MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI Dipartimento per i Beni Culturali e Paesaggistici
Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio deJ Lazio
SCULTURE IN VILLA
D E L UCA EDITORI D'ARTE
SCULTURE IN Vll,LA
Villa d'Este, Tivoli 14 giugno · 5 novembre 2006
MINISTERO PER l BENI
E LE ATTIVITÀ CULTURALI
Dipartimento per i Beni Culturali e Paesaggistici Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Lazio
Anna Maria Affanni Soprintendente
Isabella Pasquini Barisi Direttore di Villa d'Este
in collaborazione con SOPRINTENDENZA ALLA GALLERIA
NAZIONALE D'ARTE MODERNA
E CONTEMPORANEA
Nella mostra Sculture in villa sono presentate otto opere di altrettanti artisti collocate nel giardino di Villa d'Este, recenti o appositamente realizzate. Al!' esposizione in esterno è affiancata la sezione "Profili" allestita nell'appartamento del Cardinale nel Palazzo di Pirro Ligorio, con una scelta monografica di lavori circoscritta ai temi della mostra. La selezione delle opere offre una più vasta informazione sull'attività dei singoli artisti e riflette la diversità del loro modus operandi attraverso bozzetti; variazioni sull'uso della materia, disegni e sculture.
MOSTRA
a cura di Giorgio de Marcbis (progetto) Maria Vittoria Marini Clarelli Nicoletta Cardano
Realizzazione e Organizzazione generale ATI · De Luca Editori d'Arte· Mostrare srl
Coordinamento organizzativo Alessandra Appella
Progetto di allestimento Enrico Valeriani
Coordinatori della sicurezza Francesco Bigi Francesco Accorsi
Allestimento Severini Group
Ufficio stampa NoveJla Mirri Maria Bonmassar
Revisione conservativa delle opere Nicoletta Lancioni
Responsabile dei Servizi Aggiuntivi Giacomo Denti
Trasporti Spedarr
Assicurazione Axa Assicurazioni
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CATALOGO
a cura di Nicoletta Cardano
Le schede delle opere e le biografie degli artisti sono state redatte da Nicoletta Cardano
Referenze fotografiche Archivio Guidi Archivio Mainolfi Archivio Mondazzi Archivio Spagnulo Stefano Fontebasso De Martino (Lucilla Catania) Alessandro Zambianchi, Nadia Ponci (Umberro Cavenago) Alberto Sereni (Eliseo Mattiacci) Bob Tyson, Enrico Cattaneo (Mauro Staccioli)
Si ringraziano tutti i prestatori e quanti hanno contribuiro con il loro aiuto alla realizzazione della mostra e del catalogo: Andrea Alibrandi Daniela Ferrario Luoise Legard Gian Paolo Montali Luigi Rebecchini Anna Russo Andrea Spagnulo Galleria d'Arte Niccoli - Parma Galleria Fumagalli - Bergamo Grassetti Arte Contemporanea - Milano
Un particolare ringraziamento agli artisti per la loro generosa adesione .
