Il "De subiecto theologie" (Parigi 1297-1299) di Remigio dei Girolami O.P., Massimo-Milano (Studia...

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Il "De subiecto theologie" (1297-1299) di Remigio dei Girolami O.P., Massimo-Milano (Studia Universitatis S. Thomae in Urbe 14) 1982, pp. VI-91. Introduzione, pp. 7-34 1 Baccellierato parigino di Remigio e datazione del «De subiecto theologie». | 1298-1300 (non 1284-85) | magistri della provincia Romana nel '200 | Gentile degli Stefaneschi da Roma 2 Genere letterario e interesse storico-dottrinale del «De subiecto theologie» | quaestio collativa | Deus, sub nulla ratione speciali, subiectum theologie | Tommaso d’Aquino 3 Tempo di teologia, tempo di fiorino | Omnes lucrant | Militia est vita De subiecto theologie, pp. 37-71 Appendice a) Prologus in fine Sententiarum, pp. 73-75 Appendice b) Prologus XII: Sicut protegit sapientia, pp. 76-82 Appendice c) Sermone Unum scio, pp. 83-84 Fonti e indice, pp. 85-89, qui omesse Avvertenza (p. 5). Questo lavoro, chiuso in redazione in autunno 1980, era stato composto come contributo al volume commemorativo «Miscellanea L.-B. Gillon» promosso dall’Università San Tommaso d’Aquino (Roma). Per ragioni editoriali e iniziativa della medesima Università esce come quaderno della collana «Studia»; della primitiva stesura conserva misure e forme redazionali. Unica integrazione l’Indice dei nomi. Per l'aggiornamento bibliografico della letteratura remigiana si segnalano: FRA REMIGIO DEI GIROLAMI O.P., Contra falsos ecclesie professores, edizione critica di F.

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Il "De subiecto theologie" (1297-1299) di Remigio dei Girolami O.P.,

Massimo-Milano (Studia Universitatis S. Thomaein Urbe 14)

1982, pp. VI-91.

Introduzione, pp. 7-34

1

Baccellierato parigino di Remigio e datazione del «De subiecto theologie». | 1298-1300 (non 1284-85) | magistri della provincia Romana nel '200  | Gentile degli Stefaneschi da Roma

2Genere letterario e interesse storico-dottrinale del «De subiecto theologie» | quaestio collativa | Deus, sub nulla ratione speciali, subiectum theologie | Tommaso d’Aquino

3 Tempo di teologia, tempo di fiorino  |  Omnes lucrant  | Militia est vita

  De subiecto theologie, pp. 37-71

 

Appendice a) Prologus in fine Sententiarum, pp. 73-75Appendice b) Prologus XII: Sicut protegit sapientia, pp. 76-82Appendice c) Sermone Unum scio, pp. 83-84Fonti e indice, pp. 85-89, qui omesse

Avvertenza (p. 5). Questo lavoro, chiuso in redazionein autunno 1980, era stato composto come contributo al volume commemorativo «Miscellanea L.-B. Gillon» promossodall’Università San Tommaso d’Aquino (Roma). Per ragionieditoriali e iniziativa della medesima Università esce come quaderno della collana «Studia»; della primitiva stesura conserva misure e forme redazionali. Unica integrazione l’Indice dei nomi.

Per l'aggiornamento bibliografico della letteratura remigiana si segnalano: FRA REMIGIO DEI GIROLAMI O.P., Contra falsos ecclesie professores, edizione critica di F.

Tamburini con Prefazione di Ch. T. Davis, Roma (PontificiaUniversità Lateranense) 1981. E. PANELLA, Un'introduzione alla filosofia in uno «Studium» dei frati Predicatori del XIII secolo. «Divisio scientie» di Remigio dei Girolami, in «Memorie Domenicane» n.s. 12 (1981) 27-126. ID., Un sermone in mortedella moglie di Guido Novello o di Beatrice d'Angiò?, ibidem n.s. 12(1981) 294-301.

http://www.smn.it/emiliopanella/remigio/8210.htmhttp://www.e-theca.net/emiliopanella/remigio/8210.htm

   

1. Baccellierato parigino di Remigio e datazionedel «De subiecto theologie»

La questione De subiecto theologie del domenicanofiorentino fra Remigio dei Girolami è legata - perattestazione diretta dell’autore - al baccellierato sentenziario in Parigi:

Et si dicatur quod íste modus iam a longo tempore in bachelariis incipientibus Sententias est observatus Parysius, responderi posset quod ista puerilitas quanto est diucius observata tanto est magis reprobanda (rr. 509-12).

Altrove è stato ampiamente dibattuto il problema cronologico del baccellierato parigino di Remigio (Studio = Per lo studio di fra Remigio dei Girolami († 1319), Pistoia (MD 10) 1979, pp. 193-98). Ne riprendo le conclusioni.

A fine insegnamento delle Sentenze, nel licenziarsi dagli studenti il lettore usava presentare il prossimo sentenziarío. Ce lo ricorda anche Giovanni di mr Coppo da San Gimignano OP (estremi conosciuti 1299-1333), in un sermone di Pentecoste, Paraclitus autem Spiritus sanctus:

«Consuetudo est in aliquibus generalibus studiis quod quando magister qui legit debet dimictere scolas et alíus sibi magister succedere in eisdem, quod

licentiando se a discipulis commendat eis et laudat suumsuccessorem qui eis legere debet. Et hunc modum tenuit etiam ipse Christus qui volens a discipulis suis corporaliter discedere et in celum ascendere, commendavit eis et laudavit quam plurimum successorem qui debebat ad eos venire loco sui scilicet Spiritus sanctus» (BNF, Conv. soppr. J.2.40, f. 177rb-va).Nel Prologus in fine Sententiarum Remigio fa le scuse agli

studenti e introduce il prossimo lettore delle Sententie Bernardo da Clermont (dal nome del convento d’origine) o d’Auvergne OP.

■ Priore del convento parigino 1301-03, Bernardo firma(26.VI.1303) con altri frati l’appello al concilio contro Bonifacio VIII (AFP 1952, pp. 403, 409); elettovescovo nel 1304, l’elezione è cassata da Clemente V nel 1307, ultima data conosciuta. La lettura sentenziaria di Bernardo seguì immediatamente  -  comevuole il nostro Prologus  -  quella di Remigio. SOPMÆ I, 198-201; IV, 49.Nel sermone Confide filia di domenica XXIV dopo la Trinità,

Remigio evoca fr. Pierre de Condet novizio in Saint-Jacquesdi Parigi e il seppellimento di fr. Laurent d’Orléans, il celebre autore in volgare della Somme le roi (1280 ca.), ancora in vita nel 1294. Bonifacio VIII in data 27.VI.1295 commuta a Pierre de Condet, arcidiacono di Soissons, il voto di pellegrinaggio in Terrasanta; e in data 24.VI.1299 trasferisce a Riccardo da Ferentino il beneficio del canonicato e arcidiaconato di Soissons, di cui era titolarePierre ora novizio domenicano. Il sermone Confide filia, che suppone il noviziato di Pierre de Condet (1299), cade certamente di domenica entro l’ottava di San Martino (11-18novembre) tra gli estremi 1297 e 1299. Ma se è lecito supporre che un beneficio non giacesse a lungo vacante, il sermone Confide filia ha molte probabilità di restar confinatonegli anni 1298-1299. Tale sermone - come è detto nel testo- è una collatio seròtina, atto proprio del baccelliere, mentre in mattinata era stato tenuto il sermo magistralis. Per

Laurent d’Orléans Remigio ha lasciato anche versi funebri che a tutt’oggi costituiscono quasi l’unica fonte biografica di Laurent. Il sermone Confide filia porta l’estremo contributo storico all’autore della Somme le roi: l’anno di morte.

Nel sermone Induamur arma lucis di domenica I d’Avvento, Remigio fa menzione del vescovo di Vicenza, legato papale «ad partes istas». Identificazione: un vescovo di Vicenza che fosse legato papale entro gli estremi cronologici dell’attività di Remigio è Rinaldo da Concorezzo: vescovo vicentino dal 13.X.1296 al 19.XI.1303, inviato in legazionein Francia da Bonifacio VIII tra il 1298 e il 1301 (Studio 194-96, 216).

Quanto sappiamo della biografia remigiana sul finire del’200 e inizio del ’300 ben si accorda con i dati surriferiti. Nel capitolo provinciale Perugia 1297, Remigioè nominato definitore al seguente capitolo generale dell’ordine dei frati Predicatori convocato a Metz in maggio 1298. Nel capitolo generale elettivo di Colonia, maggio 1301, Remigio è di nuovo capitolare. La provincia Romana aveva già un frate residente a Parigi, e per di più qualificato. Non era la cosa più conveniente utilizzarlo come delegato di provincia ai due capitoli di Metz e Colonia? (Studio 215-17). Nel 1299 lettore in Santa Maria Novella è fra Nicola di Brunaccio da Perugia; la Cronica perugina dice che occupò tale carica «annis tribus». Dai documenti di cui disponiamo, la residenza di Remigio in Firenze è testimoniata negli anni ’90 fino alla legazione papale del cardinale Pietro Valeriano Duraguerra (giugno 1296 - marzo 1297) per riprendere in agosto e ottobre 1301 (Studio 217-18).

Remigio dei Girolami ha letto (= tenuto lezioni su) le Sentenze di Pietro Lombardo in Saint-Jacques di Parigi tra 1297 e 1301; con molta verosimiglianza negli anni 1298-1300. La questione De subiecto theologie è frutto d’attività accademica coincidente - come detto - con l’inizio del lettorato sentenziario. Il riallaccio di quest’ultimo ai dati biografici positivi di cui abbiamo detto, potrebbe

esser così interpretato: il capitolo provinciale Perugia 1297 nomina Remigio definitore al capitolo generale, quandoera maturata la decisione d’inviarlo a Parigi per la lettura in ordine al magistero; in maggio 1298 Remigio di fatto partecipa al capitolo generale di Metz; dopo di che si trasferisce a Parigi dove, a inizio dell’anno accademico, intraprende la lettura delle Sentenze (ma non cisono elementi per escludere che la lettura parigina iniziasse nell’autunno 1297). Dato che il genere letterariodi questione collativa, che è - come vedremo - il De subiectotheologie, fa parte degli obblighi accademici dei principia deibaccellieri sentenziari, il De subiecto theologie fu disputato nel periodo delle tre settimane circa che gli statuti universitari riservano ai principia: dall’Esaltazione della Croce (14 settembre) a San Dionigi (9 ottobre) (P. GLORIEUX, L'enseignement au moyen âge. Techniques et méthodes en usage à la Faculté de Théologie de Paris au XIIIe siècle, «Archives d’histoire doctr. et litt. du moyen âge» 35 (1968) 65-186).Databile dunque autunno 1298. In ogni modo, il De subiecto theologie è certamente databile tra gli estremi massimi 1297-1299.

■ Nel XIII secolo i quattro libri delle Sentenze erano commentati nel corso di quattro anni, poi di due anni scolastici, nel secondo quarto del XIV secolo è positivamente attestata la lettura sentenziaria in un solo anno. Cf. GLORIEUX, L'enseignement 116-17, 138-39. ID., in «Dict. Théol. Cath.» 14/2, col. 1862. J.A. WEISHEIPL, Friar Thomas d'Aquino, New York 1974, 19832, 71. TORRELL, Initiation 66. A. DE GUIMARAES in AFP 8 (1938) 30-32 mostra che ai primi del ‘300, almeno presso i domenicani di Saint-Jacques, la lettura era molto probabilmente ancora biennale. Nota il brano di Remigio dal Prologus super IV Sententiarum: «Quartus angelus tuba cecinit. Apoc. 8[,12]. Liber iste Sententiarum qui secundum consuetudinem antiquam debet a nobis exponi post primum librum... Et propter hoc lectura quarti libri Sententiarum premicti videtur lecture secundi et tertii, tum quia est magis (…) plana propter minorem

questionum difficultatem tum quia est magis oportuna propter minorem clericorum in isto tempore occupationem. Clerici enim in quadragesima non ita possent audire quia tunc magis circa sacrorum exercitium occupantur ... cum potentia magna et maiestate» (BNF, Conv. soppr. G 4.936, f. 337ra e 337rb). Remigio dunque legge i libri nell’ordine: I-IV-II-III. Così anche Bonaventura, AFH 1977, 369-70. Il commento alle Sentenze (1310-13) di Pietro de la Palu OP è compilato nell’ordine: I-III-II-IV: cf. G. GROPPO, «Salesianum» 23 (1961) 236. Ma la redazione rispecchia l’ordine della lettura scolastica? GiovanniDuns Scoto legge in un anno scolastico libri I e IV: Glorieux, «Dict. Théol. Cath.» 14/2, col. 1864. Remigio, in ogni modo, si appella a una «consuetudo aniqua» e intende palesemente l’ordine della lettura scolastica. Quanto al tempo, la temuta coincidenza delprologo al libro IV con la quaresima potrebbe stare a favore d’una lettura biennale?

Il baccellierato parigino e il magistero in teologia di Remigio sono stati dibattuti con interesse dagli studiosi remigiani a motivo dei molteplici legami che potrebbero stabilire tra vita intellettuale di Parigi e politica papale alla curia di Bonifacio VIII e Benedetto XI: che ruolo vi ha svolto Remigio dei Girolami? La questione è decisiva ai fini d’un’interpretazione dell’opera letterariae politica del frate fiorentino. Non è inutile dunque attirarvi l’attenzione.

La data tradizionalmente accettata, ad eccezione di Pierre Mandonnet, per l’insegnamento parigino delle Sentenzeera finora 1284-85. Come mostrato in altra occasione, essa risultava da errore di lettura dell’articolo biografico di fra Remigio (Studio 187, 189, 193). Ma la datazione 1284-85 era stata accompagnata anche da un argomento di supporto: Remigio sarebbe stato troppo avanti negli anni qualora il baccellierato sentenziario fosse caduto negli ultimi anni del ’200. Per altro verso, si constatava che dal 1285 al

conseguimento del magistero (1303-04) corrono una ventina d’anni. Di qui una serie di domande, ipotesi, proposte d’interpretazione delle vicende del magistero di Remigio: perché non ottenne subito il magistero dall’università parigina? la lettura sentenziaria non ebbe successo ai finidella promozione? Remigio entrò in conflitto con i suoi «professori»? con i regnanti di Francia? fu richiamato in Italia da Bonifacio VIII? per quali speciali benemerenze ilmagistero, non conseguito a Parigi, gli fu promesso da Bonifacio VIII, il quale peraltro prevenuto dalla morte nonpoté concederglielo?

Alla questione dell’età porta luce lo stesso De subiecto theologie. Di fatto Remigio, entrato nell’ordine nel 1267-68 già licenziato in arti, doveva essere sulla cinquantina al tempo della lettura delle Sentenze in ordine al magistero. Nessuna obiezione da parte degli statuti universitari. Mentre un importante brano del De subiecto theologie - una veraesplosione di stizza - conferma il divario d’età tra il baccelliere Remigio e gli opponentes della disputa. Remigio anzi costruisce la carica d’ironia proprio sull’opposizionetra «senex» e «pueri». Premesso che talune obiezioni sapevano «di garlandico e di puerile», Remigio si sfoga:

Et si dicatur quod iste modus iam a longo tempore in bachelariis incipientibus Sententias est observatus Parysius, responderi posset quod ista puerilitas quanto est diucius observata tanto est magís reprobanda, quia ut dicitur Ysa. 65[,20] «Puer centum annorum erit maledictus». Verum quia velle videri sapiens inter insipientes interdum non reputatur sapientie, iuxta illud Boetii, De duabus naturis et una persona Christi, «Oppressus doctorum grege conticui metuens ne iure viderer insanus si inter furiosos sapiens videri contenderem», ideo more aliorum contra opposita aliquid dicam ne de iure viderer puer si inter pueros videri senex contenderem (rr. 509-19).Per l’altra questione - rapporto tra baccellierato e

conseguimento del magistero - bisogna dire che le interpretazioni finora proposte partivano da due premesse

tutt’altro che solide: che il magistero seguisse immediatamente la lettura delle Sentenze; che Remigio fosse stato lettore nello studium della curia papale. Ecco i dati,invece, entro i quali è necessario ricondurre l’interpretazìone delle vicende del magistero di Remigio dei Girolami.

Ricordiamo anzitutto che il magistero in teologia è una funzione pubblica nelle istituzioni culturali degli ordini mendicanti ed è regolata dai capitoli generali e dai superiori dell’ordine. Nella provincia Romana dei frati Predicatori si succedono i magistri: Tommaso d’Aquino, Annibaldo degli Annibaldi da Roma, Romano degli Orsini da Roma, Giovanni di Giordano (de Insula) dei Savelli da Roma,Gentile degli Stefaneschi da Roma, Remigio dei Girolami. Levicende del magistero di Gentile da Roma non sono irrilevanti per intendere la congiuntura da cui matura la decisione dei superiori d’inviare Remigio a leggere le Sentenze. Gentile consegue la licenza a Parigi nel 1292-93 senza il mandato del maestro dell’ordine, cosicché il capitolo generale 1293 lo destituisce dal grado accademico.L’anno successivo Gentile fa atto d’ubbidienza e rimette nelle mani del maestro dell’ordine il sigillum magisterii. Nel 1296 il capitolo generale accetta la sottomissione di Gentile e lo reintegra nel magistero. Ma dopo maggio 1296 Gentile è nominato vescovo di Catania (MOPH III, 269, 282; XX, 106, 113, 134; XXII, 94, 130, 184. SOPMÆ II, 21). La provincia Romana restava così senza magister, per di più negli anni in cui era in corso il progetto della creazione della «provincia Regni» dalla provincia Romana. Nel 1297-98Remigio dei Girolami è inviato a Parigi a leggere le Sentenze in ordine al magistero.

■ Il sermone d’addio ai frati (Fas est et decet meminisse fratrum) prima della partenza per Parigi fa ben intuire la funzione pubblica del baccellierato sentenziario e del magistero in teologia all’interno delle istituzioni dell’ordine. Nella decisione

intervengono consiglio di provincia e in ultima istanza maestro dell’ordine. Ed. Studio 204-05.La licentia non era di regola conseguita immediatamente

dopo la lettura delle Sentenze. Così almeno a cavallo del XIII e XIV secolo. Il baccelliere diventava, a lettura completata, baccelliere formato, e doveva svolgere attivitàaccademica per un discreto spazio di tempo che andava dai 3ai 6 anni (GLORIEUX, L'enseignement 80, 97-98, 148; AFP 8 (1938) 32-34; vedi anche caso di Guglielmo d’Ockham e d’altri francescani inglesi in G. DE OCKHAM, Opera philosophicaII, New York 1978, p. 14*, n. 30).

La seconda fase del conflitto tra Bonifacio VIII e il redi Francia Filippo IV il Bello si riapre, dopo quattro annidi buone relazioni, in dicembre 1301. Il 15.VIII.1303 papa Bonifacio ritira alle università del regno di Francia la facoltà di concedere la licentia. Remigio era rientrato in Italia già in agosto 1301.

Dal ritmo Ad Urbem vocat si apprende che Remigio è chiamato a Roma per ricevere il magistero (la presentazionealla licentia era competenza del maestro dell’ordine e rispettava l’ordine di precedenza della lettura delle Sentenze). Ma papa Bonifacio, prevenuto dalla morte 11.X.1303, di fatto non può concedere a Remigio il «repromissum magisterium». Il che fa ragionevolmente supporre che l’iniziativa di presentare Remigio alla licentianon era di molto anteriore all’inattesa fine di Bonifacio VIII, e dunque posteriore al ritiro della facoltà della licentia all’università parigina. Certo è che sarà il successore di Bonifacio, Benedetto XI, a conferire il magistero a Remigio; prima che il medesimo papa reintegrasse le università di Francia nel diritto di concedere la licentia (18.VI.1304). Lo vuole il fatto che mentre nei primi mesi del suo pontificato papa Benedetto «annuncia» al cancelliere parigino d’aver concesso il magistero ad Alessandro d’Alessandria (29.XI.1303) e a Giacomo «de Orto» (17.I.1304), in seguito (24.IV.1304) solleciterà il cancelliere a concedere il magistero a due frati (innominati nel regesto). In conclusione Remigio

conseguì il magistero entro gli estremi del breve pontificato di Benedetto XI: 22.X.1303 - 7.VII.1304. Non v’è traccia alcuna né di “richiamo” del frate fiorentino daparte di Bonifacio VIII, né di benemerenze presso la curia romana, né infine di lettorato o insegnamento di Remigio nello studium della curia romana (lector romanae curiae) di cuiil magistero sarebbe stato o la ricompensa o la condizione - come ancora si sostiene nella letteratura remigiana. Il tutto poggia sull’explicit del secondo quodlibeto, disputato «apud Perusium in curia» (BNF, Conv. soppr. C 4.940, f. 90vb). La formula "conventus curiae, studium curiae" ecc. presso gli ordini mendicanti sta per "convento, studium (del convento) della città dove risiede la curia romana". L’explicit testimonia che il quodlibeto fu disputato nello studium del convento perugino quando Benedetto XI aveva già trasferito a Perugia la curia romana (marzo-aprile 1304). Le autorità dell’ordine - come loro consuetudine - mostravano particolare interesse nel provvedere personale qualificato per lo studium e convento della città dove risiedeva la curia romana.

  

2. Genere letterario e interesse storico-dottrinale del «De subiecto theologie»

Una questione disputata, sia essa ordinaria chequodlibetale, è - come si sa - opera di magister (P.GLORIEUX, La littérature quodlibétique I, c. 1, Paris 1925, pp. 1lss; ID., L’enseignement 123-36). Ma dei tre pilastri della didattica teologica medievale - lectio, disputatio, praedicatio  - anche la disputa rientra negli obblighi del baccelliere, sebbene confinata tra le attività scolastiche che precedonol’inizio delle lectiones, tra l’Esaltazione della Croce (14 settembre) e la San Dionigi (10 ottobre). È il periodo dei principia, cui attendono sia studenti che altri baccellieri. Esso prevede, oltre alla collatio incentrata nella commendatio del libro delle Sentenze o della teologia, una disputa scolastica. Una disputa che sarebbe l’evoluzione

della stessa collatio e che il Glorieux chiama quaestio collativada distinguere dalla quaestio magistralis.

■ GLORIEUX, L’enseignement 97-80, 138-41. ID., art. Sentences in «Dict. Théol. Cath.» 14/2 (1941) 1862. A. TEETAERT in «Dict. Théol. Cath.» 12/2 (1935) col. 1892:«Les principia se tenaient avant que le bachelier commençât son commentaire sur les Sentences et se composaient d'une collatio et d'une disputatio. Dans la collatio, le bachelier devait faire la louange de la théologie et de Pierre Lombard. La disputatio est constituée par l'exposé scientifique d'une question théologique, traitée par le bachelier d'après certaines normes déterminées. Cette disputatio, qui constitue proprement le principium, se distingue de la collatio... Tandis que la collatio constitue un discourssur une dispute théologique proprement dite, préliminaire au commentaire de chaque livre des Sentences». Vedi i testi tardivi degli statuti di Bologna (1362) e Parigi (1366) in «Dict. Théol. Cath.»14/2, col. 1862. A. COMBES in JEAN DE RIPA, Lectura super Primum Sententiarum [1354-55], Paris 1961, XX-XXI. Nella raccolta remigiana di BNF, Conv. soppr. G 4.936, la sezione che contiene i sermoni commendatizi del libro oggetto della lectio va sotto la rubrica «Prologisuper totam bibliam seu sacram scripturam seu super librum Sententiarum» (ff. 268v-345r): Il Repertorio...., «Memorie Domenicane» 11 (1980) 636 ss.Ora il De subiecto theologie di Remigio dei Girolami è

frutto d’una questione disputata, come il testo palesementetestimonia, tenuta prima del titolo magistrale, quando appunto Remigio era a Parigi «bachelarius incipiens Sententias» (cf. rr. 510-11) in ordine al conseguimento delmagistero. Il che dissuade dall’omologare la questione De subiecto theologie con altra produzione letteraria termine di dispute magistrali, i due quodlibeti e le determinationes (ultimo e precipuo atto della quaestio) quali De uno esse in Christo (ed. «Estudis Franciscans» 34 (1924) 257-77) e

Venditio ad terminum (ed. «Bullettino Istituto Storico Italiano per il Medio Evo» 70 (1958) 299-363). Questi, in altre parole, suppongono il magistero di Remigio (1303-1304), cosa che non tiene per la questione collativa De subiecto theologie.

Sull’aspetto tematico e sulla soluzione data da Remigio al problema del soggetto della teologia non mi soffermo. Iltesto è di suo limpido nella stesura redazionale e netto nella scelta dottrinale: Deus, sub nulla ratione speciali, subiectum theologie. Le note che corredano il testo mirano a offrire elementi base delle coesistenze dottrinali e cronologiche entro cui si sviluppò il dibattutissimo tema del «de subiecto». Da Alessandro d’Hales in poi, nessuno scolasticosi sottrae al dibattito, specie nel commento al prologo delle Sentenze del Lombardo. La strada imboccata da Tommaso d’Aquino di dare uno statuto scientifico alla teologia a partire dalla nozione aristotelica di scienza come negli Analitici posteriori, sconvolge il volto della «sacra doctrina».I testi che dibattono il subiectum theologiae sono la spia privilegiata per chi volesse rincorrere le audacie e i rischi, i consensi e i sospetti che siffatta operazione doveva necessariamente alimentare. Superata la fase degli inefficaci tentativi di mediazione eclettica (le questioni «de theologia» conservate nel ms. Todi 39, tra 1270 e 1280,ne sono un’interessantissima testimonianza: G.H. TAVARD, St. Bonaventure’s disputed question «De theologia», «Recherches de Théol. Anc. et Méd.» 17 (1950) 187-236. H.-F. DONDAINE, L’auteur de la Question «De theologia» du manuscrit Todi 39, ib. 19 (1952) 244-70), elaborazioni più originali e più complesse - penso a Egidio Romano (a lui mira il nostro De subiecto theologie rr. 4-9, 419-22), Enrico da Gand (rr. 392-401), Giovanni Duns Scoto - dovettero porre non pochi problemi nuovi alla prima discepolanza di Tommaso, da Bernardo da Trilia a Giovanni da Parigi, da Roberto d’Orford a Giovannida Napoli, da Tommaso da Sutton a Remigio dei Girolami. Così il testo di Remigio, se da una parte risolve con vigore e senza esitazioni a favore della tesi «Dio, senz’alcuna specìficazione, soggetto della teologia-

scienza» al modo che le potenze e gli abiti sono specificati dall’oggeto formale, dall’altra risulta animatodall’urgenza di mettere a fuoco le categorie chiavi che concorrono all’assetto aristotelico di scienza quando trasferito alla sacra dottrina. Lo spazio concesso alla chiarificazione della nozione di subiectum, l’identità sostanziale della teologia di Dio, dei beati e del teologo asserita sull’unità del soggetto (specificazione ex parte habitus), la loro distinzione gerarchica rimessa al modus cognoscendi, testimoniano un’attività teologica che il magistero tomasiano non rende né ripetitivo né pedissequo. Del resto, più si dispone dei testi della prima discepolanza tomasiana - diciamo dagli anni dei Correctoria aquelli del dibattito intorno a Durando da Saint-Pourçain - più viene confermato quanto già intuito dagli storici del primo tomismo: una letteratura difficilmente riducibile a un’unità dottrinale compatta e monolitica. Vi prevale vivacità intellettuale, franchezza nel definire i termini d’assenso, varietà di soluzioni sia entro i dati testuali del corpus tomasiano sia rispetto al moto evolutivo impresso da taluni grandi nomi tra gli oppositori dell’Aquinate. Giovanni da Parigi, ad esempio, integra anonimamente nel commento alle Sentenze brani testuali di Tommaso, ma non rinuncia, all’occorrenza, a elaborazioni e soluzioni personali che si distaccano dai dati testuali di Tommaso.

La cosa mi sembra di qualche importanza per intendere unprocesso storico-dottrinale non ancora del tutto chiaro; ilprocesso che dal “corpus tomasiano” nella sua oggettività testuale e varietà tematico-cronologica, condurrà alla detemporalizzazione ermeneutica del medesimo corpus prossima al “sistema tomistico”. L’utilizzazione che l’insegnamento teologico istituzionale farà dell’opera tomasiana, produrrà - entro il fenomeno generale della detemporalizzazione - selezione tra i prodotti letterari diTommaso, così come riformulazione di tesi dove la composizione in praesentia dei frammenti evolve in sistema. Maprima ancora di tali fasi - diciamo anteriormente alla

canonizzazione di Tommaso 1323 - qualcosa di simile era stato abbozzato, almeno nella sfera dell’esegesi dei testi tomasiani. Esegesi del resto su cui faceva pressione sia l’intento dei discepoli di sottrarre talune tesi alle condanne del 1270 e 1277 (“Tommaso non intendeva ciò che Stefano Tempier e Giovanni Peckham condannano”), sia gli attacchi provenienti da correnti teologiche ostili.

La questione De subiecto theologie di Remigio dei Girolami-  intellettualmente robusta e dalle mature scelte teologiche - ci permette d’intravedere qualche fase di questo processo tutto da ricostruire. Notiamo anzitutto che il nucleo assertivo della tesi di Remigio rimonta a quanto Tommaso d’Aquino aveva decantato, con lucida brevità, nella Summa theologiae I, q. 1, a. 7. Se s’ignoral’ultimo paragrafo («Quidam vero attendentes...») del corpo dell’articolo, che ricorda fugacemente le obsolete soluzioni di Pietro Lombardo, Ugo da San Vittore e Cassiodoro, il testo tomasiano è integralmente utilizzatoda Remigio in due prestiti anonimi.

Tommaso RemigioRespondeo dicendum quod Deus

est subiectum huius scientiae.Sic enim se habet subiectum ad

scientiam, sicut obiectum ad potentiam vel habitum. Proprie autem illud assignatur obiectum alicuius potentiae vel habitus, sub cuius ratione omnia referuntur ad potentiam vel habitum: sicut homo et lapis referuntur ad visum inquantum sunt colorata; unde coloratum est proprium obiectum visus. Omnia autem pertractantur in sacra doctrina subratione Dei vel quia sunt ipse Deus, vel quia habent ordinem ad Deum, ut ad principium et finem. Unde sequitur quod Deus vere sìt subiectum huius scientiae. Quod etiam manifestum fit ex principiis huius scientiae, quae sunt articuli fidei, quae est de Deo: idem autem est subiectum

[Tertia conditio subiecti est quod sub eius ratione tractatur quicquid in scientia tractatur]. Et huius causa est quia cum scientia sit quidam habitus potentie intellective, eomodo comparatur subiectum ad scientiam sicut obiectum ad potentiam vel habitum. Proprie autem assignatur obiectum alicuius potentie vel habitus, illud sub cuius ratione omnia referuntur ad potentiam vel habitum, sicut homo vel lapis et lignum referuntur ad visum in quantum sunt colorata; unde coloratum est proprium obiectum visus. Omnia autem tractantur in sacra scriptura sub ratione Dei vel quia sunt ipse Deus vel quia habent ordinem ad Deum, sicut ad principium vel sicut ad finem (rr. 152-62).

principiorum et totius scientie, cum tota scientia virtute contineatur in principiis (Summa theologiae I, q. 1, a. 7).

[Huius scientie subiectum est Deus absolute]. Secundo idem potest manifestari ex parte principiorum istíus scientie, que sunt articuli fidei, que quidem de Deo est. Idemautem est subiectum príncipiorum et totius scientie, cum tota scientia virtute contíneatur in principiis (rr. 118-121).

■ I medesimi brani di Tommaso presi anonimamente a prestito anche da GIOVANNI DAPARIGI OP, Reportatio in I Sent. (1292-96), prooem. q.1 (Utrum in theologia Deus sit subiectum): ed. J.-P. Muller, Roma («Studia Anselmiana» 47) 1961, 5 rr. 30-35, 37-39. Il brano tomasiano del testo di Remigio rr. 152-62 entrerà tra gli argomenti «contra» nella soluzione di GIOVANNI DUNS SCOTO, In I Sent. (1296-1302),prol. pars 2, q.3, nn. 67-69: Opera omnia XVI, Città del Vaticano 1960, 26-27; Ordinatio (1302-08), prol. pars 3, q.3 nn. 146-49: Opera omnia I, (1950) 99-101.

