Comunicare con consapevolezza

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La comunicazione © Nicoletta Cinotti 2014 CARITAS DIOCESANA CHIAVARI FORMAZIONE VOLONTARI CENTRI D’ASCOLTO 1 CARITAS DIOCESANA

Transcript of Comunicare con consapevolezza

La comunicazione © Nicoletta Cinotti 2014!!CARITAS DIOCESANA CHIAVARI FORMAZIONE VOLONTARI CENTRI D’ASCOLTO

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LA COMUNICAZIONE. UN BISOGNO RECIPROCO!

Parlare e, in senso più ampio, comunicare è un elemento imprescindibile dell’essere umani. Questo non lo rende però né più facile né scevro di rischi. Molte relazioni naufragano attorno a modalità comunicative prive di sintonia o molte buone intenzioni si infrangono contro modalità inadeguate di comunicarle.!

Da questi rischi nessuno è protetto. Nemmeno chi, come me, si occupa di psicologia e psicoterapia. Perché comunicare richiede davvero un insieme di abilità specifiche che spesso diamo per scontate ma che non lo sono affatto.!Tutti noi abbiamo bisogno di essere visti, ascoltati, sapere di essere importanti per qualcuno, sapere che possiamo contare sul conforto degli altri nei momenti di difficoltà.!!Questo è un bisogno reciproco e condiviso con i nostri interlocutori. E’ un interesse condiviso, che scorre sotterraneo in tutte le nostre comunicazioni e relazioni. E’ simile all’intreccio delle radici degli alberi in una foresta. Apparentemente ogni albero è solo, staccato dagli altri, ma nel sotterraneo le loro radici si mescolano e confondono, si intrecciano e si sostengono reciprocamente.!!Questo desiderio di autenticità nelle relazioni è inseparabile dalla nostra capacità di ascoltare e di entrare in relazione con gli altri. La comunicazione, come le radici sotterranee di cui parlavo prima, è un territorio misto, intrecciato, spurio. Mille fili, mille legami che si intrecciano energicamente, in un sistema dinamico, da considerare tutt’altro che scontato.!

COMUNICARE SENZA ATTENZIONE (MINDLESSNESS)!

Se comunichiamo senza consapevolezza, o con una consapevolezza parziale, sopprimiamo questa complessità ma non per questo ci semplifichiamo le cose. Difendiamo il nostro territorio e attiviamo così reazioni difensive da parte del nostro interlocutore. La sfida è guardare a queste modalità comunicative abituali con simpatia e con una visione chiara degli effetti che producono. Lo scopo è riportare alla consapevolezza il nostro fondamentale bisogno di connessione con gli altri, esplorando come la cultura della paura in cui viviamo rischia di renderci anziché più sicuri, più esposti agli attacchi dei nostri interlocutori.!!Cresciamo in una cultura che sottolinea ripetutamente i rischi, come se questo fosse un modo per costruire sicurezza. Così facendo aumentiamo il nostro livello di paura, e, soprattutto, non ci vengono insegnati modi alternativi per crescere e comunicare efficacemente in una relazione.!!Usare la consapevolezza può sviluppare ed espandere un nuovo approccio, cominciando con noi stessi e poi estendendolo alle nostre relazioni. Un approccio che potremmo definire “noi” prima che “io”. Questo significa che in tutte le circostanze, anche quelle

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conflittuali – o soprattutto quelle conflittuali – cerchiamo di rimanere aperti mantenendo il rispetto per la persona con la quale stiamo comunicando. E’ importante sottolineare che questo non significa abbandonare o ignorare i nostri interessi personali. Apertura significa rimanere connessi con noi stessi tanto quanto rimaniamo connessi con gli altri. Non significa “cedere il passo” o “chinare la testa”. Significa piuttosto coltivare una apertura che nasca dalla consapevolezza delle radici interconnesse, significa diventare consapevoli di quando comunichiamo senza consapevolezza per interrompere le comunicazioni ” solo io” che alimentano il nostro senso di isolamento, inadeguatezza e dolore e passare alle comunicazioni “noi”. Significa passare dal vederci come alberi solitari per iniziare a guardare alla connessione delle nostre radici.!!

CREARE UN TERRITORIO FRANCO!

Quando siamo in un conflitto abbiamo bisogno di sapere che esistono delle zone “franche” dove non saremo attaccati e dove gli scambi possono avvenire più liberamente. La comunicazione consapevole offre questa esperienza. Ciò che impariamo in queste “zone franche” possiamo poi esportarlo nel nostro quotidiano, con la saggezza e la discriminazione che riterremo necessaria. Abbiamo bisogno di una transizione per farlo, una transizione che può essere sostenuta dalla nostra esperienza dei danni che una cattiva comunicazione produce nella nostra vita.!!I segnali comunicativi: fermarsi, procedere, aspettare!Circa due anni fa mi è successo un episodio interessante. Entrando in un piccolo negozio del centro, trovo una cliente prima di me con un cane al guinzaglio. Mentre aspetto io e il cane ci scambiamo uno sguardo. Amore a prima vista. Mi avvicino affettuosa, le faccio due carezze e attorno a me sento un clima di stupore e paura.!!La commessa smette di servire la padrona del cane e mi chiede di cosa ho bisogno. Le rispondo, vengo servita con efficienza e nel fondo mi rimane la curiosità per la sensazione che ho avvertito in precedenza nell’aria. Pago il mio conto e prima di uscire dal negozio, mi fermo per salutare di nuovo il mio amico cane. A quel punto s materializza la stessa sensazione: sto facendo qualcosa che gli altri giudicano pericolosa. Chiedo alla proprietaria la razza del cane. “Un rottwailer” mi risponde. Saluto e, uscendo, sento un brivido di paura che mi attraversa la schiena.!!Questo piccolo episodio mi ha insegnato molte cose: la prima, e la più importante dal punto di vista della comunicazione, è che il mio atteggiamento aperto e amorevole mi aveva permesso di avvicinarmi e di essere accolta da un animale che, se ne avessi riconosciuto la razza, avrei ritenuto pericoloso. La seconda è che un’etichetta – rottwailer – è sufficiente per aprire un pregiudizio e una reazione emotiva che non era presente fino a quel momento e per cambiare la posizione comunicativa da aperta a ritirata e paurosa.!!

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La nostra comunicazione funziona molto spesso così. Iniziamo un contatto comunicativo avendo già in mente una categoria che, inevitabilmente, influenza l’esito della nostra comunicazione. Quando invece riusciamo a porci al di là delle categorie, possiamo arrivare a luoghi che ritenevamo impensabili.!

ROSSO, GIALLO, VERDE!

