Alcuni appunti sui finali di canto nella "Commedia"

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MATTIA COPPO ALCUNI APPUNTI SUI FINALI DI CANTO NELLA «COMMEDIA» In questo articolo ci occuperemo dei finali di canto della Commedia: ana- lizzando le sedi conclusive, cercheremo di mettere in luce le logiche interne alla narrazione dantesca, le movenze preferite dall’autore nel por- tare avanti il proprio racconto attraversando e servendosi in maniera atti- va del traliccio formale rappresentato dalla scansione metrico-retorica. Gli studi sulle sedi liminari del canto nel poema dantesco non manca- no, anche se l’attenzione degli studiosi si è quasi sempre appuntata sui segmenti esordiali: vanno ricordati, a riguardo, i lavori di Gorni, 1 Di Pino, 2 Fasani 3 e Blasucci. 4 Dei quattro autori, quello che più proficua- mente abbiamo frequentato è senza dubbio l’ultimo: nei suoi due artico- li dedicati agli incipit di canto della Commedia Blasucci ha infatti proposto una categorizzazione semplice ed efficace, che abbiamo ripresa ed adat- tata anche alle sedi conclusive. Riassumendo brevemente, Blasucci divide gli esordi in tre categorie, diegetica, mimetica e retorica, prendendo come discrimine l’istanza narrativa che funge da base all’enunciato incipitario. Saranno dunque attacchi “die- getici” tutti quelli costituiti da segmenti di narrazione piana, direttamen- «Stilistica e metrica italiana» (2012) 1. Gorni 1981. 2. Di Pino 1982. 3. Fasani 1994. 4. Blasucci 2000 e 2003. 5. L’Inferno, cantica d’incontri che vede la progressione dei pellegrini sul solo asse spa-

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MATTIA COPPO

ALCUNI APPUNTI SUI FINALI DI CANTONELLA «COMMEDIA»

In questo articolo ci occuperemo dei finali di canto della Commedia: ana-lizzando le sedi conclusive, cercheremo di mettere in luce le logicheinterne alla narrazione dantesca, le movenze preferite dall’autore nel por-tare avanti il proprio racconto attraversando e servendosi in maniera atti-va del traliccio formale rappresentato dalla scansione metrico-retorica.

Gli studi sulle sedi liminari del canto nel poema dantesco non manca-no, anche se l’attenzione degli studiosi si è quasi sempre appuntata suisegmenti esordiali: vanno ricordati, a riguardo, i lavori di Gorni,1 DiPino,2 Fasani3 e Blasucci.4 Dei quattro autori, quello che più proficua-mente abbiamo frequentato è senza dubbio l’ultimo: nei suoi due artico-li dedicati agli incipit di canto della Commedia Blasucci ha infatti propostouna categorizzazione semplice ed efficace, che abbiamo ripresa ed adat-tata anche alle sedi conclusive.

Riassumendo brevemente, Blasucci divide gli esordi in tre categorie,diegetica, mimetica e retorica, prendendo come discrimine l’istanza narrativache funge da base all’enunciato incipitario. Saranno dunque attacchi “die-getici” tutti quelli costituiti da segmenti di narrazione piana, direttamen-

«Stilistica e metrica italiana» (2012)

1. Gorni 1981.2. Di Pino 1982.3. Fasani 1994.4. Blasucci 2000 e 2003.5. L’Inferno, cantica d’incontri che vede la progressione dei pellegrini sul solo asse spa-

te riconducibile alla cornice. “Mimetiche” saranno invece le aperturesulla mimesi del dialogato di un personaggio (e di queste viene messa inluce la portata innovativa – in quanto soluzione incipitaria del tuttonuova nella narrativa medievale). Gli incipit contraddistinti da istanzeproemiali o da figure di amplificatio sono stati invece classificati come“retorici”, sottolineandone l’effetto di rallentamento impresso al flussodella narrazione.

Ad oggi manca dunque un lavoro organico sull’altra sede liminare delcanto dantesco, ovvero sugli explicit: di questo ci occuperemo nel corsodel nostro articolo, con lo scopo di definire da un lato quali siano le logi-che sottostanti alla scansione della materia dantesca nei cento canti (osser-vando dunque il comporsi di intreccio e reticolato retorico negli stacchi),dall’altro, e più nello specifico, l’effettiva realizzazione formale dei modu-li conclusivi.

Principi di scansione narrativa dantesca e tipologie esplicitarie

La Commedia, come saprà chiunque abbia tentato un approccio comples-sivo alle tecniche diegetiche dantesche, è opera composita e multiforme,restia a categorizzazioni esatte. La sua storia redazionale (di cui, com’ènoto, quasi nulla sappiamo), le differenze che intercorrono fra la struttu-ra escatologica dei tre mondi,5 la stessa, probabile,6 evoluzione di Dantecome narratore lungo la stesura della sua opera tendono a velare delletendenze che invece, a ben guardare, stanno ben salde alla base delle logi-che compositive dantesche.

Di seguito presenteremo i dati emersi dal nostro spoglio, il quale, comeanticipato in sede d’apertura, è stato effettuato secondo i criteri impiega-ti da Blasucci nei suoi lavori sugli esordi: i finali sono stati dunque suddi-

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ziale (il tempo è assente, a rendere l’eternità della condizione dei dannati); il Purgatorio,luogo di espiazione finalizzata all’ascesa, dove la temporalità gioca invece un ruolo fon-damentale; il Paradiso, cantica di visioni e di dottrina, in cui le dimensioni spaziali e tem-porali si annullano nel transumanare del personaggio – Dante. Osservazioni penetrantiriguardo alle differenze strutturali fra le tre cantiche si trovano in Blasucci 1969, 2000 e2004.

visi in tre categorie, diegetici (50 occorrenze), mimetici (44) e retorici(6).7

Una prima osservazione va fatta sul basso numero degli explicit retori-ci: questo sta ad indicare una netta predilezione autoriale per conclusio-ni che non vadano a modificare in modo evidente l’incedere del raccon-to (segmenti diegetici e retorici vivono della medesima velocità, quelladella scena);8 allo stesso tempo, ciò significa che solo di rado la voce del-l’autore presidia esplicitamente la sede conclusiva, gestendo come inprima persona lo stacco d’intercanto.9

Torneremo su questa questione nell’ultimo paragrafo del nostro lavo-ro, quando analizzeremo nel dettaglio le tessere conclusive retoriche: ini-ziamo ora il nostro dialogo con il testo, andando ad esaminare i finaliappartenenti alla tipologia maggiormente impiegata.

I finali diegetici

La distribuzione delle 50 occorrenze degli explicit diegetici vede un nettocalo tra la prima cantica e le successive: le attestazioni nell’Inferno (21/34)ne fanno la tipologia nettamente dominante nei finali della prima canti-ca, mentre nel Purgatorio (15/33) e nel Paradiso (14/33) essa si attesta comesemplice variante alla pari delle conclusioni mimetiche.

