Nicolò Trigari

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Nicolò Trigari La figura più importante della storia della mia famiglia è lo zio del mio bisnonno: Nicolò Trigari, esponente di primo piano, molto singolare, dell'autonomismo liberale di fine 800, nella Dalmazia dell'Impero Austro- Ungarico. Finora non è stato fatto uno studio soddisfacente e documentato sulla sua vita. Le notizie che riporto sono quelle che sono riuscito a ricostruire al momento. Una premessa importante: ha sempre avuto un solo nome: Nicolò o Nikola (in croato) o Nikolaus (in tedesco) ma mai Niccolò, grafia totalmente estranea al contesto in cui è vissuto. Nicolò Trigari nacque a Zara nel 1827 e morì sempre a Zara all'età di 75 anni, il 30 ottobre 1902. Sposato con Cecilia ... (? - 22 settembre 1895), ebbe due figli: Emma (? - ?) e Remigio (? - ?). Anche Remigio fu un importante esponente del Partito Liberale italiano a Zara. Infatti, il 17 gennaio 1921, pochi giorni dopo la proclamazione dell'annessione di Zara all'Italia, partecipò con tutti gli altri importanti esponenti del suo partito alla fondazione di una nuova formazione politica: l'Unione Nazionale, che si proponeva sostanzialmente di adeguare i vecchi principi liberali, al nuovo contesto, cercando di mantenere sotto un'unica bandiera le diverse correnti, politiche ma anche etniche, degli zaratini che vedevano di buon occhio l'annessione all'Italia. Con Remigio questo ramo della famiglia sembra essersi esaurito. Tornando a Nicolò, nel 1892 il giornalista zaratino Giuseppe Modrich (1855 - ?) nel suo La Dalmazia Romana - Veneta - Moderna. Note e ricordi di viaggio., in cui più di 100 pagine sono dedicate a Zara, scriveva: Un'altra illustrazione di Zara è il suo podestà, Il cavaliere Nicolò Trigari, un uomo che deve la sua posizione sociale unicamente alle risorse del suo acutissimo ingegno. Nato povero e ignoto, ora è ricchissimo di patrimonio e di aderenze. A lui Zara deve gran parte delle sue innovazioni moderne e da lui, ancora molto attendono, con legittima fiducia, gli zaratini. Quale fossero stati gli studi e quale fosse l'attività lavorativa di Nicolò prima di ricoprire la carica di podestà, finora non mi è riuscito di appurare con certezza. A mio avviso uno degli eventi cruciali nella vita di Nicolò Trigari fu la decisione, nel 1864, dei suoi concittadini, con fondi ricavanti all'interno della comunità italiana, di erigere il Teatro Nuovo (ridenominato successivamente Verdi). A Nicolò Trigari venne assegnato il ruolo di uno dei due Proto Muratori, quelli che oggi chiameremmo Capi Cantiere, dell'impesa locale di Angelo Cantù. I lavori ebbero inizio il 25 aprile 1864 sotto la direzione dell'architetto Miho Klaić (1829 - 1896). Interessante è l'incarico a Miho Klaić, che testimonia quale clima non solo di pacifica convivenza, ma addirittura di fattiva collaborazione ci fosse, nella Dalmazia di quegli anni, tra le due etnie: italiana e croata.

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Nicolò Trigari

La figura più importante della storia della mia famiglia è lo zio del mio bisnonno: Nicolò Trigari, esponente

di primo piano, molto singolare, dell'autonomismo liberale di fine 800, nella Dalmazia dell'Impero Austro-

Ungarico.

Finora non è stato fatto uno studio soddisfacente e documentato sulla sua vita. Le notizie che riporto sono

quelle che sono riuscito a ricostruire al momento. Una premessa importante: ha sempre avuto un solo

nome: Nicolò o Nikola (in croato) o Nikolaus (in tedesco) ma mai Niccolò, grafia totalmente estranea al

contesto in cui è vissuto.

Nicolò Trigari nacque a Zara nel 1827 e morì sempre a Zara all'età di

75 anni, il 30 ottobre 1902. Sposato con Cecilia ... (? - 22 settembre

1895), ebbe due figli: Emma (? - ?) e Remigio (? - ?).

Anche Remigio fu un importante esponente del Partito Liberale italiano

a Zara. Infatti, il 17 gennaio 1921, pochi giorni dopo la proclamazione

dell'annessione di Zara all'Italia, partecipò con tutti gli altri importanti

esponenti del suo partito alla fondazione di una nuova formazione

politica: l'Unione Nazionale, che si proponeva sostanzialmente di

adeguare i vecchi principi liberali, al nuovo contesto, cercando di

mantenere sotto un'unica bandiera le diverse correnti, politiche ma

anche etniche, degli zaratini che vedevano di buon occhio l'annessione

all'Italia. Con Remigio questo ramo della famiglia sembra essersi

esaurito.

Tornando a Nicolò, nel 1892 il giornalista zaratino Giuseppe Modrich

(1855 - ?) nel suo La Dalmazia Romana - Veneta - Moderna. Note e

ricordi di viaggio., in cui più di 100 pagine sono dedicate a Zara,

scriveva: Un'altra illustrazione di Zara è il suo podestà, Il cavaliere

Nicolò Trigari, un uomo che deve la sua posizione sociale unicamente

alle risorse del suo acutissimo ingegno. Nato povero e ignoto, ora è

ricchissimo di patrimonio e di aderenze. A lui Zara deve gran parte

delle sue innovazioni moderne e da lui, ancora molto attendono, con

legittima fiducia, gli zaratini.

Quale fossero stati gli studi e quale fosse l'attività lavorativa di Nicolò prima di ricoprire la carica di

podestà, finora non mi è riuscito di appurare con certezza.

A mio avviso uno degli eventi cruciali nella vita di Nicolò Trigari fu la decisione, nel 1864, dei suoi

concittadini, con fondi ricavanti all'interno della comunità italiana, di erigere il Teatro Nuovo (ridenominato

successivamente Verdi).

A Nicolò Trigari venne assegnato il ruolo di uno dei due Proto Muratori, quelli che oggi chiameremmo

Capi Cantiere, dell'impesa locale di Angelo Cantù. I lavori ebbero inizio il 25 aprile 1864 sotto la direzione

dell'architetto Miho Klaić (1829 - 1896).

