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Sommario
Introduzione .......................................................................................................................................... 3
1. Le Creative Common Public Licenses .......................................................................................... 3
1.1 Il contesto .............................................................................................................................. 3
1.2 L’organizzazione (CC) e le licenze (CCPL) .......................................................................... 5
1.3 Anatomia di una Licenza CCPL ............................................................................................ 7
2. Valutazione del sistema CCPL ......................................................................................................... 8
2.1 “Uno strumento semplice” .......................................................................................................... 8
2.2 Impiego proficuo delle CCPL in generale ................................................................................ 10
2.3 CCPL nel settore pubblico e nell’istruzione ............................................................................. 11
2.4 CCPL e Settore Privato: modelli di business. .......................................................................... 13
2.5 CCPL e Settore Privato: debolezze legali e strutturali, porting, efficacia delle clausole. ...... 14
Conclusioni ......................................................................................................................................... 16
Bibliografia (Dottrina) ........................................................................................................................ 17
Sitografia ............................................................................................................................................ 17
Documenti istituzionali ....................................................................................................................... 18
3
Introduzione
Lo scopo di questo lavoro è di illustrare le principali caratteristiche del modello di licenze
Creative Common Public Licenses (CCPL), al fine di poter comprendere le motivazioni che hanno
contribuito alla loro creazione e alla successiva adozione da parte di un largo numero di autori. Dal
2001, anno della creazione dell’omonima organizzazione no profit a capo del progetto, tali licenze
hanno progressivamente acquisito notorietà presso il pubblico e registrato un notevole incremento
di diffusione tra le opere intellettuali dovuto a diversi fattori: può tuttavia interpretarsi una larga
diffusione come indice di qualità del modello? Quali sono i fattori determinanti la ricerca di un
modello “alternativo” di copyright? A fronte delle premesse indubbiamente costruttive da cui
muove il progetto Creative Commons, vi sono alcune implicazioni di cui è opportuno tenere conto
qualora si scelga di considerarle come opzione alternativa al “classico” diritto d’autore.
Si cercherà quindi di riconoscere quali siano gli argomenti a favore dell’adozione delle
CCPL e quali siano gli aspetti negativi o problematici che il loro utilizzo comporta. La trattazione
sarà idealmente divisa in due parti: inizierà con una breve contestualizzazione storica del progetto
CC ed una panoramica sull’anatomia (par.1.2, 2.3, 1.3) di una CCPL per poi proseguire con la
valutazione (par. 2) complessiva del sistema.
1. Le Creative Common Public Licenses
Le licenze di Creative Commons sono il frutto dell’elaborazione di un progetto avviato
dall’omonima organizzazione Creative Commons Corporation nel 2001, ONG avente sede a San
Francisco e forma giuridica di tax exempt charitable corporation, assimilabile al modello delle
ONLUS1. Dunque a livello terminologico, sono due i significati rientranti nel concetto di Creative
Commons: da un lato troviamo l’organizzazione promotrice del progetto (CC), dall’altro il set di
licenze che da essa derivano, le Creative Commons Public Licences (CCPL).
1.1 Il contesto
Il nome di Creative Commons a sua volta deriva indirettamente da un saggio
dell’economista Garret Hardin, intitolato “ The Tragedy of the commons”2, avente per oggetto la
gestione delle risorse comuni. Secondo Hardin, la scarsa tutela accordata ai beni comuni (commons)
porterebbe irrimediabilmente al perimento degli stessi. I fondatori di Creative Commons, ritengono
che a questo ragionamento tuttavia si sottraggano, almeno in una certa misura, le opere dell’ingegno
in virtù della loro natura peculiare di beni intangibili3. L’organizzazione infatti, ha come scopo
1 Per una panoramica sul progetto si veda http://creativecommons.org/about
2 Hardin, G. (1968). The Tragedy of the Commons. Science ,162 (3859): 1243–1248. 3 Utile introduzione alle CCPL in questo senso: S.Aliprandi (2008) Creative Commons: Manuale Operativo. Guida
all'uso delle licenze e degli altri strumenti CC, Viterbo: Stampa Alternativa, 20-22
4
istituzionale4 la promozione di modelli di gestione dei diritti di proprietà intellettuale “alternativi”,
che permettano l’utilizzo e riutilizzo gratuito e semplificato delle opere intellettuali da parte dei
fruitori. In questi termini si faciliterebbe l’accesso alla conoscenza, ponendo le basi per una
circolazione maggiore dell’intero patrimonio creativo ed un interscambio di opere creative senza
barriere, in grado di arricchire la collettività. Molto suggestiva è la massima di George Bernard
Shaw che si adatta a questa visione: If you have an apple and I have an apple and we exchange
these apples then you and I will still each have one apple. But if you have an idea and I have an
idea and we exchange these ideas, then each of us will have two5.