L’esempio precedente mostra anche che non sempre siamo disponibili nello stesso modo a comunicare. Se fossi entrata frettolosamente nel negozio, o se non ci fossimo guardati negli occhi o se avessi avuto la testa persa in altri pensieri, forse non avrei nemmeno prestato attenzione alla presenza del cane.!!Quando le nostre barriere difensive sono alzate tendiamo a bloccare il flusso delle informazioni che provengono dal nostro ambiente, sostituendole con una delle storie già scritte dalla nostra esperienza precedente, dalle nostre paure, proiezioni e reazioni. Possiamo dire che questa situazione è simile a quella che incontriamo quando il semaforo è rosso. E’ una situazione in cui, piuttosto che andare avanti e comunicare, sarebbe più opportuno fermarsi, proprio come quando il semaforo è rosso. Certamente non è detto che se passiamo con il rosso faremo un incidente ma il rischio che si verifichi – e che avvenga per una nostra responsabilità – è molto alta. Quando siamo chiusi prevalgono dei modelli comunicativi basati sulla sfiducia e il controllo. Vediamo gli altri sulla base di un pregiudizio, come se fossero oggetti congelati che hanno importanza solo nella misura in cui soddisfano i nostri bisogni. Il problema, con questo tipo di comunicazioni, è che aumentano il nostro stress, e piuttosto che proteggerci dai problemi, li amplificano. In queste situazioni tendiamo ad ignorare l’impatto che le nostre parole hanno sui nostri interlocutori, e non notiamo quelle cose che rischiano di far peggiorare la situazione. In una parola, quando siamo in una posizione difensiva, ci tagliamo fuori dal flusso della comunicazione e della reciprocità.!!Quando ho iniziato a giocare con il cane il mio semaforo era verde: ossia ero in una situazione di apertura che permetteva il flusso reciproco della comunicazione. Io ero aperta, ma anche il cane lo era. Mi aveva – implicitamente – detto ” mi piaci, giochiamo insieme” e questo aveva aperto il dialogo. Non avevo deciso che era il momento di giocare ma avevo raccolto il mio desiderio, visto che corrispondeva allo stesso desiderio dall’altra parte, e iniziato a comunicare. Questo aspetto di necessaria reciprocità spesso è quello che manca da molte comunicazioni. Decidiamo di comunicare perché ci sentiamo in buona disposizione ma non verifichiamo qual è la disposizione del nostro interlocutore. Avevamo scambiato un segnale non verbale di accettazione reciproca che aveva messo entrambe – era una femmina – nella disposizione giusta.!!Quando siamo aperti, non solo possiamo comunicare, ma siamo in grado di ascoltare noi, l’ambiente che ci circonda e le altre persone. Questa qualità di apertura si accompagna a tre elementi: a) Il risveglio del corpo e della nostra abilità di consapevolezza corporea: b)

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una tenerezza del cuore che ci permette di cogliere ed empatizzare con i segnali dell’altro; c) una mente aperta, onesta e curiosa.!Il semaforo può essere una buona metafora su come funziona la comunicazione. La luce rossa indica quei momenti in cui siamo difesi – o il nostro interlocutore è difeso – ed è caratterizzata da una situazione di blocco del flusso della comunicazione. Sono momenti in cui è meglio rimandare le comunicazioni importanti perché rischiamo di aprire un conflitto, anziché un buono scambio.!!Ci sono poi momenti in cui il semaforo è verde, siamo aperti, lo è anche il nostro interlocutore e possiamo osare anche oltre quello che facciamo di solito. Sono momenti in cui una mente aperta, un cuore tenero e un corpo presente e consapevole ci permettono di procedere bene nel flusso comunicativo.!!Cosa possiamo fare quando la luce è gialla? Se osserviamo il comportamento di molti automobilisti al semaforo, possiamo vedere che le risposte al giallo possono essere diametralmente opposte: c’è chi accelera e chi si ferma. Sotto la superficie di questa reazione ci sono molte informazioni diverse. Alcune ambientali – da quanto tempo è scattato il giallo, per esempio – alcune caratteriali e altre personali. Ci sono persone che identificano il giallo con un segnale di stop e altre che lo identificano con l’invito a fare presto per passare comunque. Queste sono reazioni emotive legate al nostro carattere, alla nostra storia e alle nostre esperienze. In una parola tutti noi, comunicando, ci troviamo in situazioni di ambiguità e come siamo in grado di affrontare questa ambiguità è davvero rilevante rispetto alla nostra salute personale e relazionale.!!Sono le comunicazioni che avvengono in condizioni di ambiguità quelle che hanno più bisogno della nostra consapevolezza,perché spesso rivelano degli schemi abituali di risposta, automatici e non sempre costruttivi. Prestare attenzione a questi schemi, senza giudicarli, aumenta la nostra abilità comunicativa. Molto spesso siamo capaci di capire quando la luce è rossa – e quindi aspettare – di muoverci quando la luce è verde – e quindi procedere – ma entriamo nel caos di fronte alle comunicazioni ambigue, incerte. La consapevolezza ci insegna come rimanere stabili quando veniamo feriti o rimaniamo delusi. E ci offre la possibilità di non peggiorare la situazione durante questi periodi di incertezza.!

LA CRISI DELL’INCERTEZZA!

La luce gialla, che simbolicamente rappresenta l’incertezza, è una indicazione per rallentare e guardare con maggiore attenzione quello che sta accadendo. Accelerare ci fa perdere troppe informazioni e rischia di farci passare troppo velocemente dall’incertezza ad una posizione difensiva, contraddistinta dal rosso.!!Molto spesso le situazioni di incertezza sono accompagnate da un sentimento di sorpresa, imbarazzo, disappunto oppure delusione. Spesso si accompagnano con un pò di vergogna

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e umiliazione perché ci aspettavamo accettazione e ci sembra di aver ricevuto un rifiuto. A volte un piccolo atto di gentilezza può creare una pausa che permette di comprendere meglio “cosa bolle in pentola”.!!La lista degli atti di gentilezza può essere infinita ma è chiaro che devono avere un senso in quella specifica relazione. Ringraziare per qualcosa di piccolo che abbiamo ricevuto da quella persona, esprimere gratitudine per qualcosa che sta avvenendo nella nostra relazione e vedere cosa accade nell’altro, ci può far comprendere se stiamo virando verso una situazione difensiva o verso una apertura.!!Se siamo propri armati di buona volontà possiamo spingerci addirittura verso un atto di empatia, che ci permetta di comprendere come sta l’altro e dare una frase di sostegno per le difficoltà che magari sta affrontando in quel momento della sua vita o della sua giornata. Dire semplicemente ” forse non è il momento giusto…” permette all’altro di prendere tempo oppure di ridefinire la sua intenzione di comunicare con noi in senso positivo.!“Io prima” o “noi prima”?!!Molte delle nostre comunicazioni difficili prendono spunto da un profondo senso interno di esclusione ed isolamento. Una sensazione che è prodotta dal protrarsi dei nostri atteggiamenti difensivi. Raramente pensiamo che le nostre difese, proprio per svolgere la loro funzione, devono anche isolarci dall’ambiente. Se rimaniamo troppo a lungo in una posizione difensiva iniziamo ad avvertire una sensazione di soffocamento o isolamento che, basta poco, per diventare non tollerabile. Il poco è un rifiuto comunicativo – vero o presunto – come avviene in situazioni di incertezza.!!Questo isolamento ci rende emozionalmente affamati e alla ricerca di qualcuno o qualcosa che ci “tolga la fame”. Ci comportiamo mettendo noi stessi prima di ogni altra cosa, anche dal punto di vista comunicativo. Il nostro interesse principale diventa il nostro bisogno, la nostra fame, e manchiamo di notare l’impatto delle nostre parole sugli altri e l’impatto peggiorativo di certe azioni. Quando diventiamo difensivi chiudiamo anche le nostre naturali capacità di comunicazione.!!Questo approccio, che potremmo definire “io-prima di tutto”, ci difende come se fossimo individui isolati, tagliandoci fuori dal mondo circostante, anche se razionalmente siamo convinti di difendere solo, e legittimamente, i nostri interessi. In realtà in questi casi abbiamo 3 preoccupazioni dominanti: ottenere soddisfazione per i nostri bisogni, rifiutare o punire chi ci minaccia, e ignorare i segnali provenienti dall’esterno. La percezione di noi che si accompagna a questo processo è quella di essere una solida roccia nel mezzo di un fiume che scorre veloce. Con il terrore di essere trascinati via e una sensazione crescente di isolamento e pericolo.!!Questo paradigma di risposta necessita una modifica che può avvenire grazie al passaggio ad una modalità “noi prima di tutto”.!