Accertati tali prestiti, mi sembra difficilmente contestabile che il lungo brano De subiecto theologie rr. 448-502 miri a “interpretare” la soluzione data da Tommaso al medesimo problema nell’In I Sententiarum, da cui gli avversaritraggono materia di obiezione. «Ponunt enim quod ens divinum cognoscibile per inspirationem est subiectum» (De subiecto theologie rr. 448-50) richiama alla lettera il testo di Tommaso:

«Si autem volumus invenire subiectum quod haec scientia omnia comprehendat, possumus dicere quod ens divintim cognoscibile per inspirationem est subiectum huius scientiae» (In I Sent., prol. a. 4).Tommaso è ancora disposto a una concessione che

configuri, con le debite distinzioni, anche un soggetto “comprensivo”, capace di dar posto a tutti i vari soggetti che una venerabile tradizione teologica aveva proposti. Procedimento caratteristico delle soluzioni di Alessandro d’Hales, Bonaventura da Bagnoregio, Alberto Magno ecc. Ne soffre la nettezza epistemologica che tiene insieme il rigoroso tessuto delle categorie aristoteliche “oggetto-atto-abito-potenza intellettiva”. Remigio difende con determinazione la soluzione della Summa theologiae I, q. 1, a. 7: Dio, senz’alcuna specificazione (ratio specialis),

soggetto della teologia-scienza. Avendo introdotto la distinzione ex parte subiecti ed ex parte modi cognoscendi, rimetteil «cognoscibile per inspirationem» di Tommaso delle Sentenze tra le determinazioni che intervengono ex parte modi cognoscendi. Resta così assicurata la radicale unità del soggetto formale della teologia (cf. De subiecto teologie rr. 483-502 «Hoc etiam addendum...»). E non si hanno remore reverenziali a liquidare il «cognoscibile per inspirationem»:

«Et ideo ne reputaretur esse pars subiecti, melius fuit dicere quod Deus sine omni additione est subiectum in theologia, sicut secundo dictum est» (ib., rr. 500-02).Melius fuit dicere - si noti. La tentazione di concordare i

testi tramite l’elaborazione d’un tertium quid che riconcili l’In I Sententiarum con la Summa - a spese delle distanze ermeneutiche e cronologiche dei testi - è rimossa in radice. Richiami filologici («melius fuit dicere») e affinità mentali non possono non evocare alla memoria gli Articuli in quibus frater Thomas melius in Summa quam in Scriptis. L’operazione di Remigio è molto affine all’ispirazione dell’anonimo autore tomista degli Articuli (1280 ca.). Con ladifferenza che costui si era limitato a inventariare i testi tomasiani non omologhi - con l’acuta avvertenza a nonsottoporli a contaminazione dottrinale -; Remigio invece dàsostegno intellettuale alla soluzione ritenuta «melior» allargando l’indagine sulle categorie aristoteliche inservienti allo statuto scientifico della teologia. Un fedele tomista, Pietro de la Palu, nel primo decennio del '300 non resiste alla tentazione. Concorda la soluzione tomasiana della Summa con quella del commento alle Sentenzefacendo rifluire nella definizione di subiectum sia la ratio tratta «ex parte cognoscibilis» sia quella tratta «ex partescientis». I dati testuali della Summa e dell’In I Sententiarum sono ricomposti in praesentia prevaricando l’ordine del tempo e l’ordine dei significati. Non è il primo passo del lungo percorso da “corpus tomasiano” a “sistema tomistico”? Ecco in ogni modo i testi, i quali

fanno intravedere, nel frammento del dibattito «de subiecto», un processo molto più complesso.

■ 1254-56. Tommaso d’Aquino, In I Sententiarum, prol. a. 4:Si autem volumus invenire subiectum quod haec omnia [scil. res et signa, totum Christum, Deum, credibile] comprehendat, possumus dicere quod ens divinum cognoscibile per inspirationem est subiectum huius scientiae.

■ 1268-70. idem, Summa theologiae I, q. 1, a. 7:Respondeo dicendum quod Deus est subiectum huius scientiae. (…) Omnia autem pertractantur in sacra doctrina sub ratione Dei vel quia sunt ipse Deus, vel quia habent ordinem ad Deum, ut ad principium et finem.

■ 1280 ca. Anonimo autore di Articuli in quibus frater Thomas melius in Summa quam in Scriptis:In primo libro [Sententiarum] d. 1, q. 4 in pede [= in corpore], quod ens divinum cognoscibile per inspirationem est subiectum in theologia. In prima parteSummae, q. 1, a. 7, in pede, dicit quod Deus est subiectum (ed. R.-A. Gauthier, «Recherches de Théol. Anc. et Méd.» 19 (1952) 300).

■ 1297-99. Remigio dei Girolami, De subiecto theologie:Et sic subiectum in theologia ponitur esse Deus non sub aliqua ratione speciali - ut volunt quidam - sed absolute in quantum Deus (rr. 281-83).Et ideo dicimus quod in theologia, que est prima scientia simpliciter eo modo quo nos loquimur de scientia, primum idest Deus absolutissime sumptus est subiectum, quia sine omni additione specialis rationis quantum est ex parte obiecti; sed additiones que sunt ibi, sunt ex parte modi cognoscendi, puta quia Deus scitse infinite, et illum eundem Deum beatus scit finite sedclare, et illum eundem scit theologus finite et obscure.

Et sic quod dicitur ‘creditum’ et ‘scitum’ non sunt conditiones addite subiecto sed sunt conditiones diverseex parte modi cognoscendi. Et per hoc patet responsio adid quod dicebatur de secundo illorum principio et etiam ad id quod dicebatur de eorum positione, quia «ens divinum» non est aliud quam Deus essentialiter; et quod additur «cognoscibile per inspirationem», non additur utpars subiecti sed ex parte modi cognoscendi. Et ideo ne reputaretur esse pars subiecti, melius fuit dicere quod Deus sine omni additione est subicctum in theologia, sicut secundo dictum est (rr. 486-502).

■ 1310-15. Pietro de la Palu, OP., In I Sententiartim, prol.q. 3:Sic Deus, ut clare visus et comprehensibilis, est obiectum scientiae suae; et ut clare et immediate apprehensibilis, scientiae beatorum; ut mediate scibilis, scientiae naturalis; ut credibilis non evidens, scientiae viatorum. Et haec est expresse intentio Thomae in prima parte [Summae] ubi assignat rationem formalem subiecti sacrae scripturae, dicens, quaestione prima, artìculo septimo, quod cum omnia quae tractantur in sacra scriptura, tradantur sub ratione Deivel quia sunt ipse Deus vel quia habent ordinem ad Deum sicut ad principium vel finem, ideo dicit Deum esse absolute subiectum in ista scientia ex parte scibilis. Sed quaestione prima, articulo tertio [I, q. 1, a. 3 ad 2], ubi assignat formalem rationem ex parte scientis, dicit quod ea quae tractantur in diversis scientiis, potest sacra doctrina, una existens, considerare sub unaratione, in quantum sunt divinitus revelata et revelabilia. Et ideo si coniungamus istud cum hoc quod dicit in Scripto [super I Sent., prol. a. 4], ubi ponit quod ens divinum est subiectum et dicamus ens divinum revelabile, habebimus completam assignationem rationis formalis subiecti huius scientiae, quia formalem rationem ex parte scibilis in hoc quod dicit ens divinum, et completam rationem ex parte scientis in hoc

quod dicitur revelabile (ed. G. Groppo, «Salesianum» 23 (1961) 285-86 ).L’attitudine intellettuale di Remigio non sacrifica al

magistero di Tommaso né personalità né senso critico. La cosa è documentabile anche altrove. Vi si riscontrano i medesimi tratti ermeneutici: discernimento e rispetto delledistanze tematiche e cronologiche dei testi tomasiani, valutazione delle differenti soluzioni, franco assenso a quella ritenuta più soddisfacente. Nessuna operazione di concordismo.

■ Anonimo, Articuli in quibus:In secundo libro [Sententiarum] d. 1, a. 3, in pede, quodDeus potuit communicare creaturae potentiam creandi in virtute causae primae. In prima parte [Summae], q. 45, a. 5, in pede, dicit quod non. [Idem dicit libro II Contra Gentiles, cap. 21. Hoc idem dicit in quaestionibus De potentia] (ed. R.-A. Gauthier, «Recherches de Théol. Anc. et Méd.» 19 (1952) 305).

■ Remigio dei Girolami, Utrum creatura possit creare et utrum Deus possit hoc ei comunicare:Sed quorundam theologorum fuit opinìo quod creatura ministerialiter possit creare ex comunicatione Dei. Et istius opinionis fuit Magister [= Pietro Lombardo] in IVSententiarum [d. 5, c. 3] et frater Thomas de Aquino scribens super II Sententiarum [d. 1, q. 1, a. 3]; posteaautem scribens super IV [d. 5, q. 1, a. 3, q.la 3] mutavit opinionem tenens contrariam partem, asserens tamen aliam partem possibilem sustineri; postmodum vero in Summa [I, q. 45, a. 5] et in aliis que postmodum scripsit asseruit aliam partem esse omnino impossibilem;cui assentio, et auctoritate scilicet Augustini qui dicit in III De Trinitate quod nec boni angeli nec mali possunt creare (BNF, Conv. soppr. G 3.465, f. 113 marg. sin.).

3. Tempo di teologia, tempo di fiorino

Sette specialissimi doni ha elargito Dio aFirenze: abbondanza di danaro, nobiltà di moneta,moltitudine di popolo, saggio ordinamentopolitico, industria della lana, produzione dellearmi, espansione edilizia nel contado e distretto.Della grandezza e prosperità di Firenze è misurail fiorino, nobile a motivo dell’oro fino del suo conio - superiore a quello dei tarì e degli augustali - e nobile a motivo delle immagini che porta impresse: da una parte san Giovanni Battista di cui è scritto che è il più grande tra i nati di donna, dall’altra il giglio in cui, secondo il Cantico dei Cantici, sono prefigurati il Cristo e sua Madre (App. c: Unum scio...).

■ Al di là dell’orgoglio comunalistico, Remigio conosce bene i valori delle valute del suo tempo: «Sexto modo quantum ad usus valorem, et sic sterlingusest super turonensem parvum, et turonensis grossus estsuper sterlingum, et florenus aureus super turonensem grossum, et augustalis super florenum aureum» (De via paradisi: cod. C, f. 214ra). Lo sterlino era scambiato con 4 tornesi piccoli. Quanto alle monete auree, il fiorino (coniazione 1252) era di gr. 3,53 al titolo dicarati 24; l’augustale (coniazione di Federico II, 1231) era di gr. 6 al titolo di carati 20 ½. Tali monete, come il tarì del regno di Sicilia, ricorrono con frequenza negli atti commerciali della Firenze deltempo - basti scorrere le imbreviature dei notai del XIII-XIV secolo in ASF, Notar. antecos. Vedi anche le voci «sterlino», «tornese», «fiorino» del glossario inA. CASTELLANI, Nuovi testi fiorentini del Dugento, vol. II, Firenze 1952. G. LUZZATTO, Storia economica d'Italia. Il Medioevo, Firenze 1963, pp. 277-89. C. M. CIPOLLA, Le avventure della lira, Bologna 1975. M. BLOCH, Il problema dell'oro nel Medioevo, in Lavoro e tecnica nel Medioevo, Bari 197.4, pp. 111-56. M. BERNOCCHI, Le monete della Repubblica Fiorentina, Firenze 1974-76.

Non sono spunti occasionali. Firenze - sue glorie e sue vergogne, governo guelfo delle arti e bando di parte bianca, lotte tra i ceti dominanti e pace cittadina, peccati d’usura e miracolo del sangue in Sant’Ambrogio - scorre intera nella produzione letteraria e nel temperamento di Remigio cittadino e intellettuale. Basti menzionare i trattati De bono pacis, De bono comuni, De peccato usure, la questione Venditio ad terminum, i sermoni De pace, quelli ai priori cittadini e ai pubblici personaggi della Firenze di fine ’200 e primo ventennio del ’300. I sermonari soprattutto ne portano evidentissima testimonianza.

All’uomo di scuola s’unisce il predicatore (la praedicatio non era parte integrante della didattica scolastica?) e il cittadino. Firenze è luogo precipuo dell’attività oratoria di Remigio e della sua partecipazione alle vicende politiche dall’istituzione del priorato delle arti (1282) alla minaccia di Enrico VII di Lussemburgo (1312-13) e oltre. Quando ne è lontano, la memoria cede al ricordo e alla nostalgia. E anche alla rabbia. La notte - una notte dopo Natale - sorprende Remigio nell’insonnia e nello scoramento. Lontananza da Firenze, disconoscimento dei meriti, successo e improntitudine degl’immeritevoli e ambiziosi. Allora il fiorentino Remigio prorompe nella composizione Omnes lucrant preter ego. Di pochi autori scolastici si può produrre, accanto agli scritti di stretta tessitura scientifica (il De subiecto theologie ne è tipico esempio), versi che raccolgano il mondo interiore dei sentimenti. Isentimenti d’una notte: sconforto, rabbia, fors’anche invidia. Il testo non vibra per afflato poetico. Ma portai segni della sincerità e della passione. Eccolo per intero. Dai velati accenni interni si può verosimilmente rimettere la composizione agli anni del baccellierato sentenziario a Parigi. E a Parigi una notte d’inverno puòrisultare, a un fiorentino, insopportabilmente gelida e solitaria.

⌂ Omnes lucrant preter ego

01

    Omnes lucrant preter egoextra Florem flenter degonec hoc esse iustum negosed Clementem flagito.

08

   Visum ad depressionensanctam elevationemdivam consolationemquod hic premit operatur.

02

   Libros volvo multum legome, ut possum, mente regoet pudorem meum tegosub et supra cogito.

09

    Sunt et multi dignioresqui patent despectioresventus hic non flat admoresnam a virtute fugatur.

03

   Hinc oppugnant hostes multidemerentes clarent cultispernunt patres, ridentultimemor nullus est amicus.

10

  E contra deterioressunt ambitiosioresad caducos hos honores:certum est quod affirmatur.

04

   Adversantes hii suntfulctiminorantes sunt adultidirigentes fiunt stultinullus est hiis inimicus.

11

   A Deo est esse dignuma nobis esse indignumhabet ergo cor malignumqui conqueritur de Deo.

05

   Ratio sic consolaturminus digno tribulaturdebito plus prosperaturhomo quivis in hoc mundo.

12

   Deus dat ut placet sibibonus est, non nocet tibi;tumet causas malum tibidum avertis te ab eo.

06    Fletus in risum 13    Si vis, malum facis

mutaturgaudens hic post cruciaturnec hoc vel illud terminaturquando quis exit de mundo.

bonumde ablato formas donumergo des de nullo sonumnisi de te querulosum.

07

   Status per occasionemculpe dat ruitionem,veram infert lesionemquod solatium putatur.

14

   Pax sit ergo nostrementiad Christum simus attentiqui de seculo presentiivit sic ad gloriosum.Amen.

 

Dum sequenti nocte post festum Nativitatis dominice in lecto recumbens partem temporis sinesompno transigerem, subito venit in mentem cogitatio quedam comparativa de statu meo ad michi notorum statum prosperum aliorum; ex qua nimirum in rithmica predicta prorupi, a verbis derisoriis incoans, quamvis ea cuiusdam pape nonnulli asserant extitisse.

  cod. G4, f. 407ra-b

■ Flos = Florentia. Sermone IV per san Zanobi: «Ego flos. Cant. 2[,1]. Istud verbum congruit vere beato Çenobio ratione sexemplici (...). Quarto ratione nativitatis in quantum congruit omni florentino. In loco enim florenti nascitur flos, iuxta illud Cant. 2[,12] “Flores apparuerunt in terra nostra”, idest omnes natiin Florentia. Sed heu quia scriptum est Apoc. 3[,1] “Nomen habes quod vivas et mortuus es”, ita potest dici de multis florentinis: Nomen habes quod sis flos et tu es fimus fetentissimus propter multa peccata carnalia et spiritualia» (cod. D, f. 404va-b). ASF, Notarile antecosimiano 2963, f. 23v (23.II.1299/300) «de domina Fiore vocata domina Firençe uxore Feini...».■ Un altro ritmo, di soli due versi, dice «Est prior vel locus iste vacans / rex vadit nos male pacans»

(cod. G4, f. 407vb). Lo si è messo in relazione a Carlo di Valois e sua entrata in Firenze (fine 1301, inizio 1302). Proposta insostenibile. Il ritmo parla di rex, mentre Carlo di Valois non lo era. Remigio lo chiama dominus nel sermone a lui dedicato (1-5 nov. 1301); e nei sermoni dedicati a re e loro congiunti dimostra estrema cura nei titoli e nelle relazioni parentelali. Due possibilità: re di Napoli e re di Francia. Visti i dati cronici e topici della biografiaremigiana, la seconda ipotesi ha maggiori probabilità a suo favore. Trovo che nel capitolo generale dei domenicani Metz 1298 (vi partecipò anche Remigio) furono assolti (Absolvimus) i priori conventuali di Francia (MOPH III, 291/10). Bisogna dunque orientarsi per il re Filippo il Bello e periodo parigino della lettura delle Sentenze? Ma si potranno mai individuarei fatti specifici e le persone che sono all’origine dei due preziosi ritmi Est prior e Omnes lucrant?

Il seguente brano dall’opera Speculum (di poco posteriore al periodo dell’insegnamento parigino) serba ancora tracce di rancore per la penosa esperienza comunitaria in Francia?

Illi enim qui in exteriori convictu contradicunt moribusillorum inter quos convivunt frequenter turbantur in vita ista a proximis, et hic et in futuro turbabuntur a Deo, contra Gallicos precipue (cod. C, f.145rb).

Remigio - come s’è detto - è anche uomo politico; a motivo del suo temperamento, della sua vocazione di frate Predicatore, del taglio della sua formazione filosofico-teologica, ma a motivo altresì della sua famiglia, i Girolami, grosso ceppo popolano, di fede guelfa, tipico esemplare della borghesia commerciante fiorentina, presto arrivata - dopo l’insediamento del governo guelfo - al successo economico e al prestigio politico. Affermatasi trail ceto del popolo grasso, la famiglia Girolami registra una delle più alti frequenze di partecipazione al priorato

cittadino tra l’istituzione del governo delle Arti e il bando dei guelfi bianchi (cf. S. RAVEGGI, M. TARASSI, M. MEDICI, P. PARENTI, Ghibellini, guelfi e popolo grasso. I detentori del potere politico a Firenze nella seconda metà del Dugento, Firenze 1978,ad indicem voce «Girolami»). È anche il periodo dei massimiconflitti interni e della frenetica crescita economica, politica, demografica, edilizia della Firenze tardomedievale. Remigio è tutt’altro che estraneo alle cosedei fiorentini. Ne conosce - e ne descrive - strade e mestieri, fazioni e istituzioni, vizi e devozioni. Ne conosce - e a suo modo ne spartisce - l’orgoglio: la compiacenza nella grandezza di Firenze. I simboli pubblici son là a proclamarne le misure, dal palazzo del podestà a quello dei priori, dalla nuova Santa Reparata a Santa MariaNovella. Ai priori in carica da mezzo dicembre 1293 a mezzofebbraio 1294, Remigio indirizza la domanda di sovvenzione per la nuova fabbrica di SMN. Confitebor tibi in ecclesia magna è il tema del sermone. Il «magnus» stringe la rapida fattura letteraria del sermone con la sua ossessiva ricorrenza. Grande è il sacerdote Cristo, grande è Maria, grande è il popolo fiorentino: vogliamo, dunque, una chiesa grande, piùgrande di quella d’altri ordini mendicanti!

Ad priores civitatis, I: Confitebor tibi in ecclesia magna, in populo gravi laudabo te. Ps. [34,18].Ecclesia nostra, immo vestra, magna est excedens in quantitate omnes ecclesias michi notas religiosorum pauperum. Magnus enim sacerdos, magna domina et magnus populus, magnam debet habere ecclesiam. Sacerdos est Christus cuius magnitudinis non est finis. Domina Maria virgo, cui «magna fecit qui potens est», Luc. 1[,49]. Populus autem florentinus est qui innumerus est. Primo nulla magnitudo sufficit, secunde omnis magnitudo congruit, tertius excellentem magnitudinem requirit (cod. G4, f. 355rb; cf. Presentazione, MD 11 (1980) p. 8).

Proprio come la ecclesia Christi, inscindibilmente solidale con la societas christiana, è grande oltre ogni misura: quanto ad universitatem locorum, quanto ad universitatem personarum, quanto ad universitatem notitiarum. La sapienza della chiesa

abbraccia tutto il sapere di tutte le discipline umane. È l’idea base che presiede all’importante trattato Contra falsosecclesie professores. A confronto, la chiesa degli eretici ed infedeli appare incomparabilmente esigua (Contra falsos 37, 132-34: Studio p. 151). Ai càtari non era valso rivendicare per la chiesa il privilegio scritturistico d’esser soltantoun pusillus grex:

MONETA DA CREMONA OP († 1260), Adversus Catharos et Valdenses, ed. A. Ricchini, Roma 1743, 394-95: «Item obicit [catharus] quod Ecclesia Romana multiplicata est et dilatata per orbem; e contrario Ecclesia Dei pauca est, Matth. 7, 14».Di lì a qualche decennio saranno definitivamente

eliminati dalla storia dell’Europa latina. Ai confini estremi della grandezza non si annida la prepotenza?

Della grandezza della chiesa e della grandezza di Firenze sono simboli rispettivamente la teologia e il fiormo. Da qualche tempo chiesa e mercante non sono più irriducibili nemici (J. LE GOFF, Tempo della chiesa e tempo del mercante, Torino 1977, 3-23, 133-152; AA.VV., L’etica economica medievale, a c. di O. Capitani, Bologna 1974). Remigio, teologo e fiorentino, non ha da forzare similitudini remote: la teologia è preziosa come prezioso èil fiorino. La congruità è nei fatti prima ancora che gli si dia parola. Uomo di scuola, uomo di città, uomo di Firenze. La produzione letteraria di Remigio dei Girolami porta il segno di questo blocco storico. L’editore non può ignorarlo. Ecco dunque la teologia, uscita dalla disputa scolastica, visitare a pieno diritto la città, luogo delle virtutes politicae:

Ex qua ratione apparet quod civis naturaliter preamat civitatem sibi, quia scilicet in civitate plus habundat et virtus intellectualis et moralis sive etiam theologica quam in uno cive per se, cum plures sint ibi huiusmodi virtuosi et etiam magis quam ipse sit, ut ipsedebet supponere. Et iterum quia ipse civis magis potest fieri modis omnibus virtuosus, humaniter loquendo,

comparatus ad civitatem, quam in se ipso solus existens,intellectualiter quidem quia per se ipsum potest quidem sapientiam acquirere per inventionem, sed in civitate potest etiam eam acquirere per disciplinam, et tanto commodius quanto civitas maior existens plus habundat doctoribus. Ubi etiam per exercitium mutuum cum discipulis aliis magis potest proficere, et si doctor sit, etiam alios docendo proficit, quia scientia est nobilis possessio animi que distributa suscipit incrementum etc., ut magistraliter dicitur (De bono comuni c. 12:, cod. C, f. 101rb).Altrove la metafora aveva già inurbato il sapere del

tempo: grammatica, logica, matematica, scienza naturale, etica, metafisica, teologia sono la controparte sapienzialedegli spazi urbani, rispettivamente chiasso, via, strada, palazzo, chiostro, piazza, campo (Studio p. 47). Antiche evocazioni ed esegesi allegorica propiziano nuove consonanze: sapientia-pecunia.

Prologus VI-bis: Si enim sapientiam invocaveris et inclinaveris cortuum prudentie, si quesieris eam quasi pecuniam et sicut thesauros effoderis illam, tunc intelliges timorem Domini et scientiam Dei invenies. Prov. 2[,3-5].Sicut dicit Philosophus in I Ethicorum c. 1 unusquisque bene iudicat que cognoscit (…). Tertio vocat eam [scil. sapientiam] pecuniam, et ideo dicitur Mt. 25[,27] «Oportuit te conmictere pecuniam meam nummulariis», Glosa: idest sermonem divinum. Et Luc. 19[,13ss] dicit Beda quod mna est facere scriptura. Et in Ps. [11,7] dicitur «Eloquia Dei eloquia casta, argentum igne examinatum». Dicit autem quasi pecuniam quia sapientia absque dubio non est pecunia sed similitudinem habet cumpecunia, iuxta illud Eccles. 7.b [= 7,13] «Sicut protegitsapientia sic protegit pecunia». Pecunia enim protegit in quantum per eam humanis miseriis subvenitur, quia scilicet «omnia nummismate mensurantur», ut dicitur in VEthicorum c. 5. Et similiter qui sacre scripture student predicande vel etiam elucidande, sicut predicatores et

doctores, possunt et debent recipere necessaria ad victum ab aliis... (cod. G4, ff. 278vb, 279rb).Il danaro non è alcunché di turpe. Far danaro non è più

tabù, a patto che si sottometta a nuova etica. Uso retto, buona intenzione, rispetto delle circostanze dell’atto umano e delle regole della giustizia, non soltanto legittimano mercatura e profitto, li rendono – all’occasione - perfino meritori. Una buona teologia aveva provveduto le premesse: «Omnes creature sive sint corporales sive spirituales sive superiores... de se sunt bone» (App. c, p. 83/1-2). E non solo la giustizia; anche la misericordia può aprire le porte alle ricchezze:

Estote [misericordes]. Secundo, misericordia facit interdum ditiorem quantum ad divitias artificiales sive sint per artem manualem, ut domus vestes et huiusmodi, sive sint per artem legalem, ut pecuniam, que quidem lege humana adinventa est, secundum Philosophum in libro I Politice. Unde et nummus dicitur a nomo idest lege, secundum Philosophum in V Ethicorum. Unde et legislator mutat valorem pecunie argentee vel auree vel de quacumque materia existentis secundum quod placet sibi (…). Tertio, misericordes interdum ditantur quantum ad divitias civiles, scilicet quantum ad commendationem, quantum ad honores et huiusmodi (De misericordia c. 12: cod. C, ff. 201vb, 202ra)Cf. ed. A. SAMARITANI, La misericordia in Remigio de’ Girolami e in Dante nel passaggio tra la teologia patristico-monastica e la scolastica, «Analecta Pomposiana» 2 (1966) 169-207, inutilizzabile per l’alto tasso d’errori di trascrizione.Ma non una moneta qualsivoglia, bensì il fiorino. Il

«piccolo», la lira argentea - di cui è coniata solo la 240a

parte, l’umilissimo denaro - non merita menzione, confinatocom’è alle minute transazioni del mercato interno alle muracittadine. È il fiorino - che fa la sua corsa dal 1252 - ilvero simbolo dell’opulenza fiorentina. Esso misura le grosse transazioni nelle fiere di Champagne. Raggiunge perfino i Saraceni! A renderlo nobile concorrono - senz’ombra di contesa - i suoi 3,53 grammi d’oro del titolo

di 24 carati, san Giovanni Battista e il giglio, simbolo del Cristo e della Vergine. Gli odi e le lotte cittadine minacciano ad un tempo amore di Dio, amore del prossimo, bene comune, istituzioni politiche e crescita economica. Sono i grandi temi intrecciati negli importanti trattati De bono pacis e De bono comuni, di poco posteriori agli sconvolgimenti cittadini seguiti all’avvento di Carlo di Valois e al prevalere di parte nera (1302). Il linguaggio del predicatore e teologo non soffre ancora il pudore dell’estraneità: la crisi politica e l’instabilità sociale scoraggiano l’investimento estero e colpiscono i depositi bancari.

Qualem enim utilitatem potest modo habere civis florentinus? Societates enim sunt dissotiate, fundacha -ut ita dicam - sunt exfundata, apoteche sunt abottate (…). Et sic bene, immo male, “Florentia” mutata est in “Firençe” quia ubi ex odore fame extranei etiam de longinquis partibus suas pecunias propter utilitates temporales et lucra pecuniaria propria deponebant, nunc ex fetore infamie etiam cives inde auferre que posueruntconantur, et - quod miserabilius est - rehabere sua non possunt (De bono comuni c. 14, cod. C, f. 102ra-b).

Una nuova società, una nuova etica, una nuova nobiltà.Quando la dignità cavalleresca è stata travolta dallo sfaldamento della società del feudo e la città premia il burgensis commerciante e imprenditore, la nobiltà conservasì l’antico fascino ma rincorre nuovi meriti. Non più chieredita per sangue beni e titolo nobiliare (miles nature), né tantomeno il cavaliere inetto e fatuo (miles infortunii), ma il borghese probo e operoso, cui meriti personali, legami sociali e sostanziose ricchezze conquistano la dignità cavalleresca (miles fortune). Se il primo è da tollerare, il secondo da vituperare, il miles fortune è commendevole quasi al pari del miles gratie. Le due dignità- nobilitas anime e nobilitas gratie - sono ormai il modello congiunto del nuovo cittadino di Firenze. Così almeno perRemigio dei Girolami. Gaetano Salvemini (La dignità

cavalleresca nel Comune di Firenze, ed. Milano 1972, 119-20) aveva fin dal 1896 attirato l’attenzione su un testo di Remigio. Si tratta d’un sermone in morte d’un innominato miles. Forse un semplice sermone modello da utilizzare persimili ricorrenze, come suggeriscono istruzioni redazionali «Possumus ponere ad presens sex militias in duobus ternariis...» e quella finale «Vel dicas quod...».Eccone il testo integrale:

originale latino volgarizzamento (2007) di EP

De milite, I: Militia est vita hominis super terram. Iob 7[,1].

In morte d'un cavaliere, sermone primo: Combattere è la vita dell'uomo sulla terra. Giobbe 7,1.

In transitu istius nobilis militis parat Deus loqui de militia ad nostram utilitatemisto modo. Possumus ponere adpresens sex militias in duobus ternariis, scilicet dicendo quod sunt milites nature idest di natura, puta qui sunt corredati de prosapia militum descendenteset cum militaribus moribus. Et alii sunt milites fortune idest de ventura, puta qui per amicitiam vel probitatem vel multas divitias corredatisunt et militates mores habent. Alii sunt milites infortunii idest di sciagura,puta aliqui qui inepti sunt ad militiam, temptati tamen avanitate mundi sive sint de genere militum sive non, faciunt se corredari; et ex hoc ab omnibus hominibus

In occasione della morte di questo nobile cavaliere, Dio ci propone queste parole a nostra profitto. Possiamo distinguere sei tipi di militanza in due ternari. Diciamo dunque che vi sono cavalieri di natura, cioè coloro che ottengono il cavalierato per discendenza da ceppi militari e dotati di virtù militari. Cavalieri di ventura, quelli ad esempio che per amicizia o per dignità o per le molte ricchezze ottengono il cavalierato e posseggono costumi militari. E cavalieri di sventurao di sciagura, inetti all'arte militare, ma sedotti dalla mondana vanagloria, siano o no d'ascendenza cavalleresca, si fanno insignire del titolo di cavaliere. Oggetto di generale derisione, visto e risaputo il loro miserevole stato sociale.Altri sono cavalieri di grazia. Posseggono armi spirituali: scudodella fede, corazza della

deridentur, eorum nota miseria propter evidentem statum. Alii sunt milites gratie qui arma habent spiritualia scilicet scutum fidei, loricam iustitie, gladium verbi et galeam spei, secundum Apostolum.

giustizia, spada della parola, elmo della speranza, secondo l'apostolo Paolo (Efesini 5, 13-17;I Tess. 5, 8).

Primi et secundi, dummodo contra Deum non agant, sunt tolerandi et reverendi, iuxta illud Luc. 3[,14] «Neminem concutiatis neque calumpniam faciatis et contenti estote stipendiis vestris». Secundi autem magis videntur commendandi quam primi, quia sine adminiculo nature ex probitate anime nobiliter segerunt. Sed tertii sunt vituperandi. Sed quarti suntmaxime commendandi, puta Stephanus, Laurentius, Vincentius, et maxime si fuerunt milites mundi quia plus vicerunt temptationem, ut Georgius et Martinus. Ieronimus: «Non laudo Paulamquia multas divitias habuit sed quia multas divisit».

Primi e secondi son da accettare e da onorare, a patto che non agiscano contro Dio, come scrittoin Luca 3, 14 «Non maltrattate e non commettete ingiustizia contronessuno, contentatevi delle vostre paghe». I secondi da lodare più dei primi, perché senza sostegno naturale ma per onestà d'animo tengono un comportamento nobile. I terzi sonda biasimare. I quarti sono massimamente da lodare, ad esempio i santi Stefano, Lorenzo,Vincenzo; specie se furono guerrieri del mondo, perchè così sostennero maggiori tentazoni, come i santi Giorgio e Martino. San Girolamo: «Non lodo Paola perché possedeva molte ricchezze,piuttosto perché molte ne condivise».

Item sunt milites generalesidest omnes homines, et speciales idest omnes corredati, et singulares idest ex militibus nati et

Inoltre, vi sono cavalieri generici ossia gli uomini tutti, e cavalieri speciali ossia quelliinsigniti del cavalierato, e singolari ossia quelli nati da cavalieri, dai costumi e corredi

militariter morigerati et corredati. Circa illud nota quod omnes sumus nati milites, et masculi et femineetc. Vel dicas quod quidam sunt milites armati armis naturalibus, alii carnalibus,alii spiritualibus (cod. G4, f. 392rb-va).

militari. Nel primo senso, nota che tutti siamo nati cavalieri, sia maschi che femmine.Oppure di': taluni sono cavalieriprovvisti di armi naturali, altridi quelle meccaniche, altri ancora di quelle spirituali (cod.G4, f. 392rb-va).