Iniziamo però il nostro confronto con il testo, andando ad evidenzia-re, prima di tutto, quali siano i segnali di chiusura impiegati dall’autore inquesta classe di finali; a rilevarsi è, per il largo utilizzo e per la riconosci-bilità immediata, lo stilema del «verso epigrafico» finale: nelle parole diBlasucci, cui va la paternità della messa in luce del fenomeno, un «versoesplicitario isolato, semanticamente autosufficiente, con forti connotazio-ni epigrafiche»,10 il cui impiego si risolve, «valorizzando stilisticamente lo

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6. Così Blasucci 2000, 18: «la tecnica esordiale, così come più in generale la tecnicanarrativa dantesca, non è interamente data sin dall’inizio, ma si viene costituendo ed affi-nando col procedere stesso del poema».

7. Si veda la tabella posta in coda a p. 22. 8. Per il concetto di velocità narrativa e la definizione di scena diegetica il rimando va

a Genette 1976.

schema metrico che isola il verso finale»,11 in un netto segnale formaled’arresto.

Proviamo ad esemplificare: in alcuni casi l’ultimo endecasillabo, speciese combinato a perfetti di verbi trasformativi,12 può sortire effetti di stac-co molto netti:

La terra lagrimosa diede vento,che balenò una luce vermigliala qual mi vinse ciascun sentimento;e caddi come l’uom cui sonno piglia.(Inf. 3, vv. 133-36)

Un esempio, questo, molto simile al segmento posto in punta a Inf. 5(di cui condivide sia la situazione che l’impiego dell’endecasillabo finalerilevato).13

Più spesso, però, l’autore interrompe la narrazione su perfetti dal valo-re azionale risultativo, dei quali si serve per descrivere il rapido moto diallontanamento di un personaggio:

Poi si rivolse, e ripassossi il guazzo.(Inf. 12, v. 139)

Così tornò, e più non volle udirmi.(Purg. 16, v. 145)

Poi s’ascose nel foco che li affina.(Purg. 26, v. 148)

L’endecasillabo conclusivo si attacca, in questi casi, bruscamente allaconclusione del discorso tenuto da ciascuno dei personaggi in questione:un fatto che tende ad aumentare l’impressione di un repentino ritirarsidell’attore dietro il sipario;14 allo stesso tempo, però, esso viene a creare

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9. In questo l’atteggiamento dantesco è molto vicino alle modalità di stacco dell’epi-ca classica (nei cui libri la voce autoriale non emerge mai nelle sedi liminari dei canti,fatta eccezione per il primo libro dei poemi).

10. Blasucci 2000, 23.11. Ivi.12. Per tutte le questioni di aspetto ed azione verbale, il rimando va a Bertinetto 1991.

una seconda direttrice, che si prolunga indefinitamente nella pausa d’in-tercanto. Ne risulta una composizione come di due moti, l’uscita di scenadel carattere da un lato, l’accesso dei due poeti ad un ulteriore stadio delloro cammino dall’altro.

Ciò che ci preme rilevare è come l’atto posto in punta estrema al cantosia in realtà l’inizio di un’azione (durativa) che viene a scomporsi, e a tro-vare il proprio completamento nell’attacco del canto successivo: un fatto,questo, che si manifesta nella sua massima evidenza nel modulo d’apertu-ra di Inf. 13, VV. 1-3:

Non era ancor di là Nesso arrivato,quando noi ci mettemmo per un boscoche da nessun sentiero era segnato.

Osserviamo qui, ad uno stadio elementare (e, forse proprio per questo,maggiormente evidente), quello che sarà una costante nelle logichecostruttive del narrato dantesco: la compresenza, nelle sedi esplicitarie, didue istanze opposte, l’una, formale, che presuppone l’arrestarsi del respi-ro del poema; l’altra, dal carattere sostanzialmente diegetico, che tendeinvece a prolungare nella pausa di fine canto la scena conclusiva, in pre-parazione del nuovo inizio.

Un simile impiego del verso epigrafico lo ritroviamo nell’esaurirsi diInf. 7, vv. 127-30:

Così girammo de la lorda pozzagrand’arco tra la ripa secca e ’l mezzo,con li occhi volti a chi del fango ingozza:venimmo al piè d’una torre al da sezzo.

dove più che la locuzione terminativa «al da sezzo» può la suggestione delprofilo della torre, sorta come d’improvviso dal terreno infernale; un

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13. Nella transizione Inf. V-VI l’effetto di stacco viene però stemperato dal disteso recu-pero anaforico contenuto nei primi tre versi dell’incipit: «Al tornar de la mente, che sichiuse | dinanzi a la pietà d’i due cognati, | che di trestizia tutto mi confuse».

14. Altri esempi simili sono rappresentati negli epiloghi di due canti infernali di tran-sizione, il XVII ed il XXXI. In entrambi i casi i due poeti vengono trasferiti nella successi-va zona grazie all’aiuto di un guardiano-adiuvante (Gerione ed Anteo), ed entrambi si

nuovo elemento entra nella sfera percettiva del pellegrino anche nelleconclusioni di Inf. 4 (al presente storico)15 e Inf. 19,16 mentre gli endeca-sillabi terminali di Purg. 28, Par. 3 e 22 rilanciano la situazione comunica-tiva immediatamente prima della pausa:

Io mi rivolsi ’n dietro allora tuttoa’ miei poeti, e vidi che con risoudito avean l’ultimo costrutto;poi a la bella donna torna’ il viso.(Purg. 28, vv. 145-48)

ma quella folgorò nel mio sguardosì che da prima il viso non sofferse;e ciò mi fece a dimandar più tardo.(Par. 3, vv. 128-30)

Poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.(Par. 22, v. 154)

Perfetti dall’aspetto ingressivo tendono a valorizzare la frustata finale,sfondando letteralmente il limite metrico-retorico: è il caso della conclu-sione di Inf. 1 («Allor si mosse, e io li tenni dietro», v. 136), così come diquelle, rinterzate dalla prolessi esplicita, di Par. 5 («e così chiusa chiusa mirispose | nel modo che ’l seguente canto canta», vv. 138-39) e 32 («Ecominciò questa santa orazione:», v. 151).17 L’impiego di verbi trasforma-tivi (Purg. 15) e puntuali (Inf. 6 e 21) permette invece, nell’immediato sor-gere dell’elemento nuovo, giochi sospensivi di chiaro effetto, costruiti infunzione marcatamente cataforica:

Noi aggirammo a tondo quella strada,parlando più assai ch’i’ non ridico;venimmo al punto dove si digrada:

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concludono con l’uscita di questi ultimi dal proscenio; l’accelerazione impressa all’ince-dere diegetico dall’impiego del verso epigrafico è in questi explicit estremamente eviden-te, in quanto la risalita di Gerione e del gigante avviene in un’unica, impetuosa frustata:«si dileguò come da corda cocca» (Inf. 17, v. 136), «e come albero in nave si levò» (Inf. 31,v. 145).

