“Foucault-Marx: una fedele trasgressione”, recensione-commento di Rudy M. Leonelli (cura),...
Transcript of “Foucault-Marx: una fedele trasgressione”, recensione-commento di Rudy M. Leonelli (cura),...
| Stampa |
Andrea Angelini
Foucault‐Marx: una fedele trasgressione
Recensione di Rudy M. Leonelli (cura), Foucault‐Marx. Paralleli e paradossi, Bulzoni
Editore, Roma 2010 (146 p.)
L’ossimoro del titolo sta ad indicare la difficoltà di tracciare in modo univoco e
lineare le caratteristiche del rapporto tra Foucault e Marx, il modo singolare in cui
prossimità e distanza si intrecciano nella loro produzione intellettuale. Ciò rende
molto arduo il tentativo di definire la posizione del primo verso il secondo:
continuità, rottura, fedeltà, rifiuto; sono aspetti che si sovrappongono agli occhi del
lettore. Per questo motivo affrontare il parallelo tra i due grandi autori richiede
cautela, la messa da parte di facili schematismi e pregiudizi, e la pazienza di
confrontarsi con una impegnativa massa di scritti, sia pubblicati che d’occasione,
eterogenei, alcuni a un primo sguardo contraddittori, comunque difficili da legare in
un insieme coerente e unitario.
Si riscontra in modo diffuso l’ostilità verso la scolastica di partito che ha preteso
monopolizzare la lettura di Marx e stabilirne la legittima e corretta applicazione, e
dunque l’esigenza, da parte di Foucault, di non accorpare immediatamente Marx,
marxismo e socialismo storico: «Lo stalinismo e il leninismo inorridirebbero
Marx»[1]. Ma per altro verso più d’una volta Foucault esprime diffidenza verso la
teoria che vorrebbe Marx o Lenin totalmente estranei alle storture, ai
fraintendimenti o tradimenti che avrebbero subito nel corso del movimento storico‐
politico che a essi si richiamava:
[…] rifiutare di interrogare il Gulag a partire dai testi di Marx o di Lenin,
domandandosi per quale errore, deviazione, mistificazione, distorsione
speculativa o pratica, la teoria è potuta essere tradita a tal punto. Al
contrario, interrogare tutti questi discorsi, per quanto siano datati, a partire
dalla realtà del Gulag. Invece di cercare in questi testi ciò che potrebbe
condannare a priori il Gulag, si tratta di chiedersi ciò che in essi l’ha
permesso, che continua a giustificarlo, ciò che permette oggi di accettarne
sempre l’intollerabile verità.[2]
Foucault fa queste affermazioni negli anni in cui in Urss si va sempre più
consolidando il potere del maresciallo Brežnev, il regime della Ddr vanta il più
efficiente e capillare corpo di polizia della storia, e si va facendo sempre più forte
l’insofferenza del popolo polacco; cioè quando, nonostante lo strappo libertario del
’68 avesse già scosso l’Europa, vanno ancora perpetuandosi i prodotti dello
stalinismo. Su di esso Foucault si sofferma continuamente negli anni ’70,
manifestando quanto indispensabile gli fosse comprendere quali interrogativi, tanto
Rudy Leonelli | Foucault-Marx (1) http://www.materialifoucaultiani.org/it/component/content/article/156-...
1 di 3 22/11/2016 14:09
politici che teorici, esso rendeva imprescindibili, dal cosa siano nel profondo, al di là
di stereotipi ossificati, il potere, la resistenza, la lotta, al quesito dubbioso riguardo
la «desiderabilità stessa della rivoluzione» (nella sua accezione storico‐dialettica)[3].
Era ai suoi occhi divenuto ineludibile il problema della proliferazione di strutture
gerarchiche, di profili governativi e modelli istituzionali in vario modo marchiati
dalla violenza, cui il movimento rivoluzionario era andato incontro (persino dopo la
“destalinizzazione”), in quanto non supportato da un’adeguata analisi della
polimorfia del potere, delle sue incerte provenienze storiche, dei suoi complessi
legami con le forme del sapere[4].