Sommario
VII Presentazione Anna Maria Affanni
IX Sculture in Villa Giorgio de Marchis
XIII Spazio storico e scultura contemporanea Maria Vittoria Marini Clarelli
XVII Otto sculture per Villa d'Este: costanti instabili con testo a fronte Nicoletta Cardano
XXVII La bellezza come naufragio, al sicuro sulla terra Francesco 1\1.oschini
1 Sculture in Villa
34 Profili
59 Elenco delle opere
61 Biografie
FRANCESCO MOSCHINI
La bellezza come naufragio, al sicuro sulla terra
Certo ambizioso si configura il progetto dei curatori di presentare, attraverso lo spaccato di questa mostra, una sintetica ricognizione della scultura italiana del secolo appena trascorso con opere recenti o appositamente elaborate per il contesto che ha determinato quindi il ricorso ad artisti tuttora operanti, tralasciando pertanto personalità scomparse e che comunque hanno segnato, su fronti seppur diversi, tante straordinarie vie della scultura italiana. Se si aggiunge poi che la scelta doveva far riferimento a sperimentate vocazioni ambientali degli autori e ad una pluralità di linguaggi, ad una diversità dei materiali utilizzati, sollecitati nella loro dimensione plastica e nel trattamento degli stessi, è naturale che la rosa non potesse che circoscriversi a poche presenze. Anche la scelta del confronto generazionale allude ad un tentativo di far reagire le opere in un contesto così problematico come il giardino di Villa d'Este in una sorta di eterno presente come se i diversi linguaggi, il diverso modus operandi degli autori, proprio esibendo diversità e complessità a stretto contatto con le presenze allegoriche e simboliche delle fontane della villa, dovessero creare dei corti circuiti tesi a sollecitare domande, proporre bellezze impreviste e sorprendenti novità di lettura. Da questi dati, quindi, conviene partire poiché il luogo è talmente caratterizzato da rendere problematico qualsiasi inserimento del Nuovo. È pur vero che la scultura europea, a differenza di quella americana o inglese, proprio per il loro diverso rapporto con lo spazio urbano e con lo spazio in generale, a partire soprattutto dalla seconda metà del secolo, è stata presentata in situazioni troppo spesso incongrue, arrivando ad un proliferare incontrollato, spesso gratuito, di pura feb-
LA BELLEZZA COME NAUFRAGIO, AL SICURO SULLA TERRA
bri1e disseminazione. Ora, per questa specifica occasione, mi pare che con l'ordine imposto dalla struttura del giardino, anche se certo non risponde più al rigore della veduta cinquecentesca a volo d'uccello del Dupérac, con le tante e diversificate presenze delle fontane, le sculture scelte sembrano instaurare un proficuo confronto dialettico senza cadere in rappacificanti e consolatori episodi di mimetismo o pittoricismo ambientale. Ogni autore sembra confermare la propria poetica in una dimensione che sembra porsi come assoluto e in cui lo sfoggio dell' autorialità viene esibito come valore non tanto a sottolineare uno sforzo identitario, trattandosi peraltro di autori la cui poetica è da tempo riconosciuta e consolidata, quanto piuttosto ad affermare, nella disidentità, un corpo a corpo con quegli episodi di "natura ammaestrata" sul filo di un continuo oscillare tra natura e artificio, tra corpo e mente. Del resto, agli artisti coinvolti nella mostra è certamente da sempre chiaro il rapporto tra scultura e natura, tra scultura e architettura, ma soprattutto il rapporto di mutuo scambio, pur nella diversità e nel rispetto degli specifici ambiti disciplinari, che da sempre hanno caratterizzato, in una sorta di sguardo incrociato, i diversi modi di espressione e le tecniche di questi campi paralleli. Certo le componenti progettuali sono a fondamento della scultura così come dell' architettura, ma è soprattutto il loro rapporto con il luogo, con il contesto e più ampiamente con il paesaggio a renderle così consustanziali. D'altro canto il rapporto di mutuo scambio tra i distinti ambiti del naturale e dell'artificiale diviene, a partire almeno dai templi romani dell'età repubblicana: dal Tempio della Fortuna Primigenia a Preneste a quel-