È bene osservare che Creative Commons non nasce come fenomeno isolato: costituisce
infatti una risposta alle esigenze di un copyright diverso già avanzate da iniziative simili a partire
dagli anni Ottanta con il movimento open source, nato nel 1984 negli Stati Uniti su impulso della
Free Software Foundation6 di Richard Stallman, con il progetto GNU e la GNU General Public
License7 del 1989. Queste iniziative, come anticipato, nascono da istanze volte a trovare un
approccio diverso al copyright, dovute all’avvento delle nuove tecnologie che hanno modificato le
premesse fondanti l’assetto del diritto di autore classico. La stessa parola copyright rimanda allo
scopo intrinseco della disciplina, vale a dire garantire il diritto alla riproduzione della copia: questa
disciplina era adatta a rispondere alle necessità degli editori che avevano ricevuto in blocco il
fascio di diritti sulle opere (tra cui quelli patrimoniali) ceduti dai rispettivi autori, per coprire
l’ingente investimento dell’operazione di pubblicazione, ma dimostra un carattere piuttosto rigido e
inadeguato per quanto riguarda i nuovi orizzonti dello sviluppo di software e Information
Technology. Questi settori seguono dinamiche diverse, e soprattutto con la diffusione di Internet dal
1995 in poi, si è assistito ad un fenomeno di “disintermediazione” e “differenziazione”8 che
caratterizza i rapporti in questo ambito: sono cambiati da un lato gli attori, considerando che i
fruitori dei contenuti web non sono più soggetti esclusivamente passivi, ma al contrario, facilmente
divengono a loro volta soggetti attivi che con un impiego minimo di risorse sono in grado accedere
direttamente ad una mole pressoché infinita di informazioni e crearne autonomamente a propria
volta, saltando gli intermediari. Sono cambiate altresì le regole a cui si vorrebbe rendere possibile
un simile scambio di informazioni: tradizionalmente con la creazione dell’opera viene a
configurarsi secondo il nostro ordinamento, automaticamente e senza nessuna formalità, un fascio
di molteplici diritti in capo all’autore, al momento stesso della creazione, di cui diviene titolare a
titolo originario ex art. 2576 codice civile. Questo fascio attribuisce il massimo grado di protezione
possibile (tutti i diritti riservati), per la massima durata (vita dell’autore più 70 anni). In uno
scenario come quello proposto, di forte dinamicità e interconnessione ben può darsi che l’autore
abbia invece esigenza di gestire autonomamente (autonomia intesa sia in senso soggettivo, ossia di
4 Estratto da http://creativecommons.org/about: “Our mission: Creative Commons develops, supports, and stewards
legal and technical infrastructure that maximizes digital creativity, sharing, and innovation.
Our vision is nothing less than realizing the full potential of the Internet — universal access to research and
education, full participation in culture — to drive a new era of development, growth, and productivity.” 5 Per riprendere un parallelismo di Aliprandi, S. (2006). Teoria e e pratica del copyleft. Tratto da www.copyleft-
italia.it: http://www.copyleft-italia.it/images/stories/documenti/aliprandi-copyleft2.pdf 6 Per una panoramica sul progetto GNU: http://www.fsf.org/about/
7 In particolare http://www.gnu.org/licenses/
8 V. diffusamente su questi due concetti S.Aliprandi (2006) "Teoria e e pratica del copyleft,", cit. 18. Il fenomeno
della disintermediazione peraltro non è condiviso unanimente. Gli intermediari infatti continuano ad esistere, ma sono
soggetti diversi e agiscono alla luce di nuovi scopi e nuove regole.
5
gestire i diritti in prima persona ma anche e soprattutto intesa come autonomia dei singoli diritti)
quel fascio di diritti di cui è diventato titolare al momento della creazione.
Ecco dunque che è in un siffatto contesto che trovano spazio e giustificazione modelli di
licensing alternativo, volti a trovare vie più duttili di amministrazione dei diritti d’autore, per
rispondere alle diverse esigenze comuni ad autori e fruitori9.
Accanto alla storica esperienza GNU GPL (per il ramo software) sono maturati numerosi
filoni che condividono queste considerazioni e perseguono le medesime finalità di “apertura”: in
generale si può parlare di movimenti che si esprimono con nomi e forme diversi, come copyleft,
open source e open content, ma che poggiano su un sostrato ideologico comune.10
1.2 L’organizzazione (CC) e le licenze (CCPL)
Tra le licenze di opencontent si collocano appunto le Creative Commons Public Licenses,
che, forti di una ormai decennale esperienza11
, si classificano tra i progetti più significativi e che nel
tempo hanno riscosso un successo notevole tra il pubblico. La Creative Commons Corporation fu
fondata nel 2001 su iniziativa di alcuni giuristi californiani della Stanford University tra cui
Lawrence Lessig12
, figura di spicco nei movimenti per la riduzione delle restrizioni sul diritto
d’autore. L’associazione, con sede legale a San Francisco, detiene i diritti del marchio, del sito web
ed il copyright sui contenuti del progetto, testi delle licenze inclusi. A questa si ricollegano a loro
volta le cosiddette “Affiliate Institutions” un network di associazioni figlie a cui fanno capo progetti
iCommons (International Commons) locali di altri paesi che hanno come fine l’armonizzazione fra
modello originario e singoli ordinamenti nazionali (porting linguistico e tecnico-giuridico)13
.
Le CCPL hanno in sintesi lo scopo di creare un modello di licensing intermedio tra i due
estremi del “tutti riservati” proprio del copyright tradizionale ed il pubblico dominio. Sul sito
istituzionale è possibile reperire un’immagine che ben rappresenta questa concezione:
9 V. S. Aliprandi (2005), Copyleft & opencontent - l'altra faccia del copyright, Lodi: PrimaOra. 15-30
10 La comune base ideologica è utile esclusivamente ai fini della presente trattazione per un fattore di comodità
esplicativa, in quanto i diversi movimenti ed i rispettivi esponenti differiscono non poco tra loro. 11
V. per una sinossi storica http://creativecommons.org/about/history. Vengono qui ripercorse le principali tappe
dell’evoluzione dell’organizzazione e delle licenze ( tra cui il riferimento alle versioni delle licenze susseguitesi negli
anni. 12
Le posizioni di Lessig sul copyright si ritrovano in Free culture: how big media uses technology and the law to
lock down culture and control creativity reperibile in pdf all’url http://www.free-culture.cc/freeculture.pdf, che
rappresenta il principale “manifesto politico” dell’organizzazione. 13
Per l’Italia il progetto iCommons è stato coordinato dal Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università di Torino
e l’IEIIT-CNR di Torino, vedi http://www.creativecommons.it/About
Figura 1La volontà alla base del
progetto Creative Commons (CC) è di
creare una situazione intermedia tra il
classico modello di copyright © (Tutti i
diritti riservati, All rights reserved) e quello
del pubblico dominio (PD, Nessun diritto
riservato, No rights reserved) configurando
un sistema flessibile ed articolato di “Alcuni
diritti riservati” (some rights reserved).