Credo che l’esperienza dello stalinismo e della stessa Cina di questi ultimi
venti o trent’anni abbia reso inutilizzabili, almeno in molti dei loro aspetti, le
analisi tradizionali del marxismo. In tal senso credo che non bisognerebbe
affatto abbandonare il marxismo come una specie di vecchio arnese da
mandare in soffitta, ma occorrerebbe essere meno fedeli alla lettera della
teoria e tentare di ricollocare le analisi politiche della società attuale, più che
nel quadro di una teoria coerente, sullo sfondo di una storia reale.[5]
Questa è una delle espressioni più pacate della seconda metà degli anni ’70 circa il
marxismo in generale. Ma se nel ’78, ad esempio, Foucault si riferiva al marxismo
come ad una «causa dell’impoverimento, dell’inaridimento dell’immaginazione
politica» e come a «nient’altro che una modalità di potere»[6], ancora nel ’71, pur tra
numerose riserve e prese di distanza, si esprimeva così: «Marx è arrivato a proporre
un’analisi storica delle società capitalistiche che conserva ancora una sua validità. Ed
è riuscito a fondare un movimento rivoluzionario che è, ancor oggi, il più vitale»[7].
Foucault incitava a rendersi «completamente liberi rispetto a Marx»[8], intendendo
con ciò il poter interrogare senza restrizioni e inibizioni «l’insieme dei rapporti di
potere […] inevitabilmente connessi» con «le tre dimensioni del marxismo, vale a
dire il marxismo in quanto discorso scientifico, il marxismo in quanto profezia ed il
marxismo in quanto filosofia di Stato, o ideologia di classe»[9], ma ben sapendo
quanto «sia necessario distinguere Marx, da un lato, e il marxismo, dall’altro»: «Non
mi pare sia assolutamente in questione il fatto di farla finita con Marx stesso»[10].
Foucault ha poi sempre rifiutato l’idea di potersi o doversi rifare ad un «vero e
autentico Marx», l’ostinazione a riconoscervi «un depositario fondamentale di
verità»[11]. Ha riservato anche a lui quel “saccheggio interessato” finalizzato a far
propri certi concetti, certi potenziali critici e analitici, al di fuori di una lettura
storiografica volta a ricostruire il profilo complessivo dell’autore (ciò che sappiamo
essere per Foucault al tempo stesso una funzione e una finzione). Una lettura dunque
molteplice e mirata, destinata al riutilizzo e all’impiego spostato più che al
commento.
A distanza di cinque anni dal convegno svoltosi a Bologna il 24 novembre 2005,
“Foucault, Marx, marxismi”, diviene disponibile il contributo di insigni studiosi –
arricchito inoltre da un’interessante intervista a Étienne Balibar, da cui il volume
mutua il titolo – su questo tema molto delicato. Nel passato dibattito filosofico‐
politico, tanto francese quanto italiano, esso era stato spesso affrontato attraverso
Rudy Leonelli | Foucault-Marx (1) http://www.materialifoucaultiani.org/it/component/content/article/156-...
2 di 3 22/11/2016 14:09
accese polemiche e prese di posizione nette, dunque impedendo un confronto
sereno e misurato come quello che questa breve raccolta di interventi ha invece il
merito di presentare.
[1] M. Foucault, Verità, potere, sé (1982 ‐ DE n.362), in Tecnologie del sé, Bollati
Boringheri, Torino 1992, p. 4.
[2] M. Foucault, Poteri e strategie (1977 ‐ DE n.218), in Poteri e strategie, Mimesis,
Milano 1994, p. 18.
[3] M. Foucault, No al sesso re (1977 ‐ DE n.200), in Dalle torture alle celle, Edizioni
Lerici, Cosenza 1979, pp. 151‐152.
[4] Cfr. M. Foucault, Delitti e castighi in Urss e altrove… (1976 ‐ DE n.172), in Dalle
torture alle celle, cit.; Dialogo sul potere (1978 ‐ DE n.221), in Biopolitica e liberalismo,
Edizioni Medusa, Milano 2001; Potere e sapere (1977 ‐ DE n.216), in Il discorso, la
storia, la verità. Interventi 1969‐1984, Einaudi, Torino 2001.
