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Istituzioni, carismi ed esercizio del potere (IV-VI secolo d.C.) - © 2010 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it RITA LIZZI TESTA INSULA IPSA LIBANUS ALMAE VENERIS NUNCUPATUR: CULTI, CELEBRAZIONI, SACERDOTI PAGANI A ROMA, TRA IV E VI SECOLO 1. Alcune questioni aperte Il re dei fiumi, il bel Tevere ... si biforca e, reso due da uno, crea un’isola tra il porto dell’Urbe e la città di Ostia, dove il popolo romano con il prefetto della città o il con- sole si reca per celebrare i Castori in festa solenne. L’isola ... è così amena e verdeg- giante che né durante i mesi estivi, né in quelli invernali manca di erbe da pascolo in quantità sorprendente; in primavera, poi, si riempie di rose e di altri fiori, in modo tale che, per la sovrabbondanza del suo profumo e dei suoi fiori, l’isola stessa è chiamata il Libano dell’alma Venere 1 . Non sappiamo quando Etico abbia composto la sua Cosmographia, se nel V o nel VII secolo, secondo studi più recenti 2 . L’isola, secondo la sua fonte, era dedicata a Venere nutrice e si chiamava Libanus almae Veneris. Non aveva, dunque, assunto il nome di Isola Sacra, che appare per la prima volta in Procopio e con il quale an- cora oggi è nota 3 . Che tale denominazione risalisse ai primi del IV secolo, allorché 1 Aethicus, Cosmographia, in A. Riese, Geographi Latini minores, Heilbronn 1878, 83, 24: Flu- viorum rex, pulcher Tiberis … geminatur, et in duobus ex uno effectus insulam facit inter portum urbis et Ostiam civitatem, ubi populus Romanus cum urbis praefecto vel consule Castorum celebrandorum causa egreditur sollemnitate iocunda. Insula vero... tantae viriditatis amoenitatisque est, ut neque ae- stivis mensibus neque hiemalibus pasturae admirabiles herbas dehabeat; ita autem vernali tempore rosa vel ceteris floribus adimpletur, ut pro nimietate sui odoris et floris insula ipsa Libanus almae Ve- neris nuncupetur. 2 Tramandata sotto il nome di Aethicus, la Cosmographia è presentata da un autore, che si nomina Hieronymus presbiter, riconosce Donatus come proprio insegnante e sostiene di avere come fonte un antico filosofo e viaggiatore greco, altrimenti ignoto, che aveva mescolato geografia, racconti storici e miti. A lungo si è creduto che ne fosse autore Iulius Honorius Crator sulla base di Cassiodoro che, in De Inst. Div. 25, descrive un’opera cosmografica in termini che sembrano corrispondere alla Co- smographia di Aethicus: cfr. Berger 1893, 697-699. Tuttavia, il nuovo editore (O. Prinz 1993, 29-35) pensa che l’autore sia un franco merovingio, in virtù del tipo di latino usato. La sua ipotesi è oggi messa in discussione. Per la sua conoscenza del greco (rara nell’Europa del VII secolo), molto recen- temente si tende ad associarlo con la scuola di Canterbury dell’arcivescovo Teodoro nel tardo VII se- colo: Pollard 2006, 7-10. 3 L’area, formatasi con i detriti del Tevere e dal suolo fortemente impregnato di umidità, acquisì

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Istituzioni, carismi ed esercizio del potere (IV-VI secolo d.C.) - © 2010 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it

RITA LIZZI TESTA

INSULA IPSA LIBANUS ALMAE VENERIS NUNCUPATUR:CULTI, CELEBRAZIONI, SACERDOTI PAGANI A ROMA, TRA IV E VI SECOLO

1. Alcune questioni aperte

Il re dei fiumi, il bel Tevere ... si biforca e, reso due da uno, crea un’isola tra il portodell’Urbe e la città di Ostia, dove il popolo romano con il prefetto della città o il con-sole si reca per celebrare i Castori in festa solenne. L’isola ... è così amena e verdeg-giante che né durante i mesi estivi, né in quelli invernali manca di erbe da pascolo inquantità sorprendente; in primavera, poi, si riempie di rose e di altri fiori, in modo taleche, per la sovrabbondanza del suo profumo e dei suoi fiori, l’isola stessa è chiamatail Libano dell’alma Venere 1.

Non sappiamo quando Etico abbia composto la sua Cosmographia, se nel V o nelVII secolo, secondo studi più recenti 2. L’isola, secondo la sua fonte, era dedicata aVenere nutrice e si chiamava Libanus almae Veneris. Non aveva, dunque, assuntoil nome di Isola Sacra, che appare per la prima volta in Procopio e con il quale an-cora oggi è nota 3. Che tale denominazione risalisse ai primi del IV secolo, allorché

1 Aethicus, Cosmographia, in A. Riese, Geographi Latini minores, Heilbronn 1878, 83, 24: Flu-viorum rex, pulcher Tiberis … geminatur, et in duobus ex uno effectus insulam facit inter portum urbiset Ostiam civitatem, ubi populus Romanus cum urbis praefecto vel consule Castorum celebrandorumcausa egreditur sollemnitate iocunda. Insula vero... tantae viriditatis amoenitatisque est, ut neque ae-stivis mensibus neque hiemalibus pasturae admirabiles herbas dehabeat; ita autem vernali temporerosa vel ceteris floribus adimpletur, ut pro nimietate sui odoris et floris insula ipsa Libanus almae Ve-neris nuncupetur.

2 Tramandata sotto il nome di Aethicus, la Cosmographia è presentata da un autore, che si nominaHieronymus presbiter, riconosce Donatus come proprio insegnante e sostiene di avere come fonte unantico filosofo e viaggiatore greco, altrimenti ignoto, che aveva mescolato geografia, racconti storicie miti. A lungo si è creduto che ne fosse autore Iulius Honorius Crator sulla base di Cassiodoro che,in De Inst. Div. 25, descrive un’opera cosmografica in termini che sembrano corrispondere alla Co-smographia di Aethicus: cfr. Berger 1893, 697-699. Tuttavia, il nuovo editore (O. Prinz 1993, 29-35)pensa che l’autore sia un franco merovingio, in virtù del tipo di latino usato. La sua ipotesi è oggimessa in discussione. Per la sua conoscenza del greco (rara nell’Europa del VII secolo), molto recen-temente si tende ad associarlo con la scuola di Canterbury dell’arcivescovo Teodoro nel tardo VII se-colo: Pollard 2006, 7-10.

3 L’area, formatasi con i detriti del Tevere e dal suolo fortemente impregnato di umidità, acquisì

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Costantino avrebbe donato l’isola alla chiesa di Ostia, pare oggi ipotesi inverosi-mile 4. Lungo la strada che l’attraversava collegando Ostia con Porto, però, si erasviluppata da tempo una necropoli5, ai margini della quale acquisì centralità devo-zionale una memoria di sant’Ippolito, cresciuta nei secoli fino ad acquisire il rangodi chiesa cattedrale di Porto 6: il nome di Isola Sacra potrebbe ricollegarsi a quellapresenza e agli altri monumenti cristiani disseminati nell’isoletta. La devozione versoun santo di cui non si conosce con sicurezza l’origine – Ippolito, per nome “colui chescioglie i cavalli”, secondo la Passio SS. Sixti, Laurentii et Hippolyti martirizzatodai cavalli indomiti ai quali era stato legato 7 – esaugurò, infine, il ricordo dei gemellidivini che, inseparabili dai loro cavalli, da tempo immemorabile, proteggevano la na-vigazione. Il processo, però, fu più lungo di quanto normalmente si creda, anche sela chiesetta paleocristiana dedicata a sant’Ippolito sembra avesse il proprio vescovogià in età damasiana 8.

Il popolo romano, infatti, rimase a lungo devoto ai Dioscuri. Lo era nel 359,quando il sacrificio che il prefetto urbano Tertullo offrì loro nel tempio di Ostia fecesì che, in un mare improvvisamente calmo, le navi annonarie entrassero in porto ariempire di frumento i granai dell’Urbe 9. Lo era ancora a metà circa del V secolo,

l’aspetto insulare quando Traiano (probabilmente tra il 106 e il 113), per ovviare ai rischi di costanteinsabbiamento del porto di Claudio (42-46), fece costruire un nuovo bacino perfettamente esagonale,più interno e protetto, e ampliò uno dei canali di Claudio, che si diramava dal Tevere a sud-est del ba-cino, nelle dimensioni della Fossa Traiana (attuale canale di Fiumicino tuttora navigabile): Pavolini19963, 50 e 75; Pavolini 20064, 261 con riferimento a Proc. De bello gothico I, 26 ove compare laprima attestazione del nome Isola Sacra.

4 AA.VV. 1977, 625.5 AA.VV. 1975; Baldassarre 2002.6 Della chiesa paleocristiana, esterna alla cinta e a ridosso del cimitero cristiano sorto vicino alla ne-

cropoli pagana, restano oggi poche strutture e il tardo campanile cosmatesco (XII secolo) inglobato inun casale addossatosi al campanile nel 1755. Essa è nota dalla biografia di Leone IV (847-855) delLiber Pontificalis e da un Atto di Benedetto VIII (1018), ove la chiesa medievale è menzionata qualecattedrale di Porto: Lugli - Filibeck 1935, 148-149; Février 1958, 314. Per le evidenze archeologiche,documentate dagli scavi promossi dall’Istituto di Archeologia Cristiana dell’Università di Roma a par-tire dal 1970, Pani Ermini 1975.

7 Del santo ivi venerato non si sa se fosse originario di Porto o se si debba invece identificarlo conil martire romano della via Tiburtina, la cui memoria fu rivitalizzata da Damaso (Dam. Ep. 35, ed. A.Ferrua, Roma 1942, 169-174) e che, secondo Prudenzio (Perist. XI), era stato martirizzato a Porto esepolto a Roma. Nella Passio SS. Sixti, Laurentii et Hippolyti, Ippolito è il vicario che imprigiona Lo-renzo ma che, da lui convertito, dopo aver confessato la propria fede davanti a Decio, è condannato adessere trascinato da cavalli imbizzarriti, il 13 agosto. Nella Passio di sant’Aurea, invece, Ippolito è con-fuso con Nonno: Delehaye 1933, 72-98 (testo).

8 Testini 1978-79: una lastra marmorea di grandi dimensioni, rinvenuta nell’area di sant’Ippolito du-rante la campagna di scavo del 1975-1977, menziona il vescovo Eraclida, che compare anche in unatabella ansata di bronzo legata a una lampada votiva, probabile parte di un donario. Per le caratteristi-che paleografiche, Eraclida potrebbe essere stato il costruttore della basilica, lo stesso che abbellì latomba del martire. La costruzione di tale chiesa può aver assegnato a Porto quel ruolo, nella vicendamartiriale di Ippolito, che già Prudenzio riconosceva alla città, descritta come luogo del martirio delsanto (Perist. XI).

9 Amm. 19, 10, 4. Sul prefetto urbano del 359-361, vd. PLRE I, s. v. Tertullus 2, 882-883.

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quando a Ostia continuavano a svolgersi ludi in loro onore 10. La fiducia nella loroprotezione, infine, non era venuta meno neppure alla fine dello stesso secolo, quandopapa Gelasio chiedeva ai suoi interlocutori: «Perché i Castori vostri, al cui culto nonavete voluto rinunciare, non vi hanno reso propizii i mari, cosicché in inverno giun-gessero fin qui i navigli pieni di frumento e la città non soffrisse la fame? O forseciò si verificherà nei giorni che verranno, d’estate?» 11.

Il rapido cenno ai Dioscuri, in questo testo, è per lo più passato inosservato, dalmomento che la lettera di Gelasio è famosa soprattutto per l’attacco portato dal ve-scovo di Roma contro i Lupercali 12. Essa, invece, oltre ad assicurare che il 15 feb-braio, sullo scorcio del V secolo, nell’Urbe erano ancora organizzati i Lupercali 13 –sebbene forse a correre ormai fossero degli attori professionisti, anziché i membridell’antica sodalitas 14 – conferma che pure ai Dioscuri era tributato un culto informa festiva. E quest’ultimo si esprimeva non solo nei ludi, ma pure nella iucundasollemnitas descritta da Etico: una processione festosa del popolo, organizzata nelperiodo dell’anno in cui, essendo il mare solitamente in tempesta, si avvertiva il bi-sogno d’implorare i Castori perché facessero giungere le navi in Porto, scongiu-rando la carestia.

In qualunque secolo Etico si fosse accinto a raccogliere il suo materiale geogra-fico, infatti, la descrizione di quella processione non risaliva a un periodo troppoanteriore all’inoltrato V secolo. A guidare la processione, secondo Etico, poteva es-sere il prefetto urbano o il console: un’alternativa nella conduzione della cerimonia,che può essersi imposta di necessità solo quando la nomina dei consoli in Occidente

10 Mentre nel Calendario di Filocalo è ricordato il natalis del tempio di Castore e Polluce, l’8 aprile,(Inscr. It. 13, 2, 245, ed. A. Degrassi, Roma 1963), nel 448 Polemio Silvio, alla data del 27 gennaio,annota: Ludi Castorum Ostiis, quae prima facta colonia est (Inscr. It. 13, 2, 264).

11 Gel. Ep. adversum Andromachum 18 (ed. G. Pomarès, SCh 65, Paris 1959, 162-189), 176 = Col-lectio Avellana, Ep. 100 (ed. O. Günther, CSEL 35, Vienna 1895-1898, 453-464): Castores vestri certe,a quorum cultu desistere noluistis, cur vobis oportuna maria minime praebuerunt, ut hiemis temporevenirent huc navigia cum frumentis et civitas inopia minime laboraret? An diebus sequentibus hoc fu-turum est aestatis? L’edizione qui usata è quella di Pomarès.

