Karl Marx: un'idea di logica

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1 KARL MARX: UN’IDEA DI LOGICA

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KARL MARX: UN’IDEA DI

LOGICA

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3

A mia figlia Laetitia,

che guarda la foto

del Moro e ride

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INDICE

Introduzione………………………………………………………… pag. 5

Capitolo primo: Ricostruzione storica: le due tendenze principali nella storia del marxismo

La tendenza continuistica ………………………………………………………….. pag. 9

L’ipotesi della rottura epistemologica …………………………………………....... pag. 28

Capitolo secondo: Idee di logica, a partire dall’idealismo

Feuerbach, l’ inversione e la logica delle cose……………………………..…….. pag. 37

Una approssimazione alla dialettica: opposizione e contraddizione……………... pag. 47

Verso il Capitale……………………………………………………………………pag. 61

Capitolo terzo: La problematica fondamentale e la logica del Capitale

La nuova problematica e il “civettare”……………………………….………….. pag. 82

Il lavoro astratto, la merce e il problema dell’inizio…………………………….. pag. 95

Contraddizione, determinazione, astrazione……………………………………...pag. 105

Ancora su merce e lavoro astratto………………………………………........... pag. 118

Capitolo quarto: I gradi della storia: teleologia e mito del soggetto

La storia orientata………………………………………………………………… pag. 144

Dall’estraneazione allo scomparire del soggetto…………………………….……..pag. 160

Bibliografia……………………………………………………………………… pag. 181

Ringranziamenti………………………………………………………………… pag. 187

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro è il frutto di una ricerca intorno a due temi fondamentale della critica

marxista: il problema della logica specifica elaborata dal filosofo di Treviri, e quello della

storia.

L’analisi di questi due problemi è stata anticipata da una ricostruzione storico-critica delle

principali posizioni degli interpreti marxisti, che serve per orientarci e soprattutto renderci

conto delle caratteristiche peculiari dei due paradigmi ermeneutici sorti nel Novecento:

quello che abbiamo definito come continuista, e che pone l’accento sui temi della

reificazione dei rapporti umani all’interno del modo di produzione capitalistico, e che vede

in Marx un pensatore futuro-centrico, che guarda alle ricerche scientifiche come all’ambito

dimostrativo di una precisa filosofia della storia che ha nel soggetto e nella teleologia i

propri concetti cardine, mutuando così categorie dal suo grande maestro Hegel; e quello

della rottura epistemologica, i cui autori ricostruiscono l’itinerario formativo di Marx

rintracciando una forte rottura, un cambio di campo ontologico e di metodo, un abbandono

di una problematica fondamentale in favore di un altro. Il nostro approccio è teso verso

questo secondo modello ermeneutico perché del primo paradigma, come mostreremo nel

dettaglio, non si condivide quasi nulla. I risultati della tesi, mi auguro, avranno messo in

luce che:

Marx non è un pensatore hegeliano, nel senso che la problematica fondamentale di Marx

non è la medesima di Hegel, e ciò accade a partire dal 1845. Prima di questa data Marx era

un esponente della sinistra hegeliana perché la problematica che affrontava era la stessa di

Feuerbach e soci: l’alienazione umana declinata in tutte le forme che erano proprie a

questo movimento. Lo vediamo bene nei Manoscritti economico-filosofici, che non sono

un testo vero e proprio e che di certo non sono un’opera di economia politica: essi

rappresentano l’ultimo tentativo di applicazione dell’equipaggiamento filosofico ad un

campo ontologico differente da quello dell’idealismo tedesco: l’economico. La differenza

con le categorie del Capitale è radicale. Infatti, in questo capolavoro l’alienazione non

gioca un ruolo rilevante e nemmeno secondario; al centro dell’opera non v’è l’uomo ma i

rapporti di produzione.

Una rottura epistemologica ha dei riflessi naturalmente sull’idea di logica che Marx aveva

elaborato. Se nella Critica della filosofia hegeliana aveva, contro Hegel, abbozzato l’idea

di una logica specifica dell’oggetto specifico, e se questa logica della cosa doveva opporsi

6

alla cosa della logica del filosofo di Stoccarda, nella Miseria della filosofia e nei testi della

maturità non vi sarà più traccia di questa idea logica. Se infatti la logica specifica

dell’oggetto specifico è un tentativo di raddrizzamento e di rovesciamento di quella

hegeliana, che tramite la proposizione speculativa e la costruzione idealistica non riusciva

ad afferrare il verso corso del reale, perché trasformava il soggetto in predicato e il

predicato in soggetto, un simile approccio, tramontata la problematica hegeliano-

feuerbachiano dall’orizzonte di Marx, verrà abbandonata. A questa sorta di distacco dalla

problematica dell’idealismo segue un netto rifiuto per la categoria dell’astrazione così

come concepita da Hegel, e inoltre l’uscita dalla problematica del rapporto metafisico di

soggetto e oggetto.

Sappiamo che nella seconda metà degli anni ’50 Marx rilegge le opere di Hegel, e riscopre

alcune cose degne d’interesse nel sistema del grande filosofo tedesco. A tratti nel Capitale

civetta con il linguaggio hegeliano. Abbiamo individuato e messo in confronto tutti i punti

affini alla Scienza della logica, e questa operazione porta ad un risultato estremamente

interessante: Marx ha cambiato ambito di ricerche, non è più un pensatore idealista, non

ragiona più in quei termini e non persegue le finalità di questi, ma riconosce, dopo aver

formato una propria filosofia, che Hegel aveva posto alcune questioni in modo corretto,

seppur in una forma idealistica che ne aveva impedito la risoluzione. La teoria sulla rendita

fondiaria ne è l’emblema!

Ma ciò non vuol dire che Marx torni sui suoi passi circa il metodo utilizzato e circa le

finalità perseguite. Si vedrà nel dettaglio come le categorie logiche del Capitale, persino

quella di contraddizione, che i filosofi dell’approccio continuistico considerano come la

più affine, in realtà divergano radicalmente. Lo stesso vale per il cominciamento dell’opera

con l’analisi della merce. I caratteri di semplicità e di astrattezza di Hegel non hanno nulla

a che vedere con la semplicità di Marx né tantomento con il concreto. La merce non è il

punto di maggior accumulo delle contraddizioni capitalistiche, e non è dilaniata dalla

contraddizione tra valore d’uso e valore di scambio. Questi sono degli schemi di letture che

appartengono ad un approccio continuistico, approccio che ha bisogno di continuo di

individuare una contraddizione che animi il mondo, che porti avanti la storia verso il

proprio Fine e che liberi l’uomo dal male dello sfruttamento. L’ umanismo di queste tesi è

centrale e ha delle conseguenze in sede di logica, poiché essi pensano a questa ancora in

termini di rovesciamento di soggetto e predicato e di raddrizzamento. L’indagine di Marx

sarebbe allora animata da una visione che fa dell’uomo il prius di ogni cosa e che il modo

di produzione capitalistico ha relegato e disgregato. Ora, il punto di massima rottura si

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trasformerà nell’occasione di ricomposizione dell’uomo dilaniato dalla reificazione e

dall’alienazione. Ma questo approccio ci è sembrato errato sotto tre rispetti: innanzitutto,

giudicare la formazione culturale del giovane Marx come un continuo, cioè animato

sempre dalla medesima problematica e sempre inserito in un campo ontologico specifico,

ci è sembrato ingeneroso e soprattutto non sostenibile. Il 1845 è un atto decisivo poiché

Marx rompe con un sistema ideologico ben preciso, seppure questa rottura non si consumi

in un istante: la fase della maturazione della nuova problematica durerà anni! Per questo vi

sono quasi dodici anni di silenzio da parte di Marx sul piano teorico. Inoltre, la linea

continuistica ci è sembrata misconoscere alcuni elementi logici presenti nel Capitale, e

questo perché gli autori di questo approccio ermeneutico continuano a vedere in Marx la

problematica della dialettica tra soggetto e oggetto. Infine, negare alla ricerca di Marx un

proprio statuto epistemologico indipendente da qualsiasi ideologia della Storia, ci è

sembrato non condivisibile.

Come è mostrato nell’ultimo capitolo, in Marx non vi è traccia di una filosofia della storia,

non vi sono categorie o dispositivi che possano far pensare a ciò e soprattutto, non era

interesse di Marx farlo. Anzi, è paradossale il fatto che Marx non abbia mai elaborato

un’opera su questo argomento e che invece si è cercato di attribuirgli. In realtà, Marx

recupera un concetto molto complesso di totalità, ove la successione dei modi di

produzione, oltre a non essere teleologicamente orientata, prevede intricati rapporti di

subordinazione e dominio. Non vi è riconosciuto, tra l’altro, un minimo statuto ontologico

ad una soggettività, o componente che dir si voglia, che sia protagonista dell’evoluzione

storica. Abbiamo visto a fondo la questione della relazione tra forze-produttive e rapporti

di produzione, e abbiamo fatto la scoperta che non sono le prime a dettare lo sviluppo alle

seconde, ma il contrario. Ma che cosa resta allora dell’uomo? Marx guarda al singolo

capitalista come mero capitale personificato. L’uomo, nel suo pensiero, è stato

detronizzato. D’altra parte, abbiamo in più punti mostrato i difetti anche di alcuni approcci

a tratti riduttivi attuati dall’altra tendenza fondamentale del marxismo, specie per quanto

riguarda i rapporti con il pensiero hegeliano. Non bisogna dimenticare, e noi non vogliamo

farlo, che Marx ed Engels hanno riconosciuto dei grandi meriti al filosofo di Stoccarda, e

una ricerca che voglia dirsi scientifica non può misconoscere queste cose, pena cadere in

un discorso ideologico.

L’abbondanza di citazioni, che a tratti rende pesante una tesi di certo non leggera, serve

proprio a cercare di non far sfuggire nulla, anche gli elementi che problematizzano e

possono mettere in difficoltà i risultati generali. Risultati che riguardano, come abbiamo

8

accennato, l’ambito della logica, e dove possiamo vedere con chiarezza che :Marx ha

utilizzato due approcci logici differenti, l’uno della logica specifica dell’oggetto specifico,

l’altro interno all’opera del Capitale, di cui contraddizione, opposizione e astrazione sono i

dispositivi principali per comprendere la natura dell’oggettualità e delle relazioni

capitalistiche; in secondo luogo, egli avrebbe voluto scrivere una logica che mettesse in

luce i meriti di Hegel sull’argomento per poi mostrare la propria di logica; progetto

incompiuto o meglio mai iniziato.

Nell’ambito storico invece possiamo affermare che: non esiste in Marx una filosofia della

Storia, e che non esiste una soggettività o una forma di astuzia della ragione che fa

avanzare la Storia stessa.

E questo perché non esiste una contraddizione orientata teleologicamente, perché non v’è

una logica che preveda un rapporto finalistico pre-orientato.

Siamo dunque giunti, per sommi capi, a delineare quella differenza specifica e radicale che

divide Marx da Hegel. Quanta fatica Marx abbia fatto nel divincolarsi dalla problematica

hegeliana è facilmente immaginabile. Se il suo pensiero suscita ancora un vivo interesse è

perché egli non è rimasto intrappolato nella cornice ideologica della sinistra hegeliana.

Altrimenti non si farebbe ricorso alla sua opera per capire, almeno parzialmente, le

dinamiche attuali. Ma questo non è oggetto della nostra indagine. Ciò che ci premeva era

di mostrare che qualsiasi appiattimento della problematica marxiana su quella hegeliana è

impossibile nonché perniciose in quanto misconosce ciò che di grande è stato prodotto dai

due pensatori.

9

CAPITOLO PRIMO

RICOSTRUZIONE STORICA:

LE DUE TENDENZE PRINCIPALI NELLA STORIA DEL

MARXISMO

I La tendenza continuistica

L’istanza fondamentale che muove e sviluppa il nostro lavoro non è immediatamente

collegabile ad una analisi genealogica del materialismo storico, alla quale sarebbe

demandato il compito di chiarirne, specificarne e, ove necessario, completarne lo statuto

teoretico.

Dominante nell'orizzonte ermeneutico della maggior parte dei marxismi novecenteschi,

una simile impostazione se da un lato garantisce la possibilità di separare gli elementi

originari da quelli mutuati da altri autori, dall'altro non riesce a rispondere completamente

alla domanda circa la problematica fondamentale sviluppata da Marx.

D’altra parte, l’immenso dibattito nato intorno alle opere di Marx è centrato

principalmente sul rapporto che intercorre tra una chiara visione filosofica della storia e

l’analisi scientifica della società capitalistica. Quale relazione intercorre tra l'analisi dei

modi di produzione e la metafisica? E' l'analisi della prima la precipua filiazione della

seconda? Le risposte rimangono diverse, e le ragioni che muovono i commentatori

antitetiche.

Sono emersi essenzialmente due modelli: da una parte una corrente che sottolinea l’unità

tematica delle opere di Marx; dall’altra un modello, sicuramente meno diffuso, ma non per

questo meno interessante, che ha problematizzato diversi aspetti del pensiero marxiano

rintracciando o comunque elaborando modelli di rottura tematica. La nostra indagine

proverà a ricostruire i punti cardine delle due visioni, e, nello specifico, a confrontarle con

un tema assai complesso, quello della logica nelle opere di Marx. In varie epistole il

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filosofo tedesco dichiarava di voler scrivere una Logica, ma non non ne troverà mai il

tempo, “perché era domandare l’impossibile”1.

Di certo, i singoli autori che si inseriscono nelle due correnti di pensiero hanno specifici

approcci che li conducono a variegate conclusioni. Nondimeno, un atto di astrazione è

sicuramente proficuo per una sintetizzazione ed esplicitazione ulteriore di elementi comuni

rintracciabili in più autori. Inoltre, e questo vale soprattutto per i primi, gli intenti teoretici

sottesi all’analisi degli elementi logici propri della produzione marxiana rispondono ad

intenzioni che travalicano l’ambito logico. In altre parole, le categorie logico-dialettiche di

Marx risponderebbero all’intenzione di ridimostrare sotto una veste scientifica la sua

visione filosofica futurocentrica della storia. Lo sforzo perseguito negli anni della maturità

altro non sarebbe che la ricerca ossessiva di un ambito epistemologico specifico in grado di

rappresentare in veste scientifica un contenuto riconducibile all’indagine filosofica di

matrice hegeliana, da cui e con cui Marx avrebbe fatto i conti tutta la vita, senza mai

riuscire ad abbandonare la corrente hegeliana.

Ora, al di là delle specifiche modalità attuate per legittimare una qualsiasi conclusione, i

caratteri generali dei diversi modelli interpretativi che abbiamo definito continuistici del

marxismo hanno diversi elementi in comune, e questi modelli rispondono ad una visione

del ruolo della logica ben preciso. Anzi, tali elementi altro non sono che dei risultati ben

precisi di questa logica dialettica. Marx parte da un metodo, un metodo ben preciso, che ha

una sua storia evolutiva e che è in grado di cogliere ogni aspetto del reale. Ma di quale

realtà stiamo parlando? Certamente quella dell’uomo. O meglio, della storia dell’uomo.

Non dunque un metodo in grado di guardare oltre l’immanenza umana. Tantomeno in

grado di investigare il mondo della natura, poiché in essa non vi sarebbero le

determinazioni decisive della dialettica: l’interazione tra un soggetto e un oggetto, l’unità

di teoria e prassi ecc. Dunque, questo metodo riflette il movimento necessario della storia

dell’uomo. E ciò ne garantisce la più ampia estensione applicativa, ma soprattutto, disvela

ciò che rimaneva sino alla sua scoperta celato nel cielo nebuloso delle filosofie

antecedenti: i rapporti di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Sarebbe questo l’elemento

decisivo, il punto da cui tutto riluce, il punto cardine dell’intera indagine svolto dal filosofi

di Treviri. E questo sarebbe talmente fecondo, da risultare decisivo per la comprensione di

tutto il mondo storico prodotto dall’uomo.

1 Cfr. Louis Althusser, Sul materialismo aleatorio, Unicopli, Milano 2000, pag. 46

11

Per capire quali siano le categorie logiche utilizzate da Marx, siano esse mutuate da altri

autori oppure originali, dobbiamo allora ripercorrere il modo in cui questo processo di

sfruttamento è illustrato nelle sue opere.

Dovremo in primo luogo esporre quella che è stata la posizione più diffusa nel panorama

interpetrativo del pensiero di Marx, comune nei suoi caratteri generali sia agli apologeti sia

agli oppositori, e che vede nelle opere della maturità la diretta filiazione delle opere

filosofiche elaborate in gioventù. L'intenzione filosofica fondamentale di Marx sarebbe

stata quella di fondare scientificamente una filosofia della storia futurocentrica, il cui abito

dimostrativo risiederebbe in una visione del mondo dell'uomo ben precisa, misconosciuta

dalla maggior parte dei filosofi a lui antecedenti: i rapporti di sfruttamento.

Essi sarebbero e l'ambito e il sintomo di un movimento storico unitario a cui è sottesa una

finalità verso cui tutto tende: l'emancipazione dell'uomo in una società comunista. La storia

ha delle leggi ineluttabili, di cui le infinite contraddizioni sarebbero epifenomeni, tracce da

analizzare al fine di sondare il grado di sviluppo e le tendenze insite nei rapporti di

produzione.

Solo guardando a questa concezione della storia, che fa loro da sfondo, potremmo rendere

intelligibili le opere mature del tedesco, nelle quali sarebbero ulteriormente esplicitate

quelle decisive tesi già elaborate nelle opere giovanili sull'egemonia del momento

materiale su quello spirituale.

Lo schema espositivo dei fatti storici non si distaccherebbe di molto dalle forme di

narrazioni filosofico-teologiche della grande tradizione occidentale. La storia dell’uomo

sarebbe passata “attraverso il peccato originale della divisione del lavoro, della proprietà

privata, delle differenze di classe”2, peccato che avrebbe disgregato l’unità primigenia

della comunità senza classi e senza rapporti di sfruttamento. L’evoluzione del lavoro è la

chiave che apre così la via alla comprensione della totalità della storia. Con l’estendersi

della divisione del lavoro si intensificano i rapporti di sfruttamento e di parcellizzazione

dell’attività dei singoli uomini, divenuti gangli di una struttura impersonale e vessatoria. Il

susseguirsi di differenti modi di produzione si caratterizza con le incarnazioni di variegate

figure sociali. Divenendo proletario, l’uomo raggiungerebbe lo stato di estrema perdizione.

E “solo attraverso questa perdita totale si compirà dialetticamente il capovolgimento

nell’opposto, ossia il recupero integrale dell’uomo”3.

2 Cfr. Karl Jaspers, Ragione e antiragione nel nostro tempo, SE, Milano 1999, pag. 12

3 Ibidem, pag. 14

12

I fatti, se letti in filigrana, contengono una preziosa indicazione di ciò in vista del quale

sono accaduti, la loro chiara spinta verso il futuro in cui è riposto il senso di ogni accadere.

Marx allora è “il filosofo della storia più potente e sintetico che sia apparso nel XIX

secolo”4 . Marx diventa così un grandissimo narratore storico, e l’ Ideologia tedesca il suo

romanzo più riuscito.