15. Un’interpretazione di questo stacco al presente narrativo, un unicum nel poema, la

quivi trovammo Pluto, il gran nemico.(Inf. 6, vv. 112-15)

Noi andavam per lo vespero, attentioltre quanto potean li occhi allungarsicontra i raggi serotini e lucenti.Ed ecco a poco a poco un fummo farsiverso di noi come la notte scuro;né da quello era loco da cansarsi:questo ne tolse li occhi e l’aere puro.(Purg. 15, vv. 139-45)

Siamo qui in presenza, a nostro avviso, di due degli stacchi più riusci-ti del poema, e al tempo stesso quanto mai diversi tra loro per logicacostruttiva: Inf. 6 si chiude con l’improvvisa e sinistra apparizione diPluto, terminando su di una situazione estremamente pericolosa per i duepellegrini («il gran nemico»). La potenza di questa conclusione, tutta basa-ta sul vigoroso giustapporsi paratattico del verso terminale, si distanziadiametralmente dalla raffinata e graduale creazione della suspense operatadall’autore nel finale purgatoriale: ritroviamo qui un esempio di impiegoariostesco del modulo incidenziale,18 ovvero la collocazione di talecostrutto in coda al canto (anziché in testa, come abbiamo visto esserenell’abitudine dantesca). La tensione viene creandosi gradualmente, primanella terzina inaugurale all’imperfetto, poi nell’emergere al tempo stessoimprovviso («Ed ecco») e graduale («a poco a poco») del «fummo», perscaricarsi infine nell’ultimissima sede disponibile, accecando i pellegrininel verso finale e tirando come il sipario davanti al lettore, che vienelasciato ad interrogarsi sugli eventi futuri.

Ritroviamo il medesimo atteggiamento autoriale anche nelle clausolecostruite senza lo stilema del verso epigrafico: un primo esempio lo abbia-

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troviamo in Sanguineti 1992, 50.16. Conclusione della quale vorremmo, senza dilungarci, mettere in luce la felicità

costruttiva: quello che passa è una specie di sguardo cieco, gettato dal pellegrino al di làdell’argine che divide la terza dalla quarta bolgia. In effetti, è come se il verbo percettivovenisse distanziato dalla visione vera e propria (la lenta processione degli indovini su cuisi aprirà il canto successivo) per mezzo della pausa metrico-retorica.

mo nei finali sul moto di allontanamento dei poeti, in cui l’atto conclusi-vo (vedi nel passo citato «onde», v. 147) dell’abbandono del campo si fondecon la ricerca del nuovo implicita nel cammino («mi parti’», v. 147)19

Appresso il duca a gran passi sen gì,turbato un poco d’ira nel sembiante;ond’io da li ’ncarcati mi parti’dietro a le poste de le care piante.(Inf. 23, vv. 145-48)

Così come negli stacchi su perfetto ingressivo, in cui l’azione si apreinvece con decisione a futuri sviluppi:

Così li dissi, e poi che mosso fue,intrai per lo cammino alto e silvestro.(Inf. 2, vv. 141-42)

E poi ch’a la man destra si fu mosso,passammo tra i martiri e li alti spaldi.(Inf. 9, vv. 132-33)

talvolta accompagnando la descrizione del moto con l’anticipazione dellamateria che verrà (dunque con chiara prolessi):

Appresso mosse a man sinistra il piede:lasciammo il muro e gimmo inver lo mezzoper un sentier ch’a una valle fiedeche ’nfin là su facea spiacer suo lezzo.(Inf. 10, vv. 133-36)

Noi passamm’oltre, io e ’l duca mio,su per lo scoglio infino in su l’altr’arcoche cuopre ’l fosso in che si paga il fio

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17. Su questi ultimi explicit vedi Blasucci 2003, 36.18. Vedi Praloran 1999, 32-33.19. Oltre all’esempio citato si vedano anche gli explicit di Inf. 22 («e noi lasciammo lor

così ’mpacciati», v. 151) e di Purg. 2. («così vid’io quella masnada fresca | lasciar lo canto,e fuggir ver la costa, | com’om che va, né sa dove riesca: | né la nostra partita fu mentosta», vv. 130-33).

a quei che scommettendo acquistan carco.(Inf. 27, vv. 133-36)

In altri luoghi l’apertura può essere ottenuta per mezzo dell’aspettoimperfettivo del verbo, attraverso il quale l’azione viene abbandonata nelproprio svolgersi progressivo:

Sì mi parlava, e andavamo introcque.(Inf. 20, v. 130)

Nulla ignoranza mai con tanta guerrami fe’ disideroso di sapere,se la memoria mia in ciò non erra,quanta pareami allor, pensando, avere;né per la fretta dimandar er’oso,né per me lì potea cosa vedere:così m’andava timido e pensoso.(Purg. 20, vv. 145-51)

Vale la pena di soffermarsi su quest’ultimo esempio per rilevare lanotevole costruzione della suspense del finale purgatoriale (si veda soprat-tutto lo smaliziato protrarsi dell’attesa nell’inciso del v. 147, nell’incassodel gerundio tra servile ed infinito al verso successivo e, soprattutto, nelledue coordinate all’imperfetto che aprono la terzina conclusiva): tali tec-niche sospensive si affollano nel Purgatorio più che nelle altre cantiche.20

Un fatto, questo, che va senza dubbio ricondotto alla complessità del-l’impianto narrativo della seconda cantica, in cui la ripartizione escatolo-gica va a comporsi tanto con l’elemento liturgico (si pensi al “rituale dellacornice” che scandisce ogni balza del monte in cinque distinti momen-ti),21 quanto con la guadagnata dimensione temporale del viaggio (cheprevede stanchezze, pause di ristoro, riposi notturni con sogni premoni-

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20. Si veda, a questo proposito, la costruzione del finale di Purg. 10, in cui la descri-zione conclusiva ha come oggetto dei personaggi (i superbi) che proprio in sede limina-re sono entrati nella sfera percettiva dei due poeti, rappresentando dunque un elementonarrativo del tutto nuovo.

21. Ed agisce come un vero e proprio secondo (o terzo) passo nell’incedere nel poema,scandendo l’ascesa ad ogni nuova zona in fasi ben distinte e caratterizzate (gli exempla di

tori). In breve, la rosa delle soluzioni a disposizione dell’autore sembraessere, nel secondo regno, molto più ampia.

Tornando a noi, quello che ci sembra di rilevare in questa prima clas-se di finali è una tendenza, piuttosto diffusa, a costruire la conclusione delcanto attraverso la realizzazione di moduli che chiudano ma che al tempostesso aprano a quanto segue, giocando contemporaneamente in opposi-zione ed in accordo alla pausa retorica: il limite formale viene, insomma,rispettato, ma al tempo stesso si suggerisce la possibilità di oltrepassarlo;ne risulta come un movimento ad elastico che proprio sulla pausa di finecanto ha il proprio perno, e che di essa si serve per il rilancio della nar-razione.