Immagine tratta da
www.creativecommons.it
(
6
La posizione in cui si trovano le CCPL a sua volta non è rigidamente equidistante rispetto
agli estremi, poiché si è voluto creare uno strumento malleabile, in grado di adattarsi al singolo caso
concreto (avendo riguardo al tipo di opera, alla sua destinazione, alle finalità dell’autore, ecc.).
Questo viene reso possibile attraverso un set di tipo modulare costituito, da una parte, dalle libertà
del fruitore, dall’altra, dalle condizioni alle quali è possibile utilizzare l’opera.
Estratto dalla brochure14
informativa (italiana) reperibile presso il sito istituzionale Creative
Commons Italia:
Gli elementi che formano le singole licenze del set
messo a disposizione degli autori sono dunque composti da
due elementi costitutivi: da un lato vi sono le “libertà”
(Figura 2):
Dall’altro vi sono le condizioni a cui è possibili fruire dell’opera sottoforma di clausole. (Figura 3).
La combinazione di questi elementi ha portato all’adozione di
un set finale di sei licenze15
(Figura):
14
La brochure è ricompresa in un esaustivo Press Kit esplicativo delle licenze e si focalizza in modo particolare
sulle versioni italiane.Cfr. http://www.creativecommons.it/ccitfiles/brochureCCv2.pdf 15
Il set standard comprende sei licenze, escludendo altre licenze CCPL che rientrano in progetti paralleli come le
CC0, Founder’s Copyright, Science commons ecc.
Figura 2
Figura 3
7
1.3 Anatomia di una Licenza CCPL
L’estratto precedente individua gli elementi costitutivi a livello concettuale (libertà e
condizioni), mentre il meccanismo legale con il quale questi elementi vengono incorporati nella
licenza e che le permettono di “funzionare” opera su un versante distinto. Il meccanismo di
“apposizione” sull’opera (sia digitale che fisica) è molto interessante, poiché è la fase in cui è
possibile osservare la struttura sostanziale delle licenze, facendo intuire già alcuni dei principali
punti di forza (e di debolezza) del progetto.
Una volta che l’autore ha stabilito a quali libertà e condizioni intende “aprire” l’opera,
questa combinazione corrisponderà ad una delle sei licenze sopraelencate. Punto centrale è che ogni
licenza a sua volta, si manifesta in tre modi distinti, pur rimanendo sempre una sola. Si tratta di una
differenziazione per “livelli” (Figura 5)16
.
A) Il cosiddetto Legal Code è il documento/contratto che
incorpora la licenza in sé ed il suo contenuto legale. Questo
primo livello è caratterizzato da un tasso di tecnicismo
relativamente elevato ed è indirizzato essenzialmente agli
operatori del diritto che sono in grado di apprezzarne gli
aspetti giuridici e la disciplina puntuale dell’accordo di
licenza. Il testo integrale è disponibile e visionabile sul sito
web tramite un un link riportato attraverso il secondo livello
che vi rimanda.
B) Il secondo livello viene definito human readable ed è ciò che effettivamente entra in
contatto direttamente con il fruitore dell’opera. Si tratta di un
“riflesso” semplificato della licenza che mira ad essere
immediatamente comprensibile dal lettore. La peculiarità di questo livello sono il cd.
Commons Deed (o Atto Common, vale a dire versioni sintetiche della licenza) ed i
relativi visuals (icone grafiche) che facilitano la comprensione dei termini di utilizzo.
Una siffatta comunicazione dei diritti e doveri agevola un uso corretto e responsabile
dell’opera da parte del pubblico. Inoltre, come anticipato, troviamo in questo livello un
rinvio al legal code ed eventualmente una limitazione di responsabilità.
C) Il terzo livello è riservato al digital code che è machine readable, ossia ai metadati che
vengono allegati al file (sempreché si tratti di contenuti in forma digitale). Queste
informazioni vengono inscindibilmente “fuse” nel file originale e sono leggibili e
decifrabili attraverso procedimenti informatici (es. possibilità di ricercare il file tramite
un motore di ricerca).
16
Fonte Immagini: http://creativecommons.org/licenses/?lang=it
Figura 4
8
2. Valutazione del sistema CCPL
È ora possibile, dopo aver fornito un quadro sintetico del modello, prendere in
considerazione gli aspetti che caratterizzano le Creative Common Public Licenses dal punto di vista
di una riflessione circa l’adeguatezza di questo sistema. Un’adeguatezza che dovrà essere misurata
sulla coerenza del progetto rispetto alle premesse da cui nasce e rispetto alle finalità che persegue. I
fattori che ne hanno decretato il successo, almeno in termini numerici, sono legati all’esigenza reale
di un copyright alternativo oppure sono indice di un’adesione da parte del pubblico degli utenti ad
una sorta di policy promossa da organizzazioni come la CC? Si tratta, in relazione alla natura
strettamente giuridica, di un copyright diverso? Nei paragrafi seguenti si cercheranno di fornire
alcuni spunti di riflessione sulle CCPL, sia a favore, sia in chiave critica.
2.1 “Uno strumento semplice”
Prendendo spunto dalle considerazioni fatte riguardo all’aspetto strutturale del modello, si
percepisce fin da subito che esso è connotato da un’estrema facilità di utilizzo. Il sito web offre una
semplice procedura guidata17
, articolata in poche fasi, che tende la mano all’utente/autore (il quale
spesso non è tecnico del diritto d’autore) durante il percorso di scelta e applicazione della licenza.
Questa caratteristica è accompagnata inoltre dalla flessibilità che offre questa modalità di licensing,
venendo incontro con un set di diverse licenze alle esigenze assai eterogenee delle diverse tipologie
di autori (blogger, accademici, cantanti, giornalisti, ecc.).
La versatilità rende di fatto apprezzabile l’utilizzo di queste licenze da parte di sei ampi
profili di autore18
:
1) L’idealista: spiccatamente condivide la finalità del progetto a favore dell’apertura dei
contenuti.