Come non vedere in quelle indimenticabili pagine iniziali un tentativo ben riuscito di

romanzo storico? D’altra parte una grande narrazione di questo genere non può che

concludersi con la restaurazione della comunità primigenia perduta, arricchita di tutto il

contenuto storico accumulato e conservato. E’ questo uno degli insegnamenti che Marx

mutuerebbe dal grande maestro Hegel5.

Un’autoproduzione, un porsi dell’uomo tramite il lavoro come manifestazione del suo

essere. Un essere che è risultato sempre posto e superato dal lavoro stesso in quanto

attività, o meglio ancora come ambito di ciò che è reso reale nel risultato del lavoro, poiché

il lavoro ne è l’essenza costitutiva.

Ma Hegel ha colto questo processo in maniera unilaterale, vedendo nel lavoro solo

l’aspetto positivo. Il compito della nuova filosofia dunque ha l’obiettivo di una critica di

ciò che è compiuto non dal positum, bensì da ciò che ne scaturisce come elemento

negativo, che Marx avrebbe colto a partire da ciò che è effetto del processo di

estrinsecazione del soggettivo: il rapporto con gli altri. E Marx può farlo poiché

riguadagnerebbe quella dimensione dell’uomo come essere finito che in Hegel si presenta

come assenza. Hegel conosce e riconosce solo il lavoro spirituale astratto, non riuscendo a

dedurne il concreto. Eppure, quanto di questa visione sia in realtà presente negli scritti

marxiani della maturità è tutto ancora da stabilire.

Il processo storico marcerebbe, ineluttabile, verso il superamento delle società

antagonistiche, spinto dalle contraddizioni interne che hanno fatto perire ogni formazione

sociale storica. È stata questa una delle più grandi illusioni dei primi pensatori marxisti,

quelli che animarono la Seconda internazionale (1889-1914)6: essi ridussero il marxismo

4 François Furet, Il passato di un'illusione. L'idea comunista nel XX secolo, Mondadori, Milano 1995, p.35

5 Dell’eredità hegeliana farebbe parte anche la descrizione del processo di autoggettivazione, cifra dello

sviluppo dell’uomo. L’autoproduzione e il pensare la stessa come processualità, che porta l’oggettivazione ad

una opposizione, da pensarsi come alienazione e come soppressione della stessa.

6 Cfr. George Douglas Howard Cole, La seconda internazionale, in Storia del pensiero socialista, Laterza,

Bari 1972; AA.VV. , Il marxismo nell’età della seconda internazionale, in Storia del marxismo, Einaudi,

Torino 1979

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da una parte a una variante del positivismo evoluzionistico (i cosiddetti ortodossi),

dall’altra a un’estensione sociale dell’etica kantiana (i revisionisti). La critica a queste, e

alle successive posizioni della scuola sovietica, che aveva visto nel pensiero di Engels e

Marx una impronta fortemente deterministica ed economicistica7 e che vide in Bucharin

uno degli autori di spicco8, segneranno una nuova epoca all’interno della teoria marxista, e

con essa si svilupparono i due grandi temi che intendiamo trattare con il presente lavoro,

cioè quello della logica specifica di Marx e la sua visione della storia, ritenuti da chi scrive

centrali per comprenderne il pensiero. In verità sin dall’inizio gli interpreti si erano posti la

questione circa lo statuto teorico della logica, ma facendola coincidere con la dialettica di

Hegel e configurandone l’utilizzo in termini di giustificazione sul piano filosofico di un

certo modo di intendere la politica. Ad esempio, durante la Seconda internazionale

Bernstein interpretò l’impianto dialettico contenuto nei testi giovanili di Marx come

elemento fondamentale per la comprensione del carattere necessario della rivoluzione

socialista, di cui l’analisi contenuta nel Capitale forniva la riprova sul terreno

dell’economia politica9.

Sempre per Bernstein, la storia tedesca ne avrebbe confutato l’impianto, disattendendo le

speranze. Né le analisi economiche né la dialettica hegeliana possono considerarsi ambiti

di dimostrazione della ineluttabilità del socialismo; solo l’etica kantiana10

, con i suoi

caratteri di assolutezza e di universalità, può farlo, a dimostrazione che il nuovo stato

socialista altro non sarebbe se non lo strumento per la realizzazione, sul piano sociale,

dell’imperativo kantiano che comanda di considerare gli altri uomini sempre come fine e

mai semplicemente come mezzo.

Invece, Kautsky, alto esponente della cosiddetta corrente del marxismo ortodosso, riduce il

materialismo storico a scienza deterministica dei fenomeni sociali, caratterizzata da leggi

lineari, ineluttabili e progressive del tutto simili da quelle biologico-naturalistiche

individuate da Darwin. La stessa opera del Capitale altro non sarebbe che la dimostrazione

scientifica del crollo ineluttabile del capitalismo, esito finale di un processo storico

impersonale durato millenni.

7 Cfr. Gustav Andreas Wetter, Il materialismo dialettico sovietico, Torino, Einaudi, 1948

8 Anche se, a onor del vero, non mancarono tendenze molto più filosofiche, improntate al carattere dialettico

di origine hegeliana dei testi marxisti, propugnate soprattutto da Deborin.

9 Cfr. Eduard Bernstein, I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, Laterza, Bari 1968

10 Per comprendere la diffusione del cosiddetto marxismo kantiano cfr. Marxismo ed etica, testi sul

socialismo neokantiano 1896-1911, a cura di E. Agazzi ,Feltrinelli, Milano 1975

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Sul piano morale, il materialismo storico costituirebbe la chiave di volta per l’elaborazione

di un’etica socialistica, ma questa non andrebbe ricercata tanto negli imperativi categorici

di Kant, quanto nella totale dedizione di cui il proletario è capace nei confronti degli altri

proletari. La stessa morale sorge da un atto di proiezione dei bisogni di una determinata

classe sociale. In questo caso, la situazione di oppressione dei subalterni porterebbe ad una

nuova etica. Più in generale, una qualsiasi affermazione di una morale ha le sue ragioni nei

bisogni immanenti di chi la produce11

.

Posizione molto interessante sul piano filosofico è quella di Max Adler. Egli volle liberare

Marx dalla zavorra di un materialismo metafisico ingenuo, sconfessando l’idea per la quale

tutte le attività umane dipendano dalle condizioni materiali della produzione. Al contrario,

gli stessi processi sociali, in quanto fenomeni umani, sono per Adler sostanzialmente

spirituali. Le stesse determinazioni della realtà si scoprono come contenuti della coscienza.

Ma questo non porta necessariamente alla rinuncia del marxismo come scienza sociale, né

alla posizioni di fini, in quanto , dopo aver messo completamente in luce dall’esame

scientifico, l’ingranaggio causale della storia si tramuterà direttamente in una forma di

teleologismo12

.

Chi dedica molta attenzione allo studio della logica in generale e della Scienza della logica

di Hegel è sicuramente Lenin 13

. Egli cerca di capire la specificità del metodo marxiano,

cioè la dialettica materialistica. Successivamente mi soffermerò su questo tipo di

operazione ermeneutica, che ha avuto un peso davvero notevole e una diffusione senza pari

tra gli interpreti di Marx, generando risultati infinitamente vari e in certi casi affascinanti.

Ora, tornando a Lenin, possiamo notare come il suo intento fondamentale sia quello di

liberare la dialettica marxiana non tanto dal giogo della metafisica, bensì dagli abissi del

materialismo volgare, che riduceva da un lato a forme ingenue e dall’altro meccanicistiche,

rispettivamente, il rapporto tra il soggetto conoscente/operante e l’oggetto in vista del

quale si opera, e le relazioni tra la sfera economica e gli altri ambiti della vita umana. La

dialettica materialistica è l’unico metodo in grado di elaborare una compiuta gnoseologia,

nello specifico una teoria della conoscenza come riflesso; ed è l’unico metodo capace di

cogliere i salti qualitativi della storia, le rotture profonde che gli altri metodi non riescono a

cogliere.

11 Cfr. Karl Kautsky, Etica e concezione materialistica della storia, Feltrinelli editore, Milano, 1958

12 Per un’illustrazione preliminare delle posizioni di Adler cfr. Iring Fetscher, Il marxismo, storia

documentata,I, Milano, Feltrinelli 1969, p. 119 e ss.

13 Cfr. Vladimir Lenin, Quaderni filosofici, Editori Riuniti, Roma 1970

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Fatta eccezione per Lenin, tutte le impostazioni e gli autori che abbiamo menzionato sopra,

divengono ben presto il bersaglio polemico di un’altra generazione di marxisti, concordi

nell’intento di restituire al marxismo la sua autonoma consistenza filosofica. E sarà proprio

questa seconda generazione a problematizzare radicalmente le concezioni di Marx sulla

storia, la dialettica e la logica. Per questo esporremo, seppur in maniera sommaria, le

posizioni che hanno caratterizzato e, in qualche modo, determinato il dibattito.

Non potremo non iniziare che da Lukacs, filosofo ungherese che pose l’accento

sull’incidenza dei fattori soggettivi nella determinazione della dialettica storica. Al di là

della complessa evoluzione del suo pensiero, e dei molteplici settori verso cui i suoi

interessi vertono, Lukacs è convinto che un recupero autentico dell’opera di Marx possa

avvenire solo alla luce dell’influenza della dialettica hegeliana. Concepisce la sua opera

principale, Storia e coscienza di classe14

, tra il 1919 e il 1922, anni in cui non circolavano

ancora le opere giovanili di Marx (pubblicate nel ‘27) e i Quaderni filosofici di Lenin,

incentrando la propria analisi sul recupero del metodo marxiano di ricerca. Tale metodo è

quello dialettico, che consente di integrare fatti singoli della vita sociale nella totalità dello

sviluppo storico, e perciò nel conoscerli non come determinazioni statiche quanto come

momenti dinamici di una totalità che ha nel divenire la sua caratteristica principale. Non il

metodo sperimentale mutuato dalle scienze empiriche, bensì quello dialettico è in grado di

comprendere i fenomeni sociali così come essi stessi sono. Per questo rifiuta l’applicazione

della dialettica alla natura. La dialettica è immanente a questo sviluppo poiché non è una

intelaiatura schematica separata dal suo oggetto; essa è invece l’espressione concettuale di

quella oggettualità. E l’oggetto inverato dalla dialettica è lo sviluppo storico, non riducibile

a mero ente affianco ad altri enti empirici. La stessa totalità cui Lukacs fa riferimento ha in

sé lo sviluppo, o meglio può esser tale, solo grazie allo sviluppo di un nuovo modo di

produzione, quello capitalistico. L’epifania della totalità è garantita da questo reificarsi

dall’avvento del capitale che penetra non solo l’uomo e le relazioni che esso genera, ma

ogni spazio esistenziale, fino ad insinuarsi nella coscienza stessa dell’uomo. Da questo

farsi tutto del capitale deriva la sua predicabilità di condizione eterna e insuperabile poiché

il suo avvento finisce per occupare ogni fase del tempo ed ogni relazione. In altri termini, il

capitale si vorrebbe come unico principio storico, occultando così lo stesso carattere

storico che lo rende transeunte, superabile, e, forse ancor più importante, prodotto

originato da un altro modo di produzione.

14 Cfr. Gyorgy Lukacs, Storia e coscienza di classe, Sugarco edizioni, Milano 1991

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Questa condizione mistificata verrebbe colta come tale dal metodo dialettico. E’ questo

sarebbe il grande merito di Hegel che sviluppò la tale disciplina in maniera sistematica.

Ma Hegel non seppe andare oltre. Non seppe riconoscere nei rapporti economici le forze

vive che realmente creano il movimento storico, per due ragioni: sia perché il grado di

dispiegamento storico non era ancora sufficientemente chiaro, sia perché rimase

prigioniero e vittima delle dualità che aveva inteso sopprimere. Ma il limite di Hegel, sia

storico che umano, verrà riscattato in seguito, da chi è davvero soggetto-oggetto identico

dell’evoluzione storica: il proletariato. Giunto alla piena consapevolezza della propria

condizione e del proprio compito, esso trasformerà il mondo. E potrà farlo solo quando ve

ne saranno le possibilità oggettive.

Lukacs vede nella dialettica il vero metodo di indagine di Marx per tentare di sottrarlo

dagli sterili schemi evoluzionisti in cui era stato confinato. Eppure, in questo tentativo

perde le istanze materiali che avevano mosso invece Marx, poiché fa coincidere l’orizzonte

della coscienza con quello della realtà. Nell’opera del 1938 Il giovane Hegel 15

e i problemi

della società capitalistica, egli afferma che: “chi considera questa evoluzioni con occhi

marxisti deve constatare che si tratta di un’importantissima fase del sorgere della dialettica

in Germania”. Hegel sarebbe stato fortemente influenzato dalla rivoluzione francese, ma

anche dalla rivoluzione industriale tedesca. Nel periodo di Francoforte, cioè nel periodo in

cui Hegel è sfiduciato verso la rivoluzione, la lettura dei classici dell’economia politica lo

porterà ad elaborare il primo abbozzo di dialettica. Nella Fenomenologia egli pone alla

base il lavoro, per poi dialetticamente dedurre ogni aspetto del reale.

Questo testo di Lukacs, e in generale la sua impostazione, risentono moltissimo della

lettura dei Manoscritti economico-filosofici, editi per la prima volta nel 1930. Da essi

comprende che l’oggettività non coincide sempre con l’alienazione, la reificazione, ma

invece indica una modalità specifica di espressione del soggetto umano in un ambiente

sociale. La reificazione esiste solo dove le forme dell’oggettività, anziché esprimere

l’essenza che è propria dell’uomo, si pongono in modo ostile ed oppressivo di fronte ad

essa. Sempre dal concetto di reificazione deriva una nuova modalità di intendere

l’ontologia: “Se vogliamo capire i fenomeni in senso genetico, la via ontologica è

inevitabile e si deve giungere ad estrarre, dalle molte circostanze che accompagnano la

genesi di un fatto qualsiasi, i momenti tipici, necessari per il processo stesso”16

.

15 Cfr. Gyorgy Lukacs, Il giovane Hegel, Einaudi, Torino 1960, p.13

16 Cfr. (a cura di) Wolfgang Abendroth, Hans Heinz Holz e Leo Kofler, Conversazioni con Lukacs, De

donato, Bari, 1968, pag. 15

17

Il sapere circa le proprietà e le relazioni dell’essere è ontologia. L’essere ha tre forme:

inorganica, organica, sociale. Tra l’una e l’altra v’è un rapporto discontinuo, vi è un salto,

in cui la casualità ha un ruolo importante, misconosciuto dalla scienza. Il lavoro è la

caratteristica principale della vita sociale, lavoro che è sintesi di teleologia e casualità.

L’uomo interviene teleologicamente sulla casualità della natura, rifiutando così la

concezione meccanicistica della storia. Per questo il passaggio al socialismo e

l’affermazione dello stesso necessitano di condizioni 17

.

Sempre nell’ambito sovietico Isaak Rubin insiste sulla centralità della teoria del feticismo e

della reificazione, collegandola alla teoria del valore. Sotto il velo della reificazione, la

presenza di rapporti umani nell’economia mercantile è necessariamente un rapporto che

prende forma di cose e tramite queste si esprime. La stessa forma sociale dei prodotti,

risultato di “ innumerevoli atti di scambio tra i produttori, si trasforma in un potente mezzo

di pressione sulle loro motivazioni individuali, e li spinge ad adattare il proprio

comportamento produttivo ai rapporti dominanti in una data società”18

. Rubin individua

due differenti definizioni del concetto di feticismo in Marx: la prima, esposta nella Sacra

famiglia, dove Marx contrappone l’elemento umano e quello materiale. L’uomo è

schiacciato dall’elemento materiale, cioè dal capitale, piombando in una dimensione

inumana. Ma l’essere dell’uomo deve essere ricondotto al suo dover-essere. Dunque la

contraddizione è opposizione tra l’idealità e la realtà. La seconda fase è quella della

reificazione dei rapporti sociali, caratterizzata dal feticismo delle merci. Marx “doveva

percorrere il cammino del socialismo dall’Utopia alla Scienza, passare dall’apprezzamento

di Proudhon a un’aspra critica di esso […]. Se l’opposizione che aveva prima descritto

come contraddizione tra i rapporti umani e la loro forma <materiale> era una opposizione

tra essere e dover-essere, ora entrambi gli elementi della contraddizione vengono riferiti

alla realtà sociale effettuale. […]. La contraddizione tra i rapporti di produzione sociali e la

loro forma <materiale> è il contenuto della nuova opposizione, che deriva da quella

precedente tra l’elemento umano nell’economia e le sue forme <alienate>. In tal modo si

arriva a una prima formulazione del feticismo della merce”19

.

17 Fortemente critico di queste posizioni, Lucio Colletti afferma che Lukacs non è saputo andare mai oltre

Hegel, e quindi non è riuscito in alcun modo a conoscere il pensiero di Marx. Cfr. Lucio Colletti, Il marxismo

e Hegel, Laterza, Bari, 1969, pag. 317 e ss.

18 Cfr. Isaak Rubin, Saggio sulla teoria del valore di Marx, Feltrinelli, Milano 1976, pag. 20

19 Ibidem, pag. 48

18

Ora, Marx non ha mai inteso come cose denaro, capitale e altre categorie economiche. Egli

l’ha sempre pensate all’interno di rapporti di produzione specifici, sin dal periodo di

stesura della Miseria della filosofia, così come tutte le categorie economiche non sono che

le espressioni teoriche dei suddetti rapporti.

Nel Capitale Marx teorizzerebbe il feticismo a partire dall’assenza di una regolazione

diretta del processo sociale di produzione, che condurrebbe necessariamente a una forma

indiretta di regolazione mediante le leggi di mercato, i prodotti del lavoro e le cose. Non si

tratta dunque di mera mistificazione ideologica bensì di una materializzazione dei rapporti

di produzione: qui non si tratta di un fenomeno della coscienza morale, ma dell’essere

sociale stesso.

Se nelle prime pagine del Capitale Marx passa con metodo analitico dal valore di scambio

al valore, e dal valore al lavoro, l’autentica fondazione di tipo dialettico della teoria del

valore si ritroverebbe “soltanto nella complessiva teoria del feticismo della merce, che

prende in esame la struttura generale dell’economia mercantile”20

.

La centralità della teoria del feticismo della merce non riposa nel fatto, di per sé rilevante,

della presenza di determinati rapporti sociali di produzione dietro l’apparenza delle

categorie materiali, ma nell’affermazione che nel modo di produzione capitalistico tali

rapporti tra persone assumono necessariamente forma materiale, e possono venir

rappresentati soltanto sotto questa forma. Per Rubin la formulazione di questa teoria è che

il valore della merce dipende dalla quantità di lavoro sociale necessario per la sua

produzione. Ma sarebbe più appropriato ribaltare questa formulazione ed affermare che nel

capitalismo i rapporti di produzione tra persone assumono necessariamente la forma del

valore delle cose, e possono apparire solo in questa forma reificata; così il lavoro sociale

può esprimersi solo nel valore21

.