Interessante è l'incarico a Miho Klaić, che testimonia quale clima non solo di pacifica convivenza, ma

addirittura di fattiva collaborazione ci fosse, nella Dalmazia di quegli anni, tra le due etnie: italiana e

croata.

Infatti Klaić fu uno degli esponenti più in vista del Partito del Popolo,

che in Dalmazia per lunghi anni si contrappose al Partito

Autonomista. Questi due partiti all'epoca non avevano quella

connotazione nazionalistica che assumeranno più tardi.

Essenzialmente il Partito del Popolo era favorevole all'unione della

Dalmazia alla Croazia, mentre il Partito Autonomista si batteva

appunto per la sua autonomia all'interno dell'Impero asburgico. I due

partiti erano trasversali rispetto alle comunità italiana e croata, al punto

che esponenti del Partito del Popolo erano irrisi per la loro incapacità di

esprimersi correntemente in croato.

Non solo, nelle elezioni per la Dieta del luglio 1864, Klaić diede vita

all'Unione Liberale, formazione politica formatasi per

l'occasione, insieme con esponenti liberali autonomisti che, per ragioni

campanilistiche, si presentarono in concorrenza con il Partito Autonomista, a dimostrazione che in quegli

anni la nazionalità era vissuta come una scelta culturale o una ideologia politica, piegata alle lotte

personali e alle rivalità municipali.

Successivamente (dopo la guerra fra Prussia, Austria e Italia del 1866, condotta disastrosamente dall'Italia

con le sconfitte di Custoza e Lissa, ma che le permise la conquista del Tirolo italiano), sfruttando

strumentalmente il timore diffuso, ma privo di fondamento, che l'Italia volesse conquistare anche la

Dalmazia, Klaić diventerà ferocemente anti-italiano, arrivando a sostenere sul giornale da lui fondato, Il

Nazionale, che in Dalmazia non esistevano italiani-dalmati, ma che erano tutti dalmati italianizzati.

Insegnante al ginnasio di Zara, fu anche promotore in Dalmazia dell'abolizione delle scuole pubbliche

italiane e dell'uso dell'italiano negli uffici pubblici. Provvedimenti che vennero poi adottati dalla Dieta,

competente in materia, salvo a Zara.

Il teatro, costato 110.000 fiorini (equivalenti a circa 210.000 lire dell'epoca, cifra assolutamente cospicua

tenuto conto che, a prezzi del 1861, il prodotto nazionale lordo pro capita italiano nel 1866 era circa di

3.500 lire), fu inaugurato ufficialmente un anno e mezzo dopo, con Il ballo in Maschera di Giuseppe

Verdi, il 7 ottobre 1865, cioè circa 9 anni prima della elezione a podestà di Nicolò Trigari, che allora

aveva 38 anni. (Teatro Verdi di Zara - Recente pubblicazione bilingue edita dalla Comunità degli italiani di

Zara, Zadar 2007).

Sfortunatamente anche il padre del nostro si chiamava Nicolò, e data la longevità dei membri della

famiglia e la conseguente contiguità delle successive generazioni, non si può escludere che si trattasse di

suo padre. Tuttavia questo sembra collocare Nicolò in una famiglia di artigiani piuttosto noti e stimati a

Zara. A sua volta però sembra contraddire quello che scriveva Modrich: "nato povero e ignoto".

Poiché a Zara, capitale della Dalmazia, che allora contava tra i 7.000 e i 10.000 abitanti (secondo il

censimento del 1890, Zara città contava 11.500 abitanti, 28.230 nel territorio comunale e 49.711 nella

provincia, comprendente anche le città di Nona, Novegradi, Sale e Selve), non vi erano altri con lo stesso

nome in quel periodo, scartata l'omonimia, è lecito pensare che per il Modrich fossero poveri e ignoti tutti

quelli che non erano nè nobili nè benestanti. Si tratta sicuramente per così dire di una "licenza poetica",

concessione alla drammatizzazione, tanto cara all'epoca.

Altrettanto oscuro è il modo in cui sia diventato, a sentire il Modrich, in seguito così ricco, tenuto conto

che, al contrario in quei tempi, dedicarsi alla politica solitamente era possibilità riservata a chi già

disponeva di ingenti risorse economiche.

Da una fonte diretta risulta che il mestiere dei Trigari a Zara era quello di muratori, capomastri, insomma

artigiani che avevano costruito, e costruivano ogni giorno la loro fortuna sullo sviluppo urbanistico del

comune di Zara, che nel 1900 arriverà a contare 32.506 abitanti. In un mondo, come quello asburgico,

dove il sangue blu, o quantomeno l'appartenenza ad un ordine professionale, quando le due doti non

erano presenti entrambe, era indispensabile per coprire le più alte cariche statali, Nicolò Trigari doveva

rappresentare una eccezione. Questa presumibilmente è la ragione per cui nel suo caso ho notato la

tendenza a sorvolare pudicamente sul mestiere di lui e della sua famiglia.

In ogni caso Nicolò Trigari prima di diventare podestà di Zara, aveva già alle spalle una consistente

carriera politica, anche perché è impensabile che uno sia catapultato dal nulla alla carica di podestà,

senza nemmeno essere un riconosciuto notabile della città per censo e/o fortune economiche.

Infatti, con il pittore e industriale zaratino Francesco Salghetti-Drioli (1811 - 1877), amico di

Nicolò Tommaseo (1802 - 1874), e che aveva ricevuto in eredità l'azienda di famiglia, produttrice di una

famosissima marca del liquore Maraschino, e con Giuseppe Petris (1811 - ?), forse notaio, Nicolò

Trigari fondò Il Dalmata, organo di stampa zaratino del Partito autonomo, il cui primo numero uscì il 10

marzo 1866, poco meno di sei mesi dopo l'naugurazione del Teatro Nuovo.

Questa vicinanza tra la costruzione del Nuovo e la fondazione del Dalmata fa pensare che la costruzione

del teatro abbia permesso alla famiglia Trigari, o addirittura direttamente al nostro, di

realizzare consistenti disponibilità economiche. Dovette comunque essere una buona occasione

per Nicolò Trigari per stringere legami importanti per il suo futuro. Infatti tra i maggiori promotori e

finanziatori del Teatro Nuovo ci fu Giovanni Salghetti-Drioli, apprezzato critico musicale, oltre che

industriale e compositore, fratello di Francesco Salghetti-Drioli, oltre a tutte le personalità italiane più in

vista a Zara.

