Dalla polvere all’altare, e ritorno Le audience tv dei Mondiali di calcio 2002-2010

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114 4. Dalla polvere all’altare, e ritorno L e audi e nce t v de i Mondiali di c al c io 2002-2010 di Ivo St e f ano G e r mano e Francesco Pagnini 1 1. Un’audience in frammenti Dopo il «secolo breve» [Hobsbawm 1997], l’inizio del terzo millennio è passato ancora più velocemente. Anche dal punto di vista sportivo è stato un decennio breve e, al tempo stesso, lunghissimo. Due o forse tre immagini sono tutto ciò che resta del ricordo complessivo delle ultime tre edizioni dei Mondiali di calcio, il cui parallasse geografico, ma forse più quello geo-politico ed economico, in questo inizio di millennio si è spostato verso nuovi continenti (Asia e Medio Oriente), rispetto alla “casa madre” europea. Quello appena trascorso è stato un decennio in cui la trasformazione tecnologica –sempre più orientata all’espansione dei media digitali in tempi di incalzante globalizzazioneè apparsa mancante di una metafora qualificante, cioè, di un “concetto guida”, tale da consentire una valutazione unitaria della cultura mediatadalla televisione anche in campo sportivo [Martelli 2010a]. «Quali che siano le nostre opinioni, le nostre reazioni, il globo appare sugli schermi del mondo in continuazione, anche se in maniera non del tutto bilanciata: dai risultati del Gran prix motociclistico alla trasmissione di una partita dei Mondiali di calcio, ai commenti live di crisi o catastrofi, di elezioni o rituali, all’attività quotidiana di doppiaggio, di stroncatura, di sottotitolazione di soap opera, telenovele e pellicole hollywoodiane» [Silverstone 2007: 16]. Man mano che ci s’infila nel decennio, l’offerta si divarica. Dal segnale in chiaro e dal f r ee per tutti si arriva al digitale e al criptato, all’intera 1 Il testo è frutto di una continua collaborazione tra i due Autori. Tuttavia, a fini legali, di comune accordo si stabilisce che l’Autore dei paragrafi 1 e 5 è Ivo S. Germano, mentre Francesco Pagnini lo è dei paragrafi 2, 3, 4.

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4. Dalla polvere all’altare, e ritorno Le audience tv dei Mondiali di calcio 2002-2010

di Ivo Stefano Germano e F rancesco Pagnini1

1. Un’audience in frammenti Dopo il «secolo breve» [Hobsbawm 1997], l’inizio del terzo millennio è

passato ancora più velocemente. Anche dal punto di vista sportivo è stato un decennio breve e, al tempo stesso, lunghissimo. Due o forse tre immagini sono tutto ciò che resta del ricordo complessivo delle ultime tre edizioni dei Mondiali di calcio, il cui parallasse geografico, ma forse più quello geo-politico ed economico, in questo inizio di millennio si è spostato verso nuovi continenti (Asia e Medio Oriente), rispetto alla “casa madre” europea.

Quello appena trascorso è stato un decennio in cui la trasformazione tecnologica –sempre più orientata all’espansione dei media digitali in tempi di incalzante globalizzazione– è apparsa mancante di una metafora qualificante, cioè, di un “concetto guida”, tale da consentire una valutazione unitaria della cultura “mediata” dalla televisione anche in campo sportivo [Martelli 2010a]. «Quali che siano le nostre opinioni, le nostre reazioni, il globo appare sugli schermi del mondo in continuazione, anche se in maniera non del tutto bilanciata: dai risultati del Gran prix motociclistico alla trasmissione di una partita dei Mondiali di calcio, ai commenti live di crisi o catastrofi, di elezioni o rituali, all’attività quotidiana di doppiaggio, di stroncatura, di sottotitolazione di soap opera, telenovele e pellicole hollywoodiane» [Silverstone 2007: 16]. Man mano che ci s’infila nel decennio, l’offerta si divarica. Dal segnale

in chiaro e dal free per tutti si arriva al digitale e al criptato, all’intera

1 Il testo è frutto di una continua collaborazione tra i due Autori. Tuttavia, a fini legali,

di comune accordo si stabilisce che l’Autore dei paragrafi 1 e 5 è Ivo S. Germano, mentre Francesco Pagnini lo è dei paragrafi 2, 3, 4.

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copertura sulla tv satellitare, alla scarsità dell’offerta del servizio pubblico, mascherata da florilegio attraverso una squadra infinita di opinionisti e commentatori. Un dato storico di cui tener conto: la visione in tv dei Mondiali di calcio è gratuita fino al 2002, dopo non più: nell’edizione 2006 e ancor più nella recente 2010 Sky subentra alla Rai nella titolarità presso la Fifa dei diritti televisivi. Al pubblico italiano pertanto si presenta un dilemma “cornuto”, tale per cui si resta comunque scontenti: o ci si adatta a «quel che passa il convento della Rai», oppure si pone mano al portafogli per poter gustare la ristorazione «a cinque stelle» imbandita da Sky. Ne segue una visione frammentata e a “doppia velocità” dello spettacolo calcistico, in cui la visione delle gare “ad ingresso gratuito” per le masse si va riducendo ad ogni edizione, però al tempo stesso l’élite a pagamento si disperde nel dedalo di un’offerta crescente e si frammenta in audience quantitativamente di modesta ampiezza e di scarsa rilevanza socio-culturale. Alla luce dell’odierna decostruzione dell’esperienza sportiva, dentro e

fuori la televisione, è possibile indagare l’audience dei Mondiali solo se si oltrepassa la mera problematizzazione di quale sia la più “vera” fra le visioni offerte, da quelle canoniche dei mass media a quelle inedite dei new media. È ormai assodato che esiste solo una generale precarietà delle formule tradizionali con cui seguire una partita o l’intero torneo, unitamente all’epifania di forme creatrici d’azione individuale proprie di telespettatori non più passivi –specie se teen– perché sono divenuti, grazie ad internet, a loro volta altrettanti ri-mediatori dell’evento [Bolter, Grusin 2002] e produttori in proprio di informazioni (messaggi “postati” nei weblog, foto scattate dai campi di calcio e distribuite in rete, proteste tramite i social forum, ecc.) [Livingstone 2010, specie cap. 5: 170-182].