Gli studi di Rubin sull’economia mercantile e sull’interpretazione del Capitale sembrano

oggi alquanto datati. Non per questo noi rinunceremo qui ad una esposizione sintetica delle

questioni del duplice carattere del valore e del lavoro, che ci torneranno molto utili nel

secondo capitolo. Potremmo chiederci quale sia la differenza tra valore e valore di

scambio, sapendo che la risposta più diffusa è che il valore è considerato il lavoro

necessario per la produzione di una determinata merce, quello di scambio un prodotto

distinto, dato in cambio della merce. Ma il valore è determinato dal lavoro o è il lavoro

stesso?

20 Ibidem, pag. 51

21 Idem

19

Nella prima edizione del Capitale Marx analizza il valore nei termini di forma, sostanza e

grandezza”. I primi due punti sono affrontati nel § 1 del I capitolo del I libro del Capitale,

il terzo nel § 3. La visione più diffusa vede nel lavoro astratto umano la sostanza del

valore. Dunque non un lavoro concreto, la tessitura in quanto tessitura ad esempio, genera

valore, poiché essa è figura particolare del lavoro astrattamente umano. E il valore sarebbe

dato dalla quantità di lavoro incorporato nella merce. “Marx intende per sostanza o

contenuto di valore il lavoro socialmente uguale in genere, o il lavoro astrattamente

universale? In altri termini, quando parliamo del lavoro come contenuto del valore,

includiamo in questo concetto le caratteristiche proprie del lavoro astratto, o intendiamo

piuttosto il lavoro socialmente equivalente, senza le particolarità che esso acquista

nell’economia mercantile?”22

. L’approccio seguito anche da Rubin vede nella forma-valore

il problema reale affrontato da Marx, così come proverebbe anche la convulsa stesura di

questo capitolo, più volte rivisitato dall’autore mentre era in vita.

Valore è “la forma adeguata ed esatta per esprimere il contenuto di valore, ossia il

lavoro”23

.

Il valore come tale non è misurabile dalla quantità di tempo di lavoro necessario per

produrre la merce, bensì dalla sua forma sociale, quella dello scambio. Senza questa

mediazione il prodotto non ha valore. Infatti “la forma di valore è definita come forma di

scambiabilità, la forma cioè che acquista il prodotto per il fatto di poter essere scambiato

con qualsiasi altra merce, in base alla quantità di lavoro necessario”24

. Questo sul piano

qualitativo. Sul versante opposto, quello quantitativo, invece la grandezza di valore

dipende dalla quantità di lavoro astratto, socialmente necessario. Ma, dato il duplice

carattere del lavoro, le variazioni nella quantità di lavoro astratto sarebbero a loro volta

determinabili dalle variazioni nella quantità del lavoro concreto, ossia dallo sviluppo del

processo tecnico-materiale della produzione. Dunque tutto il sistema del valore si

baserebbe su di un processo equiparativo dei differenti lavori privati, che altro non

sarebbero che segmenti del lavoro sociale astratto complessivo. A sua volta, il sistema del

lavoro sociale astratto complessivo avrebbe nello sviluppo delle forze produttive il proprio

motore, cioè il fattore che in ultima istanza risulta l’anello determinante dello sviluppo

sociale. In tal modo la teoria marxista del valore si connette, ancora una volta, alla

concezione materialistica della storia.

22 Ibdem, pag. 93

23 Ibidem, pag. 95

24 Ibidem, pag. 93

20

Così Marx avrebbe tenuto insieme due definizioni di valore, quella dell’espressione

materiale dei rapporti di produzione e quella del valore inteso come grandezza determinata

di tempo di lavoro, fondando l’analisi dell’aspetto quantitativo su quello qualitativo. Per

molti marxisti l’aspetto della quantità di lavoro era la scoperta decisiva fatta da Marx. Lo

stesso autore, nel primo capitolo del Capitale, affermava orgoglioso: “questa duplice

natura del lavoro contenuto nella merce è stata da me per primo indicata in maniera

critica”25

; nell’opera Per la critica dell’economia politica, ove per la prima volta viene

mostrato che mentre “il lavoro che crea il valore di scambio è lavoro astrattamente

generale e uguale, il lavoro che crea il valore d’uso è lavoro concreto e particolare, che a

seconda della forma e del materiale, si scompone in tanti tipi di lavoro infinitamente

diversi”26

. L’economia politica non avrebbe afferrato appieno la nozione di valore poiché

non in grado di comprendere la forma in cui rientra il contenuto quantistico del valore

stesso.

Ma l’analisi della forma valore è l’elemento che congiunge due estremi, che senza di esso

rimarrebbero separati: lo sviluppo delle forze produttive e i fenomeni che accadono nel

mercato. E ciò vorrebbe dire separare l’analisi delle variazioni, ad esempio, dei prezzi sul

mercato senza tener conto delle trasformazioni del processo lavorativo.

La forma di valore va sempre collegata al suo contenuto: il lavoro astratto; e la grandezza

di valore con la quantità di lavoro necessario. Molti autori hanno interpretato il concetto di

lavoro astratto come lavoro fisiologico, dispendio di energia umana, che nel lavoro

concreto è dispendio in forma specifica, e in astratto è da considerarsi indipendentemente

da queste forme particolari 27

.

In effetti nel Capitale Marx dichiara che “ogni lavoro è, da una parte, dispendio di forza-

lavoro umana in senso fisiologico e in questa proprietà di lavoro umano uguale, ovvero di

lavoro astrattamente umano, esso costituisce il valore delle merci. Ogni lavoro è, d’altra

parte, dispendio di forza-lavoro umana in forma particolare, determinata a scopo, e in

questa proprietà di lavoro utile concreto produce valori d’uso” 28

25 Cfr. Marx-Engels-Opere-Complete, Il capitale, libro primo 1863-90, Vol. XXXI, tomo I, La città del sole,

Napoli 2011, pag. 52-3

26 Cfr. Karl Marx, Per la critica dell’economia politica, Newton compton, Roma 1972, pag. 48

27 Su tutti Kautsky, Cfr. Karl Kautsky, La dottrina economica di Carlo Marx, Bocca editore, Torino 1898,

pag. 24

28 Cfr. Meoc, op. cit., pag. 57

21

Ma Rubin sembra non comprenderlo, perché finisce per affermare che il valore, essendo

fenomeno sociale, non contiene nulla di materiale. Da ciò conseguirebbe che il lavoro

astratto, creatore di valore, deve anch’esso venire considerato una categoria sociale in cui

la materialità è rimossa: o esso è “dispendio di energia umana in forma fisiologica, e allora

anche il valore assume un carattere deificato e materiale”, oppure “il valore è un fenomeno

sociale, e come tale va considerato anche il lavoro astratto, legato a una forma di

produzione socialmente determinata. Non è possibile affermare contemporaneamente il

carattere fisiologico del lavoro astratto e quello storico del valore da esso creato”29

, poiché

il dispendio fisiologico muta in ogni epoca.

Per questo, poichè il valore ha un significato storico e sociale, anche il lavoro astratto va

inquadrato negli stessi termini. Naturalmente non per negare che il lavoro umano si

esplichi come dispendio di energie. Semmai esso è il presupposto del lavoro astratto.

Distinguendo il lavoro fisiologicamente uguale, il lavoro socialmente equivalente e il

lavoro astratto, e individuando due condizioni per trasformare i lavori socialmente

equivalenti in lavoro astratto, quest’ultimo diviene espressione del carattere sociale dei

lavori privati nei diversi tipi individuali di lavoro, e in secondo luogo l’equiparazione in

forma materiale dei carattere di valore dei prodotti. Detto in altri termini, Marx, secondo

Rubin, considererebbe il lavoro astratto

col lavoro sociale nella forma specificamente capitalistica, un lavoro che include in sé la

definizione delle forme sociali di organizzazione del lavoro umano. Se il lavoro ha due

caratteri, uno privato e l’altro sociale, la trasformazione del lavoro privato in sociale può

verificarsi solo nella contemporanea traduzione da concreto in astratto, che è socialmente

equivalente, omogeneo e impersonale, astrazione da ogni proprietà concreta, ma

affermantesi come sociale solo in questa forma impersonale”. Capiremo in seguito cosa

voglia dire, da un punto di vista logico, un simile fraintendimento30

. Per concludere, si

29 Cfr. Rubin, op. cit. pag. 108

30 Sui caratteri di privato e sociale del lavoro è interessante un passo presente in Per la critica dell’economia

politica:

“Prendiamo le prestazioni personali e i tributi in natura del Medioevo. Qui sono i lavori determinati dei

singoli nella loro forma naturale, è il carattere specifico, non generale, del lavoro ciò che costituisce il legame

sociale. O prendiamo infine il lavoro collettivo nella sua forma primordiale, così come lo troviamo alla soglia

della storia di tutti i popoli civili. Qui evidentemente il carattere sociale del lavoro non è dato dal fatto che il

lavoro del singolo acquista l’astratta forma della generalità o il suo prodotto la forma di un equivalente

generale. E’ la comunità, come presupposto della produzione, che fa sì che il lavoro del singolo non sia

lavoro privato e che il suo prodotto non sia prodotto privato; in essa il lavoro singolo appare piuttosto

22

deve sottolineare che da questa impostazione solo il lavoro astratto, che presuppone

determinati rapporti di produzione tra persone, crea valore, e non il lavoro in senso tecnico-

materiale o fisiologico. I rapporti tra lavoro astratto e valore non possono venir pensati alla

stregua di relazioni tra cause ed effetti di natura fisica”.E siccome il lavoro astratto è una

sostanza sociale, la sua grandezza sarà anch’essa sociale. Nell’economia mercantile

l’uguaglianza sociale di due quantità di lavoro si realizza mediante lo scambio, e tale

uguaglianza tra due quantità di lavoro astratto vorrebbe dire che tali quantità si

equivarrebbero come parti del lavoro sociale complessivo.

Proseguendo nel nostro itinerario storico-critico, non possiamo non parlare di un altro

pensatore e politico coevo a Rubin e Lukacs, Karl Korsch. Egli insistette molto sul

contenuto filosofico del pensiero di Marx, ritenendolo misconosciuto dai predecessori. Ciò

era dovuto ad una incomprensione della dialettica hegeliana e per comprendere Marx e la

sua filosofia bisognava studiare Hegel, la sua dialettica. Al centro del discorso è posta la

nozione di totalità. Garante di questa totalità è l’atteggiamento de-idelogizzante di Marx, il

suo intervento critico sulle scienze e su ogni fenomeno materiale e culturale del reale. Una

critica engagè, non pura e imparziale come presentata dagli autori borghesi. E lo strumento

che consentirebbe a Marx di mantenere la totalità, è la dialettica tra teoria e prassi. Lo

stesso sorgere della teoria marxista è solo l’altra faccia “del sorgere del reale movimento

proletario di classe; solo se presi insieme i due lati formano la totalità concreta del

processo storico”31

La dialettica consente di non vedere in modo meccanicistico il rapporto tra teoria e prassi,

e soprattutto il nesso tra i vari livelli della teoria – economica, politica, ideologica. Korsch

polemizza con Engels, che avrebbe ridotto la dialettica ad una logica generale, applicabile

sia alla natura che alla storia. La dialettica marxiana è diversa da quella hegeliana perché è

il proletariato che se ne impadronisce. Nel Karl Marx, Korsch scrive che i principi

metodologici di Marx sono tre: la specificazione storica, il principio del mutamento, e la

teoria come espressione di un movimento sociale pratico. Marx formula categorie

economiche sempre relative ad ogni epoca; il secondo principio vede nelle formazioni

direttamente come funzione esercitata da ciascun membro dell’organismo sociale. Il lavoro che si manifesta

nel valore di scambio è ,per presupposto, lavoro del singolo preso isolatamente. Esso diventa sociale

acquistando la forma del suo diretto contrario, cioè la forma dell’astratta generalità” Cfr.Karl Marx, Op. Cit.,

Pag. 44-5 31 Cfr. Karl Korsch, Il materialismo storico: AntiKautsky, Laterza, Bari 1971, pagg. 47-8

23

economiche pre-capitalistiche non la preparazione del capitalismo, bensì forme storiche

indipendenti.

Korsch finisce dunque per accentuare il carattere di scienza sociale del pensiero del

filosofo tedesco a discapito di quella impostazione filosofica illustrata ne Il materialismo

storico. Marx ed Engels avrebbero rotto con Hegel, avrebbero solo “occasionalmente

civettato, nella forma esterna di esposizione, con il modo di esprimersi proprio della

filosofia hegeliana”32

.

Chi invece ha continuato a porre in continuità il pensiero di Marx ed Engels con quelli di

Hegel è sicuramente Ernst Bloch, per il quale il nucleo centrale del pensiero di Marx non

era individuabile nell’analisi economica e sociale del modo di produzione capitalistico, né

tantomeno nell’uso di una metodologia scientifica, quanto nel principio speranza. La

speranza ha un carattere ontologico e non relegabile nel mondo psicologico dell’io: la

speranza è la nostra identità autentica, si apre all’uomo nel continuo trascendimento che

l’uomo opera sul mondo e su di sé. Nel futuro l’uomo si scoprirà per quello che è

realmente.

La stessa dialettica, strutturalmente, implica un’apertura a ciò che deve essere, un

irrefrenabile impulso al cambiamento di ciò che è. Anche se è presente il tema della

staticità e della contemplatività del pensiero, l’avvenire deve essere però utopia concreta.

E’ quindi un chè non scindibile dal dato materiale reale in cui si è inserito. Questa

materialità gode di un carattere oggettivo. E il suo essere in questo dato modo è il maggior

garante della stessa speranza poiché la materia ha, per propria costituzione, un grado di

possibilità. Ma questa possibilità non va pensata come una modalità attuabile

meccanicisticamente, come una estrema conseguenza ineluttabile e antecedente al processo

stesso. L’uomo come soggetto è deputato ad inverarla. Bloch parla a proposito di arco

utopia-materia33

. Il rapporto è dunque biunivoco, e ciò che ha scoperto questo rapporto ed

è in grado di spiegarlo è il materialismo storico-dialettico.

Bloch finisce così per dividere il marxismo in una corrente fredda, scientista, modellata sul

modello della biologia darwiniana, e una calda, quella che va oltre lo sguardo analitico e

distaccato della scienza e muove il cuore dell’uomo. Nel testo Karl Marx34

insiste sulla

presenza di una escatologia nel pensiero marxiano, presente addirittura in ogni aspetto e

figurazione nonché in ogni fase del pensiero del tedesco.

32 Cfr. Karl Korsch, Karl Marx, Laterza, Bari, 1969, pag. 71

33 Cfr. Ernst Bloch, Il principio speranza, Vol. I, Garzanti, Milano 2005, pag. 392 e ss.

34 Cfr. Ernst Bloch, Karl Marx, Il mulino, Bologna 1972

24

Marx avrebbe visto nella materia il luogo delle potenzialità infinite, sulla scorta della fisica

aristotelica andando oltre sia alla visione meccanicistica della materia, tipica dei

razionalisti del settecento, sia a quella idealistica, propugnata da Hegel, il quale vedeva in

essa la negatività assoluta. A fianco alla materia c’è il novum, come possibilità di ciò che

non è ancora cosciente; il fronte del futuro che inizia a delinearsi. Oltre alla visione della

materia, Bloch tenta una interpetrazione innovativa dei rapporti tra struttura e

sovrastruttura, negando una qualsiasi forma deterministica della prima sulla seconda,

arrivando a vederle come due poli di un’unica entità, e quindi riconducendola ad unità.

Ma qual è il rapporto tra Marx ed Hegel? Bloch insiste particolarmente sulla continuità tra

i due pensatori, credendo così di salvare il marxismo dal meccanicismo e

dall’economicismo. Lo stesso atteggiamento di critica che ha infervorato le opere marxiane

è messa in secondo piano rispetto alla categoria dell’Utopia, che Bloch identifica con ciò

che Marx chiama regno della libertà. Rovesciando la dialettica hegeliana per meglio

comprendere il rapporto tra soggetto e oggetto, Marx sarebbe andato oltre l’apparenza

idealistica del movimento dialettico, così da far emergere il processo reale, inteso come

movimento della materia. Una materia processuale, che non ha il proprio “ totum

nell’orizzonte del passato, come lo spirito che ricorda interiorizzando di Hegel, ma anche

come la materia meccanicisticamente intesa da Democrito in poi; lo tiene invece,

nell’orizzonte del futuro”35

Come conseguenza di questo ribaltamento, Marx

concepirebbere in modo nuovo la stessa umanità dell’uomo, analizzandola in relazione al

suo fare. Se Hegel aveva concepito l’autogenerazione dell’uomo come un processo,

intendendo l’essenza del lavoro e l’uomo come scaturenti dal lavoro, nell’analisi di questo

processo è data la chiave interpetrativa del reale. Ma Marx è andato oltre il maestro:

seppur Hegel aveva sviluppato la sua dialettica sempre da un apriori logico, egli invece era

riuscito nell’impresa di rendere la dialettica non un mero “metodo secondo cui manipolare

la storia, [ma] è la storia medesima”36

.

Marx dunque aveva compreso che il soggetto di Hegel, nonostante i suoi connotati astratti,

non mancherebbe di forza materiale, finendo necessariamente per rendere intelligibile che

quel pensiero che legge il rapporto tra soggetto-oggetto in termini di rapporti pratici di

trasformazione, cioè come rapporti di lavoro. Naturalmente bisogna pensare oltre la realtà

immediata, in vista di ciò che verrà. In tal senso l’utopia concreta è non la mera

anticipazione del futuro, ma la progettazione di esso a partire da premesse materiali

35 Cfr. Ernst Bloch, Soggetto-oggetto, commento a Hegel, Il Mulino, Bologna 1975, pag. 427

36 Ibidem, pag. 431

25

storicamente date. Esse sono necessarie ma non sufficienti per realizzare la progettualità

utopica. Ciò che serve la tensione al trascendimento del dato immediato. Non è prerogativa

solo dell’uomo ma della realtà intera.

In questa concezione blochiana gioca un ruolo decisivo, a nostro avviso, la categoria di

scopo presente nella Scienza della logica, cioè la “relativa esaltazione del mezzo

(strumento) sul valore d’uso immediato dello scopo”37

. Così come il lavoro mediatore del

servo sopravanza il godimento immediato del risultato del processo lavorativo da parte del

padrone, allo stesso modo il mezzo è “un che di superiore agli scopi finiti della finalità

esterna”38

. Lo scopo che agisce nel suo mezzo, che lo utilizza come mediazione, dirige

ordinandolo quel continenente chiamato storia umana. Dobbiamo però fare una ulteriore

considerazione circa il tema della materia. Bloch si richiama apertamente alle Lezioni di

storia della filosofia di Hegel, e agli apprezzamenti diretti a Leucippo e Lucrezio, segno

che Hegel rifiuterebbe solo il materialismo meccanicistico, e non il materialismo in

generale: il primo infatti fa agire esclusivamente le circostanze sugli uomini e non

l’inverso. Il rapporto reciproco hegeliano di soggetto-oggetto riuscì a superare questa

concezione, di cui il materialismo dialettico è il degno erede. E se rimane materialismo,

spiegando l’interno a partire dall’esterno, è perché fa partire prima l’essere e poi la

coscienza.