[5] M. Foucault, Il potere, una bestia magnifica (1977 ‐ DE n.212), in Biopolitica e
liberalismo, cit., pp. 83‐84.
[6] M. Foucault, Metodologia della conoscenza del mondo: come sbarazzarsi del marxismo
(1978 ‐ DE n.235), in Il discorso, la storia, la verità, cit., p. 246.
[7] M. Foucault, Intervista con Michel Foucault (1971 ‐ DE n.85), in Il discorso, la storia,
la verità, cit., p. 77.
[8] M. Foucault, Metodologia della conoscenza del mondo, cit., p. 260.
[9] Ivi, p. 248
[10] Ivi, p. 246.
[11] Ivi, pp. 248‐249.
continua...
1 2 3
Rudy Leonelli | Foucault-Marx (1) http://www.materialifoucaultiani.org/it/component/content/article/156-...
3 di 3 22/11/2016 14:09
| Stampa |
precedente...
Alberto Burgio si concentra sulla continuità tra Foucault e Marx quanto al comune
impegno nella analisi e nella critica del potere e sui caratteri comuni da loro
individuati nei suoi meccanismi, a cominciare dal ruolo ineludibile della
produzione e dell’accumulazione capitalistica nella sua funzione non solo
repressiva, ma anche produttiva di soggettività. Contro una lettura economicistica
di Marx che ha recidivamente comportato la banalizzazione del suo modello in
senso deterministico, viene riconosciuto a Foucault il merito di aver contribuito a
contrastare tale semplificazione.
Nell’uso della nozione di egemonia e nella complessità attribuita alle relazioni di
potere, si possono poi scorgere alcuni tratti teorici comuni tra Foucault e Gramsci, a
dimostrazione del fatto che nonostante l’avversione nei confronti della scolastica
marxista, il filosofo francese non ha cessato di confrontarsi con le ricerche
provenienti da Marx e di attingere da esse. Non un Foucault anti‐marxista, ma un
Foucault costantemente in dialogo, e non solo in polemica, con l’eterogeneo campo
dei marxismi.
Al termine del suo intervento, Burgio esprime alcune perplessità circa la capacità
della concezione foucaultiana del potere di spiegare la sua funzione di «vettore
asimmetrico». Nell’eccesiva attenzione al carattere “orizzontale” delle relazioni di
potere Burgio legge un certo «rifiuto di considerare la logica gerarchica dei sistemi
(dei flussi) di potere» e della «operatività del nesso potere‐dominio», così da lasciare
in secondo piano l’intreccio potere‐guerra tematizzato da Foucault stesso (p. 36).
Non è qui possibile esporre i molti luoghi in cui il nesso orizzontalità‐verticalità o
disciplina‐dominio viene esplicitamente affrontato da Foucault, forse proprio nel
tentativo di smarcarsi dal rischio che le sue descrizioni del potere come rete di
relazioni cui nessuno può dirsi estraneo fossero lette come negazione di ogni
distinzione dominanti‐dominati. Si può forse uscire da questa impasse leggendo in
Foucault non una negazione del dominio, ma una problematizzazione dei suoi
modi di costituzione e attuazione, un’analisi aperta delle sue condizioni di
possibilità, evitando così di opporre come forme antitetiche il livello microfisico e
quello sistemico del potere, il suo carattere anonimo orizzontale‐trasversale e la sua
funzione gerarchica verticale:
Queste relazioni di potere, nonostante la loro complessità e la loro diversità,
finiscono per organizzarsi in una specie di figura globale. Si potrebbe anche
dire che si tratti del dominio della borghesia o di certi settori della borghesia
sul corpo sociale. Ma io non credo che siano la borghesia o certi suoi settori
ad imporre l’insieme di queste relazioni di potere. Diciamo che essa ne trae
profitto, che le utilizza, che da ad esse un certo orientamento, che cerca di
intensificare alcune di queste relazioni di potere o, al contrario, di attenuarne
delle altre. Non c’è dunque una fonte unica dalla quale scaturirebbero come
per emanazione tutte queste relazioni di potere, ma un intrico di relazioni di
Rudy Leonelli | Foucault-Marx (2) http://www.materialifoucaultiani.org/it/component/content/article/157-...