Di base dovrebbe emergere la consapevolezza della primazia tecnologica: «Decisiva nello strutturare il rapporto tra calcio e televisione è (…) la tecnologia. Pensiamo per esempio all’alta definizione, portata nelle case degli italiani dalla televisione a pagamento. Vedere una partita di calcio in HD (ripresa, tra l’altro, con telecamere di nuova generazione) non è come essere sul campo, è qualcosa di più. È un’esperienza sensoriale che segna la massima distanza finora raggiunta tra la visione da stadio (essere sul posto, ma godere di un solo punto di vista) e la visione da grande schermo: una distanza ormai abissale, come se si assistesse a due eventi» distinti [Grasso 2011: 89-90].

Nel mezzo di edizioni dei Mondiali sempre più “tecnostrutturate” una certa attrattiva, per così dire folkloristica, non cede il passo, anzi, tende a rinvigorirsi. Si pensi al Mondiale 2010 svoltosi in Sudafrica e all’attenzione spasmodica dei media verso il polpo Paul, bizzarro aruspice delle sorti e dei risultati delle squadre impegnate nella competizione: i suoi tentacoli che indicano la bandierina della squadra che vincerà, e il Waka waka cantato e

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ballato dalla popstar libano-colombiana Shakira e replicato all’infinito in ogni programma televisivo, sono forse le uniche immagini di quel grande evento sportivo che resteranno scolpite nella memoria degli telespettatori. Per non dire delle stordenti vuvuzela2, vere e proprie “trombe del giudizio”, che hanno reso cacofonico il surround del Campionato di calcio 2010.

In questo anelito al global party, in cui la mitologia del campione va a braccetto con il glamour delle wing, occorre portare il costume da contorno a pietanza principale; ciò per incrinare lo stereotipo che vuole il calcio come uno spettacolo ad uso e consumo di un pubblico maschile. Così se in Italia nelle ultime tre edizioni dei Campionati mondiali la differenza tra audience maschile e femminile si attesta in media intorno ai 3-5 punti percentuali (3,6 punti percentuali per Corea-Giappone 2002; 5,2 punti per Germania 2006; 5,3 punti per Sudafrica 2010; cfr. fig. 1), tale differenza nell’esposizione in base al genere si annulla nel folklore delle cerimonie di apertura: infatti sia per l’edizione nippo-coreana, sia per quella sudafricana, in occasione della cerimonia inaugurale le telespettatrici italiane hanno superato i telespettatori (fig. 2).

F ig.1 – Audience tv media italiana dei Campionati del mondo di calcio 2002-2010: ascolti medi e percentuali, distinti per genere

Torneo 2002 2006 2010

Maschi 3.273.000 12,2% 5.777.000 21,7% 4.674.000 16,8%

Femmine 2.456.000 8,6% 4.711.000 16,5% 3.424.000 11,6%

Diff. M - F 817.000 3,6% 1.066.000 5,1% 1.250.000 5,2% Fonte: Auditel. Elaborazioni: SportComLab dell’“Alma Mater”.

2 A riprova di una rapidissima notorietà acquisita grazie allo sport “mediato” dalla tv

globale, esse hanno trovato posto perfino nel dizionario Oxford di lingua inglese. Si tratta di una preclara dimostrazione del potere di una tradizione “inventata”, dal momento che l’origine della vuvuzela è modernissima; ed è una delle migliori esemplificazioni di come in Mister Freddie “Saddam” Maake la tecnica sia anche istinto. La vuvuzela è l’evoluzione delle prosaiche trombette di gomma issate sul manubrio delle biciclette e usate come campanello. All’inizio vennero fabbricate in alluminio, poi in plastica. Secondo uno studio della tedesca Phonak una vuvuzela, con 123,9 decibel di emissione, è il più rumoroso degli strumenti da stadio; supera il corno inglese (123,2 decibel), i cori e coracci dei tifosi (121,4), i campanacci svizzeri (113,6), i tamburi da samba brasiliani (110,5) e i tric-trac di legno (109,8). Il rugby, che è un sport meno incline del calcio a stravolgere le regole, le ha vietate.

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F ig. 2 –Cerimonie di apertura dei Campionati del mondo di calcio 2002-2010: audience tv media italiana (in v.a. e %) distribuita per genere

Torneo 2002 2006 2010

Maschi 2.260.000 8,4% 3.404.000 12,8% 1.409.000 5,1%

Femmine 2.378.000 8,3% 2.224.000 7,8% 1.500.000 5,1%

Diff. M - F -118.000 0,1% –1.182.000 5,0% -91.000 0,0%

Fonte: dati Auditel. Elaborazioni SportComLab dell’“Alma Mater”.

Il pubblico femminile sembra essere un termometro fedele della

rilevanza extra-calcistica, sia di costume, sia, soprattutto, identitaria, del torneo mondiale: le donne non si accendono al mero dato sportivo (nelle finali del 2002 e del 2010 la differenza tra maschi e femmine è stabile, intorno ai 7 punti percentuali; 7,7% nel secondo tempo di Germania-Brasile, 7,2% nei tempi supplementari di Olanda-Spagna). Però anch’esse sono davanti alla tv, vicino ai loro uomini, quando le partite si fanno cruciali per le sorti degli azzurri, come nella cavalcata vittoriosa verso Berlino, che sfocerà in una festa collettiva nelle piazze italiane, un bagno di unità nazionale (fig. 3).

F ig. 3 – Differenza tra maschi e femmine nell’ascolto medio percentuale (rating) delle sette partite giocate dall’Italia nei Mondiali 2006

Mondiali ‘06 Fase a gironi Ottavi Quarti Semifinali Finale

L’Italia gioca con-tro…

Ghana Usa R. Ceca Australia Ucraina Germania Francia

Maschi 38,7% 32,8% 28,5% 30,2% 35,6% 39,0% 36,2%

Femmine 31,3% 28,3% 24,5% 26,9% 32,3% 36,9% 35,9%

Diff. M - F 7,4% 4,5% 4,0% 3,3% 3,3% 2,1% 0,3%

Fonte: dati Auditel. Elaborazioni SportComLab dell’“Alma Mater”.

