storico, in essi Berlinguer evidenziava la necessità di un rilancio della

democrazia, una rivoluzione che è possibile solo all’interno della Costituzione antifascista,

respingendo ogni germe di violenza; un consenso a tale realizzazione può essere possibile solo

con la grande maggioranza del paese. Il punto centrale evidenziato è quello delle alleanze,

che devono risultare funzionali per far convergere rivendicazioni e obbiettivi comuni che

52

diano una prospettiva alle forze sociali impegnate che “possibilmente migliorino il loro livello

di esistenza e il loro ruolo nella società”23. Per questo progetto è necessaria una alternativa

democratica tra le forze socialiste e le forze di ispirazione cattolica, poiché i lavoratori da soli,

oggi e alla luce del Cile, non sono garanzia di tenuta del sistema democratico. Il segretario era

infatti convinto che la sua strategia rappresentasse l’unica via d’uscita da un possibile esito

alla cilena24.

Il golpe ebbe ovviamente grande risonanza in una realtà italiana che, negli anni Settanta, era

estremamente sensibile alle trame eversive, e seguì l’intera vicenda con grande

partecipazione. Ma l’analisi dei fatti non si limitò al solo PCI. Craxi, leader del PSI si era recato

immediatamente in Cile alla notizia della morte di Allende, e venne fermato dai carabineros

mentre tentava di recarsi alla tomba del Presidente ed espulso. Il Presidente della Camera, il

socialista Pertini, ricordò Allende paragonandolo a Matteotti sottolineandone l’aspirazione ad

un “socialismo dal volto umano”25. Nel suo partito le reazioni poi erano essenzialmente di due

tipi: chi cercava di rimarcare la differenza tra la DC italiana e quella cilena in previsione di un

governo di centro-sinistra e chi invece dal golpe proponeva di rilanciare un alleanza anti-

democristiana con il PCI.

Più complessa era certamente la posizione del partito di Piazza del Gesù che doveva

fronteggiare le correnti interne e i legami con il PDC, additato come responsabile principale

della rovina di Allende. Inoltre la DC era stato il primo motivo di interesse verso la questione

cilena, allorquando Frei aveva vinto le elezioni, entusiasmando in molti con la sua Rivoluzione

nella libertà. Nomi, protagonisti diventavano sempre più famigliari agli italiani, anche se

l’evolversi delle vicende cilene era sempre riportato al confronto politico italiano.

23 BERLINGUER ENRICO, Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile, in Rinascita n°40, ottobre 1973. 24 MULAS, op. cit., p.203.

53

L’accostamento tra lo slancio progressista freista e l’immobilismo democristiano italiano

preda delle correnti appariva tridente soprattutto al mondo comunista, che ironizzava sulla

differenza di linguaggio tra Frei e gli amici italiani. Interesse principale di Rumor era l’idea di

una internazionale bianca, rilanciando l’Unione Mondiale democristiana, mettendo insieme i

democristiani europei (UEDC) e quelli latinoamericani (ODCA). Dietro a queste ambizioni

internazionaliste si potevano nascondere altri interessi, riferiti in particolare a Washington e

Vaticano, oltre a incontrare l’opposizione tra le due principali correnti della DC. Il fallimento

della rivoluzione di Frei e la mancanza di riforme prodotta dai governi di centro sinistra in

Italia diedero modo al mondo comunista di ripensare ad una proposta di alternativa di

governo e in Cile come in Italia si cercò di attirare la parte più sensibile a certi temi all’interno

dei partiti cattolici. Se questa fase ebbe un certo compimento nei tre anni di presidenza

Allende in Italia non si arrivò mai ad avere un partito comunista al governo, ma la fase del

golpe significò un momento di riflessione che inevitabilmente coinvolgeva la DC e le scelte di

campo compiute negli anni precedenti. Per questo diciamo che la situazione, il 12 settembre

1973 era particolarmente delicata a Piazza del Gesù. La condanna del golpe fu certo unanime

(ad eccezione delle destre) ma i distinguo sul comportamento di Allende e dell’Unidad Popolar

non mancano. Si cercò di minimizzare le responsabilità di Frei nella preparazione morale del

golpe, ma alcuni dissidenti non poterono ignorare le accuse al presidente del PDC mosse dai

suoi stessi colleghi (in particolare Fuentealba, Palma, Leighton e Tomic) i quali criticavano il

comunicato del 12 settembre che scaricava tutte le responsabilità su Allende; pur

denunciando con fermezza l’operato dei militari, il Governo e il Ministro degli Esteri non

ebbero una linea altrettanto dura al momento di capire in che rapporti si sarebbe posta l’Ita lia

con la giunta militare che guidava il Paese, scegliendo una posizione di attesa: “l’attendismo

25 MULAS, op. cit., p. 188.

54

del governo italiano non portò ad altro se non, di lì a poco, al non riconoscimento di fatto

della giunta militare”26. In sostanza l’Esecutivo doveva evitare le strumentalizzazioni a sinistra

della propria condotta, che oltre alla condanna del golpe doveva riuscire ad evitare la rottura

dei legami con il PDC; il tutto dislocandosi tra le tensioni interne delle varie correnti. Se il

rapporto almeno epistolare con Frei fu recuperato, più difficile fu la convivenza col la dittatura

cilena, soprattutto la linea italiana di continuare a non riconoscere il governo e allo stesso

tempo utilizzare la propria ambasciata a Santiago per far espatriare gli esuli cileni. La sua

posizione ambigua permise di mantenere “distanti il piano politico-ideologico da quello

economico”27.

26 NOCERA RAFFAELE, ROLLE CRUZ CLAUDIO a cura di, Settanatrè. Italia e Cile,destini incrociati, Think Thanks, Napoli

2010, p.93. 27 NOCERA, op. cit., p. 107-108.

55

56

III

LA SOLIDARIETÀ REGGIANA

Golpe: reazioni istituzionali

L’ultima parte del nostro lavoro vuole evidenziare le modalità con cui la comunità reggiana,

nei suoi vari aspetti politici, culturali, sociali, ha reagito alla notizia del golpe cileno. È una

analisi delle dinamiche locali (manifestazioni, comizi, raccolte fondi) che vengono attivate e

condizionate da eventi internazionali (il golpe, il dibattito politico nazionale), pur mantenendo

esse un carattere di originalità dovuto al contesto in cui esse si sviluppano. Reggio Emilia ha

infatti sviluppato, a partire dal dopoguerra, una particolare sensibilità per lo sviluppo della

solidarietà internazionale; tale attitudine può essere vista come il frutto delle componenti che

abbiamo descritto nel primo capitolo, e cioè un cristianesimo sociale e alternativo che si rifà

direttamente a Dossetti, e una componente comunista che ha sviluppato una particolare

sensibilità verso certe tematiche, spinta dalla rinnovata linea del PCI in materia di politica

estera (superamento della logica bipolare e tentativo di ricollocarsi in uno scenario che non

fosse dipendente in tutto e per tutto da Mosca), ma anche in virtù del suo ruolo ormai

consolidato di guida cittadina. Queste nuove premesse videro la loro prima attuazione con i

progetti di solidarietà avviati con il Fronte di Liberazione del Mozambico (FRELIMO) che a

partire dal 1963 assorbirà molte risorse, umane ed economiche, della municipalità. Ben presto

l’impegno reggiano nell’area africana sarà esteso ai paesi confinanti del Mozambico, in

particolare il Sud Africa, grazie alla rete di relazioni intrecciata a partire dai primi contatti con i

leader dei movimenti di liberazione mozambicani. È una solidarietà concreta che resiste al

57

raggiungimento degli obiettivi previsti (indipendenza nel caso del Mozambico, sconfitta

dell’apartheid nel caso del Sud Africa) e che si traduce in consolidati rapporti istituzionali in

forma di gemellaggio, che proseguono tutt’oggi. La proficua esperienza di solidarietà con

l’Africa a causa della sua storia, della sua ricaduta sul territorio, del coinvolgimento di diverse

persone che hanno collaborato e collaborano ai progetti di solidarietà, non deve far

dimenticare le altre importanti esperienze di sostegno a paesi del terzo mondo che sono stati

posti sotto la lente del solidarismo reggiano.

Procedendo in ordine cronologico un avvenimento che attivò nuovamente quel circuito di

iniziative di solidarietà, non solo a Reggio ma in tutta Italia, fu la guerra in Vietnam. Per tutto

coloro che contestavano l’imperialismo americano, fossero essi cattolici o comunisti, la guerra

del Vietnam fu un momento fondamentale per manifestare il proprio dissenso e prodigarsi in

azioni concrete di sostegno alle popolazioni vietnamite colpite dai bombardamenti americani.

In particolare si organizzarono una serie di raccolte fondi e di indumenti da destinare ai

bambini delle zone di guerra1.