1 di 4 22/11/2016 14:13
potere che, a conti fatti, rende possibile il dominio di una classe sociale su
un’altra, di un gruppo su un altro[1].
Stefano Catucci mostra come, nonostante le affermazioni forti che in Le parole e le
cose negano a Marx e al marxismo un carattere di rottura epistemologica nell’ambito
dell’economia politica, Foucault abbia sia precedentemente che successivamente
riconosciuto a Marx un ruolo teorico e politico di grande impatto e rinnovamento,
consistente nell’innesco di una nuova forma di discorsività capace di scuotere la
modernità e che non cessa di esprimere la sua vitalità pratica e il suo potenziale
ermeneutico. Catucci passa poi al problema della scientificità del marxismo,
affrontato da Foucault all’interno del tema più generale dei nessi tra sapere e potere.
In quest’ottica, l’ipotetica scientificità del marxismo (così come della psicanalisi) è
stata spesso guardata da Foucault più come un pericolo che come un valore
aggiunto, e ciò nella misura in cui tale scientificità venisse intesa come validità
atemporale. Ma assumendo tale scientificità come impegno rigoroso in una ricerca
consapevole dei propri limiti, come lavoro empirico esposto agli eventi e attraverso
essi sempre da ricominciare, Foucault ha d’altro lato riconosciuto senza alcuna
riserva la presenza del discorso scientifico marxiano nelle sue opere, sebbene non
nella forma da lui aborrita del commento fedele, della citazione dovuta a mo’ di
auctoritas.
Catucci affronta anche un altro tema assolutamente centrale nella polemica di
Foucault con il marxismo, o più specificamente con il “socialismo reale”. La
mancata elaborazione, da parte di quest’ultimo, di diversi metodi di governo ha
portato alla reiterazione delle forme governative liberali se non al loro fatale
ispessimento parossistico. È in relazione a questa problematica che Foucault
esprime le accuse più pesanti al marxismo, vedendo in esso un inibitore storico
della «facoltà di sognare l’avvenire della società umana»[2].
Qui si tocca forse un aspetto paradossale del rapporto Foucault‐Marx. Il desiderio,
strutturalmente marxiano, di trasformare il reale, di «forzare il limite del presente»,
comporta a detta di Foucault lo sbarazzarsi della scolastica marxista nella quale
l’importanza del testo «è proporzionale all’assenza di un’arte socialista del
governare»[3]. Eppure il contributo all’invenzione, all’immaginazione di un diverso
scenario politico, è in Foucault inseparabile da un’opera di smascheramento
dell’infondatezza dell’esistente intrapresa sul piano di un’analisi storica fortemente
debitrice del lavoro teorico‐critico di Marx – anche se, beninteso, non solo di questi.
Guglielmo Forni Rosa, prendendo spunto principalmente dal corso del ’76 “Bisogna
difendere la società”, opera una contestualizzazione storica del rapporto di Foucault
con il marxismo, esaminando alcuni nodi teorici attorno cui esso si sviluppa: la
scienza, l’individuo e l’universale.
L’effetto totalizzante, sia a livello teorico che a livello pratico, che Foucault ascrive
alla pretesa di scientificità del marxismo, va messo in relazione a due varianti
Rudy Leonelli | Foucault-Marx (2) http://www.materialifoucaultiani.org/it/component/content/article/157-...
2 di 4 22/11/2016 14:13
specifiche in cui esso era presente in Francia: da una parte la sua declinazione
esistenzialistica (Sartre, Merleau‐Ponty), della quale Foucault rifiuta l’aspirazione
fondazionalista di matrice fenomenologica; dall’altra il materialismo dialettico con il
suo carattere dottrinario di metafisica della storia, il suo impiego dogmatico della
dialettica, la sua funzione autoritaria in quanto teoria di partito.