12 Non è sfuggito, tuttavia, a Duval 1978, 256; cfr. ora McLynn 2008, 171 e Lizzi Testa 2009, 137.13 Come ricordato anche da Polemio Silvio: Inscriptiones Italiae 13, 2, 265 (Lupercalia).14 McLynn 2008, 168-170, valorizzando Gel. Ep. adversum Andromachum, 16 (vos ea depretiatis,

vos eorum cultum celebritatemque vilem vulgaremque redditis … apud illos (scl. i maiores) enim no-biles ipsi currebant ... vos ergo primi in Lupercalia commisistis; ... sed deduxistis venerandum vobiscultum et salutiferum quem putatis ad viles trivialesque personas, abiectos et infimos) ha brillante-mente dimostrato che i Lupercali del tempo di Gelasio erano celebrati da attori/attrici professionisti, iquali – per la professione svolta – erano giudicati elementi non cristianizzabili (Lim 2003). Non sem-bra condivisibile, tuttavia, l’idea che l’impiego di tali professionisti dello spettacolo risalga alla finedel IV secolo, quando con l’abolizione dei sacrifici sarebbe scomparsa anche l’antica sodalitas deiLuperci: se così fosse stato, il papa non avrebbe enfatizzato il fatto e non ne avrebbe parlato al presente,come proposta concomitante con la volontà di ripristinare i Lupercali dopo una sospensione (ibidem,16; 26-27): se attori fossero stati impiegati dalla fine del IV secolo, dopo un centinaio d’anni la loropresenza sarebbe divenuta consuetudo.

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cominciò a farsi discontinua: non prima del 410 ma, soprattutto, a partire dalla se-conda metà del V secolo, allorché dal 464 al 468, come pure dal 473 al 483 e dinuovo dal 491 al 495, i consoli orientali o quelli occidentali rimasero vari anni senzacollega 15.

Il testo, inoltre, sembra implicare che quella processione si fosse svolta di nuovo,come ogni anno, solo qualche giorno prima di quando Gelasio si accingeva a scri-vere la sua lettera contro Andromaco 16. Il riferimento al culto dei Castori, infatti, nongiunge all’improvviso o a caso, bensì dopo una lunga rampogna contro i patroni deiLupercali 17, per offrire una prova tangibile di quanto insulsa fosse la loro fede nelpotere salutifero di quelle feste pagane 18. Poiché la processione descritta da Eticodoveva essere la stessa che portava il popolo di Roma ad assistere ai ludi Castorumdi Ostia ogni anno il 27 gennaio, il papa si riferiva a un fatto verificatosi proprio inquei giorni 19.

Non era quella, forse, l’unica cerimonia pagana ancora in vigore a Roma, oltre aiLupercalia. Potremmo anzi supporre che vi fossero celebrate tutte quelle feste che,citate nel Calendario di Filocalo del 354, compaiono anche in quello redatto da Po-lemio Silvio nel 448: Carmentalia, Quirinalia, Regifugium, Floralia, Volcanalia,Septimontium, alcune delle quali implicavano la presenza di Flamines, rex sacrorume Vestali 20. Già dopo il sacco di Roma del 455, del resto, papa Leone si rammaricavache, nella cristianissima Roma, si spendeva più per i demoni che per gli Apostoli 21.

Tuttavia, proprio perché la processione per i Castori era stata organizzata di re-cente e quell’anno era risultata inefficace, non avendo impedito il dilagare in cittàdella carestia, il papa ne traeva forza per mostrare l’infondatezza delle credenze an-cora diffuse tra il popolo e i suoi patroni. Pur nelle disgrazie cittadine, Gelasio iro-nizzava sulla situazione, chiedendo agli organizzatori della processione – gli stessiche sostenevano la necessità di celebrare anche i Lupercali, come mostra l’aggettivovestri Castores loro riferito – se non fossero disposti ad aspettare l’estate per pro-clamare la potenza salvifica di quelle divinità, visto che allora, in inverno, le navierano ancora bloccate al largo 22.

15 Fasti in PLRE II, 1242-1244 e CLRE 1987, 462, 466-467, 470-471, 480, 482-483, 484-485, 490-491, 492-493, 496-497, 500-501, 516-517, 524-525: nel 464 entrambi i consoli erano orientali; un con-sole unico è registrato nel 466, nel 468, nel 473, nel 474, nel 475, nel 478, nel 479, nel 481, nel 483,nel 491, nel 495.

16 A guidarla, inoltre, era stato allora un console, visto che l’episcopato di Gelasio (o almeno dal 492al 494) coincise con un periodo di rinnovate nomine consolari in Occidente: CLRE 1987, 518-523.

17 Gel. Ep. adversum Andromachum, 18.18 Gel. Ep. adversum Andromachum, 19.19 Supra, n. 10.20 Inscriptiones Italiae 13, 2, 239 e 264; 241 e 265; 245 e 267; 253 e 271; 261 e 275.21 Fraschetti 2000, 318, n. 17, con riferimento a Leo, Sermo 85 (PL 54), 434.22 Gel. Ep. adversum Andromachum, 18 (cit. n. 11): Castores vestri certe... An diebus sequentibus

hoc futurum est aestatis?

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Secondo la testimonianza di papa Gelasio, dunque, non solo due feste paganecontinuavano ad essere allestite a Roma con attiva partecipazione di popolo, mag-giorenti cittadini e funzionari imperiali, come il console che aveva guidato la pro-cessione a Porto e il prefetto urbano (quale probabilmente Andromaco era 23), chevoleva organizzare i Lupercali. Entrambe, a dire del papa, erano avvertite da popoloe funzionari come rituali religiosi, nella condivisa fiducia che le divinità, cui eranorivolti, potessero operare in tutela della cittadinanza, allontanando lo spettro dellacarestia, ovvero riducendo gli effetti della pestilenza. Delle feste rituali antiche, d’al-tra parte, la corsa dei Lupercali e la processione in onore dei Castori avevano con-servato tutti i caratteri principali: entrambe prevedevano la partecipazione dell’interocorpo cittadino; entrambe erano promosse e si svolgevano alla presenza delle auto-rità civili; la processione in onore di Castore e Polluce comprendeva probabilmenteanche una sorta di banchetto, o pasto in comune, essendo una sollemnitas iucunda;l’una e l’altra offrivano occasioni di divertimento, che nei Lupercali non erano esentida licenziosità, secondo gli antichi riti di purificazione del corpo civico 24.

Né l’una né l’altra contengono, però, alcun cenno ai sacrifici rituali. Condannati,a dire di Eusebio, già da Costantino, fatti oggetto di feroci sanzioni da Costanzo II,a Roma erano stati interdetti da Teodosio I nel 391 25. Gelasio sembra confermareche, alla fine del V secolo, quel divieto non era più trasgredito nell’Urbe. Come inun empito d’impazienza, di fronte alle motivazioni fatte valere dai patroni dei Lu-percali per conservare quelle cerimonie, il papa esortava i loro organizzatori a de-porre la maschera di falsi cristiani, col ripristinare infine la sostanza della loro fede:

Si sacrifichi allora nei templi dei demoni e si celebri la vana idolatria in Campi-doglio: perché difendete una parte e trascurate gli aspetti più importanti? 26.

23 Secondo una buona congettura di McLynn 2008, 171, n. 60. Per PLRE II, s. v. Andromachus 3,89, costui era lo stesso magister officiorum et consiliarius, che nel 489 fu mandato a Costantinopolicome inviato di Odoacre, con l’incarico di ricucire lo scisma dottrinale che contrapponeva Acacio alpapa.

24 Per North 2008, 148, le pratiche compiute nel corso dei Lupercali sono riconducibili a tipici ri-tuali carnevaleschi. Secondo McLynn 2008, 170, l’aspetto fescennino sarebbe diventato prevalente al-l’epoca di Gelasio, allorché gli attori professionisti avrebbero utilizzato le loro cantilenae per denunciarevizi e malefatte di alcuni cittadini evocati nominalmente. Proprio il fatto che tra questi ultimi non sa-rebbe quell’anno mancato il prete adultero, avrebbe scatenato la reazione del papa. Tale interpreta-zione, suggerita da Gel. Ep. adversum Andromachum, 20 (Nec est quod dicatis potius haec agendo etfacinora uniuscuiusque vulgando deterreri a talibus commissos animos et pudore refrenari ne de hispublica voce cantetur) non impone, tuttavia, di tornare alla lezione del manoscritto nominum, rigettandola correzione di Thiel e Baronius numinum nei due passi successivi di Gel. Ep. adversum Andromachum,20 (sed potius per quandam laetitiam et celebritatem numinum decantata est, quaelibet illa persona,immo et religione se praestare confidit, ut sit unde numinum sollemnia celebrentur, quae nisi criminumdecantationibus non coluntur): l’impressione è che le cantilenae ancora contenessero litanie di nomidi divinità con i loro epiteti, che per il papa erano facinora.

25 Per una discussione sull’argomento, vd. oltre.26 Gel. Ep. adversum Andromachum, 28: Sacrificetur in templis demonum et in Capitolio profana

vanitas celebretur! Cur portionem defenditis et quae maiora sunt praeteritis?

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Sacrifici nei templi, profana vanitas in Campidoglio: erano quelli i mali mag-giori con il quale il paganesimo urbico era stato identificato, gli stessi che, comealtrove il papa ricordava, la Chiesa aveva da tempo ottenuto di sradicare 27.

Ci si chiede, tuttavia, se quei sacrifici ormai non più praticati, a cui si riferisceGelasio, fossero gli stessi che davano solennità a una festa. Il problema, infatti, èquale valore assegnare all’espressione Castorum celebrandorum causa usata daEtico e capire se, una volta giunta a Porto, la processione compisse o no un rito pro-piziatorio, prima di assistere ai ludi organizzati ad Ostia. Allo stesso modo, sarebbeinteressante sapere dove i Luperci, o quanti correvano a posto loro, si procurasserole sferze. Corsa rituale e utilizzo delle fruste erano parti integranti del rito lustraleche, eliminando le cause di contaminazione, permetteva alle donne di generare figli.Come, dunque, il rito sarebbe stato efficace a placare il dio Februarius, allonta-nando la pestilenza dalla città se, oltre a correre attori professionisti, costoro nonavessero neppure brandito le consuete fruste sacrificali? E quelle, che un tempoerano ricavate dalle pelli della capra uccisa nel Lupercal prima di dare avvio alla ce-rimonia 28, con cosa erano fabbricate nella Roma cristiana di papa Gelasio?

Ora: è convinzione generale che feste, quali la processione del popolo di Romaall’Isola Sacra il 27 gennaio e i Lupercali il 15 febbraio, fossero prive di qualunqueforma sacrificale e, per questo, avessero perso la loro identità religiosa alla streguadei templi e delle statue degli dèi, preservati alla distruzione ma chiusi al pubblicoe al culto. Si sarebbe dunque trattato di fossili inerti in un mondo ormai cristiano.La città, divenuta spazio neutro 29, continuò ad ospitare feste antiche e rituali tradi-zionali e, almeno in Occidente, impedì che i luoghi di culto e i suoi simboli fosserodistrutti, perché il loro mantenimento rispondeva a bisogni di tipo sociale e poli-tico. Le feste, in particolare, ravvivavano il sentimento patriottico, il senso di ap-partenenza del popolo; nell’ottica dei dirigenti locali, permettevano di controllarel’umore popolare, essendo occasioni in cui si esprimeva l’attaccamento o il dissensoverso le élites cittadine e l’imperatore; i templi, inoltre, avevano valore monumen-tale, le statue abbellivano gli spazi urbani. Aboliti i sacrifici, però, templi, statue diculto e tutta la vita pubblica festiva sarebbero entrati nel registro del profano che, perdilatazione del campo semantico, avrebbe coinciso con il secolare, il laico, il non re-ligioso 30.

27 Gel. Ep. adversum Andromachum, 28: Multa sunt, quae singulis pontificibus diverso tempore su-blata sunt noxia vel abiecta.

28 Per la confezione dello staffile, in alune fonti chiamato amiculum Iunonis, Plut. Rom. 21, 7-8,Caes. 61, 2; Ant. 12, 2-3; Fest. 75-76L.; Paul. Fest. 49L. Il rito delle frustate alle donne, che volentierivi si sottoponevano per risolvere la propria sterilità, sarebbe stato introdotto nel 276 a. C. in seguito auna pestilenza, che aveva provocato la sterilità femminile: contra vedi Coarelli 2005, 29-32 e Valli2007, 120-128.

29 Lepelley 2002.30 Belayche 2007.

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Questo, infatti, è il linguaggio delle costituzioni che, dopo i serrati divieti ema-nati negli anni 391-392, assicurarono la tutela dei templi e delle statue di culto, per-ché – esclusi i sacrifici – potevano essere riguardati come edifici qualunque e oggettiornamentali: Sicut sacrificia prohibemus, ita volumus publicorum operum orna-menta servari… 31. Nel ribadire il divieto dei sacrifici, le costituzioni si preoccupa-rono che i notabili continuassero ad organizzare feste cittadine, soprattutto secollegate a giubilei e altre ricorrenze imperiali:

...Unde absque ullo sacrificio atque ulla superstitione damnabili exhiberi populovoluptates secundum veterem consuetudinem, iniri etiam festa convivia, si quandoexigunt publica vota, decernimus 32.

Alcuni cristiani poi, nonostante, o proprio per, la preoccupazione che tale nor-mativa suscitò, non esitarono a propagandarla come frutto della definitiva vittoriadi Cristo sull’empietà del paganesimo:

Tunc pura ab omni sanguine / tandem nitebut marmora. / Stabunt et aeria inno-xia / quae nunc habentur idola 33,

o anche

Marmora tabenti respergine tincta lavate, o proceres. Liceat statuas consisterepuras, artificum magnorum opera; haec pulcherrima nostrae ornamenta fiant pa-triae nec decolor usus in vitium versae monumenta coinquinet artis 34.

Non fu questa, tuttavia, l’impressione di Gelasio dopo aver appreso per qualemotivo i patroni dei Lupercali volessero ripristinare la corsa rituale dal Lupercal:

Le malattie vengono perché le divinità non sono onorate e il dio Februario non èplacato 35.

Dalla lettera papale sembra chiaro che quelle motivazioni erano state espresse inun proclama pubblico (palam tamen publiceque praedicare non horreat, non refu-giat, non pavescat), resosi forse necessario perché, diversamente dalla processioneannuale a Porto, i Lupercali dovevano essere ripristinati dopo breve sospensione 36.

31 CTh 16, 10, 15 (29 gennaio 399 = 29 agosto 399) Macrobio vicario Hispaniarum et Proclianovicario quinque provinciarum.

32 CTh 16, 10, 17 (20 agosto 399) Apollodoro procons(uli) Afric(ae).33 Prud. Perist. 2. 481-484. Shanzer 1989, 452, n. 1, per prima, ha individuato nel passo il riferimento

alla legge di Onorio; su Prud. Contra Symm. I, 501-505 cfr. Solmsen 1965 e Baldini 1987-1988.34 Prud. Contra Symm. I, 501-505.35 Gel. Ep. adversum Andromachum, 3: ... qui, cum se christianum videri velit et profiteatur et dicat,

palam tamen publiceque praedicare non horreat, non refugiat, non pavescat ideo morbos gigni quiadaemona non colantur et deo Februario non litetur, ei deo ubi haec deliramenta compererit?