2) Il pragmatico: es. artista all’inizio della carriera, con poche risorse, che vuole sfruttare le
opportunità del web per aumentare la notorietà.
3) L’accademico: non animato dalla finalità di lucro, per natura condivide la produzione
scientifica secondo dinamiche diverse da quelle che alimentano il mercato artistico.
4) Il creativo: che utilizza il “materiale grezzo” reso legalmente disponibile per
rielaborarlo.
5) Il creatore filantropo: che raggiunto il successo può permettersi di divulgare
gratuitamente le sue opere.
6) Il politico: che invece mira alla massima diffusione delle proprie idee.
Questo è indubbiamente un punto a favore delle CCPL, poiché permettono un controllo19
semplice delle utilizzazioni (anche commerciali), massimizzando comunque la distribuzione dei
17
La procedura si esaurisce in pochi click e si articola in quattro brevi fasi in cui l’autore risponde alle domande
standardizzate sulla natura dell’opera. Vedi http://creativecommons.org/choose/ 18
Le categorie sono efficacemente enucleate da M.Manlio, Open licensing e gestione collettiva dei diritti d’autore
in Informatica e diritto, 2009, 193
9
contenuti. Un aspetto strettamente connesso a questa semplicità (venendo meno intermediari ed enti
di gestione collettiva del diritto d’autore) è l’eliminazione dei costi di transazione legati alla
richiesta e al rilascio delle autorizzazioni individuali. Un simile processo si serve e si poggia sulla
forza “democratizzante”20
delle tecnologie digitali che rende alla portata di un sempre crescente
numero di soggetti l’accesso immediato allo scambio di informazione e contenuti di ogni genere.21
Su un piano differente, il fatto di presentarsi in una veste così lineare e pulita (il termine più
appropriato forse è user friendly), unitamente all’immagine di strumento genuino votato a nobili
cause, evoca per sua natura uno status di contrapposizione ideologica al copyright ostile e oscuro
delle major, interamente orientato al profitto e comprensibile solo da biechi team legali.
Recentemente nei paesi emergenti si è persino sviluppato un orientamento che guarda con
ostilità alla proprietà intellettuale (come istituto) in quanto ostacolo al progresso delle loro
economie: i brevetti, ad esempio, sarebbero appannaggio del mondo industrializzato come
chiaramente si evince dalle statistiche sulla provenienza geografica degli stessi22
.
Questa visione porterebbe, secondo il punto di vista dell’autrice Elkin-Koren23
, ad alcuni
esiti paradossali, spostando il dibattito dal terreno degli istituti giuridici a quello della politica.
Risultando poco chiari gli indirizzi di policy dell’organizzazione Creative Commons Corp. si viene
a creare una strana alleanza tra liberali e anarchici, capace di unire attivisti no global e sostenitori
del mercato libero, dovuta alla strategia di diffondere in maniera virale, con la diffusione stessa
delle opere, anche la piattaforma delle CCPL ed il loro messaggio trasversale. Ciò è imputabile ad
una “confusione ideologica” che permea il movimento e funge da fattore di coesione. Creative
Commons è sotto certi aspetti una forma di attivismo politico che promuove il cambiamento sociale
attraverso un nuovo approccio al copyright con la pretesa di fornire un’alternativa ad esso. Queste
istanze sono incorporate nel manifesto politico del creatore dell’organizzazione Lessig, Free
Culture, in cui emerge che il copyright tradizionale è un ostacolo alla realizzazione della “cultura
libera”. L’autrice Elkin-Koren rileva come, almeno sotto un profilo programmatico, Creative
Commons non propone niente di nuovo ed è persino reazionaria, alla luce delle finalità enunciate
dalla Costituzione Americana in merito al diritto d’autore24
. Si fonda sugli strumenti giuridici
preesistenti per piegarli agli scopi della diffusione “libera” ma è ancorata alle solide basi del diritto
della proprietà e nello specifico del copyright liberale a cui comunque non sfugge. Da quando si è
diffuso il fenomeno di internet, le persone che vi hanno accesso, fin dagli albori hanno immesso
contenuti ed informazioni nelle reti, ritenendo implicito ciò che ora viene inutilmente esplicitato
dalle clausole CCPL: l’utilizzo e riutilizzo, la copia, la diffusione non solo non erano percepite
come una minaccia ma erano i fattori principali alla base dell’esplosione del fenomeno internet. Le
CCPL rischiano distorcere e confondere le nozioni stesse di “proprietà intellettuale”, “libero
19
Il controllo qui è inteso come unilaterale da parte dell’autore, poiché altro è, come vedremo, il controllo effettivo e
l’efficacia sul piano della prevenzione degli abusi. 20
Sul punto M.Manlio, (2009) Open licensing e gestione collettiva dei diritti d’autore
in Informatica e diritto, , fasc. 2 191 - 201 21
Tematica che è legata strettamente alla disintermediazione, vista in precedenza. 22
Cfr. le tabelle con le percentuali attuali http://www.wipo.int/ipstats/en/statistics/pct/ 23
N.Elkin-Koren, The future of the public domain, P. Bernt Hugenholtz & Lucie Guibault, eds., Kluwer Law
International, 2006 24
U.S. CONST. art. I, § 8, cl. 8: "The Congress shall have Power . . . To promote the Progress of
Science and useful Arts, by securing for limited Times to Authors and Inventors, the exclusive Right to
their respective Writings and Discoveries”
10
utilizzo”, “pubblico dominio” e “accesso pubblico”: quando si parla di un accesso alle opere
“libero” si vuole intendere libero da ogni incombenza giuridica o di un utilizzo semplicemente
gratuito? Dare la possibilità agli autori di gestire i propri diritti sull’opera inoltre non significa
promuovere l’accesso pubblico: alcune statistiche hanno mostrato che vi è una percentuale notevole
di chi comunque non consente un uso commerciale delle proprie creazioni25
. Si sensibilizza l’autore
alla problematica, senz’altro esistente, della gestione dei contenuti, ma questo viene al contempo
attirato dalla “proposta allettante” dell’user-friendly licensing di CC a compiere una scelta di
campo di cui il più delle volte non è del tutto consapevole. La scelta avviene in un contesto di
parziale disinformazione che può essere incolpevole (a causa della mancanza di una formazione
giuridica dell’autore per esempio), ma che è possibilmente riconducibile ad alcune posizioni non del
tutto coerenti o nette, proprio perché la strategia di CC si basa anche sulla flessibilità, dovuta
certamente alla struttura delle licenze come parimenti alla loro “politica vaga” ma di presunta
contrapposizione al modello tradizionale, che attira indistintamente categorie eterogenee di autori,
spinti da finalità molto diverse.