Tuttavia il decennio in questione dev’essere valutato, in primo luogo, a

partire da un “cambio di stagione tecnologico”, tale da influenzare tempi e modi della visione e della fruizione dei media event calcistici, a partire dalla variabile età: «Quello che è cambiato non è il tipo di attività che

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impegna l’umanità, ma la sua abilità tecnologica nell’impiegare come forza produttiva diretta ciò che contraddistingue la nostra specie, come eccezione biologica: la sua superiore capacità di elaborare simboli» [Castells 2003: 107]. Sempre più giovani, sempre più “nativi digitali” in costante dismissione

dal ruolo di telespettatore, oramai appannaggio della popolazione più anziana, meno dinamica dal punto di vista dell’utilizzo delle nuove tecnologie. Da un pubblico di massa si passa alla «società individualizzata» [Bauman 2002] che, senza soluzione di continuità, mulina conversazioni, giudizi, pareri sulla rete.

Se si guarda questo insieme di elementi attraverso il quadro teorico e metodologico dello sport “mediato”, vale a dire, la sociologia multidimensionale e relazionale dei grandi eventi sportivi [Martelli 2010a], è possibile osservare che le audience tendono a divenire mobili ed elastiche soprattutto nelle fasce giovanili (fig. 4).

F ig. 4 – Ascolto tv medio percentuale (rating), distribuito per coorti di età, dei Mondiali di calcio (2002-2010)

Fonte: dati Auditel. Elaborazioni: SportComLab dell’“Alma Mater”.

Le audience diventano «adhocratiche» –così le ha chiamate con felice

intuizione Howard Rheingold –, ovvero sono più frequentemente costituite da individui alla ricerca momentanea e rabdomantica, consapevole o inconsapevole, di spettacolo, in questo caso, sportivo: «Ciò che fa la rete è fornire un pascolo in cui le pecore evacuano erba, in cui ogni utente fornisce le risorse che consuma» [Rheingold 2003: 59]. E i media digitali

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questo offrono, a misura di Iphone e di Ipad, da un lato dando vita a fenomenologie del tutto inedite, dall’altro trasformando logiche e linguaggi della comunicazione radio-televisiva [Menduni 2007].

La complessa strutturazione del discorso sportivo televisivo propria di trasmissioni cult, come quelle del trittico Tutto il calcio minuto per minuto, Novantesimo minuto e Processo del lunedì, intimamente connesse alla provincia italica perenne e profonda, non sembra più abitare l’ecosistema della comunicazione sportiva. Il surrogato diventa, nel quotidiano sportivo, la ridda di “non notizie”, veri e propri fattoidi enunciati come “bombe”, scoop, scenari inauditi – in realtà si tratta, né più né meno, che di gossip, pettegolezzi. Basti pensare al caso dell’arbitro Byron Moreno e delle mille e una spiegazioni date per chiarire al pubblico nostrano perché mai questo avesse favorito la Corea del Sud, non già come “squadra di casa”, ma come omaggio, sin troppo zelante, al “patron” Mong-Joon Chung, co-presidente del Comitato organizzatore dei Mondiali 2002, aggiungendo alla casistica della sudditanza un caso di natura economico-politica.

Per proseguire sulle orme di una così profonda trasformazione del registro comunicativo si faccia mente locale al sottofondo polemico e acceso, in conseguenza allo scandalo noto come “Calciopoli”, che accompagnò la missione della nazionale di calcio italiana nel Mondiale in Germania, e che poi la salutò campione del mondo a Berlino, la sera del 9 luglio 2006.

La digitalizzazione, dunque, è stata il vero fattore tecnologico che ha favorito la globalizzazione comunicativa. In una «società dell’ipercomunicazione» [Codeluppi 2009], al cui interno le giovani generazioni sono attratte da un vorticoso flusso neomediale, le nuove tecnologie «che della postmodernità sono figlie (artefici?) manifestano continui processi di sincretismo» [Fabris 2008: 158]. Ciò favorisce la contemporanea omologazione e accelerazione culturale dello sport come patchwork multidimensionale e polisensoriale3.

Le ultime tre edizioni dei Campionati del mondo di calcio possono essere interpretate in termini dicotomici. Da un lato una moltitudine di couch potatoes, rintanati nell’oscurità confortevole del proprio salotto e sempre più narcisticamente dipendenti dalle immagini che appaiono su schermi a cristalli liquidi e ultrapiatti; dall’altro comunità virtuali che favoriscono la crescita esponenziale del fandom intorno ad un calcio

3 Da notare che internet consente anche una rimodulazione e personalizzazione dei

tempi di fruizione degli eventi. Ad esempio nel Mondiale sudafricano è stato possibile seguire le partite in diretta sul dashboard ufficiale Fifa, oppure, senza più ostacoli di fuso orario, nelle infinite repliche arricchite di statistiche e analisi, reperibili nel web. Più in generale si può affermare che la timeline ha ceduto il passo al datamining, tanto che un’autorevole testata come il New York Times ha inaugurato il blog dal nome evocativo Goal, al fine di fornire sofisticatissime analisi per ogni singolo match.

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sempre più “parlato”. Questa componente della ricerca va riletta alla luce di due segnali evidenti: l’età e lo stile; ancor più nell’ipotesi secondo cui la televisione generalista non sia più la protagonista assoluta, vista la continua diffusione dei media digitali [Colombo 2007] e il sorgere di nuove forme sociali per assistere e per vivere insieme un media event. L’età e lo stile di vita sono le risorse socio-comunicative che ri-

strutturano l’audience, laddove la fruizione non è solo capace di orientare l’offerta tecnologica, ma usa –meglio, sa usare– le piattaforme tecnologiche, secondo modalità e obiettivi diversi.

Il Mondiale in Sudafrica ha mostrato un gioco, complessivamente, di scarso livello, ma è stato caratterizzato dall’alta densità di commenti, pareri, hit list favoriti dai social media e in particolare da Twitter, che non va relegato ad un fenomeno di consumo, ma rivela una nuova modalità di partecipare ad un grande evento collettivo. I social media favoriscono in modo innovativo il passaggio dal piano della semplice fruizione dell’evento-partita in televisione, a quello della partecipazione “mediata” e socialmente condivisa della medesima. La chiave di lettura complessiva è quella dell’«I-sport», un complesso dispositivo di messaggi e note, a corollario della partita, quasi che la partita sia un pretesto per condividere informazioni e opinioni.