I finali mimetici

La distribuzione delle chiuse appartenenti a questa seconda tipologiasegna una netta differenza tra la prima cantica e le due seguenti: se infat-ti nell’Inferno il finale mimetico si attesta in un terzo delle chiuse com-plessive (11/34), nel Purgatorio e nel Paradiso esso viene impiegato nellametà dei canti totali (Purg. 16/33, Par. 17/33).

Dal punto di vista della diegesi, chiudere un canto su di un frammen-to mimetico significa porre il lettore di fronte ad uno stacco su scenaaperta: nessuna didascalia è posta a sigillo del discorso del parlante, la cuipresenza permane per così dire anche nella pausa d’intercanto.

A tale situazione di estrema apertura scenica l’autore oppone, ingene-rando una dialettica volta a dinamizzare l’incedere del racconto, l’intro-duzione, nella clausola del frammento dialogato, di diversi segnali termi-nativi, atti, a nostro avviso, a valorizzare la già menzionata coincidenza fradiscorso del personaggio e pausa di fine canto, trasformandola in uncarattere demarcativo.

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virtù premiata, l’incontro con i penitenti, gli exempla di vizio punito, il rito purificatoriopresieduto dall’angelo, la salita verso il nuovo varco).

22. Questa la chiusa del discorso pronunciato da Carlo Martello: «Ma voi torcete allareligione | tal che fia nato a cignersi la spada, | e fate re di tal ch’è da sermone: | ondela traccia vostra è fuor di strada». (Par. 8, vv. 145-48).

23. Sul significato dell’episodio, e più in generale sugli aspetti costruttivi dell’intero

Il modo più semplice di contrassegnare la conclusione di un discorsodiretto è quello di rendere evidente l’esaurirsi del messaggio da esso tra-smesso: in Purg. 14, vv. 145-51, l’argomentazione virgiliana è regolata dallargo impiego di nessi logici, sui quali spicca il conclusivo onde:

Ma voi prendete l’esca, sì che l’amodell’antico avversaro a sé vi tira;e però poco val freno o richiamo.Chiamavi ’l cielo e ’ntorno vi si gira,mostrandovi le sue bellezze etterne,e l’occhio vostro pur a terra mira;onde vi batte chi tutto discerne».

Nesso che, in contesto per certi versi simile (si tratta sempre di unamessa in rilievo dell’incapacità umana di assecondare il volere divino),rientra nel finale di Par. 8;22 dalla terza cantica prendiamo anche un diver-so esempio di explicit-clausola, in cui l’incedere si fa più scopertamentesentenzioso:

Non creda donna Berta e ser Martino,per vedere un furare, altro offerere,vederli dentro al consiglio divino;ché quel può surgere, e quel può cadere».(Par. 13, vv. 139-42)

Nell’Inferno, un caso simile è rappresentato dal rimprovero virgilianosul quale va a terminare il canto 30, vv. 145-48, stavolta indirizzato diret-tamente al personaggio Dante:

e fa ragion ch’io ti sia sempre a lato,se più avvien che fortuna t’accogliadove sien genti in simigliante piato;ché voler ciò udire è bassa voglia».

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canto trentesimo dell’Inferno, si veda la lettura in Contini 1976.24. Di simili sfruttamenti del discorso diretto virgiliano in clausola ci occuperemo sul

finire di questa sezione, quando avanzeremo qualche considerazione sui finali “esortativi”.25. Cui andiamo ad aggiungere l’epilogo di Purg. 21, nei cui quattro versi conclusivi

Stazio viene a motivare il precedente atteggiamento tenuto nei confronti di Virgilio («Edei surgendo: “Or puoi la quantitate | comprender dell’amor ch’a te mi scalda, | quand’io

Notiamo qui, oltre alla presenza del verso finale sul quale sembra pre-cipitare, come nel caso già visto di Par. 14, il significato morale dell’inte-ro discorso, l’aperto riferirsi del parlante Virgilio alla situazione narrativa(la carnascialesca zuffa tra Sinone e Maestro Adamo):23 dell’impiego ditali rimandi anaforici ci occuperemo tra breve, quando lo troveremoespresso con maggior evidenza in una corposa serie di estratti.

Tornando a noi, osserviamo come talvolta siano gli stessi parlanti adesplicitare la propria volontà di concludere il discorso intrapreso con ilpellegrino, ora incitandolo a riprendere il cammino:

Vattene omai: non vo’ che più t’arresti;ché la tua stanza mio piangere disagia,col qual maturo ciò che tu dicesti.Nepote ho di là c’ha nome Alagia,buona da sé, pur che la nostra casanon faccia lei per essempro malvagia;e questa sola di là m’è rimasa».(Purg. 19, vv. 142-45)

ora troncando il discorso, rimandando ulteriori considerazioni ad unluogo successivo:24

L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona,di sovr’a noi si piange per tre cerchi;ma come tripartito si ragiona,tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi».(Purg. 17, vv. 136-39)

In tutti i casi finora esemplificati25 è insomma ben percepibile il con-cludersi della parabola discorsiva, sia che lo svolgersi logico del pensieroespresso venga portato a compimento, sia che il parlante annunci esplici-

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dismento nostra vanitate, | trattando l’ombre come cosa salda”»).26. Sull’eloquenza di Vanni Fucci il Sanguineti, che qui citiamo, si è confrontato

(giungendo a nostro avviso a conclusioni molto più vicine a quelle dell’antagonista diquanto egli stesso non volesse ammettere) con la lettura datane da Contini nel già citatoContini 1976.

27. Il raggiungimento del quale è evidenziato dall’impiego dei nessi logici posti in

tamente l’opportunità di interrompere il dialogo con l’ascoltatore: in ognicaso, l’istanza comunicativa esaurisce il proprio percorso, raggiungendo ilpunto d’arrivo il quale viene di fatto a coincidere con il limite del canto.

Ben più numerosi sono però i casi in cui a tale modalità (che potrem-mo definire quale interna al discorso) se ne viene a sovrapporre unaseconda, di carattere più scopertamente argomentativo, in base alla qualeil segmento mimetico torna, in sede esplicitaria, su di sé, motivandosi echiudendosi come a cerchio: cominciamo dal finale di Inf. 24, vv. 145-51:

Ma perché di tal vista più non godi,se mai sarai di fuor da’ luoghi bui,apri li orecchi al mio annunzio, e odi:Pistoia in pria di Neri si dimagra:poi Fiorenza rinova gente e modi.Tragge Marte vapor di Val di Magrach’é di torbidi nuvoli involuto;e con tempesta impetuosa e agrasovra Campo Picen fia combattuto;ond’ei repente spezzerà la nebbia,sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto.E detto l’ho perché doler ti debbia!»

Il segmento si apre con la chiara, esplicita dichiarazione d’intenti diVanni Fucci («Ma perché di tal vista tu non godi»), cui segue, con quellache Sanguineti ha definito «bella expolitio inaugurale», il richiamo all’at-tenzione dell’auditore («apri li orecchi al mio annunzio, e odi»). Oltre ilcappello d’apertura, le «ricche movenze del vaticinio»,26 che sviluppanole iniziali «determinazioni geografiche» nella «dominante figurazioneprofetica» su cui l’annunzio si conclude.