Quanto al secondo punto, Forni Rosa rintraccia una sostanziale vicinanza tra
Foucault e alcune espressioni del marxismo non ortodosso (Scuola di Francoforte,
Lukács), quanto alla critica della visione a‐storica dell’individuo, dell’homo
oeconomicus, del contratto sociale, propria del pensiero borghese. Tanto negli autori
accennati, quanto in Foucault e in Marx, l’individuo è risultato: «sono le relazioni
stesse (rapporti sociali, modo di produzione) che generano gli elementi che si
trovano in rapporto» (p. 65).
È invece la distanza tra Foucault e Lukács ad emergere riguardo al tema
dell’universale. Nel corso del ’76 troviamo negata la famosa tesi che vede nel
discorso storico un’invenzione della borghesia rivoluzionaria e del suo progresso
razionale nel quale l’universale si incarnerebbe, hegelianamente, in una situazione
storica determinata. Quello che Foucault chiama discorso storico‐politico è stato
prodotto, già nella sua forma compiuta, dalla aristocrazia francese in decadenza
nella prima metà del XVIII secolo, ed era già stato utilizzato dai Levellers e dai
Diggers nell’Inghilterra del periodo rivoluzionario. Ciò dimostra che esso è nato
come strumento di lotta, come elemento tattico attraverso cui le fazioni in campo
creano le identità in conflitto, fondano storicamente le proprie ragioni e
rivendicazioni da un punto di vista necessariamente particolaristico. Tale
particolarità rimarrà valida anche quando la borghesia si approprierà di questa
arma discorsiva e la utilizzerà, a differenza dei precedenti soggetti politici, sotto le
mentite spoglie della universalità, cioè come discorso dialettico propagandista di
una falsa conciliazione. E anche il marxismo è stato consapevolmente erede della
forma borghese di tale discorso, e lo ha riutilizzato, seppure anche per riattivare la
lotta occultata dallo Stato borghese, per garantire un punto di vista universale e
promettere una condizione di universale pacificazione, e cioè occultando il carattere
“di parte” cui il discorso storico è genealogicamente legato. In Foucault troveremmo
posizioni fortemente antitetiche a questa concezione della dialettica, della quale egli
sosterrebbe una versione tragica in cui la guerra è vista come un fattore insuperabile,
sulla scia di Nietzsche, di Weber, dell’ultimo Freud.
Quest’ultimo punto è particolarmente problematico, in quanto oltre all’opposizione
tra discorso dialettico che occulta la guerra e discorso storico‐politico in cui essa
viene al contrario fatta riemergere come condizione reale dei rapporti sociali,
“Bisogna difendere la società” rende possibili altri livelli di lettura. Brevemente si può
dire che in esso troviamo una genealogia della genealogia in cui lo stesso paradigma
della guerra (che Foucault chiama anche “ipotesi Nietzsche”) viene posto al vaglio
di un’analisi storica che ne rintraccia le provenienze e cerca di misurarne il
potenziale ermeneutico nell’analisi del potere. Sarebbe a dire che il fattore‐guerra
non è semplicemente la tesi di Foucault, ma piuttosto la tesi di cui parla Foucault, e che
occuperà in modo estremamente ricorrente la riflessione di quegli anni. Foucault
Rudy Leonelli | Foucault-Marx (2) http://www.materialifoucaultiani.org/it/component/content/article/157-...
3 di 4 22/11/2016 14:13
non si chiede solamente attraverso cosa il potere si istituisca, si imponga e decada,
per rispondersi che questo qualcosa è la guerra, ma si interroga continuamente circa
l’identità della guerra‐lotta stessa, la sua capacità e utilità nell’esprimere
compiutamente l’origine e il funzionamento dei rapporti di potere, e su come essa
vada intesa per rendere efficace l’azione politica[4].