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lo di Giove Anxur a Terracina fino a quello di Ercole a Tivoli, una costruzione sapiente di rimandi incrociati e di continue reinterpretazioni contestuali. D'altronde, la comune radice etimologica che tiene insieme i concetti di arte e di artificiale, denuncia quella regola di procedere interferendo attraverso l'accostamento di frammenti che entrano in relazione di risonanza poetica con i luoghi, secondo quell'accostamento di "schegge di memoria archetipica" che già connotavano la paratattica costruzione di Villa Adriana a Tivoli. L'atteggiamento che ha molte affinità con il modo di procedere scultoreo, in questo caso, rappresenta quasi una deriva del linguaggio deflagrato dell'arte contemporanea riassemblato con il filtro di quella stessa metodologia compositiva del Thomas Eliot della Waist Land che riconsegna, continuamente, l'ibridazione di un livello testuale esistente, e quindi quasi naturale, con elementi compresi entro una dimensione di ascìuttezza osteologica. In altri episodi architettonici, invece, la definizione plastica dell'opera sembra, alludendo ad una sorta di autoreferenzialità, enfatizzare il carattere di apparizione del-1' elemento scultoreo nel contesto circostante fino a metterne in risalto il carattere mistico di apparizione al limite delle caricaturali e straniate epifanie del Parco dei Mostri di Vicinio Orsini a Bomarzo. Sul piano poi delle affinità metodologiche non si può non cogliere le parallele vocazioni al cupio dissolvi e, ali' opposto, alla perentorietà del-1' autoaffermazione della scultura e dell' architettura che trova la sua più alta espressione in certi episodi del Cinquecento romano, nel vitalismo, nel-1' animismo e nel panpsichismo di opere quali la Fonte Papacqua a Soriano nel Cimino o nella dis-
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creta diluizione nella natura delle architetture di Villa Lante a Bagnaia contrapposte alla prorompenza visiva di Palazzo Farnese a Caprarola, nel suo possente sovrastare e soverchiare non solo il borgo su cui si erge ma l'intero paesaggio circostante. In questa mostra possono così confrontarsi, duchampianamente spiazzati, l'assolutezza dei diversi linguaggi scultorei e delle più diverse materie, con le frantumazioni e gli eccessi visivi della storicistica visionarietà di Pirro Logorio, qui "elencata" con più pacate distensioni memori delle declinazioni del "rollwerk" nordico, e con le concrezioni naturalistiche che tendono a stemperare le ridondanze delle grottesche e delle più disparate iconografie delle fontane. Ma la natura che tutto tende ad avvolgere non riesce ad occultare e ad amalgamare in un universo indistinto i singoli luoghi, le singole comparse che, scandite dagli specchi d'acqua, dalle porzioni di cielo, dalle alberature e dai percorsi, mantengono il carattere di eccezionalità e di continua sorpresa visiva. E alla stessa sorpresa tendono questi inserimenti delle nuove sculture che ricorrono a quella stessa scelta del linguaggio architettonico che punta, spesso, alla propria esasperazione dimensionale, dell'eccesso di riduzione o, al contrario, del gigantismo. È forse questa la lezione più alta che ci deriva dalla stagione dell'architettura rivoluzionaria francese, di Étienne-Louis Boullé in particolare, non a caso autore di uno straordinario e anticipatore "Saggio sull'Arte", proprio ad indicare che l'opera tende, proprio attraverso il proprio sovradimensionamento e la propria capacità di iscriversi in precise figure geometriche che alludono alla compattezza di solidi platonici, a sottrarsi ad un hic et nunc, a collocarsi in un luo-
SCULTURE IN VILLA