36 Nonostante in molte parti della lettera i Lupercali siano definiti sublata, ablata, meis temporibus

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Poiché il papa giunse a scomunicare Andromaco proprio a causa di quelle blasfemeaffermazioni 37, sembra difficile pensare che mentisse al riguardo di ciò che era statopubblicato. Potrebbe aver esagerato sulla portata della fede che esse esprimevano,al fine di porre sullo stesso piano l’adulterio spirituale, che egli denunciava nei pa-trocinatori dei Lupercali, e quello reale, perpetrato da un suo chierico, che gli stessiavevano messo alla berlina 38. Tuttavia il sistema concettuale, su cui per secoli si erabasata la publica religio di Roma, risultava del tutto integro in quella breve allocu-zione, nella dichiarazione che, se la città viveva una condizione di sofferenza, la di-vinità era evidentemente da placare (litetur).

Il papa, dunque, era convinto che quelle feste esprimessero ancora un perfettospirito pagano, tantoché non essendo in suo potere impedirle, sosteneva che solo ipagani avrebbero potuto celebrarle 39. E ciò, nonostante la supposta mancanza dei sa-crifici rituali, nonostante le innovazioni apportate nella loro conduzione con l’in-trodurvi attori professionisti e la rassicurazione di Andromaco che essi valevanosolo come imago: «Ma tu dici che è solo il simulacro di questa stessa cerimonia chenon deve essere abolito 40».

La distinzione operata nei testi normativi, infatti, era di per sé innaturale, frutto diun accomodamento provocato dalle pressioni esercitate sull’imperatore da gruppicon esigenze religiose divergenti. A fronte del linguaggio del terrore e della coerci-zione usato in quelle leggi, esse scaturirono da una sorta di “strategia della convi-venza” e furono il mezzo tramite il quale, mentre si facilitava la cristianizzazionedell’Urbe, si concedeva nondimeno di mantenere gran parte dell’antico patrimonio.Essendo tale l’andamento normativo, è evidente che come molti erano ormai cristianie premevano per agevolare il trionfo della propria fede, altri continuavano ad esserelegati ai valori tradizionali e tentarono di assicurarne la sopravvivenza, perché li pen-savano strettamente connessi con un corretto vivere civile: il linguaggio delle costi-tuzioni, non a caso, insiste sull’importanza ‘pubblica’ di templi, statue e feste.

Applicate o meno con rigore 41, le leggi semplicemente lasciarono ampi marginidi espressione alla devozione verso gli antichi culti di popolo ed élites. Di ciò era

sublata (13, 14, 15, 21, 22, 23, 24a), è chiaro che essi erano stati celebrati ancora al tempo di Alaricoe del conflitto tra Antemio e Ricimero nel 472 (25a); più che di abolizione, si deve dunque pensare aintermittenti sospensioni, dal momento che nessuno dei predecessori di Gelasio, pur tentandolo, eranoriusciti a farli sopprimere (31): McLynn 2008, 166-168.

37 Gel. Ep. adversum Andromachum, 9: Itaque etiam tu post blasphemias palam publiceque profu-sas a sacro corpore modis omnibus abstinendus es.

38 Gel. Ep. adversum Andromachum, 2-3.39 Gel. Ep. adversum Andromachum, 30: et soli hoc pagani, quorum ritus est, exsequantur. Come

proprie dei pagani erano considerate: con tale termine, infatti, il papa non si riferisce ai soli esecutoridella corsa, come sembra ritenere McLynn 2008, 170, bensì a tutti coloro che ne avessero approvatoil ripristino e volessero parteciparvi.

40 Gel. Ep. adversum Andromachum, 27: sed inquis vel imaginem ipsius rei non debere moveri.41 Lizzi Testa 2009b.

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cosciente lo stesso Gelasio, propenso a darne una spiegazione di tipo medico-bio-logica:

Molte sono le pratiche nocive e abiette, che in momenti diversi sono state elimi-nate grazie a singoli pontefici; la medicina, infatti, non cura tutti i mali del corpo inuna volta, bensì affronta per primo quello che risulta metterlo in più grave pericolo,o per paura che l’organismo non resista al rimedio, o perché, data la nostra condizionemortale, è impotente a combatterli tutti insieme 42.

Poiché alla fine del V secolo appariva ancora necessario giustificare in tal modole evidenti sopravvivenze pagane (i tanti mali incurabili), che provocavano imba-razzo, oltreché sdegno, è difficile condividere l’opinione di quanti ritengono chetempli, statue di culto e vita festiva fossero considerati ‘profani’, nel senso di “nonreligiosi, non più appartenenti agli dèi, ma solo agli uomini”, già quando, o non ap-pena, le costituzioni li dichiararono tali: è difficile in sostanza credere che la cri-stianizzazione di Roma fosse un fatto compiuto alla fine del IV secolo.

Lo spazio civico continuò ad essere condiviso da pagani e cristiani, tra tensionie conflitti come quelli manifestati dalla lettera di papa Gelasio: molto più a lungodi quanto sia stato creduto e indipendentemente dal livello di adesione interiore alleopposte credenze, comunque imponderabile per i pagani, non meno che per i cri-stiani. I progressi di tale processo, infatti, al di là della somma delle conversioni in-dividuali, sono ormai volentieri letti nelle trasformazioni subite dallo spazio urbano,in quelle che investirono il tempo civico, negli adeguamenti del calendario, nei segnisempre più cospicui delle realizzazioni edilizie della Chiesa. Ognuna di tali indaginiha dato la percezione della lentezza del fenomeno, offrendo una chiave per imma-ginarne la durata al di là della fine del IV secolo.

Quando e perché esso si sia concluso resta, tuttavia, una variabile tuttora indefi-nita. Il nuovo esame di alcune testimonianze vuole tentare di circoscriverne i limiticronologici, ancorando a motivi non solo religiosi il senso del suo compimento. Ilprocesso, però, ebbe tempi e modi diversi nelle varie parti dell’Impero, essendovarie le forme di sacralità civica cui le comunità erano legate. Poiché ogni discorsosulla fine del paganesimo civico è destinato a ingenerare equivoci, qualora non siaancorato alla vita di una città o di una regione specifiche, la maggior parte delle te-stimonianze qui esaminate saranno essenzialmente volte a illustrare la situazionedell’Urbe, l’antica capitale dell’Impero, sopravvissuta tra IV e VI secolo grazie almantenimento degli istituti imperiali ma anche e soprattutto in virtù dei suoi tradi-zionali organi municipali.

42 Gel. Ep. adversum Andromachum, 29: Multa sunt, quae singulis pontificibus diverso tempore su-blata sunt noxia vel abiecta; non enim simul omnes in corpore curat medicina languores, sed quod pe-riculosius conspicit imminere, ne aut materia corporis non sufficiat medicinae aut pro conditionemortali simul omnia non possit avertere.

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2. La condanna dei sacrifici e del culto pagano: l’ottica romana

...Voi, in verità, che ritenete giusto espletare quel rito, recatevi presso gli altaripubblici e i santuari e celebratelo con solennità secondo la vostra consuetudine;quanto a noi, infatti, non proibiamo gli offici di una pratica superata, purché sianoespletati in piena luce 43.

Se dunque proclamate che questo rito sacro – o piuttosto esecrabile – è per voi sa-lutare, voi stessi celebratelo secondo il costume degli antenati, voi stessi correte nudicon una cordicella... 44.

Dopo quasi due secoli, per dare voce al proprio disprezzo per una festa paganache ancora si celebrava nell’Urbe, Gelasio adottava lo stesso linguaggio di “distac-cata tolleranza” con cui Costantino, nel 319, si era rivolto al popolo di Roma, espli-citamente indicando che la sua religione non era quella degli aruspici e dei sacerdotipagani, ma pure precisando che egli non intendeva impedire loro di celebrare i pro-pri riti, purché alla luce del giorno e in pubblico. Nel caso di Gelasio, egli sempli-cemente non ne aveva il potere, anche se come altri vescovi prima di lui, intervenneproibendone la partecipazione a baptizati e christiani. Sebbene nel V secolo la per-centuale di coloro che avevano convinzioni religiose differenti da quelle del pro-prio imperatore o del proprio vescovo fosse dunque sicuramente cambiata, nelpopolo di Roma rimanevano ancora gruppi di fede non cristiana, identificabili dallecerimonie che volevano espletare.

Nessun imperatore romano, infatti, emanò mai una legge di valore universalecontro il paganesimo e, apparentemente fino al 391-392, nessuno proclamò un’in-terdizione generale dei sacrifici, nonostante molte siano le affermazioni in sensocontrario degli autori cristiani e le non meno tendenziose lamentele dei pagani. Co-stantino e i suoi figli avevano più volte ribadito il divieto di sacrificare, e lo stessofece Teodosio I tra il 381 e il 390. Ad essere colpiti, tuttavia, furono esclusivamentei sacrifici compiuti di notte o in segreto, al fine di scrutare il futuro dalle viscerepalpitanti degli animali 45. L’atto sacrificale, dunque, fu ripetutamente condannato,non tuttavia perché rito pagano, bensì perché pericoloso in senso politico 46.

43 CTh 9, 16, 2 (15 maggio 319 ad populum):...Qui vero id vobis existimatis conducere, adite araspublicas adque delubra et consuetudinis vestrae celebrate sollemnia: nec enim prohibemus praeteri-tae usurpationis officia libera luce tractari. Studi molteplici sono citabili su questa costituzione, tra cuiGrodzynski 1974, 270; Montero 1991, 67-72.

44 Gel. Ep. adversum Andromachum, 17: Si vere ergo profitemini hoc sacrum ac potius execra-mentum vobis esse salutare, ipsi celebrate more maiorum, ipsi cum resticulo nudi discurrite...

45 Nonostante molta bibliografia più recente al riguardo, resta insuperata la lucida analisi della pro-duzione legislativa, da Costantino al 390, di Delmaire 2004.

46 Secondo Eusebio (VC 2, 44-45; 4, 23, 25), dopo la conquista dell’Oriente, Costantino avrebbeemanato un’interdizione universale dei sacrifici. La stessa disposizione è ricordata da Soz. HE I, 8, 5;Theod. HE I, 2, 3; V, 21, 1 e persino da Cass. Hist. Trip. I, 9, 5; IX, 33, 1. Gli studiosi moderni sono di-visi, propensi ad accettare o rifiutare tale informazione (bibliografia in De Giovanni 20032, 161-163).

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Un certo irrigidimento si verificò con Costanzo II. Nel 356, consultare haruspici,mathematici e harioli, ovvero esercitare l’arte di trarre augurî e vaticinî o fare divi-nazioni, furono giudicati da Costanzo II atti colpevoli di morte 47. Nel 358, praticheocculte e divinazione aruspicale furono incluse tra i casi di maiestas, ma solo se apraticarle fossero stati membri del comitatus imperiale, avendo Costanzo II l’in-tento di colpire Giuliano e i suoi amici: allora per la prima volta, l’aruspicina – ov-vero la pratica applicata ai sacrifici di tipo consultorio – fu repressa senza distingueretra forma pubblica e forma privata 48. In ambiente orientale, soprattutto a Scitopolie in Antiochia, dove la presenza di eserciti imperiali, del Cesare o dell’Augusto peralcuni anni rese particolarmente nervosa la vita di notabili municipali e popolo,quella normativa fu applicata con rigidità, conculcando l’espressione pubblica diuna scientia di cui, in piena età teodosiana, Ammiano elogiava l’utilità pubblica 49.

A Roma si risentì meno di tale inasprimento legislativo: continuarono i sacrificipropiziatorii, quale certamente era quello che usualmente si teneva al tempio deiCastori e che Tertullo pubblicamente celebrò nel 359; o quelli espletati dalle Ve-stali, menzionate come cultualmente attive alla fine del regno di Costanzo 50. Nons’interruppero neppure i sacrifici consultorii degli aruspici pubblici, seppure la nar-razione ammianea faccia intuire quali effetti ebbe, anche in ambiente urbico, la tor-tuosità legislativa degli anni successivi. Le disposizioni di Costanzo II furonoabrogate da Giuliano con l’editto del 362 quando, a dire di Libanio, tutti coloro chepraticavano forme di divinazione poterono abbandonare la clandestinità 51, ma è dif-

Se si tiene conto dell’insieme delle testimonianze – rifiuto di Costantino di salire in Campidoglio consprezzo dei sacrifici cruenti organizzati da lui o in suo onore (Zos. 2, 29; VC 1, 48); tenore delle costi-tuzioni conservate (CTh 9, 16, 2; 9, 16, 1 a conferma della precedente, e 16, 10, 1); richiamo di Costanzoall’attività paterna in CTh 16, 10, 2 (a Madaliano vicario d’Italia, nel 341: ... cesset superstitio, sacri-ficiorum aboleatur insania. Nam quicumque contra legem dii principis parentis nostri...); testimo-nianza di Lib. Or. XXX, 6, – persino le condizioni poste nel rescritto di Spello (CIL X, 5265 = ILS 705:ne aedis ... contagiose superstitionibus fraudibus polluatur) andranno interpretate nel senso che si vo-leva mantenere quel tempio incontaminato da pratiche di carattere magico e divinatorio. Anche dopoaver occupato l’Oriente, infatti, Costantino non vietò tutti i sacrifici, ma solo quelli che potevano fa-vorire consultazioni aruspicali pericolose, da sempre proibite: Delmaire 2004, 321-325.

47 CTh 9, 16, 4 e 5; 16, 10, 4. Tali interdizioni furono probabilmente emanate insieme: Cuneo 1997,308-311. Sulle novità contenute in tale editto, entro una vasta letteratura, si veda Desanti 1990, 146 ss.;De Giovanni 20032, 165.

48 CTh 9, 16, 6. Espressa per la prima volta da Thulin 1905-1909, III, 141, l’idea è stata sviluppatada Montero 1991, 81- 85. Per il contesto di emanazione e per gli effetti che ebbe in termini di repres-sione politica, vd. Lizzi Testa 2004, 224 ss.