   

Il «Prologus XII» (prologus o principium è il sermone inaugurale dell’anno accademico prevalentemente ispirato alla lode della sapienza e teologia) lega teologia e danaroa un unico filo: Sicut protegit sapientia sic protegit pecunia (App. b, pp. 76-82). L’analogia, prolungata e minuziosa, scopre inattese affinità tra teologia e moneta. Affinità che non disdegnano la funzione di conoscenza analogica. Perfino l’oggetto formale della teologia vi ritrova la sua espressione in chiave retorico-omiletica. La moneta illustra otto proprietà della teologia: istituzione, determinazione, rotondità, immagine, iscrizione, moltiplicazione, sostegno, appetizione. L’uomo rincorre pernatura il danaro, universale soccorso alle proprie miserie.Ma non vi sono altresì le miserie spirituali, cui soccorre la sapienza teologica? Il testo prevarica le misure incidentali della metafora. Teologia e danaro sono indissociabilmente legati ai radicali bisogni dell’uomo:

Quia enim homo naturaliter appetit suis miseriis subveniri, ideo etiam naturaliter appetit pecuniam et theologicam sapientiam per quam suis miseriis subvenitur(App. b, p. 82/175-78). “sermo super theologiam” viene denominato questo ♦prologo dal santorale cod. D, f. 252va: «Et in hac figura notatur sanctitas persone quia caret anguli sorde. Vide de hoc in sermone super theologiam Sicut protegit sapientia etc.».

finis

  

 Remigio dei Girolami OPDe subiecto theologie

(Parigi, autunno 1298)BNF, Conv. soppr. C 4.940 (1315-1316 ca.), ff. 91ra-

95va  tabula del "De subiecto theologie"

1 utrum Deus sit subiectum in hacscientia 6 obiectiones et solutiones

2quid proprie significetur nominesubiecti et quot modis accipiatur

7

Deus est obiectum absolutissime et sue scientie et beatorum et nostre

3

huius scientie subiectum est Deus absolute, quod ex quadruplici parte potest monstrari

8in theologia Deus absolutissime sumptus est subiectum

4omnes iste rationes ostendunt quod Deus est subiectum absolute 9 aliqua contra dicta modogharlandico et puerili

5subiectum potest accipi in scientia quadrupliciter   Explicit 

 

Nota all'edizioneIl testo del De subiecto theologie è edito sull'unico esemplare manoscritto che l'abbia trasmesso: BNF, Conv. soppr. C 4.940, ff. 91ra-95va. Il codice, silloge dei trattati e opere di scuola di Remigio dei Girolami, fu

composto sotto la supervisione dell'autore, il quale rivide il testo correggendo e integrando con interventi autografi (segnalati in apparato critico con la lettera B)gli errori di copia dell'amanuense (A). Pertanto C 4.940 egli altri codici remigiani G 3.465 (Extractio questionum per alphabetum), G 4.936 (sermonario de tempore et de diversis materiis), D 1.937 (sermonario de sanctis et festis solemnibus), E 7.938 (De modis rerum) del medesimo fondo librario, e Conv. soppr. 516 (Postille super Cantica e Distinctiones), della Laurenziana di Firenze - anch'essi trascritti sotto la supervisione dell'autore, portanti correzioni e giunte autografe, e tutti provenienti dalla Biblioteca del convento domenicano di Santa Maria Novella di Firenze - risultano codici d'autore.Nella trascrizione sono ridotte all'uso moderno: grafia dei numeri, delle maiuscole e minuscole, interpunzione, divisione in capoversi, diversificazione di u in u e v. Intatte tutte le altre peculiarità grafologiche. Tra parentesi quadre nel testo i versetti dei testi biblici e quanto integrato dall'editore; tra parentesi tonde la parte sciolta quando l'abbreviazione fosse suscettibile d'altra lettura.Nell'edizione web introduco dentro i segni <> partizioni esue numerazioni per facilitare links e movimento; "ed. rr." rinvia alla numerazione per righi dell'edizione a stampa, Milano 1982, 37-71.

 

De subiecto theologie Il soggetto della teologiaoriginale latino volgarizzamento (2007) di EP

|91ra| Incipit questio de subiecto theologie fratris Remigii Florentini ordinis fratrum Predicatorum.

|91ra| Questione disputata circa il soggetto della teologia,di fra Remigio da Firenze dell'ordine dei frati Predicatori(= domenicani).

<1. utrum Deus sit subiectum in hac scientia, ed. rr. 1-33>

<1. è Dio il soggetto della scienza teologica?>

Queritur[1] utrum Deus sit subiectum in hac scientia.

Questione proposta: è Dio il soggetto della scienza teologica?

Et dicendum quod quidam distingunt inter subiectum etmateriam scientie innitentes verbo Commentatoris super VIII Methaphisice[2], qui dicit quod materia dicit ens in potentia, subiectum vero dicit ens in actu. Unde dicunt quod subiectum scientie est principale obiectum ipsius, materia veroest obiectum secundarium.

Taluni distinguono tra soggetto emateria d'una scienza, e si rifanno ad Averroè il Commentatore, Metafisica VIlIl, 2,il quale sostiene che materia indica ente in potenza, soggetto indica ente in atto. Dicono dunque che il soggetto della scienza è il suo principale oggetto, mentre la materia è oggetto secondario.

Sed isti non videntur bene dicere, quia licet dicta distinctio sit vera in se proprie loquendo, tamen interdum subiectum vocatur ipsa prima materia, iuxta illud Philosophi in I De generatione «Est autem yle maxime quidem proprium subiectum». In proposito etiam pro eodem accipimus materiam et subiectum secundum quod comuniter loquimur de quatuor causis alicuius scientie vel alicuius libri. Causam enim materialem vel materiam scientie nichil aliud accipimus quam subiectum ipsius. «Loquendum autem ut plures»[3], ut dicit Philosophus in II Topicorum, quod nominationibus quidem res ut plures nuncupandum. Etsic etiam Boetius in libro De Trinitate subiectum vocat

Opinione non molto rigorosa. Perché sebbene tale distinzione sia attendibile in senso astratto, si dà tuttavia che la stessa materia prima sia denominata soggetto, come vuole Aristotele, Della generazione e corruzione I, 4 (Bekker 320a 2-3): «La materia è più d'ogni altra cosa soggetto precipuo (d'ogni generazione e corruzione)». Quanto al nostro tema, noi prendiamo per sinonimi materia e soggetto nel senso correntemente usato circa le quattro cause d'una certa scienza o d'un certo libro. Causa materiale o materia della scienza, l'intendiamo semplicemente come suo soggetto. «Occorre designare le cose secondo il comune linguaggio», dice Aristotele, Topici II, 2 (110a15-17); ossia denominiamo le cosetramite i lessemi correnti. E in questo senso anche Boezio chiama materia il soggetto del libro Sulla Trinità.

materiam[4].Posset autem convenienter

distinctio fieri inter subiectum et materiam scientie dicendo quod ipsum vel ipsa potest accipi materialiter vel formaliter. Non enim est inconveniens quod materia dicatur accipi formaliter, quia et forma accipitur materialiter, puta superficies que est quedam forma accidentalis accipitur materialiter quando comparatur ad colorem, qui quidem est in superficie sicut in materia in qua. Sicut substantia accipitur accidentaliter sicut se habetvestimentum respectu corporisvestìti, et accidens substantialiter ut color respectu albedinis. Et ideo ad maiorem evidentiam dicendorum, videndum est quidproprie significetur nomine subiecti et quot modis accipiatur[5].

Congrua distinzione tra soggetto e materia della scienza la si propone sulla base che l'uno e l'altra sono detti in senso materiale o formale. E non risulta incongruo che materia siaintesa in senso formale, visto che anche la forma la si intende in senso materiale. Esempio: superficie è forma accidentale, tuttavia la s'intende in senso materiale quando la si raffronta al colore, dato che il colore è nella superficie come nella propria materia. Parimenti la sostanza  la s'intende in senso accidentale al modo del vestimento rispetto al corpo vestito; e l'accidente lo s'intende in senso sostanziale, al modo del colore rispetto all'albedine. Per maggiore chiarezza, dunque, della nostra discussione, dobbiamo prima definire l'esatto significato di soggetto, e in quanti modi lo si intende.

[1] Quanto a questo primo paragrafo. EGIDIO ROMANO, In I Sent. (1276-78), prol. q. 3 (Quid sit subiectum in sacra pagina) corp.: «... et quia secundum Commentatorem in VIII Metaphysice hec est differentia inter materiam et subiectum, quia materia dicit quid in potentia, subiectum dicit quid in actu, cum potentia ad formam substantialem sit potentia simpliciter, potentia ad formam accidentalem non sit potentia simpliciter sed potentia cum actu, potentia illa sive susceptibile in quo habet esse forma substantialis debet dici materia; illud autem in quo habet esse

forma accidentalis, per se loquendo debet dici subiectum. Ex his autem habere possumus triplicem differentiam inter materiam et subectum. Una differentia est quia materia respicit formam substantialem, subiectum vero accidentalem. Alia differentia est quia materia dicit potentiam per omnem modum, subiectum vero aliquo modo. Tertia differentia est... quod potentialitas que est in subiecto reservatur quodammodo in materia (...). Hoc viso sciendum quod isti duplici susceptibili in natura respondet duplexobiectum in scientia, principale et secudarium (...).  Et quia istas tres differentias [inter obiectum principale et secundarium]habebat subiectum in natura respectu materie quas habet obiectum principale respectu secundarii, dicetur in scientia obiectum principale subiectum, et secundarium materia» (ed. Venetiis 1521, f. 3r F-G.H, f. 3v I). Tutta la questione di Egidio è basata sulladistinzione tra materia e subiectum; egli insinua anzi che l'equiparazione delle due nozioni indurrebbe ad assegnare un subiectum improprio della teologia, cioè la materia (ib., f. 3v I).Medesima distinzione tra materia e subiectum affiora anche in ENRICODA GAND († 1293), Summae quaestionum ordinariarum art. 19, q. 2 (ed.Parisiis 1520, ff. 116v-117r) che conclude a Dio come subiectum principale) e alle altre cose come materia della teologia. A Egidio Romano risponde, in un contesto tematico molto affine a quello di Remigio, ROBERTO D'ORFORD OP, Reprobationes dictorum a fratre Egidio in Primum Sententiarum [1289-93 ca.], ed. P. Vella, Paris 1968,31-38 (Quid sit subiectum in sacra pagina).[2] AVERROÈ, In Metaphys. VIlIl, 2: «Et cum dicit "Et substantia estsubiectum etc." [= et alio modo est materia, et dico materiam illud quod non est in actu et est hoc in potentia] i(bidem) et intendit quod substantia dicitur primo modo de illo quod est existens per se, quod est subiectum aliis praedicamentis, et est compositum ex materia et forma; et dicitur alio modo de materia istius substantiae. Et dico materiam illud quod non est in actu aliquod demonstratum, et est in potentia illius»: in ARISTOTELIS, Opera... cum Averrois Cordubensis commentariis, t. VIII, Venetiis 1574, f.210v, comm. 3 H.[3] ARISTOTELE, Topica II, 2 (110a 15-17). Cf. traduz. di Boezio in«Aristoteles Latinus», Corpus Philosophorum Medii Aevi, [= AL d'ora in poi] V/1-3, p. 33: «nuncupandum ut plures»; mentre «loquendum est ut plures» in Florilège 36, 26.[4] Cf. De Trinitate, prooem. (PL 64, 1248-1249). Nella medesima accezione, materia ricorre in TOMMASO D'AQUlNO, Super Boetium De Trinitate, prol. «Materia quidem huius operis est...», e in

«Expositio proh.» (ed. critica Leonina t. 50 (1992) pp. 75 rr. 47 ss; 77 rr. 10 ss.[5] Sempre a partire dalla questione del soggetto della teologia, nota la diversa formulazione di subiectum e materia data da GIOVANNIDA PARIGI OP, In I Sent. [1292-96], proem q. 1: ed. J.-P. Muller, Roma (Studia Anselmiana 47) 1961, 3-4. Il codice BNF, Conv. soppr. A3.1153 contenente, oltre a opere di Bernardo da Trilia OP († 1292), la Reportatio in I Sent. dist. 1-17 di Giovanni da Parigi è statoposseduto da Remigio: cf. Studio pp. 259-60. Per il resto della questione «de subiecto», Giovanni risolve in linea tomasiana, salvo a introdurre l'accezione della teologia «sub reduplicatione»di cui il subiectum sarebbe l'atto umano ordinabile a Dio (In I Sent.,proem. q. 1: ed cit., p. 7 rr. 97-101).

 

De subiecto theologie Il soggetto della teologiaoriginale latino volgarizzamento (2007) di EP

<2. quid proprie significetur nomine subiecti et quot modis accipiatur, ed. rr. 33-99>

<2. "soggetto" che significa?,e in quanti modi lo s'intende?>

Dicendum ergo quod subiectum[1], quamvis et adiective et substantive accipi possit, tamen quomodocumque accipiatur  -  quia etiam in scientia potestaccipi adiective, puta quandodicitur |91rb| genus subiectum, licet ibi possit esse constructio appositiva  -  de primo et proprio suo significato gramatice loquendo idem sonat quod “subtus iactum”. Unde sic

Diciamo che soggetto lo si puòintendere in senso aggettivale e sostantivale; e anche nella scienza lo si può prendere come  aggettivo, come quando ad esempiodiciamo che il genere è soggetto,sebbene qui potrebbe trattarsi dicostruzione aggiuntiva o supplementare. Tuttavia, comunquelo si voglia intendere, l'originario ed esatto significato di soggetto in grammatica è "sotto posto". E in questo senso si distingue per contrasto da "sovra posto".  Ma anche nel contesto di questo

dividitur contra “super iactum”. Sed per attributionem ad istum primumsignificatum, subiectum accipitur multis modis etiam ab ipsis philosophis. Et ad presens possumus dicere quod accipitur octo vel novem modis.

significato, la parola soggetto ha molti approcci, anche presso gli stessi filosofi. Diciamo ora che possiamo intenderlo in otto onove modi.

Uno modo accipitur subiectum in situ, et sic subiectum dividitur contra “super positum”, iuxta illud Levit. 1[,7.8] «Subicient in altari ignem, membra que cesasunt desuper ordinantes».

Primo modo, significato di soggetto in rapporto al luogo. Qui soggetto si distingue per contrasto da "sovra posto". Levitico 1,7.8: «Porranno brace ardente sotto l'altare <e metteranno legna sul fuoco>, e sopra vi disporranno le membra tagliate».

Secundo modo accipitur subiectum in statu, et sic subiectum dividitur contra rectorem vel gubernatorem, sive rector vocetur rex sive imperator sive preses sive prefectus sive episcopus siveabbas sive alio nomine, iuxtaillud Hester 13[,2] «Volui clementia et bonitate gubernare subiectos»[2].

Secondo modo, significato di soggetto in rapporto al ruolo pubblico. Qui soggetto si distingue per contrasto da rettore o governante, o comunque lo si chiami: rettore, re, imperatore, presidente, prefetto,vescovo, abate, o qualsiasi altradenominazione. Ester 3,13b (= 13,2della Vulgata latina): «Con clemenza e bontà ho voluto governare i sudditi».

Tertio modo accipitur subiectum in bonitate, et sicsubiectum dividitur contra melius, sive sit bonum pertinens ad animam sive ad corpus sive ad res exteriores. Unde Eph. 5[,21] «Subiecti invicem in timore Christi», in quantum scilicetex humilitate quilibet debet

Terzo modo, significato di soggetto in contesto di bontà. Qui soggetto si distingue per contrasto da "meglio", che si tratti d'un bene dell'anima o delcorpo o di realtà esterne. Efesini 5,21: «Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo»,a motivo cioè d'un'umiltà che ti fa ritenere gli altri superiori ate stesso, come si legge nella

reputare alium meliorem quam se, iuxta illud Philip. 2[,3] «Superiores invicem arbitrantes». Et in predictismodis subiectum accipitur adiective.

lettera ai Filippesi 2,3: «Ciascunodi voi consideri gli altri superiori a se stesso». In tale contesto soggetto è usato come aggettivo.

Quarto modo accipitur subiectum in propositione, etsic subiectum dividitur contra predicatum, iuxta illud Philosophi in libro Predicamentorum «Quando alterum de altero predicatur ut de subiecto, quecumque de eo quod predicatur dicuntur, etiam de subiecto dicuntur».

Quarto modo, significato di soggetto in contesto di asserzione linguistica. Qui soggetto si distingue per contrasto da predicato, secondo quanto dice Aristotele, Categorie c. 3 (1b 10-12): «Quando un termine vien predicato di un altro in funzione di soggetto, tutto quanto si dice del predicato lo si dice parimenti anche del soggetto».

Quinto modo accipitur subiectum in transmutatione, et sic subiectum dividitur contra contrarios terminos, sicut probat Philosophus in IPhisicorum: quod principia sunt contraria, et tertium oportet esse subiectum. Et hic etiam subiectum potest teneri adiective.

Quinto modo, significato di soggetto in contesto del diveniredelle cose. Qui soggetto si distingue contro i termini contrari, come prova Aristotele, Fisica I, 6-7 (190a 12 - 191a 17):che cioè i princìpi sono contrari, ma perché il divenire sia possibile è necessario un terzo princìpio che faccia loro da soggetto o da sostrato. E anche qui soggetto è usato come aggettivo.

Sexto modo accipitur subiectum in consideratione vel entitate vel comparatione, et tunc est idem quod res; et sic dividitur contra rationem, iuxta illud Philosophi in V Ethicorum «Virtus et iustitia est quidem subiecto idem, esse autem non idem», idest

 Sesto modo, significato di soggetto in quanto termine di considerazione o in quanto essenza o comparazione, e in questo senso equivale a cosa; e lo si distingue pertanto contro ragione, secondo quanto dice Aristotele, Etica nicomachea V, 3 (1130a 11-12): «Virtù e giustiziasono identiche quanto a soggetto,però non è identico il loro

sunt idem re sed differunt |91ra| ratione.

essere», ossia identiche nella fattualità, differenti |91ra| in termini di rapporti.

Septimo modo accipitur subiectum in inherentia, et sic subiectum dividitur contra formam inherentem. Forma autem inherens est duplex, scilicet substantialis: et subiectum quod dividitur contra hanc est idem quod materia, iuxta illud Philosophi in I De generatione «Est autem yle maxime quidem proprium subiectum», et in I Posteriorum dicit quod scientie mathematice non suntde aliquo subiecto idest de aliqua materia, scilicet quiaabstrahunt ab ipsa. Alia autem forma inherens est accidentalis; et sic subiectum est illud quod informatur accidente, iuxta illud Porfirii «Accidens est quod adest et abest preter subiecti corruptionem»[3].

Settimo modo, significato di soggetto in rapporto all'inerenzao complementarità. Qui soggetto si distingue per contrasto dalla forma inerente. Questa è duplice,sostanziale e accidentale.  Per contrasto dalla forma sostanziale, il soggetto è identico alla materia, a detta d'Aristotele, Della generazione e corruzione I, 4 (320a 2-3): «La materia è più d'ogni altra cosa soggetto precipuo (d'ogni generazione e corruzione)»; e neiSecondi analitici I, 13 (79a 7-10) dice che le scienze matematiche non si applicano ad un qualche singolo soggetto o materia, ché anzi astraggono da essa. L'altra forma inerente è quella accidentale, e in rapporto ad essa il soggetto è ciò su cui prende forma l'accidente, come dice Porfirio (ca. 233-305 d.C.),Isagoge 12,24-25: «L'accidente è ciò che può esserci o no, senza implicare distruzione del soggetto».

Octavo vel nono modo accipitur subiectum in scientia, et sic subiectum dividitur contra passionem que probatur de subiecto et medium per quod probatur; quamquam istud nomen sortiri videatur in scientia ex eo quod subicitur passioni tamquam forme accidentali

Ottavo o nono modo, significato di soggetto in rapporto alla scienza. Qui soggetto si distingue per contrasto dall'effetto subìto dalsoggetto e dal temine medio delladimostrazione; sebbene tale denominazione (di soggetto) sembra darsi nella scienza perchétermine delle affezioni dovute alla forma accidentale inerente, nonché al predicato, secondo

inherenti, et etiam tamquam predicato, iuxta illud Philosophi in libro I Posteriorum «Una est scientia que est unius generis subiecti, partes et passioneseius considerans».

quanto dice Aristotele, Secondi analitici I, 28 (87a 38-39): «Una scienza è unica quando tratta un solo genere di soggetto, e ne considera componenti e affezioni».

Et sic ad presens loquimur de subiecto huius scientie, quod et materia scientie dicitur, circa quam scilicetscientia in sua actione versatur, quia «actio est secundum quam in illud quod subicitur agere dicimur», utdicit auctor Sex principiorum[4]. Et sic loquendo dicimus quod huius scientie subiectum est Deus absolute, quod quidem ad presens ex quadruplici partepotest monstrari.

E in tal senso parliamo qui di soggetto di questa scienza, dettoanche materia della scienza perché intorno ad essa versa la scienza nel suo farsi; infatti «azione equivale a ciò che operiamo circa una particolare materia», dice l'anonimo autore del Libro dei sei princìpi II, 16. E inquesti termini diciamo che il soggetto di questa scienza è Dio in senso assoluto; cosa che illustreremo da quattro punti di vista.

[1] Con inversione dell'ordine della divisione e talune leggere varianti al testo, il brano della distinzione dei significati di subiectum si ritrova in REMIGIO DEI GIROLAMI, Extractio questionum per alphabetum (Utrum virtus humana sit in potentia vel essentia animesicut in subiecto): BNF, Conv. soppr. G 3.465, f. 135ra-b. Cf. UGUCCIONE, Derivationes II, 589 § 18: «subiicio... idest subtus iacere».[2] bonitate ] lenitate Vulg.; citazione contratta. Hester 10,4 - 16,24, è sezione della sola recensione greca del libro di Hester, che san Girolamo traducendo in latino collocò alla fine del testo ebraico. Hester 13, 2 della Vulgata lo si ritrova in Hester 3,13b, nelle traduzioni dalle lingue originali della bibbia.[3] PORFIRIO, Isagoge § De accidenti. Traduzione di Boezio: «Accidens est quod adest et abest praeter subiecti corruptionem» (AL I/6-7, p. 20; ed. a c. di G. Girgenti, Milano 1995, 152 [SMN-Campo

61.4]). Cf. BOEZIO, In Porphyrii Isagogen V § De accidenti (PL 64, 132C).[4] Liber sex principiorum II, 16: «Actio vero est secundum quam in idquod subicitur agere dicimur» (AL I/6-7, p. 38). Erroneamente attribuito al Porretanus = Gilbert de la Porrée († 1154), il Liber èd'anonimo del XII secolo: AL I/6-7, Praefatio pp. XXXIX-LV.

 De subiecto theologie Il soggetto della teologia

originale latino volgarizzamento (2007) di EP

<3. huius scientie subiectum est Deus absolute, quod ex quadruplici parte potest monstrari, ed. rr. 100-225>

<3. il soggetto di questa scienza è Dio in senso assoluto; cosa che illustreremo da quattro punti di vista>

Et primo ex parte nominis huius scientie. Nomen enim huius scientie est theologia.Theologia autem idem sonat quod sermo de Deo. Illud autem est subiectum scìentie de quo est sermo in scientia[1].

Primo, dal punto di vista del nome di questa scienza, che è teologia. Teologia significa letteralmente discorso su Dio. Soggetto d'una scienza è ciò su cui verte il discorso in quella scienza.

Sed dicet forte aliquis quod ista ratio probabilis est non tamen cogit, quia nomina non sunt semper consona rebus; nec scientie semper nominantur a subiectis, quia etiam methaphisica theologia vocatur a philosophis[2], et tamen in ipsa non est subiectum Deus sed ens in quantum ens.

Uno potrebbe obiettare: Argomentazione probabile, quello precedente, ma non stringente, visto che le parole non sempre sono consone alla realtà, né le scienze si denominano sempre dal loro soggetto. Si dà, per esempio, che metafisica sia chiamata teologia dai filosofi, etuttavia suo soggetto non è Dio ma l'essere in quanto essere.

Ed dicendum quod ista ratio non cogit nisi

Risposta. Argomentazione non stringente, a meno che tale

supposito quod ista scientia proprie nominetur theologia. Si enim aliqua scientia proprie nominetur, tunc nomeneius consonum est rei quam principaliter respicit scientia illa; et hec res sino dubio est subiectum scientie illius. Supponimus autem quod ista scientia proprie nominetur theologia, tum quia |91vb| omnes sic nonaliter eam nominant, tum quiailla scientia que est de enteet prima philosophia et methaphisica nominetur; unde non proprie dicitur theologiasicut ista.

scienza non la si denomini rigorosamente teologia. Se denominiamo correttamente una scienza, allora il suo nome sarà consono alla realtà che ne è principale materia; e  siffatta realtà è senza dubbio il soggettodi quella scienza. Ora noi riteniamo che questa scienza sia denominata teologia in senso proprio: sia perché |91vb| tutti la chiamano così, e non altrimenti; e sia perché quella relativa all'essere viene chiamata prima filosofia o metafisica; cosicché è impropriamente detta teologia, come invece questa.

Secundo idem potest manifestari ex parte principiorum istius scientie,que sunt articuli fidei, que quidem de Deo est. Idem autemest subiectum principiorum ettotius scientie, cum tota scientia virtute contineatur in principiis.

Sed huic rationi forte aliquis obviaret quia aliqui articuli sunt de passione et resurrectione. Sed dico quod nonnisi in quantum passum etc., credimus fuisse verum Deum et nos virtute Dei resurrecturos.

Secondo, si può mostrare (che il soggetto della teologia è Dio in senso assoluto) dal punto di vista dei princìpi di questa scienza: essi sono gli articoli della fede, la quale a sua volta verte su Dio. Medesimo è il soggetto dei princìpi e dell'intera scienza, poiché tuttala scienza è precontenuta nei princìpi.

A questo argomento si potrebbeobiettare: Taluni articoli di fede riguardano passione e resurrezione. Rispondo: proprio perché patito e risorto, noi crediamo che Cristo fu vero Dio, e che noi risusciteremo per la potenza di Dio.

Tertio idem potest manifestari ex parte primitatis istius scientie.

Terzo, si può mostrare (che ilsoggetto della teologia è Dio in senso assoluto) dal fatto delle

Cum enim secundum omnes sit simpliciter prima omnium, ipsa habebit pro subiecto illud quod est simpliciter primum. Hoc autem est Deus. Cum enim scientia sortiatur speciem ex obiecto, oportet quod scientìa que prior est habeat subiectum prius, sicutapparet in scientiis mathematicis. Arismetrica enim precedit geometriam quiasubiectum precedit subiectum,idest numerus magnitudinem.

Sed huic aliquis obviabìtquia prior est scientia Deiet beatorum. Sed dicendum quod scientiaproprie dicit discursum, quiibi talis non est[3].

preminenza di questa scienza. A parere di tutti, la teologia è laprima di tutte le scienze; di conseguenza il suo soggetto sarà il primo in senso assoluto. Costui è Dio. Poiché infatti la scienza trae la propria distinzione specifica dal soggetto, ne segue che la scienzaprima verta sul soggetto primo, come appare nelle discipline matematiche. Qui l'arismetrica precede la geometria perché il soggetto della prima precede il soggetto della seconda, ossia il numero precede la grandezza.

Obietterà qualcuno che la prima scienza assoluta è quella di Dio e dei beati. Risposta. Scienza in senso proprio implica discorso o percorso conoscitivo, cosa che là non si dà.

Quarto idem potest manifestari ex parte conditionum subiecti, que ad presens sex [quinque cod.] esse videntur. Quarum una est quod sit primocognitum in generali, quia desubiecto oportet presupponerequia est et quid est quod dicitur per nomen, secundum Philosophum in I Posteriorum.

Quarto, si può mostrare (che il soggetto della teologia è Dio in senso assoluto) a partire dalle condizioni o proprietà del soggetto; sei, per ora.

Prima condizione: che il soggetto sia noto per primo nellasua realtà di base, perché del soggetto bisogna presupporre che è, e quale è il significato dellasua denominazione, a detta d'Aristotele, Secondi analitici I, 1 (71a 11-13).

Secunda est quod eius cognitio vel notitia in sp<eci>ali principaliter intenditur in scientia. Et per hanc probatur Deus esse subiectum theologie, quia in

Condizione seconda: speciale eprincipale conoscenza o notizia del soggetto la si ha nella scienza. E di qui proviamo che Dio è soggetto della teologia, perché nella teologia si raggiunge precipua conoscenza di

ipsa principaliter intenditurDei notitia per fidem in vitaista et per speciem in futura.

Dio, tramite la fede in questa vita e tramite immagine riflessa in quella futura.

Tertia conditio subiecti est quod sub eius ratione tractatur quicquid in scientia tractatur. Sicut dicimus quod subiectum in logica est sillogismus, quia omne illud de quo determinatur in logica vel est sillogismus vel est pertinens ad sillogismum sicut pars, ut terminus et propositio; vel sicut reducibile in ipsum, sicut entimema, inductio et exemplum. Et huius causa est quia cum scientia sit quidam habitus potentie intellective, eo modo |92ra| comparatur subiectum ad scientiam sicut obiectum ad potentiam vel habitum.

Terza condizione del soggetto è che nella scienza ogni cosa viene studiata in relazione ad esso. Diciamo, ad esempio, che soggetto della logica è il sillogismo, perché tutto quanto èdiscusso in logica o è sillogismoo è ad esso pertinente, come parte, termine, proposizione; oppure ad essso riconducibile, come entimèma, induzione, esempio. La motivazione è che la scienza è un'attitudine della facoltà intellettiva, e pertanto |92ra| il soggetto è confrontato alla scienza come a facoltà o ad attitudine .

Proprie autem assignatur obiectum alicuius potentie vel habitus, illud sub cuiusratione omnia referuntur ad potentiam vel habitum, sicuthomo vel lapis et lignum referuntur ad visum in quantum sunt colorata; unde coloratum est proprium obiectum visus. Omnia autem tractantur in sacra scriptura sub ratione Dei vel quia sunt ipse Deus vel

In senso proprio si designa oggetto d'una facoltà o d'una attitudine ciò sotto il cui aspetto tutto il resto viene messo in relazione a quella facoltà o attitudine. Uomo, pietra o legno, ad esempio, sono in relazione con l'atto visivo inqualto colorati, essendo il colore l'oggetto proprio della vista. L'intera materia della sacra scrittura è in rapporto a Dio, o perché Dio stesso o perchéordinata a Dio come a suo principio o suo fine.

quia habent ordinem ad Deum,sicut ad principium vel sicut ad finem.

Quamvis aliqui obvient huic rationi quia dicunt quodscientia non comparatur ad subiectum sicut ad obiectum. Obiectum enim scientie est scitum, sicut obiectum visus est visum. Sed scitum est conclusio demonstrata, cum «demonstratio sit sillogismusfaciens scire», secundum. Philosophum in I Posteriorum[5].Et hoc non potest esse subiectum in scientia, cum subiectum sit quid incomplexum et conclusio sit quid complexum.

Taluni obiettano a questo argomento e dicono: La scienza non si raffronta al soggetto allostesso modo che all'oggetto. Oggetto della scienza è la cosa conosciuta, così come oggetto della vista è la cosa veduta. Orala cosa conosciuta è la conclusione dimostrata, visto che«dimostrazione è il sillogismo produttivo di conoscenza», Aristotele, Secondi analitici I, 2 (71b 17-18). Cosa che non conviene al soggetto, poiché soggetto è realtà semplice mentrela conclusione è esito di percorso composito.

Quibus respondendum est quod obiectum principale cuiuslibet potentie et habitus est illud quod primo ipsi offertur. Dico ergo quodsubiectum est primo scitum sub quadam generalitate, quiaduplex subiecto oportet presupponere: quia est, et quid est illud quod dicitur per nomen. Sed illud quod scitur per demonstrationem dicitur sciri in speciali. Unde et subiectum tunc sciturcuius conditionis sit.

Risposta. Oggetto principale d'ogni facoltà o attitudine è la materia di prima istanza. Dico dunque che soggetto è cosa conosciuta primariamente in termini generali, perché due dativanno presupposti al soggetto: che è, e quale è il significato della sua denominazione (cf. Secondi analitici I, 1: 71a 11-13). Quanto invece è conosciuto tramine dimostrazione, è più  specificamente conosciuto. Cosicché anche del soggetto conosciamo allora relazioni o contesti.

Non enim quia Aristotiles[4] dicat quod scitum est conclusio, negatur quod non sciatur principium; immo

Nel dire tuttavia che la conoscenza è generata dalla conclusione, Aristotele non nega conoscenza del principio; che

magis scitur, secundum eum, quia «propter quod unumquodque et illud magis»,ut dicit in I Posteriorum. Exquo concludit quod magis scimus principia quam conclusiones. Et ideo aliquid nobilius scientia attribuitur principiis, scilicet intellectus. Non tamen propter hoc negatur scientia in comuni, sicut neque scientia negatur de sapientia, nec proprium de diffinitione, nec dispositiode habitu, nisi quando accipiuntur distincte cum inclusione cuiusdam defectusrespectivi.

anzi è maggiormente conosciuto, perché «più eccellente è ciò in forza del quale altre cose si dànno», dice nei Secondi analitici I,2 (72a 29-30); e conclude che ci risultano più noti gli elementi primi che le conclusioni. Ai princìpi si attribusce pertanto qualcosa di più eccellente della scienza, ossia l'intelletto. Nè per questo si nega la scienza in senso generale, allo stesso modo che non si nega scienza alla sapienza, né il proprio alla definizione, né la disposizione all'attitudine, a meno che li consideriamo distintamente e con qualche rispettiva deficienza.