La data di fondazione del Dalmata spiega anche perchè sia difficile reperire notizie su Nicolò Trigari

prima di questa data, dal momento che il giornale da lui fondato diventa da allora la fonte primaria di

notizie sulla attività del partito autonomista.

Nicolò Trigari fu eletto podestà di Zara a partire dal 1874 per ben sei

volte consecutivamente, fino al 1899: sulla sua tomba c'è scritto "un

trentennio".

Secondo me quell'iscrizione è stata rifatta posteriormente. L'iscrizione

originale doveva riferirsi alla sua attività politica in generale. 25 anni

non sono un trentennio. L'obiezione a questa mia ipotesi è che dal

punto di vista del linguaggio delle lapidi un trentennio ha maggiore

impatto di "per 25 anni" o di un "venticinquennio" e l'arrotondamento

può essere un esempio della benevolenza dei suoi concittadini.

Subentrò nella carica al conte Cosimo de Begna Possedaria (? - ?),

podestà dal 1861 al 1874, uomo di cultura, "munifico sostenitore di

periodici letterari e organizzatore di splendide serate filodrammatiche".

Non ho mai trovato riferimenti di questo genere parlando di Nicolò Trigari, che doveva avere un carattere

eminentemente pratico, più orientato a soddisfare i bisogni materiali dei suoi concittadini, piuttosto che

quelli spirituali. Questo spiegherebbe anche perchè sia stato rieletto per così lungo tempo in un periodo

molto turbolento della vita sia della città che del suo partito.

La spiegazione della sostituzione alla guida del comune di Zara con Nicolò Trigari è legata probabilmente

alla circostanza che nelle elezioni del 1870 alla Dieta provinciale dalmata per la prima volta dalla sua

istituzione (1861), vinse il Partito del Popolo. Inoltre la maggioranza della Dieta non riconobbe la

legittimità della elezione di diversi esponenti del Partito Autonomista, per cui tra questi ci furono

dimissioni e sostituzioni con elezioni supplettive. In particolare tra i dimissionari nel 1874 ci fu Cosimo de

Begna Possedaria e tra gli eletti in sostituzione, nello stesso anno, Nicolò Trigari. Ma questo

avvicendamento potrebbe essere la conseguenza, piuttosto che la causa dell'elezione a podestà di

Nicolò. Occorre un approfondimento sulle date.

Da tenere presente che Cosimo de Begna Possedaria fu eletto al Reichsrat nel 1873, ed è autore di un

interessante documento intitolato: "Memoriale sulle ferrovie dalmate innalzato all'Eccelsa Camera dei

Deputati in Vienna, dall'Amministrazione Comunale di Zara. Premesso l'Estratto del Protocollo

della Seduta del Consiglio Comunale in cui lo stesso fu letto". Questo documento tratta un problema,

rimasto ancora insoluto, che sin da allora era fortemente sentito dai cittadini di Zara: il collegamento della

città al resto della regione, tramite ferrovia, sempre avversato dalle autorità centrali.

Il documento è datato 2 febbraio 1874 e fu stampato a Zara dalla Tipografia Spiridione Artale. Questo

documento, insieme con la circostanza che Cosimo de Begna Possedaria fu eletto anche

successivamente alla Dieta provinciale dalmata, dimostra che l'elezione a podestà di Nicolò Trigari,

avvenne con il consenso di tutti nel partito, probabilmente con l'obiettivo di lasciare spazio ad un

candidato più giovane, sicuramente molto attivo ed ambizioso (allora Nicolò aveva 47 anni).

Mentre da allora, fino alla sua morte, Nicolò Trigari verrà rieletto alla Dieta provinciale dalmata nelle fila

del Partito Autonomista, non verrà mai eletto al Reichsrat. La spiegazione potrebbe risiedere, al di là

della scelta di occuparsi a tempo pieno della sua città, probabilmente anche nel non raggiungere mai il

livello di censo (tasse pagate), necessario per essere eletto. Infatti il suffragio universale maschile

(permanendo l'esclusione delle donne fino al 1918) fu introdotto nel Reichsrat solo nel 1907, dopo la sua

morte.

Entrambi gli organismi della rappresentanza locale erano elettivi, a differenza della carica di Governatore

della Dalmazia, designato dal governo centrale austro-ungarico. Il podestà durava in carica quattro anni,

mentre la Dieta provinciale veniva eletta ogni sei anni. Questo sistema politico era il frutto

dell'impostazione di stampo liberale della costituzione austro-ungarica, per molti versi più avanzata che nel

resto dell'Europa.

" ... Nel corso degli anni Sessanta e Settanta, i liberali autonomisti dalmati si definirono comunemente il

partito "autonomo" e "costituzionale": "autonomo" perché si batteva per il mantenimento dell'autonomia

della Dalmazia, separata dalla Croazia e dalla Slavonia, all'interno dell'Austria; "costituzionale", perché,

sull'esempio dei liberali austro-tedeschi, gli autonomisti credevano elemento irrinunciabile del proprio

programma la conquista e la difesa di un sistema politico costituzionale e pluralista, fondato sulle libertà

civili, politiche e religiose individuali e collettive che la patente del 1861 e la successiva legislazione

austriaca d'ispirazione liberale avevano concesso e garantito.

I liberali autonomisti, riflettendo la complessità etnica, religiosa e culturale delle città della Dalmazia,

furono sempre un gruppo politico piuttosto eterogeneo: sul piano etnico-nazionale, poiché, rifiutando ogni

idea di nazionalismo italiano o croato e richiamandosi ai valori municipalisti locali, univano dalmati italiani,

croati e serbi; a livello d'orientamento politico, in quanto erano divisi tra liberali conservatori, come ad

esempio lo zaratino Nicolò Trigari, legati alla tradizione cattolica e disposti ad accettare di buon cuore la

permanenza di forti tendenze assolutistiche nella vita politica austriaca, e liberali progressisti, quali

Antonio Bajamonti, anticlericali, propensi a future, progressive, se pur lente, aperture del sistema in

senso democratico." (Italiani di Dalmazia - Dal risorgimento alla Grande Guerra di Luciano Monzali, p. 45,

2004 - Editrice Le Lettere - Firenze)

Intervenendo nell'aprile del 1861 ad una seduta della Dieta provinciale dalmata, Bajamonti dichiarava: "...

itali o slavi sono uniti fra d'essi da secoli oltreché dai vincoli dell'amore, da quei più durevoli dell'interesse.