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!Il primo cambiamento che comporta questo passaggio di paradigma è quello di aprire, anziché chiudere, identificandoci con la relazione anziché con il nostro individualismo, cercando una soluzione che comporti la “vittoria” di entrambi, anziché solo la nostra.!!Quando ci rendiamo conto dell’interdipendenza che regola la nostra vita, incominciamo a considerare un pazzia le strategie che promuovono noi a discapito degli altri.Se stiamo per “scagliare un’arma letale” nella nostra comunicazione proviamo a domandarci, “Voglio davvero causare un danno permanente a questa relazione?”!!Le nostre relazioni sono costruite come le corde che si usano sulla barche: tanti fili intrecciati che sono uniti insieme e che insieme formano la robustezza della nostra corda. Questi fili nascono dalla nostra storia relazionale: più abbiamo avuto momenti di reciproco piacere e benessere, più la nostra corda è solida, resistente e bene intrecciata. Ovviamente sono fili di diversa natura, a seconda della natura della relazione, ma la struttura finale è sempre quella: un legame con una solidità che è collegata alla storia passata.!!Certe liti, certe “armi letali” scagliate nella comunicazione rompono i fili che costruiscono la corda del nostro legame e, ad un certo punto, senza che lo vogliamo o ce ne rendiamo conto, arriva la rottura, come nella foto a fianco. Non è detto che sia la lite peggiore. Solo che le precedenti avevano rotto, volta dopo volta, i molti fili che la formavano. E una volta che la corda è rotta non è detto che sia possibile ripararla.!!“I problemi, diceva Einstein, non possono essere risolti allo stesso livello in cui sono stati creati”. Martin Buber, Carl Rogers, hanno parlato proprio dell’importanza di cambiare livello nella ricerca delle soluzioni. Se il problema è stato creato per un’eccessivo individualismo, abbiamo bisogno di identificarci con i bisogni della relazione, piuttosto che con i nostri esclusivi bisogni personali. Buber diceva che l’individualismo de-umanizza la relazione, trasformando le persone in oggetti da manipolare per il nostro interesse. Questo può anche funzionare qualche volta, ma che segno lascia nei nostri rapporti e nella prospettiva della relazione? Quando ci disconnettiamo riduciamo tutto ad un oggetto, tagliandoci fuori e costruendo un sistema di pensiero basato sulla paura.!!Fermarsi (luce rossa), procedere(luce verde), aspettare(luce gialla) possono diventare uno slogan per la nostra comunicazione. L’attesa rappresentata dalla luce gialla non è un’attesa passiva ma, in realtà è l’apertura – attraverso la consapevolezza – che ci aiuta a focalizzarci sui bisogni della relazione anziché sui nostri bisogni personali, permettendo all’esplorazione e al riconoscimento degli elementi emotivi sottostanti alla nostra e altrui posizione , di incontrare ascolto, accoglienza e spazio. Comprendere questo processo è la prima chiave per una comunicazione consapevole, che significa, prima di tutto, anziché forzarsi a fare qualcosa di diverso, comprendere cosa sta avvenendo, riconoscere le risorse e le abilità che già possediamo e procedere, gentilmente, a richiamare quelle parti di noi che sono state rifiutate. Includerle ci permetterà, progressivamente, di includere anche gli

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altri, passando così dall’identificazione esclusiva con i propri bisogni, all’identificazione con i bisogni relazionali.!!UN ESERCIZIO!!Quali sono le persone che ti hanno insegnato a comunicare bene nella tua vita? Come potresti riassumere con un titolo quello che ti hanno insegnato?!!Svegliare il corpo, ammorbidire il cuore, aprire la mente!!Il punto di partenza per un ascolto sincero degli altri, parte dall’ascolto di noi stessi, nel presente, nel corpo, nelle emozioni e nella mente. La consapevolezza è un mezzo importante per essere in grado di farlo perché offre uno strumento per prestare attenzione al flusso dei pensieri piuttosto che finirne catturati. Le nostre parole infatti sono un’espressione dei nostri pensieri e si nutrono reciprocamente: fare una pausa per diventare consapevoli di quello che costituisce il nostro panorama mentale ci permette di iniziare a comunicare con una visione chiara dei limiti e degli obiettivi comunicativi. Invece che iniziare delle proiezioni sul futuro o delle rimuginazioni sul passato, possiamo semplicemente sederci e abitare il momento presente, sintonizzandoci con il flusso del nostro sistema naturale di comunicazione.!!I nostri sistemi comunicativi operano dal livello della consapevolezza, dove si verifica l’esperienza iniziale. Per ricevere le informazioni a questo livello abbiamo bisogno di procedere attraverso 3 elementi: riprendere il contatto con il corpo; fidarci delle nostre emozioni; avere una mente aperta e flessibile.!!

RICONNETTERSI AL CORPO!

Molto spesso usiamo il nostro corpo senza esserne veramente consapevoli. Siamo un corpo – come dice Lowen e invece ci comportiamo come se fosse un nostro possedimento, una macchina che deve funzionare con regolarità. Per questo è importante iniziare dalla nostra postura. C’è un proverbio che dice che dovremmo avere una schiena solida e una parte anteriore morbida. “Strong back, soft front” :cosa significa? Significa che abbiamo bisogno di saper tenere la nostra posizione – una schiena solida – ma anche di essere aperti agli altri e comunicativi. Purtroppo molto spesso facciamo l’inverso. Teniamo una posizione di chiusura nei confronti degli altri per nascondere una sostanziale difficoltà a tenere la propria posizione.!!Il nostro sistema è un sistema corpo-emozioni-mente, che necessita di un passaggio comunicativo fluido, in modo da poter caricare e scaricare le tensioni mantenendo la sostanziale capacità di comunicazione. Per fare questo lo stato di rilassamento – inteso come flessibilità fisica – è fondamentale. Sappiamo infatti che uno degli effetti del

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prolungarsi della tensione è proprio quello di ridurre l’ampiezza percettiva consolidando modalità ripetitive di risposta. Essere rilassati non significa però entare in uno stato di torpore: è piuttosto una delle condizioni di un giusto grado di presenza.!!

RICONNETTERSI ALLE EMOZIONI!

Come sappiamo dall’esperienza reichiana e bioenergetica, tagliare il respiro è un modo per diminuire la percezione delle emozioni. Riportare la consapevolezza al nostro ritmo del respiro, così com’è ci permette di riportare, gentilmente, l’attenzione all’emergere delle sensazioni fisiche e delle sensazioni emotive ad esse connesse.!!Spesso le emozioni che non vengono chiaramente percepite strutturano il flusso dei nostri pensieri. Molti dei nostri pensieri non esprimono infatti idee ma piuttosto danno ragioni alle emozioni che percepiamo e che rimangono nascoste nelle pieghe della nostra inconsapevolezza.!!