Quarta [tertia cod. etc.] conditio subiecti est quod per ipsum distinguitur scientia ab omnibus aliis scientiis, quia «scientie secantur quemadmodum et res»,scilicet de quibus sunt scientie, ut dicitur in III De anima[6]. Et per hanc etiam probatur quod Deus est subiectum, quia per Deum distinguitur theologia ab omnibus aliis scientiis etiama methaphisica, quia theologia tractat de Deo per modum divinum; methaphisica autem tractat de Deo per modum humanum, nec tractat de

Quarta condizione o proprietà del soggetto: in forza di esso una scienza si distingue da tuttele altre scienze; infatti «le scienze si distinguono in base agli oggetti», ovvero in base alla materia che trattano, come dice Aristotele, Dell'anima lII, 8(431b 24-25). Per questa proprietà si dimostra che Dio è soggetto, visto che in forza di Dio la teologia si distingue da tutte le altre scienze, inclusa la metafisica. La teologia infatti tratta di Dio in quanto realtà divina; mentre la metafisica tratta di Dio dal punto di vista umano, né tratta di Dio come proprio soggetto ma come di chi ha rapporti col proprio soggetto, che è l'essere

Deo ut de subiecto sed tamquam de eo quod habet aliquam relationem ad suum subiectum quod est ens in comuni.

in quanto tale.

Quinta conditio subiecti |92rb| quod omnia de quibus determinatur in scientia continentur sub subiecto. Quod quidem debet intelligi non per modum partis integralis vel subiective, quia nec passio de qua determinatur in scientia hoc modo se habet ad subiectum, sed per modum aliquo modo reducibilem ad subiectum siveut pars sive aliter. Et per hoc etiam probatur quod Deus etiam est subiectum, quia omnia de quibus agitur in sacra scriptura aliquo modo reducuntur in Deum.

Quinta condizione del soggetto: |92rb| tutto quanto viene definito nella scienza è subordinato al soggetto. Da intendere non a mo' di parte integrale o di parte subordinata,perché nemmeno l'effetto studiatodalla scienza intrattiene siffatto rapporto col soggetto; da intendere invece secondo modalità riducibile al soggetto, sia come sua parte o in altro modo. E così ne esce confermato che anche Dio è soggetto, perché tutto ciò di cui parla la sacra scrittura viene in qualche modo ricondotto a Dio.

Sexta conditio subiecti est quod ab eius unitate dicatur scientia una. Et per hanc etiam probatur quod Deusest subiectum. Quia ab unitate Dei theologia est unascientia, quamvis de multis determinetur in theologia, scilicet de naturalibus, rationalibus et moralibus quehumanas scientias diversificant.

Sesta proprietà del soggetto èche dalla sua unicità deriva l'unicita della scienza. E tramite tale proprietà si prova anche che Dio è soggetto. Dall'unicità di Dio deriva che lateologia è una sola scienza, sebbene tratti molte cose, quali ad esempio realtà naturali, razionali, morali, che invece diversificano le discipline umane.

Et quidem secunda conditiosequitur ex prima, quia ideo primo cognoscitur in generali

Condizione seconda deriva dalla prima; il soggetto infatti ci è noto per primo nella sua

ut postea principaliter habeatur eius cognitio in speciali, et hoc est inmediatius finis scientie. Tertia autem sequitur ex secunda, quia quicquid ordinatur ad finem sub ratione finis consideratur. Quarta autem sequitur ex tertia, quia per id quod est formale et principale in aliquo, fit distinctio eius ab aliis. Quinta sequitur ex quarta, quìa ad principale omnia alia reducuntur. Quamvis ista quinta possit esse eadem cum tertia, sicut totus exercitus reducitur ad regem. Sexta sequìtur ex quinta, quia a principali fitdenominatio.

generalità, affinché poi se ne abbia specifica conoscenza; il che in definitiva  è lo scopo stesso della scienza. La terza segue dalla seconda, visto che ciò che è ordinato ad un fine lo sconosciamo in relazione al fine.La quarta segue dalla terza, perché sono le proprietà formali e principali d'una cosa che la distinguono dal resto. La quinta segue dalla quarta, perché a ciò che è principale si riducono tutte le altre cose; sebbene la quinta converga con la terza, allo stesso modo che l'intero esercito è subordinato al re. La sesta segue dalla quinta, perché denominiamo una cosa dalla sua proprietà principale.

Ergo prima conditio est quod sit primo cognitum in generali. Secunda quod primo intendatur eius congnitio in speciali. Tertia quod omnia alia sub eius ratione tractentur. Quarta quod per ipsum fiat distìnctio ab omnibus aliis. Quinta quod adipsum omnia alia reducantur. Sexta quod ab ipso denominetur una; vel ista ponatur sub quarta ubi dicatur quod distinguatur ab omnibus aliis.

Dunque, prima condizione: soggetto per primo conosciuto nella sua generalità. Seconda: per primo inteso nella conoscienza specifica. Terza: tutto il resto trattato in rapporto al soggetto. Quarta: è criterio distintivo dalle altre cose. Quinta: ad esso viene ricondotto tutto il resto. Sesta:da esso la scienza trae la propria unicità; oppure riponila sotto la quarta condizione, dicendo che il soggetto è criterio distintivo da tutte le altre cose.

<4. omnes iste rationesostendunt quod Deus est

<4. tutte queste nostre argomentazioni mostrano che

subiectum absolute, ed. rr.225-240>

Dio è soggetto in senso assoluto della scienza teologica>

Ubi advertendum est quod omnes iste rationes ostenduntquod Deus est subiectum absolute. Prima quidem quia theologia dicitur sermo de Deo absolute. Secunda vero quia si Deus sub speciali aliqua ratione esset subiectum articulorum fidei, puta sub ratione creatoris, reparatoris et glorificatoris  -  ut placet quibusdam  -  tunc oporteret dicere quod ille plures speciales rationes et conditiones aut sunt tantum materialiter plures aut formaliter. Et si materialiter |92va| tantum, tunc sub una ratione formali comuni erunt omnes subiectum vel obiectum articulorum; hocautem nulla potest esse nisi ratio divinitatis absolute. Si autem sunt etiam formaliter distincte, tunc sequetur quod theologia non sit una scientia, cum habeat plura subiecta formalia. Tertia vero et quarta idem ostendunt, sicut patere potest diligentius intuenti, quia in neutra earum specialis aliqua ratio vel conditio additur Deo.

Da sottolineare: tutte le sopraddette argomentazioni mostrano che Dio è soggetto in senso assoluto. La prima perché teologia è detta discorso su Dio in senso assoluto. La seconda: nell'ipotesi "Dio sotto speciale aspetto soggetto degli articoli di fede" - poniamo, in quanto creatore o riparatore o  glorificatore, come piace a taluni -, allora bisognerà chiarire se quegli aspetti o condizioni speciali siano molteplici soltanto in senso materiale o in senso formale. Se soltanto in senso |92va| materiale, allora sotto un'unica ragione formale tutte le condizioni saranno soggetto o oggetto degli articoli; e questo,altro non è che la ragione della divinità assoluta. Se invece sonodistinte anche in senso formale, ne seguirà che a motivo dei molteplici soggetti formali la teologia non sia scienza unica. Terza e quarta argomentazione vanno verso medesima conclusione,come apparirà chiaro a chi ben considera la questione; in nessuna delle due argomentazioni infatti vengono aggiunti a Dio una qualche ragione o aspetto speciale.

[1] TOMMASO D'AQUlNO, Summa theologiae I, q.1, a. 7, sed contra.[2] «theologia vocatur a phiIosophis»: cf. ARIST., Metaphysica VI(E), 1 (1926a 18-19). TOMMASO D'AQUlNO, In VI Metaph., Iect. 1 (ed. Marietti 1926, p. 355 nn. 1166-1170).[3] Cf. TOMMASO D'AQUINO, Super Boetium De Trinitate q. 2, a. 2 corp.: «Et sicut Deus ex hoc quod cognoscit se cognoscit alia modo suo, idest simplici intuitu, non discurrendo, ita nos ex his queper fidem capimus prime veritati adharendo, venimus in cognitionem aliorum secundum modum nostrum, scilicet discurrendo de principiisad conclusiones» (ed. critica, Leonina t. 50 (1992) p. 91b; cf. Opuscola III, ed. P. Mandonnet, Parigi 1927, p. 47).[4] Aristotiles ] Ar. è l'abbreviazione comunemente usata; Aristotiles (non Aristoteles) quando altrove è scritto per esteso.[5] ARIST., Analytica posteriora I, 2 (71b 17-18). Cf. traduz. lat. inAL IV /1-4, pp. 7, 113, 189; mentre in forma d'adagio «Demonstratio est syllogismus faciens scire...» si ritrova in Florilège 35, n° 11.[6] ARIST., De anima lII, 8 (431b 24-25). Nella medesima forma testuale in BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, In I Sent., proem. q. 1, ob. 2; TOMMASO D'AQUlNO, In I Sent., prol. q. 1, a. 4; e in tutta la letteratura sul soggetto della teologia. Ancora corrente nel primodecennio del XIV secolo: PIETRO DE LA PALU, In I Sent. [1310-11], prol. q. 5, a. 1 (ed. G. Groppo in «Salesianum» 23 (1961) p. 261 rr. 16-20).

 De subiecto theologie Il soggetto della teologiaoriginale latino volgarizzamento (2007) di EP

<5. subiectum potest accipiin scientia quadrupliciter,ed. rr. 241-298>

<5. quattro significati di soggetto nella scienza>

Sciendum tamen quod subiectum potest accipi in scientia quadrupliciter. Uno modo predicabiliter, scilicet secundum quod predicatur de omnibus hiis

In quattro modi può essere inteso il soggetto nella scienza.

Primo modo, predicabilità: ossia soggetto inteso come predicato, ossia quanto asserito circa le cose di compenza d'una scienza in

que continentur in scientia univoce sive analogice, sicutens dicitur esse subiectum inmethaphisica, secundum Philosophum et Commentatorem in IV Methaphisice[1]. Et sic vox literata articulata, debito modo pronunciata, dicitur esse subiectum gramatice. Unde et Philosophus in IV Methaphisicedicit quod sicut gramatica est de omni voce, ita methaphisica est de omni ente. Et ens rationis dicituresse subiectum logice. Et peristum modum ens divinum est subiectum in theologia.

senso univoco o analogico. Esempio: l'ente, ossia l'essere in quanto essere, lo si dice soggetto in metafisica, a giudizio di Aristotele e del suo Commentatore Averroè, Metafisica IV(G), 1 (1003a 21-32). Parimentila parola articolata, debitamentepronunciata ["lessema e fonema", diremmo oggi!], la si dice soggetto in grammatica. Dice infatti Aristotele, Metafisica IV(G), 2 (1003b 15-22), che come la grammatica riguarda ogni parola, allo stesso modo la metafisica riguarda ogni ente. E l'ente di ragione è detto soggetto della logica. In questo senso l'ente divino è soggetto inteologia.

Secundo modo resolubiliter, scilicet secundum quod omnia illius scientie resolvuntur in ipsumtamquam in minimum. Et sic exemplificando in I Posteriorum dicit Aristotiles quod unitas est subiectum de qua oportet precognoscere quia est et quid est quod dicitur. Et sic in gramatica assignatur subiectum litera, et in logica terminus. Et sicetiam in theologia posset dici subiectum Deus quia istud est minimum simpliciter, licet sit maximum virtute.

Secondo modo, risoluzione: tutte le cose d'una scienza sono ricondubibili al soggetto come alloro costituente minimo. In questo senso Aristotele compendiando dice nei Secondi analitici I, 27-28 (87a 31 - 87b 4):unicità è soggetto, e di essa è necessario sapere in anticipo cheè, e che cos'è. Così in grammatica si assegna per soggetto la lettera o unità linguistica, in logica il termineargomentativo. Similmente in teologia diciamo Dio soggetto; minimo in senso indistinto, sebbene massimo per potenza.

Tertio modo materialiter. Et sic in gramatica potest

Terzo modo, soggetto inteso come materia. In questo senso

dici subiectum et nomen et pronomen et alia de quibus determinatur in gramatica ex intentione. Si enim aliqua adducantur in aliqua scientiapreter intentionem, puta ad declarationem, huiusmodi possunt dici subiectum accidentaliter, quod nec subiectum meretur dici; sicutPhilosophus adducit multa mathematica in logicalibus, in naturalibus et in moralibus.

soggetto in grammatica può essereil nome e il pronome, e ogni altra cosa di cui tratta deliberatamente la grammatica. Seinfatti una certa materia viene addota in una scienza oltre la pertinenza, poniamo a scopo esplicativo, tale materia potremmo chiamarla soggetto accidentale; a rigore non merita nemmeno il nome di soggetto. Anche ad Aristotele capita di menzionare materia matematica nella logica, nella fisica, nell'etica.

Et similiter in theologia per istum modum dixit Magister in I Sententiarum quod res et signa sunt subiectum theologie[2]; et Hugo Super angelicam ierarchiam quod opera restaurationis[3];et Cassiodorus  -  sicut ei imponitur  -  quod Christus integer idest |92vb| capud et membra[4]; et sic multi alii credentes tamen se vereet proprie assignare ut bonum salutare[5] vel Deus utest principium nostre redemptionis et consummatio nostre glorificationis etc.[6]

Parimenti in teologia, sulla medesima strada Pietro Lombardo († 1160), Sentenze I, d. 1, c. 1, sostenne che soggetto della teologia sono fatti e segni. Per Ugo da San Vittore († 1141), nel commento alla Gerarchia celeste di Dionigi l'Areopagita, soggetto della teologia sono le opere di redenzione; per Cassiodoro - per quel che gli si attribuisce - è il Cristo integro, ossia |92vb| capo e membra. E così molti altri, certi di procedere con rigore, assegnarono per soggetto il bene salvifico, oppure Dio come principio della redenzione epienezza della nostra glorificazione, eccetera.

Quarto modo formaliter. Etistud est proprie et simplicitet subiectum, quia nec alia tria dicuntur subiectum nisi per relationem

Quarto modo, quello formale. Ein questo senso si parla di soggetto in senso proprio. Nemmeno nei tre casi precedenti si parla di soggetto se non in rapporto a questo quarto

ad subiectum isto quarto mododictum, vel per reductionem ad ipsum sicut ad principale,vel quia accidit quod illud quod est subiectum aliquo trium dictorum modorum sit etiam subiectum formalìter; sicut ens in comuni est subiectum in methaphisica et predicabiliter et resolubiliter et materialiteret formaliter. Et sic subiectum in theologia ponitur esse Deus non sub aliqua ratione speciali  -  ut volunt quidam  -  sed absolute in quantum Deus[7]. Nec ex hoc concludìtur quod sit scientia comunis[8]  -  utcontra obiciunt quidam  -  quia Deus non est quid comunecomunitate predicationis sicut ens, licet sit comune comunitate causalitatis; sed est quid speciale distinctum ab omnibus entibus sicut causa omnium.

significato: o per riduzione ad esso come al principale; o perchéil cosiddetto soggetto nei tre modi precedenti sia di fatto anche soggetto formale. Esempio: ente in comune è soggetto in metafisica sia nel senso predicabile che risolutorio, materiale e formale. Allo stesso modo, soggetto in teologia è Dio,non sotto un aspetto particolare,come vogliono taluni, ma in sensoassoluto in quanto Dio. Da quanto ora asserito, non si può dedurre che la teologia è unascienza generale, come taluni obiettano, perché Dio non è una nozione di generale predicazione al modo dell'essere, sebbene condivida l'universalità della causa; è invece un essere specifico, distinto da tutti gli altri esseri in quanto causa di tutti.

Nec etiam illud quod diciturDeus esse subiectum in theologia sub ratione revelabilis[9] facit specialem rationem in Deo prout est subiectum in theologia. Theologia enim dequa loquimur, licet sit scientia divina ex parte omnium quatuor causarum que requiruntur in scientia,

Nemmeno l'altra opinione, ossia che Dio è soggetto in teologia inquanto rivelabile, costituisce una speciale ragione in Dio in quanto soggetto in teologia. La teologia di cui parliamo, sebbenescienza divina da parte di tutt'equattro le cause dovute nella scienza, da parte tuttavia del recipiente è scienza umana perchél'uomo si trova ancora nella vitaterrena. Caratteristica del soggetto è che sia per primo

tamen ex parte recipientis est scientia humana secundumquod homo est in statu vie. De ratione autem subiecti est quod sit primo cognitum in generali. Hoc autem non potest esse in statu vie de Deo nisi per revelationem. Unde hoc non est addere rationem specialem, quìa generaliter hoc verum est quod nichil est subiectum inaliqua scientia nisi hoc quod est cognoscibile a recipiente subiecto in quo ponitur talis esse scientia.

conosciuto in generale; cosa che in fase di vita terrena non può accadere di Dio se non tramite rivelatione. Cosicché questo non significa aggiungere un aspetto sceciale, perché è scontato che non si dà soggetto in una scienzase non a condizione che sia conoscibile al soggetto destinatario di tale scienza.

[1] AVERROÈ, In Metaphys. IV, 1: «Iste tractatus continet duas partes. Prima igitur est in definiendo subiectum istius artis... Dicamus igitur quod manifestum est per se hic esse aliquam scientiam quae considerat de ente in quantum est ens et de accidentibus essentialibus enti in eo quod est ens»: in ARISTOTELIS, Opera... cum Averrois commentariis, t. 8, Venetiis 1574, f.64r, comm. 1, B e D.[2] PIETRO LOMBARDO, Sententiae I, dist. 1, c. 1: «Veteris ac novaeLegis continentiam diligenti indagine etiam atque etiam considerantibus nobis praevia Dei gratia innotuit, sacrae paginae tractatum circa res vel signa praecipue versari» (ed. Quaracchi 1916, 14). La posizione del Lombardo, come quella d'Ugo da San Vittore e Cassiodoro, sarà integrata nelle soluzioni scolastiche d'ispirazione concordista (qui sotto nota 4). Caratteristica la posizione di GUGLIELMO DE LA MARE, In I Sent. [1265-70]: «Cultus divinus est subiectum propinquum in tota sacra scriptura, res et signa subiectum remotum. Ad hoc autem sciendum quod sacra scriptura proprie loquendo non est scientia sed lex... » (in «Recherches de Théol. Anc. et Méd.» 1952, 264 n. 61). Ma Guglielmonon attaccherà nel Correctorium fratris Thomae (1277-79) la soluzione di Tommaso d'Aquino sul soggetto della teologia, che non sarà di conseguenza discussa nei Correctoria corruptorii. Vedi P. GLORIEUX, Le

Correctorium corruptorii «Quare», Kain 1927, e letteratura dei Correctoria tomistici: PANELLA, I quodlibeti, MD 14 (1983) 48 n. 141.[3] UGO DA SAN VITTORE, Super celestem hierarchiam Dionysii I, 1: «Sed mundana, ut diximus, theologia opera conditionis assumpsit, et elementa huius mundi secundum speciem creata, ut demonstrationem suam faceret in illis. Theologia vero divina opera restaurationis elegit secundum humanitatem lesu, et sacramenta eius...» (PL 176, 926 D - 927 A). In Remigio,♦  titolo più frequente De angelica ierarchia. In cod. D, f. 325r, marg. sup., mano B: «in libro de angelica seu celesti ierarchia».[4] CASSIODORO, In Psalterium, praef. c. 13 (PL 70, 17-18). Rifluitoin Glossa ordinaria in Ps., prol.: «Materia est integer Christus, sponsus et sponsa» (Biblia cum glossis, ed. Venetiis 1495, f. 424a); enella Glossa maior di Pietro Lombardo in Ps., prol.: «Ecce de quo agunt Soliloquia [=Psalmi], de Christo toto, idest de capite et corpore. Materia itaque huius libri est totus Christus, scilicet sponsus et sponsa... Quandoque agit de Christo secundum caput, aliquando secundum corpus, aliquando secundum utrumque» (PL 191, 59 C). I testi del Lombardo, Ugo e Cassiodoro ricorrono con regolarità nei commentari alle Sentenze (prologo) nella questione del soggetto della teologia. La tesi «Christus integer» è sostenuta da Roberto da Melun, Roberto Grossatesta...: cf. E. MERSCH, L'objet de la théologie et le 'Christus totus', «Recherches de Science religieuse» 26 (1936) 129-57. Appaiono compresenti nelle soluzionidi tipo concordistico, introdotta che sia la divisione delle accezioni di subiectum: vedi BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, In I Sent., proem. q. 1 (ed. Quaracchi 1882, 7); EUDES RIGAULD, In I Sent., q. «De subiecto theologiae» , [1245 ca.], in «Archivum Franciscanum Historicum» 29 (1936) 27-30; GUGLIELMO DA MILTON, Quaestio disputata de subiecto theologiae [1245-50], in «Arch. Franc. Hist.» 1936, 317-19. Cf. B. PERGAMO, De quaestionibus ineditis fr. Odonis Rigaldi, fr. Gulielmi de Melitona..., «Arch. Franc. Hist.» 29 (1936) 3-53.308-46, con edizionedi lunghi brani. G.H. TAVARD, St. Bonaventure's Disputed Questions «De theologia», «Recherches de Théol. Anc. et Méd.» 17 (1950) 187-236; ea proposito di quest'ultime H.-F. DONDAINE, L'auteur de la Question «De theologia» [1270-80] du manuscrit Todi 39, «Rech. Théol. Anc. Méd.» 19 (1952) 244-70. La tesi di Cassiodoro è riproposta anche in fasi successive e in chiara opposizione alla soluzione tomasiana nella Summa (1307-1317) di Gerardo da Bologna: P. DE VOOGHT, La méthode théologique d'après Henri de Gand et de Gérard de Bologne, «Rech. Théol. Anc. Méd.» 23 (1956) 69-70. Rinuncia a introdurre la nozione di scienza in teologia ROBERTO DA KILWARDBY OP, In I Sent. [1250-60

ca.], prol. (Quaestio de natura Theologiae): «Respondeo quod scientia aliter accipitur apud theologos et sanctos, et aliter apud Aristotelem. Theologi enim et sancti scitum dicunt omne quod mente cognoscitur, sive credatur sive videatur. Sed Aristoteles nihil dicit scitum nisi conclusionem causaliter demonstratam. Et hoc requirebat necessitas doctrinae quam docebat» (ROBERT KILWARDBY, De natura theologiae, ed. F. Stegmüller, Münster 1935, 42).[5] «ut bonum salutare»: cf. GIOVANNI PECKHAM, In I Sent. [126570], prol.: «Propter ista certe potest multo fortius Scriptura Sacra dici sapientia, cuius certitudo est altissima, a lumine scilicet supernaturali fidei cuius subiectum est dignissimum, scilicet bonum salutare; cuius generalitas est maxima, quia ut supra patuit, extendit se ad omnia» («Rech. Théol. Anc. Méd.» 1952, 253-54). Cf. GUGLIELMO DA WARE, In I Sent. [1266-69?], prol. q. 5 corp. (in GIOVANNI DUNS SCOTO, Opera omnia t. 16, Città del Vaticano 1960, p. 30 nota T 1; cf. ib., p. 24 nota T 2). DURANDO DA SAINT-POURÇAIN OP, In I Sent. [1317 ss.], prol. q. 5: «Et dicendum quod subiectum in theologia sic accepta [scil. prout dicit habitum quo assentimur his que in sacra scriptura traduntur] est actus meritorius vel actus salutaris seu ordinabilis ad beatitudinem» (ed. Lugduni 1569, f. 7rb). Segue ampio discorso probativo (ib., ff. 7rb-8rb) in cui si conferma la tesi: «Sequitur ergo conclusio principalis, scilicet quod actus meritorius vel salutaris seu ordinabilis in beatitudinem, est subiectum in sacra scriptura» (f.8ra). La tesi era già stata respinta da EGIDIO ROMf\NO, In I Sent. [1276-78], prol. q. 3 corp. (ed. Venetiis 1521, f. 3v M).[6] «ut est principium nostre redemptionis et consummatio nostre glorificationis». In contesto di soluzioni integrative: ALESSANDRQD'HALES, Summa theologica [1245 ca.], introd. q. 1, c. 3 (ed. Quaracchi 1924 6a 7a). ALBERTO MAGNO, In I Sent. [1244-45], d. 1, a. 2 (Opera t. 14, ed. Lugduni 1651, 9a-b). Mentre in più rigorosa scelta epistemologica del «subiectum sub speciali ratione», la tesi è chiaramente sostenuta da EGIDIO ROMANO, In I Sent. [1276-78], prol. q. 3, dove - respinte le formulazioni tradizionali «res et signa», «Christus integer» e la soluzione tomasiana «scibile per inspirationem» dell'In I Sent. - si asserisce: «Cum igitur metaphysica sit scientia comunis, determinabit de Deo sub modo comuni, in quantum scilicet est ens et causa universalis entium. Theologia autem cum sit scientia specialis, de his de quibus determinat determinabit sub speciali modo; ideo sicut subiectum inscientia comuni est comune in eo quod comune, ita subiectum in scientia speciali debet esse speciale in eo quod speciale. Et ideo

Deus de quo principaliter intendit ista scientia sub aliqua speciali ratione debet esse subiectum in ea. Ista autem specialis ratio potest esse in quantum est principium nostrae restaurationis et consummatio nostre glorificationis» (ed. Venetiis 1521, f. 3v L; e ib., f. 3v N). Risponde a Egidio anche ROBERTO D'ORFORD OP, Reprobationesdictorum a fratre Egidio... [1289-93 ca.], ed. P. Vella, Paris 1968. 31-38. Per Durando da Saint-Pourçain («sub ratione salvatoris») vedi In I Sent. [1317 ca.], prol. q. 5 (ed. Lugduni 1569, f. 8va).[7] Nota il processo di formalizzazione logica della categoria di subiectum e suo impiego ai fini della tesi sostenuta. Cf. TOMMASO D'AQUINO, Summa theologiae I, 1, 7 corp.: «Quidam vero attendentes ad ea quae in ista scientia tractantur et non ad rationem secundum quam considerantur, assignaverunt aliter subiectum huius scientiae: vel res et signa, vel opera reparationis, vel totum Christum idestcaput et membra. De omnibus enim istis tractatur in ista scientia,sed secundum ordinem ad Deum».[8] «scientia comunis»: cf. EGIDIO ROMANO, In I Sent., prol. qq. 2 e3 (ed. Venetiis 1521, f. 3r A-B, 3v I).[9] «sub ratione revelabilis». L'opinione è riferita anche da PIETRO DE LA PALU, In I Sent. [1310-11], prol. q. 3, a. 3 («sub ratione credibilis vel revelabilis»: in «Salesianum» 1961, 283 rr.4-5). Opinione di Giovanni da Lichtenberg OP («de Lucidomonte»), lettore sentenziario nel 1305-08? (Cf. G. Groppo, «Salesianum» 1961, 283 n. 1, 285 n. 1, 301-02). Non sembrerebbe, dai testi riportati da A. FRIES, Cod. Vat. lat. 1114 und der Sentenzenkommentar des Johannes von Lichtenberg, in «Archivum Fratrum Praed.» 7 (1937) 316. Annoto che Giovanni da Lichtenberg partecipò come provinciale di Teutonia al capitolo generale dei domenicani di Piacenza 1310, dove era presente anche Remigio; fu poi consigliere d'Enrico VII di Lussemburgo nelle guerre d'Italia. Cf. FRIES art. cit. p. 303. M. GRABMANN, Mittelalterlisches Geistesleben, München 1926, 411. SOPMÆ II, 527. Quanto al «sub ratione credibilis», esso ha un'antica ascendenza: GUIDO L'AUMÔNE, In I Sent. [1245-55], «Et sic quidam antiqui dixerunt quod credibile generaliter acceptum est subiectumtheologiae» (ed. J.G. Bougerol, «Antonianum» 1976, 510). ALBERTO MAGNO, In I Sent., d. 1, a. 2 corp. (Opera t. 14, ed. Lugduni 1651, 9b). BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, In I Sent., proem. q. 1 corp., usa «credibile» per concordare, in soluzione inclusiva, i diversi soggetti della teologia: «Possumus et unico vocabulo nominare; et sic [subiectum] est credibile, prout tamen credibile transit in ratione intelligibilis, et hoc per additionem rationis; et hoc modo, proprie loquendo, est subiectum in hoc libro» (ed. Quaracchi

1882, 7). Si oppone ROMANO DA ROMA OP, In I Sent. [1270-72], proI. («Rech. ThéoI. Anc. Méd.» 1958, 335 n. 14). Ma la tesi «sub ratione credibilis» fu riproposta da ENRICO DA GAND († 1293), Summae quaestionum ordinariarum art. 19, q. 2 (ed. Parisiis 1520, voI. I, f. 117r V-X); art. 6, q. 2 corp. e ad 2 (ib., f. 42v B, f. 43r G).

 De subiecto theologie Il soggetto della teologia

originale latino volgarizzamento (2007) di EP

<6. obiectiones etsolutiones 1-4, ed. rr.299-376>

<6. obiezioni e risposte 1-4>

1. Sed contra, quia secundum Philosophum in II Phisicorum materia non inciditcum aliis causis neque in idem numero neque in idem specie[1]. Sed Deus est causa efficiens et finalis et formalis exemplaris omnium. Ergo non potest esse materia.

Obiezione 1. Secondo Aristotele, Fisica II, 3 (194b 16 -195b 30), la materia non concordacon le altre cause né per identità di numero né per identità di specie. Ma Dio è causa efficiente, finale e formale esemplare d'ogni cosa. Dunque non può esser materia.

Et dicendum quod est materia naturalis que diciturmateria proprie, et est materia intellectualis que dicitur materia methaphorice.De prima loquitur Philosophusnon de secunda, quia unum et idem genus est materia respectu differentie specifice, et est forma respectu generis superioris, vel in quantum est pars dìffinitionis, quia partes diffinitionis forme sunt, ut habetur ex II Phisicorum et ex

Risposta. Vi è una materia naturale, detta materia in senso proprio, e vi è una materia intellettuale, detta metaforicamente materia. Aristotele parla della prima, nondella seconda. Infatti genere unico è la materia rispetto alla differenza specifica, ed è forma rispetto al genere superiore, oppure in quanto parte della definizione, visto che le parti della definizione sono forme, come si dice in Fisica II, 1.3, Metafisica VII(Z), 10. Soggetto della scienza non è la materia naturale ma quella intellettuale,

VII Methaphisice[2]. Subiectum autem scientie non est materia naturalis sed intellectualis, nisi |93ra| in quantum accidit etiam materiam naturalem sub consideratione intellectus cadere; et sic materia videtur esse subiectum in libro Fontis vite quem fecit Avicebron[3].

se non in quanto |93ra| anche la materia naturale ricada sotto la considerazione dell'intelletto. In questi termini materia sembra soggetto del libro Fonte della vita composto da Salomon ibn Gabirol († 1054/58).

Sed nec etiam de omni materia naturali habet veritatem dictum Philosophi sed solum de materia ex qua,que proprie et strìcte est materia et est subiectum transmutationis naturalis. Materia autem circa quam velpropter quam, que dicitur occasio, que scilicet sonat in defectum cause, sicut materia optinet minimum locum inter causas, bene potest esse forma vel agens vel finis. Similiter etiam materia intellectualis non est materia ex qua fit scientia proprie loquendo, sicut propositio est ex terminis, sed est materia circa quam est scientia, tanquam habitus circa obiectum. Sed et potest dicimateria propter quam, quia scilicet propter subiecti notitiam principaliter

Ma neppure ad ogni materia naturale si applica il detto d'Aristotele, bensì soltanto allamateria d'origine, che è materia in senso proprio e rigoroso in quanto soggetto delle mutazioni fisiche. Materia circa la quale oa causa della quale, chiamata occasione quasi per difetto di causa perché materia è l'ultima delle cause, può ben essere formao agente o fine. Parimenti anche la materia intellettuale non è materia d'origine della scienza in senso proprio, al modo che la proposizione è frutto dei termini, ma è materia circa la quale verte la scienza, al modo dell'attitudine rispetto all'oggetto. La si può dire anchemateria a causa della quale, nel senso che a motivo della conoscenza del soggetto è ragioneprincipale della scienza.

scientia est.2. Item in libro

Sententiarum continetur tota sacra scriptura. Sed in ipso non videtur esse subiectum Deus sed sententie, sicut ipsum nomen et titulus libri designat. Ergo Deus non est subiectum theologie.

Obiezione 2. Nelle Sentenze (1155-58) di Pietro Lombardo è contenuta tutta la sacra scrittura. Ma suo soggetto non è Dio bensì le autorità patristiche, come dice nome e titolo. Dunque Dio non è soggettodella teologia.

Et dicendum quod tota scientia theologie contineturproprie et radicaliter in veteri et novo testamento in quibus nulla falsitas esse potest, sicut dicit Augustinus Ad Ieronimum. Libriautem sanctorum sunt expositiones et glose istius scientie. Unde et ad idem subiectum referuntur, quamvispossìt in eis falsitas aliquareperiri quantum ad ea que contra fidem non sunt, cui tamquam fundamento innititur sacra scriptura, secundum beatum Augustinum[4]. Unde cumliber iste Sententiarum sit conflatus ex auctoritatibus sanctorum ad quandam artem per aliqualem adinventionem modi humani reductus, ad idemetiam subiectum refertur[5].

Risposta. L'intera scienza della teologia è contenuta in senso proprio e in radice nell'antico e nuovo testamento, senza falsità alcuna, come dice Agostino, Epistola 82,1 § 3 (CSEL 3412,354; PL 33,277). Gli scrittidei santi padri sono commenti e chiose di questa scienza; si rifanno dunque al medesimo soggetto, sebbene possano comportare errori nell'area estranea alla fede, su cui poggiala sacra scrittura, secondo Agostino. Di conseguenza, poiché il libro delle Sentenze è una silloge di autorità patristiche elaborata tramite abilità inventiva alla maniera umana, anch'esso è riconducibile al medesimo soggetto.