49 Sui processi di Scitopoli, Von Haeling 1978 a; su quelli di Antiochia, Lenski 2002a, 218-234. Am-miano (19, 12, 19-20) ricordava che, nel corso dei processi e delle condanne per laesa maiestas cele-brati ad Antiochia, era stata segnalata a Dafne la nascita di un neonato con due teste, due denti e labarba, quattro occhi e due piccolissime orecchie; un monstruum di tal genere non poteva che prean-nunciare la tremenda condizione in cui si sarebbe ridotto l’Impero, ma la proibizione dei riti divina-tori aveva impedito l’espiazione del presagio, con grave discapito dei cittadini.

50 Expositio totius mundi 55 : l’opera è generalmente assegnata alla fine del regno di Costanzo II.51 Amm. 22, 5, 2; Lib. Or. XXIV, 36.

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ficile credere che fossero stati autorizzati anche sacrifici consultorii privati. Apro-niano, prefetto urbano di nomina gulianea, impiegò molta energia per ripulire Romadalla nuova fioritura di stregoni (veneficos), che dovevano aver interpretato la ‘ri-forma’ giulianea in termini di assoluta tolleranza di tutte le pratiche divinatorie e ma-giche anche private 52.

Gioviano non impedì che, prima di avviare le negoziazioni di pace con i Per-siani, o in occasione di vari prodigi, nell’esercito fossero fatti sacrifici aruspicali(pro Ioviano) per conoscere il futuro 53. Sebbene Socrate affermi che egli interdissei sacrifici pubblici e Libanio dica che proibì i sacrifici cruenti, siamo propensi a cre-dere che furono proibiti solo i sacrifici offerti dall’imperatore o a suo nome, perchéTemistio, ricordando i suoi interventi contro la magia, lo loda espressamente peraver lasciato sussistere i sacrifici legittimi 54. Dopo la morte di Gioviano, infatti, nel364, l’aruspex Marcus è elogiato da Ammiano per aver divinato, a Roma, previaconsultazione delle viscere (extis Romae inspectis), un interregno di dieci giorni,quale si verificò prima che i grandi elettori scegliessero Valentiniano I 55.

I sacrifici pubblici, tuttavia, furono mantenuti con discrezione nella capitale, ri-ducendo l’attività aruspicale: il portentum dell’asino che salì sul tribunale a Pistoia,poco prima della prefettura di Avianio Simmaco nel 364/365, rimase inspiegato,sebbene prefigurasse un evento politico di rilievo 56. All’epoca dell’ascesa di Mas-simino alla prefettura della Gallia nel 372/373, però, il prodigio delle scope che fio-rirono nella curia del senato ricevette un’interpretazione raffinata, capace didistinguere fra scope foriere di sventura e quei bastoni che numerosi erano fioriti,nei secoli precedenti, a prefigurare una sovranità annunciata con gli auspici delfato 57. Nonostante molti processi per magia e adulterio insanguinassero Roma dopoil 368 – rivelando che, accanto a forme deteriori di magia, alti funzionari imperialicome Imezio non esitavano a compiere sacrifici privati per avere responsi aruspi-cali 58 –, l’aristocrazia senatoria riuscì a convincere Valentiniano I ad abolire il cru-dele praeceptum, suggeritogli poco prima da Massimino, e a tornare alle piùequilibrate posizioni costantiniane 59.

52 Amm. 26, 3, 1-5. PLRE I, s. v. L. Turcius Apronianus signo Asterius, 88-89.53 Amm. 25, 6, 1 e10, 1-2.54 Socr. III, 24; Lib. Ep. 1147; Them. Or. V, 70 B-C.55 Amm. 26, 1, 5.56 Amm. 27, 3, 2: si era verificato qualche tempo prima che Terenzio, un umile panettiere romano,

fosse nominato governatore della Tuscia in ricompensa della delazione che aveva permesso d’incri-minare di peculato il nobile Memmio Vitrasio Orfito.

57 Amm. 28, 1, 41-42 e Lizzi Testa 2006a.58 Sull’episodio di Imezio vd. Amm. 28, 1, 17-23 con Lizzi Testa 2003, 59-61 e Lizzi Testa 2004,

235-248.59 Come dunque Costantino aveva proclamato validi i responsa publica (CTh 16, 10, 1 del 321), or-

dinando che i risultati fossero inviati per scritto all’imperatore secondo l’antica formula del responsumharuspicum – convinto probabilmente (dalle rimostranze senatorie, secondo Alföldi 1948, 76-77, dato

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Haruspicinam ego nullum cum maleficiorum causis habere consortium iudiconeque ipsam aut aliquam praeterea concessam a maioribus religionem genus esse ar-bitror criminis. Testes sunt leges a me in exordio imperii mei datae, quibus unicui-que, quod animo inbibisset, colendi libera facultas tributa est. Nec haruspicinamreprehendimus, sed nocenter exerceri vetamus 60.

L’imperatore restituì legittimità ai sacrifici consultorii celebrati in pubblico, la-sciando al bando i soli sacrifici privati. Né a Roma erano mai cessati i sacrifici a scopopropiziatorio – quale era, ad esempio, il taurobolium, sacrificio privo di consultazionearuspicale – soggetti forse a qualche declino nelle forme economicamente più impe-gnative, ma comunque frequenti e pubblicizzati anche epigraficamente fino al 390 61.

Ben poca efficacia, dunque, deve aver avuto il rescritto di Graziano del 382 se,come usualmente creduto, avesse davvero ordinato il taglio dei finanziamentipubblici per ogni tipo di attività cultuale, l’abrogazione delle immunità per tutti icollegi sacerdotali romani, la confisca dei fundi templorum in tutto l’impero.L’intervento, infatti, fu un rescritto valido solo a Roma ed eliminò unicamentealcuni privilegi delle Vestali (stipendium castitatis; immunità da munera; victusmodicus, definito anche alimenta o annona), tra cui il diritto del collegio di ereditareterre da privati 62. Pur ledendo l’immagine dell’antichissimo sacerdozio di Vesta e inparte pregiudicandone l’accrescimento immobiliare, quelle misure non intaccaronol’attività cultuale delle Vestali, né le loro disponibilità immediate, considerando che,due anni dopo quel rescritto, elevarono una statua a Vettio Agorio Prestato, sfidandol’opposizione dei pontefici più tradizionalisti 63.

l’intervento del PVR Septimius Bassus su Costantino nel 318) che concedere sotto vigilanza dava op-portunità di controllo superiori alla repressione indiscriminata –, così Valentiniano I tornò sulle sue po-sizioni dopo un colloquio – in realtà non del tutto sereno – con una legazione di senatori guidata daVettio Agorio Pretestato, augur, pontifex, quindecemvir sacris faciundis, restauratore del tempio deglidei Consentes (CIL VI, 102 = ILS 4003), a cui Macrobio affidò la trattazione del diritto augurale etru-sco in virtù della fama dei suoi studi di diritto pontificale e delle sue frequenti citazioni dai libri Etru-scorum e dal De ostentis tradotto da Tarquitius Priscus (Sat. III, 1-9 e 7-9).

60 CTh 9, 16, 9 (29 Maggio 371) ad Senatum: è il rescriptum in cui, a testimonianza dell’atteggiamentotenuto sin dall’inizio del regno, Valentiniano I richiamava le leges a me in exordio imperii mei datae.

61 Una certa interruzione dei taurobolia, registrata nelle iscrizioni tra il 350 e il 370, potrebbe sem-brare tale per le lacune della documentazione: Duthoy 1969, 14-26; McLynn 1996; Delmaire 2004, 326.Symm. Ep. I, 49 a Pretestato (genericamente collocata intorno al 378) ricorda che, per espiare un osten-tum verificatosi a Spoleto, le autorità pubbliche avevano sacrificato un’ottava vittima a Giove e moltisacrifici erano stati ripetuti in onore di Fortuna Publica. Poiché erano stati tutti senza risultato, sarebbestato convocato il collegio dei pontefici. Per l’offerta del taurobolium nel 390 ad opera di Ragonius Ve-nustus e Ceionius Rufius Volusianus, CIL VI 503; a Roma un taurobolium era stato praticato anche nel383 (CIL VI, 501), ad Atene nel 387 (Syll3, 907 = IG II/III2 4842).

62 La tradizione storiografica moderna è concorde sull’interpretazione delle misure di Graziano, mauna rilettura delle fonti – in assenza di disposizioni legislative registrate nel Codice di Teodosio – im-pone di pensarle come un intervento limitato a Roma e ai privilegi delle Vestali: Lizzi Testa 2007a.

63 L’episodio è ricostruibile confrontando la testimonianza di Quinto Aurelio Simmaco (Symm. Ep.II, 36, 2, con Cecconi 2002, 91-92; 120-121; 266-288) con l’iscrizione posta dalla moglie di Pretestato,Aconia Paulina, in onore della Vestalis Maxima Coelia Concordia (CIL VI, 2145 = ILS 1261).

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Verso il 390/391, un anziano grammatico tentò di spiegare ad Agostino cosa rap-presentasse per lui e la sua città l’antica fede negli dèi. Non sappiamo se Teodosioavesse già indirizzato al PVR Albino quella costituzione del 24 febbraio 391 che èparsa minare dalle fondamenta il sistema religioso di Roma antica, vietando ognitipo di sacrificio, l’ingresso agli altari, persino il volgere lo sguardo alle statue di-vine. Con certezza, Massimo di Madaura non aveva ritegno a dichiarare che, inpieno foro, caste preghiere e sacrifici propiziatorii erano rivolti agli dèi della suacittà:

... Che il monte Olimpo sia la sede degli dèi, la Grecia lo racconta senza totale cer-tezza. Che però la piazza della nostra città sia abitata da un gran numero di divinitàsalutari (salutarium numinum frequentia) noi lo vediamo e lo sperimentiamo. E pa-rimenti che il Dio sommo sia unico, senza inizio, né prole naturale in quanto Padregrande e magnifico, chi potrebbe essere tanto stolto e dissennato da negare che siacosa certissima? Le manifestazioni della sua potenza, diffuse nell’universo creato,noi le invochiamo con molti nomi, poiché tutti evidentemente ignoriamo il suo veronome. Dio, infatti, è vocabolo comune a tutte le religioni...

... Noi adoriamo i nostri dèi alla luce del giorno, visti e ascoltati da tutti gli uo-mini, con pie preghiere (luce palam ante oculos atque aures omnium mortalium piisprecibus adoramus), ce li propiziamo con vittime fragranti (et per suaves hostias pro-pitios nobis efficimus) e cerchiamo che questi atti siano visti e approvati da tutti...

... Dopo questo, io non dubito, o mio esimio signore che ti sei allontanato dallamia religione, che questa mia lettera scomparirà o bruciata o in un altro qualsiasimodo, dopo esserti stata furtivamente sottratta da qualcuno. Ma anche se questo ac-cadrà, andrà perduta la carta, non il mio discorso, il cui contenuto resterà sempre vivoin tutti coloro che sono veramente religiosi... 64.

C’è molto in comune tra l’idea di paganesimo civico espressa da Andromaco,nel sostenere pubblicamente l’efficacia dei Lupercali alla fine del V secolo, e quellamanifestata intorno al 390 da Massimo di Madaura; e quest’ultima ricalcava nellasostanza quella illustrata a Valentiniano II da Q. Aurelio Simmaco nel 384. Diversaè solo l’acuta percezione che l’altisonanza delle voci cristiane, amplificate dall’ap-poggio imperiale, avrebbe fatto scomparire velocemente ogni testimonianza dis-senziente, come la sua lettera. Massimo, tuttavia, misurava la capacità disopravvivenza delle sue credenze sulle limitate possibilità di un anziano gramma-tico. Non poteva immaginare quanto a lungo suasivi, apud imperiales aures, sareb-bero stati i discorsi dei potenti aristocratici che continuarono a dominare la vita diRoma tardoantica 65.

Che ci fosse un unico Dio, invocabile con molti nomi e a cui molteplici sentieri

64 Maximus Maudarensis, in Aug. Ep. 16, 1-4.65 L’espressione è in Gel. Ep. adversum Andromachum, 31, che ricorda i frustrati tentativi dei ve-

scovi suoi predecessori di far giungere a Corte, apud imperiales aures, le loro esortazioni a vietaremalvage cerimonie come i Lupercali.

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potevano condurre (non uno itinere ad tam grande secretum...), rimase esperienzacondivisa 66. Altrettanto persistente fu l’idea che quel Dio, adorato per imagines (fos-sero quelle le statue di culto del foro, le festività cittadine, o i rituali propiziatori),manifestasse i suoi effetti visibili sulle comunità, garantendo benessere e fortuna, sesapessero renderlo propizio con pie preghiere e sacrifici pubblici: questo, apparen-temente, popolo e funzionari imperiali tentavano di fare durante la processione aPorto in onore dei Castori e durante i Lupercali.

Nessun imperatore, infatti, osò vietarlo o, se lo fece, le sue interdizioni furonopresto superate, rese confuse o inefficaci da provvedimenti che andavano in dire-zione opposta. Fino al 390, neppure Teodosio negò legittimità ai sacrifici. La letteradi Massimo di Madaura ad Agostino sembra quasi echeggiare la costituzione ema-nata nel 381, sebbene teoricamente interessasse solo l’Oriente:

Se qualcuno, agendo come un pazzo sacrilego, s’immerga nella consultazionedelle cose incerte compiendo sacrifici diurni e notturni, che sono stati proibiti, e credadi appropriarsi di un tempietto o di un santuario, o pensi di entrarvi per commettereun crimine di tal genere, sappia che è passibile di proscrizione, dal momento che noi,con giusta disposizione, abbiamo avvertito che dio deve essere venerato con castepreghiere, non profanato con sinistri incantesimi (castis deum precibus excolendum,non diris carminibus profanandum) 67.

Nessun divieto generale dei sacrifici vi compare, solo vengono interdetti – comeper tradizione – quegli atti consultorii, che potevano suscitare il sospetto di loschetrame eversive. E benché gli stessi compilatori del Codice probabilmente scelseroqueste costituzioni teodosiane per dare l’impressione che solo pochi templi, e sottospeciale sorveglianza, erano ormai aperti, essendo il culto e i sacrifici proibiti, nondifferente è il linguaggio dei testi del 382 e del 385: l’utilizzo a uso pubblico di untempio è permesso, purché non vi si compiano i sacrifici interdetti 68; è punita l’au-dacia di quanti vogliano consultare le viscere degli animali per esplorare la veritàdelle cose presenti e future 69.