Viventi nella stessa terra, anziché ricongiungersi alle madri nazioni, credettero meglio opportuno per essi il

vivere in una stessa famiglia, cui i secoli e le sventure, ... dierono il diritto di ritenersi nazione."

Questa impostazione multietnica e multiculturale, con una specifica identità dalmata, si scontrò ben presto

con l'orientamento del governo centrale asburgico che favoriva scopertamente l'etnia slava con

l'intenzione di cancellare praticamente quella italiana, temendo che l'Italia potesse avanzare delle pretese

anche sulla Dalmazia, dopo la guerra d'indipendenza del 1866, ma anche secondo la prassi abituale

dell'impero asburgico di controllare popolazioni così diverse tra di loro, favorendo le reciproche rivalità.

Da questa continua opera di slavizzazione di tutta la Dalmazia, Zara fu la città che riuscì a difendersi

meglio perchè, nell'area urbana, la sua popolazione rimase sempre a grande maggioranza italiana. Nel

contado invece, come in quasi tutto il resto della Dalmazia (con l'esclusione di alcune isole), la

maggioranza era costituita da popolazioni contadine e operaie croate e serbe, culturalmente arretrate

rispetto alla minoranza italiana, formata in prevalenza da proprietari terrieri, industriali e professionisti,

spesso nobili, e una media borghesia di impiegati, artigiani e commercianti.

Le masse popolari croate erano fortemente influenzate dalla chiesa cattolica croata, attraverso il clero di

campagna e i parroci che, essendo per la maggior parte di umili origini, e quindi slavi, inculcavano nei

propri fedeli sentimenti nazionalistici anti-italiani, visto che i proprietari terrieri erano per la maggior parte

italiani o italofoni, allo scopo di promuovere miglioramenti delle loro condizioni di vita, veramente

miserevoli. Non va neanche dimenticato che la chiesa romana non aveva buoni rapporti con lo stato

italiano, per via del contenzioso in corso, dopo l'indipendenza e l'annessione di Roma (1870) al Regno

d'Italia.

Luigi Lapenna (1825 - 1891) fu il capo indiscusso dei deputati del

movimento liberale autonomista dalmata a Vienna, in quegli anni.

Deputato al Reichsrat e alla Dieta provinciale dalmata, presidente del

tribunale provinciale a Zara e poi alto magistrato presso la suprema

Corte di Cassazione di Vienna, fu un politico potentissimo in Dalmazia

e in Austria. A Vienna si conquistò un importante spazio politico,

legandosi strettamente ai capi del liberalismo austriaco e conquistando

anche la stima dell'Imperatore.

Per quanto riguarda il partito autonomista, invece, non vi fu mai un

unico capo politico, ma la guida fu sempre nelle mani di un gruppo di

dirigenti, spesso litigiosi, animati da forti rivalità municipali. Per vari

anni tuttavia sembrò essere predominante la figura di Lapenna, di gran

lunga la personalità più brillante ed abile, espressione di quel

autonomismo zaratino di cui fece parte anche Nicolò Trigari.

Antonio Bajamonti (1822 - 1891) invece, capo degli autonomisti di Spalato, città fortemente in

competizione con Zara nel campo politico ed economico, non riconobbe mai la preminenza di Lapenna e

cercò ripetutamente di affermarsi come capo indiscusso.

Quando le condizioni dei dalmati italiani sembravano migliorare, seppure sotto la continua pressione

slavizzante del governo centrale, grazie alle iniziative politiche di Lapenna, e all'evoluzione dei rapporti di

forza delle diverse nazionalità presenti nell'Impero, all'interno del

movimento autonomista si delineò una spaccatura insanabile tra le due

correnti guidate rispettivamente da Nicolò Trigari e Antonio

Bajamonti.

La ragione fu l'abbandono della politica attiva da parte di Lapenna, nel

1875. Il capo più abile e rispettato, uomo di indiscussa fede austriaca,

capace di conciliare le diverse anime del partito e di trovare ascolto

anche a Vienna, fu nominato dal governo di Vienna, rappresentante

austriaco presso il tribunale del debito egiziano ad Alessandria, e

abbandonò anche il mandato parlamentare.

Una singolare coincidenza è rappresentata dalla circostanza che in

quel medesimo anno (1875) Nicolò Trigari fu nominato

Cavaliere dall'Imperatore. (Vedi, per es.: Handbuch des allerhöchsten

Hofes und des Hofstaates seiner k. Und K. Apostolischen Majestät...

(1894) - Austro-Hungarian Monarchy, Publisher: Druck und Verlag der K.K . Hof- und Staatsdruckerei

Year: 1894) Si trattava di un titolo, con annesso diritto di trasmissione ereditaria, equiparabile a quello di

baronetto nel Regno Unito dei nostri giorni.

Nel "Istria e Dalmazia, Uomini e Tempi" (Del Bianco Editore) Francesco Semi e Vanni Tacconi raccontano

che l'Imperatore insignì Nicolò Trigari dell'onorificenza per i meriti che gli riconobbe nel gestire la visita

dell'Imperatore stesso a Zara nel 1875.

Poiché la visita dell'Imperatore, organizzata per preparare l'occupazione della Bosnia e dell'Erzegovina,

aveva un unico scopo: mostrare l'attenzione dell'Austria alle sorti delle popolazioni slave dalmatiche,

questa tesi risulta poco credibile, se non come motivazione ufficiale.

La mia ipotesi è che l'onorificenza gli fosse stata concessa su richiesta e pressione di Lapenna, che in

questa maniera lasciava un viatico al suo amico Trigari, designandolo come suo successore alla guida

del partito.