go dell'atopia e a porsi come occasione di riflessione se non per ora, per migliori tempi a venire. Ma nessuna volontà elitaria di sottrarsi al confronto con quanto li ha preceduti, almeno sullo specifico piano scultoreo, sembrano indicare le opere scelte dagli artisti per questa occasione espositiva che tendono anzi a sottolineare gli elementi di continuità con la miglior tradizione della scultura del Novecento. Vanno letti in questo senso i ricorsi alle strutture geometriche primarie di Lucilla Catania sempre protesa alla ricerca di una rifondazione di una nuova classicità, certo memore di quei reperti di animali preistorici di Pino Pascali nel tentativo di ricreare una purezza primigenia, di ritrovare un'infanzia del mondo, una dimensione aurorale, virando però il suo lavoro da una divertita ironia ad una voglia di radicarsi, se non di riappaesarsi, con il luogo. Allo stesso modo, l'insistito interrogarsi di Umberto Cavenago sulla relazione tra materiali e peso, sui rapporti tra architettura evolumi nel suo universo "veicolare" sempre così compatto e serrato che sembra voler ricondurre ad una personalissima idea di minimalismo intriso di più corposa contaminazione con l'attualità, l'ascetico classicismo delle apparizioni di Ettore Colla, con il suo riassemblaggio di oggetti dimessi del mondo agricolo. Ai fondamenti "ha sempre guardato" anche Nedda Guidi proprio attraverso il suo ricorso ad elementi modulari e geometrici, anche quando ha saputo sapientemente corroderli sempre protesa a conferire al proprio lavoro una dimensione alchemica proprio per la particolarità di intervenire su una materia come la terracotta, che ha sempre privilegiato, in nome di una continua ricercata "purificazione" della stessa. L'immaginario fantastico
LA BELLEZZA COME NAUFRAGIO, AL SICURO SULLA TERRA
di Luigi Mainolfi trova una propria continuità dalle grandi terracotte policrome dei suoi esordi segnati da un concettualismo ora meno insistito, giù sino alle più recenti ed incantate realizzazioni protese a dissolversi nella luce cui sembrano contrapporsi le calamitazioni di Eliseo Mattiacci con la loro gravitas che conferisce alle sue opere "spazialicosmiche-astronomiche" una volontà di concentrarsi sulle stesse fino ad esserne catturati, proprio per il loro imporsi come oggetti inquieti pur nella loro esibita stabilità. Sul tradimento delle attese sembra fondarsi la proposta di Marcello Mondazzi che, a partire da materiali come policarbonati e metacrilati trattati con stratificati processi di combustione, tende a configurarsi come materiale autonomo che a dispetto della propria esuberanza formale riesce invece a porsi come etereo lavoro sulla luce e sulle trasparenze. Il sapiente rigore costruttivo di Giuseppe Spagnulo viene continuamente sollecitato e fatto vibrare attraverso una continua ricerca sull'organicità della materia stessa, in nome di una doppia scrittura, che sappia indagare di quei blocchi compatti il senso più riposto, se non la propria dimensione archetipica in nome di una ricercata koinè che li faccia riappartenere ad una condivisa mediterraneità, ad un comune e riscoperto passato mitico ed ancestrale. Ma anche l'apparente senso di instabilità che Mauro Stacciali conferisce alle proprie sculture, quella sua sfida continua agli equilibri statici dei solidi in bilico, a volte semplicemente appoggiati, a volte conficcati, altre vertiginosamente sospesi nel vuoto, in realtà non fa che alludere a quelle porzioni di mondo, forse tra le poche salvabili, che l'autore vorrebbe ritagliare per se stesso e per noi. Ma quello soprat-
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tutto su cui si sono cimentati gli artisti coinvolti è il tentativo di ricondurre il loro operare ad una stretta osservanza scultorea alla ricerca di un'ortodossia del fare, ancora oggi, scultura. Siamo certamente ormai lontani dalla "scultura lingua morta", ma abbiamo attraversato momenti di grande confusione in cui la dissolvenza incrociata tra scultura e architettura ha generato non poche ambiguità. Gli anni Ottanta in particolare, hanno visto il progressivo slittamento di una disciplina verso l'altra, sino a far perdere ad entrambi gli specifici la propria identità. Se la scultura si è ridotta, nei casi più eclatanti, a diventare una sorta di "microarchitettura", l'arch itettura ha sempre più spostato la propria condizione verso una tensione all'oggetto scultoreo. Solo in rare occasioni la propensione scultorea dell'architettura ha saputo elevarsi a momento di grande capacità nel trasformare radicalmente il contesto urbano. Piuttosto che all'eccezionalità di Frank Gehry a Bilbao, con il suo "fiore del male" che, pur