Il 1973 è la volta del Cile: il golpe di Pinochet palesa anche all’Italia la possibilità di un

ribaltamento antidemocratico delle istituzioni, in un momento di forte tensione politica da cui

Reggio non è esente. È ancora vivo in città il ricordo della strage del 7 luglio 1960 in cui

persero la vita 5 manifestanti che protestavano contro la decisione di far tenere all’MSI il

proprio congresso a Genova. Il governo che ordina la repressione delle proteste è sostenuto

proprio dai voti del Movimento Sociale, che, soprattutto in città legate fortemente alla

Resistenza, viene avvertita come insostenibile per la democrazia stessa. Ora non vogliamo

certo fare dei parallelismi tra il colpo di stato cileno e la situazione italiana, che hanno storie,

problemi, dinamiche totalmente differenti; resta il fatto che molte delle testimonianze dai noi

58

raccolte nelle nostre ricerche di persone che hanno vissuto in prima persona gli avvenimenti

di cui parliamo, indichino nel 7 luglio come un momento decisivo, una cesura nel modo di

intendere la vita politica e gli obiettivi della lotta: la notizia della caduta di Allende arriva in

una città che ha fatto propria una esperienza di conflitto con forze reazionarie e dunque è

pronta a sostenere e a far propria la causa cilena contro i militari. Il 4 luglio 1973, a tredici anni

dalla strage, il Consiglio provinciale di Reggio Emilia commemora i caduti in piazza ricordando

che il loro sacrificio deve essere un invito a “mirare al supremo bene del nostro paese, per la

salvaguardia delle istituzioni democratiche”2. La Provincia sarà chiamata a pronunciarsi di

nuovo in difesa della democrazia e contro forze reazionarie solo un paio di mesi dopo, in

occasione dell’assalto dei militari alla Moneda. Perché proprio la Provincia è la sede del

dibatto sul Cile quando da ormai dieci anni le relazioni internazionali sono gestite dal Comune

che nel corso del tempo ha organizzato una rete di solidarietà con altri paesi e quindi vanta un

esperienza maturata nel tempo? Se non disponiamo dei mezzi per fornire una risposta

esauriente alla domanda possiamo cercare di spiegare questa differenza osservando la

composizione politica della provincia di Reggio Emilia nel 1973: pur avendo il PCI la

maggioranza dei seggi, a capo dell’amministrazione provinciale sedeva Vittorio Parenti, ex

partigiano, militante del Partito Socialista, aveva aderito alla scissione di Palazzo Barberini del

1947 ed era stato prima segretario provinciale del PSDI poi, a partire dal 1965, consigliere

provinciale e presidente a partire dalle elezioni del 1972. Ma anche i predecessori di Parenti,

Dante Montanari e Franco Ferrari provenivano dal Partito Socialista. C’è dunque una

componente socialista che rivendica una sua importanza e una sua autonomia rispetto alla

maggioranza comunista, come ha osservato Mauro Del Bue3 che nel 1973 era segretario della

1 “Iniziative di solidarietà”, busta n°156, Archivio Camera territoriale del Lavoro, Polo Archivistico Reggio Emilia 2 “Cile”, Archivio Centro Unitario di Solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia. 3 Mauro Del Bue nel 1973 era segretario della Federazione Giovanile del Partito Socialista reggiano.

59

Federazione Giovanile Socialista. Questa volontà di rivendicare un proprio spazio forse può

essere il motivo per cui l’11 settembre 1973 il Consiglio Provinciale, quando ancora le notizie

erano “abbastanza imprecise”4 ma già gravide di preoccupazioni per la situazione del

presidente cileno, decise di votare un ordine del giorno di “solidarietà delle forze politiche

democratiche ad un governo legittimo democratico che non ha voluto imboccare la via della

forza”. Dagli interventi dei consiglieri appare evidente come in gioco “ci [fosse] qualcosa che

va al di là del Cile”. Lo stesso Bernardi annunciò per il giorno successivo una manifestazione

pubblica promossa da PCI e PSI per esprimere solidarietà. La posizione della DC espressa dal

consigliere Bernazzali riconobbe le strumentalizzazioni fatte sulle vicende cilene a causa dei

“collegamenti ideali” che si volevano trovare con l’Italia ed espresse preoccupazione per

l’arresto che stava subendo il tentativo di collaborazione tra forze popolari e democratiche.

Apparve chiaro invece a Parenti, esponente del PSDI, che ciò che stava accadendo in Cile fosse

largamente prevedibile e chi lo negava era perché inconsciamente tentava di nascondere la

preoccupazione che potessero esserci ripercussioni anche in Italia5.

Documenti di condanna del colpo di stato e di solidarietà con le forze democratiche cilene

arrivarono anche dalla Federazione reggiana del Partito di unità proletaria (PSIUP), dall’ANPI,

dal consiglio sindacale delle Farmacie Riunite, dalla Federazione provinciale delle cooperative

dei dipendenti del Municipio di Reggio6. La Federazione CGIL CISL UIL invitava tutti i lavoratori

ad una fermata di 15 minuti “come concreta solidarietà”7 all’atto eversivo. Il Comitato

provinciale dell’UDI (Unione Donne Italiane) invitava le donne a manifestare la propria

solidarietà al popolo cileno oppresso. L’ ANPI, nel suo notiziario mensile del settembre 1973,

esprimeva “sdegno e dolore” per il “soffocamento delle libertà in Cile”. Emerge qui, come

4 “Verbali Consiglio Provinciale”, 11/09/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia. 5 Ibidem. 6 Gazzetta di Reggio, 12/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi

60

accadrà altrove, il tema della lezione da trarre dai tragici eventi di Santiago: la prima lezione è

che con la mancanza di intesa tra le masse popolari (forze democratiche e lavoratori) si

assiste al trionfo delle forze reazionarie; mentre la seconda lezione, più originale nei

contenuti, richiama l’attenzione su una democratizzazione delle Forze Armate, il cui compito

deve essere quello della difesa della Patria e dei suoi ordinamenti democratici, evitando ogni

“insidia di carattere fascista e autoritario”8. A nostro avviso riecheggiano in queste parole gli

eventi drammatici del 7 luglio 1960, quando Polizia e Carabinieri spararono su alcuni

manifestanti pacifici durante lo sciopero proclamato dalla CGIL in. Anche l’ANPI provinciale

sostenne “il convincente insegnamento” per le forze politiche italiane che emerse dal colpo di

stato: la garanzia democratica era possibile solo combattendo le forze reazionarie che ancora

“germogliano nella nostra terra”. In generale gli interventi sul Cile si rifacevano ai medesimi

concetti espressi ampiamente nelle sedute consiliari, ma tra le forze di sinistra gli esponenti

del PSDI furono quelli che più di altri cercarono di stigmatizzare la scelta di Allende di prestare

orecchio alla parte più estremista della sinistra rinunciando al dialogo con la democrazia

cristiana, e questo fu detto soprattutto per rivendicare la propria scelta di essere al governo

con la DC.

Ma le iniziative più importanti furono preparate e promosse dalle federazioni giovanili di PCI,

PSI e DC le quali la sera stessa dell’11 si riunirono in un coordinamento unitario per decidere

le azioni da intraprendere. Stilarono un comunicato congiunto e si prepararono alla

manifestazione che alla sera avrebbe attraversato le vie della città. Il comunicato dei

Movimenti Giovanili FGCI, FGC-PSI, ACLI, DC, PDUP testimoniava la grande forza di attrazione

che la morte di Allende aveva provocato, sulla quale convergevano le posizioni di movimenti

7 Il Resto del Carlino, 12/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi 8 “Notiziario ANPI”, Archivio Centro Unitario di Solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia.

61

anche così diversi come FGCI e ACLI, tanto più che nel testo dell’appello si leggeva una

condanna chiara dell’operato di Frei, leader della destra DC. I giovani attraverso il comunicato

diedero grande impulso alle azioni a favore della causa cilena, “costringendo” di fatto le

istituzioni locali a seguire il sentiero tracciato: essi proposero la promozione di un Centro

Unitario di Solidarietà “al quale invitano ad aderire tutte le forze politiche e sociali, le autorità

morali che si riconoscono in questo unitario impegno di lotta”9. Il comunicato proseguiva

chiedendo il lancio di una sottoscrizione e la raccolta di firme per chiedere al Governo italiano

di non riconoscere la Giunta militare cilena.

Il 13 settembre si tenne dunque la manifestazione di protesta contro gli avvenimenti cileni,

come per altro stava avvenendo in molte altre città italiane (dove si registrò una massiccia

partecipazione)10. Il corteo si radunò alle ore 18 in viale monte Grappa e passando per il

centro sfociò in piazza Cavour dove si tenne il comizio conclusivo. Parlarono l’onorevole Otello

Montanari (PCI), Rameres Taddei (Unità Proletaria), Giannetto Patacini (segretario provinciale

PCI), l’onorevole Dino Felisetti del PSI e Pier Luigi Bertolotti della segreteria provinciale della

DC che però ufficialmente non aderì alla manifestazione11 (CARLINO). Altre manifestazioni di

piazza si svolsero a Sant’Ilario d’Enza e a Guastalla, promosse dalle sezioni locali di PCI e PSI e

nei giorni successivi in quasi tutti i comuni della provincia di Reggio Emilia si registrarono

sostegni e iniziative12 (L’Unità).

A questa prima mobilitazione seguì una sessione straordinaria del Consiglio Provinciale il 17

settembre 1973 per discutere l’ordine del giorno approvato dalla Giunta che ha come oggetto

l’intitolazione del Palazzo sede della Provincia a Salvador Allende. I consiglieri presenti in aula

9 L’Unità, 13/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi. 10 Ibidem. 11 Il Resto del Carlino, 14/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi. 12 L’Unità, 14/09/1973.

62

erano: Artioli Lidio, Bassoli Natale, Bedogni Remo, Benassi Ugo, Bernardi Antonio, Bernazzoli

Bruno, Bottazzi Loris, Catellani Peppino, Davoli Claudio, Del Bue Stefano, Denti Adele, Ferrarini

Augusto, Gherpelli Giuseppe, Greci Lidia, Messori Lucio, Orlandini Ermanno Vanni, Parenti

Vittorio, Scalabrini Mario, Simonelli Gustavo, Tedeschi Franco, Valenza Romano e Vallini Velia.