In tale contesto, più che il contenuto della normativa emanata tra il febbraio 391e il novembre 392, molto imbarazzante è l’interpretazione che ne è stata data: ora,considerando la costituzione rivolta a Flavio Rufino la causa scatenante della réac-tion païenne degli ultimi pagani di Roma 70 – laddove la costituzione probabilmente

66 Cfr. il tenore del discorso di Temistio a Gioviano (Or. V, 68-70) con Symm. Relatio III, 7-8 e 10.67 CTh 16, 10, 7 (21 dicembre 381, da Costantinopoli) Floro PPOrientis.68 CTh 16, 10, 8 (30 novembre 382, da Costantinopoli) Palladio duci Osdroenae.69 CTh 16, 10, 9 (25 maggio 385, da Costantinopoli) Cynegio p(raefecto) praetorio.70 CTh 16, 10, 12 (8 novembre 392, da Costantinopoli) Flavio Rufino PPO Orientis: ogni forma di

culto pagano vi è messa al bando, dai sacrifici pubblici di animali alle offerte private d’incenso, dighirlande, di vino; pesanti multe sono minacciate fino alla confisca della proprietà e alla pena capitale.Per la visione di Bloch 1945 (ancora condivisa da Williams - Friel 1994), vedi Cameron 1999 con leosservazioni di Hedrick jr. 2000 e Lizzi Testa 2009b.

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non fu neppure diffusa in Occidente, poiché già il 22 agosto di quell’anno Arboga-ste aveva dichiarato Eugenio imperatore 71 –; ora giudicando le tre costituzioni del391-392 nel loro insieme “una sentenza di morte del paganesimo” 72.

Non si vuol qui negare l’efficacia di queste e altre disposizioni antipagane comepeculiare strumento di cristianizzazione, cooperando anch’esse con altri, molto piùpotenti fattori, alla lenta vanificazione del paganesimo civico 73. Si vuole però sot-tolineare che esse non furono subito determinanti come potrebbe esserlo in uno statomoderno un divieto (per esempio di eccesso di velocità), la cui violazione può es-sere registrata e subito punita da corpi adibiti all’uopo; e soprattutto che esse non fu-rono ciò che possono sembrare dalla visione distorta offerta dalla compilazioneteodosiana.

Anche le tre costituzioni teodosiane del 391-392 furono misure di circostanza,emesse per regolare situazioni specifiche, come nel caso del Serapeo di Alessan-dria 74, o del conflitto politico tra Flavio Eutolmio Taziano e Flavio Rufino, che lacostituzione del novembre 392 cooperò a risolvere in favore dell’ultimo 75. Non di-versamente, anche quella inviata al prefetto urbano Albino – che dovrebbe aver cam-biato il panorama religioso dell’Urbe –, rispondeva alla denuncia di qualche potente,in questo caso più difficile da individuare, se davvero la costituzione era stata rivoltaal prefetto del pretorio d’Occidente e quella romana è solo la copia usata dai com-pilatori 76. Si apre infatti con divieti categorici e generali, vietando sacrifici, accessoai templi, culto delle statue:

Nemo se hostiis polluat, nemo insontem victimam caedat, nemo delubra adeat,

71 Fasti Vind. Priores 517 (Chron. Min. I, 298).72 Stein 1949, 209; Palanque 1933, 251; Piganiol 19722, 285; Chuvin 1990, 69; Lee 2000, 123; ade-

risce a tale opinione anche Delmaire 2004, 332.73 Sul modo in cui agirono le leggi antipagane nell’Impero, pur non essendo determinanti come un

tempo si credeva, Lizzi Testa 2009b.74 CTh 16, 10, 11 (16 giugno 391) Evagrio praefecto Augustali et Romano comiti Aegypti. La co-

stituzione, identificata con la legge che, secondo Rufino, Socrate, e in modo indiretto anche Sozo-meno, avrebbe autorizzato l’abbattimento del Serapeo di Alessandria, in realtà non autorizzava alcunaviolenza contro i templi e, nel ribadire il divieto di compiere sacrifici, sembra voler chiarire in chemodo potesse essere applicata anche in Alessandria la costituzione rivolta pochi mesi prima ad Al-bino: una misura di ordine pubblico, dunque. L’ingiunzione a eliminare il culto degli idoli vera causadel conflitto, che sarebbe stata contenuta nel pròstagma di cui parla Socrate (un rescriptum per Rufino),non fu registrato dai compilatori del Codice per la sua portata locale. Il tempio, comunque, non fu ab-battuto nel 391, come usualmente creduto, ma l’anno successivo: McLynn 1994, 332-333; Errington1997, 425-429; Hahn 2006; Hahn 2008, 344.

75 Sulla strumentalità politica di CTh 16, 10, 12 (8 novembre 392) Flavio Rufino PPO Orientis, giàMatthews 1975, 113; 135; ma ora Errington 1997, 431-432.

76 CTh 16, 10, 10 (24 febbraio 391) ad Albinum PPO: l’inscriptio è errata perché all’epoca Ceio-nius Rufius Albinus era PVR (cfr. PLRE I, s. v. Albinus 15) e altre leggi gli sono indirizzate in tale fun-zione. Poiché nel testo si prendono in causa anche governatori provinciali, Delmaire 2005, 439, n.7,suggerisce che quella riportata nel Codice Teodosiano fosse la copia, indirizzata al prefetto di Roma,di un testo destinato al prefetto del pretorio. Cautele circa il valore e l’efficacia generale di questa di-sposizione furono già espresse da Gaudemet 1972, 600.

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templa perlustret et mortali opere formata simulacra suspiciat, ne divinis adque hu-manis sanctionibus reus fiat.

Nella seconda parte rivela, però, il suo vero intento (Iudices quoque haec formacontineat), che è quello di regolare il comportamento degli ufficiali pubblici, pro-babilmente di quelli pagani non meno dei cristiani, recependo – come quando Co-stantino nel 323 si era rivolto al vicario del prefetto del pretorio a Roma 77 – alcunelamentele giunte a Corte. La costituzione mi pare infatti riflettere quella medesima“strategia della convivenza”, cui si era fino ad allora ispirata la normativa, per cui,soprattutto in favore dei funzionari di alto livello, si ordinava che nessun cristianofosse costretto a entrare nei templi o a prendere parte a cerimonie pubbliche che po-tessero metterne in crisi la coscienza.

Albino era sicuramente pagano e potrebbe aver recepito con soddisfazione il di-vieto rivolto anche ai funzionari cristiani d’introdursi nei templi: essi, così, nonavrebbero potuto controllarne l’attività cultuale 78. Teodosio, d’altra parte, che già nel389 aveva impedito ad Ambrogio d’interferire nei suoi rapporti con i rappresentatidel senato romano giunti in ambasceria 79, era allora in partenza dall’Italia e non po-teva voler alterare, con una legge ‘epocale’, l’equilibrio politico ristabilito dopo lasconfitta di Massimo. Che poi la disposizione non fosse avvertita come un dram-matico cambiamento, capace di mettere al bando ogni forma di paganesimo, lo provail fatto che dopo il 391, a detta dello stesso Ambrogio, altre ambascerie continuaronoad essere inviate a Corte, dello stesso tenore di quella cui aveva dato voce la Rela-tio III di Quinto Aurelio Simmaco nel 384 80.

La cristianizzazione di Roma in quegli anni, durante il regno del pius Theodo-sius certamente progredì più che in altri periodi. Alcuni senatori poterono pubbli-camente propagandare la scelta di farsi cristiani; fuori Roma qualche tempioantichissimo e molto venerato andò distrutto senza interventi delle autorità sui tur-batori dell’ordine pubblico 81; le ricchezze templari poterono essere impiegate – di

77 CTh 16, 2, 5 (25 dicembre 323) ad Helpidium, sulla quale Delmaire 2005, 130-131: Quoniamcomperimus quosdam ecclesiasticos et ceteros catholicae sectae servientes a diversarum religionumhominibus ad lustrorum sacrificia celebranda compelli, hac sanctione sancimus. Si quis ad ritum alie-nae superstitionis cogendos esse crediderit eos qui sanctissimae legi serviunt, si condicio patiatur, pu-blice fustibus verberetur, si vero honoris ratio talem ab eo repellat iniuriam, condemnationem sustineatdamni gravissimi, quod rebus publicis vindicabitur.

78 PLRE I, s. v. Ceionius Rufius Albinus 15, 37-38: padre di Rufius Antonius Agrypnius Volusianus,zio di Melania iuniore (su cui vedi oltre), e di Albina 2; sua moglie era cristiana (Aug. Ep. 136), maegli era molto versato nella conoscenza dell’antichità (Macr. Sat. VI, 1, 1) e per questo scelto come unotra gli interlocutori dei Saturnali (Macr. Sat. I, 2, 16; I, 24,19; III, 14, 1).

79 Bisogna interpretare in tal senso le confuse parole di Ambr. Ep. extra coll. X (Maur. 57), 4, conMcLynn 1994, 313-314.

80 Ambr. Ep. extra coll. X (Maur. 57), 5-6: nel maggio del 392 a Valentiniano II e due a Eugenionel 393-394.

81 Come nel caso del Serapeo. Tuttavia, la distruzione di templi raramente fu autorizzata e, ancorasotto Arcadio, lo stesso Porfirio di Gaza dovette organizzare due viaggi a Costantinopoli, profetizzare

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nuovo, però, esclusivamente fuori dalla capitale – per rendere più potenti le strut-ture ecclesiastiche e i suoi leaders; in varie parti dell’Impero, ma mai in virtù di unprovvedimento generale, i fondi di certi templi – già ovunque controllati dal fiscocome quelli delle città –, non furono restituiti neppure in minima parte per il loro fun-zionamento, pregiudicandone la sopravvivenza 82 e quelli di alcuni collegi furono de-voluti a settori come l’esercito o a corporazioni, che si ritenevano di maggiore utilitàpubblica 83.

Nondimeno, chi credeva negli antichi dèi poteva ancora esprimere la sua fede neimodi non proibiti: attraverso cerimonie o feste pubbliche, ove continuavano ad es-sere compiuti anche riti propiziatorii da sempre caratteristici di quelle occasioni so-lenni; talvolta le autorità cristiane gridarono allo scandalo (come fece, messo allestrette dalla denuncia della poca severità mostrata verso il suo prete adultero, anchepapa Gelasio); più spesso tentarono di sostituirsi senza clamore ai funzionari pa-gani, esaugurando quelle cerimonie, cambiando i nomi delle divinità tutelari, lenta-mente e con piccole alchimie di gesti e parole assimilando riti pagani a quellicristiani.

Dopo il 391 continuarono, comunque, sacrifici e riti pubblici nei templi e difronte alle statue divine, dal momento che si dispose di far requisire e porre sottocontrollo gli idoli che, nel 399, risultavano tuttora oggetto di venerazione:

… Se qualcuno, però, sia stato sorpreso in atto di sacrificare sia punito secondole leggi e, svolta un’inchiesta, siano poste sotto il controllo del tuo ufficio le statuealle quali risulti che, ancora oggi, è offerto il culto della vana superstizione 84.

I termini dell’interdizione non erano cambiati rispetto alle prime costituzionicostantiniane, cosicché si sarebbe tentati di restringere il campo semantico di sa-crificium e superstitio a quegli stessi riti di tipo consultorio, che da sempre eranostati giudicati nocivi e politicamente pericolosi. Le costituzioni del 391-392, tut-tavia, erano state chiare nell’elencare minuziosamente i tipi di culto e di sacrificiche d’allora in poi erano da considerarsi proibiti e, sebbene al momento esse fu-rono fatte valere per risolvere le situazioni contingenti che le avevano provocate,le medesime furono richiamate a distanza di anni, persino in regioni che apparen-

la nascita di un erede maschio (Teodosio II) e convincere Eudossia a intercedere presso l’imperatore,prima di ottenere l’ordine di chiusura del celebre Marneion (Marc. Diac. Vita Porf. 26-69), che infinefu anche distrutto: dopo quattro lunghi e faticosi anni di trattative diplomatiche tra il diacono, poi il ve-scovo, e vari membri della Corte.

82 Analisi del problema in Lizzi Testa 2009d.83 CTh 16, 10, 19 le annonae dei templi sono devolute alle spese dei devotissimi soldati, cfr. CTh

16, 10, 20 per l’incameramento nel fisco dei fundi appartenenti a frediani, dendrophori e altri collegireligiosi di Cartagine.

84 CTh 16, 10, 18 (20 agosto 399) Apollodoro proc(onsuli) Africae:... Si quis vero in sacrificio fue-rit deprehensus, in eum legibus vindicetur, depositis sub officio idolis disceptatione habita, quibusetiam nunc patuerit cultum vanae superstitionis inpendi.

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temente esulavano dalla specifica sfera di applicazione, perché i loro divieti aves-sero corso. Le notizie correvano veloci tra i vescovi, spinti a controllare il tenoredelle leggi anche in virtù della loro attività arbitrale, cosicché, ogni volta fosseloro possibile, accedevano a Corte con le loro richieste di chiarimenti o aggiusta-menti normativi 85.

Roma fu senz’altro implicata nelle interdizioni del 391-392. La costituzione in-viata ai vicarii di Spagna e Gallia meridionale, che ordinava di tutelare templi eopere di pregio, non era rivolta solo a quelle regioni 86. Vi reagirono in Africa i padriconciliari riuniti a Cartagine nel 401, affinché non vi fossero ripercussioni legali perquanti tra i fedeli si accingevano a distruggere boschi e alberi sacri, statue e tempiettiagresti, oppure collocati in luoghi remoti e nascosti, che in nessun caso evidente-mente potevano ricadere nella fattispecie dell’ornamentum publicorum operum 87.Reagì a quella costituzione anche Prudenzio, alludendovi nel suo Inno a Lorenzo,martire romano, e nel Contra Symmachum, non meno connesso con i problemi dellacapitale d’Occidente 88. Il proconsole d’Africa Apollodoro richiese subito delle pre-cisazioni, che i compilatori del Codice Teodosiano divisero inspiegabilmente in dueframmenti 89.