Ad argumentum vero dicendum quod liber non semper intitulatur vel denominatur a subiecto vel a causa materiali sed aliquando ab aliis causis, puta ab

Inoltre, non sempre un libro lo si denomina a partire del soggetto o dalla sua materia, ma da altre cause, esempio da quellaefficiente, ossia dal suo autore:diciamo Libro d'Isaia oppure Isaia, oPaolo o Catone. Talvolta dal fine:

efficiente, puta cum diciturLiber Ysaie vel Ysaias, vel Paulus vel Cato[6]. Aliquando etiam ponitur finis, puta cum dicitur Ysagoge Porfirii adPredicamenta Aristotilis. Aliquando a forma vel modo procedendi, sicut dicitur Liber posteriorum analeticorum, scilicet quia per modum resolutorium procedit.

Isagoge o Introduzione di Porfirio alle Categorie d'Aristotele. Talvolta dal modo di procedere: Libro dei secondi analitici, ossia dalla procedura deduttiva.

Aliquando ab aliquo alio accidente vel eventu, ut liber Macrobii Super SompniumScipionis. Aliquando etiam ab eo quod continetur in libro,sicut dicitur Liber decretorumvel Liber LXXXIII questionum[7]. Et sic iste liber dicitur etintitulatur |93rb| Sententiarum quia continet sententias Patrum theologicas, et antonomasice[sic] dicuntur sententie, ut dictum est. In istis autem Sententiis id quod principaliter intenditur Deus est.

Talvolta prende nome da altre peculiarità, esempio: libro di Macrobio Circa il sogno di Scipione. Talvolta dal suo contenuto: Libro dei decreti, Libro delle LXXXIII questioni. Allo stesso modo, nome e titolo di questo libro è Libro delle sentenze (di Pietro Lombardo † 1160) perché contiene le sentenze teologiche dei Padri, chiamate sentenze per antonomasia, come detto. Pertantotema principale di queste Sentenzeè Dio.

3. Item Hugo dicit in libroDe sacramentis quod opera primeconditionis sunt materia aliarum scientiarum, sed opera restaurationis sunt materia theologie[8].

Obiezione 3.  Ugo da San Vittore († 1141) dice nel libro I sacramenti che le opere dell'originaria condizione umana sono materia di altre scienze, mentre le opere della restaurazione salvifica sono materia della teologia.

Et dicendum quod materia potest accipi duplicter. Uno

Risposta. Materia può esssere intesa in due modi. Primo, in

modo large et inproprie, et sic vocatur materia quicquid materialiter continetur in scientia, sicut etiam lignum et lapis potest dici obiectumvisus. Et ista potest dici materia materialiter. Et per hunc modum habet veritatem quod dixit Hugo. Et similiterquod dixerunt aliqui alii, scilicet quod totus Christus idest capud et membra eius sunt materia istius scientie.

Alio modo accipitur materia scientie proprie, que et potest dici materia formaliter. Et sic vocatur materia illud solum sub cuiusratione omnia alia tractanturin scientia. Et tale est Deus, ut dictum est.

senso largo e improprio, e così èdetta materia qualsiasi cosa materialmente contenuta in una scienza, al modo che legno e pietra sono oggetto della vista. Possiamo chiamarla materia in senso materiale. In questi termini parla correttamente Ugo; al pari di quanti sostengono che il Cristo integrale, ossia capo emembra, sono materia di questa scienza.L'aItro significato è quello di materia propria della scienza, e possiamo chiamarla materia in senso formale. In questo senso materia è soltanto ciò sotto il cui aspetto viene trattata ogni altra cosa nella scienza. E questo è Dio, come già detto.

4. Item illud quod probaturde subiecto est passio. Sed Deus non est subiectum alicuipassioni nec accidenti. Ergo Deus non potest esse subiectum alicuius scientie[9].

Obiezione 4.  Ciò che viene provato circa un soggetto è l'effetto subìto. Ma Dio non è soggetto ad alcun effetto o contingenza. Dunque Dio non può esssere soggetto d'alcuna scienza.

Et dicendum quod passio ibivocatur omnis proprietas vel omne predicatum quod subiectum patitur, idest quodnature subiecti competit recipere. Unde tale quid quando attribuimus Deo secundum nostrum modum intelligendi non est in ipso

Risposta. "Passione" o effettosubìto è chiamato lì qualsiasi proprietà o attributo che il soggetto subisce, ossia quanto consono alla natura del soggetto ad esser recepito. Se lo attribuiamo a Dio secondo il nostro modo di conoscere, allora in Dio non equivale ad un proprietà accidentale ma alla

Deo accidens sed substantia divina, quia est «sine quantitate magnus et sine qualitate bonus», ut dicit Augustinus in libro De Trinitate[10].

sostanza divina, essendo Dio «grande senza quantità, buono senza qualità», come afferma Agostino, Sulla Trinità V, 1 § 2.

[1] Cf. ARIST., Physica II, 3 (194b 16 - 195b 30); idea sviluppata nel corso del c. 3; II, 7 (198a 22-33). Cf. TOMMASO D'AQUINO, In Phys. II, lect. 11 § 2: «Materia vero non est nec idem specie nec idem numero cum aliis causis, quia materia in quantum huiusmodi est ens in potentia» (Opera ed. Leonina  t. 2, p. 88a). Vedi medesima obiezione e soluzione in BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, In I Sent., proem. q. 1, ad 2. GIOVANNI DUNS SCOTO, Ordinatio, proI. pars3, q. 3 n. 130 (Opera omnia I, Città del Vaticano 1950, 91, 126; cf. ib., p. 126 nota 2, risposta di Eudes Rigauld).[2] Cf. ARIST., Physica II, 1 (193a 28-31); II, 3 (194b 23-26). TOMMASO D'AQ., In Phys. II, lect. 5 § 4: «Et ita ad hunc modum causae reducuntur omnes partes quae ponuntur in definitione: nam partes speciei ponuntur in definitione, non autem partes materiae,ut dicitur in VII Metaphysicae» (Opera, ed. Leonina t. 2, p. 69b); ln Phys. II, lect. 15 § 6 (ib., p. 99b). ARIST., Metaph. VII(Z), 10(1034b 20 - 1036a 25); idea svolta nei cc. 10-11 (1034b -1037a).[3] AVICEBRON, Fons vitae, ed. C. Baeumker, Avicebrolis Fons Vitae ex arabico in latinum translatus ab Iohanne Hispano et Dominico Gundissalino, Münster 1895. Non sembra un rimando a testo specifico del Fons vitae. La materia come subiectum è alla base dell'ilemorfismo universale cui è ispirata tutta l'opera di Salomon ibn Gabirol (XIsec.). Nota l'inizio del Fons Vitae: «Quae est intentio de qua debemus agere in hoc libro? Postquam nostra intentio est invenire materiam et formam in substantiis simplicibus...» (ed. cit. p. 73;vedi anche ad indicem voce "materia", pp. 479-87). Altrove Remigio: «Item est materia circa quam, quia est subiectum in libroFontis vite quem fecit Avicebron, vel si quis alius fecit vel facere vellet librum de materia» (De modis rerum II, 4: cod. C, f. 51ra).[4] «Et dicendum quod ... Augustinum»: Cf. TOMMASO D'AQ., QuodlibetXII, q. 17, a. 26 ad 1. Ma l'approfondimento dello statuto scientifico della teologia e l'esercizio stesso che se ne farà, spingerà ad un ampliamento articolato della definizione di quale prodotto letterario possa considerarsi liber theologicus. Ne è

interessante documento un testo di discendenza tomasiana: PIETRO DE LA PALU OP, In I Sent. [1310-11], prol. q. 5, a. 1: «Originale sanctorum in exortando per scripturam sacram et probando fidelibus, vel convincendos iudeos per vetus testamentum vel haereticos per novum, sunt libri theologici re et nomine a theologia primo modo dieta, quia medium et conclusio continentur in scriptura. Libri autem eorum contra gentiles editi, per rationes naturales et philosophicas fidem defendentes, ut Augustinus De civitate Dei, et Summa contra Gentiles fratris Thomae et huiusmodi, differunt re a theologia primo modo dicta et cadunt in secundum membrum propter diversitatem medii: dicuntur tamen theologici isto modo, quia de Deo et propter scientiam Dei. Magis autem proprie dicuntur theologici, quando sunt mixtim collecti ex mediis propriis et extraneis, quando scilicet probant et per scripturam et per rationes naturales, sicut fere omnes sunt tales et praecipue Liber Sententiarum, qui tradit disputative illud quod biblia narrative; et legere Sententias est legere theologiam cum totus Liber Sententiarum sit habitus defensivus et declarativus bibliae» (ed. G. Groppo in «Salesianum» 23 (1961), p. 260 rr. 16-27).[5] TOMMASO D'AQ., In I Sent., prol. a.5: «... et ad hoc oportet modum etiam argumentativum, quod praecipue servantur in originalibus sanctorum et in isto libro [Sententiarum] qui quasi exipsis conflatur». ROMANO DA ROMA OP, In I Sent. [1270-72]: «tamen ipse Magister [Petrus Lombardus] potest non solum dici doctor sed est compilator, quia aIiorum dicta breviter colligit»: ed. J. Beumer in «Rech. ThéoI. Anc. Méd.» 25 (1958) 351 rr. 20-21.[6] «Cato»: Disticha Catonis. Testo di scuola in grammatica studiato dopo l'ars minor di Donato; cf. A.L. GABRIEL, Garlandia. Studies in the history of mediaeval University, Francoforte 1969, 105-06; o testo di retorica: P. GLORIEUX, La faculté des Arts... , Paris 1971, 24 n. 1. Altrove Remigio cita il Disticha Catonis sotto il solo nome «Cato».[7] AMBROSII THEODOSII MACROBII, Commentarii in Somnium Scipionis, ed. I. Willis, Leipzig 1970.GRAZIANO, Concordia discordantium canonum, o Decretum [1140 ca.], in Corpus Iuris Canonici, vol. I, ed. Ae. Friedberg, Lipsia 1879, rist. Graz 1959. Altrove Remigio scrive di Graziano: «Decreta vero Patrum et conciliorum in unum volumen adduxit Gratianus» (Divisio scientie c. 14: cod. C, f. 3va). AGOSTINO D'IPPONA, De diversis quaestionibus LXXXIII («Corpus Christianorum», Lat. 44; PL 40,11-100).

[8] UGO DA SAN VITTORE, De sacramentis, proI. c. 2: «Mundanae sive saeculares scripturae materiam habent opera conditionis. Divina scriptura materiam habet opera restaurationis» (PL 176, 183 C).[9] L'obiezione basata sulla «passio» è di comune possesso nella letteratura sul soggetto della teologia. Poggia su ARIST., Analyticaposteriora I, 28 (87a 38-39). Cf. EGIDIO ROMANO, In I Sent., proI. q.3, sed contra 1 (ed. Venetiis 1521, f. 3r E). ENRICO DA GAND, Summae quaestionum ordinariarum art. 19, q. 1, arg. 4 e ad 4 (ed. Parisiis 1520, vol. I, f. 114 A. 115 L).[10] De Trinitate V, 1 § 2: «... ut sic intelligamus Deum si possumus, quantum possumus, sine qualitate bonum, sine quantitate magnum, sine indigentia creatorem, sine situ praesentem, sine habitu omnia continentem, sine loco ubique totum, sine tempore sempiternum, sine ulla sui mutatione mutabilia facientem nihilque patientem» («Corpus Christianorum», Lat. 50, 207 rr. 39-44; PL 42,912).

De subiecto theologie Il soggetto della teologiaoriginale latino volgarizzamento (2007) di EP

<... 6. obiectiones et solutiones ## 5-8, ed. rr. 377-454>

<... 6. obiezioni e risposte ## 5-8>

5. Item «scientie secantur quemadmodum et res», ut dicitur in III De anima. Ergo cum scientia creata et increata sint distincte et similiter scientia creata beatorum et viatorum, sequitur quod obiecta eorum sint distincta. Ergo Deus nonerit subiectum in istis tribus scientiis nisi aliter et aliter accipiatur[1].

Obiezione 5. «Le scienze si distinguono in base agli oggetti», dice Aristotele, Dell'anima lII, 8 (431b 24-25). Mapoiché scienza creata e increata sono distinte, e parimenti quellacreata dei beati e dei terrestri,ne segue che i loro oggetti sono distinti. Dunque Dio non è soggetto in queste tre scienze senon in differenti significati.

Et posset dici quod istud argumentum non accipitur secundum intentionem

Risposta. La premessa argomentativa non coglie il pensiero d'Aristotele. Costui

Philosophi. Textus enim Philosophi est iste: «Secantur igitur scientia et sensus in res; que quidem potentia, in ea que sunt potentia; que vero actu, in ea que sunt actu»[2]. Unde vult dicere quod scientia et sensus dividuntur in actum etpotentiam ad modum rerum de quibus sunt. Sed sic dicere est utcumque evadere sed non est solvere, quia predicta verba Philosophi in sensu tacto in arguendo comuniter |93va| accipiuntur[3]. Et preterea veritas hoc habet, quia habitus sicut specificantur ita distinguntur per obiecta.

aveva scritto: «Scienza e sensazione si distinguono in rapporto agli oggetti: considerate in potenza, esse corrispondono ai loro oggetti potenziali; considerate in atto, corrispondono ai loro ogetti attuali». Intende dire dunque chescienza e sensazione si distinguono in atto e potenza a seconda degli oggetti di cui trattano. E tuttavia così dicendosarebbe evadere l'obiezione anziché risolverla, perché di fatto le suddette parole del Filosofo vengono correntemente |93va| intese come nell'obiezione.Inoltre, vero è che le attitudinisi specificano e si distinguono in rapporto agli oggetti.

6. Et ideo aliqui respondent aliter, dicentes quod idem est habitus scientie in Deo, in beatis ettheologis viatoribus, quia diversitas eius non est ex parte obiecti cum sit unum; neque ex parte subiecti, quiaidem accidens in specie potest esse in diversis subiectis differentibus non solum in specie sed in genere, sicut albedo in homine et equo et lapide; neque ex parte luminum, quia differunt solum secundum intentionem et remissionem, sicut visus in noctua, homine

Cosicché altri rispondono diversamente. Dicono che identicaè la attitudine della scienza in Dio, nei beati e nei teologi in vita, visto che la sua diversità non deriva dall'oggetto, che è unico; né deriva dal soggetto, perché la medesima proprietà nell'ordine della specie può trovarsi in più soggetti, differenti non solo nella specie ma anche nel genere, come il bianco nell'uomo, nel cavallo e nella pietra. Né deriva, la diversa qualità della scienza, daparte delle sorgenti luminose, perché queste differiscono per intensione e remissione; così, adesempio, la vista nella civetta, nell'uomo e nell'aquila sono della medesima potenzialità a

et aquila sunt eadem potentiapropter idem obiectum formale, differens solum secundum intentionem et remissionem claritatis[4].

ragione del medesimo soggetto formale, differenti soltanto per intensità o meno della luminosità.

Sed isti non bene dicunt quia magis et minus non solumdicunt diversitatem accidentalem sed etiam quandoque differentiam essentialem, sicut dicimus quod angelus est magis nobilis substantia quam homo et homo quam asinus; quod advertens Philosophus in libro Predicamentorum dixit: «Videtur autem substantia nonsuscipere magis et minus. Dico autem hoc non quia substantia non est a substantia magis et minus; hoc autem dictum est quia est»[5].

Non convince tuttavia quel chedicono costoro. Più e meno non esprimono soltanto diversità accidentale ma talvolta anche contrarietà essenziale; così comediciamo che l'angelo è sostanza più nobile dell'uomo, e l'uomo dell'asino. Cosa che Aristotele così esplicita in Categorie c. 5 (3b 33-35): «La sostanza non sembra suscettibile di misura maggiore o minore. Non intendo dire che una sostanza non può esser tale in misura maggiore di un'altra sostanza; si è già dettoche questo è possibile».

Et ita est in proposito, quia lumen viatorum quod in sua ratione includit obscuritatem, alterius rationis est a lumine beatorum quod in sua rationeincludit claritatem; et similìter lumen creatum et increatum, cum unum includatfinitatem et aliud infinitatem. Non autem ita se habet visus in noctua, homine et aquila, quia nichil prohibet aliquam noctuam clarius videre quam

E così è nel nostro caso. Il lumedei fedeli in terra nella sua proprietà include oscurità, ed è dunque di natura diversa dal lumedei beati, che nella sua proprietà include lucentezza. Parimenti il lume creato comportafinitudine, il lume increato include infinitezza. Non così il caso della vista nella civetta, nell'uomo e nell'aquila, perché nulla vieta che una civetta veda più chiaramente d'un uomo, e un uomo veda più chiaramente di un'aquila. Mentre nessun fedele ancora in vita è in grado di vedere tanto chiaramente quanto

aliquem hominem, et aliquem hominem clarius quam aliquamaquilam. Sed nullus viator potest ita clare videre sicut quicumque beatus, nec quicumque beatus sicut Deus.

un qualsiasi beato, e né alcun beato quanto Dio.

7. Et ideo alii dicunt quoddiverse scientie bene possuntesse de eodem ita quod una deliberet de eo subtiliter etalia grosse, sicut se habet astrologia ad navalem  -  ut dicunt  -  sicut patet in I Posteriorum[6].

Altri allora dicono che più scienze possono ben trattare medesima materia: una la esamina più approfonditamente, un'altra in chiave introduttiva; caso dell'astrologia in rapporto all'arte navale, come risulta in Aristotele, Secondi analitici I, 13 (78b 40 - 79a 2).

Sed isti non videntur bene dicere nec secundum intentionem Philosophi, quia de necessitate oportet quod si obiectum habitus est idem formaliter, quod habitus sit idem. Unde navalis distinguitur ab astronomia quia contrahitur subiectum eius per quedam signa apparentia.

Ma convincono poco, costoro. Efraintendono la citazione aristotelica, perché laddove l'oggetto dell'attitudine è formalmente il medesimo, anche l'attitudine è la stessa. Di conseguenza l'arte navale si distinge dall'astronomia a motivodi maggiore contrazione del suo soggetto sul tracciato di taluni segnali visivi.

8. Et ideo alii aliter dicunt, silicet[7] quod sit perfectum recipere comparationem, |93vb| ut dicatur perfectum perfectius perfectissimum, ita et absolutum ut dicatur absolutius absolutissimum. Dicunt ergo quod Deus sub absoluta consideratione est obiectum vel subiectum scientie nostre; sed sub absolutiori est obiectum

 Altri pertanto argomentano diversamente e dicono: è segno diperfezione accettare la comparazione |93vb|, e dire perfetto, più perfetto, perfettissimo; e parimenti assoluto, più assoluto, assolutissimo. Dicono dunque che Dio sotto considerazione assolutaè oggetto e soggetto della scienza nostra; sotto considerazione più assoluta è oggetto della scienza dei beati; sotto considerazione

scientie beatorum, sub absolutissima vero est obiectum scientie Dei.

assolutissima è oggetto della scienza di Dio.

Et hoc dictum concordare videtur cum opinione illorumqui ponunt Deum esse subiectum in theologia non sub aliqua ratione speciali.Quod apparere dicunt ex duobus eorum principiis, et iterum ex eorum positione. Unum enim principium eorum est quod nostra scientia subalternatur scientie Dei et beatorum. Ergo cum scientia subalternans et subalternata sint diverse scientie et per consequens diversi habitus, oportet quod de necessitate habeant diversa obiecta formalia.

E ciò sembra concordare con l'opinione di quanti sostengono che Dio, senza specificazione alcuna, è soggetto in teologia. Cosa che risulta, dicono, da due loro princìpi e da una loro tesi.

Primo loro princìpio: la nostra scienza è subalterna alla scienzadi Dio e dei beati. Poiché la scienza subalternante e quella subalternata sono scienze diverse, e per conseguenza diverse le attitudini, ne segue necessariamente che abbiano distinti oggetti formali.

Aliud vero principium eorum est quod nichil potest esse simul scitum vel visum et creditum ab eodem et secundum idem. Unde vult quod ista duo obiecta formaliter differunt, scilicet scitum et creditum.Cum ergo scientia sit de Deout viso vel inspecto, ista autem sit de Deo ut credito,non potest esse quin sit alia ratio formalis obiecti.

L'altro loro princìpio: nulla puòessere simultamente conosciuto o veduto e creduto, dalla medesima persona e secondo il medesimo aspetto. Significa che i due oggetti, ossia conosciuto e creduto, differiscono formalmente. Poiché la scienza riguarda Dio in quanto veduto e studiato, questa invece (ossia lateologia) riguarda Dio in quanto creduto, non può non trattarsi didistinta ragione formale dell'oggetto,

Secundo idem apparere dicunt ex eorum positione. Ponunt enim quod ens divinum

In secondo luogo, medesima conclusione sostengono a partire da una loro specifica tesi.

cognoscibile per inspirationem est subiectum[8]. Si ergo hoc est idem quod ponere Deum subiectum  -  quod videtur exhoc, quia hoc dicentes non retractant id quasi contrarium dixerint  -sequitur quod Deus sit subiectum in theologia ut estcreditum vel primo cognitum ab homine viatore; quod idem est.

Ritengono infatti che il soggettoè l'essere divino conoscibile perispirazione. Se questo equivale aporre Dio per soggetto - e così è, visto che non ritrattano quanto avrebbero asserito pressoché in contrario - ne segueallora che Dio è soggetto in teologia in quanto creduto, o perprimo conosciuto dall'uomo viatore; che è la medesima cosa.

[1] Cf. TOMMASO D'AQUINO, In I Sent., prol. q. 4 corp.: «Tertia comparatio [subiecti ad sdentiam] est quod per subiectum distinguitur scientia ab omnibus aliis; quia "secantur scientiae quemadmodum et res", ut dicitur in III De anima; et secundum hanc considerationem, posuerunt quidam credibile esse subiectum scientiae». Ma In De anima, commentando il medesimo testo aristotelico III, 8 (431b 24-26), scrive: «Sensus enim et scientiadividuntur in res, id est dividuntur in actum et potenciam quemadmodum et res» (ed. Marietti 1925, p. 257 n. 788; ora ed. Leonina t. 45/1 (1984), p.235b). Remigio dirà: «Unde vult dicere [Philosophus] quod scientia et sensus dividuntur in actum et potentiam ad modum rerum de quibus sunt» (sotto rr. 386-87).♦ (righi 377-506 di ed. a stampa, di qui a tutto cap. 8) Per l'evoluzione e i rinnovati problemi posti, tra fine XIII e inizio XIV secolo, dalla teologia come subalternata alla «scientia Dei etbeatorum» vedi A. HAYEN, La théologie au XII, XIII et XX siècles, «Nouvelle Revue Théologique» 79 (1957) 1009-1028, specie pp. 1022-28; 80 (1958) 113-32. C. DUMONT, La réflection sur la méthode théologique, II. Le dilemme théologique, «Nouvelle Revue Théologique» 84 (1962) 22-35. Ma non mi sembra che il testo di Remigio testimoni l'imbarazzo di cui DUMONT, art. cit., pp. 22-32. J. BEUMER, Die Kritik des Johannes von Neapel O.P. an der Subalternationslehre des hl. Thomas von Aquin, «Gregorianum» 37 (1956) 261-70. Vedi anche M.-D. CHENU, La théologie comme science au XIIIe siècle, Parigi 1957, 71 ss.[2] ARIST., De anima III, 8 (431b 24-26). Cf. traduz. greco-latina vetus di Giacomo da Venezia: «Secantur autem scientia et sensus in

res; quae quidem potentia est, in ea quae sunt potentia, quae veroin actu, in ea quae sunt actu» (ed. C. Stroick in ALBERTI MAGNI, Opera... t. 7, Münster 1968, 223). Del tutto diversa la traduzionearabo-latina di Michele Seoto: in AVERROIS CORDUBENSIS, Commentarium magnum in Aristotelis De Anima, ed. F.S. Crawford, Cambridge Mass. 1953, 503 n. 38 rr. 1-4. Mentre la traduzione greco-latina di Guglielmo da Moerbeke non muta, nel nostro caso, il testo della vetus (da comunicazione di R.-A. Gauthier che ne prepara l'edizione; ora in ed. Leonina t. 45/1 (1984), p. 235a: «Secatur igitur scientia et sensus in res, que quidem potencia estin ea que sunt potencia, que vero actu in ea que sunt actu»). Il testo come dato sopra (rr. 187-88) e qui in obiezione 5, è dunque in forma d'adagio che suppone almeno la vetus; ricorre con frequenza nella letteratura coeva sulla natura della teologia. «Scientiae secantur quemadmodum res de quibus sunt scientiae» in Florilège p. 188, n° 162.[3] «comuniter accipiuntur»: cf. GIOVANNI DA NAPOLI, Quaestio XX (Utrum Deus sit subiectum theologiae): «Verbum autem Philosophi quod adducebatur in arguendo, scilicet "Secantur scientiae [quemadmodum et res]" exponendum est hoc modo: Si res secantur quae sunt subiecta scientiarum, secantur et scientiae, sed non e converso» (in JOHANNIS DE NEAPOLI, Quaestiones variae Parisiis disputatae,ed. D. Gravina, Napoli 1618, 179a).[4] ENRICO DA GAND († 1293), Quodlibet XII, q.1: «Ad rationem primam in contrarium, quod nihil idem sub eadem ratione potest esse obiectum scientiae infinitae et finitae etc., dico quod verum est si ratio illa infinitatis intelligatur esse aliquid obecti scientiae; non autem est verum si intelligatur tantummodo esse annexa obiecto secundum iam dictum modum. Intelligendum tamen est,propter tacta in probatione maioris illius, quod quaelibet scientia respicit duo: et obiectum scibile a quo formatur in sciente et ad quod terminatur, et subiectum in quo formatur. Et abutroque determinatur sed diversimode, qui a secundum rationem obiecti determinatur ad forman et speciem, secundum rationem autemsubiecti determinatur ad intensionem et remissionem. Verbi gratia,in videndo solem ab aquila et homine et noctua propter idem obiectum et secundum eandem rationem a parte sui quod est lux sub ratione splendentis idest in se lucentis, est eadem visio secundumspeciem, quae tamen secundum speciem distinguitur a visione coloris. Si tamen lux et color distinguuntur secundum speciem, semper enim secundum diversitatem obiectorum diversificantur secundum speciem visionis et scientiae. Propter vero aliam dispositionem subiecti variam lympidior est visio aquilae quam

hominis, et hominis quam noctuae, quia semper actus activorum suntin patiente secundum rationem dispositionis ipsius secundum intensum et remissum, quia quod recipitur, semper secundum modum recipientis recipitur et non secundum modum eius quod recipitur. Et consimiliter dico in proposito quod Deus et secundum eandem rationem, scilicet infinitatis ex parte sui, est obiectum scientiae Dei et beatorum et hominum viatorum; et determinatur ad speciem ab obiecto, determinatur tamen secundum intensionem et remissionem a dispositione subiecti ut lympidius vel minus lympidevideatur» (QuodIibeta, ed. Parisii 1518, voI. Il, f. 484r V-X). «intentionem» (r. 401): altrove Remigio distingue: «...licet ♦secundum usum loquendi, qui in talibus observandus est, non dicatur tunc 'intentio' sed 'intensio', ut patet per Philosophum in pluribus locis. Quamvis enim hoc verbum 'intendo' habeat utrumque suppinum, scilicet intentum et intensum, tamen in ista significatione acceptum facit suppinum 'intensum', ut dici Huguiccio» (De modis rerum I, 23: cod. C, f. 37va). UGUCCIONE DA PISA, Derivationes [1192-1200], 'Tendo': Firenze, BibI. Laurenziana,PIut. XXVII sin. 5, f. 82vb.[5] ARIST., Categoriae c. 5 (3b 33-35). Traduz. di Boezio nella «editio composita»: AL l/1-5, p. 52; cf. ib., p. 91 la traduz. di Guglielmo da Moerbeke.[6] ARIST., Analytica posteriora I, 13 (78b 40 - 79a 2); tutto c. 13 (78a 22 - 79a 16) per la natura epistemologica delle dimostrazioni(quia e propter quid) delle scienze subaIternanti e subalternate.EGIDIO ROMANO, In I Sent. [1276-78] prol. pars 2a, q. 1, a. 1 corp.: «Tertius modus subaIternationis est quando de eodem determinat scientia subaIternans et subaIternata, sed subaIternans determinatde eo modo subtili, subaIternata autem modo grosso, sicut ponit exemplum Philosophus [Anal. post. I, 13] de harmoniaca mathematica etde ea quae est secundum auditum...; similiter etiam se habet apparentia ad astrologiam; nam apparentia, sive scientia qua nauteutuntur, considerat cursum astrorum modo grosso, quem considerat astronomus modo subtili» (ed. Venetiis 1521, f. 4r D-E).[7] silicet: cosi qui e altrove quando scritto in estenso, e anche nei testi paleografici geograficamente affini; più di frequente nel classico compendio .s., che sciolgo nel convenzionale scilicet.[8] «ens divinum cognoscibile per inspirationem»: TOMMASO D'AQ., In I Sent., prol. a. 4 corp. Vedi sopra § II dell'introduzione. Mi sembra che al medesimo testo tomasiano miri la critica di EGIDIO ROMANO, In I Sent. [1276-78], prol. q. 3: «Tertia positio est quod subiectum in sacra pagina est scibile per inspirationem. Nec ista,

ut apparet, subiectum accipit proprie, quia quodlibet per inspirationem sciri posset. Preterea multa per inspirationem habemus in sacra pagina que non sunt subiectum in ea nec est pars subiecti...» (ed. Venetiis 1521, f. 3v K). Cf. ERVEO NÉDELLEC OP, Defensio doctrinae fratris Thomae [1307-09] art. 18 (Utrum Deus sub ratione, qua veritas intelligibilis per fidem, sit obiectum theologiae); risposto negativamente, ammette che l'«intelligibilisper fidem» assegnerebbe alla teologia un oggetto formale meno proprio; poi: «et accipiendo sic formale obiectum, invenitur frater Thomas [de Aquino] quandoque, scilicet in primo Sententiarum, posuisse quod subiectum theologiae est revelabile per fidem» (in E. KREBS, Theologie und Wissenschaft nach der Lehre der Hochscholastik. An der Hand der Defensa Divi Thomae des Hervaeus Natalis, Münster 1912, 75*).

 De subiecto theologie Il soggetto della teologia

originale latino volgarizzamento (2007) di EP

 <7. Deus est obiectum absolutissime et sue scientie et beatorum et nostre, ed. rr. 455- 506>

<7. Dio è oggetto massimamenteassoluto sia della sua scienzache della scienza dei beati e della nostra>

Nos autem dicimus quod penitus eodem modo Deus est obiectum absolutissime et suescientie et beatorum et nostre. Ad cuius evidentiam considerandum est quod scientia est quidam habitus cognitivus. Potest ergo diversificari scientia vel inquantum habitus vel in quantum cognitivus tantum. Inquantum autem habitus, diversificatur ex diversitateobiecti; in quantum vero cognitivus, diversificatur exdiversa ratione luminis, quia

Nostra opinione è che Dio in quanto Dio è oggetto in senso assoluto sia della sua scienza che della scienza dei beati e della nostra. Illustriamo la cosa. La scienza è una certa attitudine conoscitiva. Può diversificarsi dunque, la scienza, o in quanto attitudine oppure soltanto in quanto conoscitiva. Nel primo caso, si diversifica a partire dalla differenza degli oggetti. In quanto conoscitiva, si diversifica a motivo della luce, essendo la luce la ragione d'ogniatto conoscitivo, sia sentivo cheintellettivo, secondo l'adagio d'Aristotele, Dell'anima II, 7

lumen est ratio cognoscendi in omni cognitione tam sensitiva quam intellectiva, iuxta illud Philosophi, in IIDe anima, omnia que videntur in lumine videntur; et ad Eph. 5[,13] «Omnia que arguuntur a lumine manifestantur».

(418b 2): tutto quanto vediamo, lo vediamo nella luce; ed Efesini 5,13 «Tutte le cose che vengono condannate sono svelate dalla luce».

Dicimus ergo quod scientia Dei, beatorum et nostra, est eadem ex parte illa qua habitus est propter ydemptitatem formalis obiecti, sed est alia et aliapropter diversam rationem luminum, sicut verbi gratia aliquis actus moralis ex parte actus potest esse idem |94ra| specie propter idem obiectum formale, et ex partequa moralis potest esse diversus specie propter diversitatem finis; sicut videre corpus Christi vel audire divinum officium in ecclesia, licet ex parte actus utrumque sit idem in specie propter idem obiectum formale scilicet colorem et sonum, tamen ex parte qua moralis potest recipere diversitatem utrumque eorum, puta si hoc fiat propter devotionem vel fiat propter aliquem malum finem, silicet propter cupiditatem lucri sicut facit avarus, vel

Diciamo dunque che la scienza di Dio, dei beati e nostra, è medesima in quanto attitudine a motivo dell'identità dell'oggettoformale; è invece altra e altra in rapporto alla qualità della luce. Esempio: un atto morale in quanto atto può appartenere alla medesima |94ra| specie a causa del medesimo oggetto formale, mentre in quanto atto morale può essere di specie diversa a causa della diversità del fine. Così vedere il corpo di Cristo o udireil divino uffizio in chiesa, sonosì identici per specie a motivo del medesimo oggetto formale quale colore e suono, tuttavia per qualità morale possono entrambi diversificarsi: se uno lo fa per devozione, oppure per un fine biasimevole, quale smaniadi denaro come fa l'avaro o vanagloria come fa l'ipocrita.

propter vanam gloriam sicut facit ypocrita.Nec hoc dico quasi in Deo sitaliquis habitus, quia sicut est sine qualitate bonus  -secundum Augustinum  -  ita est sine habitu sciens; sed quia si consideretur per modum cuiusdam habitus inherentis, sicut dicimus quod non habet diversitatem in specie ab eo cui inheret[1].