Ora, bisogna constatare che la recezione del marxismo è molto differente di nazione in

nazione.

Si pensi alla Francia. Nel 1928 Politzer, Lefebvre, Guterman, Morhange, Nizar fondano la

Revue marxiste. Sul loro passaggio al marxismo ha influito moltissimo la lettura degli

scritti giovanili di Marx ( fu Lefebvre a tradurli e pubblicarli nel 1934).

Lefebvre, nel suo Il materialismo dialettico, presenta il marxismo come metodo di

conoscenza e di trasformazione della realtà. Hegel si è reso conto che la logica formale,

con la sua affermazione che ogni essere è ciò che è e non altro, impedisce di pensare le

contraddizioni presenti e nel reale e nel pensiero. Dopo la scissione tra pensiero e realtà

provocata dal Kant della prima Critica, è Hegel l’autore che tenta di ricomporre ciò che era

stato diviso. Egli comprese che il reale, non scindibile dal pensiero, si arricchisce mediate

la negazione e il proprio superamento, fino a costituirsi come altro. Ma non altro dal reale,

bensì come realtà che diventa altra da come era prima del processo di rea-lizzazione. Hegel

ha quindi compiuto una fondamentale scoperta. Eppure ciò non gli ha impedito di

37 Cfr. George W. F. Hegel, Scienza della logica, Laterza, Roma-Bari 1994, pag. 442-3

38 Ibidem, pag. 848

26

compiere un grave errore: confondere il metodo dialettico, in grado di descrivere il

movimento del reale così come esso stesso si dà, con la costruzione schematica del reale.

La dialettica è da considerarsi un metodo, non uno schema costruttivo. Qui Lefebvre

recupera una importante distinzione fatta da Engels nel suo Ludwig Feuerbach, tra metodo

e sistema39

. Marx riprenderebbe questo metodo. E di certo un simile atto di recupero non è

un’operazione innocua, specie se la tradizione da cui si attinge è quella dell’idealismo

tedesco. Lefebvre sa bene che il recupero non voleva dire accettazione completa, anzi egli

stesso ricorda come in un primo momento Marx abbia rifiutato la logica hegeliana; e tale

rifiuto coincide con il tentativo di formulare una nuova concezione, quella del

materialismo storico, che porrebbe, secondo Lefebvre, l’uomo reale, con la sua materialità

e socialità, al centro del corso storico. Un uomo inserito in un contesto sociale costellato da

limiti naturali,in cui e verso cui esercita le proprie attitudini pratiche. La complessità del

soggetto umano e del reale in cui esso agisce, avrebbe spinto Marx a rigettare la dialettica

hegeliana. Eppure, proprio nella preparazione del Capitale, Marx avrebbe riscoperto e

valorizzato questo metodo, svuotandolo del suo contenuto astratto e rivolgendone la

capacità esplicativa al mondo dell’economia e alle sue categorie. Perciò, conclude

Lefebvre, “il metodo dialettico si è dunque aggiunto al materialismo storico e all’analisi

del contenuto economico […]. Elaborato per la prima volta in forma idealistica […] ;

rielaborato ora partendo dalle determinazioni economiche, il metodo dialettico perde la

forma idealistica ed astratta, senza per questo dissolversi: diventando anzi più coerente per

la congiunzione col materialismo approfondito. Nel materialismo dialettico, idealismo e

materialismo non solo vengono riuniti, ma trasformati e superati”40

. Ma il materialismo

dialettico non si applica solo all’economia: esso è una Weltanschauung.

Il materialismo dialettico arriva così ad abbracciare ogni aspetto del mondo. Per quanto

riguarda invece l’itinerario filosofico di Marx, il materialismo dialettico è da considerarsi il

punto cardine, il garante della sua unità concettuale, il filo rosso che unisce il giovane

umanista a quello del Capitale, i cui concetti fondamentali sono quelli di prassi,

alienazione e uomo totale. È la prassi l’attività umana per eccellenza, l’alfa e l’omega

dell’umano che ha nell’alienazione il suo aspetto principale41

. Si dà alienazione in ogni

attività umana in cui l’oggettivazione delle stesse attitudini umane esplicate concretamente

39 Cfr. Friedrich Engels, Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Edizioni

in lingue estere, Mosca 1947, pag. 11 e ss.

40 Cfr. Henry Lefebvre, Il materialismo dialettico, Einaudi, Torino 1948, pag. 66

41 Nell’accezione che Marx ne dà nei Manoscritti del ‘44

27

non riporti ad una maggiore umanizzazione dell’uomo. O meglio, quando un’attività

umana crei una disumanizzazione dell’umano. Essa dunque non riguarda solo l’uomo

inserito in un’attività produttiva, ma può presentarsi in ogni attività dell’uomo stesso, che è

il Soggetto.

Ci è sembrato del tutto esatto, anzi necessario, insistere su questo termine della tradizione

filosofica, Soggetto, in quanto la stessa alienazione può essere superata solo dal fare stesso

di chi compie la storia. Lefebvre respingi qualsiasi forma di determinismo, in nome del

concetto di Uomo totale, traslazione peculiare del concetto di presa di coscienza utilizzata

da altri autori. L’uomo totale è il Soggetto. E ciò vuol dire che è il soggetto anche del suo

riscatto. E’ un soggetto in grado divenire soggetto-oggetto, totalità.

Ma come si possono pensare le scienze specifiche e il rapporto che esse instaurano con la

dialettica? E come porre in relazione scienze empiriche e scienze umane?

Le scienze chimico-fisiche studiano un complesso di fenomeni esterni agli uomini; le

scienze umane hanno per oggetto le azioni stesse degli uomini, gli avvenimenti storico-

sociali. Tra queste la sociologia sarebbe deputata ad analizzare le motivazioni che

spingono il singolo a compiere una determinata azione riguardo al rilievo oggettivo che

quelle azioni assumono in rapporto alla formazione sociale ove esse avvengono. Beninteso

la sociologia si occupa solo di quei fatti che hanno un determinato impatto nella storia

dell’uomo. Dunque, in essa v’è una parziale identità di soggetto ed oggetto. L’uomo stesso

che compie le azioni rende, o almeno tenta di rendere, ragione di ciò che compie. Non v’è

però comprensione senza lenti di lettura. Eccoci dunque giunti al complesso problema non

tanto di come si legge il reale, ma di quali lenti stia utilizzando l’interprete. Naturalmente,

senza saperlo. Siamo giunti al problema delle ideologie, che non solo influenzano la

risposta ad un evento; ma costituiscono la chiave stessa di creazione dell’indagine. Ma

torniamo al nostro tema.

Per ricostruire la genesi del pensiero di Marx, anche Golddmann si affida alla categoria di

totalità. Influenzato da Lukacs, egli spiegherà Marx, e lo stesso Hegel, in base alla

categorie della totalità. La totalità è l’unico garante delle parti singole. Queste non esistono

al di fuori del rapporto con la totalità e viceversa. Il metodo dialettico riesce a mostrare

come le ideologie siano relazionate dalla produzione materiale dell’uomo. Ogni fatto si

presenta con una sua significativa struttura unitaria. Nell’indagine di una ideologia

finiremo, se vogliamo comprenderla fino in fondo, sempre per giungere alla dimensione

produttiva materiale, poiché è la stessa dialettica ideologica a non avere un proprio statuto

autonomo di nascita e sviluppo. L’analisi di Goldmann ha un forte connotato umanistico,

28

sintesi delle tre idee fondamentali alla base del socialismo: assenza della divisione in

classi, prerogativa della società antica; il carattere qualitativo del rapporto tra uomo e uomo

e uomo e natura; i valori della libertà uguaglianza e universalità, che la borghesia esplica

solo sul piano formale. Il socialismo ha come obiettivo non tanto l’aumento del livello

della vita materiale, quanto il sottrarre la vita umana alla reificazione, ridando all’uomo un

rapporto significativo con gli altri uomini e con la natura 42

.

II L’ipotesi della rottura epistemologica

Finora abbiamo esposto il pensiero di alcuni dei maggiori autori della linea interpretativa

che definimmo continuistica. Adesso invece vogliamo presentare alcuni dei pensatori che

hanno sottolineato il carattere di conflittualità e rottura dell’opera di Marx rispetto

all’hegelismo e all’idealismo in generale. Tra i pensatori più innovativi ed interessanti che

sono stato in grado di problematizzare le tematiche marxiane c’è sicuramente il filosofo

francese Louis Althusser.

Per Althusser la rottura epistemologica riguarda due discipline teoriche distinte: “Creando

la teoria della storia (materialismo storico) Marx, con un unico e medesimo gesto, aveva

rotto con la sua coscienza filosofica ideologica anteriore e gettato le basi di una nuova

filosofia (materialismo dialettico)” 43

. Il fatto che una nuova filosofia sia sorta dall’atto

stesso della costituzione della scienza e tale scienza sia quella della storia pone il problema

del perché la fondazione della teoria scientifica della storia dovesse implicare e una

rivoluzione teorica nella filosofia.

L’atto di rottura epistemologica suddivide il pensiero di Marx in due grandi periodi

essenziali: quello ancora ideologico, anteriore al 1845, e quello scientifico, posteriore alla

rottura.

Althusser designa le opere del primo periodo, cioè dalla Tesi di Laurea ai Manoscritti del

‘44 e alla Sacra famiglia, come opere giovanili. Le Tesi su Feuerbach e l’ Ideologia

tedesca sarebbero propriamente le opere della rottura. Le opere della maturazione coprono

42 Cfr. Lucien Goldmann, Socialismo e umanesimo, in L’umanesimo socialista, a cura di Erich Fromm,

Dedalo, Bari 1970

43 Cfr. Louis Althusser, Per Marx, Editori Riuniti, Roma 1969, pag. 16

29

l’arco che va dal 1845 al 1857. In questo lasso di tempo di oltre 10 anni Marx avrebbe

sviluppato in termini positivi una propria terminologia ed una serie di concetti adeguati al

suo intento teorico.

Queste due grandi fasi sono a loro volta suddivisibili in altrettanti momenti specifici: per

quanto riguarda le opere antecedenti la rottura, vi sarebbero a) il momento razionalista-

liberale rappresentato dagli articoli della Gazzetta renana (fino al 1842), b) il momento

razionalista-comunitario degli anni 1842-45. Se nel primo momento la problematica

marxiana sarebbe di tipo Kantiano-Fichtiano, la seconda si poggerebbe sull’indagine

antropologica di Feurbach.

Ne seguirebbe allora che l’unico testo in senso stretto hegeliano, sarebbe quello

denominato come Manoscritti economico-filosofici del ’44 . Tranne dunque che

nell’ultimo dei testi giovanili, Marx non sarebbe mai stato hegeliano.

Nella seconda fase invece vi sarebbero rispettivamente i momenti della maturazione

teorica e della maturità.

Nello specifico, la critica elaborata da Marx contro Hegel nel secondo momento della

prima fase altro non sarebbe che il prosieguo e lo sviluppo della geniale critica mossa al

filosofo di Stoccarda da parte di Feuerbach: “Una critica condotta in nome dei principi

della problematica antropologica dell’alienazione: una critica che si appella, contro

l’astratto-speculativo, al concreto-materialista, ossia una critica che resta schiava della

stessa problematica idealista di cui si vuole liberare, una critica che appartiene dunque di

diritto alla problematica teorica con cui marx romperà nel ‘45”44

; “Articoli come Sulla

questione ebraica o la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, non sono

intelligibili che nel contesto della problematica feuerbachiana […]. Gli schemi e la

problematica teorica sono gli stessi” 45

.

Marx non fece altro che applicare una problematica etica, la teoria dell’alienazione, alla

politica e all’attività concreta degli uomini, prima di estenderla, come fece nei Manoscritti

del ’44, all’economia politica. E’ di fondamentale importanza il comprendere chiaramente

che l’origine dell’intero impianto concettuale di questi scritti è mutuato da Feuerbach, così

da capire che Marx accetta una problematica specifica, che non è la sua e che è mutuata

altrove, e che tale problematica è integralmente acquisita da Marx, cosi da comprendere

meglio il concetto di rottura.

44 Ibidem, pag. 20

45 Ibidem, pag. 29

30

E quando Marx parla della resa dei conti con la sua coscienza filosofica anteriore46

, indica

apertamente l’adozione di una nuova problematica costruita su di un nuovo elemento;

diremmo, su di un altro campo.

Meticolosa è da parte di Althusser la ricostruzione dei dispositivi attuati dagli interpreti

continuistici, culminante nella teoria delle fonti e delle anticipazioni, e poggiante su tre

presupposti teorici. Il primo, di carattere analitico, rende ogni sistema teorico riducibile ai

suoi elementi; condizione questa che consentirebbe di pensare separatamente un elemento

del sistema e di accostarlo ad un altro elemento simile appartenete ad un altro sistema. Il

secondo è teleologico: giudicare le idee tramite la dissoluzione degli altri sistemi nei loro

elementi per poi riprendere questi elementi e commisurarli alla verità del proprio sistema.

Il terzo poggia sull’illusione che il mondo dell’ideologia abbia in sé il proprio principio

d’intelligenza.

Nel caso del giovane di Treviri, per analizzarne il sistema, questo sarebbe stato scomposto

in tanti elementi riconducibili a due insiemi: quelli materialistici e quelli idealistici. E

questa discriminazione in elementi avulsi dal contesto interno si baserebbe proprio sui

presupposti teorici sopra illustrati.

“Questo metodo che non smette di giudicare, è incapace di pronunciare il benché minimo

giudizio su una totalità diversa da lui. Come potere confessare meglio di così che questo

metodo non fa che giudicare se stesso, riconoscere se stesso sotto gli oggetti, che pensa,

che mai esce da sé […]?”47

Per questo non ci si può addentrare in uno studio marxista delle opera giovanili di Marx

senza avere rotto con le tentazioni elaborate da questo metodo analitico- teleologico. Se si

vuole porre

correttamente il problema degli elementi, si dovrà riconoscere che tutto dipende da una

questione preliminare: quella della natura della problematica a partire dalla quale essi sono

effettivamente pensati, in un dato testo.

Questo schema ermeneutico è stato largamente utilizzato per comprendere lo sviluppo

teorico di Marx soprattutto per il tema del valore. Anche Tuchscherer, uno tra più seri

studiosi della teoria economica marxiana, la riutilizza. A tal proposito egli afferma che

“contrariamente al nostro metodo espositivo che riproduce il processo evolutivo, l’analisi

che ne sta alla base ha dovuto partire dalla teoria del valore nella sua forma matura per

poter poi stabilire a ritroso quali elementi e cognizioni sono contenuti nei vari lavori di

46 Cfr. Karl Marx, Op. cit. , pag. 32

47 Cfr. Louis Althusser, Op. cit. , pag. 44

31

Marx che precedono l’esposizione della teoria del valore nella sua compiutezza e per poter

sintetizzare i risultati ottenuti mediante l’analisi. Nella ricerca, dunque, abbiamo avuto

sempre presente la teoria del valore di Marx nella sua forma compiuta”48

. L’utilità di

questo metodo si paleserebbe anche nell’analisi degli elementi incompiuti della teoria del

valore che possono, a detta dell’interprete tedesco, essere intesi correttamente solo se già si

conosce la teoria sviluppata, e a patto di non assolutizzare le affermazioni di Marx risalenti

al periodo iniziale di studio. In questi scritti vi sarebbe invece un accenno in forma di

anticipazione a qualcosa di superiore.

Questa modalità di ricostruzione, a detta di chi scrive, non riesce però non solo a vedere il

cambio di campo d’indagine, ma soprattutto a cogliere i motivi e i dispositivi che

portarono Marx a dedicarsi agli studi economici. Sappiamo che gli studi di economia

iniziano già dalla fine del ’43 e che l’influenza di Engels è stata in questo senso

determinante. Ma trovare i motivi per i quali Marx rompa con la gabbia ideologica che lo

imprigionava è operazione assai complessa. Tuchscherer è convinto che furono le nuove

cognizioni filosofiche “ la causa decisiva che spinse Marx a dedicarsi allo studio

dell’economia politica. Le cognizioni in tal modo acquisite influenzarono a loro volta le

concezioni filosofiche di Marx, spingendolo a riesaminarle, a correggerle, a precisarle e a

svilupparle ulteriormente. Questo processo trovò alla fine espressione nell’elaborazione del

materialismo storico che a sua volta costituì il punto di partenza di nuove ricerche nel

campo dell’economia politica”49

. Ma tutto ciò in realtà è una non spiegazione. Da questo

errore ne deriva un altro, che attanaglia l’intera linea continuistica quando si tratta di

definire se le singole opere di Marx siano di carattere filosofico, politico o economico,

arrivando a descriverle con connotati definibili sotto la categoria dell’eclettismo, come

diretto riflesso dell’ossessivo mantenimento di un carattere unitario del pensiero di Marx.

Considerare il materialismo dialettico e il materialismo storico già sostanzialmente

enucleati nella Sacra famiglia, e la teoria economica già tratteggiata nel corso della

seconda metà degli anni quaranta (quindi dopo la presunta sistematizzazione del

materialismo dialettico e storico), ci sembrano affermazioni non solo non provabili, ma

anche perniciose per la comprensione dei contenuti del Capitale, perché nel periodo della

giovinezza le nozioni di economia politica abbozzate non vengono riportate nelle opere

48 Cfr. Walter Tuchscheerer, Prima del capitale: la formazione del pensiero economico di Marx (1843-1858),

La nuova italia, Firenze 1980, pag. 6

49 Ibidem, pag. 200

32

della maturità, salvo modificazioni sostanziali che non permettono nemmeno di

considerarle come meglio delineate50

.

Ma nonostante queste interessanti osservazioni, i teorici continuistici negano risolutamente

lo statuto teorico del cambio di problematica fondamentale. Sempre Tuchscherer51

, che, è

bene ricordarlo, rimane tra questi comunque un’interprete di gran lunga superiore per

serietà di studi e conoscenze della materia, nega che un raffronto diretto tra le concezioni

dei Manoscritti del ’44 e la stessa Miseria della filosofia possa portare alla conclusione che

nell’evoluzione delle concezioni economiche di Marx, particolarmente nella sua

concezione del valore, si sia verificata una rottura.

Il mutamento di paradigma tra il Marx del ’44, che interpreta la produzione mercantile

mediante la teoria dell’estraneazione del lavoro, e quello della Miseria, che si dice

sostenitore della teoria del valore-lavoro, viene letto in termini di sistematizzazione di

nuove nozioni all’interno di una struttura concettuale elaborata su una problematica

specifica, e dal superamento di vecchie concezioni nel corso degli studi economici

successivi alla fine del 1845. In altri termini, non vi sarebbe cambio alcuno della

problematica di fondo, ma solo una sua nuova, e più chiara, focalizzazione.