La motivazione dell’o.d.g. si può leggere nell’accorato discorso che lesse il presidente Parenti

all’apertura dei lavori del Consiglio, tratteggiando la figura del Presidente cileno e lodandone

l’eroico sacrificio. La figura di Allende, secondo Parenti, richiamava quella di Giacomo

Matteotti, che pur nella convinzione del rischio a cui esponeva la sua vita, non rinunciò alla

sua battaglia contro la violenza fascista. Oppure l’idealismo romantico di Allende poteva

paragonarsi a quello di Camillo Prampolini nella cui figura agivano insieme dottrina marxista,

solidarietà e umanità. Un altro aspetto interessante è il rifarsi di Parenti alla figura del

cardinale Silva “autorità morale e anche religiosa più alta del Cile” per legittimare il buon

governo di Allende, senza mai citare l’ambigua e discussa politica dei cattolici legati a Frei, nel

tentativo, forse, di rendere più universale e riconosciuto l’omaggio al defunto presidente. Per

Parenti e la Giunta provinciale il richiamo ad Allende nel palazzo provinciale dovrà servire a

ricordare ai cittadini che in esso siedono “uomini liberamente eletti dal popolo” che nel

ricordo di Allende dovranno tener fede al mandato ricevuto. E proprio la spiegazione sul

significato del nome del palazzo servirà a rinnovare “la storia e il ricordo di quest’uomo”13.

All’intervento di Parenti segue quello di Stefano Del Bue, consigliere del PSDI, che pur

celebrando la figura di Allende e il suo eroico sacrificio non mancò di sottolineare i limiti della

sua azione di governo, a suo giudizio dovuti ai contrasti interni. La preoccupazione che Del

Bue esprimeva era che i partiti di sinistra, in Italia, si convincessero che “il più legalitario

13

“Verbali Consiglio Provinciale”, 17/09/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia.

63

ingresso nel governo della cosa pubblica [sarebbe] osteggiato con ogni mezzo illegittimo”14 e

per tale ragione reagissero con violenza a loro volta, determinando così la sconfitta della

democrazia. Contrario all’intitolazione fu il consigliere del Partito Liberale, l’avvocato Franco

Tedeschi, il quale pur rispettando il giudizio morale su Allende non ne condivideva l’operato

politico. Inoltre nel suo intervento sostenne come fosse più opportuno dedicare il palazzo a un

qualche reggiano illustre, evitando scelte a suo avviso demagogiche e strumentali. Al

consigliere DC Bruno Bernazzoli spettava il difficile compito di sciogliere le ambiguità che

gravavano sul rapporto tra DC e il suo omologo cileno, accusato da più parti di essere stato

complice del golpe. Rimarcò infatti la decisione del proprio gruppo di “stralciare la propria

responsabilità all’interno della DC cilena”, condannando insieme al cardinale Silva “l’azione

banditesca” avvenuta a Santiago. In conclusione al proprio intervento lesse un comunicato di

12 esponenti della DC cilena che, in dissenso con la linea ufficiale del partito, rimarcavano la

via democratica come unica soluzione ai problemi del paese. L’assessore Lidia Greci, del PSI,

non fu così morbida con il partito di Frei, accusato di aver premeditato i suoi attacchi parlando

di democrazia ma in realtà richiamando modi fascisti. L’attenzione della Greci si sposta in Italia

dove, a suo giudizio, “occorre una supremazia morale e culturale” per aumentare coloro che

si proclamano veri democratici e fermare chi tale democrazia voglia colpire15.

Al termine del dibattito il presidente lesse un telegramma da far pervenire al Consiglio dei

Ministri, ai presidenti di Camera e Senato e al Ministro degli Interni, in cui “il Consiglio

Provinciale commemorando Salvador Allende esprime ferma protesta mancanza disposizione

esporre bandiera abbrunata in omaggio morte capo stato in carica punto”16.

14

“Verbali Consiglio Provinciale”, 17/09/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia. 15

Ibidem. 16 Ibidem.

64

Il comunicato venne approvato con l’adesione dei gruppi presenti e cioè PCI, PSI, PSDI, PLI e

DC. Inoltre, un nuovo ordine del giorno venne discusso: si trattava di un appello affinché

cessassero le violenze in Cile e si agisse attraverso “tutte le vie possibili” per “restituire al Cile

le libertà democratiche”. Il tema della discussione era se inviare o meno il telegramma anche

al Segretario delle Nazioni Unite; nello specifico da alcuni consiglieri (Del Bue in particolare) si

rimarcò l’inutilità dell’invio di tale sollecitazione all’ONU, preferendo richiedere ai

parlamentari reggiani e al Governo di far presentare la cosa all’ONU. Parenti difendeva il

merito dell’iniziativa. Alla fine la questione venne risolta con la compilazione di due testi, uno

da inviare al Governo e ai parlamentari per esprimere il proprio dissenso per non aver esposto

le bandiere a mezz’asta alla notizia della morte di Allende, capo di stato cileno, l’altro da

presentare alle Nazioni Unite per chiedere di adoperarsi per fermare i massacri e restituire al

Cile la libertà. La proposta dei due testi, come quella sull’intitolazione del palazzo ad Allende

furono votate all’unanimità dei presenti. Fu inoltre letto l’appello delle Federazioni giovanili

alla manifestazione unitaria e i vari gruppi espressero il loro assenso all’iniziativa17.

Il giorno successivo (18 settembre 1973) si riunì anche il Consiglio comunale in seduta

straordinaria. Fu lo stesso sindaco Renzo Bonazzi a rilevare come solo in rarissime occasioni il

Consiglio si fosse riunito in forma straordinaria, a significare l’importanza non solo celebrativa

del momento. Il Consiglio Comunale votò l’approvazione dell’appello dei movimenti giovanili

aderendo inoltre alla manifestazione prevista inizialmente per il 19 settembre e promossa

dagli stessi gruppi giovanili. Da sottolineare il fatto che fu negata all’esponente della Destra

nazionale la possibilità di parlare nell’aula consigliare18. Aderendo all’appello delle federazioni

giovanili dei diversi partiti politici si organizzò per il 19 settembre 1973 una grande

17

“Verbali Consiglio Provinciale”, 17/09/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia. 18 Gazzetta di Reggio, 19/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi

65

manifestazione pubblica che venne riportata dalla pagina locale de l’Unità e dal giornale della

diocesi reggiana La Libertà, ma di cui non troviamo notizia sulla Gazzetta di Reggio e sul Resto

del Carlino. Si registrarono altre iniziative sul territorio provinciale come l’assemblea sindacale

dei lavoratori della CAAM-CAMC in cui si discusse della situazione cilena e si stilò un ordine del

giorno unitario, o come l’analoga protesta che allestirono i dipendenti delle latterie. La Libera

Associazione Artigiani e la Confesercenti aderirono con un comunicato congiunto allo sciopero

nazionale unitario indetto per il 21 settembre da CGIL CISL e UIL, protestando per la situazione

cilena e invitando i commercianti e gli artigiani ad una serrata di un quarto d’ora.

In questo clima di grande coinvolgimento la manifestazione del 19 fu organizzata per essere

più imponente della precedente. Il maggior tempo a disposizione permise una capillare

diffusione di volantini su tutto il territorio provinciale; su di essi erano stampati l’appello

congiunto di Georges Marchais (segretario del PCF) e di Enrico Berlinguer in cui si invitavano i

cittadini a scendere in piazza per manifestare il loro dissenso alle azioni violente in atto in Cile.

Gruppi di giovani distribuirono i volantini davanti alle chiese la domenica (il 19 settembre

sarebbe caduto il mercoledì successivo), mentre altri attivisti li distribuivano all’ingresso delle

fabbriche. Come corollario alla mobilitazione a Cadelbosco (comune della bassa reggiana) su

iniziativa del Comune e del Comitato antifascista furono eretti alcuni pannelli in piazza

raffiguranti Allende, sotto i quali si potevano apporre le firme in calce ad un ordine del giorno

unitario di PCI, PSI e DC. In un giorno si raccolsero più di 700 firme19. In quegli stessi giorni

inoltre a Reggio Emilia si stava organizzando la settimana di studi marxisti incentrati sulla

figura di Rosa Luxemburg promossa dall’ISSOCO (Istituto per lo studio della società

contemporanea). Del comitato scientifico dell’Istituto faceva parte Lelio Basso, il quale, a

motivo della sua presenza in città, venne invitato a tenere un discorso alla manifestazione sul

66

Cile. Del resto Basso, grazie al suo approccio né dogmatico né eurocentrico, seppe cogliere

meglio di altri le peculiarità, le caratteristiche e le dinamiche socio-politiche del continente

sudamericano. Attraverso la sezione America Latina dell’ISSOCO (la cui fondazione risale al

1969) approfondì l’analisi delle realtà dei paesi in via di sviluppo, seguendo con particolare

interesse la peculiare via del socialismo cileno; instaurò collaborazioni con importati centri di

ricerca sudamericani e si recò in Cile due volte, nel 1971 e nel 1973. Proprio a partire dal

pensiero della Luxemburg, sosteneva che l’acme dello scontro tra proletariato e capitalismo,

vale a dire la presa di potere da parte di quest’ultimo, fosse solo un punto finale di un

processo rivoluzionario che egli ravvisava nella politica di Allende in Cile20. Per la sera della

manifestazione al palazzetto era prevista una conferenza al teatro Ariosto per l’inizio di una

campagna a sostegno del popolo brasiliano, oppresso dalla dittatura. La drammatica attualità

degli avvenimenti cileni costrinse gli organizzatori a unire i due eventi, che peraltro risultavano

legati da un filo comune.

La manifestazione fu un successo. Secondo il resoconto degli Amici de “l’Unità” (la pagina

locale del quotidiano del PCI) alle 8.30 del 19 settembre cominciarono a radunarsi in viale

monte Grappa migliaia di persone, tra bandiere rosse, slogan e cartelli inneggianti ad Allende

e contro il colpo di stato. Il corteo proseguì poi lungo la via Emilia verso piazza Gioberti e il

Palazzetto dello Sport. Marciavano i sindacati e le delegazioni di varie fabbriche della provincia

e “massiccia … vivace e combattiva”21 era la presenza dei giovani, che erano scesi in campo in

prima persona e fin da subito per condannare il golpe e per attivare la mobilitazione della

città. All’intero del Palasport gremito parlarono il sindaco di Reggio Renzo Bonazzi, che

presiedeva la manifestazione, il presidente della provincia Parenti che non mancò di

19 L’Unità, 18/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi. 20 NOCERA RAFFAELE, ROLLE CRUZ CLAUDIO a cura di, op. cit. pp 158-59. 21 L’Unità, 20/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi.