E non intendo asserire che in Diovi sia abito o attitudine, perchécome egli è buono senza qualità accidentale - a detta di Agostino-  parimenti è onniscente senza abito o attitudine; lo dico invece in linguaggio ipotetico, ossia quando l'abito lo si considerasse simile ad una attitudine inerente, così come diciamo che non ha diversità specifica da colui cui inerisce.

<8. in theologia Deusabsolutissime sumptus estsubiectum, ed. rr. 483-506>

<8. in teologia Dio è soggettoin senso massimamente assoluto, ossia senza specificazione alcuna>

Hoc etiam addendum est quodDeus et beati non habent scientiam de Deo secundum quod nos loquimur de scientia, prout scilicet est quidam habitus quo discurritur de principiis in conclusiones. Et ideo dicimusquod in theologia, que est prima scientia simpliciter eomodo quo nos loquimur de scientia, primum idest Deus absolutissime sumptus est subiectum, quia sine omni additione specialis rationis quantum est ex parte obiecti;sed additiones que sunt ibi, sunt ex parte modi cognoscendi, puta quia Deus scit se infinite, et illum eundem Deum beatus scit

Aggiungiamo. Dio e i beati nonposseggono la scienza di Dio secondo il nostro significato di scienza, ossia attitudine conoscitiva che procede dai princìpi verso le conslusioni. Per questo motivo asseriamo che in teologia, prima scienza in sé così come noi l'intendiamo, soggetto primo senza specificazione alcuna è Dio, ovvero senza giunta specificativad'una qualsiasi qualità da parte dell'oggetto. Eventuali addizionie specificazioni possono provenire da parte del modo di conoscere:  Dio conosce sé stessosenza limiti; i beati conoscono il medesimo Dio limitatamente ma con chiarezza; il teologo lo conosce in modo finito e oscuro.

finite sed clare, et illum eundem scit theologus finite et obscure.Et sic quod dicitur ‘creditum’ et ‘scitum’ non sunt conditiones addite subiecto sed sunt conditiones diverse ex partemodi cognoscendi. Et per hocpatet responsio ad id quod dicebatur de secundo illorumprincipio[2] et etiam ad id quod dicebatur de eorum positione, quia «ens divinum» non est aliud quam Deus essentialiter; et quod additur «cognoscibile per inspirationem»[3], non additur ut pars subiecti sedex parte modi cognoscendi. Et ideo ne reputaretur esse pars subiecti, melius fuit dicere quod Deus sine omni additione[4] est subiectum intheologia, sicut secundo dictum est.

Di conseguenza, "creduto" e "conosciuto" non sono condizioni sopraggiunte al soggetto, bensì condizioni differenti dovute al modo di conoscere. E rispondiamo così a quanto si diceva del loro secondo principio, nonché a quanto si diceva della loro posizione, perché l'essere divinonon è altro che Dio nella sua essenza; e "conoscibile per ispirazione" non sopravviene quale parte del soggetto ma dallamaniera di conoscere. Perché dunque non apparisse parte del soggetto, era meglio la formularela tesi: " Dio, senza specificazione alcuna, è soggettoin teologia", come detto sopra.

Ad illud vero quod obiciturde primo principio[5], dicendum est quod ista subalternatio scientie ad scientiam intelligitur non quia habitus subalternetur habitui sed quia cognitio subalternatur cognitioni, |94rb| sicut manifestius apparebit in sequentibus.

Quanto all'obiezione circa il primo principio, diciamo: siffatta subalternazione di scienza a scienza non va intesa che attitudine si subalterna ad attitudine, ma che conoscenza si subalterna a conoscenza, |94rb| come risulterà evidente da quantosegue.

[1] Paragrafo «Dicimus ergo quod scientia Dei ... ab eo cui inheret» (rr. 465-82): cf. obiezione e relativa risposta in DURANDO DA SAINT POURÇAIN, In I Sent., prol. q. 5, che ammette la differenza anche «ex parte obiecti», non solo «ex parte modi cognoscendi» (ed. Lugduni 1569, f. 7va, f. 9ra).[2] «de secundo illorum principio» =  quod nichil potest esse simul scitumvel visum et creditum ab eodem et secundum idem: sopra c. 6, rr. 441-43.[3] «cognoscibile per inspirationem»: sopra c. 6, rr. 448-50. [4] «Deus sine omni additione». La tesi è comune nella discepolanza tomasiana. Ma evolve anche la formulazione. Nella Defensio (1307-09) di Erveo Nédellec si ha «Deus sub ratione Deitatis» (E. KREBS, Theologie und Wissenschaft... cit. pp. 77*-81*). Sotto questa formula la tesi è respinta nella Summa (1307-17) di Gerardo da Bologna («Rech. Théol. Anc. Méd.» 1956, 69-70). Diventa«Deus sub ratione absoluta» in GIOVANNI DA NAPOLI, Quaestio XX (ed.D. Gravina, Napoli 1618, pp. 172-81).[5] «de primo principio» = quod nostra scientia subalternatur scientie Dei etbeatorum: sopra c. 6, rr. 437-39.

De subiecto theologie Il soggetto della teologiaoriginale latino volgarizzamento (2007) di EP

<9a. aliqua contra dicta modo gharlandico et puerili, ed. rr. 507-601>

<9a. talune obiezioni sanno digarlandico e d'infantile>

Sed[1] advertendum quod aliqua dicta sunt, contra ea que posuimus de subiecto, modo gharlandico[2] et puerilimagis quam theologico, ut michi videtur. Et si dicatur quod iste modus iam a longo tempore in bachelariis incipientibus Sententias est observatus Parysius, responderi posset quod ista puerilitas quanto est diuciusobservata tanto est magis

Va annotato che talune obiezioni contro la nostra tesi sul soggetto della teologia sannodi garlandico e d'infantile anziché di teologico. Così almenomi suona. Si dirà forse che a Parigi ormai da tempo si trattanocosì i baccellieri che iniziano la lettura delle Sentenze. Potrei rispondere che siffatta banalità quanto a lungo s'è protratta, tanto è da deprecare; e infatti «chi rimane bambino per cento anni sarà maledetto», dice Isaia

reprobanda, quia ut dicitur Ysa. 65[,20] «Puer centum annorum erit maledictus». Verum quia velle videri sapiens inter insipientes interdum non reputatur sapientie, iuxta illud Boetii, De duabus naturis et una persona Christi, «Oppressus doctorum grege conticui metuens ne iure viderer insanus si inter furiosos sapiens videri contenderem»[3], ideo more aliorum contra opposita aliquid dicam ne de iure viderer puer si inter pueros videri senex contenderem.

65, 20. Ma tentare d'esser sapiente tra gl'insipienti non è saggio, a detta di Boezio nel proemio di Due nature e una persona del Cristo: «Sopraffatto dal brancodei dottori tacqui, temendo a buon diritto d'apparire pazzo se avessi osato di fare il saggio tra i violenti» (PL 64, 1340 A). Meglio allora, sull'esempio altrui, dir qualcosa sulla materia contestata; eviterò di risultare a buon diritto puerile se tra bambocci volessi apparire adulto.

Dicimus ergo iterum asserendo quod distinctio queponitur inter materiam et subiectum non est bona generaliter loquendo sed solum in aliquo significato, cum ipsa materia prima vocetur subiectum ab Aristotile in I De generatione.Ex quo etiam apparet quod male dicunt cum dicunt quod omne subiectum est materia sed non convertitur.

Riaffermiamo dunque che la distinzione tra materia e soggetto non tiene in termini indistinti, ma soltanto con particolare significato, visto che materia prima è chiamata soggetto da Aristotele, Generazione e corruzione I, 4 (320a 2-5). Dal che risulta anche insostenibile asserire che qualsiasi soggetto è materia, ma non viceversa.

Item quod dicunt quod illadistinctio inter materiam etsubiectum est usitatior,plane est falsum; quia omnesloquentes de causis alicuiusscientie comuniter, etiamipsi hiidem qui illam

Sostengono poi che quella distinzione tra materia e soggetto è molto ricorrente. Falso, perché tutti coloro che comunemente trattano le cause d'una scienza, perfino i medesimiche sostengono tale distinzione, ritengono sinonimi causa

dìstinctionem defendunt, proeodem accipiunt causammaterialem et subiectum. Undemirum est quomodo nonadvertunt se negare quodapprobant et approbare quodimpugnant.

materiale e soggetto. Curioso! Non si avvedono che negano quantoaffermano e sostengono quanto impugnano.

Item rationem quam dedimus ex parte nominis, non ad intentionem inpugnant, quia etiam nos diximus quod liber non semper denominatur a subiecto, sicut patet in libro Sententiarum etc.

Fraintendono la nostra argomentazione a partire dalla denominazione, perché anche noi abbiamo ammesso che un libro non sempre lo si denomina dal soggetto; esempio le Sentenze (1155-58) di Pietro Lombardo, eccetera.

Item quod dicunt: si ille plures conditiones formaliteraccepte accipiuntur ut una, quod non sequitur in quantum Deus absolute, immo  -  ut dicunt  -  est fallacia consequentis, falsum est. Immo, sicut ostendebatur, estnecessitas consequentie. Cum enim esse glorificatorem sit unus articulus fidei contra alios distinctus in Simbolo[4],non potest accipi formale obiectum omnium articulorum nisi secundum illud quod est comune obiectum omnibus articulis.

Dicono inoltre: Se quelle molte condizioni formalmente intese si considerano come una sola, allora - dicono - c'è fallacia sillogistica nella consequenza. Falso; ché anzi si tratta, come mostrato, di una conseguenza necessaria nel processo argomentativo. Se "glorificatore" è uno degli articoli di fede distinto dagli altri nel Credo, non può essere assunto quale oggetto formale di tutti gli articoli di fede, se non sotto quello aspetto che è oggetto comune a tutti gli articoli.

Secundum hoc autem, |94va| comune est fides. Huius autem obiectum est veritas prima, secundum Dyonisium c.7 De divinis nominibus, qui dicit quod fides est circa simplicia et semper eodem

Vista così la questione, |94va| la realtà comune è la fede. Suo oggetto è la verità prima, secondo Dionigi l'Areopagita, Nomi divini c. 7 § 4, il quale dice: la fede verte su cose semplici ossia incomplesse, e su una verità che permane sempre

modo se habentem veritatem[5]. Verìtas autem prima Deus est. Nec hoc quoddicitur Deus in quantum veritas prima facit specialem ratìonem in Deo utest subiectum in scientia, sed est conditio sequens omne subiectum in quantum subìectum est. Quia de omni subiecto oportet precognoscere quid est quod dicitur per nomen. Obiectum autem intellectus est verum.Primum autem esse con(veni)tsoli Deo in quantum Deus est.

allo stesso modo. La verità primaè Dio. E quando diciamo "Dio in quanto verità prima", ciò non costituisce speciale ragione in Dio in quanto soggetto della scienza, ma è piuttosto una condizione susseguente ogni soggetto in quanto soggetto. Di ogni soggetto infatti bisogna conoscere l'essere connotato dalla denominazione. Oggetto dell'intelletto, ad esempio, è ilvero. Ora l'essere primo è proprio di Dio in quanto Dio.

Sed quod dìcunt quod glorificator[6], secundum quodponitur subiectum, non est conditio particularis distìncta contra alias sed est conditio generalis sub qua omnes alie continentur, inadvertenter admodum dictum est, quia tunc nichil aliud erit dicere Deus in quantum glorificator quam Deus in quantum Deus, ut cum ‘ego vidi quendam hominem qui vocabatur substantia’. Et tunc contradicunt sibi ipsis.Non enim potest simul esse conditio generalis et specialis.

Molto superficiale è sostenereche "glorificatore" inteso come soggetto non è una condizione particulare distinta dalle altre,bensì la condizione generale sotto la quale son contenute le altre. Se così fosse, non vi sarebbe differenza tra "Dio in quanto glorificatore" e "Dio in quanto Dio"; come se dicessi: "Hovisto un certo uomo che si chiamava sostanza". Inoltre si contraddicono, visto che non si dà simultaneamente condizione generale e speciale.

Quod si dicatur quod immo potest diversis respectibus,

Se poi si vuol dire: contraddizione non c'è se si considerano punti di vista

unde est specialis respectu Dei in quantum Deus sed est generalis respectu aliarum conditionum, hoc nichil est;quia ista generalitas aut intelligitur per modum cuiusdam principalitatis, ettunc ideo valet ad propositum quia substantia est illud de quo principaliter determinat methaphisica et tamen propter hoc non est subiectum in ea sed ens; autintelligitur per modum predicationis, sed hoc esse non potest quia una specialis ratio contrahens absolutam non potest predicari de alia cum quodammodo per oppositum dividantur; aut intelligiturper modum attrìbutionis, sedhoc esse non potest, cum illud solum sit generale quod est obiectum eius quod generaliter omnibus articulis fidei convenit. Hoc autem est Deus cui credimus in quantum Deus est, idest in quantum est veritas prima que nec fallere nec falli potest, non in quantum glorificator.

differenti, cosicché su tratta dicondizione speciale riguardo a Dio in quanto Dio, ma generale rispetto ad altre condizioni. Ebbene, la cosa non tiene. Tale generalità infatti la si può intendere come una qualche preeminenza; e illustra il nostrocaso perché la sostanza è sì la materia principale di cui tratta la metafisica, ma non per questo essa ne è il soggetto, bensì l'ente. Oppure la generalità la s'intende a mo' di predicazione; ma non può essere, perché un aspetto speciale ragione che contrae la nozione assoluta non può esser predicata di un'altra amotivo della loe distinzione oppositiva. Oppure  la s'intende a mo' di attrìbuzione; ma non puòessere, perché generale è soltanto ciò che è  soggetto di quanto in termini generali conveniene a tutti gli articoli della fede. E questo è Dio, in cui crediamo in quanto Dio, ossiain quanto è verità prima senza falsità alcuna, non in quanto glorificatore.

Et quod inducitur Hebr. 11[, 6] «Accedentem ad Deum oportet credere quia est et

Citano poi Ebrei 11, 6: «Chi s'accosta a Dio deve credere che egli esiste e che ricompensa

quod inquirentibus se remunerator sit», que videntur due conditiones precognoscende de subiecto, non est ad propositum; quia Apostolus non loquitur ibi deaccedente ad Deum per scrìpturam, de qua ibi nullammentionem facit, sed loquiturde accedente ad Deum per complacentiam. Unde premittitimmediate «sine fide enim impossibile est placere Deo» [Hebr. 11,6], et postea subdit verba premissa. Et preterea ibi tangit duos articulos fidei, secundum Glosam; unde dicit: quia est,scilicet unus Deus, |94vb| ita etiam oportet credere alios articulos. Sed sicut fides ita et hec scriptura que innititur fidei formaliter tendit in Deum et in alia secundum ordinem ad Deum. Unde Io. 20[,31] «Hec autem scripta sunt ut credatis quia Iesus est Christus filius Dei» etc.

coloro che lo cercano», quasi duecondizione previe alla conoscenzadel soggetto. Ma non fa al nostrocaso. L'apostolo Paolo non parla lì di chi cerca Dio tramite la sacra scrittura, della quale non si fa menzione alcuna. Parla invece di chi cerca Dio tramite compiacenza. Immediatamente primainfatti premette «Impossibile piacere a Dio senza fede» (Ebrei 11, 6), poi aggiunge le parole sopra citate. Inoltre lì tocca due articoli di fede, secondo la Glossa maggiore di Pietro Lombardoa Ebrei 11, 6 (PL 192, 491 B), e dice: poiché esiste, ossia un solo Dio, |94vb| bisogna di conseguenza credere gli altri articoli. Ma proprio a motivo della fede, questa scrittura basata sulla fede tende formalmente a Dio e agli altri misteri ordinati a Dio. Giovanni 20, 31: «Queste cose sono state scritte perché crediate che Gesù è il Cristo, il figlio di Dio», eccetera.

Item quod dicitur quod Deusest pelagus infinitum[7] etc. et ideo sub ratione infinitatis non potest esse obiectum scientie create, nichil est ad propositum; quia infinitas illa non est pars obiecti sicut nec alie conditiones eius, puta quod

Dicono inoltre: Dio è oceano infinito eccetera, e dunque sottola nozione d'infinità non può darsi il soggetto d'una scienza creata. Argomento impertinente alnostro intento. Tale infinità nonè parte dell'oggetto, come neppure le altre condizioni, su modello: sommamente giusto, sommamente sapiente, sommamente

est summe iustus, summe sapiens, summe bonus, que etiam intelliguntur in ipso nomine Dei secundum triplicemsignificationem huius nominis‘Dei’ positam a Damasceno[8] in libro I: scilicet ab ‘ethi’ quod est ardere, vel a‘theaste’ quod est omnia videre, vel a ‘thein’ quod est omnia fovere; sed accipitur ex parte modi cognoscendi, qui quidem diversus modus nullam diversitatem facit ex parte subiecti. Idem enim obiectum potest cognosci finite vel infinite, clare vel obscure, magis vel minus clare.

buono. Nozioni incluse nello stesso nome di Dio, stando al triplice significato di "Dio" proposto da Giovanni Damasceno (†749) nelle sue Sentenze I, 9: derivato da "ethi" ossia bruciare; da "theaste" tutto vedere; da "thein" tutto nutrire.La si intende invece, tale infinità, da parte del modo di conoscere. che in quanto tale nonproduce diversità da parte sul soggetto. Il medesimo oggetto infatti lo si può conoscere in maniera perfetta o imperfetta, chiara o oscura, più o meno chiara.

[1] A proposito di questo paragrafo (brano rr. 507-19 della stampa) e dell'interpretazione datane da M. GRABMANN, Frà Remigio..., «La Scuola Cattolica» 63 (1925) p. 281, tieni presente quanto detto in Studio pp. 197-98; cronologia remigiana 1298-1300.[2] «modo gharlandico et puerili»: non sembra un riferimento a Giovanni da Garlande (ca. 1195-1272), celebre maestro della facoltà delle arti che insegnava in «rue de Garlande» da cui gli derivò il nome: cf. P. GLORIEUX, La faculté des Arts et ses maîtres au XIIIe siècle, Paris 1971, 211; J.J. MURPHY, La retorica nel Medioevo, Napoli 1983, 435b. Sembrerebbe piuttosto una stizzosa insofferenza contrometodi e costumi invalsi nella facoltà delle arti e infiltratisi in quella di teologia. Così anche M. Grabmann in «La Scuola Cattolica» 1925, p. 281.Nota i seguenti testi in riferimento alla facoltà delle arti: GUGLIELMO DA TOCCO: «Quem errorem cum essent scholares Golardiae imitantes qui Averrois sectatores communiter erant... » (in ThomaeAquinatis vitae fontes, a c. di A. Ferrua, Alba 1968, 59); da correggere in scholares Garlandiae?: F. VAN STEENBERGHEN, La filosofia nelXIII secolo, Milano 1972, 329 n. 32. Controlla ora il testo su C. LE

BRUN-GOUANVIC, "Ystoria sancti Thome de Aquino" de Guillaume de Tocco (1323). Édition critique, introduction et notes (Pontifical Institute of Mediaeval Studies), Toronto 1996. Opinione di Goffredo da Fontaines riportata da BERNARDO D'AUVERGNE, Reprobationes [post 1298]: «Ad rationem dicendum quod non est in preiudicium illorum qui condemnaverunt praedictos articulos, quia ad tollendos errores pululantes quandoque ponunt doctores locutiones emphaticas et excessivas; et ita fuit tunc propter tales errores surgentes in Garlandia inter artistas» (ed. P.Stella in «Salesianum» 19 [1957] p. 207). Cf. A.L. GABRIEL, Garlandia. Studies in the history of the mediaeval University, Francoforte 1969,pp. XIII, 52-53. E. MASSA, Carmina Burana e altri canti della goliardia medievale, Roma (Ed. Giolitine) 1979. [3] BOEZIO, De duabus naturis et una persona Christi, proemio (PL 64, 1340A). Medesima opera citata da Remigio anche in Deo uno esse in Christo (ed. M. Grabmann, «Estudis Franciscans» 34 [1924] 265); De peccato usure c. 2 (ed. O. Capitani, «Studi Medievali» 6/2 [1965] 61); Quolibet I, 7 (cod. C 4.940, f. 76vb). Titolo dell'opera: Liber contra Euthychen et Nestorium, in E. DEKKERS - AE. GAAR, Clavis Patrum Latinorum, Bruges 1961, n. 894.[4] Simbolo costantinopolitano, anno 381: Conciliorum Oecumenicorum Decreta, ed. Istit. Scienze Relig., Bologna 1973, 24b; Enchiridion Symbolorum, ed. A. Schönmetzer, Herder 1973, n. 150.[5] Pseudo-DIONIGI AREOPAGITA, De divinis nominibus c. 7 § 4 (PG 3, 872 C, 873 A). Cf. traduz. di Roberto Grossatesta in Dionysiaca I, ed. Ph. Chevallier, Bruges 1937, 412.[6] «glorificator»: EGIDIO ROMANO, In I Sent., prol. q. 3 (ed. Venetiis 1521, f. 3v K, N-O). Vedi sopra nota a c. 5 rr. 272-73.[7] «pelagus infinitum»: cf. ENRICO DA GAND, Quodlibet XII, q. 1 (ed.Parisiis 1518, voI. II, f. 483v). GIOVANNI DUNS SCOTO, Ordinatio, prol. pars 3, q. 4 nn. 168, 204 (Opera omnia I, Città del Vaticano 1950, 111-12, 137). EGIDIO ROMANO, Quodl. III (1288), 2 (ed. Lovanio 1646, 128a).[8] GIOVANNI DAMASCENO († 749), De fide orthodoxa I, 9 § 3; traduz. greco-latina (1153-54) di Burgundione da Pisa, ed. E.M. Buytaert, St. Bonaventure - New York 1955, 49 rr. 20-24: «Secundum vero nomen: theos (id est Deus), quod dicitur ab eo quod est thein [θέειν] (id est currere), et fovere universa; vel ab ethin [αίθειν], id est ardere: Deum enim ignis consumens omnem malitiam est; vel a theaste [θεασθαι] (id est considerare) universa: nulla enim eum latent, immo omnium est considerator». Testo greco: PG 94, 837 A.

De fide orthodoxa comunemente denominata Sententiae dai latini, su traduzione greco-latina (1153-54) di Burgundione da Pisa, da inizio Duecento suddivisa in quattro libri sul modello delle Sentenze (1155-58) di Pietro Lombardo.

 De subiecto theologie Il soggetto della teologia

originale latino volgarizzamento (2007) di EP

<... 9b. aliqua contra dicta modo gharlandico et puerili, ed. rr. 602-716>

<... 9b. talune obiezioni sanno di garlandico e d'infantile>

Sed di(cunt) quod tripliciter contingit se aliqua habere: uno modo disparate ut verum et bonum, et tunc unum potest obici intellectui sine altero; aliomodo sicut superius et inferius ut animal et homo, et tunc similiter superius potest obici intellectui sineinferiori; tertio modo sicut diffinitum et diffinitio vel pars diffinitionis eius, et in hiis nullo modo primum potest obici intellectui sinesecundo. Et sic se habet infinitas ad Deum.

Sostengono inoltre tre modi dirapporto tra le cose. Primo, disparatamente, come tra vero e buono; in tal caso uno può esser sottoposto all'intelletto senza l'altro. Secondo, al modo di superiore e inferiore, come animale e uomo; e anche qui il superiore può esser sottoposto all'intelletto senza l'inferiore.Terzo, come tra definito e definizione, o parte della sua definizione; e qui in nessum modoil primo può esser sottoposto all'intelletto senza il secondo. E in questo modo stanno le cose tra infinità e Dio.

Sed in hoc multipliciter deficiunt. Primo quia dicunt verum et bonum disparata esse, cum unum de altero predicetur, quod de disparatis non contingit; quia homo non predicatur de asino nec e converso. Disparata enim sunt que sunt

Fanno difetto in più punti. Primo, laddove asseriscono che vero e buono sono nozioni disparate ossia eterogenee. Al contrario, uno lo si predica dell'altro, cosa che non si dà dei termini disparati; uomo, ad esempio, non lo si predica dell'asino, né viceversa. Disparate son cose differenti per

diversa re vel natura, ita tamen quod sub nulla oppositione de quatuor proprie reponuntur, sicut patet in loco a disparatis[1]. Quod si dicantur disparata quia rationes eorum sunt disparate, verum est quidem, sed per istum modum diffinitio et diffinitum aliqualiter possent dici disparata quia alia est ratiodiffinitionis ut diffinitio est, et diffiniti ut diffinitum est.

entità e per natura, non riposte tuttavia in nessuno dei quattro "luoghi" o ambiti d'argomentazione oppositiva, comerisulta nel '"luogo" o ambito argomentativo da termini disparati. Se poi le vogliamo chiamare cose disparate a motivo della relazione di disomogeneità,è corretto; ma in tal senso definizione e definito risultano disparati perché diversa è la relazione di definizione in quanto definizione, e la relazione di definito in quanto definito.

Item quod dicunt tertio falsum est. Licet enim unum non possit intelligi sine altero, tamen non oportet quod intelligatur cum eo cum ista reduplicatione in quantum tale vel sub tali ratione, quia alsoluta consideratio rei abstrahit abomni speciali consideratione.Unde si esset aliquis liber cuius subiectum esset homo |95ra|  -  puta in libro Gregorii Nazançeni[2] qui fecitlibrum de homine  -  non posset dici quod homo in quantum animal vel sub ratione animalis esset ibi subiectum, quia tunc sequeretur quod esset ibi subiectum animal et non homo,quia non determinaretur ibi de homine nisi per

Anche quel che dicono al terzopunto è falso. Sebbene uno non possa esser compreso senza l'altro, non se segue che comporti in subordine anche "in quanto tale, o sotto tale aspetto", perché la considerazione assoluta d'un oggetto astrae da ogni particolare aspetto. Poniamo l'esempio: un libro ha per soggetto l'uomo -  caso del librosull'uomo composto da Gregorio Nazianzeno (ca. 330-390) - ; ciò non comporta che soggetto ne sia l'uomo in quanto animale o sotto l'aspetto d'animale, ché allora soggetto ne sarebbe l'animale e non l'uomo, visto che non vi si tratta del l'uomo se non per riferimento all'animale.

attributionem ad animal.Et simile dico etiam de rationali quod plus est. Sedesset ibi subiectum homo in quantum homo et sub ratione humanitatis. Et similiter intheologia Deus in quantum Deus et sub ratione divinitatis est subiectum. Cui addendum est quod si in quantum glorificator esset subiectum, tunc aliqua scientia humana posset istamprecedere secundum aliquam sui partem, puta quia in libro De Deo, quem fecit Aristotiles[3], potest poni subiectum Deus sed non in quantum glorificator, quia gloria infidelibus non redditur, sed Deus absolute.Et sic theologia non esset omnino prima scientia.

Medesimo discorso per l'aspetto razionale, valore superiore. Al contrario, in quel libro soggettosarebbe l'uomo in quanto uomo e sotto l'aspetto di umanità. Parimenti in teologia Dio in quanto Dio e sotto l'aspetto di divinitatà è soggetto. Aggiungiamo. Se Dio fosse soggetto in quanto glorificatore,allora una qualche scienza umana potrebbe precedere la teologia secondo una qualche sua parte. Esempio: nel libro aristotelico Su Dio e il cosmo il soggetto potrebb'essere Dio, ma non in quanto glorificatore, ché non si rende gloria agl'infedeli, bensì Dio in senso assoluto. E in tal caso la teologia non sarebbe in alcun modo la prima scienza.

Item quod dicitur siponatur eadem theologia innobis et in Deo in quantum adhabitum, redibìt opinioMagistri Sententiarum decaritate nostra quod sitDeus[4], inpertinenter dicitur;quia Magister non ponitaliquem habitum de caritatein nobis sed actum solum,quem tamen non intellexitesse idem quod Deus, sed quiaprocedit a Deo immediate.Similiter quod dicimus

Taluni poi dicono: Se si colloca la medesima teologia in noi e in Dio quanto all'attitudine o disposizione, sitornerebbe all'opinione del Maestro (= Pietro Lombardo) delleSentenze I, dist. 17, cc. 1-3, e cioè che la carità nostra sarebbeDio. Argomentazione fuori luogo. Il Maestro non ripone in noi una qualche attitudine della carità, ma soltanto l'atto; questo poi non viene identificato con Dio, ma procede immediatamente da Dio.Parimenti quando diciamo che in Dio c'è attitudine, intendiamo

habitum esse in Deo,intelligimus quantum ad illudquod perfectionis est semotoeo quod imperfectionis est,quia est «sine qualitatebonus» etc., sicut dicitAugustinus. Unde ipse habitusin Deo est sua essentia.Tamen quantum ad rationemhabitus, dicimus quodtheologia sua et nostra nondifferunt specie, cum habeantidem obiectum.

l'elemento di perfezione, rimovendo l'imperfetto, essendo Dio «grande senza quantità, buonosenza qualità», afferma Agostino,Sulla Trinità V, 1 § 2. Cosicché in Dio l'attitudine equivale alla sua essenza. Rispetto poi alla definizione d'attitudine, diciamoche la teologia in Dio e in noi non differiscono nella specie, avendo il medesimo oggetto.

Item quod dicunt se non vìdere quomodo sit unitas in scientia ex parte habitus et tamen sit diversitas ex partecognitionis, non possum alìud. Tamen non est difficile videre quomodo potest esse unitas ex parte generis et dìversitas ex parte specierum que per diversas differentias constituuntur. Unde et Philosophus dicit quod gramatica et musica secundum species suas sunt in predicamento qualitatis, et secundum genus, scilicet disciplinam vel habitum, suntin predicamento relationis. Item quod dicunt quod habitusnon habet diversitatem ab obiecto et tamen trahit speciem ab eo, plane inplicatcontradictionem; quia si trahit speciem trahit formam

Dicono poi: Non vediamo come possa esserci unità nella scienzarispetto all'attitudine e tuttavia diversità rispetto al modo conoscitivo. Non trovo altrerisposte! Ma dopo tutto, non è così difficile capire che c'è unità del genere e diversità delle specie, costituite dalle molteplici differenze. Aristoteleinsegna (Categorie c. 8: 11a 20-38)che grammatica e musica secondo le loro specie appartengono alla categoria della qualità;  secondoil genere invece, osssia in quanto disciplina o disposizione,appartengono alla categoria dellenozioni relative.  Parimenti, quando dicono che l'attitudine non si diversifica in forza dell'oggetto e tuttavia trae specificazione da esso, si contraddicono; ché se ne trae specie, ne trae anche la forma, edi conseguenza unità e distinzione dalle altre realtà.

et per consequens unitatem etper consequens distinctionem ab aliis.

Et quod obiciunt de Aristotile in Predicamentis quod ponit diversitatem interhabitum et dispositionem per respectum ad subiectum, scilicet per |95rb| facile etdifficile mobile, non est contra nos; quia habitus in quantum est quedam qualitas respicit subiectum, in quantum autem habitus, respicit obiectum, sicut et sua extrema, scilicet potentia et actus inter que habitus est medium. Unde et per comparationem ad actum diffinitur ab Augustino, in libro De bono coniugali, dicentequod «habitus est quo aliquidagitur cum opus fuerit»[5]; et a Commentatore in III De animaqui dicit quod habitus est quo quis agit cum voluerit[6].

Obiettano poi da Aristotele, Categorie c. 8 (8b 27-37), il qualepone diversità tra abito inteso come possesso e abito inteso comedisposizione in rapporto al soggetto a motivo |95rb| di maggiore o minore stabilità. Contro di noi l'obiezione non tiene. Infatti l'abito in quanto qualità riguarda il soggetto, in quanto possesso riguarda l'oggetto; al pari dei loro estremi potenza e atto, rispetto ai quali l'abito è intermedio. E proprio a confronto con l'atto, Agostino lo definisce nel Del beneconiugale c. 21: «abito è ciò in forza del quale uno pone un'azione al momento del bisogno»; e così pure Averroè (Ibn Rushd, † 1198) nel commento a Dell'anima III, 5 (430a 14-16): abito è ciò in forza del quale uno pone un'azione quando vuole.