Ma torniamo ad Althusser, per fare alcune precisazioni. Egli ha più volte rivisto le

posizioni esposte in Per Marx, e ha cambiato più volte idea circa il ruolo della filosofia. Se

infatti nel testo di esordio questa era definita teoria della pratica teorica, distinta dalle altre

pratiche ideologiche52

e inequivocabilmente foriera di una svalutazione del ruolo del

materialismo dialettico53

, lasciando alla filosofia stessa un dubbio spazio sulla quale

50

Lo stesso Engels, anni dopo la prima apparizione de La situazione della classe operaia, afferma

perentoriamente che è “appena necessario osservare che il punto di vista teorico generale di questo libro – in

senso filosofico-economico e politico- non si identifica del tutto col mio punto di vista odierno. Nel 1844 non

esisteva ancora il moderno socialismo internazionale, che da allora si è costituito in scienza, soprattutto e

quasi esclusivamente grazie ai lavori di Marx. Il mio libro rappresenta soltanto una delle fasi del suo sviluppo

embrionale”. Cfr. Meoc, Vol. IV, pag. 673

51 La morte lo strappò giovanissimo dal mondo, proprio mentre stava lavorando sui testi de Il capitale, che

aveva escluso da quella che rimarrà la sua opera-capolavoro. Incalcolabile, a detta di chi scrive, sarebbe stato

il suo contributo per la corretta interpretazione dell’opera principale di Marx.

52 Cfr. Louis Althusser, Op. Cit., pag. 150

53 Che ricordiamo essere termine che non è mai presente nei testi di Marx e che venne comunque

sistematizzato e dogmatizzato da Stalin.

33

esercitare un proprio spazio, nella risposta a Lewis intitolata I Marxisti non parlano mai al

vento, la filosofia diviene “lotta di classe nella teoria”54

.

Fatta eccezione per l’introduzione a Per la critica dell’economia politica, la dialettica la

troviamo nei testi del Marx maturo allo stato pratico, ma non allo stato teorico55

.

L’ideologia come sistema di rappresentazioni si distingue dalle scienze per il fatto che in

essa la funzione pratico-sociale prevale su quella teorica. Nelle scienze l’ambito del teorico

si sviluppa solo a cose fatte, quando i sistemi e i dispositivi utilizzati sembrano entrati in

crisi. Nel pensiero di Althusser c’è sempre una costante: l’ossessione per il fatto nudo e

crudo che Marx non abbia scritto una dialettica 56

. Non possiamo qui seguire le evoluzioni

del pensiero di Althusser, che giudico in assoluto l’autore più interessante nella storia del

marxismo del dopoguerra, anche se, a tratti, il Marx di Althusser sembra essere più un

Marx riadattato a ciò che esso avrebbe dovuto essere per i posteri e non ciò che Marx è

realmente stato. Possiamo però vedere come l’esercizio di lettura collettiva del Capitale,

raccolta nel testo Leggere il Capitale, ponga maggiormente in rilievo i cambi di oggetto e

problematica, che permisero al filosofo di Treviri di andare oltre i divieti fondanti le teorie

a lui contemporanei. Oggetti invisibili perché respinti in linea di principio e rimossi dal

visibile del campo d’indagine dell’economia politica57

. Potremmo dire, andando oltre le

intenzioni althusseriane, che quei divieti e quell’invisibile, nel momento in cui furono

illuminati dai testi della maturità di Marx, rimasero non indagati anche dalla filosofia

stessa. Rimasero in una paradossale non-indagine: cioè segnati dal tentativo di ricondurli

nel campo del già indagato per svilirne lo statuto, in una operazione di riconduzione del

nuovo nel già sempre noto, pena la crisi di quelle discipline basate sul divieto

dell’indagine. Il costo della rottura e dell’appropriazione di un nuovo spazio è il costo del

carattere d’intelligibilità che è proprio della fondazione di una nuova scienza che guardi al

di là delle opzioni “metafisiche” della tradizione occidentale. Tra queste, un ruolo

preliminare è occupato dal rapporto tra ordine storico e ordine logico, che impegna Marx

54 Cfr. Louis Althusser, I marxisti non parlano mai al vento, Mimesis, Milano 2005, Pag. 64

55 A tal proposito, è bene leggere un passo molto convincente: “Si pensi a Marx. Ha scritto dieci libri e quel

monumento che è Il capitale senza mai scrivere una «Dialettica». Parlò di scriverla, ma non ne fece niente.

Non ne trovò mai il tempo. Il che significa che non lo cercò, perché la Teoria della sua pratica teorica non era

allora essenziale allo sviluppo della sua teoria, ossia alla fecondità della sua propria pratica” Cfr. Louis

Althusser, Op. Cit., pag. 153

56 Oltre alla citazione riportata nella nota precedete Cfr. Louis Althusser, Leggere il Capitale, Mimesis,

Milano, 2006, pag. 31; Cfr. Louis Althusser, Sul materialismo aleatorio, Op. Cit., pag. 46

57 Cfr. Louiss Althusser, Leggere il capitale, Op. Cit. pag. 27

34

nel Capitale. È questo il problema di sapere se c’è identità tra l’ ordine detto “logico”, cioè

l’ ordine di “deduzione” delle categorie nel Capitale, e l’ ordine “storico” reale. “La

maggior parte degli interpreti non arriva veramente a “uscire” da questo problema, perché

si rifiuta di porre la domanda nei suoi termini adeguati, cioè nel campo della problematica

richiesta da questa domanda […]. Il Capitale ci dà tutta una serie di risposte sull’identità e

la non identità dell’ordine “logico” e dell’ordine “storico”. Queste risposte sono risposte

senza domanda esplicita, a questo titolo ci pongono il problema della loro domanda” non

posta58

.

Il porre la domanda è simultaneamente produzione del quesito e definizione del campo

investito dalla problematica. La maggior parte degli interpreti ha svolto questa operazione

o nel campo dell’empirismo o in quello perimetrato dall’hegelismo, tentando di dimostrare

rispettivamente che l’ ordine logico, coincidendo con quello reale, non può che esistere in

questo e da questo prendere le mosse per seguirne le evoluzioni; gli altri hanno detto

l’opposto. Althusser teorizzò l’uscita da questo orizzonte definito “ideologico”, per

ricondurlo alla distinzione tra oggetto reale e oggetto della conoscenza, a cui fa seguito la

distinzione radicale tra l’ordine di apparizione delle categorie nella conoscenza e nella

realtà storica.

La domanda del modo di appropriazione dell’oggetto reale deve esser posta in termini che

escludano il ricorso alla soluzione “ideologica” che produce i personaggi “ideologici” di

soggetto e di oggetto, orientandosi su un tipo di problematica che sappia distinguere

oggetto reale ed oggetto di conoscenza, potendo così comprendere quella radicale

differenza tra l’ordine di apparizione da una parte delle categorie nella conoscenza e

dall’altra nella realtà storica.

Nel Capitale, pur sapendo che l’attuale società è un prodotto, Marx si occupa di questo

prodotto, studiandone il meccanismo che ne permette l’esistenza e la possibilità di

interpretarla come risultato della produzione della storia “le [cui] forme d’ordine (forme

della dimostrazione nel discorso scientifico) sono la “diacronia” di una “sincronia”

fondamentale”59

.

I risultati teorici di questa impostazione furono oggetto di una critica feroce in Francia e in

Europa. Anche autori come Michael Lowy, che avevano sostenuto l’ipotesi della rottura

epistemologica, non seguirono le evoluzioni del pensiero di Althusser. In questo caso

Lowy ri-propose un’idea di rottura di carattere soprattutto politico, condizionato sempre da

58 Ibidem, pag. 44

59 Ibidem, pag. 61

35

quello epistemologico 60

Sempre Althusser elaborò varie autocritiche,che ricevettero non

poche critiche feroci perché interpretate come autoapologie61

. In Italia, in forma almeno

inizialmente autonoma, già Galvano Della Volpe elaborò interessanti prospettive contro le

prospettive continuistiche, incentrando le sue ricerche su un nuovo ambito logico che

sarebbe stato inaugurato da Marx62

.

In Logica come scienza positiva individua nella critica materialista dell’apriori moderno la

conclusione di un processo di pensiero antidogmatico che percorrerebbe tutta la storia della

logica e della filosofia, vedendo, a differenza di Althusser, nella Critica della filosofia

hegeliana del diritto il lavoro in cui Marx distrugge il procedimento tautologico della

dialettica hegeliana, abbozzando una nuova concezione scientifica di matrice materialista

per la conoscenza dell’oggetto, in grado di spiegarne sia le contraddizioni insite sia la

genesi e necessità storica.

Anche in Miseria della filosofia Marx attacca la metafisica economicistica di Prodhon,

opponendogli una dialettica scientifica, cioè analitica, che si esplicherebbe totalmente nella

introduzione e nella prefazione Per la critica dell’economia politica, opera nella quale

verrebbe esplicitato quel metodo circolare di concreto-astratto-concreto che è la

fondamentale struttura di una dialettica scientifica. Ci troveremmo dunque di fronte ad una

“logica il cui simbolo resta il suddetto circolo concreto-astratto-concreto: circolo che ci

indica i tre aspetti logico-gnoseologici comuni ad ogni sapere in quanto scienza – e quindi

non più mero sapere o contemplazione: a) il dato problematico o istanza storico-materiale;

b) l’ipotesi o istanza storico-razionale (istituzione di ipotetiche risolutive medie di

antecedenti-conseguenti); c) l’esperimento o saldatura del circolo della funzionalità

60 Cfr. Michael Lowy, Il giovane Marx e la teoria della rivoluzione, Massari, Bolsena 2011

61 Cfr. Alain Lipietz, Da Althusser a Mao?, Aut Aut, Milano 1977

62 Sottolineo il fatto che spesso gli autori della rottura abbiamo posto Marx ed Engels in contrapposizione,

vedendo nelle opere di quest’ultimo evidenti influenze, che rasentano il condizionamento, sia dal positivismo

che dall’hegelismo. La cosa non mi vede del tutto d’accordo, in quanto Engels, oltre a concepire opere più

facilmente accessibili, per motivi squisitamente politici, e a compiere profonde analisi politiche e militari, ha

il grande merito di aver condotto Marx sul terreno dell’economia politica e giocato un ruolo fondamentale

nell’elaborazione dei concetti del Capitale come testimoniano svariate epistole scambiate con l’amico.

D’altra parte, Marx ed Engels non hanno mai posto in antitesi i loro pensieri. Ed è difficile credere che tra i

due si possano rintracciare delle radicali differenze, tant’è che un loro contemporaneo, Ludwig Simon, ne

parlava al singolare, suscitando l’ilarità di Marx: “E’ stranissimo come il tipo ci consideri al singolare” (Cfr.

Meoc, Op. Cit., vol. XL, pag. 68). Sui rapporti tra Marx ed Engels cfr. Gustav Mayer, Friedrich Engels, la

vita e l’opera, Einaudi, Torino1969, pag. 54 e ss.

36

reciproca di dato e ipotesi o materia e ragione (conversione dell’ipotesi in legge)”63

. È

questo un metodo di conoscenza che ricomprende nella sua positività la duplice istanza

della logica classica: l’istanza platonica, cioè quella della ragione o della dialettica delle

cose, e la istanza aristotelica, quella della materia o della positività del molteplice, che il

principio di non contraddizione esprime in modo incontrovertibile. E’ questo rapporto tra

ragione e materia un rapporto dialettico diadico, in opposizione alla triade di Hegel.

Marx applicherà questa logica all’economia e alle scienze umane in genere. La logica di

Della volpe è antimetafisica ma non antifilosofica, senza quindi cadere nel positivismo

logico. Egli vuole rovesciare la fondazione kantiana della logica: “rovesciare la fondazione

logica che la soluzione humeana e kantiana hanno in comune – cioè la non-

contraddittorietà o non assurdità della negazione64

. In seguito, proprio per mostrare la

differenza radicale con l’intero idealismo tedesco, Della Volpe, tornerà a criticare lo stesso

Kant, reo di aver perso di vista “la vera struttura del trascendentale proprio in quanto pose

sullo stesso piano indifferentemente la possibilità logica e la possibilità reale”65

.

L’empirico, in questa impostazione, finiva per avere un ruolo gratuito e surrettizio nella

costruzione dialettica, in una concezione dogmatica dell’unità dell’empirico e della

filosofia che porta ad una sostantificazione di un’astrazione, ossia logicamente nel

rovesciamento del naturale predicato (l’universale) in soggetto.

Sempre in ambito logico Marino Centrone ha sostenuto le ragioni di una revisione radicale

dei caratteri di riappropriazione del reale concreto, non mistificato dai caratteri della

sussunzione nelle strutture formali della logicistica. Per Centrone la complessità

dell’analisi marxista ha come intento ed esito la ricomprensione delle categorie logiche

nella contestualità dello storico come processo appropriativo del reale.

Ma i fondamenti non possono essere quelli dell’uomo e del suo mondo, che sarebbero da

considerarsi “residui semantici di concezioni ideologiche borghesi”66

. Pertanto se

l’appropriazione del reale è il risultato di un processo complessivo che si svolge attraverso

la contraddizione specifica fra forze produttive e rapporti di produzione, e se questa

contraddizione si basa su una contraddizione complessa e non semplice, allora è proprio

attraverso di essa che deve essere affrontato il problema dei fondamenti.

63 Cfr. Galvano della Volpe, Logica come scienza positiva, Messina, Firenze 1950, pag. 211

64 Ibidem, pag. 51

65 Cfr. Galvano della Volpe, Logica come scienza storica, Editori riuniti, Roma 1969, pag. 40

66 Cfr. Marino Centrone, Logica formale e materialismo , Dedalo, Bari 1977, pag. 66

37

CAPITOLO SECONDO

IDEE DI LOGICA, A PARTIRE DALL’IDEALISMO

I Feuerbach, l’ inversione e la logica delle cose

Dopo questa breve ricostruzione delle linee di interpretazione, svolgeremo la nostra

indagine su alcuni dei dispositivi interni al metodo marxiano. Per orientare la nostra ricerca

sul tema del significato delle nozioni di astratto e concreto, dell’uso della dialettica e

dell’oggetto specifico dell’analisi marxiana, dobbiamo innanzitutto porci la domanda circa

il senso di una simile operazione. Marx non ha mai scritto un’opera sul metodo utilizzato

nelle sue indagini, ma questo di certo non può portarci all’assurda conclusione che non ne

avesse adottato uno. Tuttavia se consideriamo l’intero corpus delle sue opere, ci

accorgiamo che il ruolo e l’estensione di tali nozioni sono mutati radicalmente. Non tutti

sono d’accordo su questo. Ma, per così dire, la posta in gioco che legittima e dà senso alla

ricostruzione che seguirà, riposa su questa negazione di un’ipotesi di rottura. Presentare

come continue e sostanzialmente omogenee le categorie di astratto, concreto, cosi come

quelle dell’oggetto tematizzato, della dialettica e del ruolo della filosofia, implica in primo

luogo che il metodo sia considerato in un modo o nell’altro al di sopra o quantomeno

esterno al processo analitico, e che il campo d’indagine a cui Marx l’abbia applicato sia il

medesimo.

Dobbiamo quindi ricostruire l’itinerario del filosofo tedesco attraverso le opere, per

comprendere in quale fase si consumi la rottura, e quale ne sia la portata. Operazione di

certo resa più complessa da una tradizione marxista che ha, in ultima analisi, interpolato

nozioni e termini estranei al pensiero marxiano. Ciò non vuol dire però che la ricostruzione

che qui operiamo sia una sorta di riscoperta di una radice pura da recuperare depurandola

da ogni elemento giustapposto o scaturito successivamente poiché, nel momento in cui si

volesse legittimare questo atteggiamento, si entrerebbe in contraddizione con una nozione

presente già nell’insieme teorico di cui si anela il recupero, quello del carattere perfettibile

38

e degli aspetti specifici e del tutto analitico. Atteggiamento che caratterizza ogni scienza

rispetto a qualsivoglia formulazione dogmatizzata di un assunto teorizzato dal fondatore

della scienza sociale marxista.

Ad avviso di chi scrive, l’ipotesi di un cambio di direzione d’indagine rende intelligibile il

carattere di pensabilità non solo della rottura stessa, ma consente di accertare la relazione

che intercorre tra la disciplina sviluppata e l’humus culturale in cui essa si afferma. Non

che autori come Lukacs, Bloch o Badaloni abbiano occultato il complesso e angoscioso

rapporto che Marx ebbe con i contemporanei. Ma il loro approccio ha sottovalutato la lotta

svolta da Marx per l’affermazione della propria filosofia. Una filosofia esiste non tanto

perché elabora risposte più adeguate rispetto alle altre su problemi posti da una tradizione,

ma perchè si afferma imponendo nuove domande e una forma di dominio efficace

all’interno di un campo epistemologico. E una di queste forme è quella della ricerca di un

nuovo linguaggio. Bisogna comprendere allora il contesto conflittuale in cui un nuovo

pensiero sorge, la storicità dell’opera che ne condiziona sin dall’inizio l’esistenza, avendo

così un quadro ben più ampio che ci permette di comprenderne il grado di differenza

conflittuale.

Per questo non dobbiamo dimenticare che Marx ha iniziato i propri studi filosofici sotto

l’influenza di Hegel e degli hegeliani. Tra questi Ludwig Feuerbach, con il suo progetto di

ribaltamento della dialettica, ha avuto un ruolo preminente. E’ noto infatti come il filosofo

di Landshut abbia avuto un enorme impatto sulla cultura tedesca, criticando la deriva

speculativa della logica hegeliana. Nelle Tesi preliminari per la riforma della filosofia

afferma che la questa era una “teologia resa razionale e presenziale, la teologia fatta

logica. Come l’ente divino della teologia è la quintessenza ideale o astratta di tutte le

realtà, cioè di tutte le determinazioni, di tutte le finitezze, così è la Logica. Come tutto ciò

che si trova sulla terra si ritrova poi di nuovo nel cielo della teologia, così tutto ciò che è

nella natura si ritrova nel cielo della logica divina: qualità, quantità, misura, essenza,

chimismo, meccanismo, organismo”67

.

Hegel avrebbe il merito di essere andato oltre la contraddizione tra essere e pensiero così

come era stata espressa dalla filosofia kantiana, ma di aver dissolto tale contraddizione solo

nel pensiero stesso. Perciò in Hegel “ il pensiero è l’essere – il pensiero è il soggetto, e

l’essere il predicato. La logica è il pensiero nell’elemento del pensiero, ossia del pensiero

che pensa se stesso – il pensiero è inteso come soggetto senza predicato […]. Hegel si è

67 Cfr. Ludwig Feuerbach, Tesi preliminari per la riforma della filosofia in, Id. Scritti filosofici, a cura di c.

Cesa, Bari, Laterza 1976, pp.179-80

39

limitato a pensare gli oggetti come predicati del pensiero che pensa se stesso”68

. Compito

della nuova filosofia è quello di riformulare correttamente il rapporto tra essere e pensiero

facendo del primo il soggetto e del secondo il predicato. In questo deve essere espressa

l’essenza di quello, in quanto “il pensiero deriva dall’essere, ma non l’essere dal

pensiero”69

. Il rovesciamento non doveva investire solo il sistema hegeliano, ma tutto

l’ambito della speculazione moderna. In tal senso, Feurbach rivendicava il ruolo

preminente della sensibilità, facoltà umana in grado di andare oltre ogni concezione

astratta dell’uomo, che in filosofia si esprimeva nella figura dello spirito autocosciente. E il

carattere di separatezza e privazione di questo ente riposava sulla sottrazione della realtà e

dell’oggettività. Solo mediante i sensi un oggetto si dà in modo autentico, e solo in questo

modo si può conoscere l’essere non solo come una essenza pensante ma come una essenza

realmente esistente. La “vecchia” metafisica che attribuiva indistintamente l’essere ad ogni

cosa, poiché tutte le cose hanno in comune il fatto di essere, finiva per ricavarne un

pensiero senza realtà.