Infatti, l'unico che avrebbe potuto perorare con successo la sua nomina alla corte viennese, era Lapenna,

nel momento in cui l'Imperatore gli chiedeva di sacrificare la carriera politica al servizio dell'Austria. La

convinta dedizione all'Imperatore da parte di Trigari naturalmente lo rendeva un candidato molto più

accettabile per la successione a Lapenna, di Bajamonti.

Gli effetti disastrosi della rivalità tra Bajamonti e Trigari, a seguito dell'abbandono di Lapenna,

raggiunsero l'apice nelle elezioni per il Reichsrat del 1879, quando il partito nazionale croato elesse 8

parlamentari su 9, mentre gli autonomisti riuscirono ad eleggere solo Gustavo Ivanich, parente di Nicolò

Trigari e membro della Dieta provinciale. A questo punto gli autonomisti cessarono di essere il partito

maggioritario in Dalmazia.

Naturalmente il motivo principale della sconfitta fu l'aver completamente perso la benevolenza

governativa, ora rivolta ai croati. La benevolenza del governo centrale era in grado di influenzare

peasantemente, se non addirittura manipolare, i risultati delle elezioni.

Sicuramente non giovò alla causa autonomista la scoperta offensiva di Bajamonti contro il governatore

della Dalmazia, Gabriel von Rodich (1812 - 1890), e la sua politica slavofila, politica in perfetta sintonia

con gli orientamenti del governo austriaco. Gli attacchi plateali di Bajamonti avavano soprattutto lo scopo

di mettere in cattiva luce Trigari, amico di Rodich.

Nel dicembre del 1879 un anonimo giornalista del Dalmata (forse il suo

direttore: Vincenzo De Benvenuti) scriveva:

"... Il risveglio del sentimento nazionale slavo, favorito con tanto

interesse dal governo, non avviene tanto per rispetto delle libertà

nazionali, quanto per formare entro i confini dell'impero un centro

potente, atto a tirare a sé le popolazioni slavi contermini, che

aborrivano il giogo turchesco".

Il giornalista del Dalmata constatava quindi che, in nome di questo

calcolo politico, le popolazioni italofone dalmate, nonostante il loro

lealismo austriaco, venivano lasciate dal governo di Vienna in balia

della politica italofoba del nazionalismo croato.

Dal 1882, la riforma elettorale nell'Impero asburgico, che allargava il suffragio per le elezioni del

Reichsrat, indebolì ulteriormente l'autonomismo dalmata, a favore dei nazionalisti croati. Questi, infatti,

attraverso il clero di campagna, erano in grado di mobilitare molti più elettori, estranei alla cultura italo-

slava delle città costiere.

A questo punto, vista la situazione disastrosa del partito, i due capi autonomisti dalmati, Trigari e

Bajamonti, furono costretti alla riconciliazione, sugellata convincendo il vecchio leader, Luigi Lapenna,

ritornato nel 1880 in Austria dall'Egitto, ad entrare nuovamente nella politica attiva.

La figura di Lapenna aveva acquistato ulteriore prestigio al suo ritorno in Austria, in quanto premiato con

la nomina a presidente di Senato della Suprema Corte di Giustizia e con il titolo di Barone. Oltre a

questo nel 1881 ricevette l'incarico di studiare un progetto per la riorganizzazione giudiziaria della Bosnia-

Erzegovina.

Lapenna s'impegnò attivamente per ricostruire l'immagine del partito autonomista, tra l'altro con una serie

di articoli pubblicati sul Dalmata, durante la campagna elettorale per le elezioni al Reichsrat del 1885.

In questi articoli Lapenna riaffermava sostanzialmente i temi tradizionali del pensiero liberale autonomista

(patriottismo dalmata, liberalismo, lealismo austriaco), sforzandosi di adeguarli al nuovo contesto politico

dell'Austria di fine secolo.

È interessante notare che la lunga lotta dei nazionalisti croati contro l'italianità dalmatica obligasse anche

lui, lontano da ogni ideologia politica nazionale o nazionalistica italiana, a difendere strenuamente i diritti

della cultura italiana in Dalmazia, attribuendo a questa un valore anche economico, come strumento

essenziale per la competività della regione nel panorama economico internazionale.

Nonostante il suo impegno e la strategia dell'alleanza con il partito serbo, unione di due debolezze, le

elezioni del 1885 furono totalmente perse con tutti i 9 seggi per il parlamento di Vienna assegnati ai

candidati croati, perfino nel seggio dove si presentò il Lapenna.

L'intervento di Lapenna servì comunque a rivitalizzare il partito, attraverso l'unione con i Serbi, al punto di

conquistare le amministrazioni comunali di Ragusa e Cattaro, mantenute fino a metà degli anni novanta,

e vincere le elezioni supplettive in un collegio, facendo eleggere Lapenna in Parlamento a Vienna.

Disgraziatamente Lapenna un anno dopo si ammalò gravemente, abbandonando la politica attiva, per

morire nel 1891, anno in cui morì anche l'avversario-compagno di partito di Nicolò Trigari, Antonio

Bajamonti.

Nelle elezioni per il Reichsrat del 1891 per l'ultima volta nella storia del partito autonomista venne eletto a

Vienna un suo rappresentante, Marino Bonda, sempre attraverso la coalizione con i Serbi. Per quanto il

Bonda fosse riuscito a concquistare un certo spazio negli ambienti ministeriali, grazie all'alleanza a

Vienna con il rinato liberalismo tedesco, successivamente i Serbi trovarono più conveniente per il loro

futuro il riavvicinamento ai croati e nelle elezioni del 1897 il Bonda non venne rieletto.

Da questo momento il partito liberale autonomista dalmata si ridusse ad un piccolo partito

regionale.

Il partito liberale autonomo dalmata tuttavia, pur ridotto a fattore secondario della vita politica della

Dalmazia e dell'Austria, riuscì a sopravvivere, cominciando però a mutare qualcosa nella sua identità

politica ed ideologica. Soccombente di fronte alla sempre maggiore forza delle ideologie nazionaliste slave

del sud, cominciò lentamente a delineare un discorso nazionale italiano.

L'Azione e la riflessione politica di Antonio Bajamonti fra la metà degli anni settanta e il 1891, anno della

sua morte, svolsero un ruolo cruciale nell'evoluzione ideologica dell'autonomismo dalmata in senso

nazionale italiano. Tuttavia il motivo principale per cui autonomisti come lui si dichiaravano italiani, era di

poter godere di quella protezione delle minoranze che la costituzione del 1867, in particolare l'articolo 19,

garantiva a tutte le nazionalità dell'impero.