NON SBARAZZIAMOCI DEI PENSIERI!

Spesso i nostri pensieri sono raccolti in 5 categorie: pensieri che anticipano il futuro, rimuginano sul passato, dialoghi immaginari, pensieri connessi a sensazioni fisiche o pensieri di fuga. Possono essere sia piacevoli che spiacevoli che neutri. La vera differenza sta nella nostra personale capacità di osservarli o di farci trascinare, lasciando che siano loro a dare la direzione alle nostre azioni.!!Con la consapevolezza apriamo una pausa che ci permetta di osservare ciò che sta accadendo, nel momento in cui accade, senza esserne trascinati o rimanerne invischiati. La distrazione o la smemoratezza avvengono proprio per questo: siamo in contatto con i pensieri ma non con ciò che stiamo facendo e questo produce un gap, uno scalino, tra noi e la realtà delle cose. Imparare a ritornare all’oggetto attuale della nostra attenzione riduce questo gap e ci riconnette con la freschezza del presente. Una volta che abbiamo imparato ad educare la nostra attenzione alla focalizzazione e alla consapevolezza, possiamo usare queste abilità durante le nostre comunicazioni. E’ come se vedessimo le cose attraverso un grandangolo: invece che rimanere focalizzati sui nostri dialoghi interiori, iniziamo a notare i nostri schemi di pensiero. Non ci sbarazziamo dei pensieri ma li notiamo, magari nominando il tipo di pensiero che attraversa la nostra mente, come abbiamo definito poco sopra, attraverso queste 5 categorie.!!!!!

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STABILIRE UNA RELAZIONE CON L’IRREQUIETEZZA!

Molte delle nostre comunicazioni falliscono trascinate dal vortice dell’irrequietezza, dal desiderio di arrivare ad un risultato definito in tempi rapidi. In genere consideriamo l’irrequietezza un fastidio o qualcosa che ci spinge al movimento. In questo caso cerchiamo invece di stabilire una relazione con la nostra irrequietezza, per connetterci alla nostra salute e bontà, attraverso il contatto con la nostra confusione, incertezza e difficoltà di non sapere cosa fare. Facciamo semplicemente spazio a quelle parti della nostra esperienza che abbiamo rifiutato. L’irrequietezza è solo un segnale della nostra tendenza ad essere assorbiti in se stessi; una tendenza rafforzata dalla nostra difficoltà a riconoscere i segnali di stress. La consapevolezza ci permette di mettere in contatto le sensazioni fisiche, emotive e i pensieri e, a partire da questo ascolto di noi, come aprirci all’ascolto nei confronti degli altri.!!

LE INTERRUZIONI POSITIVE!

Proprio perché il rischio è quello di essere trascinati dal flusso dei pensieri – e dal flusso delle nostre comunicazioni – uno degli strumenti che possiamo utilizzare è fare delle interruzioni costruttive, delle interruzioni positive. E’ un modo per aprire uno spiraglio di consapevolezza, sparso qua e là, per tornare alla consapevolezza del momento presente.!!Questo permette al silenzio di interrompere deliberatamente le nostre conversazioni e attività, ci riporta al corpo, a quello che stiamo effettivamente provando nel momento presente, lasciando che la nostra certezza di “avere ragione” entri in dialogo con la possibilità che il punto di vista altrui sia altrettanto interessante. Questa pausa ci permette di riconnetterci con l’obiettivo della nostra comunicazione, separando le parole con spazi di consapevolezza, e di ascolto, di noi stessi e degli altri.!!Il silenzio protegge la nostra consapevolezza, riportando l’attenzione al momento presente, all’ambiente che ci circonda e ci permette di sintonizzarci in quel flusso che sta al di sotto della nostra comunicazione verbale e che qualifica la vera struttura della nostra comunicazione. Il silenzio permette inoltre al corpo di far sentire il proprio messaggio comunicativo. Un messaggio che troppo spesso rimane nascosto o coperto.!!In questa pausa possiamo poi trovare l’empatia che ci mette in relazione con il nostro interlocutore e il suo punto di vista.!!

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LO SPAZIO MISTO!

!I passi precedenti migliorano la nostra sensibilità e ci permettono di riconoscere con maggiore facilità quel “territorio misto” dove non esiste più una precisa demarcazione tra “io” e “te”. Spesso nella comunicazione la preoccupazione per le proprie ragioni è tanto forte da produrre una separazione troppo evidente tra noi e gli altri. Per questa ragione è importante imparare a leggere il campo emotivo che ci circonda. In questo caso potremmo dire che facciamo “interruzioni altruistiche” che ci permettano di prenderci cura anche delle ragioni degli altri.!!Iniziando a comunicare con consapevolezza ci rendiamo conto di quanti drammi sono creati dalle narrazioni che popolano la nostra mente. A volte queste narrazioni premono per una realizzazione proprio tramite le nostre comunicazioni. Portiamo un discorso fino a realizzare il dramma che avevamo costruito e rischiamo così di essere proprio noi i veri responsabili di questo dramma.!

Un esercizio!

Prova a riportare alla mente una serie di situazioni in cui la tua comunicazione è stata guidata dalla storia che ti eri costruita al riguardo. Qual è stato l’esito di queste comunicazioni?!!Prova adesso a ricordare situazioni comunicative in cui sei stato empatico con il tuo interlocutore. Davvero non hai realizzato qualche buon esito anche per te?!

IMPARARE AD INTERROMPERSI!

Imparare ad interrompersi per considerare la direzione che la comunicazione sta prendendo è centrale, anche per lavorare sulla rigidità delle nostre idee- Se ci rendiamo conto che tutto ciò che ci accade rientra in una o due categorie di spiegazioni, potremmo cominciare a pensare che forse le cose funzionano così perché abbiamo delle idee rigide, più che perché le cose stanno davvero in questo modo. La complessità della vita è troppo ampia perché tutto sia spiegabile con le nostre versioni ripetitive. Interromperci può darci la possibilità di raccogliere nuove informazioni dal presente e può aprirci alla possibilità che la nostra lettura della situazione sia viziata dalle nostre esperienze precedenti. Se proviamo ad abbandonare le nostre posizioni difensive possiamo anche accorgerci che la qualità delle relazioni viene rivitalizzata.!!In qualche modo inseriamo la possibilità del fallimento – inteso come cambiamento delle proprie idee e convinzioni – come opportunità comunicativa. Molte comunicazioni falliscono proprio perchè uno degli interlocutori non può esimersi da “avere ragione” ossia dal trovare la propria posizione confermata dall’altro.!

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!Riassumendo possiamo operare delle interruzioni positive durante la comunicazione a partire da 4 oggetti di attenzione:!!1. Possiamo aprire spazi al silenzio, inteso come parte della comunicazione e non come interruzione!!2. Possiamo tornare al corpo e alle sensazioni fisiche per cogliere i segnali di tensione, stress o agio!!3. Possiamo fare pausa per lasciare emergere empatia nei confronti del nostro interlocutore, indirettamente o chiedendogli direttamente di spiegare meglio il suo punto di vista!!4. Possiamo fare pausa per cambiare qualcuna delle nostre idee fisse, dei nostri significati pre-costituiti!