La costituzione, che a noi sembra inviata soltanto ai due vicarii di Spagna e Gal-lia meridionale, a mio parere, fu invece la norma che l’aristocrazia senatoria riuscìad ottenere da Onorio, per evitare lo scempio dei monumenti antichi, con ciò riser-vandosi alcune possibilità di culto nei templi conservati integri. Questi ultimi, rico-nosciuti per il loro valore di opere pubbliche, pur non essendo più mantenuti a spesedello Stato in quanto espressione di religio publica, continuarono ad esserlo per illoro significato monumentale. Non era la prima volta, del resto, che il gruppo paganodel senato riusciva a coagulare una maggioranza intorno a temi su cui i colleghi cri-stiani avrebbero opposto una dura resistenza, perché riusciva a sollecitare interessi

85 Sugli effetti in Italia settentrionale di CTh 16, 10, 12, cfr. Lizzi Testa 2009b.86 CTh 16, 10, 15 (29 gennaio 399, o meglio il 29 agosto 399) Macrobio vicario Hispaniarum et Pro-

cliano vicario quinque provinciarum: Sicut sacrificia prohibemus, ita volumus publicorum operumornamenta servari. Ac ne sibi aliqua auctoritate blandiantur, qui ea conantur evertere, si quod re-scriptum, si qua lex forte praetenditur.... Per i destinatari e la data della costituzione, Delmaire 2005,450-451.

87 Conc. Carthaginiense (16 iunii 401), c. 58 e Conc. Carthaginiense (13 sept. 401), c. 84.88 Vd. supra nn. 33 e 34; cfr. LizziTesta 2009.89 CTh 16, 10, 18, inviata lo stesso giorno (20 agosto 399), dalla medesima località (Padova), al me-

desimo proconsole d’Africa (Apollodoro), è un frammento della medesima costituzione cui apparte-neva anche CTh 16, 10, 17 con la quale si esortava a mantenere in vita le feste pubbliche, pur senzaritus profanos. In tal caso, però, quella presupponeva CTh 16, 10, 15, ovvero (se la data del 29 agostodebba essere conservata per il testo inviato ai vicarii di Spagna e Gallia) la legge corrispondente, chepresumiamo indirizzata al prefetto del pretorio d’Occidente e presto diffusa anche a Roma e nelle sin-gole province. CTh 16, 10, 18, infatti, si apre richiamando CTh 16, 10, 15 (Aedes inlicitis rebus vacuasnostrarum beneficio sanctionum ne quis conetur evertere), che pertanto non può esserle posteriore.Sulle due costituzioni, Lepelley 1973, 32-33.

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comuni, ovvero a escogitare formule religiose (statue divine = ornamenta; templi =operae publicae) intorno a cui era possibile imbastire ampi accordi 90. La legge, pe-raltro, non riguardava solo i templi e le statue di culto, ma anche i permessi per ilcursus publicus: si trattò, come dire, di un pacchetto legislativo studiato per le piùlarghe intese 91. Se si volesse mantenere il principio di una réaction païenne, do-vremmo attribuirle contenuti siffatti, quali si definivano attraverso procedure com-battute con astuzia in assemblea, giocando sulle presenze, o sul modo in cui erastilato l’ordine del giorno, piuttosto che allestendo eserciti, o meglio “l’ultimo eser-cito pagano del mondo antico”.

Il principio della conservazione dei templi e delle statue divine in quanto operepubbliche di pregio da non distruggere, bensì da conservare e restaurare, rimasesaldo in Occidente fino almeno ad età teodericiana, apparentemente creando unanetta divaricazione tra gli orientamenti legislativi delle due parti dell’Impero 92. Così,benché nel 407 anche a Roma dovette essere diffusa la costituzione, che ordinavapersino di divellere dalle proprie sedi le statue che ancora ricevevano ritum paga-norum, pochi dovettero essere i casi denunciati nella capitale 93, mentre in Africa, aCalama in particolare, furono registrati esplosioni di violenza con incendi, distru-zione di una chiesa, il massacro di un monaco 94.

90 Lo stesso era accaduto quando il senato votò l’invio della Relatio III di Simmaco, iterando le ri-chieste dell’ambasceria del 382 (cui era stato negato l’accesso a Corte), grazie all’inchiesta concessaa Pretestato sugli oggetti trafugati dai templi (Symm. Rel. 21): vd. Lizzi Testa 2009g.

91 Si veda la seconda parte di CTh 16, 10, 15: Erutae huiusmodi chartae ex eorum manibus ad no-stram scientiam referantur, si inlicitis evectiones aut suo aut alieno nomine potuerint demonstrare,quas oblatas ad nos mitti decernimus. Qui vero talibus cursum praebuerint, binas auri libras inferrecogantur.

92 Nel 458 era di nuovo ribadito in una costituzione di Maioriano (Nov. Mai 4), che comminava unamulta di 50 libbre d’oro per la distruzione e l’appropriazione di beni templari; al suo tenore si richia-mava Teoderico nel 510/511, con Varia III, 31, 4, in cui ripristino e conservazione di templa e loca pu-blica erano presentati come un’esigenza sentita da molti membri del senato cui la disposizione eraindirizzata; cfr. in tal senso anche Varia I, 6, 2 per il restauro della basilica Herculis e Varia IV, 24, 1,ove si celebra lo splendor reparationis. In Oriente, viceversa, già nel 399 si era data generale licenzaall’eliminazione dei templi agresti (CTh 16, 10, 16 ad Eutichianum PPO Orientis il 10 luglio 399: Siqua in agris templa sunt, sine turba ac tumultu diruantur. His enim deiectis atque sublatis omnis su-perstitioni materia consumetur), estendendo l’ordine a tutti i templi pagani che ancora rimanessero inpiedi nel 435 (CTh 16, 10, 25 ad Isidorum PPO Orientis: … cunctaque eorum fana templa delubra,si qua etiam nunc restant integra, praecepto magistratuum destrui collocationeque venerandae chri-stianae religionis signi expiari praecipimus).

93 Il testo conservato in CTh 16, 10, 19, con la data 15 novembre 408 (da Roma, ad Curtium PPOItaliae) è un estratto di Sirm. 12 (come 16, 5, 43) emanata il 15 novembre 407, quando Curtius è an-cora attestato come prefetto, allorché nel 408 l’ufficio fu ricoperto da Longinianus e poi da Theodo-rus: Delmaire 2005, 454-457. Prevedendo pure che gli edifici sacri della res privata imperiale dovesseroessere convertiti ad usus adcommodos, essa ordinò che i domini fossero forzati a distruggere quelli sucui si vantavano diritti privati (domini destruere cogantur) e conferì ai vescovi locali l’autorità di con-trastare i banchetti rituali e altro genere di cerimonie pagane: discussione della legge in Trombley1995, 29-30; ma vedi De Giovanni 1980, 136 e Brown 1975, 304.

94 Aug. Ep. 91, 8 con Gaudemet 1990, 462; Chuvin 1990, 84.

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3. La fine del paganesimo urbico: una morte da tempo annunciata e infine avve-nuta

Roma notoriamente costituì un caso particolare per la capacità di conservare leproprie reliquie pagane. Ciò si può verificare anche seguendo la sorte di alcuni suoisacerdoti più importanti, membri dei quattro amplissima collegia, sui quali – purnel naufragio delle testimonianze non cristiane, vaticinato intorno al 390 da Massimodi Madaura – resta qualche informazione. Le testimonianze epigrafiche – conside-rate fonti particolarmente attendibili – sembrano assicurare che nessuna menzionedi sacerdozi tradizionali scenda oltre gli ultimi anni del IV secolo 95; lo confermaanche uno studio recentissimo e particolarmente accurato, condotto tenendo contodelle categorie di iscrizioni su cui, ad esclusione di altre, potremmo aspettarci la re-gistrazione di tali cariche 96. Parrebbe, dunque, avvalorata l’ipotesi che pontifices etvestales, augures, XVviri sacris faciundis, septemviri epulonum vennero meno conla scomparsa, tra la fine del IV e il primo decennio del V secolo, degli ultimi anzianisacerdoti: cooptati verso il 350-370, essi si guardarono bene dal coinvolgere figli onipoti in organismi destituiti di significato, o addirittura sospetti alle autorità impe-riali. Non sarebbe stata necessaria una costituzione imperiale per abrogarli – infattimai emanata –, cooperando alla loro scomparsa motivi di opportunismo politico,questioni di prestigio e di profitto economico 97.

La realtà a mio parere fu diversa. Anche in Africa, non appena fu chiaro l’orien-tamento religioso della dinastia costantiniana, i notabili si astennero dall’impegnaresomme cospicue per dare pubblicità alla propria fede negli antichi dèi e uno stranosilenzio religioso caratterizza la ricca documentazione epigrafica locale: scompa-iono i riferimenti alle divinità pagane e alle affiliazioni sacerdotali (a parte flaminatoe sacerdozi provinciali legati al culto imperiale); non hanno alcuna voce quelli cri-stiani. I notabili volevano evitare conflitti improduttivi. Che essi, tuttavia, restas-sero in parte legati agli antichi culti è mostrato dalla quantità e dalla qualità delledediche, subito vòlte ad esaltare i culti restaurati, durante il brevissimo regno di Giu-liano e, di seguito, per tutto il regno di Valentiniano I 98.

Potremmo liquidare tali testimonianze come espressioni di quell’opportunismopolitico, che da secoli aveva consentito ai ceti elevati di mantenersi tali e alla guidadelle loro città, qualunque fosse l’estrazione sociale, la preparazione culturale, la

95 Rüpke 2008, 431-434 relative alle attestazioni di sacerdoti pagani dal 390 al 400.96 Orlandi 2008 (c. di s.).97 Tale l’opinione espressa da Cameron c. di s., nei capitoli del libro ancora inedito presentati nel

corso di una tavola rotonda, presieduta da M. R. Salzman il 27 maggio 2008 a Villa Aurelia. Ringra-zio l’Autore per avermi gentilmente inviato in anteprima i testi diffusi in quella occasione.

98 Esemplificazioni e fonti in Lepelley 2009.

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fede personale (non sempre rivolta a divinità già contemplate nel pantheon romano)dei vari imperatori. Non fu solo quello. La determinazione nel rendere la città “spa-zio neutro” – che non significa, tuttavia, profano – fu una strategia, più o meno con-sapevolmente perseguita, per conservare quello status religionum, che Simmacoaveva invocato nel 384 99: poiché il suo ripristino, dopo l’allontanamento dell’altaredella Vittoria dalla curia del senato e l’oltraggio alle Vestali, fu ripetutamente negatodagli imperatori, esso fu reso operativo nella quotidianità dei gesti, in quella dei ri-tuali propiziatori celebrati nelle feste, nelle inaugurazioni di luoghi e monumenticivici, nell’assicurare la laetitia dei vivi, nell’assicurare la custodia e la cura dei de-funti.

Non si trattò soltanto di garantire la sopravvivenza di templi, statue, cerimonieche, in privato e in segreto, permettessero l’espletamento di riti proibiti. Non mi ri-ferisco soltanto al noto fenomeno del criptopaganesimo, ormai ben studiato in molteregioni dell’Impero 100, e di cui anche Roma – per l’acribia di chi s’ingegna a rileg-gere con spirito nuovo anche testimonianze già note, alla luce di più recenti acqui-sizioni – comincia ad offrire qualche esempio 101. Penso piuttosto alla sopravvivenzanella Roma ‘cristiana’ di magistrati sacerdoti, quali i pontefici, o di periti e pru-dentes (in quanto detentori di cultura giuridica in materia sacra) come gli auguri 102,alcune funzioni dei quali erano indispensabili alla vita pubblica e furono assorbitemolto tardi da figure, spesso omonime, del corpo clericale cristiano.

L’attività e la vitalità di tali collegi – dopo l’ampio coinvolgimento augusteo e lacooptatio in omnia collegia di alcuni principi fino ai Severi 103 – dalla seconda metàdel III secolo furono di nuovo disancorate dall’impegno e dalla presenza del prin-cipe 104. In concomitanza con l’aumentata sacralizzazione della figura imperiale e la

99 Symm. Rel. III, 3: repetimus igitur religionum statum qui reipublicae diu profuit. Era quellal’unica richiesta che il prefetto urbano rivolse all’imperatore: posta all’inizio e ripetuta alla fine del testo(Rel. III, 19), essa inquadra come in una cornice i temi relativi alla restituzione dell’altare e all’annul-lamento delle misure prese contro le Vestali, che hanno la forma di petizioni di principio nel tono d’in-terrogative retoriche: cfr. Lizzi Testa 2009a, 263.

100 Da ultimo Caseau 2008 (c. di s.).101 Goddard 2008: attraverso lo studio di una parte degli archivi di P. Gauckler e grazie alla cam-

pagna di scavi condotta nel 2006, una nuova interpretazione del cosiddetto santuario ‘siriaco’ al Gia-nicolo si sta affermando: non un tempio siriaco, bensì una domus privata con statue osiriache, attrezzata– dopo la prima metà del V secolo – per mantenere vivo il culto egiziano ad Osiride. Ringrazio l’au-tore per avermi inviato il suo contributo ancora in fieri.

102 Così gli augures erano definiti da Cic. Divin. II, 34; Auct. incert. 4 (ed. Huschke).103 Al fine, essenzialmente, di dare legittimità alla successione dinastica: Rüpke 2008, 58-59.104 I membri dei vari collegia avevano il diritto di nominare i candidati e, alla fine del processo, erano

loro a cooptare i nuovi sacerdoti. L’elezione di pontefici, auguri, XVviri s. f. e VIIviri epulonum era ra-tificata (ma non avveniva) in senato, dal momento che esso poteva ordinare la cooptazione in più col-legi di elementi della famiglia imperiale. Ovviamente l’imperatore stesso poteva agire in tale funzione,influenzando le decisioni del senato, ma in quanto componente dei vari collegi, non perché ponteficemassimo: costui aveva potere elettorale solo per il flamen Dialis e le Vestali: Lizzi Testa 2009e. In talsenso, il riferimento di Symm. Rel. III, 7 all’intervento di Costanzo II (replevit nobilibus sacerdotia)

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sua accresciuta distanza dal circolo esclusivo dell’aristocrazia romana, mentre scemòla funzione politico-sociale dei vari collegi, tornarono in primo piano attività e in-teressi religiosi in senso tradizionale 105. Ancora nel primo decennio del V, essi con-tinuarono a sussistere in modo silente, senza sollevare le ire dei cristiani, che furonointenti, piuttosto, ad assimilare gesti, comportamenti e abbigliamento dei loro omo-loghi pagani 106, affinché nel futuro fossero vescovi, diaconi, presbiteri, esorcisti cri-stiani a celebrare, in forme apparentemente nuove, molti degli antichi riti vòlti adassicurare la pax deorum per la città.