Et quod addunt contrarium dictum a Simplicio Super librumPredicamentorum[7], qui dicit quod habitus dicitur per respectum ad habituatum, exponendum est quod habituatum dicatur non “habens habitum”, sed illud quod habitualiter habetur, sicut conclusionem aliquam dicimus in aliquo esse habituatam. Alias simpliciter

Controbattono appellando a Simplicio (V-VI sec. d.C.), Commento alle Categorie c. 8, secondo il quale disposizione la si denomina in rapporto ad "assuefatto". Da interpretare: "assuefatto" non significa colui che ha una disposizione, ma la cosa o comportamente che d'abitudine si dà; così diciamo che una tale conclusione è abituale in qualcuno. Altrimenti faremmo dire delle ingenuità a Simplicio. Infatti "relativo" non

loqueretur Simplicius, quia relativum non dicitur ad subiectum nisi in quantum quoddam accidens est; sed in quantum relativum dicitur ad oppositum, quia relativa suntquibus hoc ipsum esse est ad aliud quodammodo se habere, ut dicitur in Predicamentis.

lo si dice in rapporto al soggetto se non in quanto accidentale; mentre relativo in qualto tale lo si dice in rapporto al termine opposto. Relative sono le nozioni la cui stessa realtà consiste nel rinviare a qualcos'altro, come sostiene Aristotele in Categorie c. 7 (6a 36-38; 6b 6-8).

Sed addunt se dubitare dicentes quomodo poterit hoc esse quod nostra theologia diversificetur a scientia beatorum non in quantum est habitus sed in quantum est cognitivus propter diversum lumen. Sic enim sequetur quodomnes scientie humane sunt eedem sp<eci>e cum omnes innitantur eidem lumini, scilicet lumini naturali.

Soggiungono un dubbio: com'è possibile che la teologia nostra si differenzi da quella dei beatinon in quanto disposizione ma in quanto capacità conoscitiva per luce diversa? Se così fosse, ne seguirebbe che tutte le scienze umane sarebbero identiche per specie, visto che tutte si sostengono sulla medesima luce, ossia quella naturale.

Ad quod dicimus quod scientia non solum dicit cognitionem sed etiam dicit habitum. Dicimus ergo quod inscientiis humanis non attenditur diversitas ex parte cognitionis sed ex parte habitus qui diversificatur secundum diversa obiecta formalia. Unde cum comunitas accipiaturex parte generis et diversificatio ex parte differentiarum, dicendum est quod philosophi naturaliter loquendo in diversificatione scientiarum consideraverunt

Risposta. Scienza non significa solo conoscenza ma anche disposizione. Noi diciamo dunque che nelle scienze umane non si bada alla diversità del conoscere ma della disposizione, che a sua volta si diversifica a seconda dei diversi oggetti formali. Poiché dunque la convergenza la si stabiliste sulla base del genere e la diversificazione sulla base delledifferenze, procedendo razionalmente i filosofi nella diversificazione delle scienze considerarono la scienza in quanto conoscenza abituale, in modo che la conoscenza sia intesain ruolo di genere e abituale in

scientiam secundum quod scientia est quedam cognitio habitualis, ita scilicet quodcognitio accipiatur loco generis et habitualis loco differentie.

ruolo di differenza.

Nos autem christiani supernaturali lumine illustrati consideramus scientiam in quantum scientia est quidam habitus cognitivus, ita quod habitusaccipiatur loco generis et cognitivus loco differentie.Et ita secundum distinctionem supernaturalium luminum ponimus distinctionem scientiarum. Ipse autem habitus scientie remanet indistinctus secundum speciem quia omnia illa que respicit scientia humana ut diversa obiecta, respicit ista ut unum obiectum formale; quod quidem facere potest propter nobilitatem eius ex lumine, sicut nobilitatur genus ex differentia superveniente.

Noi credenti cristiani, sostenutidalla luce soprannaturale, consideriamo la scienza in quantodisposizione conoscitiva, in modoche la disposizione sia intesa inruolo di genere e conoscitiva in ruolo di differenza. Di conseguenza, a seconda delle distinte luci soprannaturali procediamo a distinguere le scienze. La stessa disposizione oattitudine alla scienza permane indistinta secondo la specie; quelle cose infatti che la scienza umana considera oggetti distinti, questa (ossia la scienza teologia) le considera come unico oggetto formale. Cosa che può fare a motivo della nobiltà dirivatale dalla luce, così come il genere è nobilitato dalla differenza sopravveniente.

Unde sicut contingit de potentia, |95va|  scilicet quod superior respicit pro uno obiecto formali omnia illa que respiciunt potentieinferiores  -  sicut patet in sensibili comuni et

Nel caso della potenza, |95va| sidà che quella superiore consideraquale unico oggetto formale tuttociò che è materia delle potenze inferiori; risulta così, ad esempio, nella potenza o facoltà del senso comune rispetto ai sensi specifici; e così nella

sensibilibus particularibus,et in potentia intellectiva angeli respectu potentie intellective et sensitive innobis  -  sic contingit de habitu superiori respectu inferiorum habituum.

potenza intellettiva dell'angelo rispetto alla potenza intellettiva e sensitiva che è innoi. Ebbene, siffatte relazioni nella potenza sono le medesime che si danno nel caso dell'abito o attitudine superiore rispetto alle attitudini inferiori.

Explicit questio de subiecto secundum fratrem Remigium Florentinum ordinis Predicatorum[8].

Fine della questione circa il soggetto (della teologia), composta da fra Remigio da Firenze dell'ordine dei Predicatori.

[1] Per le quattro specie di argomentazione «de Ioco ab oppositis», tra cui non figura il «Iocus a disparatis», cf. il classico manuale di logica del tempo: PIETRO DI SPAGNA, Tractatus [1230 ca.] V, nn. 27-29; ed. L.M. De Rijk, Assen 1972, 73-74; v. anche pp. 111-12. Il «Iocus a disparatis» lo trovo invece nella Logica, o Summa Lamberti [1250-55 ca.], ed. F. Alessio, Firenze (La Nuova Italia) 1971, c. VI De locis, pp. 135-36: quattro loci ab oppositis (locus = ambito argomentativo o materia su cui si costruisce l'argomentazione sillogistica); ad essi fa seguito il Iocus a disparatis, cioè a partire da termini non rigorosamente opposti, ma appunto disparati, ossia eterogenei: «Sequitur de Ioco a non vere oppositis, qui dicitur locus a disparatis. Disparata sunt que non cadunt sub aliquo genere dictarum oppositionum quattuor, sed habent formas disconvenientes, nec sunt possibiles se compati in eodem subiecto, ut homo et asinus; a quo sic sumitur argumentum: "Sortes est homo, ergo non est asinus". Locus a disparatis maxima:si unum disparatorum inest alicui, reliquum removetur ab eodem» (p. 136). homo/asinus medesimo esempio indotto dal testo remigiano.[2] Nazançeni sic; Nançançenus in Contra falsos 10, 80 (Studio p. 116).Nessuna opera di Gregorio Nazianzeno (ca. 330-390) sembra rendere ragione di tale riferimento: cf. Clavis Patrum Graecorum II, Brepols-Turnhout 1974, n. 3010 ss. Bisogna pensare a un lapsus per Gregorio «Nisseno»? Del Nisseno († 394) il medioevo latino conosceva il De opifice hominis tradotto da Dionigi il Piccolo (PL 67,345-408) e Giovanni Scoto Erigena (in «Rech. Théol. Anc. Méd.» 1965, 209-62): cf. Clavis... II, n. 3154; e sotto il nome del

Nisseno circolava il De natura hominis (PG 40, 504-817) nelle traduzioni di Alfano e Burgundione da Pisa, di fatto opera di Nemesio da Emesa († 359 ca.): Clavis... II n. 3550.[3] (Pseudo?)- ARIST., De mundo (391a - 401b), in particolare cc. 6-7 (397b 11 - 401b 29): Dio principio immobile del cosmo, e suoi molteplici nomi. Traduzioni greco-latine di Bartolomeo da Messina (1258-66) e Nicola Siculo (ante 1240) in AL XI/1-2 (editio altera,1965). Cf. L. MINIO-PALUELLO, Note sull'Aristotele latino medievale, IlI. I duetraduttori medievali del «De mundo»: Nicola Siculo (Greco), collaboratore di Roberto Grossatesta, e Bartolomeo da Messina, «Rivista di Filosofia Neoscolastica» 42 (1950) 232-37; ARIST., Trattato sul cosmo per Alessandro, trad. ital. con testo greco e introd. di  G. Reale, Napoli 1974 Bibl. SMN- Campo 61.35. Il De mundo è citato da Remigio sotto il titolo De Deo o De Deo et mundo o De mundo et Deo. Ilseguente brano testuale scioglie ogni dubbio: «Unde et quia omnia sunt a Deo, ut etiam ipse Philosophus dicit in libro De Deo et mundo: "Antiqus quidem - inquit - est sermo et paternus cunctis hominibus quod a Deo omnia et per Deum consistant"» (Contra falsos ecclesie professores 18, 69-70: Studio p. 126). Citazione letterale delDe mundo c. 6 (397b 13-15) nella traduzione di Nicola Siculo: AL XI/I-2, p. 41. Gli editori del De mundo non fanno menzione d'eventuali fluttuazioni del titolo nella tradizione manoscritta latina.[4] PIETRO LOMBARDO, Sententiae I, dist. 17, cc. 1-3 (ed. Quaracchi1916, 106-09, 113-17; ed. Grottaferrata 1971, I, 141-44). TOMMASO D'AQUlNO, In I Sent. d. 17, q. 1, a. 1, e Summa theologiae Il-Il, q. 23, a. 2, dibatte esplicitamente la tesi del Lombardo. Cf. G. HIBBERT, Created and uncreated charity. A study of the doctrinal and historical context ot St. Thomas's teaching on the nature ot charity, «Rech. Théol. Anc. Méd.» 31 (1964) 63-84. GIOVANNI DA PARIGI, In I Sent. [1292-96] d. 17, q. 1 (ed. J.-P. Muller, Roma 1961, 193-99) dà già per acquisita la testi anti-Iombardiana: «Communis autem opinio doctorum est, quod voluntas informatur habitu caritatis creato quoactum dilectionis ex se exerit» (ib. p. 194). Il commento di Remigio sottintende la distinzione tra actus e habitus che il Lombardo non aveva fatto nel caso della carità.[5] De bono coniugali c. 21: «Ipse est enim habitus, quo aliquid agitur cum opus est; cum autem non agitur, potest agi, sed non opus est» (PL 40,390).[6] AVERROÈ, In III De anima [430a 14-16]: «Hec enim est diffinitio habitus, scilicet ut habens habitum intelligat per ipsum illud quod est sibi proprium ex se et quando voluerit, absque eo quod

indigeat in hoc aliquo extrinseco» (ed. F.S. Crawford, Cambridge Mass. 1953, 438 rr. 26-29). Cf. Florilège 6, n° 190: «Habitus est secundum quem habens ipsum potest agere quando vult».[7] SIMPLICIO, In Aristotelis Categorias Commentarium c. 8, ed. C. Kalbfleisch, Berlino 1907, 164. Traduz. greco-latina (1266 ca.) diGuglielmo da Moerbeke: «Quoniam autem et habitum et dispositionem eorum quae ad aliquid ait esse, dignum est quaerere, utrum ad habile et quod habetur dicitur habitus, dispositio autem ad disponibile, sicut sensus ad sensibile et scientia ad scibile, authabitus quidem ad habentem - habentis enim est habitqs -; ... Et videtur ita magis Aristoteles nunc acceptare et huius expositores;si enim in haberi est habitus, ad habentem utique diceretur vel adeum qui habetur ab ipso. Syrianus autem phisolophus quaerens, propter quid... habitus non ad habile [dicitur] sed ad habentem ait: "Forte... habitus autem et dispositio non sunt ordinata ad aliquid, sicut neque qui corporis, sed ipse secundum se est...; habile autem et disponibile indeterminata sunt et propter hoc, nonad haec, sed ad habens magis tamquam ad determinatum habitus et dispositio dicitur"» (SIMPLICIUS, Commentaire sur les Catégorie d'Aristote. Traduction de Guillaume de Moerbeke, ed. A. Pattin, Louvain-Paris 1971, 222-23).[8] ordinis Predicatorum aggiunto da mano B (= autografa di Remigio).L'explicit termina al settimo rigo di colonna a; il resto della colonna in bianco; in col. b lista degli articoli dei due quodlibeti, che nel codice precedono il «De subiecto theologie».

fine

- Appendici al "De subiecto theologie" –

 a) Prologus in fine Sententiarum (Parigi 1299-1300)BNF, Conv. soppr. G 4.936, f. 341rb-vb

originale latino volgarizzamento (2007) di EP

|341rb| Prologus in fine Sententiarum

Cum consumaverit homo tunc incipiet. Eccli. 18[,6].

|341rb| Discorso conclusivo delle lezioni sulle SentenzeQuando un uomo ha finito, allora

incomincia. Ecclesiastico (= Siràcide) 18,6.

Verbum propositum satis videtur posse congruere terminationi libri Sententiarum iam facte, quia cum consumaverit homo, et inchoationi eiusdem libri iamcito faciende, quia tunc incipiet.

Le parole proposte ben si adattano a chiudere le lezioni sulle Sentenze (di Pietro Lombardo) da poco terminate: Quando un uomo ha finito; e nello stesso tempo a inaugurarne il prossimo corso: allora comincia.

Ubi advertendum est quod per hominem aproprianter significari potest tam auditor quam lector scolasticus. Auditor quidem si consideretur homo ex partecorporis, lector vero si consideretur homo ex parte anime rationalis. Homo enim secundum corpus, idest secundum materiam terrenam dequa formatum est eius corpus,unde et nomen accepit quia homo ab humo dicitur, est omni creatura inferior.

Annotiamo che qui "uomo" può stare adeguatamente sia per uditore ossia alunno che per lettore scolastico ossia professore. Alunno, se prendiamo uomo sotto l'aspetto corporale; lettore, se lo prendiamo dal punto di vista dell'anima razionale. Uomo infatti in quantocorpo, ovvero secondo la materia terrena di cui è fatto il suo corpo e da cui trae il nome - perché homo è detto da humo ossia terra -, è inferiore ad ogni altra creatura.

Et ideo auditor ecclesiasticus qui inscolis erudiendus a lectore subsidet, cui

Cosicché lo studente ecclesiastico,  seduto in basso nelle aule scolastiche ad apprendere dal lettore,

lector scienda et agenda ostendit, aproprianter homo vocarì potest, iuxta illud Ps. [93,12] «Beatus homo quem tu erudieris, Domine», et Mich. 6[,8] «Ostendam tibi, o homo, quid sit bonum» etc. Rursus homo secundum animam rationalem est omni creatura subcelestisuperior, iuxta illud Ps. [8,7] «Constituisti eum super opera manuum tuarum, omnia subiecisti sub pedibuseius». Et ideo etiam lector ecclesiasticus qui in scolispresidet auditores sapientiam docendo, aproprianter etiam potest homo vocari, iuxta illud Eccles. 8[,1] «Sapìentia hominis lucet in vultu eius».

e al quale il lettore insegna scienza e condotta, può esser appropriatamente chiamato uomo; Salmo 93,12 «Beato l'uomo che tu istruisci, Signore», e Michea 6,8«Uomo, ti mostrerò ciò che è buono» eccetera. Inoltre, "uomo" dal punto di vista dell'anima razionale è superiore a ogni creatura subceleste, a detta del Salmo 8,7 «Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tuttohai posto sotto i suoi piedi». Dunque anche il lettore ecclesiastico, che presiede nelleaule scolastiche insegnando il sapere ai discepoli, lo si può appropriatamente chiamare uomo; Ecclesiaste (Qoèlet) 8,1 «La sapienza dell'uomo risplende sul suo volto».

Potest ergo ad propositum vere dici: cum consumaverit homo audire librum Sententiarum, tunc incipìet ipsum audire, quia scilicet auditio preterita quasi nichil est respectu auditionis future. Et iterumcum consumaverit homo legerelibrum Sententiarum, tunc incipiet ipsum legere homo, quia scilicet homo qui iam legit quasi nichil est respectu hominis lecturi.

Potremmo allora dire, in riferimento al nostro tema (= Quando un uomo ha finito, allora comincia): appena uno ha finito d'ascoltare le lezioni sul libro delle Sentenze, proprio allora lo inizia, perché il commento ascoltato vale  quasi nulla rispetto a quello futuro. E ancora: appena uno ha terminato di commentare le Sentenze, inizia a commentarlo un altro; come dire: l'uomo che l'ha commentato vale  quasi nulla rispetto a chi lo commenterà!

Excessus autem futuri lectoris respectu preteriti manifestetur ad presens ex appellatione ipsius futuri lectoris quantum ad quatuor proprietates que soli |341va|homini inter alia animalia conveniunt. Solus autem homo est animal civile sive politicum. Secundo solus homoest animal morale sive virtuosum. Tertio solus homo est animal sapientie perceptibile sive scientificum. Quarto solus homo est animal sermocinabilesive facundum. Non curo superhoc ad presens auctoritates philosophie sive etiam sacre scripture adducere ne prolixitatem incurram et etiam quia hec de se satis sunt patula.

La superiorità del lettore futuro rispetto al passato apparesubito da quattro proprietà del lettore futuro, proprie |341va| dell'uomo tra gli altri esseri animali. Soltanto l'uomo è animale sociale ovvero politico. Secondo, soltanto l'uomo è animale etico ovvero virtuoso. Terzio, soltanto l'uomo è animaleidoneo alla sapienzia ovvero al sapere critico. Quarto, soltanto l'uomo è animale capace di linguaggio e di parola. Tralascioqui di addurre relative autorità filosofiche e della sacra scrittura, per non  rischiare d'esser prolisso, e anche perché le cose dette sono abbastanza note.

Lector[1] autem Sententiarum futurus conrespondenter quatuor proprietatibus enumeratis ad ostendendum excessum ipsius in eis, bene vocatur frater Bernardus de Claromonte[2]. Quia ergo frater leget cum excedenti civilitate; nomen enim fratris consotialitatem quandam significat et concivilitatem; unde in Ps. [132,1] «Ecce quam bonum. et quam iocundum[3] habitare fratres in unum», et «Frater

Il lettore futuro delle Sentenze, in rapporto alle quattroproprietà menzionate a prova della sua eccellenza, ben si chiama fra Bernardo da Clermont. Poiché frate (domenicano), egli terrà lezione con eccellente fratellanza, visto che il nome frate comporta socievolezza e condivisione; infatti in Salmo 133,1: «Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!». «Un fratello aiutato dal fratello è come una roccaforte», si dice in Proverbi 18,19.

qui adiuvatur a fratre quasi civitas firma», ut dicitur Prov. 18[,19]. Sed quia Bernardus leget cum excedenti virtute. Bernardusenim dicitur quasi “bona nardus”. Nardus autem est «herba humilis et calide nature», ut dicit Glosa Cant.1[4]. Unde significat virtutemhumilitatis et virtutem caritatis. Humilitas autem est omnium virtutum fundamentum, iuxta illud Augustini «Cogitans magnam fabricam erigere celsitudinis de fundamento cogita humilitatis»[5]. Et caritas est onmium virtutum complementum, iuxta illud Col. 3[,14] «Super omnia autem caritatem habete quod est vinculum perfectionis».

E poiché si chiama Bernardo, terrà lezione con molta competenza. Bernardo quasi "buon nardo". Il nardo infatti, ovvero la citronella, è «un'erbacea di natura umile e calda», dice la Glossa al Cantico dei Cantici 1,11. Significa dunque le virtù dell'umiltà e della carità. Umiltà fondamento di tutte le virtù, a detta di Agostino: «Vuoicostruire un edificio di grande altezza? Pensa al fondamento dell'umiltà». E la carità è il complemento d'ogni virtù, come sidice nella lettera ai Colossesi 3,14: «Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione».

Bene ergo quia Bernardus leget cum excedenti virtute;sed quia de Claro leget cum excedenti eloquentia, ut sicimpleatur in ipso illud II Thes. 4[= 3,1] «Sermo Dei currat et clarificetur». Sedquia de Claromonte leget cumexcedenti sapientia; montes enim dicti quia eminentes sunt, sicut dicit Ysidorus libro XIV Ethimologiarum. Sapientia enim omnibus eminet. Unde ipsa dicit Eccli.

Bene dunque, ché Bernardo terrà lezione con sovrabbondante virtù;e poiché da Chiaro, terrà lezione con sovrabbondante eloquenza, affinche si adempia in lui quantoin II Tessalonicesi 3,1: «La parola di Dio si diffonda e sia chiarificata». E poiché è da Chiaromonte, terrà lezione con sovrabbondante sapienza; monti sondetti perché eminenti, come vuoleIsidoro, Etimologie XIV, 8 (PL 82, 521 A). La sapienza infatti sovrasta su tutte le cose; essa stessa in Ecclesiastico (Siràcide)24, 4, dice: «Ho posto la mia

24[,7] «Ego in altissimis habito et tronus meus in columpna nubis». |341vb| Et Ieronìmus volens Augustinum commendare de excedenti sapientia in libro De viris illustribus[6] dicit: «Augustinusquasi aquila volans per cacumina montium» etc.

dimora lassù, il mio trono su unacolonna di nubi». |341vb| Girolamo poi nel libro Gli uomini illustri (393), volendo elogiare Agostino per la sua straordinariasapienza, dice: «Agostino come aquila che vola sopra le cime deimonti» eccetera.

Et bene adconiungitur in unovocabulo clarum cum monte, idest eloquentìa cum sapientia, quia sicut dicit Augustinus in IV libro De doctrina christiana: «Sapientia sine eloquentia parum prodest. Eloquentia sine sapientia nimium obest plerumque, numquam prodest»[7]. Sapientia vero cum eloquentia plus prodest.

E ben si ricompone in un'unica parola chiaro con monte, ossia eloquenza con sapienza, visto quanto scrive Agostino in Dottrina cristiana IV, 5: «Sapienza senza eloquenza serve poco. Eloquenza senza sapienza solitamente nuoce molto, giova mai». Ma  la sapienza insieme con l'eloquenza giova di più.

Ista autem quatuor predictasatis sunt nota illis qui habent cognitionem de futuri lectoris persona, que et ego satis cognovi ex fama. In quibus omnibus ego nataliter defectuosus sum. Et proptereaplus habeo vobis regratiari et ex corde regratior de bonasotietate quam michi quantumcumque defectuoso fecistis.

Queste quattro proprietà sono bennote a chi conosce la persona delfuturo lettore, e io stesso le hoconosciute per fama. Io invece nefaccio difetto per nascita. E dunque ho molte ragioni per ringraziarvi; e vi ringrazio di cuore per la preziosa dimestichezza che avete usata conme, nonostante i miei limiti.

Quid igitur restat nisi quod rogemus dominum nostrum Iesum Christum quod sibi placeat concedere quod sicut

Non ci resta che pregare il signore nostro Gesù Cristo che ciconceda di, eccetera eccetera. Piaccia dunque al signore nostro Gesù Cristo che come per suo

etc. Placeat igitur domino Iesu Christo quod sicut virtute ipsius ego librum consummavi, quia «consumatio sermonum ipse est», ut dicitur Eccli. 43[,29], ita eiusdem virtute ipse possit librum inchoare, quia sicut ipse dicit Io. 8[,25] «Ego princìpium qui loquor vobis».Cui est honor et gloria per infinita secula seculorum. Amen.

grazia io ho terminato il libro (delle Sentenze), perché «somma ditutto è lui», Ecclesiastico (Siràcide)43,27, parimenti il futuro lettore possa avviare il medesimolibro per sua grazia, perché eglistesso dichiara, Giovanni 8,25, «Io, il principio, che vi parlo».A lui onore e gloria per i secolidei secoli. Amen.

[1] Il brano trascritto (rr. 38-72) in Studio p. 194 lo si correggasecondo questa edizione.[2] Bernard de Clermont (Clermont-Ferrand) OP, dal nome del suo convento, o Bernard d'Auvergne: priore a Saint-Jacques dal 1301 al1303, dove firma (26.VI.1303) con i domenicani del convento parigino l'appello al concilio contro Bonifacio VIII («Arch. Fr. Praed.» 1952, pp. 403, 409); vescovo eletto nel 1304, l'elezione ècassata da Clemente V nel 1307, ultima data conosciuta di Bernardo. La lettura sentenziaria di Bernardo seguì - come testimonia il nostro Prologus - immediatamente quella di Remigio, che cade tra 1297 e 1300. Cf. Studio pp. 193-97. SOPMÆ I, 198-201; IV, 49.[3] iocundum] iucundum Vulg.[4] Glossa interIineare in Cant. 1, 11: Biblia cum glossis, ed. Venetiis 1495, f. 599v. Vedi anche, di Remigio, le Postille super Cantica: Firenze, Bibl. Laurenziana, Conv. soppr. 516, f. 227rb: «Unde et assimilatur nardo, que est "herba humilis et calide complexionis"», secundum Glosam, quia omnia predicta facit ex humilitate et caritate».[5] AGOSTINO, De verbis Domini X, 1 (PL 46, 1001).[6] GIROLAMO, De viris illustribus (PL 23, 631-764; ed. A. Ceresa-Gastaldo, Firenze 1988). Ma il testo citato lo si legge in De duodecim doctoribus ad Desiderium (PL 23, 765 B). Correttamente IACOPO DA VARAZZE OP († 1298), Legenda aurea c. 124 (De sancto Augustino):

«in libro de XII doctoribus». Remigio si è lasciato andare ad una frettolosa citazionie mnemonica?[7] De doctrina christiana IV, 5 («Corpus Christianorum», Lat. 32, 120rr. 10-12) che a sua volta utilizza CICERONE, De inventione I, I, 1:«... ratio ipsa in hanc postissimum sententiam ducit, ut existimemsapientiam sine eloquentia parum prodesse civitatibus, eloquentiamvero sine sapientia nimium obesse plerumque, prodesse nunquam».

fine del "Prologus in fine Sententiarum"

 

  

- Appendici al "De subiecto theologie" –

 b1) Prologus XII: Sicut protegit sapientiaBNF, Conv. soppr. G 4.936, 299vb-302vb

articolazione del sermone: thema | prothema | introd. e divisione

originale latino volgarizzamento (2007) di EP

|299vb| PROLOGUS XII: Sicut protegit sapientia sic protegit pecunia. Eccles. 7[,13].

|299vb| Prologo (= prolusioneall’anno accademico) XII: Come protegge la sapienza, così protegge il denaro. Ecclesiaste (Qoèlet) 7,12.

[segue prothema[1], e subito dopo:]

[segue pròtema, e subito dopo:]

|300rb| Sicut etc. In verbo |300rb| Come protegge eccetera. Parole tematiche che

proposito pro sacra scriptura per sapientissimumet summum theologum Salomonem[2], cui dixit Dominus III Reg. 3[,12] «Dedi tibi cor sapiens et intelligens in tantum ut nullus ante te simils fueritnec post te surrecturus sit», nobis describitur et commendatur quantum ad duo, scilicet quantum ad eius propriam nominationem quia nominatur sapientia, secundoquantum ad eius methaforicamassimilationem quia assimilatur in protegendo pecunie.

stanno per sacra scrittura, dovute al sapientissmo e sommo teologo Salomone, al quale il Signore disse, III (o I) Re 3,12: «Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente; simile a te non ci fu alcuno prima di te né sorgerà dopo di te». In esse la sacra scritturaci è descritta e lodata quanto a due aspetti: per la sua denominazione perché chiamata sapienza; e in secondo luogo per la sua metaforica similitudine, perché assimilataper capacità porotettiva al denaro.

Sicut enim pecunia protegitprincipaliter a malis corporis, sic sacra scriptura protegit principaliter a malis mentis quamvis etiam et a malis corporis protegat sicut pecunia; et ulterius a malis mentis, et ideo subdit Salomon [Eccles. 7,13]: «Hoc autem plus habet sapientia et eruditioquod vitam tribuit possessori suo». Sed de hocmagis apparebit in sequentibus. Vel quantum ad tria: et tertio quantum ad assimilationis expressam

Come infatti il denaro proteggeprincipalmente dai mali fisici,così la sacra scrittura protegge principalmente dai mali della mente, sebbene soccorra anche in quelli fisicial pari del denaro. E più ancora protegge dai mali della mente, perciò Salomone soggiunge, Ecclesiaste (Qoèlet) 7,12: «In più (del denaro), saggezza e sapere fanno vivere chi li possiede».Oppure diciamo che è lodata quanto a tre aspetti. Terzo, quanto all'esplicita affermazione della similitudine(col denaro), perchè asserisce che essa garantisce protezione.Asserto che rende la sacra scrittura sommamente desiderabile agli esseri umani di questo mondo, visti

determinationem qui [= quia?] protegere ipsam affirmat. Que quidem expressio reddit sacram scripturam summe desiderabilem hominibus huius mundi propter infinita et gravissima pericula quibus subsunt.

gl'infiniti e gravissimi pericoli ai quali sono esposti.

Quantum ergo ad primum notandum est quod sacra scriptura proprissime vocatur sapientia et rationerei et ratione vocabuli. Sedquia de hoc alias tactum est, ideo ad presens de ipsosic pertransire sufficiat. Vide supra in sermone Si enim sapientiam invocaveris.

Quanto al primo. Notiamo anzitutto che la sacra scrittura è chiamata sapienza in termini molto calzanti, sia a motivo della materia che della parola. Ma di ciò s'è parlato altrove, e qui possiamosorvolare. Vedi sopra (medesimocodice, ff. 278vb-280vb), nel sermone Se invocherai la sapienza (Proverbi 2,3).

Circa secundum et tertium simul, notandum quod sacra scriptura assimilatur pecunie ad presens propter octo. Et primo propter legalem institutionem. Pecunia enim non est producta a natura sed est instituta lege humana, iuxta illud libri V |300va| Ethicorum: «Et propter hoc nomen habet nummisma quoniam non natura sed nomo - idest lege - est»[3]. Et similiter sacra scriptura non est inventa per vim nature humane sicut cetere scientie sed est inventa per institutionem

Secondo e terzo punto insieme. Notiamo che la sacra scrittura è assimilata al denaro per otto ragioni. Prima ragione, a motivo della istituzione legale. La moneta infatti non è un prodotto naturale ma è una convenzione regolata dalle legge umana, come si legge in |300va| Aristotele, Etica nicomachea V, 8(1133a 30-31): «A motivo di ciò, ha per nome "nomisma", perché esiste non per natura main forza del nomos ossia della legge». Parimenti la sacra scrittura non è prodotta dalla forza della natura ma disposta per istituzione della legge eterna (…).

legis eterne (…).Secundo propter naturalem

determinationem. Lex enim humana instituit ut non fieret pecunia de quacumque materia sed determinata. Ysidorus enim dicit libro XVI quod pecunia quasi pecudia a pecudibus dicitur quia olim «de corio pecudum nummi incidebantur et signabantur». Et subdit: «Post a Saturno ereus nummusinventus est». Et post pauca: «Prius erea pecunia in usu fuit, post argentea, deinde aurea subducta est». Et post: «Ex quorum metallisquamvis postea fuisset factapecunia, nomen tamen erarii- idest loci ubi conservaturpecunia - permansit ab eo metallo unde initium sumpsit».

Seconda ragione, a motivo dellanaturale determinazione. La legge umana infatti stabilì chesi coniasse la moneta non con materiale qualsiasi ma con uno ben specifico. Isidoro, Etimologie XVI, 18 § 3-5, dice che pecunia, quasi pecudia, viene da "pecudibus" ossia percore, perché una volta «le monete le si incidevano e intagliavano col cuoio di pecora». E aggiunge: «Poi  fu inventata da Saturno la moneta bronzea». E poco dopo: «Prima venne usata moneta bronzea, poiargentea, infine subentrò quella aurea». E ancora: «Sebbene dunque in tempi posteriori la moneta fu coniatada altri metalli, il nome "erario", ossia il luogo dove èconservata la moneta, serbò denominazione dal primitivo metallo».

Bene ergo theologia assimilatur pecunie, quia dicitur corium vel de coriopecudum[4] ratione scriptitationis in codice. Unde Rom. 15[,4] «Quecumque scripta sunt, adnostram doctrinam scripta sunt ut per patientiam et consolationem scripturarum spem habeamus». Item dicitur “es” vel de ere ratione sonoritatis in doctrina |300vb|  et

A ragione dunque la teologia lasi paragona alla pecunia, perché detta cuoio o del cuoio di pecora a motivo del supportoscrittorio nel codice. Romani 15,4: «Ora, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione a noi date dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza». Inoltre è detta anche "bronzo" o "bronzea" a motivo della sua sonorità nell'istruzione  |

predicatione, quia de apostolis docentibus et predicantibus sacram theologiam dicitur in Ps. [18,5] et Rom. 10[,18] «Inomnem terram exivit sonus eorum et in fines orbis terrarum verba eorum». UndeIerem. 46[,22] «Vox eius quasi eris sonabit».

300vb| e nella predicazione; infatti degli apostoli, che insegnavano e predicavano la sacra teologia, si dice in Salmo 18,5, e Romani 10,18: «Per tutta la terra è corso il loro suono, e fino ai confini del mondo le loro parole». Cosicchéin Geremia 46, 22: «La sua voce risuonerà come bronzo».

Item dicitur argentum vel de argento ratione claritatis in duplici significatione, iuxta illudPs. [11,7] «Eloquia Domini eloquia casta, argentum igne examinatum»; sive claritas referatur ad certitudinem cognoscibilitatis, iuxta illud Sap. 6[,13]  «Clara est et que numquam marcescit sapientia, et facile videtur ab hiis qui diligunt illam»; sive referatur ad famositatem nominis, iuxta illud Sap. 8[,10] «Habebo propter hancclaritatem et turbas», sicut Paulus, Ieronimus, Augustinus etc.