Un esercizio!

Prova a tenere un diario di quando fai una delle precedenti interruzioni per valuare il loro effetto e quali sono le difficoltà che incontri nel farle.!!Prova a lasciar andare la tua posizione nel mezzo di un conflitto e osserva cosa accade dentro e fuori di te.!

LA GUARIGIONE NELLA COMUNICAZIONE!

Qualsiasi sia la pratica che useremo, il fatto che si verifichi una guarigione nelle nostre comunicazione testimonia che ci siamo riconnessi con l’altra persona. Il primo effetto della guarigione comunicativa è, infatti, a livello della relazione. Una volta imparato a riconoscere il segnale di verde, ossia il momento adatto per comunicare, potremo smettere di identificarci con la falsa protezione costruita dalle nostre difese e guadagnare il coraggio per esplorare i nostri dubbi e la nostra paura.!!In questo processo cambiamo prospettiva. Passiamo da una prospettiva che mette se stessi prima di tutto, ad una prospettiva che ci inserisce nell’ampio panorama delle relazioni.!!Incoraggiare lo spazio dell’ascolto!Una delle più importanti lezioni per me, nella comunicazione, è stato rendermi conto del potere distruttivo della svalutazione.!!

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Vengo da una cultura della competizione e della svalutazione, tipica delle persone della mia generazione. Nella convinzione comune sono due modi per stimolare e motivare verso il cambiamento e il miglioramento. Spesso la svalutazione si basa su quelle che io chiamo delle “certezze tossiche” che servono per mascherare la nostra vulnerabilità e insicurezza, costruendo un sistema di credenze su cui poggiare una superiorità illusoria.!!

LA PORTA DELL’ERRORE!

Una delle ragioni per cui ricorriamo con facilità alla svalutazione è il nostro modo di gestire gli errori e i limiti, personali e collettivi. Il fatto di incorrere in un errore, infatti, non viene visto come una possibilità dell’apprendimento ma come una minaccia all’integrità e alle possibilità future. Rimproverare aggiunge però aggiunge pena al disagio dell’errore e spesso è fatto senza sottolineare le potenzialità insite nell’apprendimento che deriva da quella esperienza.!!Essere consapevoli dei nostri limiti, è più utile che essere consapevole di migliaia di limiti altrui. Piuttosto che parlare male delle persone in modo da produrre tensione o inquietudine, cerchiamo di praticare la ricerca della percezione più pura di loro e quando parliamo degli altri, parliamo delle loro buone qualità”.!!Questa tendenza alla svalutazione degli altri per sentirci più sicuri non è proprietà di pochi. Purtroppo è una pratica tanto diffusa da sembrare endemica ed è necessario avere l’umiltà di riconoscere con quanta facilità possiamo scivolarci dentro. Una tendenza che possiamo contenere grazie alla nostra capacità di praticare pausa o la pratica delle interruzioni positive di cui abbiamo parlato la settimana scorsa.!Focalizzarci sulla ricerca di quella qualità positiva trasforma anche le comunicazioni più critiche in qualcosa di prezioso.!!

COSA STA SOTTO LA SVALUTAZIONE!

Svalutazioni e pettegolezzi sono molto frequenti nella nostra comunicazione e spesso sono mascherati dal confronto tra noi e gli altri, sia positivo che negativo.Un confronto che nasconde il messaggio “io sono meglio di te” oppure “Tu sei meglio di me ma io sono meglio della maggior parte delle persone”. Per riconoscere questo tipo di cattiva comunicazioni possiamo usare come criterio tutte quelle comunicazioni in cui dividiamo l‘io o il noi con altre categorie di persone.!!

ASCOLTO CONSAPEVOLE!

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L’attenzione a queste sfumature è direttamente proporzionale alla qualità del nostro ascolto. Comunicare infatti non è solo la capacità di esprimere adeguatamente quello che vogliamo dire ma è anche la capacità di esercitare un ascolto altrettanto consapevole. Consapevole, per esempio, dei segnali di stop di cui abbiamo parlato nella prima lezione.!!Facciamo qualche esempio: a volte non abbiamo un reale interesse per l’ascolto del nostro interlocutore altre volte c’è qualcosa - di personale o ambientale – che ci distrae. Infine, condizione molto frequente, stiamo ascoltando qualcos’altro – una nostra preoccupazione o un nostro pensiero relativo a quello che ci stanno dicendo e ci troviamo così in una situazione di attenzione divisa. In quest’ultimo caso è abbastanza frequente che ci troviamo in co-presenza con una “certezza tossica”. Ossia ascoltiamo ma!“sappiamo già come va a finire”. In questi tre esempi abbiamo una situazione di blocco comunicativo,ossia stiamo parlando ma non c’è davvero un flusso bidirezionale di informazioni.!!

LA FORZA DEL RIASSUNTO!

!Se vogliamo verificare com’è la qualità del nostro ascolto, interrompere ogni tanto il nostro interlocutore per riassumergli quello che ci ha detto fino a quel punto, può essere un’ottima idea. Possiamo così verificare in tempo reale se stiamo costruendo delle distorsioni comunicative oppure se siamo in grado di lasciare davvero spazio all’ascolto. Possiamo verificare – detto in parole semplici – se stiamo costruendo una reazione o una risposta.!

LO SCORAGGIAMENTO!

Quando le nostre comunicazioni sono bloccate in modalità ripetitive e disfunzionali di risposta il primo sintomo che emerge è lo scoraggiamento. Esplorarlo è davvero importante. Cosa succede, emotivamente e nei pensieri, quando ci sentiamo scoraggiati?!!Quando non ci sentiamo compresi o malinterpretati avviene una specie di crisi che trasforma il nostro interlocutore in un oggetto e non più in una persona. Spesso è il momento in cui cerchiamo di prevedere cosa accadrà dopo.!!Ed è il momento in cui affiorano i dubbi “Cosa faccio di sbagliato?”, “Cosa c’è in me che non va?”!!Sono domande inevitabili perché come ogni essere umano siamo orientati alla relazione con gli altri e una difficoltà comunicativa spesso colpisce proprio a livello del nostro senso di sé. Ecco perchè essere consapevoli di cosa accade quando siamo scoraggiati è così

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importante: previene il formarsi di modalità disfunzionali di comunicazione e previene il ripetersi dei “soliti films”.!!

UN BREVE SOMMARIO!

Possiamo riassumere brevemente quando detto finora prima di andare avanti (prova a farlo da solo e poi leggi come io riassumo in modo da verificare se hai fatto una buona lettura del testo).!!1. Riflettere come uno specchio ciò che l’altro ci dice, validando il fatto che l’abbiamo compreso (comprendere non significa essere d’accordo, ma aver colto il significato della comunicazione altrui).!!2. Evitare di usare svalutazione e pettegolezzo nella nostra comunicazione come strumenti di rassicurazione.!!3. Trovare la qualità positiva della comunicazione e rinforzarla esplicitamente.!!

INCORAGGIARE!