La televisione stessa diventa a portata di highlight, cioè si tramuta in un condensato minimale dell’epica sportiva, pronti all’uso di YouTube, in una continua sinergia fra la televisione e la rete, composta, per meglio dire, scomposta in frammenti di file video. Già in anticipo sul triplice fischio finale la rete si carica di spezzoni e flash di partita, in un gioco di scatole cinesi in cui lo schermo televisivo si duplica nell'occhio indiscreto e rapace del telefonino. E l’urlo di Grosso, la testata di Zidane, con milioni di visualizzazioni on the web, così come i peana con cui Fabio Caressa, il telecronista Sky, introduce le partite degli Azzurri in Germania 2006, smontati e rimontati in un unico corale canto di vittoria, diventano agganci scenici per riannodare un personale e collettivo A m'arcord. L’asse di preferenza tra rete e fuori rete pare immateriale, almeno questo

suggerisce il dato, ancor più nelle giovani generazioni che tendono a de-calcistizzare il Mondiale all’interno di nuove comunità di pratica. Un’attitudine e un orientamento che concorre con l’altra modalità, più catodica, di sfruttamento dell’immagine televisiva. Non sta al sociologo decidere se sia un cortocircuito momentaneo, ovvero una declinazione in via di consolidamento; tuttavia, il quadro degli ascolti Auditel restituisce l’immagine di sintesi fra chi digita e non vede la partita in televisione, e viceversa.

Al centro di un sistema nervoso che fibrilla e che si orienta in più direzioni, la sovrapposizione fra televisione e social media incide sul sistema di comunicazione del calcio mondiale, al cui interno pare farsi

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strada una modalità non corporativa di espressione e di condivisione. La tv cita se stessa, anzi, si autocita, in un ripiegarsi ombelicale, nel tragitto “andata e ritorno” con il frigorifero posto nel tinello di casa, mentre nell’ambiente digitale si mettono, volentieri, le mani nel fuoco del racconto sportivo. Più il mondo viene presentato «in frammenti» [Geertz 1999] e più aumenta la probabilità di ragionare in termini di audience frammentate secondo linee etniche ed epiche.

2. Aprire le finestre al mondo: le audience dei Mondiali in Corea e Giappone (2002)

La 17a edizione della Coppa del mondo di calcio è il biglietto da visita

della globalizzazione sportiva. Giocata all’inizio del nuovo millennio in Asia, cioè extra moenia euroatlantica, è la celebrazione del tempo e dello spazio compresso dei flussi comunicativi e delle merci. Il divenire delle cose calcistiche oscilla fra il conformismo dell’audience

che segue gli Azzurri motu proprio e l’attenzione crescente rivolta verso la Turchia, che dapprima elimina il Giappone e il Senegal, poi gli Usa e, infine, pure l’altra nazione ospitante, la Corea del Sud.

La continua tensione fra globale e locale, che s’avvertirà nelle edizioni successive, è ancora inavvertita nel 2002, smorzata dall’euforia “global” del Brasile pentacampeao, la cui vittoria viene rappresentata in chiave multietnica.

Resta un dato, che diverrà costante nelle edizioni successive: la strategia geo-politica della Fifa di dare lustro a nuove ribalte per il prodotto calcistico ha un riscontro tangibile nelle audience che in Italia riscuotono entrambe le squadre locali; sia la Corea, sia il Giappone costruiscono la propria riconoscibilità internazionale guadagnando ascolti sulle concorrenti. Nella fase iniziale del torneo le partite che vedono in campo la Corea hanno in Italia un ascolto medio superiore rispetto alle partite in cui si incrociano le altre squadre dello stesso girone (Portogallo, Usa e Polonia: 8,7% vs 6,4 %; vedi fig. 5). Medesimo tasso di ascolti riscuote in Italia il Giappone, che incontra nel proprio girone Belgio, Russia e Tunisia (7,9% vs 4,1%); complici, ma si presume non solo, orari di programmazione più favorevoli. Certo è che l’addensamento di interesse giornalistico sulla macchina

organizzativa del torneo pone la Corea del Sud alla ribalta mediatica ancor prima del fischio d’inizio della partita d’apertura, iniziando a tessere la narrazione simbolica dell’evento sulle suggestioni del momento culturale, politico ed economico che il paese ospitante vive mentre incrocia la carovana delle stelle del calcio. Lo stesso avviene per le Nazionali di altri paesi ospitanti: nel mondiale asiatico il Sudafrica raccoglie in media un’audience del 7%; sarà del 9,5 % nell’edizione 2010, in cui la squadra

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sudafricana gioca in casa. Rivalità calcistiche e rivalità storico-politiche si fondono in concatenazioni di rivincite, come la sfida che si rinnova tra Argentina e Inghilterra nella seconda giornata del gruppo F. Su sponda argentina il ricordo va a el robo del siglo (“il furto del secolo”), l’ingiusta espulsione del capitano della Nazionale argentina Antonio Rattin che costò pure la sconfitta contro l’Inghilterra al Wembley Stadium durante i quarti di finale del Mondiale 1966; su sponda inglese, alla mano de Dios con cui Diego Maratona si aiutò per segnare il gol con cui a sua volta fu eliminata la Nazionale inglese ai Mondiali dell'’86; nel mezzo la guerra per le Isole Falkland e, storia recente, il titolo del “The Daily Mirror” dopo l’espulsione di Beckham negli ottavi di finale di Francia ‘98: «10 heroic lions. One stupid boy».