Se il frammento terminasse al v. 150 («sì ch’ogne bianco ne sarà feru-to») ci troveremo di fronte alla medesima situazione conclusiva descritta

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testa ai vv. 149 e 150 (rispettivamente «onde» e «sì che»).28. Sanguineti 1961, 196.29. Sintomatico ci sembra lo slittare dello status di Bertram da soggetto attivo ed indi-

viduato («I’ son», «quelli che diedi», «Io feci» con successiva manovra di Überbietung«Achitofèl non fe’ più…», «io parti’», «partito porto») a quello di strumento esemplare,individuato a solo scopo emblematico, della giustizia divina («s’osserva in me»).

a proposito dei precedenti esempi, ovvero quella di una comunicazione(in questo caso, una profezia) che si srotola fino al proprio punto d’ap-prodo:27 notevole è invece qui l’endecasillabo conclusivo, «sigillo estre-mo» che «incorona il segmento con degna e conseguente mossa, chiu-dendo […] in equilibratissimo cerchio lo svolgimento del discorso delpeccatore (“più mi duol che tu m’hai colto… ma perché di tal vista tunon godi… e detto l’ho perché doler ti debbia”)».28

Un aspetto importante da mettere in luce nel passo ora citato è che lasvolta circolare impressa al discorso dal verso conclusivo ottiene unsecondo effetto, non più argomentativo bensì più strettamente narrativo:il richiamo alla presenza dell’interlocutore («perché doler ti debbia») riag-gancia bruscamente l’oscuro dettato di Vanni Fucci al presente della nar-razione, preparando il campo alla violenta esplosione scenica che inaugu-rerà il canto successivo.

Ma rientriamo al concetto iniziale di circolarità argomentativa. Esso èben evidente anche nella chiusa di Inf. 28, vv. 133-42:

[…] «Or vedi la pena molestatu che, spirando, vai veggendo i morti:vedi s’alcuna è grande come questa.E perché tu di me novella porti,sappi ch’i’ son Bertram del Bormio, quelliche diedi al Re giovane i ma’ conforti.Io feci il padre e ’l figlio in sé ribelli:Achitofèl non fe’ più d’Absalonee di David coi malvagi punzelli.Perch’io parti’ così giunte persone,partito porto il mio cerebro, lasso!,dal suo principio ch’é in questo troncone.Così s’osserva in me lo contrapasso».

Nella descrizione della tragica pena di Bertram troviamo, come appa-

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30. Sanguineti 1961, 287; il corsivo è nostro.31. Si veda, per il momento, la costruzione di Purg. 30: il lungo discorso pronunciato

da Beatrice ritorna, in clausola («Alto fato di Dio sarebbe rotto | se Leté si passasse e talvivanda | fosse gustata sanza alcuno scotto | di pentimento che lagrime spanda», vv. 142-45), sulle proprie premesse («onde la mia risposta è con più cura | che m’intenda coluiche di là piagne, | perché sia colpa e duol d’una misura», vv. 106-8), ma si aggancia anche

re evidente, la medesima istanza metadiscorsiva che avevamo rilevata nellaconclusione della profezia di Vanni Fucci: anche qui, la richiesta d’atten-zione esordiale viene a saldarsi con l’epigrafico verso finale («Or vedi lapena molesta […] Così s’osserva in me lo contrapasso»), endecasillabo incui l’inflessibilità della giustizia divina prende, con un crudele ma neces-sario colpo di coda, il sopravvento sull’egotistica figura del grande pro-venzale.29

Quello che ci preme rilevare è che qui il richiamo circolare non silimita al frammento di dialogato, ma si estende all’intero contenitore rap-presentato dal canto; questo si era aperto, lo ricordiamo, su di una figuradi superamento il cui comparante è dichiaratamente tratto da un luogodello stesso Bertram: osserva Sanguineti come «l’autorizzazione retoricache non confessatamente presiede alla intiera comparazione delle guerredi Puglia […] vuole essere riportata in essenza allo schema della illustrecomposizione di Bertram de Born, e cioè, quasi con circolare architettura dinarrato, del personaggio estremo della bolgia e del canto».30

Simili richiami a distanza in contesto di chiuse mimetiche, lo vedre-mo, non sono infrequenti.31 Torniamo però alla questione principale,ovvero al ripiegarsi su sé stesso del discorso nel proprio concludersi: inPurg. 11 ed in Par. 26 il richiamo anaforico agisce retrospettivamente sulladomanda posta da Dante all’interlocutore (rispettivamente, Oderisi daGubbio e Adamo), un fatto che appare con evidenza anche nel seguenteesempio, tratto dalla terza cantica:32

Tu dubbi, e hai voler che si ricernain sì aperta e in sì distesa lingualo dicer mio, ch’al tuo sentir si sterna,ove dinanzi dissi “U’ ben s’impingua”[…]Or se le mie parole non son fioche,

ALCUNI APPUNTI SUI FINALI DI CANTO NELLA «COMMEDIA» 15

alla diegesi precedente il dialogato («lo gel che m’era intorno al cor ristretto, | spirito eacqua fessi, e con angoscia | della bocca e delli occhi uscì del petto»).

32. La capacità maturata dall’autore nel tessere trame argomentative estremamentecomplesse trova qui una delle sue espressioni più nette: come possiamo notare, l’anaforaconclusiva altro non è che un’autocitazione di San Tommaso, autocitazione che è a pro-pria volta da ricondurre ai vv. 94-96 di Par. 10 («Io fui delli agni della santa greggia | che

se la tua audienza è stata attenta,se ciò ch’è detto a la mente revoche,in parte fia la tua voglia contenta,perché vedrai la pianta ove si scheggia,e vedra’ il corregger ch’argomenta“U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”».(Par. 11, vv. 22-25 e 133-39)

Come possiamo osservare, la ripresa è qui arricchita ed elevata al rangodi autocitazione,33 e preceduta dall’aperta dichiarazione del parlante diaver soddisfatto (in parte a dir la verità, dato che resta aperta ancora unaquestione tra Dante e l’Aquinate, quella relativa alla superiorità diSalomone tra gli esseri umani – vedi Par. 13, vv. 33-141) la curiosità del-l’interlocutore; una modalità, questa, che ritroviamo anche nella chiusa diPar. 2. Non presentano invece precisi riporti di materiale testuale, mamantengono ben evidente l’istanza anaforico-riassuntiva tutta una seriedi finali, come quello di Par. 16:

«Ditemi dunque, cara mia primizia,quai fuor li vostri antichi, e quai fuor li anniche si segnaro in vostra puerizia:ditemi dell’ovil di San Giovanniquanto era allora, e chi eran le gentitra esso degne di più alti scanni».[…]Con queste genti e con altre con esse,vid’io Fiorenza in sì fatto riposo,che non avea cagione onde piangesse:con queste genti vid’io gloriosoe giusto il popol suo, tanto che ’l giglionon era ad asta mai posto a ritroso,né per division fatto vermiglio».(Par. 16, vv. 22-27 e 148-54)

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Domenico mena per cammino | u’ ben s’impingua se non si vaneggia»); ancora, molteparole potrebbero essere spese sull’atteggiamento para-autoriale dello stesso Aquinate,quando ai vv. 133-35 del nostro estratto innerva su di una triplice anafora quello che, inun differente contesto, sarebbe il più classico degli appelli al lettore danteschi.