Se lo scoraggiamento è il segnale delle nostre “malattie comunicative”, imparare a trovare, ridefinire, validare, l’aspetto positivo nascosto in ogni comunicazione è davvero trovare una miniera d’oro. Questo per molte buonissime ragioni. La prima è che abbassa il sistema difensivo del nostro interlocutore, la seconda è che focalizza l’attenzione sull’aspetto dinamico – più aperto al cambiamento – del nostro dialogo. E infine, vantaggio di incalcolabile valore, non ci facciamo trascinare dagli aspetti negativi o svalutativi ma mettiamo un freno a queste caratteristiche che possono influenzarci negativamente. L’incoraggiamento, la capacità di riconoscere i segnali positivi, ci connette alla nostra sensibilità invece che alle nostre difese. Questo molto spesso abbassa le difese anche del nostro interlocutore, come abbiamo visto nell’esempio del cane nella prima lezione.!!

COSA CI SCORAGGIA!

La ragione per cui molto spesso riusciamo a fatica a cogliere l’aspetto comunicativo positivo è che entriamo in uno stato di scoraggiamento, attiviamo cioè un dialogo interiore che attribuisce un significato a ciò che sta avvenendo sulla base delle nostre storie comunicative interne. In genere c’è un interruttore per questo scoraggiamento ed è il presentarsi di un evento imprevisto che fa emergere la sensazione di errore, vulnerabilità, di perdita di fiducia in noi o nella situazione comunicativa.!

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!LE VOCI NEGATIVE!

!Iniziano a parlare le voci negative che ripetono predizioni nefaste su di noi ”non ce la posso fare”, “ecco, ci siamo di nuovo”, “non mi merito questo trattamento”, “chi pensi di essere”…e così via. Cambiare il dialogo interno diventa così necessario perché non possiamo introdurre cambiamenti, crescite o novità se non incontriamo con accoglienza queste parti rifiutate di noi. Abbiamo bisogno di recuperare la nostra saggezza naturale per rispondere appropriatamente alla situazione e non possiamo farlo se ci sentiamo feriti. Per farlo dobbiamo entrare nel tunnel del “leader negativo” che ci scoraggia e notarne la presenza quando perdiamo sicurezza. Queste certezze tossiche e le azioni del nostro leader negativo hanno una buona intenzione: proteggerci dalla paura e dal dolore. A volte lo fanno amplificando l’importanza delle regole, come se il loro rispetto fosse un obbligo per tutti e avesse lo scopo di evitare qualsiasi errore. Di fatto amplificano sia gli errori che la paura e il dolore. E non ci danno ciò di cui abbiamo bisogno: conforto!!

Un esercizio:il Conforto!

E’ il momento per il nostro primo esercizio, da fare quando le nostre certezze tossiche e il nostro leader negativo arrivano nella scena del dialogo interno.!!E’ il momento per essere un conforto per noi stessi, ossia per andare nella direzione positiva, anziché in quella negativa. Invece che farti trascinare dai pensieri che emergono per questa situazione dolorosa, prova a connetterti direttamente al dolore che provi. Vai alla sensazione fisica che produce nel corpo. Ascolta da lì il dialogo interiore. Credi davvero che hai fatto un errore terribile? O che l’altro abbia fatto un errore terribile? Prova a circondare quel dolore con la compassione. Prova a cercare la voce di un vero amico: prova a praticare “Addolcire, confortarsi, aprire”!!

LA NASCITA DEL DUBBIO!

Queste piccole crisi possono avvenire ogni giorno e producono l’emergere dei nostri dubbi, la perdita di fiducia in se stessi, ostacoli che hanno bisogno della cura dell’incoraggiamento. Ossia della nostra capacità di focalizzarci sugli aspetti positivi della situazione. C’è un proverbio che dice che è impossibile odiare qualcuno se si conosce la sua storia. A volte un antidoto alle nostre certezze tossiche può essere proprio essere curiosi di comprendere di più l’altro e la sua storia. Un ascolto profondo può sostituire la nostra autorità tossica in un leader più accettante e cambiare drasticamente la situazione.!!

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Un esercizio: la voce che incoraggia o scoraggia!

Crea una situazione accogliente in cui ascoltarti profondamente. Può essere il momento della tua pratica meditativa o puoi farlo dopo una breve sessione di lavoro corporeo per sciogliere le tensioni.!!Quali sono le certezze tossiche che ti scoraggiano? Da dove provengono? Come ti fanno sentire?!!Crea un dialogo tra queste voci tossiche e una prospettiva positiva.!!Descrivi quali qualità positive di te sono emerse nel farlo.!!

LA REGOLAZIONE EMOTIVA!

Una utile e interessante applicazione della comunicazione mindful è che ci offre uno strumento di regolazione emotiva. La regolazione delle emozioni si basa sulla consapevolezza e l’accoglienza dell’emozione presente nel panorama interiore.!Alcune emozioni producono apertura, altre chiusura e altre ancora sono ambivalenti e ci possono far dirigere in un senso o nell’altro. Se siamo consapevoli delle nostre emozioni possiamo sapere se siamo a rischio di una crisi di “certezza tossica” o se abbiamo bisogno di maggiore conforto, come nelle situazioni di ambivalenza.!

LE EMOZIONI DI APERTURA!

Le emozioni di apertura sono quelle emozioni che emergono quando siamo sintonici con la comunicazione emotiva nostra e del nostro interlocutore. Sono quindi emozioni appropriate alla relazione, che partono dalla considerazione relativa al noi piuttosto che al me o te, hanno una prevalente empatia, intelligenza ed energia che generosamente ci solleva dallo stress e dal dolore. Anche se possono essere dolorose non producono danno. Per fare un esempio, a volte l’emergere della rabbia è necessario per sbloccare una fase di stallo ma se è una emozione di apertura non produce danno o ferita. Ho fatto questo esempio perché non dobbiamo confondere le emozioni di apertura con le cosiddette emozioni positive. La loro qualità di apertura è data dalla consapevolezza delle necessità relazionali e dalla loro empatia con il punto di vista di entrambi, piuttosto che dall’identificazione solo con sentimenti positivi. E’ vero che i sentimenti positivi in questa situazione sono più presenti ma non è il punto centrale. Il punto centrale è che non creano ferite.!!!!

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GLI ELEMENTI CHIAVE DELLE EMOZIONI DI APERTURA!

!sono fluide e responsive rispetto al sistema comunicativo, c’è sincronia tra le sensazioni fisiche ed emotive;!sono forme di conoscenza, intelligenti e radicate nel presente;!rispondono prima di tutto ai bisogni della relazione;!ci danno informazioni importanti su cosa fare;!più le ascoltiamo più siamo in grado di muoverci nella situazione.!Le emozioni di chiusura!!Le emozioni di chiusura sono espressione dello scoraggiamento che accompagna la chiusura relazionale. Fanno emergere un leader ostile e bloccano la nostra capacità di raccogliere le informazioni del presente. Nascono dalla paura e ci proiettano nel futuro o nel passato, creando moltissima sofferenza che va oltre all’inevitabile dolore del quotidiano. Spesso alternano reazioni di svalutazione a reazioni di eccessiva importanza di sé e possiamo definirle risposte condizionate, infatti sorgono quando la comunicazione è chiusa. Ignorano la natura interdipendente della relazione. L’unica buona notizia è che sono facilmente riconoscibili.!