[1] M. Foucault, Il potere, una bestia magnifica, cit., p. 86. Cfr. anche M. Foucault, I
rapporti di potere passano all’interno dei corpi (1977 ‐ DE n.197), in Dalle torture alle celle,
cit., p. 123; Come si esercita il potere (1982 ‐ DE n.306), in H.L. Dreyfus‐P. Rabinow, La
ricerca di Michel Foucault, Ponte alle grazie, Firenze 1989; Intervista a Michel Foucault
(1976 ‐ DE n.192) e Potere e sapere (1977 ‐ DE n.216), entrambi in Il discorso, la storia, la
verità. Interventi 1969‐1984, cit.
[2] M. Foucault, Metodologia della conoscenza del mondo, cit., p. 245.
[3] M. Foucault, Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France, 1978‐79,
Seuil/Gallimard, Paris 2004, p. 95.
[4] Spesso si tende a identificare in modo troppo netto le posizioni di Foucault con
quelle di Boulainvilliers, da lui esposte, in modo anche enfatico, in “Bisogna difendere
la società”. Eppure nell’unica occasione in cui, al di fuori di questo corso, cita il
marchese francese, Foucault dice: «Il potere, in realtà, è fatto di relazioni, è un fascio
più o meno organizzato, più o meno gerarchizzato, più o meno coordinato, di
relazioni. Quindi, il problema non è di costruire una teoria del potere che avrebbe la
funzione di rifare ciò che avevano in mente Boulainvillliers, da un lato, e Rousseau,
dall’altro. Entrambi partono da uno stato originario in cui tutti gli uomini sono
uguali, e poi che succede? Invasione storica per il primo, evento mitico‐giuridico per
il secondo. In questo modo accade sempre che da un momento all’altro le persone
non hanno più diritti e c’è il potere. Se si cerca di elaborare una teoria del potere, si
sarà sempre obbligati a considerarlo come qualcosa che nasce in un punto e in un
momento dati, bisognerà farne la genesi, e poi la deduzione. Ma se il potere è in
realtà un fascio aperto, più o meno coordinato di relazioni, allora l’unico problema è
quello di servirsi di una griglia di analisi che consenta un’analitica delle relazioni di
potere»; M. Foucault, Il gioco di Michel Foucault (1977 ‐ DE n.206), in Follia e
Psichiatria. Detti e scritti 1957‐1984, Cortina, Milano 2005, p. 160.
continua...
1 2 3
Rudy Leonelli | Foucault-Marx (2) http://www.materialifoucaultiani.org/it/component/content/article/157-...
4 di 4 22/11/2016 14:13
| Stampa |
precedente...
Marco Enrico Giacomelli discute con originalità delle vicinanze e delle possibili
influenze reciproche tra Foucault e l’operaismo italiano. Le inchieste operaie (già
ritenute indispensabili dallo stesso Marx), la con‐ricerca teorizzata e intrapresa da
Guiducci, Montaldi, Alquati, anticipano esperienze politiche come quella del G.I.P.,
così come l’idea della funzione del lavoro intellettuale non come guida delle masse
ma come strumento per potenziare una capacità di emancipazione di cui non si
vogliono predeterminare le forme. Anche nell’attenzione operaista al
sottoproletariato composto da vagabondi, ex‐carcerati, prostitute, ladri, si nota una
comune sensibilità politica alla “devianza” sociale, problematica spesso poco
approfondita dal marxismo di partito e trascurata dalle sue politiche.