2.2 Impiego proficuo delle CCPL in generale
Il precedente paragrafo ha voluto evidenziare come, partendo dalla semplicità e flessibilità
quali punto di forza del modello, ne discendano alcune implicazioni di carattere ideologico e
politico che si riverberano sul piano della coerenza del modello rispetto ai suoi scopi. Sebbene si
tratti di critiche condivisibili si deve tener conto che investono prevalentemente la sfera della
“strategia si azione”, mentre non intendono smentire il “fondamentalismo” che caratterizza il
tradizionale copyright.
In concreto l’utilizzo delle CCPL incentiva dal lato dei fruitori/autori fenomeni da valutare
positivamente. In generale:
a) il marchio, i Commons Deed ed i relativi visuals CC sono in forte espansione,
coinvolgono sempre più utenti nelle tematiche della proprietà intellettuale, permettendo
di acquisire familiarità con il concetto di “Termini e Condizioni”.
b) rendono chiare e intellegibili le condizioni alle quali è reso legittimo l’utilizzo di
un’opera.
c) Il sistema a strati con un meccanismo di rinvio alla licenza vera e propria, eliminando le
formalità annesse ad una registrazione, abbatte costi di transazione e amministrazione.
d) Al momento della scoperta si può disporre di un bene soggetto al diritto di autore e farne
un uso “legale” se si rispettano le condizioni preventivamente stabilite nella licenza.
e) A sua volta tale immediatezza facilità la circolazione dei “beni” è favorisce la
collaborazione tra autori ( soprattutto con il permesso di elaborare opere derivate).
Aumenta la mole di materiale impiegabile senza rischi di incorrere violazione da parte
ad es. di artisti (remix musicali, collage di foto).
25
N.Elkin-Koren, The future of the public domain, ibidem, 10. Anche se l’utente sceglie di utilizzare le CCPL,
spesso l’idea di “aprire” l’opera è comunque accompagnata dal desiderio di “chiuderla” per impedirne lo sfruttamento
commerciale o le modifiche. In un certo senso questo comportamento non prende in considerazione gli eventuali
benefici (anche per la società) che possono derivare da uno sfruttamento di questo tipo e si pone in contrasto con una
visione più estrema di cultura libera.
11
f) Le opere tutelate con una CCPL possono, come abbiamo visto, inglobare una serie di
metadati (machine readable layer) che li rendono reperibili attraverso processi
informatici, come la loro indicizzazione e ricerca in un motore di ricerca o il salvataggio
in banche dati. In potenza l’opera può ricevere mediante questi procedimenti
un’esposizione su scala mondiale.
Questa elencazione, esemplificativa e non esaustiva, rappresenta i principali benefici che il
modello delle CCPL è in grado promuovere.
Una questione ulteriore, non di secondaria importanza è l’uso concreto che si intende fare
con una licenza di questo tipo: occorre osservare il “comportamento” delle CCPL, distinguendo a
seconda dell’ambito in cui vengano impiegate, per avere un’idea di quali vantaggi o svantaggi
possano generare. Essendo peraltro licenze diverse tra loro, ognuna meriterebbe essere analizzata
singolarmente per determinarne l’opportunità ottimale di utilizzo: si può tuttavia cercare di
ragionare termini di macroaree. Esistono sicuramente settori che in virtù della loro natura potranno
avvalersi con profitto della soluzione CCPL, mentre ve ne sono altri in cui il loro utilizzo è
rischioso ed inefficace. I prossimi paragrafi cercheranno di contestualizzare l’applicabilità delle
CCPL in alcuni domini specifici.
2.3 CCPL nel settore pubblico e nell’istruzione
Alcuni studi si concentrano sull’utilizzo delle CCPL all’interno del settore pubblico. Il
settore pubblico infatti è dominato da regole diverse da quelle che accompagnano le dinamiche del
mercato. Proprio perché si tratta di attività che in astratto tendono alla dimensione collettiva, non
abbisognano di tutele specifiche per garantire il profitto derivante dalla vendita di diritti di proprietà
intellettuale. Si concede in questo ambito maggior peso all’attribuzione della fonte o alla
attendibilità/autorità dell’informazione, ponendo come obiettivo la diffusione massima dei
contenuti. Da questo punto di vista si ha una convergenza notevole tra le finalità del settore
pubblico e quelle promosse da CC.
Generalmente viene valutato come appropriato l’utilizzo di queste licenze; in particolare
uno studio effettuato da Intrallect e AHRC Research Centre for Studies in IP and IT
sull’applicabilità delle licenze CCPL in un contesto CIE (Common Information Environment, tra cui
figurano principalmente public sector organizations) nel 200526
, tra le varie recommendations27
sostiene:
- “Le licenze Creative Commons sono adatte alla pubblicazione di molte risorse elaborate
dalle organizzazioni del settore pubblico […]poiché gli standard di riferimento e le
possibilità di scelta possono adeguarsi a molte situazioni. Le organizzazioni CIE che
adottano una politica diffusione e riutilizzo delle proprie risorse, dovrebbero usare il
26
Fonte:http://www.intrallect.com/index.php/intrallect/knowledge_base/general_articles/creative_commons_licensin
g_solutions_for_the_common_information_environment__1 27
Recommendation pp.29 -32. Lo studio è molto approfondito e si basa data ricavati mediante statistiche e
questionari, rivolte al settore pubblico. Vengono analizzati numerosi contesti e casi concreti al fine di ottenere un
quadro completo sulle caratteristiche, anche intrinseche, delle licenze CCPL.