33. In questo finale si viene a realizzare quasi perfettamente un dei moduli indicati daBenzoni come tipici del luogo conclusivo, ovvero quello dell’epanadiplosi: vedi Benzoni

in cui appare evidente il richiamo alla domanda posta dall’autore (rimar-cato dalla ripetizione ai vv. 148 e 151);34 concludendo, alla stessa maniera,con la sola differenza che l’istanza riassuntiva viene applicata alle premes-se del discorso invece che alla domanda dell’interlocutore, vengono gesti-ti gli explicit di Par. 7, 12, 28 e 29.

Riflettiamo un istante, prima di spostarci a considerare i restanti finalimimetici, sul significato di tali formule esplicitarie: esse agiscono in favo-re del segnale di ripartizione retorica (la pausa di fine canto), accordan-dovi il respiro del discorso del parlante, ma in una situazione diegetica cheinvece si oppone apertamente al ritmo del traliccio formale, dal momento che laconclusione cade, di fatto, su di una scena aperta. Ancora una volta (ricor-diamo quanto detto sopra riguardo ai tagli diegetici), il limite imposto dalcanto viene dinamizzato da pulsioni opposte, la cui funzione è quella diaccendere il ritmo della diegesi.

Esplicite marche conclusive o costruzioni circolari mancano, invece, intutta una serie di chiuse caratterizzate dalla presenza di segmenti dialogi-ci che vengono a conformarsi quali narrazioni secondarie, dotate di unatemporalità propria e distinta da quella del narrato principale.

È quanto accade, ad esempio, nell’explicit di Purg. 13, vv. 148-54:

E chieggoti, per quel che tu più brami,se mai calchi la terra di Toscana,che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami.Tu li vedrai tra quella gente vanache spera in Talamone, e perderaglipiù di speranza ch’a trovar la Diana;ma più vi perderanno li ammiragli».

Il canto si esaurisce sull’oscura profezia pronunciata da Sapìa, sfuman-do come nella lontananza del futuro evocato dalla nobildonna senese: se

ALCUNI APPUNTI SUI FINALI DI CANTO NELLA «COMMEDIA» 17

2003, p. 240.34. Similmente si chiude la risposta di Cacciaguida nel terminare del canto successi-

vo, dove il rimando è gestito attraverso una figura d’inversione: «Giù per lo mondo sanzafine amaro, | e per lo monte del cui bel cacume | li occhi della mia donna mi levaro, |e poscia per lo ciel di lume in lume, | ho io appreso quel che s’io ridico, | a molti fiasapor di forte agrume» (Par. 17, vv. 112-17, domanda di Dante), «Questo tuo grido farà

lo raffrontiamo con gli explicit appartenenti alla classe precedente, notere-mo come manchino del tutto i segnali di conclusione del discorso,discorso che, lo ripetiamo, si proietta verso un non precisato futuro, allon-tanandosi dunque con decisione dalla linea principale del racconto.

A questo contribuiscono anche alcune movenze particolari, volte ademarcare sul versante stilistico questi passaggi: innanzitutto l’impiegodella coordinazione avversativa, responsabile della brusca sterzata finale,che ritroviamo, in contesti del tutto simili, nelle chiuse di Par. 9 («MaVaticano e l’altre parti elette», v. 139) e Par. 27 («Ma prima che gennaiotutto si sverni», v. 142); sul versante fonico, poi, riscontriamo una certa pre-dilezione per le rime ricche, con estensione delle rispondenze foniche aritroso dalla punta del verso (in Purg. 13 perderagli : perderanno li ammira-gli, vv. 152-54; in Par. 9 altre parti elette : Pietro seguette, vv. 139-41; in Par.30 sarà da Dio sofferto : per suo merto, vv. 145-47) cui si aggiungono signi-ficativi fenomeni allitteranti, talvolta innestati da evidenti ripetizioni (Purg.13 ha perderagli-perderanno e spera-speranza), talaltra da reiterate rime inter-ne (Par. 27 volgerà : correrà : verrà, vv. 146-48; sarà : sarà : farà, vv. 145-48).35

Ritroviamo una simile tendenza diversiva nei confronti della tempo-ralità del narrato principale nei finali in cui il personaggio porta a termi-ne il racconto della propria vita:

Cinque volte racceso e tante cassolo lume era di sotto da la luna,poi che ’ntrati eravam ne l’altro passo,quando n’apparve una montagna, brunaper la distanza, e parvemi alta tantoquanto veduta non avea alcuna.Noi c’allegrammo, e tosto tornò in pianto;ché de la nova terra un turbo nacque,e percosse del legno il primo canto.Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque:

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come vento | che le più alte cime più percuote; e ciò non fa d’onor poco argomento. |Però ti son mostrate in queste rote, | nel monte e ne la valle dolorosa | pur l’anime cheson di fama note» (Par. 17, vv. 133-38, risposta di Cacciaguida). Significativo è, a nostroavviso, il chiasmo: mentre lo sguardo del pellegrino si eleva, ricordando il proprio cam-mino e la propria mortalità, quello dell’antenato domina come dall’alto, con sereno distac-co, l’ordine impartito da Dio al destino delle anime.

a la quarta levar la poppa in susoe la prora ire in giù, com’altrui piacque,infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».(Inf. 26, vv. 130-42)

Il passo, uno dei più noti della Commedia, la conclusione del raccontodel «folle volo» intrapreso da Ulisse e dai suoi compagni, rappresenta almeglio l’effetto sortito sull’incedere narrativo dall’inserto di un raccontosecondario che trovi il proprio termine in perfetta coincidenza con lachiusa di canto.

La narrazione di Ulisse esordisce, lo ricordiamo, trascinandoci imme-diatamente all’interno della propria temporalità, in un passato ben lonta-no dal momento in cui il dialogo si svolge (non necessariamente voluto,ma a dir poco efficace l’enjambement che isola il nesso in punta al v. 90«gittò voce di fuori, e disse: “Quando | mi dipartì…»): la stessa tempora-lità viene poi valorizzata, in una «rappresentazione fermissima e distacca-ta»,36 attraverso l’alternarsi di velocità sulle quali essa viene a modularsi (sipassa dal sommario inaugurale37 alla scena dialogata dell’«orazion piccio-la», per poi riprendere abbrivio nel secondo sommario, vv. 130-35, e con-cludersi nella maestosa scena drammatica finale, sigillata dall’«infin» postoin testa all’ultimo endecasillabo).