in maniera autoreferenziale, riesce a riscattare dal grigiore operaistico la parte di città su cui insiste, penso alle awenture progettuali di due maestri come Carlo Aymonino e Philip Johnson. Il primo ha connotato così i propri progetti, passando dalle ironiche assunzioni felliniane dei grandi falsi esibiti del Bacino Marciano o in alcuni progetti di Sottonapoli, alle più serrate contrapposizioni tra fronti da "città di pietra" e michelangioleschi scavi nella massa muraria, come avviene a Piazza Molino a Matera, in collaborazione con Corazza e Panella. Il secondo, dopo aver attraversato il "secolo breve", tutto sperimentando dannunzianamente, per il "piacer dell'aver tutto provato", è approdato infine alle tattili proposte
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suadentemente morbide nella loro turgida sensualità e nelle loro timbriche accensioni degli ultimi interventi nel suo eremo di New Canan. È dunque nel rapporto con la straordinarietà del giardino rinascin1entale, sospeso tra le categorie brandiane di "astanza e fragranza", di una bellezza che sembra ricordarci che "tutto è artificio", che si manifesta e si esaurisce il senso di questi otto episodi poetici, frammenti di materia, di natura del presente che pare volerci segnalare, in una sorta di rovesciamento semantico, l'artificialità del luogo, la sua corrispondenza ad un principio d'ordine che non appartiene più a questo tempo. E nell'appropriarsi delle leggi strutturali del parco, degli istinti naturali di conservazione, di nutrizione e di riproduzione, l'artista si nutre, conserva e riproduce arbitrariamente la poesia di un luogo che tiene confinato nella sua ostentata perfezione e che, per il suo impressionante spessore fenomenico, non consente di rimandare a niente altro che alla propria, tautologica presenza. L'operazione artistica si fa indispensabile interferenza in una qualità dell'immagine diffusa, opaca, e segnala la possibilità di costituirsi a sintomo e rimedio di una diversa realtà. Nel rapporto artificiale con la natura questa è rappresentata come proiezione della soggettività, come concetto di mediazione critica e quindi di consapevo.lezza che tutto è artificio, cosicché il naturale diventa prodotto metropolitano in un processo illusorio di continua, cosciente falsità. L'intervento dell'artista produce un ri-orientamento ironico del luogo attraverso la costruzione di un antipolo fenomenico, un esibizione di materia che si appropria delle qualità della contemporaneità per farsi matrice di una realtà il cui criterio di apparenza
SCULTURE IN VILLA
Lo studio di Luigi Mainot/i
condensa Je proprietà della visione soggettiva. In un paesaggio di perfezione orizzontale, di immobilità dei sensi, dì estasi dello sguardo, la materia è portatrice di un messaggio che l'opera intende riproporre, una dimensione globale e qualitativa della propria presenza che, attraverso l'intuizione artistica, verticalizzi gli indizi del luogo. Il gioco di sottrazione di quotidianità che sembra tenere insieme questa selezione di lavori fa della inversione di significato un'occasione di occupazione dello spazio preordinato del luogo, con una conseguente, positiva interruzione del suo perfetto funzionamento, a ricordarci che la perfezione è sintomo di una artificialità alla quale si può rispondere soltanto
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con uno scarto d'efficienza. Nel difficile confronto con ciò che ha un tempo ogni intervento si manifesta come verifica del rapporto di solidarietà o di contraddizioni tra naturale e artificiale, o come dimostrazione della sublimazione di un fatto tecnologico in fatto estetico, dell ' incantesimo dell'arte che riverbera la bellezza della forma. Un universo prossimo a quello scenografico che, invece di essere osservato dall'esterno quale luogo in cui venga svolgendosi un'azione drammatica, viene percepito dall'interno, come una situazione che l'ar tista sperimenta in proprio, un'inversione del motivo lucreziano di bellezza vissuta come naufragio visto dalla riva, quando si è al sicuro sulla terra.
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