Manlio Iofrida si sofferma sugli spostamenti teorici e politici del travagliato periodo
giovanile di Foucault. La vicina pubblicazione, nel ’54, di due testi così eterogenei
come Malattia mentale e personalità e Il sogno, nei quali troviamo la stridente presenza
di marxismo ortodosso e psichiatria fenomenologica, si spiegherebbe attraverso la
varietà di marxismi sviluppatisi in Francia nel secondo dopoguerra, e le cui
prospettive ideologiche andavano ben al di là della cultura interna al PCF (al quale
Foucault aderì solo dal ’50 al ’53). Partendo da ciò, Iofrida rintraccia la crescente
influenza su Foucault di autori come Breton, Char, e in particolare Bataille e
Blanchot, attraverso i quali marxismo, surrealismo, tematiche esistenzialiste, e autori
come Marx, Nietzsche e Heidegger, venivano fusi a definire una «via letteraria alla
rivoluzione» (p. 100), pensata quale rivoluzione culturale e totale, esteriore ed
interiore, e solo come tale realmente alternativa all’ordine borghese. La rivoluzione
politica non è qui pensata come di per se risolutiva, ma come condizione necessaria
per aprire la fase della dialettica non storica, della ricerca piena dell’autenticità e
della libertà, irriducibile alla soddisfazione dei bisogni materiali, al lavoro
“disalienato”, ma che certo non potrebbe realizzarsi indipendentemente dal
conseguimento di questi obiettivi. Tali riferimenti permettono di discostarsi
dall’opinione di Macherey[1] che riscontrava nel Foucault della seconda metà degli
anni ’50 una sostituzione di Marx attraverso Nietzsche e Heidegger. La
rielaborazione del testo del ’54 sulla malattia mentale, uscita nel ’62 col titolo
Malattia mentale e psicologia, evidenzierebbe piuttosto lo spostamento da un
marxismo ortodosso ad un marxismo nietzscheano‐heideggeriano, dovuto
probabilmente oltre che alle “folgoranti” nuove letture di Foucault anche al
cambiamento del clima politico, successivo alla morte di Stalin e alla crisi
dell’Ungheria del ’56, che vedeva la crisi della generazione degli intellettuali
gauchisants.
L’attenzione a queste radici filosofiche, da Foucault sempre sottolineate nel
ripercorrere la propria biografia intellettuale, consente una lettura più esatta di
molte tematiche e l’ampliamento di ipotesi critiche che rimangono aperte. Ad
Rudy Leonelli | Foucault-Marx (3) http://www.materialifoucaultiani.org/it/component/content/article/158-...
1 di 3 22/11/2016 14:15
esempio, allorquando Foucault si dissocia dalla visione del lavoro come essenza
umana, o dall’umanismo dialettico che promette un “ritorno a sé”, il recupero di una
pienezza, non dobbiamo ricavarne immediatamente un rifiuto del marxismo tout
court, ma anche il riferimento a posizioni politiche che, per quanto eretiche, erano
interne al variegato contesto del marxismo francese e allo spirito di emancipazione
che ad esso era legato. A questo proposito vale la pena riportare un passo di Breton
citato, attraverso Blanchot, da Iofrida: «La précarité artificielle de la condition
sociale de l’homme ne lui volera plus la précarité réelle de sa condition humaine»
(p. 103)[2]. Qui si può notare un utilizzo molto particolare, rovesciato, del concetto
di alienazione, che ritroviamo come sfondo di tutta la Storia della follia, nel quale si
manifesta una lettura di Marx associata ad una sensibilità tutta novecentesca che
non poteva appartenere al filosofo di Treviri, ma che non per questo viene proposta
come antitetica alla sua filosofia, bensì come una integrazione di essa. Anche il tema
dell’immaginazione – di cui già si è vista l’importanza anche per il Foucault maturo
in polemica con il marxismo ufficiale – trova già in questi autori un ruolo tanto
filosofico quanto politico di primo piano, e dunque non andrebbe letto
immediatamente in chiave anti‐marxista.
Anche Rudy M. Leonelli pone al centro del suo intervento il corso “Bisogna difendere
la società”, proponendo l’espressione genealogia della genealogia, cui si è già accennato,
per indicare il particolare esercizio filosofico qui esibito da Foucault, e cioè «la
torsione riflessiva effettuata dalla genealogia attraverso il riferimento dei propri
procedimenti a se stessa» (p. 114). Viene mostrato nel dettaglio quanto il diverso
modo di affrontare la questione del discorso storico rispetto a Lukács[3] trovi
corrispondenza già, come lo stesso Foucault precisa, in Marx, nella sua
consapevolezza della parziale provenienza dell’analisi sociale in termini di lotta di
classe dalla “guerra delle razze” degli storici della Restaurazione – questione per
altro approfondita da altri famosi marxisti francesi come Lefebvre, Châtelet, Balibar,
così come in Italia da Gramsci. Attraverso un’accurata ricognizione filologica
vengono rintracciate lampanti vicinanze tra Foucault e Marx sul tema della guerra
come principio di intelligibilità della società, su quello delle diverse forme di potere
attraverso cui si rende possibile il governo e sul carattere dinamico di tali forme.