F ig. 5 – Confronto nel girone D fra gli ascolti tv delle partite in cui scende in campo la Corea e quelli fatti registrare dalle altre sf ide del medesimo girone

Data Orario Partita AMR AMR %

04/06/2002 13:30 Corea del Sud-Polonia (1° t.) 6.117.000 11,0%

04/06/2002 Corea del Sud-Polonia (2° t.) 4.806.000 8,7%

10/06/2002 08:30 Corea del Sud-U.S.A. (1° t.) 2.304.000 4,2%

10/06/2002 Corea del Sud-U.S.A. (2° t.) 2.476.000 4,5%

14/06/2002 13:30 Portogallo-Corea del Sud (1° t.) 7.477.000 13,5%

14/06/2002 Portogallo-Corea del Sud (2° t.) 5.929.000 10,7%

Ascolto Medio Girone D - Partite giocate dalla Corea 8,7%

05/06/2002 11:00 U.S.A.-Portogallo (1° t.) 2.428.000 4,4%

05/06/2002 U.S.A.-Portogallo (2° t.) 4.724.000 8,5%

10/06/2002 13:30 Portogallo-Polonia (1° t.) 6.218.000 11,2%

10/06/2002 Portogallo-Polonia (2° t.) 4.385.000 7,9%

14/06/2002 16:30 Polonia-U.S.A. (1° t.) 1.804.000 3,3%

14/06/2002 Polonia-U.S.A. (2° t.) 1.748.000 3,2%

Ascolto medio Girone D - Partite senza la Corea del Sud 6,4% Fonte: Auditel. Elaborazioni: SportComLab dell’“Alma Mater”.

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Le rivalità storiche riscaldano l’audience: dopo le gare della Nazionale, Argentina-Inghiterra è la partita più seguita dai telespettatori italiani nella fase a gironi, con un ascolto medio del 16,9% nel primo tempo e 14,7% nel secondo. Così quattro anni dopo, nel Mondiale 2006, Germania-Polonia –altra sfida ad alta densità simbolica– sarà tra le partite più seguite dai telespettatori italiani nella fase iniziale (16% di rating nel primo tempo e 15,8% nel secondo), un punteggio inferiore solo a quello registrato nelle partite degli Azzurri e dei campioni in carica del Brasile (v. fig. 6).

F ig. 6 – Sf ide tra rivalità storico-calcistiche durante i Mondiali 2002 e 2006

Data Partita Audien-

ce media Rating

07/06/2002 Argentina-Inghilterra (1° T.) 9.374.000 16,9%

07/06/2002 Argentina-Inghilterra (2° T.) 8.163.000 14,7%

14/06/2006 Germania-Polonia (1° T.) 8.805.000 16,0%

14/06/2006 Germania-Polonia (2° T.) 8.715.000 15,8%

Fonte: dati Auditel. Elaborazioni SportComLab dell’“Alma Mater”.

Complessivamente in Italia l’ascolto medio tv delle partite giocate in

Asia è del 10,4% (12,2 % per i maschi, 8,6 % per le femmine). La sfida più vista è quella, fatale per le sorti azzurre, contro i padroni di casa della Corea del Sud negli ottavi di finale (42,8% nel 1° t., 43 % nel 2°t., 41,6% nei supplementari), col picco di ascolto dell'intero torneo: ben 24.203.921 telespettatori. La finale tra Germania e Brasile sarà vista da 16.915.000 italiani (30,5 % di rating).

Il telespettatore “modale” del torneo è maschio (12,2%, +3,6 punti percentuali sulle femmine), ha tra i 55 e 64 anni (14,3%, +4,9 punti sui 15-19enni), vive in una città dai 100 mila ai 250 mila abitanti (11,8%, +2,3 punti rispetto a chi abita nei paesini fino a 10 mila abitanti), ha come titolo di studio la licenza elementare (12%, +2,8 punti sui laureati) e una condizione economica medio-bassa (11,5%, +3,2 punti su chi ha un reddito superiore).

3. Un Mondiale “a fior di pelle”: Germania 2006 L’abbrivio della “cupola” di Luciano Moggi e di “Calciopoli”, da un

lato, la testata di Zidane a Materazzi, dall’altro. Il detonatore dell’audience

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di Germania 2006 è stato investigato sociologicamente sia da Sergio Manghi [2007], sia da Michel Maffesoli [2009]; entrambi hanno sottolineato il fatto che, della famosa testata, nello stadio di Berlino ci si è accorti solo ed esclusivamente grazie alla televisione: prova provata del legame fra visione e condivisione che rimbalza, d’un tratto, nella rete. Un’azione emblematica della revanche del tifo, un noioso passepartout

nella lunga fila ai tornelli di una festa non più popolare, ma faticosa e di una ritualità, oramai, perduta in una “zona franca” di balordaggini, berciate e ululate emesse da utenti, frustrati insospettabili, che si rifanno della moglie tiranna e dell’insopportabile capufficio. Di certo un pretesto per parlar d’altro, cioè di una speciosa involuzione, se non proprio degenerazione di gesti e linguaggi, riscontrabile anche in campo: la cronaca dei Mondiali 2006 annovera pure la partita con più cartellini della storia: Olanda-Portogallo (quattro cartellini rossi e otto gialli).

Le forme proprie del tifo calcistico hanno esondato in altri ambiti, nonché appaiono alle latitudini culturali più diverse. Viviamo in una Repubblica catodica fondata sul tifo; la divisione sociale si trasforma in divaricazione, al di là della mutazione in atto nelle relazioni sociali. La demolizione diventa la forma assoluta del vandalismo culturale in uno spettacolo ammalorato e livido, in cui è fondamentale tifare più che essere contro. L’idea che si fa strada è che non c’è più nessuna idea, ma solo piccole cittadelle del rancore, non più limitate al tifo calcistico, che edificano le new town del risentimento personale e sociale. E non è un bel segnale quello inviato dal Mondiale 2006, né viene sanato dal gesto trionfale di Fabio Cannavaro che alza la coppa al cielo. Eppure è il Mondiale dell’urlo di Fabio Grosso, così uguale all’urlo di

Marco Tardelli in Spagna ‘82: c’è sempre qualcosa da scrollarsi di dosso, c’è sempre una Germania di mezzo. La nostra mitologia calcististica passa attraverso il perenne scontro/incontro con la Germania; con lei si costruiscono e ri-costruiscono frammenti di identità nazionale. A partire dal 4 a 3 della partita del secolo ai Mondiali in Messico ’70, in cui l’“Italietta” del dopoguerra tornò al vertice del calcio internazionale.