E’ noto che le novità introdotte da Feuerbach ebbero una fortissima influenza sullo

sviluppo intellettuale di Marx: nei Manoscritti del ‘44 , in polemica con Strauss e Bauer,

rei a suo avviso di essere ricaduti nella logica di Hegel, egli afferma che “tanto nelle sue

Tesi, negli Anekdota,che, in dettaglio, nella Filosofia dell’avvenire, [Feuerbach] ha

sradicato la vecchia dialettica e filosofia […]. Feuerbach è il solo che sia in un rapporto

serio e critico con la dialettica hegeliana, e che abbia fatto delle vere scoperte in questo

campo e sia insomma il vero vincitore della vecchia filosofia”70

. Egli avrebbe avuto il

merito di rifiutare la speculazione, e di aver riconosciuto il ruolo del positivo che

autofondandosi legittima il ruolo della certezza sensibile, opponendosi al cammino della

negazione della negazione, apostrofata come “l’espressione astratta, logica, speculativa

del movimento della storia, che non è peranco la storia reale dell’uomo come soggetto

presupposto” 71

.

Ma già nella Critica alla filosofia hegeliana del diritto, egli rifiutava l’atteggiamento di

fondo della speculazione hegeliana, che concepisce l’idea come origine del reale sensibile

e il reale sensibile come ambito in cui l’idea stessa si realizza. Nel momento in cui si

analizza un evento o un’istituzione tramite la lente speculativa, il filosofo idealista cerca

68 Ibidem, 191-2

69 Idem

70 Cfr. Meoc, Manoscritti economico-filosofici del ’44, vol. IV, pag. 202

71 Ibidem, pag. 357

40

nelle determinazioni reali le determinazioni corrispondenti del concetto puro, riducendo

così gli enti a vuoti nomi e reiterando la medesima intelaiatura categoriale a fronte della

proteiforme e variegata natura degli enti e delle relazioni. Così nella Logica il passaggio

dalla sfera dell’essenza a quella del concetto è identico al trapasso della natura inorganica

alla vita, illustrata nella filosofia della natura. Le deduzioni si trasformano così in mere

tautologie, come mostra l’analisi del diritto costituzionale.

In esso il “concreto contenuto, la determinazione reale, appare come formale; la

determinazione formale, del tutto astratta, appare come il contenuto concreto. L’essenza

delle determinazioni statali non è già di poter essere considerate determinazioni statali, ma

di poter essere considerate, nella loro forma più astratta, come determinazioni logico-

metafisiche. Non la filosofia del diritto, ma la logica è ciò che veramente interessa. Non

che il pensiero prenda corpo nelle determinazioni politiche, ma bensì che le esistenti

determinazioni politiche si volatilizzino in astratti pensieri, questo è il lavoro filosofico.

Ciò che è il momento filosofico non è la logica della cosa, ma la cosa della logica”72

.

L’atteggiamento hegeliano viene definito “misticismo logico, panteistico”73

. L’analisi dello

Stato ne mostra l’impianto: Hegel assegna ad esso un ruolo del tutto immaginario,

storicamente insussistente. Il reale non è più espressione di sé ma di altro. E’ l’idea che

diventa soggetto, e il rapporto reale tra esso, la famiglia e la società civile finisce per

diventare attività interna ed immaginaria dello Stato. Dunque i soggetti reali, cioè famiglia

e società civile, finiscono per diventare delle oggettualità spettrali e, potremmo dire,

impotenti. Dunque, analizzando i fatti desunti dall’esperienza come fenomeno dell’idea, si

finisce per trasformare il predicato in soggetto, e così facendo “ la condizione viene posta

come il condizionato, il determinante come determinato, il producente come prodotto del

suo prodotto”74

. L’idea di Hegel “viene rappresentata come se agisse secondo un principio

determinato e per un’intenzione determinata”75

e il suo unico scopo coincide con lo

“scopo logico”76

. Ma la sfera della logica così intesa, e con essa il consequenziale sviluppo

dell’idea, è e rimane astratta. Le determinazioni individuate restano scevre da aderenza al

dato desunto dal reale e l’idea è concepita come pensiero logico astratto.

72 Cfr. Meoc, Op. Cit. , pag. 102

73 Ibidem, pag. 8

74 Ibidem, pag. 9

75 Ibidem, pag. 7-8

76 Ibidem, pag. 10

41

Dobbiamo però ricordarlo ancora una volta: ad Hegel non interessa la logica della cosa

ma la cosa della logica. Per questo nei Lineamenti della filosofia del diritto può affermare

che “la necessità nell’idealità è lo sviluppo dell’Idea entro se stessa”77

.

Così facendo, Hegel pone i predicati nella loro esistenza come scissi, slegati dal soggetto.

È questo il carattere astratto, in senso etimologico, della sua filosofia. Prescindendo da

questo soggetto, e sapendo che non si danno predicati senza almeno un soggetto, egli

finisce per mettere in una relazione fittizia i predicati stessi con un soggetto precipuo:

l’idea. E questa diventa così il supporto dei predicati. Ma così facendo anche il supporto è

scisso, astratto da ciò che dovrebbe supportare. L’idea non è in grado di darsi la realtà,

finisce solo per darsi una volgare empiria. Hegel vorrebbe spiegare la realtà e i dati che la

compongono riconducendo le loro ragion d’essere ad un processo che parte sempre da

un’origine e che ad essa ricondurrebbe nell’analisi del loro sviluppo, insistendo sul

carattere necessario della derivazione dello sviluppo, sotto il rispetto del contenuto

determinato, concreto. L’essere predicato si spiegherebbe sempre a partire dal soggetto.

Ma Marx rifiuta questa formulazione di giudizio che per Hegel era produttrice effettiva dei

enti reali determinati, e il rifiuto è formulato in base alla convinzione che i due elementi

del giudizio rimangono irrelati. Nello specifico, Marx prende ad esempio il passaggio della

famiglia e della società civile a Stato politico , passaggio non derivato dall’essenza

specifica della famiglia e dall’essenza specifica dello Stato, ma dall’universale rapporto

relazionale di necessità e libertà78

. Ma un tale rapporto è del tutto estraneo alle strutture

peculiari della famiglia e della società civile. Per questo, il filosofo di Treviri può

concludere che “Hegel fa dappertutto dell’Idea il soggetto e del soggetto propriamente

detto, reale, fa il predicato; ma lo sviluppo procede sempre dalla parte del predicato”79

. La

forma della deduzione che è errata in sé, porta inevitabilmente ad una errata comprensione

del contenuto da dedurre, che in questo caso è il mondo empirico. Sappiamo che Hegel

rende soggetti la realtà astratta, la necessità e la sostanzialità, cioè tre categorie logiche80

,

lasciando indipendenti i predicati per trasformarli, in guisa mistica, nei loro soggetti. In

verità erano, secondo Marx, i soggetti da concepirsi come indipendenti81

.

77 Cfr. George F. W. Hegel, Lineamenti della filosofia del diritto, Laterza, Bari 1954, pag. 219

78 Cfr. Meoc, Op. cit. , pag. 11

79 Idem

80 Ibidem, pag. 18

81 Ibidem, pag. 26

42

Per questo Marx parla di un inevitabile rovesciamento della speculazione in empiria,

riferendosi alla necessità con cui il processo ideale interpola gli elementi dell’esperienza, e

di rovesciamento dell’ empiria in speculazione, del dato empirico che viene elevato a

risultato speculativo. La nuova filosofia deve quindi essere in grado di partire dal reale

soggetto e considerare il suo oggettivarsi. L’idea non è in grado di darsi la realtà, e

l’idealismo finisce per darsi una volgare empiria. Di contro, bisogna ripartire dalla logica

della cosa, concependo la logica specifica dell’oggetto specifico. Emerge dunque con

chiarezza da questo ampio quadro che abbiamo fornito che compito della filosofia è pur

sempre quello di elaborare una logica “cioè di uno specifico apporto filosofico, di una

<spiegazione> e <comprensione> della realtà. Il reale non è privo di in senso, di un

significato, di una sua <legge>, di una sua <essenza> che si tratta di intendere

filosoficamente; e se Hegel ha torto non è tanto perché dà al reale empirico un senso, un

significato, quanto perché il senso che egli conferisce al reale non è conforme al reale, non

è suo proprio […] ma gli viene sovrapposto dall’esterno e gli risulta trascendente”82

.

La dialettica marxiana poggia qui integralmente sulla distinzione di soggetto e predicato.

Marx ha detto che il soggetto, o sostanza, è l’esistente determinato e ad esso devono essere

ricondotti i predicati e tutte le determinazioni. Il soggetto a cui Marx qui guarda è l’uomo,

ossia il reale autore del mondo storico-sociale. Tutto ciò che esiste, sia esso lo Stato, la

società civile o la famiglia ecc, è solo per mezzo dell’uomo, che è ciò che determina, ciò

che condiziona, ciò che realizza.

Quando qui Marx parla dell’uomo non parla dell’individuo umano, bensì dell’uomo preso

come genere. E l’uomo va indagato nel suo processo di oggettivazione, partendo dal reale

soggetto empirico per analizzarne il divenire inteso come sviluppo intrinseco delle

determinazioni contenute nel suo esser sostrato. È questo un ambito in cui vediamo

applicata quella logica specifica dell’oggetto specifico delineata come dialettica dello

sviluppo della sostanza, e che molto risente sia dell’impostazione aristotelica della

sostanza-sostrato e delle sue qualità83

sia dello schema hegeliano, qui rovesciato per ri-

acquisire ciò che Hegel non riesce ad afferrare: l’empiria.

La distinzione tra il sostrato e le determinazioni che ad esso ineriscono apre al superamento

dell’inversione di soggetto e predicato e al recupero del dato empirico reale: di fatto o il

sostrato è un ente reale e il pensiero ne è una determinazione, oppure a partire da

82 Cfr. Mario dal Pra, Op. cit., pag. 73

83 Ibidem, pag. 82 e ssg.

43

determinazioni astratte si costruisce un sostrato e i reali soggetti vengono declassati a mere

determinazioni.

Questo chiaro richiamo ad Aristotele ha portato Galvano della Volpe a sostenere che

l’aristotelismo di Marx è riconducibile “alla critica aristotelica della platonica

classificazione aprioristica dei generi empirici”84

. Anche le analisi di Dal Pra convergono

sostanzialmente su questo punto:

“La possibilità di configurare una realtà ideale deriva infatti, anche a giudizio di Marx

come a giudizio di Aristotele, da quel procedimento di astrazione per cui le determinazioni

di concrete sostanze non vengono considerate come attributi delle sostanze cui ineriscono,

ma vengono rese indipendenti dal rispettivo sostrato e considerare per se stesse; dando a

questa operazione del pensiero una portata reale, si finisce per ritenere che quella

indipendenza dal sostrato che una determinazione acquista soltanto perché il pensiero la

considera isolatamente, le compete anche sul terreno reale. Così, per esempio, rileva Marx,

la soggettività è una determinazione del soggetto e la personalità è una determinazione

della persona; ciò significa che la soggettività, anche se può essere considerata per se

stessa in relazione al carattere di un soggetto concreto esistente, non può esistere da sola

indipendentemente da quel soggetto di cui è appunto una determinazione. Ora Hegel,

invece di concepire le determinazioni come predicati dei loro soggetti, fa indipendenti i

predicati e li lascia tramutarsi, in guisa mistica, in soggetti”85

. Alla radice è sempre

l’attribuzione di preminenza reale al pensiero, che gabella i predicati come indipendenti

rispetto al proprio soggetto, lasciandoli tramutare in soggetti reali, e che trasforma la logica

in una scienza di astrazioni arbitrarie e non oggettive. Si tratta quindi di un problema

cardine, sul quale Marx dovrà attardarsi anche in seguito. Non bisogna dimenticare che lo

sforzo qui attuato di riconfigurazione del problema risponde ad interessi e motivazioni che

vanno ben oltre la pura teoria, come testimoniano i passi dell’opera sopra riportati.

Con l’ascesa al trono di Federico Gugliemo IV, tra le file dell’intellighenzia progressista

tedesca si era diffusa la speranza in una nuova epoca. Finalmente, ci si augurava, il re

avrebbe concesso quelle tanto agognate libertà politiche (come il costituzionalismo, la

libertà di stampa, la riduzione della censura ecc.) che in Francia erano già legalizzate da

tempo. Inoltre tra i vasti strati della borghesia liberale, ceto sociale che si andava

affermando in quelli anni soprattutto in territorio renano grazie alla diffusione del modello

84 Cfr. Galvano della Volpe, Per una metodologia materialistica della economia e delle discipline morali in

genere, in Rousseau e Marx, Editori Riuniti, Roma 1957, V edizione 1997, pag. 103-10

85 Cfr. Mario dal Pra, op. cit., pag. 49, corsivi miei

44

industriale e commerciale importato dall’Inghilterra, si sperava e in un riconoscimento

politico da parte della corona e in un alleggerimento della burocrazia statale che tanto

minacciava la libertà d’impresa.

I neohegeliani avevano visto il nuovo monarca come colui il quale avrebbe compiuto i

primi e significativi passi verso la trasformazione della Prussia in uno Stato razionale. Uno

dei più eminenti esponenti del movimento, Bruno Bauer, saluta l’incoronazione con parole

di encomio: “ Un alba di speranza si riflette su tutti i volti”, “ la primavera ringiovanisce

tutti i cuori”86

. Le speranze vennero ben presto deluse. Nel campo dell’istruzione

universitaria, dopo la morte del ministro dell’istruzione Altenstein87

, lungimirante politico

che aveva favorito l’insediamento dei giovani hegeliani nella facoltà di Berlino, che

divenne baluardo del movimento progressista tedesco non solo in campo filosofico,

Federico Guglielmo IV nomina ministro del culto Eichhorn, compiendo a parer loro una

svolta decisamente reazionaria. Il re in pochi mesi affidò a molti teorici antihegeliani

prestigiose cattedre: si pensi alla successione dell’illustre discepolo di Hegel Gans,

sostituito dal giurista del movimento romantico della Scuola storica Stahl. Ma soprattutto

si pensi all’assegnazione della cattedra al vecchio Schelling. Il re credeva opportuno

rimuovere dai punti nevralgici dell'istruzione tutti gli hegeliani. Venne inoltre imposta una

rigidissima censura su tutte le pubblicazioni e la persecuzione dei dissidenti crebbe in

maniera esponenziale. L’acme fu raggiunto con la destituzione dal ruolo di insegnate di

Bruno Bauer nel 1842. Soprattutto a Berlino divenne complesso per i giovani che si

professavano o che almeno simpatizzavano per l’hegelismo concludere il corso di studi88

.

E’ in un simile contesto che nacquero le prime significative frizioni tra le diverse tendenze

dell’hegelismo89

. Frizioni che si trasformavano in aperte e complete rotture quando si

passava dal piano teorico a quello pratico-politico90

.

86 Cfr. Michael Löwy, op. cit. , pag. 50

87 Karl Freiherr vom Stein zum Altenstein (1770-1840), dal 1817 al 1838 ricoprì la carica di ministro

dell’istruzione nel governo prussiano

88 Lo stesso Marx fu costretto a presentare la sua tesi di laurea a Jena

89 Che non a caso Strauss nel suo Streitschriften zur Verteidigung meiner Schrift uber das Leben Jesu aveva

denotato, con un linguaggio di chiara matrice politica, rispettivamente come destra, centro e sinistra.

90 A tal proposito Löwith afferma: "La divisione della scuola hegeliana in hegeliani di destra e di sinistra fu

di fatto resa possibile dalla fondamentale equivocità dei <superamenti> dialettici di Hegel, che potevano

essere interpretati tanto in un senso conservatore quanto in un senso rivoluzionario". Cfr. Karl Löwith, Da

Hegel a Nietzsche, La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX, Einaudi, Torino 2000, pag. 114

45

Le tendenze di destra " volevano conservare, con l'idea dell'unità della natura divina ed

umana, tutta quanta la storia evangelica", il centro soltanto una parte, la sinistra finiva per

sostenere che "partendo dall'Idea, le notizie storiche dei Vangeli non si potevano

mantenere né in tutto né in parte"91

. Nel panorama universitario, ricopriva una posizione

considerevole una libera associazione di giovani dottori, denominata Doktorclub, animata

da filosofi del calibro di Bauer, Koppen, Rutenberg e Marx. Il Doktorclub, ispirandosi agli

elaborati di Heine, faceva propria l'eredità hegeliana attraverso una commistione tra

svariati elementi della filosofia classica tedesca e i principi della rivoluzione francese,

ergendo la ragione a facoltà normativa verso cui la realtà deve per forza di cose adeguarsi.

La filosofia doveva in questo senso ricoprire il ruolo di critica delle condizioni politiche

esistenti. Una simile impostazione non poteva non sfociare in un vivo interesse per la

politica. Da ciò si spiega il perché essi abbiano ricondotto la questione del contrasto tra

filosofia e religione all'analisi dello Stato, e non l'abbiano affrontata su di un piano

puramente teoretico. Da Hegel appresero che la filosofia era destinata a " comprendere ciò

che è [...] perché ciò che è, è la ragione"92

, e che alla fine del percorso filosofico il

risultato da raggiungere era il mostrare come stesso Stato fosse " immagine e realtà della

ragione"93

. Un simile risultato finiva immediatamente per generare un nuovo compito.

In ultima analisi, il problema che ora la filosofia doveva risolvere era quello di individuare

cosa fosse razionale nel reale, partendo dall'analisi della realtà pensata come razionale.

In altri termini, bisognava comprendere quali elementi presenti nella realtà dell'epoca

fossero conformi allo sviluppo della razionalità dello Spirito.

Come abbiamo detto, Hegel afferma che ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è

reale94

. Se ci si attesta sulla prima parte dell'enunciato si finisce inevitabilmente nel

giustificazionismo storico, e in un atteggiamento conservatore. Se invece si fa leva sulla

seconda parte, allora si cerca di superare ciò che ormai è totalmente irrazionale nello

sviluppo dello spirito.