Foucault avrebbe inoltre operato una generalizzazione del principio di produttività
del potere che Marx aveva affrontato riguardo la fabbrica (già rintracciando in essa i
metodi della disciplina militare), estendendolo all’analisi delle forme di potere‐
sapere legate allo sviluppo e al funzionamento delle istituzioni educative ed
ospedaliere.
Nella ripresa di tematiche affrontate dal pensiero marxista nel corso del ’76 Leonelli
vede in Foucault un esempio di come rapportarsi alla ricchezza degli studi marxisti
offuscati dalle correnti dominanti, e dunque di come rilanciare una continuità
“scientifica” estranea ad ogni dogmatismo di partito, un “post‐marxismo” che non
tagli i ponti con l’intera eredità degli studi legati alla tradizione marxista.
Rudy Leonelli | Foucault-Marx (3) http://www.materialifoucaultiani.org/it/component/content/article/158-...
2 di 3 22/11/2016 14:15
Su molti punti qui accennati, come su altri che rimangono un po’ da parte – il
rapporto di Foucault con la dialettica, le problematiche circa la temporalità storica, il
contesto francese di una nascente “sinistra non marxista” – il campo rimane aperto a
ulteriori studi e riflessioni, che in questo volume possono trovare un’introduzione,
una cornice generale e numerosi suggerimenti specifici. Come si è visto, viene
offerto un confronto sul piano dei contenuti, senza portare Foucault da una parte o
dall’altra di schieramenti di cui conosceremmo già le ragioni e i torti. A
un’operazione simile Foucault non potrebbe che risultare sempre recalcitrante, in
quanto sempre ostile alle facili etichette e sempre abile a rendersi ad esse
irriducibile. Se per lui era necessario schierarsi, lo era in un senso molto particolare:
«Bisogna passare dall’altra parte – dalla “parte giusta” – ma per tentare di
divincolarsi da quei meccanismi che fanno apparire sempre due parti: per
disciogliere quella falsa unità, quella “natura” illusoria dell’altra componente per
cui si parteggia. È qui che comincia il vero lavoro, quello dello storico del
presente»[4].
Foucault sarà sempre dalla stessa parte di chi cerca di capire e trasformare il
presente, chiedendosi come siamo dominati, cosa ci limita, come spostare questo
limite. In una parola: cos’è la lotta – sia come ciò che subiamo, anche laddove ci
riteniamo pienamente liberi, sia come ciò che possiamo fare? Come “rivoluzionare”
il presente ora che la rivoluzione stessa non può più essere solo una promessa ma è
diventata per noi un problema? A paragone di questa: «[…] tutte le domande di
collocazione o di programma che ci vengono poste: “È marxista?”, “Cosa farebbe se
avesse il potere?”, “Quali sono i suoi alleati e le sue adesioni?”, queste sono
domande veramente secondarie»[5].
[1] Cfr. P. Macherey, Aux sources de l’Histoire de la folie: une rectification et ses limites,
«Critique» 471‐2 (1986).
[2] Cfr. M. Blanchot, La part du feu, Gallimard, Paris 1999.
[3] Cfr. supra l’intervento di Forni Rosa.
[4] M. Foucault, No al sesso re, cit., pp. 149‐150.
[5] Ivi, pp. 155‐156.
Leggi lʹintervista inedita di Michel Foucault a Rouge.
1 2 3
Rudy Leonelli | Foucault-Marx (3) http://www.materialifoucaultiani.org/it/component/content/article/158-...
3 di 3 22/11/2016 14:15