67

sottolineare il valore dell’unità raggiunta in tutta la provincia nella condanna e nella

solidarietà e un esponente di Unidad Popolar, Juan Carvayal, che si trovava in Italia durante il

rovesciamento di Allende. Si annunciò la raccolta fondi a sostegno della resistenza cilena e si

osservò un minuto di silenzio in memoria delle vittime del terrore di Pinochet. Quindi prese la

parola Lelio Basso che chiese un aiuto per finanziare, attraverso il tribunale Russel, la raccolta

di documentazione sul regime fascista brasiliano, da lui ritenuto perno della politica

imperialista americana. Quindi diede lettura della sua “Lettera aperta al compagno Allende”,

in cui metteva in risalto il valore personale della lotta di Allende contro i reazionari cileni. A

conclusione della serata andò in scena uno spettacolo realizzato da alcuni attori in cui si diede

conto, attraverso immagini, documenti, testimonianze e canzoni, del quadro della situazione

cilena22.

Appare evidente che la manifestazione al Palazzetto dello Sport non era un momento

conclusivo, ma l’inizio di un momento di avvio di iniziative unitarie. La lotta per la causa cilena

viene letta con una consapevolezza nuova: in Italia come in Cile è necessario battersi contro

chi si oppone agli interessi dei lavoratori e delle classi più deboli, invocando una soluzione

reazionaria. Questa coscienza diventa il collante che permette di concepire azioni unitarie di

gruppi politici che vanno dal PCI alla DC (sia a livello istituzionale che giovanile) e confermano

soprattutto una presenza attiva dei cattolici più progressisti, non sempre osservanti della

posizione ufficiale della DC nazionale. È importante ricordare come ci furono anche voci un

po’ fuori dal coro nei giorni delle celebrazioni; sulle pagine della Gazzetta di Reggio,

quotidiano di stampo conservatore, si misero ad esempio in risalto alla notizia, effettivamente

diffusa da Frei, di una insurrezione comunista, sventata solo dal colpo di stato di Pinochet. In

22 L’Unità, 20/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi.

68

questo modo si cercava di dare credito all’operato del generale, visto come il male minore a

fronte di una possibile dittatura “rossa”. Un altro articolo datato 19 settembre, annunciava

come la situazione in Cile (a poco più di una settimana dal golpe) stesse tornando alla

normalità. Tutti esempi di come ci fosse comunque in città, una stampa e un opinione

pubblica che non era totalmente schierata con la linea unitaria portata avanti da PCI, socialisti

e larga parte della DC.

Quella al Palazzetto non fu l’unica attività prevista in quei giorni: il 21 settembre nel comune

di Campagnola si tenne un’assemblea sul Cile, come pure a Villa Cella, mentre un dibattito

organizzato da PCI, PSI e DC fu organizzato a Quattro Castella. In numerosi circoli e paesi

soprattutto della bassa reggiana si tennero incontri e furono votati ordini del giorni di

solidarietà con il popolo cileno. Infine, sempre a Reggio Emilia, nella sala Verdi ci fu una

manifestazione organizzata dal PDUP, con proiezione di un documentario e relazioni di

Corrado Corghi e della socialista bassiana Silvia Boba23. Altre manifestazioni di solidarietà

ebbero luogo in occasione della morte del poeta Neruda, commemorato dal consiglio

comunale e da quello provinciale nelle rispettive sedute24, e con una celebrazione al teatro

Ariosto il 27 settembre. Alla memoria del poeta sudamericano fu intitolato la scuola per

l’infanzia in via Passo Buole.

L’esperienza del Centro Unitario di solidarietà

Il 27 settembre i movimenti giovanili della DC, la FIGC, la FGS e la gioventù aclista avevano

proposto la creazione di un Comitato Nazionale unitario per coordinare le iniziative da

23 L’Unità, 22/09/1973, Biblioteca Comunale Panizzi. 24 “Verbali Consiglio Provinciale”, Archivio Provinciale Reggio Emilia

69

promuovere e proporre nel mese di ottobre, che era stato proposto come mese di solidarietà

cilena in tutta Europa dalla Conferenza dei giovani democratici. A Reggio Emilia si erano

anticipati i tempi, dato che un Centro Unico di Solidarietà si era andato formando, in modo

informale, già nei giorni successivi alla caduta di Allende, soprattutto per iniziativa dei

movimenti giovanili. L’idea delle organizzazioni giovanili dei partiti reggiani all’indomani della

notizia della caduta di Allende, dava prova di grande attivismo e partecipazione. Con l’inizio

delle scuole, approfittando anche della disponibilità di alcuni presidi (in particolare quello

della scuola superiore Filippo Re) erano numerose le assemblee e i dibattiti che occupavano i

giovani sul tema della causa cilena. In particolare in una riunione al teatro Ariosto gli studenti

del liceo scientifico Spallanzani e degli istituti tecnico-professionali avevano espresso ai

membri del Centro Unitario la volontà di organizzare per il 2 ottobre una manifestazione di

solidarietà con la partecipazione di Obernan Rodriguez di Unidad Popolar. In una riunione

svoltasi il 3 ottobre in Provincia tra amministratori provinciali, amministratori del Comune di

Reggio e i rappresentanti di FGCI, FGS, PSDI, DC e PDUP si era discusso proprio del costituendo

Centro Unitario, accogliendo la richiesta dei movimenti di dotare il Centro di una sede,

identificata con un ufficio debitamente attrezzato nel palazzo della Provincia, futuro palazzo

Allende e di autorizzare l’apertura di Conto Corrente presso la Cassa di Risparmio presso cui

potevano operare direttamente il Presidente dell’Amministrazione e l’economo Carlo Coda,

registrando i movimenti di denaro sul bilancio provinciale25. La Provincia dopo aver deliberato

il 19 ottobre, diede mandato al Centro di individuare “alcune iniziative a livello provinciale

attraverso le quali s’intende sensibilizzare l’opinione pubblica sulla tragedia cilena e

concretizzare conseguentemente un vasto movimento di solidarietà popolare”26. Fu un

passaggio fondamentale perché determinò un salto qualitativo nella gestione degli eventi a

25 “Cile”, Archivio Centro Unitario di Solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia.

70

favore del Cile, garantendo di fatto il proseguimento unitario delle iniziative di solidarietà.

All’inizio come abbiamo visto furono soprattutto gli studenti a rendersi protagonisti, non solo

con la creazione del Centro, ma anche con assemblee nelle scuole, volantinaggio davanti agli

istituti, cortei. Ci fu anche il tempo per qualche lite, come riportò sempre l’Unità, quando il 2

ottobre, alcuni studenti classificati come monarchici realizzarono un contro-volantino in cui

inneggiavano a Pinochet insultando Allende. Questo portò ad uno scontro fisico con alcuni

studenti e la protesta di questi ultimi all’autorità scolastica27. Il giorno successivo si tenne la

manifestazione dei ragazzi delle scuole al Palasport, con la proiezione del documentario

Intervista con il presidente Allende girato in Cile da Roberto Rossellini, alla presenza di

Rodriguez e di tremila giovani arrivati dalle scuole cittadine. Ma è veramente difficile dare

conto di tutte le espressioni di solidarietà che si diffusero su tutto il territorio provinciale: ogni

comune era interessato da una manifestazione, da un dibattito pubblico o da un comizio.

Spesso gli oratori che erano a Reggio Emilia per l’evento principale, venivano “prestati” a

qualche comune limitrofo per una nuova assemblea. Molti consigli comunali votarono ordini

del giorno per esprimere solidarietà al popolo cileno, per manifestare il proprio antifascismo

in qualunque forma si presentasse o per esortare il governo nazionale ad azioni forti in campo

internazionale di condanna del regime. Numerose aziende locali videro i propri lavoratori

organizzare comizi sul Cile, incrociare le braccia per 10-15 minuti, sottoscrivere donazioni

volontarie a sostegno della causa partigiana cilena. Nei mesi caldi della protesta dunque

Reggio Emilia e provincia furono teatro di una forte mobilitazione sociale, che testimoniava

anche il grado di penetrazione di schemi e attinenze politiche, per cui l’appoggio

incondizionato a Unidad Popolar andava di pari passo con il richiamo alla tradizione

antifascista ancora molto forte e viva: nella dichiarazione di solidarietà non poteva mancare

26 “Cile”, Archivio Centro Unitario di Solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia.

71

mai l’accenno ai diritti e alla libertà nati dalla Resistenza da preservare da attacchi di forze

ostili e reazionarie.

Uno dei motivi per cui si avvertì la necessità di istituzionalizzare il Centro Unitario di

solidarietà dopo le prime iniziative, fu quello di gestire in maniera più trasparente la quantità

di sottoscrizioni che al Centro pervenivano durante gli eventi organizzati o spontaneamente

da associazioni e gruppi culturali. Già alla notizia dell’arresto di Luis Corvalan, in occasione

dell’ennesima manifestazione organizzata dal Centro Unitario, si erano registrate alcune

sottoscrizioni, come quella lanciata dal consiglio sindacale delle farmacie comunali riunite per

la trattenuta di due ore dello stipendio28. L’idea della sottoscrizione, lanciata proprio dai

movimenti giovanili nel loro primo comunicato a settembre iniziò ad avere un certo successo

tanto che ad ottobre si erano raccolti più di un milione di lire, in parte donazioni delle varie

sezioni di partito, in parte raccolti alle numerose manifestazioni (quasi 800.000 lire) e, cosa

interessante, circa 10.000 lire da alcuni soldati della Caserma Zucchi. A novembre dello stesso

anno si iniziò inoltre una sottoscrizione promossa dai movimenti giovanili democratici a livello

nazionale e anche il Centro unitario di Reggio aderì anche se sulla questione dei fondi si aprì

una accesa discussione in Consiglio provinciale. Tutto nacque da alcuni manifesti che

apparvero sui muri della città, che invitavano la popolazione a versare contributi per

acquistare armi per il Cile e per il MIR (partito di estrema sinistra cileno). Ovviamente gli

esponenti del PLI in consiglio chiesero chiarimenti sulla posizione della Amministrazione

Provinciale e del Centro Unitario e sulla destinazione effettiva dei soldi raccolti. Fu ribadito, in

particolare dai consiglieri Barbieri e Bernardi che il documento con cui si chiedeva la

sottoscrizione non accennava assolutamente all’acquisto di armi e comunque si rivolgeva a

27 L’Unità, 3/10/1973, Biblioteca Comunale Panizzi. 28 “Iniziative di solidarietà per Cile, Sudafrica, Spagna, Portogallo 1974-76”, busta n°155, Archivio Camera Territoriale del Lavoro, Polo Archivistico Reggio Emilia.