Pochissime testimonianze, nel silenzio delle fonti epigrafiche, possono esserevalorizzate per ricostruire modi e tempi di tale processo. Nessun pontefice è natu-ralmente attestato dopo il 400 ma, subito dopo la eliminazione di Stilicone il 22 ago-sto 408, in molti credettero che la legislazione antipagana fosse decaduta: segno chemolti erano ancora inimici Ecclesiae 107. Durante il brevissimo regno di Prisco At-talo 108, le principali cariche pubbliche furono affidate a elementi della nobiltà, an-noverati tra i pagani dalle fonti: così il prefetto della città Marciano e il prefetto delpretorio Lampadio 109. Orosio, riferisce, a tal proposito, la sortita del console Tertullo:

Non c’è da stupirsi se quel disgraziato (sc. Attalo) fu giustamente deriso per que-sta parata, se quel suo umbratile console Tertullo osò dire in curia: “Io vi parlerò, opadri, come console e come pontefice: console già lo sono, pontefice spero di di-ventarlo” 110.

è stato mal capito: l’imperatore semplicemente assistette, in senato, alle procedure elettorali dei varicollegi sacerdotali: Rüpke 2008, 57-58.

105 Da sempre i più importanti collegi religiosi romani erano stati circoli di comunicazione entrol’élite romana, per consolidare il consensus tra i senatori. Da Augusto in poi e per tutto il II secolo, essierano divenuti sempre più ‘politici’, in quanto i sacerdozi servivano a coronare le carriere più bril-lanti. Agirono, però, come canale di raccomandazione all’imperatore e furono uno strumento per per-petuare la ristretta élite senatorio-equestre, non tanto quale uno strumento di patronato imperiale:Rüpke 2008, 60-61.

106 Sulla veste dei sacerdoti cristiani, via via assimilata a quella dei senatori (dunque anche dei ma-gistrati sacerdoti, che continuarono a provenire dalle fila del senato romano), nell’uso ad esempio dellalacerna estiva e della paenula invernale, cfr. Sulp. Sev. Dial. 1, 21, 3-4; Caes. Arel. Vita Caes. II, 10.Il termine lacerna, pertanto, è usato da Cass. Var. I, 26, 13-16 (tributa sunt purpurae, non lacernae)per indicare in senso metonimico non i privati, ma i prelati.

107 Con sollecitudine Agostino si rivolse a Olimpio, che dopo aver eliminato Stilicone aveva caricadi magister officiorum, affinchè una nuova costituzione chiarisse che nulla invece era mutato: Aug. Ep.97, 2 … ut opus tuum bonum diligentissima acceleretur instantia, quo noverint inimici Ecclesiae legesillas, quae de idolis confringendis et haereticis corrigentis vivo Stilichone in Africam missae sunt, exvoluntate Imperatoris piissimi et fidelissimi constitutas.

108 PLRE II, s. v. Priscus Attalus 2, 180-181: fu nominato PVR da Onorio a Ravenna durante l’am-basceria del 409 e proclamato imperatore da Alarico quando questi, per la seconda volta, occupò Romanel tardo 409. Egli stesso era pagano, ma lasciò che un vescovo goto di fede ariana lo battezzasse (Phi-lost. XII, 3; Zos. VI, 7, 5; Soz. HE 9, 9).

109 PLRE I, s. v. Marcianus 14, 555-556 e per il prefetto del pretorio, PLRE II, s. v. Postumius Lam-padius 7, 656. Cfr. Von Haeling 1978a, 403-404.

110 Oros. 7, 42, 8 (ed. A. Lippold, Orosio. Le Storie contro i pagani, Milano 1976, 394-395): nec

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Il console del 410 doveva appartenere alla nobile famiglia degli Insteii Tertulli,ed essere un parente di quel Tertullo, che nel 359 aveva offerto sacrifici ai Castorinel loro tempio di Ostia 111. Da escludere che il pontificato, al quale aspirava, fossel’omonima carica di vescovo di Roma: la tradizione antica è concorde sulla fedeche egli condivideva con il prefetto della città e il prefetto del pretorio di Attalo.Orosio lo definisce umbratilis consul, condannandolo per aver riposto la sua fidu-cia in un uomo anziché, dobbiamo presumere, in Dio. Paolo Diacono, poi, che daOrosio dipende per tutti gli eventi successivi a quelli narrati da Eutropio, nella suaStoria Romana, ricorda:

Tertullus consul, qui se futurum principem in senatu gloriatus est, pari nihilomi-nus exitu periit 112.

Tertullo, dunque, aspirava all’Impero: con la sua speranza di diventare pontifex,avrebbe alluso alla possibilità di essere nominato pontifex maximus, perché impe-ratore. Se Paolo Diacono interpretò in tal senso il passo di Orosio, la sua testimo-nianza non solo prova che nel 410 esisteva ancora un collegio pontificale; essaconferma che il passo di Zosimo sul rifiuto del pontificato massimo da parte di Gra-ziano deve essere interpretato in modo diverso da come finora l’abbiamo inteso 113.

Col diffondersi della carestia, delle pestilenze e della paura, infatti, molto delpaganesimo in latenza, o dissimulato, riaffiorò pubblicamente, mentre si addensa-vano i prodigi e le visioni apocalittiche 114. La cristiana Serena, vedova di Stili-cone, fu condannata a morte per volontà del senato e della stessa Galla Placidia: ipagani sostennero che aveva così espiato il sacrilegio perpetrato contro una an-ziana Vestale e la statua di culto della Gran Madre degli Dei 115. Nello stesso con-testo, «alcuni giunti a Roma dalla Tuscia» quasi convinsero il prefetto della cittàGabinio Barbaro Pompeiano e l’allora papa Innocenzo I a ricorrere ai riti tradi-zionali per liberare Roma dall’attacco, avendo essi giovato a Narni, con l’attiraresui nemici la folgore distruttrice 116. L’haruspex fulgurator, capace di richiamare

mirum si iure hac pompa miser lusus est cuius ille umbratilis consul Tertullus ausus est in curia dicere“loquar vobis, patres conscripti, consul et pontifex, quorum alterum teneo, alterum spero» sperans abeo qui spem non habebat et maledictus utique quia spem suam posuerat in homine.

111 Amm. 19, 10, 1-4. In quanto prefetto urbano, egli lesse nella curia la famosa lettera di Giulianoal senato di Roma (Amm. 21, 10, 7), su cui Lizzi Testa 2009c. Né Chastagnol 1962, 151-153, né PLREII, s. v. Tertullus 1, 1059 alludono a tale possibile parentela.

112 Paul. Diac. Hist. Rom. XIII, 1, 196, 9-10 Droysen.113 Varie possibilità sono oggi proposte da Cameron 2007; Rüpke 2008, 61-66; Cracco Ruggini

2009.114 Sordi 1995.115 Zos. V, 38, 3, su cui Cracco Ruggini 1968.116 Zos. V, 41, 1-2 Per le discordanze tra Zosimo e Soz. HE IX, 6, 1-7, in GCS 50, 397-398, il quale

tace del ruolo svolto dal papa, si veda Cracco Ruggini 1979, 120-123; Fraschetti 1999, 270-272.

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fulmina auxiliaria 117 contro i nemici della città, era figura della più antica tradi-zione etrusca 118: è evidente che quegli uomini fossero aruspici specializzati, la cuiattività fu valorizzata nelle sue valenze magiche dalle fonti tardoantiche 119.

Né le convinzioni pagane di quei nobili romani cambiarono una volta giunti inAfrica, dove alcuni si rifugiarono, appena in tempo per non assistere allo scempiodi Roma, per tre giorni saccheggiata dai Goti. Il vescovo d’Ippona conosceva que-gli uomini e li sapeva irriducibili a ogni tentativo di conversione. Quando anche unodi loro avesse mostrato interesse ad apprendere la dottrina cristiana, con difficoltàla sua supponenza nutrita di disprezzo (discant non contemnere) avrebbe percepitol’importanza di un cuore casto e il valore dell’umiltà, raccomandati dal diacono ca-techista 120. In uomini siffatti si era radicata, nel tempo, una sorta di resistenza pas-siva alla cristianizzazione. Nessun rifiuto eclatante o provocatorio era opposto daquei non cristiani, bensì una pacata indifferenza, su cui era difficile intervenire eche l’imperatore stesso, nel 423, ordinò di tollerare:

sui giudei e sui pagani che vivono in tranquillità e che non tentano niente di sedi-zioso o di contrario alle leggi, i cristiani […] non osino portare le mani, abusando del-l’autorità della religione 121.

Uno di questi, Rufio Antonio Agripnio Volusiano, zio di Melania la Giovane 122,non tentò di spiegare ad Agostino, come qualche anno prima aveva fatto Massimodi Madaura, perché credesse ancora negli dèi patrii, bensì perché quel cristianesimotanto di moda avesse basi dottrinali filosoficamente inconsistenti e, cosa ancor piùgrave, una morale che stava precipitando l’Impero nella rovina. Nelle parole di Mar-cellino, confidente e informatore del vescovo d’Ippona:

(scl. Volusiano) diceva infatti che, ammesso che gli si spiegasse il senso dell’incar-nazione del Signore, non gli si potrebbe mai giustificare perché questo Dio, che si af-ferma essere anche il Dio del Vecchio Testamento, abbia disprezzato gli antichi

117 Sen. NQ II, XLIX, 2-3.118 Plin. NH II, 140 per l’episodio di Porsenna che utilizzò il fulmine contro il mostro Volta in di-

fesa di Volsinii.119 Montero 1993.120 Aug. De catechizandis rudibus 8, 12, 2; 9, 13, 1-2 con Lizzi Testa 2009f (c. di s.).121 CTh 16, 10, 24, 1: sed hoc christianis, qui vel vere sunt vel esse dicuntur, specialiter demanda-

mus, ut Iudeis ac paganis in quiete degentibus nihilque temptantibus turbulentum legibusque contra-rium non audeant manus inferre religionis auctoritate abusi.

122 Privo allora di cariche pubbliche (PLRE II, s. v. Rufius Antonius Agrypnius Volusianus 6, 1184-1185: proconsul Africae e quaestor sacri palatii prima del 412, egli fu PVR nel 417 e PPO Italiae etAfricae nel 428-429), non è improbabile che Volusiano seguisse in Africa il resto della famiglia, chesi era già avviata verso l’Italia meridionale, dopo il primo sacco di Roma. Sugli spostamenti di Mela-nia Iuniore, Piniano e Albina, con i quali viaggiò anche la moglie cristiana di Albino, madre di Volu-siano, lei stessa in Africa e in contatto con Agostino (Epp. 132 e 136): PChBE 2 (Italie), 2, s. v. Melania2, 1483-1490, spec. 1485.

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sacrifici e si sia compiaciuto dei nuovi ... un simile mutamento potrebbe solo far ac-cusare Dio d’incostanza.

... Aggiungeva inoltre che la predicazione e la dottrina di Cristo non sono in alcunmodo compatibili con le leggi di uno stato poiché... uno dei precetti inconcussi èquello di non rendere a nessuno male per male... tutte queste norme sono contrarie aicostumi della res publica …

... secondo lui – anche se non si pronuncia su questo punto – molti guai sono ca-pitati all’Impero a causa degli imperatori cristiani 123.

Non si trattava di obiezioni irrisorie, a giudicare dall’allarme con cui Marcellinoinvitava Agostino a rispondere alle loro accuse e dall’entità delle risposte messe incampo dal vescovo nel suo De civitate Dei 124.

Nello stesso periodo, forse proprio nello stesso anno, persino il colto Sinesio,acclamato vescovo dal popolo, non si tratteneva dal chiarire la propria posizione,perché il suo metropolita ne fosse informato:

In questa lettera a mio fratello voglio aggiungere ancora qualcosa, poiché so chesaranno in molti a leggerla e appunto per questo l’ho dettata...

Intanto ho una moglie... non intendo assolutamente esser separato da lei né con-vivere con lei di nascosto come un adultero ... desidero che non lo ignori colui dalquale dipende la mia consacrazione...

C’è poi un punto sul quale Teofilo non ha bisogno d’essere informato, ma chevoglio rammentargli ... È difficile, se non in tutto impossibile, scrollarsi di dosso con-vinzioni che siano state dimostrate scientificamente. Orbene non m’indurrò mai apersuadermi che l’anima abbia origine posteriore al corpo; non ammetterò mai cheil cosmo e le sue parti siano destinati a perire insieme; quanto alla resurrezione, dellaquale tanto si parla, la ritengo al più qualcosa di misterioso e ineffabile e son benlungi dal conformarmi a riguardo alle opinioni del volgo...

Se le leggi del ministero sacerdotale che mi riguarda mi concedono tale condotta,io assumerò la sacra dignità in modo da continuare a seguire la filosofia in privato enon oppormi alle favole in pubblico 125.

Il suo metropolita Teofilo, per quanto informato delle certezze filosofiche, degliscrupoli religiosi e dei propositi del neoacclamato, non ebbe indugi: consacrò quel-l’antico curiale filosofo alla cattedra episcopale, convinto che avrebbe governatobene la sua diocesi, disponendo di armi più efficaci di una corretta fede.

Non sappiamo per quanti anni ancora, dopo il 410, i sacerdozi tradizionali con-tinuarono ad essere rivestiti da quei membri dell’élite senatoria che, diversamenteda Sinesio, mantenevano salde le loro credenze pagane e, come Volusiano, rifiuta-rono di essere battezzati fino in punto di morte 126. In assenza di testimonianze epi-

123 Marcellinus, in Aug. Ep. 136, 2; cfr. anche Volusianus, in Aug. Ep. 132.124 Marcellinus, in Aug. Ep. 136, 3.125 Sin. Ep. 105 al fratello: da Cirene ad Alessandria, estate 410.126 Vit. Mel. IV, 50-53.

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grafiche, che registrino i loro uffici, possiamo ipotizzarne la sopravvivenza in virtùdelle funzioni che erano chiamati a svolgere. Se sull’attività delle Vestali, maggior-mente legata alla sfera cultuale – anche se non solo a sacrifici di tipo consultorio –,l’imperatore poteva aver avuto qualcosa da obiettare, sui compiti svolti da pontefici,auguri e altri sacerdozi maggiori (di cui peraltro non sappiamo quasi nulla) difficil-mente avrebbe voluto intervenire, se non per ratificarne l’utilità. Molte loro fun-zioni, infatti, erano connesse con l’esercizio del diritto pubblico, che a Romadipendeva ancora dall’originale nucleo di sacralità pagana 127.