«Diciamo la verità: sino alla fine degli anni Sessanta l’Europa per noi era un mondo di sogno, andarci in aereo era ancora un privilegio, vi avevamo esportato contadini immusoniti dalla batosta della riforma agraria e, nonostante la crescita vertiginosa del prodotto interno lordo, non riuscivamo a liberarci dal ruolo di “straccioni geniali”. Insomma per sentirsi uguale e occidentale l’Italia aveva bisogno di una grande affermazione, e la ebbe con il calcio, battendo lo squadrone dei panzer del football, della solidità di Borsa e banche, della disciplina e della rinascita vera. Un’impresa storica dunque e non solo un raro evento gioioso nel Paese che meno di sei mesi prima, con la bomba di Piazza Fontana, era precipitato nella violenza e nella paura» [Merlo 2010: 47].

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Poi il Mundial dell’82, e il 3 a 1 per mettersi alle spalle lo scandalo calcioscommesse del 1980, ma anche gli anni di piombo, la strage di Bologna, Ustica, il rapimento Moro. Più di vent’anni dopo, tra lo scandalo di “Calciopoli” e l’urlo di Grosso

c’è il cammino di una Nazionale che ha smarrito il consenso popolare. L’ascolto medio dell’Italia nella fase a gironi di Germania 2006 è del 34,1%, contro il 36,9% della fase a gironi di Corea-Giappone 2002. Nel primo tempo di Repubblica Ceca-Italia, l’ultima partita della fase eliminatoria del torneo 2006, si scende addirittura al 26.9%. Nel corso del primo tempo dell’ottavo di finale contro l’Australia gli spettatori sono pochi di più, appena 16.131.000 (29,2%); certamente sull’esposizione incidono le polemiche sulle deboli prestazioni degli Azzurri. Eppure basta incontrare sul nostro cammino la corazzata teutonica per ritornare agli standard usuali d'ascolto: la semifinale Italia-Germania, seguita da circa 24 milioni di italiani (42,2% nel 1° t., 43,1 % nel 2°t., 44,2% nei supplementari), ricompatta il Paese sotto il segno dei suoi astri calcistici, rinfocolando fiducia e identità nazionale e recuperando nella dimensione ludico-collettiva ciò che si era incrinato sotto i colpi di “Calciopoli” (fig. 7).

F ig. 7 – I pubblici tv della Nazionale italiana in Germania 2006

Fonte: Auditel. Elaborazioni: SportComLab dell’“Alma Mater”.

L’ascolto medio del Mondiale tedesco è del 19,1 % (21,7 % per i

maschi, 16,5 % per le femmine), ben 8,7 punti percentuali in più rispetto

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all’esposizione dei telespettatori italiani in occasione del campionato asiatico; complici orari di programmazione “occidentali”, la riduzione della programmazione Rai e la cavalcata trionfale degli azzurri, che ha contributo a mantenere viva l’attenzione fino alle fasi conclusive del torneo.

La partita più seguita è la finale tra Italia e Francia (rating: 41,6% nel 1° t., 44% nel 2°t., 44,4% nei supplementari, 45,9 % durante i rigori), col picco di ascolto dell'intero torneo quando Pirlo, Materazzi, De Rossi, Del Piero e Grosso mettono a segno i rigori decisivi. In quei momenti ben 25.666.316 sono i telespettatori: quasi la metà della popolazione italiana è rimasta “incollata” fino a tarda sera davanti al televisore a soffrire e poi a gioire, nessun evento è così “collettivo” nel nostro Paese come una vittoria della Nazionale di calcio.

4. Il Mondiale delle mobile audience e dei social network : Sudafrica 2010

Il vibrare profondo dell’anima mundi di quel gigantesco teatro globale

incarnato dalle movenze e dalle ellissi sferiche del calcio è avvertibile nel Mondiale sudafricano. «This time for Africa», recita l’inno ufficiale di un torneo che vorrebbe fare del calcio –più che un banale e spesso bislacco intrattenimento–, l’occasione globale del riscatto della cultura africana. Ne sarebbero lieti i telespettatori, che non si accontentano più di essere target della pubblicità o unità nel circuito dell’industria dello sport spettacolo, e neppure vogliono assomigliare ad una tabula rasa catodica. Narrazione e ideazione, per telecomandi attenti; ma non è così, almeno non è solo così. Al termine del Campionato la moscia figura della Nazionale italiana di calcio non riesce ad essere del tutto riscattata dalla vittoria della Spagna contro l’Olanda. Il ritorno al primato del calcio europeo però non coinvolge le reti, divenute nel frattempo il luogo fondamentale in cui è migrata l’audience giovane. La bassa intensità spettacolare per modo di dire è compensata dai social network, cioè dalle cerchie concentriche di amici, conoscenti, nuovi intrusi che animano plebisciti sul campione in voga, quotando le prestazioni di un Cristiano Ronaldo o di un Leo Messi. L’ascolto medio del torneo si ferma al 14,2% (16,8% per i maschi,

11,6% per le femmine). L’attenzione di fronte al tubo catodico cala al calare delle ambizioni degli azzurri; non a caso la partita più vista in assoluto è l’esordio della Nazionale contro il Paraguay (rating 1° t.: 33,1%, 2° t.: 32,8%), con un picco d’ascolto di 20.102.252 telespettatori. Prestazioni sbiadite della squadra raccolgono un’audience sempre più sfilacciata e sfiduciata (v. fig. 8), nel rapido precipitare verso uno dei punti più bassi dell'epopea calcistica nazionale: dopo la flessione del pubblico tv

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in occasione di Italia-Nuova Zelanda (rating 1° t.: 26,7%, 2° t.: 28,4%), si tocca il fondo in Slovacchia-Italia (rating 1° t.: 23,8%, 2° t.: 25,8%).