72

tutte le forze impegnate nella Resistenza cilena e non solo ad alcuni suoi esponenti più

radicali. Del Bue si dimostrò ancora più radicale, sostenendo che la destinazione finale del

denaro raccolto non dovesse essere decisa dall’Amministrazione ma dai rappresentanti della

Resistenza stessa, anche qualora fosse una spesa per l’acquisto di armi. A questo punto la

discussione si infiammo, dato che il consigliere Tedeschi contestò all’Amministrazione

Provinciale il compito di raccolta fondi per la causa cilena, tanto più se era per armare

qualcuno. In realtà il problema era pretestuoso, essendo impossibile per il centro organizzare

una raccolta fondi per armi, stante la legislazione vigente in Italia. Si trattava di un discorso

soprattutto politico e cioè la motivazione con cui appoggiare e sostenere la causa cilena. La

motivazione con cui il Centro e la Provincia aderivano alla raccolta fondi era indirizzata ad

azioni di solidarietà che erano espressamente richieste dai cileni come testimonia l’appello di

Hortensia Allende in cui chiede che l’indignazione suscitata dall’11 settembre si traduca in

“aiuto solidale”. A monte doveva esserci la forte adesione, da parte dei consiglieri con la

battaglia messa in campo dalle forze contrarie a Pinochet, un supporto morale e politico, una

piattaforma di solidarietà come Reggio Emilia aveva approntato in altre occasioni (si fece

riferimento in particolare ai trattori richiesti dal Vietnam e inviati dall’Amministrazione)29.

Ma la questione economica non era certo secondaria, tanto che dovette intervenire il

Comitato di Controllo sugli Atti delle Province per chiedere chiarimenti in merito

all’attribuzione del Presidente della provincia di operare sul conto corrente del Centro di fatto

agendo come un contabile, con tutte le responsabilità derivanti, e chiedendo l’introduzione di

una figura di tesoriere per gestire il bilancio del Centro30. L’Amministrazione corse ai ripari

annullando il precedente atto e, riaffermando le motivazioni politiche per cui costituiva un

29 “Verbali Consiglio Provinciale”, 13/11/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia. 30 “Cile”, Centro Unitario di Solidarietà, 15/11/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia.

73

Centro di solidarietà, rimuovendo la figura del Presidente della provincia da responsabilità di

bilancio e investendo l’ufficio stesso del Centro della gestione diretta dei fondi. A capo del

Centro fu posto Antonio Casoli, che fino al quel momento si occupava in provincia di turismo,

sport, politiche giovanili e scambi internazionali. Siccome si tennero diversi incontri con

rappresentanti cileni, si rese necessario l’assunzione di una traduttrice, Giuliana Salsi, che

prestò servizio nei primi anni dell’attività del centro. Inoltre fu assunto un autista, Enzo

Borciani, incaricato degli spostamenti delle varie personalità che giungevano in città (qualora

non fosse previsto il taxi)31. All’inizio le principali attività del Centro furono quelle

dell’organizzazione di eventi per sensibilizzare la popolazione reggiana, che si era dimostrata

particolarmente ricettiva, sul dramma cileno e le sofferenze quotidiane a cui il popolo era

costretto dal regime di Pinochet. La prima grande iniziativa promossa e organizzata dal Centro

Unitario di solidarietà fu la cerimonia di intitolazione del palazzo della provincia a Salvador

Allende. L’Amministrazione stanziò circa un milione di lire per predisporre ogni cosa: ospiti

attesi a Reggio Emilia l’ambasciatore cileno in Italia Carlos Vassallo di Unidad Popolar (dato

che l’Italia non aveva ancora riconosciuto il nuovo governo cileno, questi non aveva potuto

cambiare l’ambasciatore), Rafael Alberti e la moglie Maria Teresa Leon, Ignazio Delogu e il

complesso degli Inti Illimani. Questi ultimi erano in tournè in Germania quando Pinochet

prese il potere, e grazie alla mediazione di Jaime Nazar, che era il segretario nazionale della

gioventù comunista cilena, scappato in Italia dopo il golpe, furono accolti in Italia e ospitati a

lungo, divenendo in breve tempo, attraverso le loro canzoni di ribellione, simbolo della lotta

del popolo cileno contro la dittatura32.

31 “Cile”, Centro Unitario di Solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia. 32

Intervista ad Antonio Casoli, che, oltre a svolgere vari incarichi per l’Amministrazione Provinciale, fu responsabile del Centro Unitario di solidarietà fin dalla sua creazione nel 1973.

74

La giornata del 16 novembre fu ricca di appuntamenti; gli studenti delle scuole furono divisi in

tre distinti gruppi: quelli del liceo classico, scientifico e di ragioneria si radunarono al teatro

Ariosto, quelli di agraria, di geometra e dell’Istituto d’Arte al teatro Municipale mentre alla

palestra dell’IPSIA (Istutito Professionale) trovarono posto gli studenti dell’Istituto tecnico. A

tutte le assemblee, affollatissime, intervennero gli Inti Illimani, Delogu e Vassallo, oltre agli

esponenti dei movimenti giovanili. Arrivava dagli oratori la richiesta di una forte unità di tutte

le componenti antifasciste per dare sempre più validità alla mobilitazione internazionale,

superando quegli steccati ideologici che frammentavano i movimenti di sinistra in Italia. A

Reggio Emilia, soprattutto a livello giovanile, c’era una grande vicinanza ideale, anche perché

in quel periodo sia tra il Movimento giovanile DC che nell’ACLI prevaleva la maggioranza più

progressista, la quale su temi di politica estera, internazionalismo ed economia, non si

discostava molto dalle analisi dei gruppi di sinistra33.

Al termine delle assemblee vari gruppi di studenti confluirono in piazza Martiri del 7 luglio e

da lì diedero vita ad un corteo che attraverso la via Emilia e corso Garibaldi giunse davanti al

palazzo della provincia dove si sciolse in attesa della intitolazione prevista per il pomeriggio34.

Lungo l’elenco delle personalità chiamate a intervenire nel discorso di inaugurazione che, per

richiamare le parole di Parenti, rappresenta “un impegno permanente al fianco di chi milita

nella resistenza cilena”35. Toccanti furono anche le parole che pronunciò Rafael Alberti, il

poeta spagnolo dal 1967 cittadino onorario di Reggio, che descrisse la straordinaria vocazione

reggiana per la solidarietà, da lui sperimentata l’anno precedente, quando fu celebrata la

Resistenza spagnola e il 70esimo compleanno del poeta nella piazza della città. Una

“sensibilità speciale, un senso civico” che egli definisce unico in Europa, e che deriva

33 Archivio Movimento Giovanile Dc, Polo Archivistico Reggio Emilia. 34 L’Unità, 17/11/1973, Biblioteca Comunale Panizzi. 35 Ibidem.

75

dall’essere città Medaglia d’oro della Resistenza, che matura dall’esperienza di città

antifascista e dunque la porta a farsi carico di battaglie così fisicamente lontane, ma

idealmente vicine e simili a quelle vissute solo pochi anni prima36. Seguirono interventi dei vari

rappresentanti dei gruppi del consiglio provinciale, dei parlamentari reggiani Alessandro Carri,

Lidio Artioli e Carmen Zanti e dell’ambasciatore Vassallo. Alla sera, come era ormai

consuetudine degli ultimi mesi, grande veglia di solidarietà al Palazzetto dello Sport con i canti

degli Inti Illimani, del gruppo Americanta e la lettura di alcune poesie di Pablo Neruda da parte

di alcuni attori. Durante la serata furono raccolti 1 milione e 123 mila lire, a cui si aggiunsero i

3 milioni raccolti dai dipendenti del Municipio, 1 milione proveniente dalla COOP, 20.000

dell’ANPI di via Lungo Crostolo, i 50.000 dell’Azienda gas e i 30.000 del Teatro Popolare per un

totale di 9 milioni di lire pervenute al Centro unitario di solidarietà nell’arco della serata37.

L’intera cerimonia costò al Centro unitario 990.400 lire, di cui 32.000 per un paio di eskimo

donati agli Inti Illimani, evidentemente poco preparati ad affrontare le rigide temperature

invernali38.

Il bilancio che si può tracciare dei primi mesi di iniziative è sicuramente positivo. Fin dai primi

giorni si è assistito ad una forte presa di coscienza della situazione che è sfociata in azioni

concrete e di forte richiamo. Si agisce su un tessuto sociale che è già fortemente preparato ai

grandi temi internazionali e quindi sa come gestire e organizzare le proprie risorse, contando

sulla capillarizzazione del partito comunista, sulle sigle sindacali, sul ricco tessuto parrocchiale.

Un grande fronte unitario si forma immediatamente nel nome della lotta contro

l‘imperialismo e la violenza fascista in Cile e prosegue nella sua battaglia negli anni successivi,

trascinato anche dal grande clamore suscitato in città, dalla grande partecipazione e supporto.