Nel 349, rivolgendosi al prefetto del pretorio perché nessuno osasse arrecare of-fese ai monumenti funebri o ai resti del defunto, Costanzo II aveva confermato ilruolo preponderante dei pontefici, la cui competenza in materia sepolcrale era rico-nosciuta nel presente e prevista per l’avvenire:

Qui vero libellis datis a pontificibus impetrarunt, ut reparationis gratia labentiasepulchra deponerent, si vera docuerunt, ab inlatione multae separentur: at si inusum alium depositis abusi sunt, teneantur poena praescribta. Hoc in posterum ob-servando, ut in provinciis locorum iudices, in urbe Roma cum pontificibus tua celsi-tudo inspiciat... 128.

Tutela e applicazione della disciplina riguardante i sepolcri, che nelle provinceerano affidate ai governatori, a Roma erano questioni decise dai pontefici. Natural-mente la confessionalizzazione del sepolcro, concomitante con la tendenza a sep-pellire i defunti presso gli abitati, o anche al loro interno, presso la confessione delsanto, ovvero apud ecclesiam, era fenomeno già avviato nella seconda metà del IVsecolo. Si concluse realmente solo tra IX e X secolo, con la costituzione di Leoneil Saggio che consentì la sepoltura dei cadaveri sive extra muros sive intra civita-tem 129. Prima del suo compimento, tuttavia, il vescovo aveva per tempo acquisito ilcontrollo di parte delle sepolture, ereditando il potere di concedere o vietare i diritti– di seppellire, di esumare, di apporre epigrafi, di cedere il monumento o venderlo– che da sempre avevano esercitato gli antichi pontefici.

I termini cronologici di questa sussunzione di offici, che implicava assimilazionee revisione dell’antico diritto sacrale, non sono del tutto definibili. Il processo, però,fu lungo e complesso. Nella Novella 23 de sepulchri violatoribus del 13 marzo 447,per esempio, Valentiano III non fa menzione di pontefici. Tuttavia, nel riassumeree stabilire la disciplina vigente prima della compilazione di Giustiniano, adotta il lin-guaggio dell’antico diritto pontificale: vi campeggiano termini come sacrilegium,piaculum, offesa ai Mani del defunto, mentre si perpetua persino l’idea che l’espo-sizione alla luce dei resti umani offendesse la purezza del sole reclamando espia-

127 Sull’attività degli auguri in età tardoantica, Lizzi Testa 2009e.128 CTh 9, 17, 2 (28 marzo 349) ad Limenium p(raefectum) p(raetorio): Sulla costituzione, Cuneo

1997, 172-175; Cuneo 1998; Cuneo 1999.129 Palma 1990.

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zione. Se non fu un pontefice a dettare quella Novella, certo il funzionario che la sug-gerì conosceva molto bene il diritto sacro conservato da quel collegio 130.

Né l’impressione cambia a considerare la ricca casistica di pene previste per i varitipi di violatori. Distinguendo tra servi, coloni e ingenui e, all’interno di questi ul-timi, tra i poveri e i facoltosi, al chierico sepulchrorum violator era comminata unapena maggiore di quella prevista per gli uomini di nascita libera e facoltosi, essendotanto più acuto il contrasto tra i suoi gesti sacrileghi e le azioni misericordiose cheavrebbe dovuto compiere in virtù del ministero ricoperto 131. La Novella sembra ri-flettere una fase in cui l’autorità pontificale, pur fortemente erosa dall’allargamentodella competenza del vescovo sulle sepolture cristiane, continuava ad essere deter-minante nella definizione del diritto pubblico che la legislazione imperiale invitavaa rispettare. Il violento attacco contro i chierici cristiani, che, adibiti agli uffici fu-nerari minori, violavano la sacralità del loro compito, sembra il portato di una com-petizione latente ancora in corso.

Cassiodoro, invece, seppe moderare lo spirito della Novella di Valentiniano, seb-bene ne ricalcasse la struttura per esprimere con adeguata efficacia la immutata re-pulsa morale verso il chierico violatore delle ceneri dei defunti, in cerca d’oro: ognitermine paganeggiante è con cura evitato e comminando una multa pecuniaria, an-ziché la proscrizione e la deportazione a vita, cancellava l’eccessivo rigore, venatodi tinte anticlericali, che aveva ispirato la costituzione di Valentiniano III 132. Al-l’epoca di Teoderico, del resto, la cristianizzazione dell’Urbe doveva essere un fattoormai quasi del tutto compiuto e anche gli ultimi pontefici pagani dovevano essereconfluiti tra le fila della gerarchia cristiana. Ciò tuttavia non era dipeso dalle leggiantipagane, né dal loro straordinario rigore. L’esempio dell’influenza esercitata daldiritto pontificale sulla normativa relativa alla violazione dei sepolcri e delle ceneridel defunto conferma che alcuni settori della vita civica erano ancora dominati daforme di sacralità pagana. L’abolizione dei sacrifici, soprattutto di quelli consulto-rii implicanti l’attività aruspicale svolta in segreto, e il divieto di culto non avevanopregiudicato l’esistenza di alcuni collegi sacerdotali, i quali continuarono ad agirecome consulenti imperiali con l’autorità di un tempo.

D’altra parte, se l’imperatore condivise con vescovi e papa la gestione del sacronell’impero, da cristiano e con il titolo di pontifex (attestato ancora nell’editto diMarciano e Valentiniano III nel 452 e in una lettera di Anastasio al senato del 516 133);e se i preti del culto imperiale in Africa, molti dei quali a metà del V secolo già cri-stiani, continuarono – con lo stesso nome di quando erano pagani – a svolgere le fun-

130 Sent. I, 21, 4 con De Visscher 1963, 154.131 Nov. 23, 1, ll. 19-26 e 5, l. 33-40.132 Cass. Var. IV, 18.133 La lettera imperiale del 7 febbraio 452 ( Imperatores Caesares Flavius Valentinianus, pontifex

inclitus,… et Flavius Marcianus pontifex inclitus…) è in ACO 2, 3, 346, 38-347, 3 Schwartz; la letteradi Anastasio al senato è conservata in Coll. Avell. 113 (Imperator Caesar Flavius Anastasius, pontifexinclitus…).

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zioni per le quali erano stati concepiti 134, anche pontifices e augures romani do-vrebbero aver continuato ad agire nei loro ambiti, spartendo con vescovi e altri preticristiani le proprie antiche funzioni. L’uso di una medesima titolatura, l’assottiglia-mento della valenza di gesti ‘forti’ della ritualità antica per il tramite della loro ri-duzione ad atti simbolici, il prevalere di formule che per il loro arcaismo nessunorecepiva più quali pagane; inoltre, l’assimilarsi progressivo dei sacerdoti cristiani ailoro colleghi antichi, nel linguaggio formulare, nell’abbigliamento, nel comporta-mento, provocarono trasformazioni e transizioni più di quanto non causassero con-flitti e irrimediabili cesure.

Allo stesso modo, il divieto di culto non snaturò la qualità – religiosa in senso an-tico – di templi, statue e feste pagane. La loro sacralità, concepita in modo del tuttodiverso da come poteva intenderla un cristiano, dipendeva anche da altre compo-nenti: il loro essere espressione di tutta la comunità, perché interprete attiva di unafesta cittadina, ovvero dedicataria, da età antica, di un tempio o di una statua divina;il dipendere dalla generosità organizzativa, e poter contare sulla presenza, di auto-rità civili durante le cerimonie festive civiche; ovvero il fatto che il mantenimentoe il restauro dei templi, anche dopo la loro chiusura al culto, continuasse ad esserea carico di istituti pubblici; infine, il garantire la felicità pubblica (laetitia populi).Quest’ultimo era un valore legato alla paterna providentia imperiale, tantoché nep-pure Teoderico ritenne possibile prescinderne, evitando d’incorrere in un giudizio dinegligentia 135: rimase dunque vitale almeno fino ai primi decenni del VI secolo. Lasacralità dei funzionari imperiali era cresciuta a partire dal III secolo, in concomi-tanza con la maggiore sacralizzazione del ruolo imperiale 136. Di per sé, tuttavia, giàgli antichi magistrati repubblicani avevano funzioni rituali, che prescindevano dallaloro qualifica sacerdotale. Finché essi operarono nello spazio pubblico, in veste diorganizzatori di feste legate alla vita cultuale cittadina, continuarono ad agire anchein quanto agenti di sacralità civica e come tali furono avvertiti.

Quelle feste, infine, veicolavano una sacralità antica in senso tradizionale per laloro qualità collettiva. Finché coinvolsero la maggior parte della popolazione nonpersero tale carattere. Gelasio non aveva il potere di impedire la celebrazione dei Lu-percali, ma ne vietò la partecipazione a battezzati e neofiti 137. Non fu il primo a ten-tare di distogliere i cristiani dal partecipare a feste pubbliche tradizionali (ludi,Calende, Lupercali, processioni per i Dioscuri etc.), che si sentivano intrise di pa-ganesimo. A lungo, tuttavia, come egli ammetteva 138, i moniti dei vescovi non eb-

134 Chastagnol - Duval 1972.135 Cass. Var. I, 20, 1; 31, 1; III, 31, 3.136 Rüpke 2008, 60.137 Gel. Ep. adversum Andromachum, 30: Postremo, quod ad me pertinet, nullus baptizatus, nullus

christianus hoc celebret.138 Gel. Ep. adversum Andromachum, 31: Quod etiam praecessores meos forsitan fecisse non am-

bigo et apud imperiales aures haec summovenda temptasse, et quia auditos esse non constat, dumhaec mala hodieque perdurant.

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bero successo, né possiamo essere sicuri che il suo appello sia stato realmente ac-colto da cristiani e battezzati romani. Solo quando la partecipazione popolare co-minciò a scemare, anche il carattere sacro delle feste tradizionali diminuì. Più chesui divieti dei vescovi, ciò riposò sulla presenza attiva dei patroni plebis, che – purcristiani – si facevano patroni Lupercaliorum e guida, in veste di consoli o prefettiurbani, di processioni come quella verso il Libanus almae Veneris; dipese dunquenon tanto dalla effettività della loro fede cristiana – che pur poteva essere già rati-ficata dal battesimo, come nel caso di Andromaco, o da una elezione vescovile,come per Sinesio – ma dal loro persistere in ruoli istituzionali: in sostanza, dalla so-pravvivenza delle strutture politiche ed economiche della città antica, che a Romafurono decisamente pregiudicate dalla riorganizzazione amministrativa bizantina ecrollarono con l’invasione longobarda.

La riprova di quanto i fattori politici abbiano condizionato la persistenza del pa-ganesimo urbico è data dal fatto che ogni cerimonia civica tradizionale sembrascomparsa all’epoca di Gregorio Magno. Allora, malgrado la presenza formale difunzionari imperiali e di strutture pubbliche, la Chiesa aveva assunto in proprioanche la gestione dei servizi annonari dell’Urbe, al di là dell’esigenza di provvederealle erogazioni mensili di generi alimentari per i poveri 139. Alla fine del VI secolo,dunque, erano probabilmente cessate da tempo anche le processioni del popolo gui-dato da consoli o prefetti urbani verso il Libanus almae Veneris, o continuarono maguidate dal papa e verso un’isola ormai rinominata Isola sacra, dal momento che erail pontefice cristiano a predisporre con largo anticipo (nel mese di Agosto) quantograno, comprato dal rettore Pietro al di fuori del patrimonium e conservato in Sici-lia in luoghi idonei, dovesse arrivare a Roma nel mese di febbraio con le navi da luistesso inviate 140.

La città antica, dunque, divenne spazio neutro, ma non profano. L’appartenenza‘pagana’ rimase latente per tutto il periodo in cui crebbe la cristianizzazione, capacedi manifestarsi in alcuni momenti particolari alla fine del V secolo, risultando alloraancora integra in parte del popolo e in alcuni membri della sua élite come sosteneva

139 Arnaldi 1986. La richiesta d’interventi straordinari della Chiesa per rifornire i granai pubblici,saltuariamente noti all’epoca di Gelasio, di papa Giovanni (533-555) e di Vigilio (durante l’assedio diTotila), non dovrebbe spingere a credere che l’organizzazione pubblica dell’annona fosse già allora as-sunta dalla Chiesa (come ipotizza Durliat 1990, 134-163; solo nella fase della riorganizzazione am-ministrativa bizantina, l’annona civica passò progressivamente sotto il potere della Chiesa: Vitiello2002, 521-525. Per quanto si possa discutere sui tempi e sui modi con i quali l’attività del vescovo diRoma si sostituì a quella dei funzionari pubblici, è certo che solo una istituzione come la Chiesa ro-mana, con il suo personale specializzato, l’esperienza amministrativa, e le infine grandi possibilitàeconomiche, poteva subentrare al publicum nell’approvvigionamento di una città dalle dimensionidella vecchia capitale. Il confronto con altre situazioni, come quella di Ravenna, ove l’episcopio ra-vennate dovette svolgere un ruolo non secondario nell’annona cittadina conforta questa ipotesi: Co-sentino 2005, 423.

140 Gr. Magn. Ep. I, 70 (ed. D. Norberg, Turnhout 1982, CChSL, 140 e 140 A), 78-79; si veda, daultimo Pilara 2007, 525 ss.

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papa Gelasio. Condivisa a lungo da pagani e cristiani, la città infine divenne cri-stiana: passò dalla protezione degli dèi a quella di Dio, dei santi e dei martiri cri-stiani, ma non fu mai avvertita come spazio profano, anche se tale fustrumentalmente presentata dai testi legislativi e da alcuni predicatori cristiani.

Cambiando le strutture della città antica, però, anche il rapporto con il sacro dellesue componenti cominciò ad articolarsi in modo differente. Lo stesso Gregorio,quando il 25 aprile 603 organizzò quell’originale adventus che fu l’accoglimentodell’icona di Foca e Leonzia, trascurò la basilica di San Pietro e la fece giungere di-rettamente a San Giovanni in Laterano, sede residenziale del vescovo di Roma, oveinvitò solo senato e clero: «E fu acclamato in Laterano da tutto il clero e dal se-nato». Insieme alla città antica e ai suoi dèi, anche il popolo cominciava ad essereescluso dalle cerimonie in cui il potere rappresentava se stesso 141.

141 Gr. Magn. Appendix VIII, 10-13, 1101. Sull’episodio vd. ora anche Humphries 2007, 21-26 e56-58.

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