Per Marx, solo con la riformulazione dell’impostazione dettata da Hegel si può arrivare a

cogliere il reale nella sua vera forma. A ben vedere, si cadrebbe in un pernicioso errore se

identificassimo la consequenziale volontà di cambiamento della realtà che scaturisce da

quanto detto, con temi politici presenti nel Marx maturo. I termini in cui la questione è

91 Cfr. Karl Löwith, op. cit. , pag. 89-90

92 Cfr. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, op. cit. § 15

93 Cfr. Ivi, § 360

94 Cfr. Ivi, § 14

46

posta, lo ripetiamo ancora una volta, è legata all’atmosfera culturale hegeliana, a cui

rimane legato anche durante la stesura della Sacra famiglia, ove torna sul difetto della

nozione di idea così come concepita dall’idealismo, e sul carattere di separatezza che non

riesce a dar conto della effettiva ricchezza delle determinazioni. In tal senso è celebre il

passo nel quale viene mostrato il dispositivo speculativo hegeliano: “Se io, dalle mele,

pere, fragole, mandorle - reali - mi formo la rappresentazione generale «frutto», se vado

oltre e immagino che il «frutto» - la mia rappresentazione astratta, ricavata dalle frutta reali

- sia un'essenza esistente fuori di me, sia anzi l'essenza vera della pera, della mela, ecc., io

dichiaro - con espressione speculativa - che «il frutto» è la «sostanza» della pera, della

mela, della mandorla ecc. Io dico quindi che per la pera non è essenziale essere pera, che

per la mela non è essenziale essere mela. L'essenziale, in queste cose, non sarebbe la loro

esistenza reale, sensibilmente intuibile, ma l'essenza che io ho astratto da esse e ad esse ho

attribuito. [...] [L'hegeliano] vede nella mela la stessa cosa che nella pera, e nella pera la

stessa cosa che nella mandorla, cioè «il frutto». Le particolari frutta reali non valgono piú

che come frutta parventi, la cui vera essenza è «la sostanza». [...] Questo avviene, risponde

il filosofo speculativo, perché «il frutto» non è un'essenza morta, indistinta, immobile, ma

un'essenza vivente, auto-distinguentesi, in moto […]. Le diverse frutta profane sono

estrinsecazioni vitali diverse dell'«unico frutto», sono cristallizzazioni che «il frutto» stesso

forma. Il filosofo […] ha compiuto un miracolo, ha prodotto dall'essere intellettuale irreale

«il frutto», gli esseri naturali reali, la mela, la pera, ecc.; cioè, dal suo proprio intelletto

astratto - che egli si rappresenta come un soggetto assoluto esistente fuori di sé – […] ha

creato queste frutta”95

. A questa problematica descrizione che potremmo definire di

creazione dell’idea, si affianca il processo di ritorno al reale. Come si “ritorna”

dall’astrazione alla molteplicità del concreto? Non che una simile operazione sia di per sé

impossibile. Ma la forma dialettica utilizzata impedisce questo atto di ritorno, finendo per

considerare il molteplice come ambito del darsi, del porsi del generale come particolare,

dunque come atto di auto-differenziazione del generale nel particolare. Così, non solo

l’astratto rimane tale, ma anche il particolare reale finisce per acquisire un carattere

distorto, “un significato soprannaturale”96

. Se la nascita dell’idea hegeliana viene spiegata

con un richiamo al processo dell’astrazione, la successiva attribuzione di realtà alla stessa

astrazione la si ottiene ricorrendo all’isolamento della determinazione e del predicato dal

sostrato a cui inerisce. Mentre nella Critica Marx aveva considerato l’astrazione come

95 Cfr. Meoc, Karl Marx, La sacra famiglia, Vol. IV, pagg. 62-3-4

96 Idem

47

l’operazione del distacco del predicato dal soggetto che presuppone l’esistenza stessa del

predicato, qui egli fa appello più espressamente ad un processo di formazione dell’idea

generale ricavabile dalle realtà concrete particolari. Ma questo non impedirebbe ad Hegel,

“malgrado il suo peccato originale speculativo”, di offrire entro l’esposizione speculativa

“una esposizione reale”97

che coglie la cosa stessa così come essa si presenta nel concreto,

come nel caso della descrizione dei rapporti umani. La nuova dialettica ha il compito di

riprendere il tema dell’alienazione e dell’emancipazione dell’uomo sfruttando la possibilità

teorica dischiusa da Proudhon98

di applicare la dialettica rovesciata in economia politica, e

mettendola al servizio di una nuova figura della storia: il proletariato. Si tratta di sapere

“che cosa esso è e che cosa esso sarà costretto storicamente a fare in conformità a questo

suo essere”99

. L’affermazione che abbiamo riportato, forse meno celebre di altre coniate in

questo periodo giovanile, mostra chiaramente come Marx ancora non avesse una reale

conoscenza di ciò che denotava con il termine proletariato, e che il modello analitico a cui

si richiama ha un robusto connotato ontologico, tramite cui il proletariato è già pre-

investigato e pre-definito come un soggetto il cui concetto va 1etto in conformità alla

propria essenza ipostatitizzata, che in sé già ingloba le determinazioni eterologiche dei

predicati di attribuzione, includendo così di fatto il concreto-storico che esso è chiamato a

realizzare. E la teoria, se vuole essere all’altezza della storia, deve riuscire a rendere

pensabile ed intelligibile una realtà che si è compreso essere stata mistificata da un’analisi

speculativa. Siamo così risospinti nuovamente sul terreno della logica.

II Una approssimazione alla dialettica: opposizione e contraddizione

Dobbiamo quindi orientare la nostra indagine sul sentiero della dialettica, delucidandone lo

statuto teorico. Ma partiamo da un assunto fondamentale, formulato con estrema chiarezza

da Mario dal Pra: “Si può certo riconoscere che lo sviluppo del pensiero di Marx non è al

97 Ibidem, pag. 215

98 Marx riconosce a Proudhon grandi meriti. Tra questi, l’aver preso sul serio i rapporti economici

descrivendoli e rappresentandoli così come essi stessi sono, Cfr. Ibidem pag. 34. Ben presto però, Marx

cambierà radicalmente idea. Sul rapporto tra Marx e Proudhon cfr. Henri Arvon, L'anarchismo, Casa editrice

D'Anna, Messina-Firenze 1973; Hans Magnus Enzensberger, Colloqui con Marx ed Engels, Einaudi, Torino

1977

99 Ibidem, pag. 38

48

riguardo rigorosamente monolitico ed univoco; e se la dialettica è sempre presente nelle

sue pagine, dalla Tesi di dottorato al Capitale, non è ovunque presente allo stesso modo e

con una formulazione rigorosamente identica”100

. Potremmo aggiungere a questa lucida

considerazione che la stessa intensità dell’uso della dialettica è mutevole: assai evidente

nei Manoscritti del ‘44 e nella Critica della filosofia hegeliana, quasi assente nei lavori

successivi fino alla Miseria della filosofia; tornata in uso nell’introduzione a Per la critica

dell’economia politica del 1857, e fortemente presente nei Grundrisse. Solo chiarendone

però la portata e lo statuto teorico, possiamo comprendere cosa Marx intenda per dialettica

e che cosa significa propriamente accettare una logica dialettica101

. La difficoltà principale

rimane quella della comprensione della sua nozione essenziale, cioè quella di

contraddizione. Massimo Mugnai ha pensato la contraddizione come una effettiva

contraddizione logica! E’ noto infatti che secondo la logicistica l’uso logico dialettico della

contraddizione denota un atteggiamento antiscientifico, in quanto, secondo la celebre

definizione dello Pseudo-Scoto, a contradictoriis sequitur quodlibet. D’altronde, lo stesso

Karl Popper, uno dei più grandi detrattori dell’uso logico della dialettica, ha chiamato in

causa proprio il principio pseudo-scotiano per bollare il marxismo come una pseudo-

scienza102

.

Anche tra le file del marxismo molti autori hanno respinto, con finalità eterogenee e per

certi versi extra-filosofiche, l’uso della contraddizione intesa in termini strettamente logici.

Tra questi, Lucio Colletti, richiamandosi apertamente alla distinzione kantiana di

opposizione reale e opposizione logica o contraddittoria, ha posto l’accento sul fatto che le

scienze procederebbero non per contraddizioni dialettiche, ma per opposizioni reali:

“Poiché ciò che i Diamatiker presentavano e presentano come contraddizioni nella realtà,

sono in effetti contrarietà cioè opposizioni reali e, dunque, non-contraddizioni, il marxismo

può e deve continuare a parlare di conflitti e di opposizioni oggettive nella realtà, ma senza

che per questo esso debba rivendicare a sé (e, tanto meno, cercare di imporre alla scienza)

una propria logica speciale (la dialettica) a differenza e contro la logica seguita dalle

100 Cfr. Mario Dal Pra, La dialettica in Marx: dagli scritti giovanili all'Introduzione alla critica

dell'economia politica, Laterza Bari,1965, pag. IX

101 Come ha fatto Massimo Mugnai; Cfr. Massimo Mugnai, Il mondo rovesciato: contraddizione e valore in

Marx, Il Mulino, Bologna, 1984, pag. 67

102 Cfr. Karl Popper, Congetture e confutazioni: lo sviluppo della conoscenza scientifica, Il mulino, Bologna

1972, pag. 539

49

scienze che esistono”103

. La contraddizione è solo ed esclusivamente logica, del pensiero.

E quindi parlare di una realtà autocontraddittoria sarebbe un non-senso104

. La

contraddizione non riguarderebbe la natura né i conflitti nella società. Dunque nessun

processo reale avrebbe un carattere contraddittorio. La negazione, l’annullamento insito

nella opposizione reale sarebbe di un genere affatto diverso da quello della contraddizione,

poiché gli opposti reali sarebbero entrambi positivi-reali e non poli negativi105

.

Sarà bene individuare i luoghi dove Marx parla di opposizione, per comprenderne il

significato. Partiremo dalla Critica della filosofia hegeliana del diritto, dove Marx procede

alla distinzione di tre differenti concetti di opposizione: una opposizione che si verifica

all’interno di una data essenza; una per astrazione e conseguente ipostatizzazione; una in

cui sono in gioco estremi reali106

. Nel primo caso trattasi di una opposizione tra maschio e

femmina in quanto termini interni allo stesso genere, alla stessa essenza, e di questa

essenza sono determinazioni differenziate. Nel secondo caso e nel terzo caso, quelli delle

opposizioni di estremi reali, abbiamo di fronte due enti con una differenza di esistenza

(polo e non-polo) colti rispettivamente in astratto e in concreto.

Mentre nel primo caso entrambi i termini erano attivi ed equivalenti per grado di forza

nell’opposizione, nel terzo,e di conseguenza anche nel secondo, uno dei due termini

prevarica, e sotto due rispetti: dei due solo uno dei termini può essere posto come il cardine

dell’opposizione, di cui l’altro è mera opposizione; uno dei due termini riesce a sopraffare

l’altro.

103 Cfr. Lucio Colletti, Intervista politico-filosofica, Laterza, Roma-Bari 1974, pag. 94

104 Cfr. Lucio Colletti, Tramonto dell’ideologia, Laterza, Roma-Bari 1980, pag. 89

105 Colletti ha insistito a lungo sul fatto che vi sarebbero due Marx, quello della prefazione al Capitale, che si

presenta come il continuatore dell’economia politica come scienza inaugurata da Smith e Ricardo, e un altro,

critico di questa scienza, che intreccia il discorso dei due autori sopra menzionati con una teoria

sull’alienazione dell’uomo. Cfr. Lucio Colletti, Intervista politico-filosofica Op. Cit. pag. 100. L’idea di un

Marx sdoppiato ha affascinato non pochi autori, e, per così dire, la doppiezza ha riguardato ambiti molti

diversi. Ad esempio Guido Carandini ha insistito su questo carattere tentando di separare un Marx scienziato

da uno utopista. Cfr. Guido Carandini, Un altro Marx: lo scienziato liberato dall’utopia, Laterza, Roma,

2006

106 “Per ciò che concerne il primo punto, polo nord e polo sud sono entrambi dei poli; la loro essenza è

identica […]. Nord e sud sono opposte determinazioni di un’unica essenza: la differenza di un’essenza al suo

più alto punto di sviluppo. Sono l’essenza differenziata. Sono ciò che sono soltanto come una determinazione

differenziata, e cioè come questa differenziata determinazione dell’essenza. Veri reali estremi sarebbero il

polo e il non-polo […]. La differenza è qui una differenza dell’esistenza; là una differenza dell’essenza, di

due essenze”). Cfr. Meoc, Dalla critica della filosofia hegeliana del diritto, vol. III, pag. 100

50

Dunque solo nel primo caso abbiamo vera opposizione, perché solo in esso abbiamo

correlazione all’interno di una medesima essenza, e questo porta ad una non

subordinazione dei due termini.

Ecco dunque mostrata la differenza con la Realrepugnanz di Kant. Infatti per il filosofo di

Königsberg le forze che si oppongono all’interno della Realrepugnanz sono entrambe reali

e salde all’interno di un genere.

Ma soprattutto, queste pagine ci aiutano a comprendere un carattere del lavoro intellettuale

di Marx da cui non si può prescindere: quello del conflitto. Marx sta pensando ad una

opposizione reale, che vada oltre le soluzioni elaborate da Hegel. Infatti il filosofo aveva

attribuito all’opposizione tra estremi reali delle proprietà relative all’opposizione interna ad

un genere. E questo porta, secondo Marx, ad una mistificazione del carattere essenziale

della lotta reale, una lotta in cui i due termini sono coinvolti in un conflitto che può dirsi

reale perché entrambi i termini risoluti alla lotta rischiano di perire. Hegel invece aveva

voluto mantenere il conflitto dei termini solo all’interno di un medesimo genere, cosicché

il conflitto stesso possa essere mediato e risolto senza il decadere di uno dei due

contendenti. Sempre nella Critica della filosofia hegeliana del diritto Marx rivendica

l’esigenza di costruire una logica peculiare dell’oggetto che di volta in volta è sottoposto

all’analisi. Emerge in queste pagine la necessità di elaborare una logica, una struttura

razionale che rifletta e comprenda il movimento e lo sviluppo del fenomeno considerato,

definito da Marx logica della cosa107

, cioè come una costruzione mentale svolta secondo la

cosa stessa, in opposizione a quella cosa della logica, che coincide con la dialettica

hegeliana. Il pensiero deve regolarsi secondo la natura della cosa, comprenderne l’attività

secondo la sua specifica natura.

Marx non si appaga di rilevare l’esistenza di contraddizioni nella realtà: egli vuole

comprenderne la genesi e la necessità e per questo vuole fondare una “logica specifica

dell’oggetto specifico”108

. Solo nella comprensione dell’oggetto e delle sue proprietà

empiriche si può comprendere lo sviluppo delle relazioni di questo oggetto109

. Per farlo

però ha bisogno di pensare alla contraddizione logica.

L’impostazione di Colletti sembra quindi non essere del tutto convincente.

Sotto un determinato aspetto, la posizioni di Mugnai sembra più probante. E’ noto che nel

suo Il mondo rovesciato, ha insistito particolarmente su una visione della dialettica di tipo

107 Ibidel, pag. 19

108 Ibidem, pag. 103

109 Ibidem, pag. 101 e ss.

51

processuale, costantemente in divenire, la cui molla è il conflitto. A tal proposito, un passo

dei Manoscritti del ‘44 sembrano venire in aiuto per comprendere il senso del concetto di

opposizione: “Il rapporto della proprietà privata è lavoro, capitale e nesso di entrambi. Il

movimento che hanno da percorrere questi elementi è: Primieramente – l’unità immediata

oppure mediata dei due. Capitale e lavoro sono da prima ancora uniti: poi invero sono

separati e resi estranei, ma reciprocamente si sostengono e sollecitano come condizioni

positive.

[In secondo luogo -] Opposizione di entrambi: essi si escludono vicendevolmente:

l’operaio conosce il capitalista come la propria inesistenza e viceversa. Ognuno cerca di

togliere all’altro la sua esistenza.

[In terzo luogo - ] Opposizione di ognuno contro se stesso. Capitale = lavoro accumulato =

lavoro. Come tale, si scompone in sé e nei suoi interessi, come questi, di nuovo, in

interessi e profitto. Sacrificio continuo del capitalista […]. Lavoro decomposto in sé e nel

salario. Collisione di reciproche opposizioni”110

.

Certo è che l’esempio portato da Mugnai è davvero paradigmatico: qui possiamo

constatare davvero cosa voglia dire accostarsi all’economia politica con l’armamentario

filosofico. Molto spesso si è guardato a questi Manoscritti come al primo grande

laboratorio del Capitale. Categorie e concetti presenti sono sembrati, a prima vista, gli

stessi: proprietà privata, salario, operaio, capitale, merce, denaro ecc. Ma quello che forse

rende ancora più suggestiva la lettura di queste pagine è l’uso esplicito, quasi provocatorio,

della terminologia filosofica nell’approccio al mondo dell’economia. Per la prima volta

Marx studia l’economia politica e i suoi autori classici, entrando in un campo a lui del tutto

estraneo. La filosofia qui non fa semplicemente da filtro. Essa è invece lo strumento con il

quale egli ingaggia questa battaglia.111

E la battaglia nasce dalla constatazione che all’analisi condotta nel campo dell’economia

nei termini posti dagli autori dell’economia politica sfugga da sempre un presupposto,

oseremmo dire il presupposto, il fondamento (tanto per rimanere in termini filosofici). La

presa d’atto dell’esistenza di un campo e di una modalità specifica di analizzarlo passano

entrambe sotto un terzo aspetto, quello della critica non tanto dell’esistenza quanto del

modo con il quale il primo è investigato. E’ in fondo la genialità di Marx. D’altra parte egli

110 Ibidem, pag. 316

111 Ha osservato con lungimiranza Louis Althusser che questo Marx, “prima della rottura, e per consumarla,

avesse sentito il bisogno di dare alla filosofia tutte le sue possibilità, l’ultima possibilità” cfr. Louis Althusser,

Op. cit. pag. 137

52

ha una sua eredità intellettuale, meglio ancora un suo bagaglio culturale, e con esso tenta

un’investigazione, destinata al naufragio. Detto in altri termini, quando egli scopre questo

nuovo campo, quello economico, egli non rompe con la propria impostazione di pensiero

né con la stessa problematica di fondo che la caratterizzava bensì tenta una sorta di

traslitterazione di questa nella nuova.

Dicevamo poc’anzi che l’economia politica avrebbe omesso dalle proprie analisi un tema

fondamentale, e che il suo stesso esistere può considerarsi come la storia di un’ assenza. E’

forse il lavoro alienato ciò che manca e che porta, con la propria privazione, a tutti i

fraintendimenti della teoria economica? Con l’individuazione del carattere obnubilato

dall’economia politica si potrebbe ricostruire la storia dell’uomo, lo scandalo della

produzione capitalistica che da un lato genera ricchezza e dall’altro consegna i produttori

reali alla pauperizzazione. Posto l’uno come la negazione dell’altro e per questo in una

correlazione immediata e mediata, capitale e lavoro in un primo tempo sono da

considerarsi uniti e opposti, e successivamente separati, come la storia insegna. Ma in

questa loro scissione essi rimangono altresì relati nell’unica possibile relazione che si da in

una antinomia: quella dell’opposizione reciproca. La posta in gioco è dunque la loro stessa

esistenza, e in questa opposizione il lavoro finisce per scomporsi in sé e nel salario, mentre

il capitale, almeno non esplicitamente, rimane indiviso. Forse Marx crede che la

scomposizione sia la conseguenza in senso temporale, e la condizione in senso logico della

subalternità del lavoro al capitale. Ed è per questo che conclude il passo con la collisione di

opposizioni reciproche.