36 “Verbali Consiglio Provinciale”, seduta straordinaria 16/11/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia 37 L’Unità, 17/11/1973, Biblioteca Comunale Panizzi.

76

Il fatto di una forte presenza, di una vicinanza alla causa cilena, può essere testimoniato dalla

decisione del Comitato di gestione della scuola nata in via Gattalupa nel 1974: intitolando la

scuola a Salvador Allende si voleva non solo dare un “doveroso omaggio”, ma manifestare

l’idea che attraverso l’istruzione si potessero formare “uomini liberi”39.

Il Centro di solidarietà continuò la sua attività di diffusione e conoscenza, nonché di raccolta

fondi e supporto materiale, in costante contatto con il Centro nazionale Italia-Cile che aveva

sede a Roma in largo di Torre Argentina (ogni mese veniva fatto un resoconto delle attività40).

Fu organizzata, assieme all’Amministrazione comunale, la proiezione di un ciclo di

documentari sull’America latina, già presentati alla IX Mostra del Cinema Internazionale di

Pesaro, presso la casa dello studente, in via della Abbadessa; tra i titoli in programma Giron di

Manuel Herrera e Julio Garcia Espinosa, Tupamaros di Jan Lindqvist, Los traidores realizzato

dal Gurpo cine de la base e il documentario Viva la Repubblica girato da Pastor Vega nel

197241. Alle fine di novembre del 1973 arrivò sul tavolo del Sindaco Bonazzi e al Centro di

solidarietà la proposta del Servizio Civile Internazionale (membro consultivo dell’UNESCO) per

organizzare, su proposta del Comitato Italia-Cile, un campo di lavoro volontario, da tenersi dal

16 al 6 gennaio, per raccogliere fondi da inviare in Cile al fine di sostenere i cileni perseguitati

e licenziati. Oltre al lavoro volontario, per approfondire la conoscenza del problema cileno al

lavoro si sarebbe affiancata una parte di seminari politici, spettacoli e film42. Il 1974 si aprì con

nuove iniziative promosse dal Centro unitario reggiano tra cui una manifestazione per il 5

gennaio in favore dei bambini cileni, a cui partecipò un dirigente sindacale spagnolo della

Comisiones Obreras, e la stampa di 5000 volantini e poster del poeta e martire cileno Victor

38 “Cile”, Archivio Centro Unitario di solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia e testimonianza diretta di Antonio Casoli. 39 LA PROVINCIA DI REGGIO EMILIA, periodico mensile a cura dell’Amministrazione provinciale, n°6, ottobre 1974. 40 Intervista Antonio Casoli. 41 L’Unità, 20/10/1973, Biblioteca Comunale Panizzi.

77

Jara da distribuire su tutto il territorio, con una spesa prevista di 2 milioni di lire43. L’evento

però di maggior richiamo fu l’incontro tra intellettuali e artisti italiani e cileni previsto per l’11

giugno 1974 al teatro Ariosto con la partecipazione dei Carlos Vassallo, Manuel Ortega,

Patricio Ramirez, Ines Carmona, Giuseppe Gherepelli, oltre che del complesso degli Inti

Illimani, nuovamente invitati in città. Obiettivo del convegno era presentare la realtà culturale

cilena al momento attuale, nel tentativo di stimolare la conoscenza e la diffusione dell’opera

degli intellettuali sudamericani, sia che fossero in esilio oppure ancora in patria, mobilitando a

tal proposito le case editrici popolari e l’università. Per realizzare questi traguardi si propose

nel corso dell’incontro, la creazione di un tavolo di intellettuali italiani e cileni in grado di

predisporre le misure necessarie e procurare i contatti utili allo scopo. Alla repressione anche

culturale in atto in Cile si cercò di rispondere con una iniziativa che potesse restituire dignità

ad una delle culture più avanzate dell’America Latina. Fu l’occasione per il lancio dell’iniziativa

culturale promossa dal Centro Unitario di Solidarietà denominata Libertad para

Chile44(ARCHIVIO CENTRO). Sempre nel ’74 ma il 12 settembre, ad un anno esatto dal golpe, si

tenne una nuova manifestazione per chiedere la liberazione dei dirigenti incarcerati (Luis

Corvalan, Clodomiro Almeyda e altri) e la cessazione delle torture e degli arresti arbitrari.

Parlarono dal palco del teatro Ariosto Carlos Vassallo e gli Inti Illimani che tennero un

concerto45.

Dalle carte raccolte nell’Archivio provinciale emerge come fosse numerose le occasioni in città

per esprimere la solidarietà verso il popolo cileno e affiora una realtà locale veramente attiva

e impegnata. Solo nel 1975 furono stampati circa 45.000 volantini per manifestazioni o appelli

per la liberazione di donne o attivisti incarcerati in Cile. Ovviamente una tale mole di lavoro

42 “Cile”, Archivio Centro Unitario di Solidarietà, 21/11/1973, Archivio Provincia Reggio Emilia. 43 Ibidem. 44 Ibidem.

78

richiedeva un continuo finanziamento da parte della Amministrazione, dato che le

sottoscrizioni effettuate avevano lo scopo di aiutare le popolazioni cilene. Si realizza un

continuo botta e risposta tra l’Amministrazione provinciale e il Comitato Regionale di

Controllo dei conti che fa notare come le continue uscite di denaro per le varie iniziative

realizzare con il Centro Unitario non rientrino nei compiti specifici dell’ente. Questo lo

riscontriamo ad esempio per la spesa di 2.367.200 lire presentata per organizzare l’incontro

sopracitato tra intellettuali e artisti nel giugno del ’7446. L’assessore Giuseppe Gherpelli

confermò integralmente la delibera con cui si approvava il pagamento, motivandola con il

fatto che “la lotta contro il fascismo e la difesa delle istituzioni democratiche non possono

essere considerate estranee agli interessi di un Ente Locale”47, corpo di uno stato antifascista

e democratico come recita la Costituzione. Le delibere di carattere finanziario (fondi o

incarichi professionali) dell’Amministrazione provinciale a favore del Centro Unitario, per

avere un’idea della situazione in cui poteva operare, furono sette tra il 17 gennaio 1974 e l’8

giugno 1981. Nel marzo del 1980 il fondo del Centro risultava essere di 14.500.000 lire. La

dottoressa Miriam Grasselli, che nel frattempo aveva sostituito alla gestione dell’ufficio

Antonio Casoli, passato ad altri incarichi, segnalava come tale patrimonio fosse “non

proporzionato” alle attuali esigenze del Centro, tanto più che le principali voci di spesa si

erano notevolmente ridotte. Pur non escludendo la possibilità di realizzare qualche intervento

economico Grasselli era convinta che “non devieremo dallo spirito con cui questo Comitato fu

costituito, se ritenessimo di dover devolvere parte di questi fondi alle numerose iniziative di

solidarietà” che Reggio Emilia aveva ancora in piedi in diversi paesi che ancora si battevano

45 “Cile”, Archivio Centro Unitario di Solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia. 46 Ibidem. 47

Ibidem.

79

per i propri diritti48. Del resto proprio in quegli anni la municipalità reggiana è molo attiva in

Africa australe, con progetti che richiedevano importanti sforzi da parte dell’amministrazione.

Basti pensare che la cooperazione tecnica italiana in Mozambico raggiunge una tale

dimensione e importanza “da assicurargli il secondo posto dopo la Somalia nella graduatoria

mondiale dell’impegno italiano in questo settore”49 e Reggio funge da cerniera nei rapporti di

aiuto tra Italia e Mozambico. Il dirottamento dei fondi del Centro produce una contrazione

delle attività, rese anche meno necessarie dal diverso clima politico e dall’interesse generale”

e un passivo di 333.627 £50. Nel 1982 il Comitato di Controllo regionale annulla lo

stanziamento di un milione di lire che la Provincia aveva destinato alle iniziative del Centro. La

Provincia di nuovo l’anno successivo avanza una proposta per la ricostituzione di un Fondo Pro

Cile con una base di 9 milioni, ma di cui non sappiamo l’esito. Possiamo però supporre che di

tale proposta non si fece nulla dato che solo due anni dopo, il 5 marzo 1985, il conto corrente

del Centro Unitario di Solidarietà venne estinto51. Se si esaurì la funzione del Centro Unitario

fu soprattutto perché ormai le componenti che fin dall’inizio ne avevano promosso la

costituzione avevano perduto la necessaria unità di intenti; le dinamiche politiche avevano

naturalmente prevalso sulla iniziale spinta anche emotiva, che la fine di Allende aveva

suscitato tra i movimenti giovanili e i partiti stessi. Ma la fine del Centro non significò un

abbandono della causa cilena, dato che il referendum che avrebbe sconfitto Pinochet era

ancora lontano. Tra il giugno e l’agosto del 1983 ci furono 3 comunicati della Giunta e un

ordine del giorno votato dal Consiglio comunale di condanna del regime di Pinochet e delle

brutali repressioni di studenti e lavoratori. Il Comune chiese espressamente una presa di

posizione forte dell’Italia in sede internazionale che portasse ad un isolamento del regime

48 “Cile”, Archivio Centro Unitario di solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia. 49 CARMELO MARIO LANZAFAME, CARLO POLIDORI, La stagione della solidarietà sanitaria a Reggio Emilia: Mozambico 1963-197, L’Harmattan Italia, Torino, 2004.

80

sudamericano e che sostenesse la causa della Resistenza cilena. Altri comunicati

succederanno l’anno seguente, votati sempre da sinistra e democrazia cristiana insieme.