A tale riguardo Bajamonti scriveva nel 1887:

"... È lungo tempo, che a salvare la nostra nazionalità dagli avversari che la minacciano, due cose mi

parevano assolutamente necessarie: affermarci prettamente italiani, ponendoci sotto l'egida del § 19 dello

statuto dell'Impero; stringerci quanti siamo italiani delle provincie meridionali in uno stesso pensiero, la

lotta per l'esistenza".

In quegli stessi anni in cui si consumava il declino del partito autonomista, la stampa italiana aveva

cominciato a dedicare attenzione alle lotte nazionali in Dalmazia, rilevando il peggioramento delle

condizioni di vita degli italiani.

Dopo la conquista della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Impero asburgico nel corso del 1878, veniva

paventata la possibilità che sulle rive orientali dell'Adriatico si formasse una grande Croazia, all'interno di

un Impero asburgico sempre più slavizzato e volto a realizzare il predomino assoluto nei Balcani, con

grave detrimento per il controllo italiano dell'Adriatico.

Intanto la classe dirigente liberale italiana per reagire all'isolamento internazionale dell'Italia, venutosi a

creare durante gli anni 70, decise di avvicinarsi al blocco austro-germanico, concludendo nel maggio del

1882 un'alleanza difensiva con Austria-Ungheria e Germania, denominata poi Triplice Alleanza. Alleanza

sempre rinnovata fino allo scoppio della guerra nei Balcani, con clausole via via sulla carta più favorevoli

per l'Italia.

Si riteneva anche che tale alleanza fosse l'unica via per risolvere sul lungo termine, per via diplomatica, il

problema del confine italo-austriaco e la questione degli italiani d'Austria. L'idea era quella che in caso di

richiesta da parte degli alleati di un'entrata in guerra dell'Italia in loro appoggio, questa potesse essere

negoziata con compensi territoriali all'Italia nel Trentino e nella Venezia Giulia.

Contemporaneamente più stretti legami di amicizia con il governo di Vienna avrebbero permesso alla

diplomazia italiana di difendere con maggiore efficacia le ragioni della minoranza italiana contro gli

attacchi nazionalisti croati.

Alla resa dei conti queste speranze della diplomazia italiana si mostrarono del tutto illusorie.

Nell'ambito dell'irredentismo giuliano e trentino si pensò di sfruttare la conclusione della Triplice per creare

nuovi strumenti per una più efficace politica di difesa degli Italiani d'Austria. Con questi intenti fu fondata

nel 1889 la Dante Alighieri.

L'ambizione della Dante era di essere uno strumento agile e flessibile per la politica estera italiana e, nello

stesso tempo, di influenzarla nei suoi obiettivi ponendo al centro dell'azione diplomatica dell'Italia la

questione delle terre irredente e il problema dell'Adriatico.

A partire dal 1890 il governo di Francesco Crispi (1818 - 1901) iniziò

a fornire sussidi segreti alla Dante Alighieri, che ben presto cominciò

a svolgere un importante ruolo politico come fonte di finanziamento per

i partiti liberali italiani d'Austria, e per le istituzioni scolastiche private

italofone, pur restando l'atteggiamento dell'Italia fortemente ambiguo

nei confronti dell'Impero asburgico, nella speranza di poter applicare

l'articolo sui compensi territoriali previsto dalla Triplice Alleanza.

Morti nel 1891 Bajamonti e Lapenna, solo Trigari, dei vecchi leaders

del partito autonomo rimase attivo politicamente fino al 1900. Ma le

redini del partito furono prese da uomini nuovi, giovani spesso animati

da una fede nazionale italiana assente nelle generazioni precedenti.

In particolare dopo la morte di Bajamonti un indiscusso ruolo egemone lo assunsero gli zaratini. Infatti

negli anni 90 al partito autonomo rimase solo il controllo amministrativo di Zara con il peso politico

schiacciante che la città aveva in una regione ormai totalmente in mano ai croati. A Zara gli uomini nuovi

erano Luigi Ziliotto (1863 - 1922), Roberto Ghiglianovich (1863 - 1930) e Natale Krekich (1857 -1838).

L'essere Zara capitale della Dalmazia aveva facilitato negli anni la

formazione di un forte ceto borghese, di lingua e cultura italiana o

bilingue, zoccolo duro della classe dirigente autonomista.

Nell'autonomismo zaratino la difesa dei valori della tradizione

municipale venne a coincidere con la battaglia per la sopravvivenza

dell'italianità.

La politica lealista e conservatrice

del podestà Trigari, attento a non

identificarsi con i partiti liberali

nazionali italiani trentino e giuliano,

e lontano dallo stile politico di

Bajamonti, aveva consentito di

mantenere buoni rapporti con le autorità austriache. Queste da parte

loro evitarono interventi troppo scoperti a favore dei partiti croati nelle

elezioni municipali degli anni 80 e 90.

Altro elemento che spiega l'egemonia politica del partito autonomo a

Zara, fu l'accento che le amministrazioni comunali autonomiste, a

cominciare da Trigari fino alla prima guerra mondiale, posero sui temi

dello sviluppo economico della città e del miglioramento delle condizioni di vita della popolazione,

raccogliendo anche il consenso della popolazione slava ed albanese.

Ziliotto, Kreckich e Ghiglianovich costituirono un gruppo compatto, che progressivamente conquistò

influenza all'interno del partito autonomo. In particolare Ziliotto e Ghiglianovich furono eletti nel 1892

consiglieri comunali e nel 1895 deputati nella Dieta provinciale dalmata.

La svolta decisiva avvenne alla fine del 1899, quando Ghiglianovich organizzò l'estromissione di Trigari

dalla carica di podestà, facendolo sostituire con Ziliotto.

Nicolò Trigari, non sopravvisse a lungo alla sua estromissione e si

spense a Zara il 30 ottobre 1902, avendo "solennissime esequie. In

suo nome venne denominato il Viale da Piazza Dellaurana a

S.Francesco".