12
seguente set in linea con le loro esigenze, a meno che non vi siano necessità evidenti in
senso contrario: BY, BY-NC-SA, BY-NC-ND”
- “Organizzazioni CIE che pubblicano materiali con la finalità di riutilizzo, dovrebbero
utilizzare Creative Commons ovunque possibile, e solo qualora non dovesse essere
possibile applicare una licenza CC si dovrebbe optare per altri tipi di licenze
[…].”(trad.)
Rilevante, tra i benefits che emergono in questo studio, è la massimizzazione dell’utilizzo e
riutilizzo di risorse finanziate principalmente dai contribuenti, promuovendo una cultura di apertura
e libertà dell’informazione, aspetto generalmente fatto proprio dalle pubbliche amministrazioni.
. Sono numerose le Pubbliche Amministrazioni che hanno adottato il modello delle CCPL
per la diffusione dei loro atti anche in Italia:
a) Dati delle Pubbliche Amministrazioni (http://www.dati.gov.it/) mediante Creative
Commons Attribuzione - Non commerciale 2.5 Italia (CC BY-NC 2.5)28
b) Camera dei deputati, pubblica i dati con licenza Creative Commons BY-S
c) Istituto nazionale di statistica, pubblica con licenza Creative Commons BY
d) Sistema Statistico Nazionale, pubblica con licenza Creative Commons BY-SA29
Così anche in ambito accademico, che in qualche modo è ricompreso nel genus di quello
Pubblico vi sono interessi che trascendono il mero guadagno ricavato dalla vendita dell’opera. Un
impiego proficuo che permette di ridurre la spirale dei costi, è l’utilizzo della CCPL in funzione
servente all’Open Access: in un sistema tradizionale le università investono sulla formazione di
studenti e professori, i quali, attraverso il meccanismo delle produzioni scientifiche, pubblicano
articoli (frutto dell’investimento formativo) su riviste private alle quali gli atenei si abbonano per
rendere accessibili ad altri professori e studenti i contenuti pubblicati. Con il ricorso all’Open
Access in ambito accademico si possono eliminare i passaggi intermedi al fine di tagliare i costi di
transazione. Le licenze CCPL ed in particolare la licenza BY (sola attribuzione) è lo strumento
ottimale con cui configurare l’accesso in OA. Da segnalare l’iniziativa della Harvard University
Library che ha creato una policy e repository di materiale accessibile in Open Access30
.
Di recente la Creative Commons Corporation peraltro si è confrontata in un dibattito
costruttivo con l’istituto MIT il relazione al progetto “ OpenCourseWare”. Il MIT utilizzava una
clausola BY-NC-SA per la pubblicazione digitale, libera e aperta, di materiale didattico di elevata
qualità organizzato in corsi. L’istituto si è impegnato con CC per elaborare una nuova versione di
questa licenza che risolvesse il problema del cd. “Endorsement”. Godendo il MIT di illustre
reputazione, ritenne opportuno di far inserire una specifica clausola di “no endorsement” (non
approvazione) specificando che l’eventuale riadattamento, anche linguistico, del materiale
avvenisse non in virtù di un rapporto speciale tra il rielaboratore/licenziante e l’istituto ma sotto gli
28
V. http://www.dati.gov.it/content/note-legali 29
Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Creative_commons. Interessante è l’elencazione degli organismi pubblici che si
servono delle CCPL ma anche quella relativa agli esempi di altri progetti (privati) che ne fanno uso. 30
V. Sito ufficiale Harvard University Library http://osc.hul.harvard.edu/policiesche descrive le guidelines per la
pubblicazione in Open Access.
13
accordi della licenza CC. La clausola è stata inserita contestualmente al lancio della versione 3.0
delle licenze31
.
Si sostiene che anche nella formazione a livelli inferiori rispetto a quella universitaria possa trovare
utile applicazione il sistema delle CCPL32
.
Le scuole producono per il compito istituzionale che svolgono molti contenuti, spesso senza
specificazione riguardo alle licenze. La legislazione vigente offre in automatico una protezione tout
court, completa, non ammettendo copie o distribuzione senza esplicito permesso. Il più delle volte è
auspicabile che tali contenuti servano alla collettività in quanto ne sono anche un prodotto e dunque
la soluzione delle CCPL si presenta particolarmente adeguato allo scopo di diffusione e
condivisione. In particolare si possono apporre le licenze ad alcune categorie di lavori, sfruttando le
caratteristiche della flessibilità del set, ad esempio33
:
a) Materiale didattico per lezioni tutelabile con BY-SA
b) Opera artistica o documentale realizzata da studenti con BY-NC
c) Documento a larga diffusione, es materiali promozionale dell’istituto , o di eventi con
BY-ND
d) Materiale didattico di supporto con BY-NC-SA
e) Intervento a convegni con BY-NC-ND
f) Trattato con BY-NC-SA
g) Libri liberi di testo con BY-SA
2.4 CCPL e Settore Privato: modelli di business.
Il settore privato costituisce la seconda macroarea in cui trovano applicazione le CCPL. Il
discorso si complica poiché le licenze si misurano con una serie di questioni che mettono alla prova
l’effettiva tenuta del modello. Rispetto al settore pubblico, il libero mercato non è animato dagli
stessi valori che pongono al centro la collettività ed il bene comune. Vedremo che licenze CCPL
come strumento di tutela dei contenuti sono soggette a forze che sfuggono al dominio dei singoli
soggetti che intendono esercitare una forma di controllo sulle proprie creazioni, ma che sono anche
il punto di partenza di nuove opportunità di business di servizi emergenti.