Gli esuli e la Camera del Lavoro

Protagonista in prima persona delle attività di solidarietà a Reggio Emilia fin dalla prima ora fu

la Camera Territoriale del Lavoro. Una organizzazione quantitativamente significativa (90 mila

iscritti del 1976) ma soprattutto in costante rapporto con il territorio, non solo sul fronte delle

lotte contrattuali, ma anche nel campo della “estensione dei diritti […], di strutturazione della

società attraverso azioni di solidarietà e servizio”52. La Camera del Lavoro era il perno delle

organizzazioni sindacali agricole, operaie, artigiane e della cooperazione, garantendo la

creazione di un tessuto di solidarietà sociale di altissimo livello a Reggio Emilia53. Negli archivi

della Camera del Lavoro si trova traccia delle iniziative organizzate dal 1978 in poi. All’inizio

dell’anno la Federazione regionale di CGIL, CIL e UIL promosse una sottoscrizione attraverso la

quale gli operai potevano donare un’ora di lavoro a favore del sindacato cileno, la CUT, e

inoltre incoraggiò il boicottaggio dei prodotti ortofrutticoli cileni, distribuiti in Italia anche dal

mercato all’ingrosso di Bologna. Si chiese di approntare una serie di iniziative per promuovere

il sostegno alla CUT cilena, la diffusione di informazioni attraverso la stampa del sindacato,

l’organizzazione delle manifestazioni e serate popolari per raccogliere finanziamenti da inviare

in Cile. Nel 1975 assieme al Centro Unitario, la Federazione organizzò un incontro al teatro

Municipale in occasione del 22° anniversario della nascita della CUT con al partecipazione dei

50

“Cile”, Archivio Centro Unitario di solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia. 51 Ibidem. 52 MIRCO CARRATTIERI, La Camera del Lavoro di Reggio Emilia nel Novecento, in Le Camere del Lavoro in Emilia-Romagna: ieri e domani, CARLO DE MARIA, a cura di, Editrice Socialmente, Bologna 2013, p. 76. 53 MORIS BONACINI, Reggio Oggi, in AA.VV., Storia Illustrata di Reggio Emilia, op. cit., 626.

81

Quilapayun, definiti un complesso “folk-politico” cileno fra i più amati in Sudamerica, divenuti

esuli in Francia dopo il colpo di stato54. La grande rete sindacale permise di avere constanti

rapporti con la CUT cilena e le notizie arrivavano continuamente alle varie federazioni che

predisponevano i vari progetti. Importante fu la sottoscrizione che nel 1979 raccolse

9.257.000 milioni di cui una parte fu impiegato per il viaggio in Cile di una delegazione

regionale della Federazione55. L’anno precedente la raccolta di fondi tra i lavoratori attraverso

la vendita di alcune cartoline da 2.000 £ non aveva dato invece i risultati sperati come scrisse

l’amministratore provinciale Francesco Bassi, ma questo non arrestò le iniziative

volontaristiche promosse dalla Camera del Lavoro. In quegli anni infatti si sviluppò un’intensa

attività di informazione, cooperazione e sostegno svolta nel nome dell’unità sindacale, rivolta

a realtà in grande sofferenza e in lotta per i proprio diritti: dall’archivio della Camera del

Lavoro reggiana emergono le iniziative di solidarietà a sostegno delle battaglie sindacali in

Vietnam, in Nicaragua, in Mozambico e in Sudafrica. Grazie ai rapporti che si consolidano con

esponenti della CUT cilena, a Reggio la Federazione può contare su rapporti e resoconti che

illustrano la situazione quotidiana del sindacato e della popolazione cilena sotto Pinochet

come l’incontro al Palazzetto tenuto dal dirigente della CUT Juan Fica accompagnato dalle

musiche dei Pucara, o come la relazione sulle torture praticate in Cile sui dissidenti, che la

commissione cilena sui diritti umani fece pervenire alla Federazione regionale nel 198556.

Un capitolo a parte meriterebbe la questione degli esuli cileni che giunsero a Reggio Emilia

dopo il golpe e chiesero ospitalità alla comunità reggiana. In molti fuggirono in Europa e

Reggio Emilia ne accolse diversi, aumentando la conoscenza della situazione in Cile. Ad

54 “Manifestazione Cile 19-2-1975”, busta n°155, Archivio Camera Territoriale del Lavoro, Polo Archivistico Reggio Emilia. 55 “Sottoscrizione sostengo lotta cileni”, busta n°155, Archivio Camera Territoriale del Lavoro, Polo Archivistico Reggio Emilia. 56 “Politica internazionale”, busta n°900, Archivio Camera Territoriale del Lavoro, Polo Archivistico Reggio Emilia.

82

occuparsene fu il Centro di Solidarietà che curò i rapporti con gli esuli, attraverso il loro

connazionale Patricio Ramirez che era il responsabile della organizzazione degli esuli a Reggio

Emilia57. Da documenti della Provincia risultano circa 15 i cileni residenti a Reggio Emilia nel

1974, mentre altri sei giunsero in occasione dell’incontro tra intellettuali cileni ed italiani

dell’11 giugno del medesimo anno: in occasione delle varie manifestazioni infatti le maggiori

personalità cilene ospitate nella regione venivano invitate nelle varie città per presiedere ai

comizi e agli incontri e rendere ancora più concreta l’azione di solidarietà. Ad esempio Corghi

raccomandò il pittore Eduardo Sanfurgo Lima, esule cileno, per una “eventuale utilizzazione” a

Reggio Emilia in occasione di un possibile evento58. Spesso il Centro si faceva carico di tutte le

necessità delle persone ospitate, dalla ricerca di un alloggio, all’acquisto di capi di vestiario, al

reperimento dei fondi per l’eventuale viaggio di ritorno, che di solito avveniva via nave dal

porto di Genova59. Per il viaggio di ritorno di Mariangel Julio Toledo e Ramirez Faundez

Patricio furono acquistati bauli e valige per il viaggio, vestiti e scarpe, e inoltre fu pagato un

contributo di 100.000 £ al mese per sei mesi, necessari per ricominciare la nuova vita in Cile.

La partenza da Genova era fissata per 13 giungo 197860. Ricostruire la storia degli esuli cileni

presenti nella provincia non è semplice. Quasi tutti fecero ritorno in patria a cavallo degli anni

’80 e non lasciarono tracce significative dietro di loro. Attraverso gli elenchi dei lavoratori

stranieri presenti negli archivi della Camera del Lavoro si può in parte ricostruire la presenza di

cileni in provincia di Reggio Emilia. Nel ’74 e ’75 risultava un solo cileno impiegato

stabilmente, anche se sappiamo che in realtà la loro presenza era maggiore, ma

evidentemente non erano stati ancora collocati. In Italia nello stesso periodo sono 458 i cileni

presenti. Passando con un salto temporale al 1981 sono 33 i lavoratori autorizzati cileni

57 Intervista ad Antonio Casoli. 58 “Cile”, Archivio Centro Unitario di solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia. 59 Ibidem.

83

presenti nel territorio reggiano che scendono poi a 16 (1,6% degli stranieri totali) nel biennio

’88 - ’8961 e che vanno sempre più riducendosi negli anni successivi, rientrando

progressivamente nel Cile finalmente democratico.

60

“Cile”, Archivio Centro Unitario di Solidarietà, Archivio Provincia Reggio Emilia. 61

Archivio Camera Territoriale del Lavoro, Polo Archivistico Reggio Emilia

84

85

IV

CONCLUSIONI

Con il celebre referendum del 5 ottobre 1988 quasi 4 milioni di cileni (55,99% dei votanti) si

espressero per il ritorno alla democrazia e la fine della dittatura di Pinochet, che dunque

avvenne per via plebiscitaria e senza rivoluzioni. Secondo quanto stabilito dall’esito delle

consultazioni, il 14 dicembre 1989 si tennero le prime libere elezioni per il parlamento cileno a

quasi vent’anni dalla vittoria elettorale di Allende. La vittoria fu salutata in tutta l’Emilia dai

tanti che avevano supportato la causa cilena nei lunghi anni della dittatura. A Bologna, sede

del Comitato Italia-Cile regionale, l’attesa per il risultato del referendum fu “preparata” con

una settimana di eventi in piazza Maggiore e anche a Modena furono organizzati dei presidi e

pure una finta elezione pro o contro Pinochet (dall’esito quanto mai scontato)1. A Parma

venne preparato un meeting sul Cile in piazza Garibaldi mentre a Reggio Emilia la Fgci propose

per la sera del 5 ottobre una veglia in piazza della Vittoria a partire dalle 182. La parola

d’ordine a Reggio era sor-vegliare con il Cile, assieme a tutti coloro che avevano contribuito

alla solidarietà reggiana che, in ultimo, aveva inviato oltreoceano le donazioni per poter

pagare ad alcuni cittadini cileni la “tassa per votare” imposta da Pinochet. Assieme ai reggiani

era presente Mario Huerta, esule nella città emiliana dal 1974.

Possiamo quindi osservare che la fine di Pinochet coincise con la fine della solidarietà reggiana

verso il Cile. Inevitabilmente i canali che si erano aperti e che gli stessi esuli avevano

mantenuto operativi per quasi vent’anni, con la democratizzazione del paese e il ritorno della

1 L’Unità, 1/10/1988, Biblioteca Comunale Panizzi. 2 L’Unità, 5/10/1988, Biblioteca Comunale Panizzi.

86

quasi totalità dei cileni ospitati a Reggio in patria determinarono la fine di una stagione

intensa e partecipata. Gli anni Sessanta e Settanta erano stati propulsivi di una stagione di

organizzazione sociale ed economica supportata dai partiti di sinistra, oltre che da un

cattolicesimo impegnato a confluire nei processi di politicizzazione. La vicenda cilena viene

letta dai vari soggetti operanti (FGCI, MG, PSI) come in continuità con l’azione e la direzione

da intraprendere per ricercare la realizzazione dei valori di progresso e giustizia sociale (in

questo senso può essere letto il legame con il 7 luglio 1960). Non è un caso che la caduta di

Allende produsse uno scarto e una accelerazione di pensiero all’interno di alcuni fuoriusciti

dalla FGCI, come Tonino Paroli, che fu tra i primi esponenti del gruppo reggiano delle Brigate

Rosse. Egli infatti sostenne che il golpe cileno fu la scintilla che lo convinse ad entrare in

clandestinità3.