Quello che ci importa sottolineare (ed è quanto ritroviamo, fatte salvele tipicità dovute al contesto, anche nei finali di Inf. 13 e 29 e di Purg. 5)è però come l’esaurirsi parallelo del racconto secondo e della porzione didiegesi principale contenuta nel canto sortisca l’effetto di indebolire que-st’ultima, tacendone come il ruolo di cornice.

Questo tipo di interruzioni così nette, tuttavia, non sembra soddisfarepienamente l’autore: prova di questo potrebbe essere un ulteriore grup-petto di conclusioni, in cui la diegesi secondaria contenuta nel segmentodialogato viene riagganciata, proprio in sede liminare, alla linea del rac-

ALCUNI APPUNTI SUI FINALI DI CANTO NELLA «COMMEDIA» 19

35. Tensione stilistica e densità fonico-ritmica sono altre spie evidenziate da Benzonicome segnali formali di clausola, in particolare della «chiusa perentoria». Vedi Benzoni2003, p. 235.

36. Così in Sanguineti 1961, 250.37. Che per Sanguineti è «quasi racconto nel racconto», cfr. Sanguineti 1961, 249. 38. Avvicinabile a questo è il finale di Purg. 3, in cui le ultime parole di Manfredi ven-

conto primario:

Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,Raimondo Beringhieri, e ciò li feceRomeo, persona umile e peregrina.E poi il mosser le parole biecea dimandar ragione a questo giusto,che li assegnò sette e cinque per diece.Indi partissi povero e vetusto;e se ’l mondo sapesse ’l cor ch’elli ebbe,mendicando sua vita a frusto a frusto,assai lo loda, e più lo loderebbe».(Par. 6, vv. 133-42)

Nell’ultima terzina del discorso di Giustiniano troviamo, infatti, unasorta di coda morale alla breve narrazione delle vicende di Romeo diVillanova: un movimento che molto somiglia alle clausole sentenziosedescritte in precedenza, con la differenza che quelle erano applicate perlo più a segmenti ragionativi, mentre questa segue una diegesi seconda-ria; di sfuggita annotiamo infine la felice intuizione autoriale, che scegliedi incentrare la chiusa attorno al tema della gloria terrena: proprio ilgenere di miopia nel bene operare al quale Giustiniano deve la propriacollocazione nel cielo di Mercurio.

Troviamo un altro esempio una decina di canti più avanti, più precisa-mente nell’explicit di Par. 15, vv. 145-48:

Quivi fu’ io da quella gente turpadisviluppato dal mondo fallace,lo cui amor molt’anime deturpa;e venni dal martiro in questa pace»,

in cui la morte di Cacciaguida chiude insieme la vicenda narrata e ripor-

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gono spese a proposito dello stato delle anime nell’Antipurgatorio («ché qui per quei dilà molto s’avanza»). Di difficile sistemazione, in base alle categorie da noi proposte, è inve-ce la chiusa di Purg. 24, contenente la preghiera con cui i golosi salutano il passaggio deitre poeti:

E senti’ dir: «Beati cui allumatanto di grazia, che l’amor del gusto

ta alla situazione dialogica («in questa pace»);38 nel finale di Purg. 22, inve-ce, l’ultimo exemplum della serie richiama l’attenzione dell’ascoltatore sulpasso evangelico citato:

Lo secol primo quant’oro fu bello,fe’ savorose con fame le ghiande,e nettare con sete ogne ruscello.Mele e locuste furon le vivandeche nodriro il Batista nel diserto;per ch’elli è glorioso e tanto grandequanto per l’Evangelio v’è aperto».(Purg. 22, vv. 151-54)

Molto più evidente è infine la presenza della cornice in un ultimoquartetto di finali, tutti contrassegnati dalla presenza di un’esortazionevirgiliana a proseguire il moto:

Poi disse: «Omai è tempo di scostarsidal bosco; fa che di retro a me vegne:li margini fan via, che non son arsi,e sopra loro ogne vapor si spegne».(Inf. 14, vv. 139-42)

E già il poeta innanzi mi saliva,e dicea: «Vienne omai: vedi ch’è toccomeridian dal sole ed alla rivacuopre la notte già col piè Morrocco».(Purg. 4, vv. 136-39)

In questi due esempi (come anche nelle conclusioni di Inf. 11 e Purg.27) il segmento mimetico agisce in maniera simile a quanto osservatoriguardo ai finali sul moto, rivestendo il doppio ruolo di sigillo dell’espe-

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nel petto lor troppo disir non fuma,esuriendo sempre quanto è giusto!»(Purg. 24, vv. 151-54)Va notato però che siamo all’altezza della penultima cornice del monte, e che quindi

il lettore si è oramai accostumato a quello che descriveremo come il rituale della corni-ce. Di tale rituale, elementi conclusivi sono la purificazione effettuata dall’angelo guar-

rienza pregressa («Omai è tempo di scostarsi», «vienne omai», e nei dueframmenti non citati «Ma seguimi oramai», Inf. 11, v. 112 e «Tratto t’hoqui con ingegno e con arte; | lo tuo piacere omai prendi per duce», Purg.27, vv. 130-31) e di apertura al nuovo; è importante notare come qui ilraccordo venga gestito dal poeta attraverso la persona di Virgilio, che inquesto luogo agisce in veste para-autoriale, talvolta troncando il discorsointrapreso (come ad esempio nel finire di Purg. 17 o di Inf. 18),39 talaltra,come nei casi citati per intero, chiudendo ed aprendo al tempo stesso.

In conclusione, la gestione di questo secondo gruppo di finali sembratendere alla stessa doppia dinamica osservata riguardo alle chiuse diegeti-che. A cambiare è la modalità, che va adattandosi alla situazione narrativaparticolare degli explicit mimetici: in questo caso l’apertura è costituzio-nale all’istanza comunicativa stessa, e quindi l’azione autoriale va in dire-zione opposta a quanto rilevato in precedenza.

I segnali conclusivi contenuti nei finali servono infatti a bilanciare lascena aperta in essi descritta, ingenerando ancora una volta quella dina-mica ad elastico, avanti-indietro, che più volte abbiamo avuto modo didescrivere.

I finali retorici

Passiamo ora attraverso l’ultimo gruppo di explicit, decisamente il più esi-guo con sole 6 occorrenze, due per cantica: tutte le conclusioni in que-stione si caratterizzano per la presenza di un segmento commentativoautoriale, impiegato in funzione anaforica.

Questa terza tipologia, dunque, tende a distinguersi in maniera piutto-sto evidente dalle due precedenti perché presenta una velocità narrativache si rileva nettamente su quella del narrato primo, rallentandolo fino ad

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diano di una delle P che segnano la fronte del pellegrino e la successiva preghiera, sug-gello ultimo del peccato dal quale egli è stato lavato. L’explicit liturgico fungerebbe dun-que, in base a questa breve considerazione, da segnale alternativo di stop.