Per quanto riguarda l'attività di podestà di Zara, Nicolò Trigari

rappresenta un personaggio singolarmente fuori dai suoi tempi.

Sicuramente è l'unica personalità di spicco all'interno del partito

autonomista che non fosse di origine nobile o benestante. Sicuramente

l'unico che non potesse essere considerato un intellettuale.

Con tutti questi impedimenti, di cui oggi non si riesce a cogliere

interamente la portata, doveva essere persona di straordinario ingegno

per riuscire a giocare un ruolo da protagonista per oltre quaranta anni sulla scena politica dalmata di fine

ottocento, scena tra l'altro frequentata da personalità di indubbio valore.

Altro aspetto che lo distingue è il suo attaccamento alla città natale, a cui dedicò tutte le sue energie, per

cui, pur avendo acquistato un prestigio enorme in Dalmazia, ed essendo molto devoto alla corona

asburgica, non si presentò mai candidato alle elezioni per il parlamento di Vienna, preferendo rimanere

nella sua città.

Fonte non di prima mano sulla sua attività di amministratore è la pubblicazione, già citata, "Istria e

Dalmazia, Uomini e Tempi" (Del Bianco Editore) di Francesco Semi e Vanni Tacconi, in cui si legge:

"Comunque, con lo spirito eminentemente pratico che lo caratterizzava, egli seppe approfittare della visita

dell'Imperatore per dare l'avvio ad una prima ristrutturazione della Riva Nuova. Infatti solo da pochi anni

(dal 1868) Zara aveva cessato di essere considerata fortezza, e ciò aveva permesso lo smantellamento

della sua poderosa cinta di mura fortificate, rendendo possibile un nuovo sviluppo urbanistico della città, al

cui rimodernamento fu determinante la sagace amministrazione del Trigari, che vi contribuì con importanti

opere pubbliche (tra l'altro, impegnativi lavori di restauro e i nuovi viali alberati della circonvallazione) che

trasformarono il volto della città senza gravare troppo pesantemente sul bilancio comunale. Ma, forse la

sistemazione della Riva Nuova (che i suoi successori nel governo della città seppero degnamente

continuare e completare fino a farne un piccolo gioiello urbanistico) fu il capolavoro del suo impegno

amministrativo in questo campo: bordata da una fila quasi ininterrotta di palazzi signorili che le facevano

corona, proteggendola dei gelidi "refoli" della bora, d'inverno, e offrendola alle fresche carezze del

maestrale, d'estate; punteggiata di alberi ombrosi e ingentilita da aiuole variopinte sempre in fiore; allietata

dal movimento e dai suoni di tre confortevoli caffè, essa divenne ben presto luogo privilegiato di incontro

(seconda solo alla Calle Larga) della gioiosa vita cittadina negli assolati pomeriggi invernali e nelle tiepide

serate estive. ... Ma il Trigari non fu soltanto un amministratore sagace, seriamente impegnato al

rinnovamento della sua città, nelle strutture e nelle istituzioni, ... l'azione amministrativa del Trigari ... fu

impegnata seriamente anche al miglioramento delle condizioni di vita e del livello culturale delle masse

slave del circondario, riuscendo a conciliare il contado con la città ...".

Come esperienza personale, visitando Zara a metà degli anni 70, quasi un secolo dopo, quando la

Jugoslavia era saldamente sotto la leadership titina, rimasi molto impressionato sentendo un gestore di

una pompa di carburante ricordare molto bene il "de Trigari". In particolare ignorando allora l'onorificenza

di cui era stato insignito, mi lasciò molto perplesso quel "de" che mi fece dubitare che si riferisse ad un

cognome diverso, sulla cui esistenza peraltro non avevo alcuna notizia.

Da notare che il Viale Nicolò Trigari, una volta Rampa San Francesco, era diventato Bulevar Kidriča (Viale

Kidrič) e tutti gli edifici tra questo e la Riva Vittorio Emanuele III (Riva Francesco Giuseppe o anche Riva

Nuova, prima dell'annessione all'Italia), diventata Obala Maršala Tita (Riva Maresciallo Tito), rasi al suolo

dai bombardamenti alleati, non sono stati mai più ricostruiti, perché la zona è diventata uno spazio verde. I

nomi delle vie sono ancora cambiati ai giorni nostri, visto che il maresciallo Tito è diventato il nome da

cancellare.

Il cambiamento per quattro volte in meno di un secolo della maggior parte dei nomi delle vie cittadine la

dice lunga su quanto tormentata sia stata la storia di questi luoghi. Oltre al nome del viale è stata

cancellata completamente la memoria della famiglia Trigari con la sparizione del palazzo di famiglia che,

mi dicono molto bello, sorgeva proprio all'inizio del viale e che si affacciava sulla Riva Nuova, totalmente

distrutto dai bombardamenti. Oggi il viale, che per un tratto si chiamava Nicolò Trigari, si chiama

Zadarskog mira 1358 (Pace di Zara del 1358).

La pace di Zara del 18 febbraio 1358 fu un trattato stipulato nella città dalmata tra il Regno d'Ungheria e la

Repubblica di Venezia, in cui quest'ultima dovette rinunciare a gran parte dei suoi possedimenti in

Dalmazia. Quindi il più amato podestà di Zara è stato sostituito con il trattato che strappava la Dalmazia a

Venezia, per darla agli austro-ungarici, che consideravano i croati una nazione da sottomettere ai loro

interessi, come del resto gli italiani.

Ancora più interessante è il primo cambiamento di nome dopo la seconda guerra mondiale del viale

Trigari. Infatti da Nicolò Trigari si passa a Boris Kidrič (1912 - 1953). Kidrič è stato un esponente di rilievo

del partito comunista sloveno. Uno dei principali organizzatori del movimento partigiano in Slovenia tra il

1941 e 1945. Giustamente ci si può chiedere cosa c'entri con la storia della Croazia.

Il punto è che, durante e immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, Tito, per poter controllare

etnie così diverse e mantenerle nell'ambito di uno stesso stato, usò gli stessi sistemi dei precedenti

dominatori austro-ungarici. Mentre questi avevano dato spazio ai croati contro gli italiani, Tito usava gli

sloveni contro i croati.