Gli anni Ottanta rappresentano una fase nuova, segnata da trasformazioni e mutamenti che

interessano la sfera politica e sociale. Il consenso politico non rappresenta più, o comunque

non solo, una appartenenza e una “adesione ad un corpo di valori”, ma prevale la motivazione

utilitaristica e di interesse4. Anche all’interno del mondo religioso cala la volontà di inserirsi

nel processo politico preferendo una visione più distaccata e disillusa. C’è dunque uno scarto

rispetto agli anni precedenti che si riflette indubbiamente anche nelle azioni di solidarietà

intraprese. Abbiamo visto le difficoltà che il Centro Unitario ha affrontato dal punto di vista

economico, pur non venendo meno la motivazione ideologica, ma questa sola, nella nuova

fase che la città e il Paese sta attraversando non basta più. L’interesse per il Cile, così forte e

sentito nel momento in cui veniva legato ad una contingenza politica, ad ideali comuni e

condivisi cede il passo ad altre esigenze e necessità. Questo non significa un venir meno, da

3 PERGOLIZZI PAOLO, L’appartamento. BR: dal PCI alla lotta armata, Aliberti, Reggio Emilia2006. 4 BONACINI MORIS, op. cit., p.649.

87

parte della politica, degli impegni assunti per la solidarietà internazionale, che dunque

continua ad operare perdendo però quella spinta corale che l’aveva investita all’inizio, nel

momento della sua affermazione.

Per tornare quindi ai quesiti che ci ponevamo nella introduzione di questa trattazione, sulla

recettività o meno da parte dei reggiani dei fatti di Santiago del 1973, possiamo affermare che

era presente una certa predisposizione alla causa derivante dalla visione comunista dei

rapporti internazionali; a Reggio poi la mancanza dell’Università ha di fatto impedito la nascita

di un dibattito al di fuori del PCI come invece avveniva in altre parti d’Italia dove la sinistra

extraparlamentare aveva forza e seguito. In città l’unica forza in grado di mobilitare le masse

di studenti e di lavoratori era solamente il PCI assieme alla Federazione giovanile, mentre

accanto ai partiti tradizionali di sinistra era il mondo progressista cattolico a farsi portatore di

un rinnovamento, sia grazie alle novità introdotte dal Concilio Vaticano II, sia per la presenza

di figure di spicco come Corrado Corghi, che funsero da riferimento per il coinvolgimento dei

cattolici nelle lotte politiche per la solidarietà internazionale. Se infatti sui temi di politica

interna, fossero essi economici o sociali, esistevano ancora profonde differenze tra i due

mondi, per quanto riguardava la politica internazionale spesso le conclusioni a cui giungevano

i movimenti cattolici non erano dissimili dagli slogan dei partiti di sinistra. Favoriti da una

stagione politica che sembrava potesse porre le basi per una nuova fase che prevedesse un

diverso modo di concepire i rapporti tra DC e PCI (compromesso storico), la vicenda cilena

funse da ponte, da trait d'union da due realtà apparentemente così differenti. La fine di quella

visione (anche per mano delle Brigate Rosse che pure a Reggio avevano avuto incubazione e

88

primi vagiti) contribuì, assieme ad altri fattori5, al riflusso di attenzione e partecipazione che

poi si fece più evidente nel corso degli anni Ottanta come descritto in precedenza.

In fondo cosa rimane della grande stagione che si aprì nel settembre del 1973 a Reggio Emilia

e che vide l’impiego di tante risorse umane e materiali a sostegno di una causa solo

apparentemente così lontana come poteva sembrare la battaglia per la libertà del Cile? È

inutile negare che, se ci è concesso fare paragoni, rispetto a quanto venne messo in piedi dal

Comune per l’Africa, il Cile è rimasto in secondo piano sia come aiuti che come permanenza

nel tempo di rapporti e relazioni; e questo principalmente per un motivo: la grande

operazione per il Mozambico e per il Sud Africa (che continua tutt’oggi) fu il frutto oltre che di

un indirizzo dell’amministrazione comunale, di una scelta personale di alcune persone che vi

dedicarono con grande passione buona parte della loro vita. Era una situazione inoltre in cui

Reggio fungeva da apripista, avvertendo il peso e la responsabilità della sua azione di

solidarietà per una causa in cui era possibile intravedere una via d’uscita vincente e

concretamente realizzabile. Per il Cile si trattò soprattutto di un vasto sentimento di rabbia e

indignazione che interessava trasversalmente le varie frange politiche e che assunse un

significato all’interno dell’agone politico italiano, ma soprattutto fu un sentimento diffuso in

tutta la penisola per cui Reggio non assunse quel ruolo di coordinamento che invece poteva

avere per il caso africano. Certo le condizioni politiche reggiane descritte fecero sì che la

solidarietà verso il Cile fosse particolarmente intensa e ripetuta nel tempo lasciando un segno

tangibile nella storia della città. Ed è questo anche uno dei motivi che ci ha spinto a cercare di

raccontare di queste vicende che paiono lontane dagli interessi che oggi riguardano la vita

5 Ad esempio la crisi della “politicizzazione della vita sociale” può essere dovuta ad un modo nuovo di intendere i rapporti con i partiti, più disincantato e meno ideologico, che ha come conseguenza una maggiore mobilità elettorale (BONACINI MORIS, op. cit.)

89

della città. Ma basta passeggiare lungo corso Garibaldi per imbattersi, proprio di fronte al

Tempio della Ghiara, nel palazzo Allende, sede della Provincia di Reggio Emilia, e capire che in

un certo momento della Storia il Sud America, il Cile, Allende stesso, sono stati molto vicini a

noi, alla nostra quotidianità e pertanto era a nostro avviso necessario recuperare la memoria

di quei giorni.

Una città infatti, mentre si proietta verso il futuro, non può e non deve dimenticare le lotte,

l’impegno civile e politico che ne ha formato la struttura profonda, per sapere poi farsi

portatrice consapevole e legittima di quei valori necessari per sostenere le nuove sfide che la

attendono.

90

Il complesso degli Inti Illimani al concerto della manifestazione del 19/09/1973 (La Provincia)

Scritte contro Pinochet apparse in Circonvallazione a Reggio (La Gazzetta di

Reggio)

IMMAGINI

91

Così il settimanale cattolico reggiano “La Libertà” definiva i nuovi governanti del Cile

Un momento della grande manifestazione cittadina del 19 settembre (L’Unità, 20/09/1973)

92

Alcuni momenti della manifestazione del 19/09/1973, nella foto la sezione del PCI e della

FGCI di Casalgrande (La Provincia)

Il Palazzetto gremito per la manifestazione del 19/09/1973 (La Provincia)

Locandina della manifestazione promossa dalla Federazione sindacale (Archivio Centro

Unitario di solidarietà)

93

Incontro tra intellettuali e artisti italiani e cileni l’11 giugno 1974 al teatro

Ariosto (La Provincia)

Da sinistra: il sindaco Renzo Bonazzi e Lelio Basso dal palco della manifestazione del 19/09/1973 al Palazzetto dello sport (La Provincia)

94

Esempio di cartolina venduta in città dalla Federazione sindacale per raccogliere fondi a favore del Cile

(Archivio Camera del Lavoro)

Nota spese per la cerimonia di intitolazione del Palazzo della Provincia il 19/9/1973 (Archivio Centro

Unitario di solidarietà)

Elenco degli esuli cileni residenti a Reggio Emilia il 12/06/1974 (Archivio Centro Unitario di Solidarietà)

95

Stretta di mano tra Salvador Allende (sinistra) e Corrado Corghi al Palazzo della Moneda di Santiago in occasione della Operaciòn Verdad

(La Nacion, Santiago 22/4/1971)

Targa commemorativa apposta sul Palazzo della Provincia (La Provincia)

Da sinistra: il vice indaco Ivan Medici e Jorge Montes, membro dell’ufficio politico cileno in visita a Reggio Emilia (L‘Avanti)

96

Il Cile democratico in piazza per il “no” in vista del Referendum dell’88 (L’Avanti)

Inti Illimani alla manifestazione di Reggio Emilia per il terzo anniversario del golpe (L’Unità, 13/09/1976)

Al Palazzetto dello Sport per il Cile (La Provincia)

97

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ARCHIVI

POLO ARCHIVISTICO COMUNE DI REGGIO EMILIA, Archivio Camera Territoriale del Lavoro

POLO ARCHIVISTICO COMUNE DI REGGIO EMILIA, Archivio Movimento Giovanile DC

ARCHIVIO PROVINCIA REGGIO EMILIA, Fondo Centro di Solidarietà per il Cile

ARCHIVIO DI PROTOCOLLO GENERALE DEL COMUNE DI REGGIO EMILIA

101

Ringraziamenti

È d’obbligo ringraziare colui che ha suggerito l’idea iniziale di questa tesi, quindi la mia riconoscenza va

a Mirco Carrattieri per le preziose indicazioni fornite; un grazie anche alla professoressa Marica

Tolomelli per la pazienza con cui ha seguito l’evolversi del mio lavoro e al professor Mirco Dondi per

l’interesse mostrato. Un grazie a tutte le persone a cui ho sottratto tempo prezioso, in particolare

Antonio Casoli, Corrado Corghi, Pierluigi Bertolotti, Mauro Del Bue e Leonardo Barcelò. Inoltre un

ringraziamento a tutti coloro che mi hanno aiutato concretamente nel lavoro di ricerca presso gli

archivi che ho consultato: Alberto Ferraboschi, Luciano Berselli, Laura Serafini e il personale di

Istoreco.

Non posso dimenticare in questo elenco di nomi quello di Irene, che è stata fondamentale con il suo

sostegno, quelli dei miei imprescindibili amici e della mia famiglia (nonne incluse): a tutti grazie di

cuore.

Lorenzo Notari