39. Inf. 18, v. 136: «E quinci sian le nostre viste sazie».40. A prima vista questo canto sembra chiudersi su di un segmento di dialogato, e sem-

brerebbe dunque da classificare tra gli explicit “mimetici”. Va tuttavia notato che nel caso

arrestarlo: l’effetto che tali conclusioni sortiscono è infatti quello di unasospensione della diegesi principale prima della pausa di fine canto, deli-mitando un’area terminale dello stesso nella quale l’autore ritaglia unospazio per la propria voce.

In alcuni casi, come in Inf. 33, vv. 151-57, tale voce assume i toni bef-fardamente sprezzanti dell’invettiva:

Ahi Genovesi, uomini diversid’ogne costume e pien d’ogne magagna,perché non siete voi del mondo spersi?Ché col peggiore spirto di Romagnatrovai di voi un tal, che per sua oprain anima in Cocito già si bagna,e in corpo par vivo ancor di sopra.

talvolta rinterzati da cinici giochi metaforici e da finte mimesi del parlato40

Ma tu che sol per cancellare scrivi,pensa che Pietro e Paulo, che moriroper la vigna che guasti, ancor son vivi.Ben puoi tu dire: «I’ ho fermo ’l disirosì a colui che volle viver soloe che per salti fu tratto al martiroch’io non conosco il pescator né Polo».(Par. 18, vv. 130-36)

Ben diverso è invece il tono che ritroviamo nelle riflessioni metapoe-tiche, il cui incedere si fa talvolta concitato, inebriato quasi dalla splen-dente materia cantata, come nel caso di Purg. 31, vv. 139-45:

O isplendor di viva luce etternachi palido si fece sotto l’ombrasì di Parnaso, o bevve in sua cisterna,

ALCUNI APPUNTI SUI FINALI DI CANTO NELLA «COMMEDIA» 23

in questione l’autore non sta dipingendo una scena interna alla diegesi principale, bensì cri-ticando aspramente l’avarizia del papato attraverso le stesse, mimate parole del pontefice.

41. Figure etimologiche e parallelismi sono altri stilemi riconosciuti da Benzoni qualiindicativi della posizione terminale: vedi Benzoni 2003, pp. 238-40.

che non paresse aver la mente ingombra,tentando a render te qual tu parestilà dove armonizzando il ciel t’adombra,quando nell’aere aperto ti solvesti?

oppure nell’apologia autoriale contenuta nell’epilogo di Par. 14, in cui ladifesa dantesca passa attraverso figure etimologiche (belli e bellezza), ripe-tizioni (piacer, due volte), ricchi poliptoti (escusar puommi… per escusarmi),costruzioni oppositive impreziosite da figure paraetimologiche ed allitte-ranti (ancora i vv. 136-37: escusar… m’accuso; escusarmi e vedermi):41

Forse la mia parola par troppo osa,posponendo il piacer delli occhi belline’ quai mirando, mio disio ha posa;ma chi s’avvede che i vivi suggellid’ogni bellezza più fanno più suso,e ch’io non m’era lì rivolto a quelli,escusar puommi di quel ch’io m’accusoper escusarmi, e vedermi dir vero;ché ’l piacer santo non è qui dischiuso,perché si fa, montando, più sincero.

Come possiamo osservare, il senso di chiusa convogliato da tali epilo-ghi risulta molto più netto rispetto a quello ottenuto tramite finali appar-tenenti alle due precedenti tipologie: allo stacco di fine canto viene asovrapporsi un secondo indice terminale, ovvero l’arrestarsi del passo die-getico.

Tale effetto è evidente anche nell’ultimo explicit di questa serie, quellodi Inf. 25 (vv. 142-52):

Così vid’io la settima zavorramutare e trasmutare; e qui mi scusi

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la novità se fior la penna abborra.E avvegna che li occhi miei confusifossero alquanto, e l’animo smagato,non poter quei fuggirsi tanto chiusi,ch’i’ non scorgessi ben Puccio Sciancato;ed era quel che sol, di tre compagniche venner prima, non era mutato;l’altr’era quel che tu, Gaville, piagni.

Ci resta ora da chiederci il motivo per cui l’autore impiega così di radoquesta tipologia conclusiva: semplicemente, a nostro avviso, per la staticitàdi tali soluzioni, che nulla concedono al doppio movimento di aperturae chiusura che abbiamo visto caratterizzare tanto gli epiloghi diegetici,tanto quelli mimetici. La presenza della voce autoriale in clausola, infatti,per così dire sigilla l’unità retorica, ripiegandola all’indietro nel recuperoanaforico della materia precedente (oggetto, come abbiamo visto, delcommentativo), non presentando dunque nessun elemento narrativopotenzialmente sviluppabile nel canto successivo.

Brevemente, per concludere: il canto dantesco, secondo quanto emer-ge da questo nostro lavoro sui finali, struttura il flusso diegetico attornoalle proprie sedi liminari, che scandiscono il continuum narrativo senzaperò vincolarlo in un rapporto di stretta corrispondenza tra livello tema-tico e livello metrico-retorico. Se l’inizio è la sede dell’evento, il finale èluogo ambivalente di conclusione dell’evento precedente e di prepara-zione del nuovo; le posizioni rilevate, con i loro segnali d’apertura e dichiusura, agiscono sul racconto infondendogli nuova energia, arrestando-lo e rilanciandolo; imprimendogli, possiamo dire, un secondo respiro, dinatura esclusivamente formale, che componendosi con quello della die-gesi va a creare quel doppio passo (avanti-indietro, raccordo-rilancio) cheè poi caratteristica principale dell’altra grande invenzione metrica dante-sca, la terzina.

ALCUNI APPUNTI SUI FINALI DI CANTO NELLA «COMMEDIA» 25

Tabella distributiva delle tipologie conclusive lungo la CommediaDG: explicit diegetico; MI: explicit mimetico; RT: explicit retorico

Inferno Purgatorio Paradiso

Canto tipologie di finale

01 DG DG DG

02 DG DG MI

03 DG MI DG

04 DG MI DG

05 DG MI DG

06 DG RT MI

07 DG MI MI

08 MI MI MI

09 DG DG MI

10 DG DG DG

11 MI MI MI

12 DG DG MI

13 MI MI MI

14 MI MI RT

15 DG DG MI

16 DG DG MI

17 DG MI MI

18 MI DG RT

19 DG MI MI

20 DG DG DG

21 DG MI DG

22 DG MI DG

23 DG MI DG

24 MI MI DG

25 RT DG DG

26 MI DG MI

27 DG MI MI

28 MI DG MI

29 MI DG MI

30 MI MI MI

31 DG RT DG

32 MI DG DG

33 RT DG DG

34 DG - -

MATTIA COPPO26

ALCUNI APPUNTI SUI FINALI DI CANTO NELLA «COMMEDIA» 27

Bibliografia critica

Tutti i passi della Commedia sono citati da: Dante Alighieri, La Commedia secondol’antica vulgata a cura di Giorgio Petrocchi, Edizione Nazionale a cura dellaSocietà Dantesca Italiana, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1966-1967.

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