F ig. 8 – Il pubblico tv della Nazionale italiana ai Mondiali di calcio in Sudafrica (2010)

Mondiale 2010

Data Orario Partita Risultato AMR AMR % 14/ 06/2010 20:30 Italia-Paraguay (1° T.) 0-1 19.006.000 33,1% 14/ 06/2010 Italia-Paraguay (2° T.) 1-1 18.812.000 32,8% 20/06/2010 16:00 Italia-Nuova Zelanda (1° T.) 1-1 15.338.000 26,7% 20/06/2010 Italia-Nuova Zelanda (2° T.) 1-1 16.269.000 28,4% 24 /06/2010 16:00 Slovacchia-Italia (1° T.) 1-0 13.659.000 23,8% 24 /06/2010 Slovacchia-Italia (2° T.) 3-2 14.791.000 25,8%

Fonte: Auditel. Elaborazioni: SportComLab dell’“Alma Mater”. Il colpo è duro e il dolore si smorza distogliendo lo sguardo:

all’indomani della disfatta azzurra gli ascolti del Mondiale crollano. Cile-Spagna e Usa-Ghana, trasmesse nei due giorni successivi, raggranellano ascolti medi intorno al 9-10% (Cile-Spagna, rating 1° t.: 10,2%, 2° t.: 9,3%; Usa-Ghana, rating 1° t.: 9,8%, 2° t.: 9,1%). Nemmeno l’inedita finale tra Olanda e Spagna rialza le sorti di un torneo sottotono, dentro e fuori dal campo (rating 1° t.: 21,6%, 2° t.: 23,9%, t.supp. 25,3%).

Dal momento che la spedizione azzurra è latitante nel gioco e nelle ambizioni, già dalle prime fasi del torneo il pubblico italiano si ri-orienta verso quelle squadre in cui militano uno o più giocatori del campionato italiano. L’audience tv si riduce come ampiezza complessiva e per di più

presenta variazioni anche forti a livello regionale, quale riflesso a livello locale del Mondiale. Così, ad esempio, gli ascolti in Lombardia salgono se scende in campo il camerunense ma interista Samuel Eto’o e il Lazio si appassiona alle sorti dell’Uruguay, la cui porta è difesa dal portiere uruguense ma laziale Fernando Muslera (fig. 9)4.

4 Nota metodologica : nella prima colonna sono riportate le regioni i cui club hanno

fornito il maggior contributo di giocatori alle rose delle 32 nazionali presenti in Sudafrica. Le successive colonne riportano gli ascolti medi percentuali (rating) per la fase a gironi delle partite che vedono impegnati giocatori del campionato italiano (escluse le partite dell’Italia). L’ultima riga riporta la media degli ascolti delle partite nel gruppo di regioni considerato. L’ultima colonna riporta la media degli ascolti per regione di tutte le partite trasmesse dalla Rai nella fase a gironi, escluse le partite della nazionale italiana. Sono evidenziati in grassetto gli ascolti superiori alle medie in una determinata regione in corrispondenza delle

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F ig. 9 – Il pubblico tv, distribuito per le principali regioni italiane, agli incontri di squadre non italiane –Mondiali in Sudafrica (2010)

Regioni Partite

BRA-COR 2° t.

SUD-URU 1° t.

CAM-DAN 2°

t.

GRE-ARG 1° t.

GHA-GER 1°

t.

CIL- SPA 2°

t.

Rating medio nel

girone

Piemonte 15,6% 12,1% 12,8% 14,2% 13,3% 10,2% 12,0%

Liguria 15,5% 18,9% 8,2% 15,9% 16,8% 11,1% 13,2%

Lombardia 15,7% 13,4% 12,2% 12,8% 12,4% 7,3% 11,5%

Friuli-Venezia Giulia

19,0% 13,5% 14,5% 14,0% 15,3% 13,0% 13,9%

Emilia-Romagna

13,5% 12,5% 11,6% 14,3% 15,9% 8,0% 12,1%

Toscana 13,6% 13,3% 9,1% 15,3% 14,4% 6,5% 12,1%

Lazio 14,5% 13,7% 11,4% 16,0% 15,2% 9,4% 12,3%

Campania 13,1% 10,3% 10,4% 12,6% 11,5% 10,7% 11,0%

Puglia 11,1% 9,8% 8,9% 13,4% 12,4% 9,1% 10,8%

Sicilia 11,2% 9,9% 8,1% 10,1% 11,4% 7,7% 9,3% Rating medio della partita

14,3% 12,7% 10,7% 13,8% 13,9% 9,3%

Fonte: Auditel. Elaborazioni: SportComLab dell’“Alma Mater”.

partite in cui è impegnato uno o più giocatori che nel campionato italiano militano nella squadra locale.

Argentina (ARG): Milito, Samuel (Inter), Burdisso (Roma); Pastore (Palermo); Andujar (Catania).

Brasile (BRA): Felipe Melo (Juventus); Julio Cesar, Maicon, Lucio (Inter); Thiago Silva (Milan); Doni, Juan, Julio Baptista (Roma).

Camerun (COR): Eto’o (Inter). Cile (CIL): Isla, Sanchez (Udinese). Danimarca (DAN): Poulsen (Juventus). Ghana (GHA): Asamoah (Udinese); Appiah (Bologna). Grecia (GRE): Papastathopoulos (Genoa), Moras (Bologna), Tziolis (Siena). Uruguay (URU): Muslera (Lazio); Cavani (Palermo).

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Osservazione conclusiva al capitolo: in attesa del «dì di festa» del calcio globale

Nel pubblico che segue i Mondiali di calcio 2002-2010 c’è più

Leopardi e tanto de Il sabato del villaggio, rispetto al «villaggio globale» di cui ha parlato Marshall McLuhan. Il quadro offerto dall’audience è estremamente frammentato. Nonostante tutto a resistere non sono tanto le partite e la copertura 24 ore su 24 dei tornei mondiali, ma la Nazionale azzurra, la quale resta il “principio-motore” delle scelte e delle aspettative del pubblico nostrano. Lo spettacolo, in definitiva, “deve ancora continuare”. Meglio se a fare

da protagonista è la Nazionale. Il problema è che, nell’ultimo lustro, la televisione è uscita di casa, anche se ha lasciato l’uscio ben aperto e si è “spalmata” in altre piattaforme [Grasso, Scaglioni 2010], affiancando il click allo zapping, la passione personale al momento collettivo. In qualche maniera la separatezza torna ad essere vicinanza, il distacco emotivo coesistenza empatica. D’attorno e oltre la partita e il Mondiale di calcio, come evento prelibato, alla consolidata anagrafe televisiva dell’uomo adulto di mezza età che semi sdraiato sul divano di casa lascia fuori il mondo, per novanta minuti o forse più, per far entrare il Mondiale: con una certa gradualità, strani fenomeni di genere e di età, quasi complementari, si appaiano.