Fonti dirette di italiani rimasti per qualche anno dopo la guerra in Dalmazia, riferiscono che gli

atteggiamenti più odiosi nei loro confronti, dopo il massacro di quelli che erano ritenuti i "capitalisti"

italiani, non provenivano dai croati, con cui, bene o male, per lungo tempo erano convissuti in un ambiente

multietnico, ma dagli sloveni mandati da Tito in numero sempre maggiore.

Per concludere queste divagazioni sulla toponomastica, notiamo che il viale Maresciallo Tito (cioè la Riva

Nuova, come chiamavano gli zaratini la Riva Vittorio Emanuele III, che prima del passaggio di Zara

all'Italia si chiamava ufficialmente Riva Francesco Giuseppe) è diventata ai giorni nostri Riva Petar

Krešimir IV, che ha in comune con Vittorio Emanuele e Francesco Giuseppe la circostanza di essere stato

anche lui un re.

Petar Krešimir IV, detto il Grande (in latino Petrus Cressimirus; ... – 1074), è stato re di Croazia dal 1059

all'anno della sua morte, nel 1074. Fu l'ultimo grande sovrano della dinasita dei Trpimirović e sotto il suo

governo il regno Croato raggiunse la sua massima espansione territoriale: da Nona e Zaravecchia. A

Sebenico esiste una statua in suo onore e la città è anche detta «Krešimirgrad», cioè città di Cressimiro.

Naturalmente se l'Italia volesse vantare l'italianità di questi luoghi potrebbe rifarsi, con credenziali

decisamente più significative, addirittura all'Impero Romano, visto che furono i romani per primi a mettere

in contatto questi popoli, che essi chiamavano barbari, con una grande civiltà, la loro. Quindi Riva

Diocleziano potrebbe risultare più adeguato come nome.

Per parte mia tuttavia mi piacerebbe che nazionalismi di tutte le provenienze fossero dimenticati, per

lasciare spazio ad una globalizzazione delle genti, dopo quella dei mercati, eliminando anacronistiche

rivalità e rendendo omaggio a tutte le epoche storiche che hanno contribuito a far crescere la

civiltà. L'entrata della Croazia nell'Unione europea fa ben sperare.

Sotto si possono consultare tre piante della città di Zara, come tre fotografie dei luoghi prese a venticinque

anni circa, l'una dall'altra: nel 1899, quando Nicolò Trigari cessò di essere il podestà di Zara, nel 1934, a

metà del periodo di appartenenza all'Italia, e nel 1971, circa 25 anni dopo la seconda guerra mondiale,

dopo la ricostruzione voluta da Tito, in cui sono state restaurate solo le chiese, dopo i bombardamenti

alleati del 1943-44 che rasero al suolo la città. Oggi la stragrande maggioranza degli abitanti abita ad est

del porto, fuori della penisola che un tempo conteneva tutta la città, in una zona nel 1899 occupata quasi

esclusivamente da campi coltivati.

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© 2011-2012 Giancarlo Trigari. Tutti i diritti riservati

* * * * *

Questa ricostruzione per la massima parte è debitrice al libro di Luciano Monzali, "Italiani di Dalmazia, dal Risorgimento alla Grande Guerra",

edizioni Le Lettere, pagg. 334 (2004). Consiglio caldamente la lettura di quest'opera a tutti i lettori interessati ad una ricostruzione storica

equilibrata e riccamente documentata. Ricostruzione che poi continua con l'altra opera imperdibile: "Italiani di Dalmazia, 1914 - 1924",

edizioni Le Lettere, pagg. 474 (2007).

Altre notizie provengono dalla già citata opera di Francesco Semi e Vanni Tacconi, che, a mio parere corrisponde ad un modo di scrivere

storia inaccettabile, in quanto non ritiene di chiedersi il perchè degli eventi, anche dei più rilevanti, ma si limita a registrarli, più cronaca che

storia. Secondo il loro racconto Nicolò Trigari potrebbe essere un marziano che ad un certo punto è caduto dallo spazio sulla poltrona di

podestà di Zara.

Altri contributi provengono da documenti che non ho citato per non appesantire troppo il testo. Mi propongo di trovarne altri per rispondere a

molti interrogativi a cui ancora non ho trovato risposta.

Per conoscer Zara e la Dalmazia dal punto di vista paesaggistico e culturale, ai tempi di Nicolò Trigari, risultano utilissime due pubblicazioni

che si possono leggere, scaricandole direttamente qui in formato pdf.

La prima è una Guida Turistica illustrata del 1899, Illustrirter Fuhrer durch Dalmatien, (ppag. 602, oltre ad appendici e allegati) ricca di

immagini (disegni e fotografie) e di piante delle città. Il suo limite è quello di essere scritta in tedesco, lingua non molto conosciuta, ma

abbastanza prevedibile, visto che la Dalmazia faceva parte ai tempi dell'Impero austro-ungarico. La guida, redatta con precisione teutonica e

contenente una quantità inverosimile di informazioni di tutti i generi, contiene anche un vocabolarietto (si fa per dire, visto che occupa venti

pagine) dei termini più comuni nelle tre lingue: Tedesco, Serbo-Croato e Italiano, prova ulteriore, se ce ne fosse bisogno, del perfetto

bilinguismo della Dalmazia in quegli anni. La cosa che può lasciare perplesso il lettore sprovveduto è che si senta il bisogno di un

vocabolario così dettagliato di Italiano, quando in altra parte del libro si riportano i risultati ufficiali del censimento del 1890 secondo cui gli

italiani sarebbero il 3% della popolazione. Si tratta comunque di un documento di assoluto interesse per chi vuol approfondire la conoscenza

della Dalmazia alla fine del 800.

Altra fonte interessante per farsi un'idea più precisa della Dalmazia ai tempi di Nicolò, è la descrizione, anch'essa a carattere

fondamentalmente turistico, dei luoghi, sotto forma di resoconto di un viaggio, già citata e in Italiano, di Modrich, scaricabile qui in formato

pdf: La Dalmazia Romana - Veneta - Moderna. Note e ricordi di viaggio. (pagg. 445) Si tratta della ristampa nel 2010 di un libro

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pubblicato a Torino e Roma nel 1892. Naturalmente il punto di vista è quello di un italiano, uomo del suo tempo che ama la sua terra

d'origine: la Dalmazia.