Il fattore della “gratuità” con cui si ha accesso, non impedisce che possano innestarsi sulle CCPL
anche modelli di business che sfruttino commercialmente i benefici delle diffusione e reperibilità
delle opere licenziate. Nel 2007 CC ha reso possibile tramite il protocollo “CC-plus”34
abbinare ad
31 Sul punto utile ricostruzione di S.Alvanini, Creative Commons: condividere, modificare e riutilizzare legalmente.
, in Il Diritto industriale, 2009 fasc. 4, 392. 32
Diffusamente sull’interazione tra settore pubblico, scuola/amministrazioni e licenze opencontent. G. Concas, G.
De Petra, G. B. Gallus, G. Ginesu, M. Marchesi, F. Marzano (2009) Contenuti aperti - beni comuni, McGraw Hill,
Milano, 15-26. 33
Esempi di licenze CCPL declinate a seconda del materiale scolastico tratto sempre da AA.VV. Contenuti aperti -
beni comuni, ibidem.
34
per approfondire la nozione di CC-Plus si veda http://wiki.creativecommons.org/Ccplus
14
una licenza standard del set una seconda licenza che permette di gestire oltre ai diritti contenuti
nella CCPL anche altri diritti. Questo consente ad es. ad un terzo di implementare una struttura che
controlli domanda e offerta di determinati sfruttamenti commerciali delle opere sotto licenza CC,
lasciando libero l’autore di offrire l’opera comunque gratuitamente e per usi non commerciali al
pubblico.35
Questo meccanismo è stato utilizzato per la realizzazione di alcune imprese che sono state in grado
di affermarsi da un punto di vista commerciale. È il caso di Beatpick.com che offre un servizio di
sfruttamento commerciale di brani musicali: tra i principali clienti figurano nomi come Mercedes
Benz e Ralph Lauren. Beatpick sottopone ad un’attenta selezione i brani sotto licenza CC
garantendo una qualità dei contenuti notevole in fase di raccolta e filtraggio. Inoltre non percepisce
compensi per sfruttamenti non commerciali mentre consente di risparmiare fino al 70% rispetto al
corrispettivo richiesto per sfruttamenti commerciali dalle società di gestione collettiva dei diritti di
autore. I brani sono liberi da DRM con tutti i benefici che ne conseguono, in ossequio alle linee
guida CC36
. Gli artisti ricevono oltre alla visibilità un compenso tramite un separato accordo,
mentre le licenze utilizzate sono quelle BY-NC-SA che sono ritenute le più equilibrate per questo
genere di piattaforma.
Altri esempi di business di successo che fanno leva sulle CCPL sono Jamendo.com e
Magnatune.com. Per certi versi condividono il modello di Beatpick.com, agendo come catalizzatori
fra offerta da parte degli autori e domanda da parte del pubblico di utilizzo commerciale e non, per
altri se ne discostano aggiungendo altri elementi interessanti al fine di prestare servizi diversificati:
jamendo.com punta sulla creazione di una community con un sistema di rating per il filtraggio dei
contenuti musicali (estremamente numerosi e di tutti i generi), con una componente non trascurabile
di advertising come fonte di guadagno, mentre megatune.com è prettamente settoriale ed è
specializzata in generi di musica “alternativa” (elettronica e new age) con una peculiare forma di
discriminazione37
dei prezzi di vendita38
.
2.5 CCPL e Settore Privato: debolezze legali e strutturali, porting, efficacia
delle clausole.
Il modello originario delle CCPL è stato concepito in un contesto di common law, come
quello americano. L’idea di espandere questo progetto ad altri ordinamenti ha fatto emergere il
problema dell’adeguamento di tale modello ai vari sistemi legali nazionali in cui erano avvertite le
stesse esigenze cambiamento. L’adeguamento non riguarda il solo versante linguistico, poiché una
semplice traduzione non sarebbe in grado di traslare in blocco gli istituti preservandone la ratio,
35
Vedi per una differenziazione dettagliata tra i vari modelli proposti Russi, Guido. «Creative Commons, CC-Plus
and Hybrid Intermediaries: a stakeholder's perspective.» Brigham Young University International Law & Management
Review (2011) 2-11. 36
Recentemente si è instaurato un interessante dibattito con Debian riguardo all’impossibilità di utilizzo dei CC in
presenza di misure di DRM. 37
I contenuti di qualità a 128k sono gratuiti, mentre a pagamento possono essere acquistate le licenze per lo
sfruttamento commerciale, brani di qualità superiore e senza forme di pubblicità. 38
Vedi Russi, Creative Commons, CC-Plus and Hybrid Intermediaries ibidem.
15
concerne invece essenzialmente questioni tecnico-giuridiche proprie dei singoli ordinamenti. Il
termine utilizzato per esprimere questa operazione di armonizzazione è porting che efficacemente
rende l’idea di un trapianto di tipo strutturale. Sono quindi nati i progetti affiliati iCommons con
l’obiettivo specifico di prendersi cura del porting nelle rispettive realtà di appartenenza. In Italia
questo compito è stato svolto a partire dal 2003 da due affiliate institutions: il Dipartimento di Studi
giuridici dell’Università di Torino per ciò che attiene agli aspetti legali ed il IEIIT-CNR di Torino
per gli aspetti tecnici e informatici39
. Anche la versione ported italiana delle licenze non è una mera
traduzione, considerando la naturale distanza tra gli ordinamenti civil e common law. Una delle
questioni più rilevanti è la presenza della normativa imperativa, ossia una disciplina che non può
essere derogata per contratto: si è dovuti intervenire per adeguare il modello statunitense
all’esistenza dei cd. Diritti morali (v. artt. 20-24 L.d.a.) e dell’organo di gestione collettiva dei diritti
d’autore (S.IA.E.). Peraltro, ulteriore difficoltà è data dal rapporto stesso che si instaura tra l’ente di
gestione collettiva e autore, poiché è previsto dall’art. 180 l.d.a che all’ente venga conferito in
esclusiva il mandato per l’esercizio di tutti i diritti su tutte le opere, e quindi anche su quelle “che
intende pubblicare” vincolando pro futuro l’associato.