GLI ELEMENTI CHIAVE DELLE EMOZIONI DI CHIUSURA!

sono schemi rigidi creati dai pensieri e da scripts mentali;!corrispondono a tensione nel corpo;!sono focalizzati sul passato o sul futuro piuttosto che sul presente;!causano ferite emotive e nascono dalla nostra risposta interna, tanto che generano schemi relazionali in cui “vinciamo o perdiamo”, difficilmente troviamo soluzioni relazionali;!peggiorano le cose e spesso si accompagnano con desiderio compulsivo, odio, gelosia, svalutazione, depressione.!La vulnerabilità delle emozioni ambivalenti!!Normalmente cerchiamo di sopprimere il nostro senso di vulnerabilità perché lo identifichiamo con la sensazione che qualcosa in noi non vada bene. Per questo evitiamo di focalizzarci sulla nostra vulnerabilità e spesso entriamo in questa zona con una sensazione di disorientamento e di shock, come se improvvisamente ci mancasse la terra sotto i piedi…!!Sono sensazioni collegate al nostro passato e attivano sia i nostri sistemi d’allarme che i nostri sistemi difensivi. Potremmo definirli frammenti di paura a cui cerchiamo di rispondere con una soluzione esterna.!!Le caratteristiche tipiche delle emozioni ambivalenti sono praticamente l’opposto di quello che proviamo nelle situazioni di apertura:!

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!ci sentiamo tagliati fuori e rifiutiamo parti della nostra esperienza;!abbiamo sentimenti di svalutazione a volte coperti da un senso di eccessiva importanza;!la nostra capacità di amare diventa la paura di non essere amabili e la fame di essere amati;!abbiamo comportamenti impulsivi o compulsivi, entrambi basati sull’impotenza.!Gli elementi chiave dell’ambivalenza sono:!!abbiamo paura di fronte ad una situazione imprevista;!ci sentiamo vulnerabili e cerchiamo di scacciare questa sensazione;!emergono molti dubbi e veniamo catturati da aspettative irrealistiche;!possiamo sentirci insultati, umiliati, irritati, preoccupati, imbarazzati, vergognosi.!Creare un territorio sicuro!!Abbiamo ormai chiaro che le situazioni ambivalenti, le più frequenti, possono essere potenzialmente le più dannose e aumentare le nostre zone di chiusura. Per affrontarle abbiamo bisogno di creare un territorio franco dove ascoltare la nostra verità e quella altrui, un territorio dove abbassare le difese. Quando ci sentiamo feriti facilmente diventiamo rifiutanti ma incapaci di comprendere di cosa abbiamo bisogno davvero. Avere un territorio franco ci permette di rispondere ai nostri veri bisogni in queste situazioni difficili.!!Per farlo iniziamo dal corpo: di cosa abbiamo bisogno in questo momento? Anzichè bloccare l’energia attraverso le tensioni, cosa possiamo fare per scaricare la tensione e dare nuova energia? Abbiamo bisogno di muoverci un pò? O di praticare la camminata lenta? Di riconnetterci con il respiro praticando la pausa espiratoria della centering meditation?!!Poi possiamo fare pausa con il nostro interlocutore. A volte dichiarare che siamo in difficoltà con quello che ci sta dicendo, chiedendogli di ripeterlo con altre parole, ci può permettere di vedere un’altra prospettiva del problema. Ci può aiutare rispecchiare, magari riassumendolo, quello che abbiamo appena ascoltato.!!

Un esercizio di contemplazione!

Spesso abbiamo una difficoltà specifica quando ci vengono mosse delle critiche. Se siamo particolarmente vulnerabili su questo tema possiamo provare a praticare la seguente contemplazione:!!” Se una lode è vera non è importante perché non aggiunge nulla alle nostre qualità. Se è falsa non significa nulla ed è solo compiacenza.!!

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Se una critica è vera è utile usarla come apprendimento. Se non è vera è una proiezione dell’altra persona e prima la lasciamo andare meno portiamo un peso che non ci riguarda”.!Le emozioni difficili, quelle ambivalenti come quelle di chiusura, spesso producono una mente senza cuore e un cuore senza mente, ci rendono cioè o troppo razionali o troppo impulsivi.!

!Le comunicazioni senza cuore!!Molto spesso le comunicazioni diventano difficili quando le emozioni dell’ascoltatore, del parlante o di entrambi, non vengono rispettate. E’ proprio in quei momenti che avere consapevolezza per affrontare efficacemente la comunicazione risulta più importante.!In queste situazioni il bisogno di difenderci prevale sul bisogno di comunicare e lo scambio viene limitato, oppure chiuso, per permetterci di portare avanti la nostra difesa.!!Molto spesso però le modalità difensive aggiungono sofferenza al dolore e producono ulteriori possibilità di ferita innescando un circolo vizioso che porta a rompere le relazioni proprio sulla base di comunicazioni difficili. Dimenticando così che il nostro bisogno primario è quello di mantenere la connessione e la relazione, piuttosto che costruire barriere attorno al nostro spazio personale.!!Ma cosa avviene quando ci sentiamo feriti? E, soprattutto, come traspare nella nostra comunicazione? Come la influenza e quali strade possiamo avere per trovare una diversa modalità di comunicazione?!!

LO SCHEMA DIFENSIVO DELLA COMUNICAZIONE!

Quando ci difendiamo, perché abbiamo ricevuto – o subìto – una comunicazione per noi difficile, attiviamo 4 modalità comunicative che hanno un effetto sulla qualità del nostro scambio sia relazionale che comunicativo.!!La prima è che attiviamo una modalità di biasimo ( non mi merito questo); la seconda è che iniziamo a dividere (guarda cosa mi stai facendo) lo spazio tra noi e l’altro; la terza è che iniziamo a proiettare ( è tutta colpa tua) sull’altro una delle nostre “storie”, una delle nostre “certezze tossiche”; e, infine, iniziamo uno schema di vendetta ( se pensi di passarla liscia ti sbagli).!!Proviamo a vederle nel dettaglio.!!

IL BIASIMO!

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!Il biasimo ha la funzione di coprire il dolore che abbiamo appena provato. E’ avvenuto qualcosa che ci ha ferito e invece che accogliere il nostro dolore con la compassione, con l’attenta esplorazione e la cura che merita, la paura, che proviamo sempre quando sperimentiamo un dolore ,sposta la nostra attenzione verso la difesa. Spesso ci diciamo che non meritiamo quello che sta succedendo e smettiamo di ascoltare quello che avviene nella comunicazione.!!In questa fase perdiamo il contatto con i sentimenti di tenerezza e affetto nei confronti di noi stessi.!!Entriamo in una zona rossa della comunicazione. La prima cosa che dovremmo fare è fermarci e accogliere, anziché biasimare, quello che è appena avvenuto. Proprio perché è già avvenuto nessuno dei nostri tentativi di mandarlo via è destinato a funzionare. Possiamo biasimare gli altri quanto vogliamo ma il problema rimane e biasimando non ci permettiamo di conoscere la vera dimensione della difficoltà. A volte in queste situazioni iniziamo una comunicazione triangolare. Ossia parliamo con una terza persona di ciò che è accaduto cercando di convincerla dell’ingiustizia che abbiamo subito e costruendo una configurazione triangolare che complica ulteriormente la situazione.!!

Un esercizio!