È detta argento o argentea a motivo dello splendore, in due sensi, secondo Salmo 12, 7: «Le parole del Signore sono pure, argento raffinato nel crogiuolo»; dove lo splendore può riferirsi o alla certezza della conoscenza, Sapienza 6,12 «Radiosa e indefettibile è la sapienza, facilmente contemplata da chi l'ama»; oppure può riferirsi alla fama del nome, Sapienza 8,10 «Per essa avrò gloria fra le folle». E così Paolo, Girolamo, Agostino, eccetera.

Item dicitur aurum vel de auro ratione pretiositatis in valore, quia sicut aurumexcedit in valore omnia alia metalla, sic theologiaexcellit omnes alias

È detta oro o aurea a motivo della preziosità del valore, perché come l'oro supera in valore ogni altro metallo, cosìla teologia supera tutte le scienze umane. «L'autorevolezzadella sacra scrittura supera

scientias humanas; quia «maior est sacre scripture auctoritas quam omnis humani ingenii perspicacitas», ut dicit Augustinus II Super Genesim ad literam.

qualsiasi acume del genio umano», dichiara Agostino, Commento letterale sulla Genesi II, 5(PL 34, 267).

Quamvis interdum aurum vocetur philosophia, et argentum vocetur poesis, ettunc est verum quod diciturde ea Sap. 7[,9] «Omne aurum in comparatione illius arena est exigua et quasi lutum extimabitur argentum in conspectu illius», quia scilicet ad ipsam ordinantur tamquam adfinem. Unde Glosa Exo. 3 «Vasa aurea et argentea ab Egiptiis petimus unde tabernaculum Deo fabricemus, cum philosophoset poetas legimus ut divinam scripturam sapientius et facundius legamus».

Talvolta oro sta per filosofia,argento per poesia; e allora s'avvera il detto di Sapienza 7,9: «Perché tutto l'oro al suoconfronto è un pò di sabbia, e come fango sarà valutato di fronte ad essa l'argento», per la ragione che ad essa, ossia alla teologia, sono ordinate come al loro fine. Glossa ordinaria a Esodo 3,22: «Chiediamo vasi aurei e argentei dagli Egizi per costruire il tabernacolo a Dio;leggiamo infatti filosofi e poeti per saper leggere la divina scrittura con maggior sapienza e maggior eloquenza».

Tertio propter circularem figurationem. Que quidem figura ad presens quatuor habet in se que inter scientias soli sacre scripture conveniunt.Primo quidem est figura una linea contenta; sic theologia una est scientia propter unam rationem

Terza ragione. La teologia lasi paragona alla moneta a motivo della figura circolare, che ha quattro carattetistiche consone alla sola sacra scrittura tra tutte le scienze.

Prima carattetistica, figura contenuta in una sola linea. Lateologia è scienza unica perchéunica è la ragione formale

formalem obiecti, iuxta illud Sap. 7[,27] «Cum fuit una - scilicet formaliter - omnia potest» scilicet materialiter que possunt alie scientie, cum sint multe, quia de creatore et omnibus creaturis determinat(…).

dell'oggetto; Sapienza 7,27 «Sebbene unica - intendi in senso formale -, essa può tutto», ossia materialmente, come possono le altre molteplici scienze; essa infatti verte sul Creatore e utte le creature (…).

Secundo est figura capacissima, scilicet theologia plura capit quam omnes alie scientie, scilicet ea que pertinent adfidem (…). Et Augustinus dicit libro II[,42] De doctrina christiana: «Quicquid homo extra - idest in aliis scientiis - didicit, si noxium est ibi dampnatur, siutile ibi invenitur». Simul enim est speculativa et pratica, ut patet per Gregorium, XX libro. Simul est de signis et rebus, ut patet per Magistrum in principio Sententiarum.

Seconda carattetistica, figura molto capiente. La teologia contiene in sé più di tutte le altre scienze messe insieme, perché contiene i contenuti della fede (…). Agostino in Dottrina cristiana II, 42 («Corpus Christianorum», Lat. 32, 76): «Tutto quello chel'uomo ha appreso altrove - ossia nelle  altre scienze - seè nocivo, lì è respinto, se è utile, lì si trova». È simultaneamente speculativa e pratica, come risulta in Gregorio Magno († 604), Moralia XX, 17 (PL 76, 163). È simultaneamente circa i simbolie le realtà, come risulta nelleSentenze I, dist. 1, c. 1, di Pietro Lombardo.

Simul est de sensu literaliet mistico, «quia uno eodemque sermone dum narratgestum prodit misterium», ut dicìt Cregorius libro XX. Simul est de rebus naturalibus, rationalibus et moralibus, iuxta illud Sap. 9[,11] dicitur de ea: «Scit enim omnia illa» (…|

È simultaneamente circa il senso letterale e il senso mistico, «perché con le medesime parole mentre narra l'evento ne svela il mistero», come dice Gregorio Magno, Moralia XX, 1 (PL 76, 135). È simultaneamente circa le cose naturali, razionali e morali, secondo Sapienza 9, 11: Essa infatti tutto conosce» (…|301rb|...). Poiché inoltre la

301rb|...). Sed quia figuracircularis etiam plus capitquam alie figure multilinee, ideo etiam in hoc quod dicit Circuivi [Eccli.24,8] ostendit se plura cognoscere quam per omnes alias scientias cognoscantur (…).

figura circolare contiene più delle altre figure multilinee, ne segue che anche nelle paroleHo fatto il giro, Ecclesiastico (Siràcide) 24,8, mostra d'avere conscienze superiori a tutte lealtre scienze messe insieme (…).

Tertio circulus est figura omni angulo carens. Per angulum autem intelligitur sordes, quia ubi angulus ibi sordes. Sordes autem intellectus falsitas est. Et ideo etiam quantum ad hoc potest dicere theologia«Circuivi sola», quia ipsa sola caret omni angulo falsitatis (…|301vb|...).

Terza carattetistica, il cerchio è figura senz'angoli. Angolo vale lordura, ché dov'è cantone, là è lordura. Lordura dell'intelletto è la falsità. Eanche in rapporto a ciò, la teologia può dire «Ho fatto il giro da sola» (Siràcide 24, 8), perché essa sola è priva dell'angolo della falsità (… |301vb| …).

Quarto circulus est figura carens fine. Ubicumque enimposueris finem circuli ibi possumus ponere principium circuli. Et ideo etiam quantum ad hoc potest dicere theologia «Circuivi sola». Omnes enim alie scientie in certos limites continentur et sub determinatis sententiis angustiantur. Sola theologia est que terminum nescit (…) et ad modum cìrculi ubi putatur finiri ibi inchoatur (…).

Quarta carattetistica, il cerchio è figura senza termine.Dovunque tu ponessi il termine del cerchio, là possiamo porre il suo inizio. E anche in rapporto a ciò, la teologia puòdire «Ho fatto il giro da sola». Tutte le altre scienze infatti sono confinate entro determinati limiti, ristrette in particolari correnti dottrinali. La sola teologia non conosce termini (…); e al pari del cerchio, laddove la sicrede terminare, là pone il proprio inizio (…).

[1] prothema = preambolo non canonico, più frequente nella predicazione dotta e universitaria; centrato su altra auctoritas biblica, ma con qualche richiamo, realo o verbale, con l'autorità biblica del thema o versetto temativo del sermone (qui Sicut protegit).[2] Salomone, allora tradizionalmente ritenuto autore di taluni dei libri sapienziali.[3] ARISTOTELE, Ethica Nicomahea V, 8 (1133a 30-31). Traduzione «Revisio Lincolniensis»: AL XXVI/I-3, p. 463.[4] binomio etimologico pecunia/pecus già presente nel dizionario del tempo: UGUCCIONE DA PISA, Derivationes [1192-1200] II, 910 §36-37.

  

b2) (... Prologus XII: Sicut protegit sapientia)

originale latino volgarizzamento (2007) di EPQuarto propter ymaginalem

impressionem. Non enim dicenda pecunia que aliqua ymagine non insignitur, secundum Ysidorum ubi supra. Unde et Dominus petiit, Mt. 22 [,20], de nummismate census: «Cuius est ymago hec?». Et propter hoc sacra scriptura assimilatur pecunie, quia in ipsa impressa est ymago Dei in quantum Deus representatur inipsa sicut formale subiectum ipsius et ab ipso etiam Deo originatur tamquam ab |302ra|immediato effectivo. «Ymago

Quarta ragione. La teologia lasi paragona alla moneta a motivo dell'immagine impressa. Non si dàinfatti moneta se non impreziosita da qualche rappresentazione, secondo Isidoro, Etimologie XVI, 18 § 9. E il signore Gesù chiese circa la moneta del tributo, Matteo 22,20:«Questa immagine di chi è?». La teologia viene assimilata alla moneta perché vi è impressa l'immagine di Dio. Dio infatti è sia soggetto formale che |302ra| causa prima della teologia. «L'immagine è ciò che sorge tramite un'imitazione», si dice nei Topici VI, 2 (140a 14-15) d'Aristotele. (…).

enim est cuius generatio est per imitationem», ut dicitur in VI Topicorum[1]. (…). Unde Sap. 9[,4] «Da michi, Domine, sedium tuarum assistricem sapientiam». Quamvis enim una sit sedes maiestatis divine propter unam essentiam, tamen multi sunt sedentes adiective propter plures personas. Unde glosetur sedium idest sedentium. Ymago enim ita assistit rei quam representat sicut assistit vicarius domino principali. Ymago enim ad prothotipum refertur, sicut dicit Damascenus libro IV. Et ita assistit theologia toti Trinitati. Vel melius numerus |302rb| pluralis prosingulari, idest “sedis tue”.

Sapienza 9,4: «Dammi la sapienza, o Signore, che assiste ai tuoi troni». Sebbene una sia la sede della maestà divina a motivo dell'unica essenza, tuttavia molti sono i sedenti, in senso aggettivale, per la molteplicità delle persone. Chiosa dunque sedi, o troni, con "sedenti".  L'immagine assiste la realtà che rappresenta così come il vicario assiste il suo signore. L'immagine infatti rinvia al proprio modello, dice Giovanni Damasceno († 749), De fide orthodoxaIV, 16. Allo stesso modo la teologia è inserviente all'interaTrinità. Oppure, e meglio, |302rb| il plurale per il singolare, ossia “della tua sede”.

Unde Huguiccio[2], salva gratia sua, hic minus sapienter dixit, et Brito[3] in hoc eum sequendo insipienter britoniçavit. Dixerunt enim quod litera corrupta est et debet dicere“astitricem” quia “assistrix” non habet a quo formetur. Sed hoc derisibileest. Si enim non potest formari a preterito vel supino verbi, secundum

Qui Uguccione da Pisa, salvo il suo onore!, è stato un pò meno saggio del solito; e dieto di lui, il Bretone Guglielmo (1250-70) ha insipientemente bretonizzato. Hanno sostenuto cheil testo biblico di Sapienza 9, 4 è corrotto, e va emendato con “astitricem” perché “assistrix” non ha radici verbali donde formarsi. Argomento risibile. Se non può derivare da passato o supino del verbo secondo la grammatica di Prisciano (fl. 510 d.C.) o Donato (fl. 250 d.C.), lo

gramaticam Prisciani vel Donati, formetur a presenti scilicet ab “assisto”, vel potius remaneat informatum secundum gramaticam Dei.

si formi dal presente “assisto”. O piuttosto resti inderivato secondo la grammatica di Dio!

«Indignum enim vehementer existimo ut verba celestis oraculi restringam sub regulis Donati», ut dicit Gregorius in prologo Moralium. Temerarius namque reputari deberet qui vellet distinctionem illam a doctoribus approbatam ex longa consuetudine, qua dicunt quod est opus operanset opus operatum, reprehendere, quia secundum Donatum et Priscianum “operor” est deponens et nonverbum comune. Et adhuc magis temerarius esset si hoc vellet facere in dictis sanctorum, puta quia Gregorius dixit in Omelia deMagdalena quod quia Iesum inmonumento minime invenit, “furatum” credidit.

«Sarebbe indegno costringere le parole divine entro le norme grammaticali di Donato», asserisce Gregorio Magno nel prologo ai Moralia (prol. 5: PL 75, 516 B). E sarebbe temerario criticare la consolidata distinzione, avallata da dottori,tra "opus operans et opus operatum" (proprietà o funzione attiva e passiva); la criticano perché nei manuali di grammatica “operor” è verbo deponente e non verbo comune. Sarebbe ancor più temerario chi volesse far ciò neiriguardi dei detti dei santi padri; esempio, Gregorio Magno inHomiliae in Evangelia XXV, 1 (PI, 76,1189 B-C) disse che la Maddalena,non avendo veduto Gesù nel sepolcro, lo credette “rubato”.

Sed summe temerarius esset velle corrigere gramaticam canonis biblie, puta illud Io. 14[,24] «Sermonem quem audistis non est meus», ut dicat: corruptus est textus quia debet dicere “sermo”[4]. Et Dan. 13 ubi dicitur de malis senibus «cumque

Sommamente temerario sarebbe chi volesse correggere la grammatica del testo biblico; poniamo, Giovanni 14,24 «La parola che avete ascoltato non è mia»; e quegli argomentasse: Testo sgrammaticato, perché "La parola"è soggetto della frase, dunque sermo non sermonem. Oppure Daniele13,14.7, dove degli anziani

revertissent per meridiem»[5],quasi litera vera sit “cumque reversi essent”. Et Eccli. 32[,15-16] «Illic advocare et illic lude» quasi vera lictera sit “Illic advoca”[6], et sic de multis aliis.

corrotti è detto «tornando indietro verso il mezzogiorno»; il testo corretto sarebbe dovuto essere «essendo tornati indietro». Ed Ecclesiastico (Siràcide)32,11-12: «All'ora giusta chiamare (l'avvocato) e all'ora giusta divèrtiti». E così in molti altri luoghi.

 Quinimmo cum gramatica sit inferior omni alia scientia quasi omnium famula, nulla alia scientia astringitur quin possit formare nova vocabula et sub aliis accentibus, quam sicut in comuni gramatica approbata, ad magis exprimendum suam intentionem. «Oportet enim figere nomina», |302va| sicut dicit Philosophus in Predicamentorum.

La grammatica è la minore delle scienze, in funzione inserviente a tuttte le altre. E nulla vieta che un'altra disciplina elabori parole e flessioni nuove, dissonanti dalla grammatica ufficiale, per esprimere adeguatamente le proprie acquisizioni conoscitive. «Coniare nuove parole è indispensabile», |302va| asserisce Aristotele, Categorie c. 7 (7b 12).

Quinto propter nominalem superscriptionem, sine qua etiam non est dicenda pecunia, secundum Ysidorum ubi supra. Unde et Dominus insua petitione de hac ymagine addidit [Mt. 22, 20] : «Cuius- inquit - est ymago hec et superscriptio?». Et propter hoc theologia assimilatur pecunie quia in ipsa quasi per totum superscriptum est multiplex nomen Dei. Unde Apoc. 19[,12] «Habens nomen scriptum quod nemo novit nisiipse», scilicet perfecte.

Quinta ragione. La teologia lasi paragona alla moneta a motivo della denominazione soprascritta,senza la quale non sarebbe moneta, secondo Isidoro, Etimologie XVI, 18 § 10. Cosicché anche il Signore chiese dell'immagine, Matteo 22, 20: «Dichi è - disse - questa immagine equesta iscrizione?». Di conseguenza la teologia èassimilata alla moneta perché su di essa è inciso quasi dappertutto il multiforme nome diDio. Apocalisse 19,12: «Porta scritto un nome che nessuno conosce all'infuori di lui», intendi "in maniera perfetta".

Sexto propter usualem multiplicationem. Pecunia enim quando quis ea utitur incommutationibus et mercationibus licitis multiplicatur debite, quando autem in illicitis et mutuationibus usurariis multiplicatur indebite (…). Et ideo dicitur Mt. 25[,27] «Oportuit te commictere pecuniam meam - Glosa: sermonem divinum - nummulariis - idest predicatoribus et doctoribus- et veniens ego recepissem utique quod meum est cum usura», idest cum multiplicatione et excrescentia (…).

Sesta ragione. La teologia è paragonata alla moneta a motivo della ordinaria moltiplicazione. La moneta in qualche modo si moltiplica legalmente quando è scambiata nelle transazioni mercantili leciti; illegalmente invece si moltiplica quando scambiata nei nutui usurari. (…).Leggiamo pertanto in Matteo 25,27: «Avresti dovuto affidare il mio denaro  -  cioè la mia parola, commenta la Glossa biblica  -  ai banchieri  - ossiaai predicatori e dottori  -; e iotornando avrei ritirato il mio con l'interesse», ovvero moltiplicato e accresciuto. (…).

Septimo propter generalem subventionem, sicut dicitur hic sicut protegit etc. De pecunia enim scriptum est Eccles. 10[,19] «Et pecunie obediunt omnia». Require de hoc in sermone de sanctis Cosma et Damiano Nos reliquimus omnia[7]. Et similiter de sapientia scriptum est Sap. 7[,27] «Omnia potest».

Settima ragione, generale sussidio offerto dalla moneta, nel modo che qui dice il versettotematico Come protegge (Ecclesiaste 7,12) eccetera.  Ecclesiaste 10,19,dice della moneta: «Tutto ubbidisce al denaro». Ma su questo leggiti il nostro sermone sui santi Cosma e Damiano, Noi abbiamo lasciato tutto (Mt. 19,27; cod. D, ff. 301vb-306va). Parimenti della sapienza è scritto, Sapienza 7, 27: «Essa puòtutto».

Octavo propter naturalem appetitionem, quia enim homo naturaliter appetit suis miseriis subveniri, ideo etiam naturaliter appetit pecuniam et theologicam

Ottava ragione, naturale desiderio. Naturale bisogno umanoè alleviare le proprie miserie, edunque per natura l'uomo desiderae danaro e sapienza teologica, tramite le quali soccorrere le

sapientiam per quas suis miseriis subvenitur. Unde Sap. 8[,5] «Et si divitie appetuntur in vita, quid sapientia locupletius?». Undesupra: «Hanc |302vb| amavi» etc. Et ideo de utrisque simul desiderandis ut habeantur loquitur Salomon Prov. 2[,3] dicens: «Si enim sapientiam invocaveris» etc.

proprie miserie. Sapienza 8,5: «Sela ricchezza è un bene desiderabile in vita, quale ricchezza è più grande della sapienza?». E poco prima (8, 2): «Questa ho amato» |302vb| eccetera. Entrambe, sapienza e ricchezza, da desiderare perché diventino realtà, come vuole Salomone in Proverbi 2,3-6: «Se invocherai l'intelligenza e chiamerai la saggezza» allora la troverai, eccetera.

[1] ARIST., Topica VI, 2 (140a 14-15). Traduz. di Boezio: AL V/1-3,p. 116; ma vedi anche traduz. anonima. ib., p. 257.[2] UGUCCIONE DA PISA, Derivationes [1192-1200]: «Assistrix -cis idest astitrix ab asistendo, vel assistrix -cis idest asir matrix ab asserendo» (BL, Plut. XXVII sin. 5, f. 7ra; ed. E. Cecchini, Firenze 2004, II, 102, 1105 § 4). E ancora più pertinente un altroricorso: «assisto -is, idest iuxta vel circum sistere ad servitium; unde hec assistrix -cis, que assistit, unde illud "da michi, Domine, sedium tuarum assistricem sapientiam". Et est producenda hec sillaba -stri - et non corripienda, sicut faciunt quidam ydiote; crederem tamen quod Iittera ibi corrupta est et deberet esse talis "astitricem", quod est femininum verbaIe ab asto -as» (ed. E. Cecchini,  II, 1105 § 4).[3] GUGLIELMO IL BRETONE OFM, Expositiones vocabulorum biblie [1250-70] voce “Assistris”: «Assistris ab assistendo videtur dici, que sistit iuxta vel circum sistit ad servitium. Unde legitur IX Sap. [v. 4]  “Da michi sedium tuarum assìstricem sapientiam”. Sed Huguiccio dicit et bene quod litera corrupta est et debet dici astitricem. Sisto enim et eius composita, secundum quod significant stare vel manere, non habent preterita vel supina sed mutuo accipiunt a sto -tas et eius compositis. Unde secundum istamsignificationem assisto -tis facit astiti in preterito et astitum -tu in supino, sicut asto -tas, et ab astitu, u conversa in -or, fit nomen verbale astitor quod ab asistendo vel ab astando potest descendere; et inde astitrix media correpta, et non assistrix, quia nil est; nec ab aliquo nomine verbali potest formari. Item sisto -tis ponitur pro statuere, et tunc est activum cum suis

compositis et carent preterito et supino sed accipiunt mutuo a statuo et eius compositis. Et sic sisto facit preteritum statui etsupinum statutum, et assisto debet facere preteritum astitui et supinum astitutum. Unde patet quod, si secundum istam significationem debeant formari verbalia nomina masculini generis et feminini, dicetur astitutor astitutrix et nomquam asistrix. Versus: “Sisto facit statui, si transeat atque statutum. Sed si sit neutrale steti, nullumque supinum”, supple proprium, sed bene recipit accommodatum, sicut dicit Huguiccio» (BL, Plut. XXIX sin. 4, f. 12vb; cf. ed. L.W. e B.A. Daly, Padova 1975, 67-68). L’edizione critica della volgata ha in Sap. 9, 4: «Da mihi sedium tuarum adsistricem sapientiam» (Biblia Sacra iuxta latinam vulgatam versionem ad codicum fidem... edita, vol. XII, Roma 1964, 55). PerGuglielmo il Bretone, oltre all’introduzione nell’edizione DALY, vedi A. KLEINHANS, De studio Sacrae Scripturae in Ordine Fratrum Minorum, «Antonianum» 7 (1932) 432-33. H. DENIFLE, Die Handschriften der Bibel-correctorien des 13. Jahrhunderts, «Archiv für Literatur- und Kirchengeschichte des Mittelalters» 4 (1888) 263-311, 471-601. Al tentativo d’Uguccione e Guglielmo di emendare per congettura Sap. 9, 4 Remigio fa riferimento anche in un sermone: cod. D, f. 190rb.Sap. 9, 4: «dammi la sapienza, che siede in trono accanto a te e non mi escludere dal numero dei tuoi figli», nelle traduzione moderna.[4] Altrove: «Quamvis enim in libris canonicis aliqua verba videantur incongrua secundum artem gramatice, puta illud Iohannis 14 [,24] “Sermonem quem audistis non est meus”, et si qua sunt talia, tamen absque omni dubio congrua dicenda sunt» (Contra falsos 2, 11-14: Studio p. 156).[5] La citazione «cumque revertissent per meridiem» contamina Dan.13, 14 «cumque revertissent venerunt in unum», con Dan. 13, 7 «cumautem populus revertisset per meridiem».[6] A proposito di Eccli. 32,15-16 Remigio commenta: «Et ideo dicitur hic illic advocare gramatica antiqua, idest advocati officio utere, scilicet defendendo per leges et rationes iustam causam et improbando iniustam» (De prioratu, II, rr. 23-26: Studio p. 202).[7] Le parole «Require de hoc ... reliquimus omnia» sono state aggiunte da mano B (l'autore Remigio). Cod. D, de sanctís et festis solemnibus, ff. 301vb-306va: De sanctis Cosma et Damiano, I (e unico), Nos reliquimus omnia et secuti sumus te. Mt. 19[, 27]. Ricorrenza liturgica 27 settembre. «Item per pecuniam habentur intellectualia, quia per eam inveniuntur libri ad vendendum et magistri al conducendum artium et scientiarum» (303vb); «sicut

enim est bonum aurum tarenorum [= i tarì!] melius aurum augustalium et optimum aurum florenorum» (305va). «... quia pro nummo dabo tibi denarium, qui scilicet antiquitus valebat decem nummos ususales, ut dicit Remigius <Remensis> secundum illud Mt 20[,2] "Conventione autem facta ex denario diurno"... » (305vb).

fine del "Prologus XII: Sicut protegit"

 

 

- Appendici al "De subiecto theologie" –

c ) Sermone Unum scioBNF, Conv. soppr. G 4.936, ff. 89v-90rb

originale latino volgarizzamento (2007) di EP

|89va| Dominica IV in Quadragesima, feria IV, sermoI:

Unum scio quia cum cecus essemmodo video. Io. 9[, 25],

|89va| Domenica quarta di quaresima, mercoledì, sermone primo:Una cosa so: prima ero cieco, ora ci vedo. Giovanni 9,25.

Omnes creature sive sint corporales sive spirituales sive superiores... de se suntbone, iuxta illud [I] Thim. [4,4] «Omnis creatura Dei bona». Et si homo isto bono utatur sapienter, ut debet, cedit in bonum sui utentis...Si autem utatur ipso insipienter, ut non debet, cedit in malum suum (…).

Tutte le creature, siano esse corporali, spirituali o superiori..., di per sé sono buone, come dice I Timoteo 4,4 «Tutto ciò che è stato creato da Dio è buono». E se uno usa sapientemente tale bene, tornerà a suo vantaggio... Se lo usa insipientemente, gli si convertirà in male (…).

Deus autem contulit isti civitati septem bona quasi

Sette specialissimi doni ha elargito Dio a questa città. Ne èaccecato chi se ne fa cattivo

singularia quibus homo si male utatur, sicut frequentius accidit, excecatur, si vero debite illuminatur, scilicet habundantiam pecunie, nobìlitatem monete, multitudinem populi, civilitatem vivendi[1], opificium lane et artificium armature et domifìcationem contrate in comitatu vel in |89vb| districtu.

uso, com'è il caso più frequente.Ne sarà illuminato, se ne farà buon uso. Essi sono: ricchezza, nobiltà di moneta, moltitudine dipopolo, saggio ordinamento politico, industria della lana, produzione di armi, espansione edilizia nel contado e nel |89vb|distretto.

Circa primum notandum est quod pecunia, si quis utatur ea avare, excecat avarum quiaterra est in oculis eius, iuxta illud Ps. [16,11] «Oculos suos statuerunt declinare in terram» (…). Sedilluminat pium per elemosinas...

Circa il primo dono, ossia abbondanza del danaro, nota che il danaro accecca l'avaro che ne fa uso avaro; la terra infatti è davanti al suo sguardo, a detta di Salmo 17,11 «Puntano gli occhi a terra per abbattermi» (…). Illumina invede l'uomo pio che dàin elemosina...

Circa secundum nota quod nobilitas monete apparet ex triplici parte, scilicet ex parte materie quia aurum tarenorum est bonum, sed aurum augustalium[2] est melius, sed aurum florenorum est optimum; et ex parte sculpture, quia ex una parte habet beatum Iohannem Baptistam de quo Dominus dixit Mt. 11[,11] «Inter natos» etc., et ex alia partehabet lilium, quod est res magne excellentie[3]; unde et Christus et mater sua lilio

Circa il secondo dono, nota chenobile è la moneta per tre ragioni: materia, incisione, corso. Quanto alla materia: buonoè l'oro dei tarì, migliore quellodegli augustali, ottimo quello dei fiorini! Quanto all'incisione, da un lato ha san Giovanni Battista, del quale disse il Signore, Matteo 11,11 «Non vi è più grande tra i nati di donna» eccetera; dall'altro hail giglio, segno di grande eccellenza, visto che Cristo e lamadre sono comparati al giglio inCantico dei Cantici 5,13. Quanto alla circolazione, i fiorini hanno corso quasi per il mondo intero,

comparantur in Cant. Tertio ex parte cursus, quia quasi per totum mundum, etiam interSaracenos, currit[4].

perfino presso i saraceni!

Hac igitur nobilitate excecatur elatus et vanagloriosus (…); quia dum vanagloriosus vult accipere quod suum est Deo, |90ra| iustum est ut oculis privetur ab eo. Et Aman etiam vanaglorioso fasciati sunt oculi et suspensus est,ut habetur Hester 6 [= c. 7] (…). Unde cecus iste illuminatur quia lutum factum ex sputo, idest bonumex Dei dono, mictitur in nata<toria> idest in humilitate, quia est parva aqua in qua non potest notari nec ad gallam  -  ut vulgo dicitur  -  iri[5].

Il presuntuoso e vanitoso si fa accecare da tale nobiltà (…); e laddove il presuntuoso si arroga ciò che è di Dio, giusto è che sia privato della vista. Aman il presuntuoso, gli fasciarono gli occhi e lo impiccarono, Ester c. 7. (…). E il noto cieco (Giovanni 9, 6-7) ritrova la luce perché ilfango è dalla saliva, ossia un bene che è dono di Dio; entra nella piscina, ossia nell'umiltà,perché scarsa è l'acqua dove non si riesce a nuotare né "andare a galla" - come diciamo in parlata nostrana.

Circa tertium nota quod ex moltitudine populi excecatur confidens in ipsa (…).

Circa il terzo dono, nota che chi ripone fiducia nella moltitudine del popolo rischia cecità (…).

Circa quartum nota quod civilitas excecat si declinetad malum, puta luxuria, gula (…).

Circa il quarto dono, nota che la vita cittadina acceca se scivola verso il male, esempio lussuria, gola (…).

Circa quintum notandum est quod opificium lane excecat si quis utatur hoc in ypocrisim quasi nolens malum lucrum facere usurarum et huiusmodi, sed sub hoc velamine commictens periuria,

Circa il quinto dono, nota che l'industria della lana acceca se uno l'usa ipocritamente, quasi che non mirasse a lucri illeciti d'usura e simili, ma sotto tale parvenza commettendo ingiustizie,frodi, usure, eccetera (…).

fraudes, usuras et huiusmodi (…).

Circa sextum nota quod armatura excecat si quis utatur ea contra Deum... sed illuminat si quis utatur ea contra inimicos Dei (…).

Circa il sesto dono, nota che l'armifattura  acceca se uno l'usa contro Dio..., ma illumina se uno l'usa contro i nemici di Dio (…).

Circa septimum nota quod domificatio districtus excecat improvidum, qui scilicet totam vel magnam partem suarum divitiarum ponit in huiusmodi domificatione, sed illuminat providum qui scilicet, cum sit ditissimus, solatium sibiaccipit de parte aliqua (…).

Circa il settimo dono, nota chel'edilizia acceca l'imprevidente,ossia chi investe tutto o gran parte del proprio capitale in siffatta impresa, ma illumina la persona accorta, colui cioè che, pur ricchissimo, si concede congruo ristoro (…).

[1] «civilitatem vivendi»: le traduzioni latine medievali rendono con civilitas, civilis, l’aristotelico politeía, politikós. Cf. «Aristoteles Latinus», XXVI/1-3, p. 604b.[2] tarenorum = tarì, moneta usata nel regno di Sicilia al tempo dei Normanni.augustalium  = augustali, moneta coniata da Federico II, 1231, di breve durata.Postille super Cantica Canticorum (ante 1315), Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Conv. soppr. 516, f. 229vb: «bonum quidem aurum est depuratum aliqualiter, ut aurum tarenorum, sed melius est quod depuratius, ut aurum augustalium, sed optimum est quod est depuratissimum, ut aurum florinorum».[3] VILLANI [† 1348], Nuova cronica VII, 53: «I qualifiorini... dall'uno lato era la 'mpronta del giglio,e dall'altro il san Giovanni» (nov. 1252).[4] VILLANI, Nuova cronica VII, 53; ed. G. Porta, Parma1990-91, pp. 346-47: «Cominciati i detti nuovifiorini a spargersi per lo mondo, ne furono portati aTunisi in Barberia; e recati dinanzi al re di Tunisí,ch'era valente e savio signore, sì gli piacque molto,e fecene fare saggio, e trovata di fine oro, molto la

commendò, e fatta interpetrare a' suoi interpetri la 'mpronta e scritta del fiorino, trovò dicea "Santo Giovanni Batista" e dal lato del giglio "Fiorenzia". Veggendo era moneta di Cristiani, mandò per gli mercatanti pisani che allora erano franchi e molto innanzi al re (e eziandio i Fiorentini si spacciavano in Tunisi per Pisani), e domandogli che città era tra' Cristiani quella Florenza che faceva i detti fiorini. Rispuosono i Pisani dispettosamente e per invidia, dicendo «Sono nostri Arabi fra terra», che tanto viene a dire come nostri montanari. Rispuose saviamente il re: «Non mi pare moneta d'Arabi; o voi Pisani, qualemoneta d'oro è la vostra?». Allora furono confusi e non seppono rispondere. Domandò se tra lloro era alcuno di Florenza; trovovisiuno mercatante d'Oltrarno ch'avea nome Pera Balduccí, discreto e savio. Lo re lo domandò dello stato e essere di Firenze, cui i Pisani faceano loro Arabi; lo quale savíamente ríspuose, mostrandola potenzia e la magnificenzia di Fiorenza, e come Pisa a comparazione non era di podere né di gente la metà di Firenze, e che non aveano moneta d'oro, e che il fiorino era guadagnato per gli Fiorentini sopra loro per molte vittorie. Per la qual cagione i detti Písani furono vergognatí, e lo re per cagione del fiorino,e per le parole del nostro savio cittadino, fece franchi i Fiorentini, e che avessono per loro fondaco d'abitazione e chiesa in Tunisi, e privilegiogli come i Pisani. E questo sapemo di vero dal detto Pera, uomo degno di fede, che cci trovammo co llui in compagnia all'uficío del priorato» .[5] «ad gallam iri»: calco sul volgare «andare a galla». Ricordiamo: i sermonari erano allora redatti nella lingua "colta" del latino; ma i sermoni erano recitati in lingua volgare (se facciamo eccezione per quelli scolastici o universitari). E di volgare è comunemente impastata la redazione scritta dei sermoni medievali.