Anche la stessa natura giuridica delle CCPL non è del tutto pacifica, sebbene la maggior
parte degli interpreti inquadri le licenze nell’ambito del diritto contrattuale40
. Vi sono infatti margini
per accostarli agli atti unilaterali o ai contratti per adesione o ai contratti a favore di terzi41
. In ogni
caso sembra che resti comunque applicabile la disciplina generale dei contratti, come stabilito
dall’articolo 1324 cod.civ.
Tralasciando l’analisi dettagliata delle singole clausole e rinviando al loro commento da
parte di altri autori42
, si può affermare che le CCPL, e ciò vale in generale anche per tutte le licenze
che assimilabili al movimento Copyleft, non rientrano in una determinata tipologia contrattuale
prevista dal codice civile ma sono espressione del principio dell’autonomia contrattuale ex art. 1322
cod. civ. formando contratti atipici.
Questa situazione di incertezza, se è presente ad un livello di riflessione teorica di dogmatica
giuridica da parte degli “addetti ai lavori”, rischia di creare a maggior ragione confusione
nell’utente medio che intende utilizzare le licenze. In una certa misura si pongono come una tutela:
l’apposizione del visual spesso è percepito come una sorta di scudo che previene gli abusi futuri. In
realtà ciò che viene ad esistenza è un contratto bilaterale (forse) tra licenziante e licenziatario e la
sua violazione integra potenzialmente un illecito contrattuale. Per quanto possa essere semplice
rilevare inadempimenti contrattuali nel caso di contratti sinallagmatici (come la compravendita) non
sarà per nulla semplice perseguire le violazioni di contratti di licenza di CCPL: non vi è una forma
di vigilanza sull’uso che viene fatto dell’opera una volta che è stata resa pubblica. È il problema
dell’enforceability, ossia della esecutorietà/coercibilità di questi atti.
Un interessante articolo di M. Mallia43
(Dirigente della S.I.A.E.) mette in luce alcuni aspetti
negativi che potrebbero accompagnare le CCPL: l’assenza di una forma di vigilanza
istituzionalizzata obbliga il singolo che abbia scelto di amministrare autonomamente i suoi diritti
39
Per un approfondimento sul progetto iCommos Italia v. http://www.creativecommons.it/About 40
In questo senso Boschiero, 2004. Le licenze F/OSS nel diritto internazionale privato: il problema delle qualificazioni, AIDA 171 e ss.
41 S. Aliprandi Teoria e e pratica del copyleft 2006, cit, 22.
42 Vedi diffusamente S. Aliprandi, ibidem 53 ss.
43 M. Manlio, «OPEN LICENSING E GESTIONE COLLETTIVA DEI DIRITTI D'AUTORE,» Informatica e
diritto, vol. 2, pp. 191-201, 2009.
16
debba farsi carico individualmente della tutela degli stessi. Questo avrebbe delle conseguenze sul
piano della forza delle società di gestione collettiva dei diritti d’autore in quanto si basa sull’effetto
della “massa critica”: l’unione complessiva degli autori avrebbe più forza del singolo, che a ogni
abbandono in favore di una gestione autonoma dei diritti un indebolimento. Sempre secondo lo
stesso autore, una gestione così semplice rischia di sfruttare le debolezze e l’inesperienza di autori
specialmente all’inizio della loro carriera: l’open licensing può danneggiare seriamente le
prospettive di uno sfruttamento economico successivo di un’opera resa disponibile gratuitamente,
facendo venire meno l’interesse degli autori di investire in essa. Caratteristica delle CCPL è quello
di rinunciare ai diritti a titolo gratuito, in perpetuo ed irrevocabilmente. Una scelta così drastica
meriterebbe una ponderazione approfondita e non un procedimento di rilascio istantaneo di licenze.
Sul versante economico un’invasione del mercato con una mole spropositata di contenuti gratuiti
rischierebbe poi di alterare la percezione in termini di valore delle creazioni non gratuite,
abbassando il prezzo sotto i costi dell’investimento. Molti artisti di professione hanno come
principale fonte di reddito lo sfruttamento commerciale dei propri diritti di proprietà intellettuale,
dietro cui si celano investimenti (formazione, strumenti, ecc.). l’abbassamento dei prezzi si
trasforma in un disincentivo alla cultura, venendo meno l’incentivo economico.
Conclusioni
La piattaforma Creative Commons rappresenta un’iniziativa importante che ha un alto
potenziale applicativo soprattutto nell’ambito del settore pubblico ed accademico, in cui gli obiettivi
primari sono la diffusione con l’eliminazione di ogni barriera ed ostacolo.
È auspicabile che qualsiasi soggetto pubblico o privato che voglia adoperare una CCPL
valuti l’opportunità in base ad un’analisi attenta dei propri interessi, alla luce delle finalità
perseguite. Non è possibile determinare ex ante un utilizzo giusto o sbagliato: la valutazione deve
effettuarsi caso per caso. Chi decide di utilizzare una “licenza” dovrebbe acquisire una determinata
familiarità con la disciplina del diritto d’autore per coglierne le problematiche ed effettuare una
scelta coerente con le proprie esigenze. La giusta licenza è di fondamentale importanza per
un’adeguata tutela. A livello strategico nel lungo periodo, si deve essere consapevoli dei rischi di
una cessione irrevocabile dei diritti come quella imposta dalle CCPL che può produrre danni
irrimediabili legati ad uno sfruttamento commerciale o indesiderato. L’uso delle CCPL è anche una
scelta di policy: anche se non essenziale, è importante avere ben chiaro l’elemento ideologico
portante che sta alla base dell’organizzazione per fare un uso consapevole di questa soluzione.
17
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