Pensa ad una situazione in cui hai provato irritazione e descrivi quella esperienza, cercando di tenerla presente nel panorama interiore anziché di mandarla via.!!E’ davvero una sofferenza impossibile?!!Come puoi portare compassione e accoglienza verso il tuo dolore?!!Se accogli il tuo dolore, come cambia la prospettiva da cui guardi a questa esperienza?!!

LA DIVISIONE!

Il passaggio successivo rispetto al biasimo è quello di dividere noi stessi dal nostro interlocutore. Iniziamo a definire le nostre qualità in contrapposizione alle sue e spesso passiamo a delle generalizzazioni contraddistinte dalle parole “mai”, oppure “sempre”. Questa è la fase in cui iniziamo a perdere il contatto con i sentimenti di tenerezza e affetto nei confronti dell’altro che diventa solo un oggetto che ci ha “tagliato”, “ferito”, “contuso”.!!

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Inoltre iniziamo a costruire una barriera tra noi e l’altro che inizia a ledere il senso di connessione relazionale. A volte la reazione è così forte che possiamo tagliare la connessione anche con le persone che riteniamo vicine al nostro aggressore, anche se non sono state direttamente coinvolte nell’episodio e anche se non lo conoscono nemmeno.!!In questa fase è essenziale prevenire il formarsi di questa barriera, che con il tempo rischia di essere difficilmente eliminabile. Lo possiamo fare iniziando a “mischiare le cose”. Per esempio possiamo iniziare ad includere anche episodi positivi che abbiamo avuto con quella persona, oppure aspetti positivi della sua personalità. Può esserci d’aiuto ricordare situazioni in cui anche noi ci siamo comportati così. Gli errori infatti non sono un patrimonio esclusivo dei nostri “nemici” ma piuttosto un evento comune delle nostre giornate. essere consapevoli durante una comunicazione significa aprirsi alla possibilità di imparare qualcosa da qualsiasi evento ci accade, piacevole, spiacevole o neutro.!!

Un esercizio!

Per farlo può essere utile prendersi un breve spazio di pratica silenziosa portando l’attenzione al respiro e alle sensazioni del corpo, osservando i pensieri senza farsi trascinare dalla loro forza seduttiva.!!Può anche essere utile imparare a fare un labelling dei nostri pensieri. I nostri pensieri infatti rientrano spesso in una di queste 5 categorie: pensieri sul futuro, pensieri sul passato, pensieri di fuga, pensieri legati alle sensazioni fisiche o pensieri legati a conversazioni immaginarie. Osservare lo scorrere dei pensieri, senza entrare nel contenuto, ripetendo mentalmente una delle cinque categorie a cui appartengono può darci molte informazioni su come stiamo organizzando la nostra storia proiettiva.!!Può aiutarci seguire la meditazione su Corpo, respiro, suoni e pensieri nella pagina Audio.!!

LA PROIEZIONE!

La comunicazione senza cuore – ossia la perdita di sentimenti teneri nei confronti di noi stessi e dell’altro conseguente ad una ferita comunicativa – ci porta direttamente alla nostra personale esperienza di rifiuto. Per quanto la nostra vita possa essere stata buona, è difficile non aver mai incontrato una esperienza di rifiuto. La difficoltà comunicativa riaccende quel doloroso serbatoio della nostra storia personale e mette in scena uno dei films che sono a disposizione. A questo punto non è più molto rilevante cosa è accaduto davvero nell’interazione presente, perché il passato prende tutto lo spazio e il nostro interlocutore rischia di essere ormai il “nemico numero 1ʺ″ del film in programmazione.!!

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Diventa essenziale quindi riportarci al presente. Forse l’esercizio precedente ci ha aiutato a riconoscere quanti pensieri legati al passato si stanno attivando dentro di noi. Il passaggio successivo, quella della vendetta, ci porterà direttamente a pensieri legati al futuro. Un altra buona ragione per prendere uno spazio e dimorare nel presente.!!

Un esercizio!

Proviamo a portare l’attenzione alle sensazioni fisiche presenti in questo momento, rispetto all’episodio appena avvenuto.!!Quali sono le sensazioni fisiche?Descrivile attentamente con delle parole. Quale interpretazione dai a queste sensazioni? Quali sono le emozioni che suscitano le sensazioni fisiche e quali sono le emozioni che suscita l’interpretazione?!!Quale giustificazione ti dai per passare alla fase della vendetta?!!Puoi sentire la tristezza e il dispiacere per ciò che è avvenuto? Puoi ammorbidire il cuore?!!Prova ad aprire la mente e ad esplorare la cosa da una diversa prospettiva.!!

LA VENDETTA!

“Questo è certo: un uomo che alimenta la vendetta tiene fresche le sue ferite, che, altrimenti, guarirebbero e lo cambierebbero” Sir Francis Bacon!!L’aggressione più distruttiva è quella che facciamo quando ci diamo il permesso di punire qualcuno per il dolore che abbiamo provato. Ci dimentichiamo dell’effetto domino prodotto dalla vendetta e ci dimentichiamo che il nostro interlocutore è, come noi, un essere umano, e non un oggetto senza cuore. Soffrirà per la nostra vendetta e, se ci assomiglia, porterà avanti la sua vendetta.!!Ci sono pochi antidoti per la vendetta: forse uno solo. Una parola difficile da pensare e ancora più difficile da scrivere o pronunciare. Perdono.!!Per molte ragioni siamo abituati a iperreagire ai fallimenti umani considerandoli inaccettabili, imperdonabili e fondamentalmente negativi. Portare compassione ai nostri scripts interiori relativi a “buono”, “cattivo” ci permette di accedere ad una strada di perdono che passa dall’accettare i nostri limiti e i nostri stessi errori.!!

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Quando accettiamo le parti di noi che consideriamo imperdonabili, possiamo anche accettare la piccola ingiustizia subita nel presente considerando il beneficio che ne può derivare.!!“C’è un tipo di pace che non è solo l’assenza di conflitto. E’ più vasta di questo…La pace a cui sto pensando è la pace che nasce quando una mente aperta incontra un’altra mente ugualmente aperta”. Toni Morrison!Per interrompere i nostri schemi di vendetta abbiamo bisogno di percorrere in modo diverso la comunicazione che rivolgiamo internamente a noi stessi ed esternamente agli altri.!Abbiamo bisogno di imparare a distinguere quanto stiamo comunicando e quanto ci stiamo difendendo. Abbiamo bisogno di riconoscere le nostre chiusure comunicative interrompendo la reazione proiezione-vendetta. Abbiamo bisogno di trovare dei momenti di interruzione positiva che ci permettano di incontrare il dolore relazionale che stiamo evitando.!!Questi quattro passi possono sostenere la trasformazione dell’aggressività in compassione e costruire una strada di pace interiore ed esteriore. In questo senso il perdono significa passare da un modello comunicativo che esclude i sentimenti teneri al riconoscimento che dobbiamo occuparci del nostro dolore e della nostra ferita, anziché impiegare energie per il contrattacco.!!Il perdono, per essere autentico richiede un passaggio fondamentale, quello che ci sposta dalla visione personale alla visione relazionale delle cose, riconoscendo il nostro bisogno di connessione e la nostra interdipendenza gli uni dagli altri.!!Diventa quindi un atto che nasce dal profondo desiderio di riportare equilibrio ed integrità nella nostra vita e nelle nostre relazioni.!!!!!

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