Anche le donne hanno seguito in massa la finale vittoriosa dei Mondiali 2006, e i giovani, per qualche minuto, sono stati meno multitasking del solito; le periferie si sono riversate a festeggiare in centro e, almeno per un po’, non si è parlato di degrado, di barbarie, di vandalismi.

Il problema diviene qui opportunità. È sempre più evidente la frammentazione dell’audience, vuoi ludicamente attratta dalle possibilità più che dalle potenzialità dei media digitali, vuoi alla ricerca di luoghi di condivisione fisica, faccia a faccia, anziché di virtualità e di rappresentazione, tanto che cambia volto in occasione dei tempi supplementari di Francia-Italia.

Se è vero, come è vero, che il codice fondamentale dei media è la narrazione, l’analisi delle cadenze principali dello spettacolo sportivo offerto dal calcio vede e conferma una non occasionale presenza di dati interessanti.

Ai tempi supplementari e ai rigori, sia in Germania sia in Sudafrica, le donne si aggregano agli uomini nel vivere l’attimo pieno di adrenalina: l’“effetto giostra” dei calci di rigore attira e compatta l’audience. Salvo poi sgonfiarla o rinvigorirla, a seconda dell’esito calcistico.

Al fischio finale di Francia-Italia l’audience si butta in strada e, al leggendario carosello in bianco e nero degli anni ‘70, divenuto poi leggero

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e ottimista negli ‘80, si assiste ad una confluenza fra la visione privata e quella partecipata. Un continuum nella discontinuità e nello spezzettamento di brand televisivi della tv satellitare e di nuove modalità di fruizione digitale e convergente del calcio. Un terreno, dissodato a colpi di spot e d’icone globali dei campioni da vestire e svestire ad libitum, si riversa in afflati televisivi, fuori e dentro lo schermo. Sempre più cornice e, al tempo stesso, quadro plurale e pluralizzato. A maggior ragione il calcio globale, più che lo sport globale, non solo “fa notizia”, ma è esso stesso “fonte di notizie” e di attenzione verso grandi o piccoli protagonisti della globalizzazione comunicativa.

Il rito della visione collettiva in piazza è ricodificato in nuove forme, globalizzate e globalizzanti. A partire da Germania 2006 la Fifa organizza nelle principali capitali mondiali (nel 2010 sono state scelte Roma, Berlino, Parigi, Rio de Janeiro, Città del Messico e Sidney) il F ifa fan fest. Non più il maxischermo improvvisato montato dall'amministrazione comunale, ma una vera e propria piazza glocal allestita per l’occasione, un’arena la cui scena è composta dagli stand di sponsor multinazionali, in cui si può mangiare alla McDonald ma trovare pure prodotti locali e, nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo, familiarizzare con gli ultimi modelli di televisori Sony. Così, ad esempio, la terra gialla battuta di Piazza di Siena, che di solito si lega in un contrasto cromatico tutto particolare con il verde dei pini romani che la circondano, viene ricoperta da un manto artificiale che simula un campo da gioco, al fine di ricreare una sorta di asettico stadio virtuale unito in rete a formare, come recita il sito ufficiale della Fifa, «a global platform which unites the world». Sino a che la Nazionale faccia strada. Al contrario, si può procedere per emulazione e ammirazione di uno o più campioni che militano nella “squadra del cuore”.

I riflessi sull’audience sono ambivalenti. Da un lato, qualora si miri ad attivare le relazioni sociali nella network society, lo sport è utilizzato, in quanto luogo originario della scoperta di sociabilità e relazionalità, prima o a partire da una specifica connotazione culturale e politica; dall’altro si tramuta in sagra strapaesana che vive nella conversazione quotidiana e che amplifica, a dismisura, il senso dell’attesa. Spot su spot “martellano” la partita, anteprime, spezzoni, “com’eravamo” nostalgici, vite parallele fra i duellanti, testimoni, reduci, ex, persone semplicemente di passaggio –tutti costoro animano non l’insieme, ma, appunto, il frammento. L’unica possibilità di unione, momentanea e fragile, è l’happening visivo, sonoro, costruito sul duello d’individualità e non più di squadre. La stessa ragione aziendale dei grandi tornei internazionali, cioè le partite fortemente identitarie delle nazionali, cede il passo ad una scusa e ad una mera formalità per vedere sino a che punto Cristiano Ronaldo o Leo Messi, Wayne Rooney o Francesco Totti riusciranno a “reggere la parte” agli occhi della platea globale.

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Lo snodo problematico riguarda il processo di globalizzazione nella difficile definizione degli attori e delle agenzie nella società “post”-moderna, che tramuta le rivalità in duelli visibilissimi e replicabili all’infinito su YouTube e sugli smartphone, a misura di un «mi piace» sui social network.

«Mi piace»; «è bello»: sono le risposte attese che segnano il passaggio dal moderno al “post”-moderno. Anche la comunicazione dei grandi eventi sportivi sta trasformandosi, da formale tende all’informale e costituisce uno spazio di quotidianità e di reciprocità, per quanto mediata tecnologicamente dalla televisione che viaggerà anche sulla rete, ma è pur sempre televisione.

Il social networking è un “doppio” digitale, anche nel calcio globale ricco di occasioni per dialogare [Pasquali, Scifo, Vittadini 2010], a partire, né più né meno, da ciò che, come nella realtà, emerge in una vetrina un po’ meno luccicante del solito. Le ragioni del mondo cambiano la statura della scoperta delle culture che si sono già accomodate nel nostro salotto di casa, frutto della rappresentazione dei media. Più attenti alle icone che ai simboli, concentratissimi sull’unica festa nazionale sentita, discussa, vissuta: la partita della Nazionale. Al tempo stesso non sarà così disdicevole concentrarsi su Cavani o Ibrahimovic, Schneider o Julio Cesar, Cambiasso e altri campioni e campionissimi degli anticipi, posticipi, “spezzatini”. Così va il calcio glocale…