Sinora il conflitto tra capitale e lavoro è designato dal carattere di opposizione (Gegensatz).

Non v’è ancora alcuna menzione della contraddizione (Widerspruch). Ma non dobbiamo

arrivare a conclusioni affrettate. Basta sfogliare le pagine dei Manoscritti per trovare un

passaggio in cui il Widerspruch è presente. Si legge: “ Ma l’opposizione fra non-proprietà

e proprietà è un’opposizione ancora indifferente, non còlta nella sua relazione attiva, nel

suo rapporto interno, e non ancora come contraddizione, finchè non è concepita come

opposizione di lavoro e capitale. Anche senza il progredito movimento della proprietà

privata, nell’antica Roma, nella Turchia ecc., questa opposizione può esprimersi nella sua

prima forma: e così essa non appare ancora come posta dalla proprietà privata stessa. Ma il

lavoro, l’essenza soggettiva della proprietà privata, in quanto esclusione della proprietà, e

il capitale, il lavoro oggettivato, in quanto esclusione del lavoro, sono la proprietà privata

come sviluppato rapporto di contraddizione e però rapporto energico, motivo di

53

risoluzione”112

. Ora è chiaro che solo nelle formazioni sociali in cui sussiste l’opposizione

tra capitale e lavoro, il conflitto è da interpretarsi nei termini di una vera e propria

contraddizione. Essi infatti mostrano l’intimo nesso che li unisce, quella relazione attiva in

rapporto con il proprio interno che li pone in un reciproco contrasto in cui i termini si

respingono a vicenda pur sussistendo solo in quel legame, contraddittorio, senza il quale

essi non sarebbero ciò che sono. Possiamo qui fissare con chiarezza due concetti: in primo

luogo Marx utilizza con irrefutabile chiarezza la nozione di contraddizione di Hegel; in

secondo luogo, la nozione di opposizione utilizzata nei Manoscritti e nella Critica della

filosofia hegeliana del diritto indica un tipo di conflitto che non sviluppa ancora una

contraddizione oppure un’opposizione che non conoscerà mai uno sviluppo in tal senso.

A questo punto non possiamo eludere la domanda circa l’origine degli opposti, e a questa

far seguire una riflessione circa l’uso di queste nozioni così come le abbiamo ora delineate.

Dobbiamo cominciare dalle nozioni presenti nei Manoscritti del ‘44, ove è scritto con

chiarezza che proprio in seguito alla separazione dell’operaio dalla natura, espropriata dai

capitalisti e dai proprietari fondiari, l’operaio per sopravvivere deve lavorare. L’operaio,

giuridicamente libero, è costretto economicamente a vendere se stesso113

al capitalista.

L’operaio diventa merce, “la più miserabile merce”, “ente disumanato sia spiritualmente

che fisicamente”, “ la merce auto-cosciente e automatica, […] la merce umana ”114

. Il

termine lavoro è utilizzato in due accezioni: una con la quale indica il lavoro in una

situazione sociale fondata sulla proprietà privata, e qui affianca alla parola lavoro il

termine estraniato; in una seconda accezione Marx parla di un lavoro consapevole, come

una attività libera: è il lavoro in una società che ha abolito la proprietà privata115

.

Ma a differenza del lavoro estraniato teorizzato negli Estratti da James Mill, Marx in

questo lavoro concepisce il lavoro estraniato come lavoro salariato. Parlando del capitale si

chiede innanzitutto, proprio come prima domanda: su che cosa si fonda il capitale e come

si diventa proprietari di capitali produttivi? Marx qui si accontenta della risposta fornitagli

da Say e cioè: per eredità.

112 Cfr. Meoc, Op. Cit., pag. 320-1

113 Qui Marx non ha capito ancora che vende la forza-lavoro. E di certo non è una differenza che sul piano

teoretico conti poco.

114 Ibidem, pag. 296

115 “attività completamente estranea a se stessa, all’uomo e alla natura, e perciò alla coscienza e alle

manifestazioni vitali” Cfr. Ibidem, pag. 301

54

Dopo questa breve digressione, torniamo a chiederci a quale delle tre opposizioni indicate

nella Critica alla filosofia del diritto di Hegel si fa riferimento? Di certo alla seconda e

soprattutto alla terza. Avevamo visto inoltre che bisognava studiare un approccio in grado

di tenere conto dell’oggettualità e delle relazioni antagonistiche in cui un ente è inserito.

Questa concezione però, già a partire dall’ Ideologia tedesca, sembra modificarsi. Non

sembra però pensarla così Mugnai, il quale ritiene che proprio in quest’opera Marx elabori

uno “schema generale di sviluppo della società che mantiene uno stretto rapporto con idee

e concezioni caratteristiche della dialettica hegeliana. E per di più si tratta di uno schema

che rimarrà invariato, in alcuni tratti essenziali, fin nelle opere della maturità”116

.Questo

non sembra essere del tutto esatto. Ma analizziamo le cose in modo preciso.

I temi centrati da Mugnai in questo paragrafo sono: il rapporto di questo schema storico,

rapporto quasi derivato e comunque similare, con la concezione dialettica hegeliana; lo

schema stesso scandito da fatti storici individuati da Marx. Partiamo da quest’ultimo. Qui

il richiamo è chiaramente al rapporto di concatenazione tra i vari modi di produzione

presentati nell’ Ideologia tedesca. Sappiamo già che il manoscritto venne riordinato in un

determinato modo da Rjazanov117

per finalità politiche precise. E la prima parte, quella che

parlava di Feuerbach e alla quale seguivano i risultati raggiunti da Marx nella sua

investigazione, in realtà era l’ultima, e tra l’altro, a detta dello stesso Engels, la critica al

filosofi tedesco rimase incompleta. Sarebbe semplicistico pensare che lo schema lì presente

sia rimasto identico nell’evoluzione del pensiero di Marx, e questo per una serie di ragioni

che affronterò, facendo parlare lo stesso autore. Ma per capirne il cambiamento, dobbiamo

tornare alla prima osservazione di Mugnai, quello sullo schema generale di sviluppo della

società. In effetti e a ben vedere, Marx nell’Ideologia tedesca per descrivere i concetti di

processo e mutamento storico porta in causa il rapporto tra le forze produttive e mezzi di

relazione118

. Nello sviluppo delle forze produttive “si presenta uno stadio nel quale

vengono fatte sorgere forze produttive e mezzi di relazione che nelle situazioni esistenti

fanno solo del male”119

. La contraddizione di questo rapporto porta ad una fase di

116 Cfr. Massimo Mugnai, Op. Cit., pag. 87

117 Sui successivi approcci filologici all’ Ideologia tedesca cfr. Marcello Musto, Vicissitudini e nuovi studi

dell’Ideologia tedesca, in Critica Marxista, 6, 2004

118 Marx non utilizza ancora il termine rapporto di produzione

119 Cfr. Meoc, Ideologia Tedesca, vol. V, op. cit. , pag. 37

55

collisione che sfocia in una rivoluzione. Per questo, “tutte le collisioni della storia hanno la

loro origine nella contraddizione tra le forze produttive e la forma di relazioni”120

.

“Queste diverse condizioni, che appaiono dapprima come condizioni della manifestazione

personale e più tardi come delle catene per essa, formano in tutto lo sviluppo storico una

serie coerente di forme di relazioni, la cui connessione consiste in questo, che al posto

della forma di relazioni precedente, diventata una catena, ne viene sostituita una nuova,

corrispondente alle forze produttive più sviluppate e quindi al modo più progredito di

manifestazione personale degli individui, e questa forma à son tour diventa poi una catena

e quindi viene sostituita con un’altra. Poiché ad ogni stadio queste condizioni

corrispondono allo sviluppo contemporaneo delle forze produttive, la loro storia è altresì la

storia delle forze produttive che si sviluppano e che sono riprese ad ogni nuova

generazione, e pertanto è la storia dello sviluppo delle forze degli individui stessi”121

.

Per capire il passaggio di campo e metodologico, insomma la rottura consumata con

l’idealismo, in nome di un empirismo esasperato e a tratti riduzionista, possiamo partire da

un testo del 1847. A due anni dal “taglio” (che, lo ricordiamo, Althusser colloca nel 1845)

di fronte ad un problema apparentemente vecchio, afferma: “C’è da meravigliarsi forse se,

eliminando a poco a poco tutto ciò che costituisce l’individualità di una casa, facendo

astrazione dai materiali di cui essa si compone, dalla forma che la distingue, voi arrivate a

non avere più che un corpo; se facendo astrazione dai contorni di questo corpo, ben presto

non avrete più che uno spazio; e se facendo infine astrazione dalle dimensioni di questo

spazio, finirete per non avere più che la quantità in sé, la categoria logica? A forza di

astrarre in questo modo, da ogni soggetto, da tutti i pretesi accidenti, animati o inanimati,

uomini o cose, abbiamo certo ragione di dire che, in ultima astrazione, si arriva ad avere

come sostanza soltanto le categorie logiche. Così i metafisici, i quali, facendo queste

astrazioni, si immaginano di far dell’analisi, e che, a misura che si staccano sempre più

dagli oggetti, si immaginano di avvicinarsi a loro fino a penetrarli, questi metafisici hanno

a loro volta ragione di dire che le cose di quaggiù sono dei ricami, di cui le categorie

logiche formano l’ordito. Ecco ciò che distingue il filosofo dal cristiano. Il cristiano

conosce una sola incarnazione del Logos, a dispetto della logica; il filosofo non la finisce

più con le incarnazioni”122

. Qui non si fa più riferimento all’inversione soggetto-predicato.

Cosa è accaduto?

120 Ibidem , pag. 61

121 Ibidem, pag. 68

122 Cfr. Meoc, Op. cit., vol. VI pag. 170

56

Marx descrive un processo di astrazione errato, ma non lo fa più tenendo presente

l’inversione.

Critica in Proudhon il procedimento di astrazione con la quale ogni cosa viene ridotta a

categoria logica, depurando gli elementi costitutivi dell’individualità per creare una figura

astratta.

Marx è dell’avviso che mettendo insieme la quantità indeterminata che è un’astrazione,

con lo spazio che è un’altra astrazione, con una terza astrazione che è la corporeità e con

una quarta astrazione che è costituita dal concetto dei materiali di cui è fatta una casa, non

si ottenga affatto una casa reale nella quale abitare, ma soltanto una casa astratta, cioè

l’astrazione o il pensiero di una casa. L’astrazione, invece di raggiungere il reale per altra

via, riduce questo reale stesso a pura categoria logica. L’errata concezione del ruolo della

logica porta Proudhon ad avere una falsa rappresentazione delle categorie economiche. Ma

in quest’opera non si fa nemmeno più menzione non solo del cattivo uso della logica

dialettica hegeliana, ma nemmeno della prefigurazione hegeliana del processo del lavoro

come autoproduzione dell’uomo. Si è dunque passati da una concezione per la quale la

categoria hegeliana del negativo svolgeva un ruolo determinante, ad un’altra concezione

che individua negli intricati rapporti produttivi materiali il motore del reale. Da questa

scoperta fondamentale ogni aspetto analitico, sia esso in ambito logico, ontologico,

epistemologico ecc. , cambia radicalmente.

L’attenzione di Marx si è insomma spostata dal piano filosofico a quello economico-

storico, poiché Marx si accorge che “la storia non procede per categorie, la determinazione

della categoria non può farsi a priori, rispetto allo sviluppo storico, ma in sua funzione”123

124.

Le categorie economiche “non sono che le espressioni teoriche, le astrazioni dei rapporti

sociali di produzione”125

. L’astrazione non può essere arbitrariamente condotta come atto

di separazione dai rapporti materiali cui necessariamente corrispondono e di cui sono, in

ultima analisi, espressioni. E’ ciò che fa Proudhon nella sua opera. Solo questa è la vera

origine delle categorie economiche.

E queste hanno un carattere storico, dettato dallo sviluppo del rapporto tra forze produttive

e le forme sociali in cui esse sono inserite.

123 Cfr. Mario Dal Pra, Op. cit. , pag. 258

124 A tal proposito Cfr. Meoc, Vol. XXXVIII, Op. Cit., pag. 459, dove Marx definisce l’economia politica

come una scienza storica che comprende gli sviluppo economici.

125 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. VI, pag. 172-3

57

L’esigenza che ora si impone è quella di considerare le categorie economiche come

espressioni teoriche dei rapporti di produzione, di non conferir loro, in quanto formule,

portata reale e di muover piuttosto dal piano contenutistico, a differenza di ciò che faceva

Proudhon, che finiva così per trasfigurare il concreto in astratto. Ciò vuol dire non già che

non si possano ricavare categorie con uno spettro molto più ampio del singolo dato

empirico, ma che bisogna attenersi alla realtà, individuarne rapporti e nessi effettivi. Un

caso specifico in cui una categoria astratta, cioè mutuata e trasferita in maniera surrettizia

nell’indagine di un fatto, funge da spiegazione ad un fatto reale è quello dell’intervento del

libero arbitrio per la decisione del valore di scambio di una merce.

Qui si fa intervenire un fattore estrinseco a un fatto. Ma non bisogna nemmeno credere che

Marx rimanga un empirista ingenuo. Tutt’altro! Il dato materiale raccolto non va mai

assunto cosi come esso si presenta, ma va sempre indagato. Altro errore criticato da Marx è

quello di utilizzare la contraddizione come categoria, concependola al di fuori del piano

effettivo sociale che la genera, finendo così per fornire, ad un problema concepito

nell’analisi in modo astratto, una soluzione altrettanto astratta. Ma il ruolo dell’astrazione

non viene respinto in toto. Piuttosto l’autore distingue una astrazione che presume di valere

come principio costitutivo della realtà e un’altra che funge da strumento per la

sistemazione dei risultati scientifici della ricerca sulla realtà.

Inoltre è sintomatico l’allontanamento da Feurbach126

. Già a Ruge aveva confessato la sua

insoddisfazione per quella filosofia che “fa troppo riferimento alla natura e troppo poco

alla politica”, vedendo in quest’ultima “l’unica connessione mediante la quale la filosofia

possa diventare una verità”127

.

Ma nel passo della Miseria non si sta parlando di politica, bensì di filosofia. E di filosofia

nei rapporti con una logica. E allora, cosa è cambiato? Marx ha compreso che il problema

su cui faticosamente sta spendendo tutte le sue forze non è nemmeno pensabile con

categorie che gli sono estranee. V’è bisogno di un indagine nuova. E a questa indagine

Marx già pensa nelle Tesi su Feuerbach nel 1845, senza però formulare su quale aspetto di

una cosa bisognerà indagare. Ha solo il sentore che nel reale vi è un questione che sfugge,

e che non è stata ancora individuata. Sarà il lavoro di una vita. L’utilizzazione

dell’inversione di soggetto-oggetto avrebbe il carattere di mero succedaneo. Ma per un

126 Nell’ottobre del 1843 Marx scrisse a Feuerbach due epistole, nelle quali lo esortava a fornire un contributo

critico contro Schelling dalle colonne del Deutsch-Franzosische Jahrbücher. Feurbach declinò l’invito,

deludendo le aspettative del giovane Marx. Cfr. Meoc, op. cit. , vol. , pag. 377 e ss.

127 Cfr. Meoc, op. cit., vol. I pag. 419

58

autore che ha fatto dell’acribia il proprio pregio, ma anche il peggiore dei difetti, questa via

è già preclusa. L’inversione nel 1847 è sparita perché non è più utilizzabile sul problema

nuovo che lo affanna.

E’ questo un passaggio decisivo. Questo ci svela che Marx, obnubilando la categoria

dell’inversione, ha praticamente abbandonato tutti i problemi che essa svelava e risolveva:

l’inversione di astratto e concreto, di determinato e determinante, di soggetto e oggetto.

Prima di giungere a conclusioni affrettate è bene sottolineare, anche per non dar adito a

fraintendimenti, che l’abbandono della categoria dell’inversione è legata principalmente a

un tema nuovo, a cui essa risulta inapplicabile perché incapace di rendere intelligibile la

problematica stessa. In secondo luogo, sarebbe errato dedurne che col suo abbandono

decadano anche i tre temi ai quali essa era applicata e che ho ricordato. O meglio che

decadano tutti. In realtà la questione dell’astratto e del concreto, e di determinato e

determinante, rimangono. Eppure, non vengono più letti in termini di inversione, ma

problematizzati sotto altri rispetti. Invece, per l’inversione fra soggetto e oggetto, la

questione è molto più complessa, poiché essa sembra scomparire del tutto128

.

E’ vero che la contraddizione in Hegel ha un forte riferimento al metodo del calcolo

infinitesimale, come sottolineato da Badaloni129

, e di fatto il filosofo di Stoccarda si è

sforzato, ricavando i fondamenti filosofici del calcolo, di rovesciare quest’ultimo nell’uso

della ragione, rendendolo così dialettico, e la condizione necessaria è riposta nello svanire

del sensibile ed il suo affermarsi come realtà solo in rapporto al fondamento. Ma per il

Marx della Miseria della filosofia questa operazione è da respingere e da condannare. Ora,

chiediamoci che cosa ha spinto Marx ad abbandonare il problema dell’inversione tra

soggetto e predicato. Problema non da poco visto che categorie che prima avevano un

ruolo ben delineato nell’economia del testo e nell’impianto speculativo ora cambiano di

significato oppure svaniscono. Il legame con l’indagine storica è molto serrato: così come

128 Salvo riapparire, in verità, in una pagina del terzo libro del capitale. Ma da qui a dire che il problema del

soggetto- oggetto è presente in Marx è un’esagerazione.

129 Lo svanire del sensibile “dipende dalla assunzione in sede logica di un procedimento simile a quello della

analisi infinitesimale”. Anzi le grandezze infinitamente piccole sarebbero grandezze determinabili solo a

partire da questo sparire. Contro tale concetto “ è stato obiettato e poi sempre ripetuto che tali grandezze o

sono qualcosa oppure non sono nulla; che fra l’essere e il non essere non si dà uno stadio medio […]Anche

qui si ammette la seperazione assoluta tra l’essere e il nulla. Contro di ciò si è invece mostrato che l’essere ed

il nulla son nel fatto lo stesso, o, per parlare secondo quel linguaggio, che non si dà addirittura nulla, che non

sia uno stato medio fra l’essere e il nulla. La matematica deve i suoi brillanti successi nell’aver ammesso

quella determinazione cui l’intelletto contraddice” Cfr. Hegel, Op. Cit. p. 102.

59

era pensata da Hegel e dagli epigoni, essa finisce per diventare una storia di sedicenti idee.

Così si finisce per perdere ciò verso cui si muoveva, cioè la realtà empirica.

In tal senso, oltre ad abbandonare il presupposto per il quale la storia è mossa da un

principio non immanente, le categorie logiche di contraddizione, opposizione, negazione

ecc. sono utilizzate e presenti nell’affresco dello sviluppo storico dei modi di produzione.

Di certo, come evidenza anche Dal Pra, “non compare, come nei Manoscritti, in un

contesto filosofico che faccia esplicito riferimento alla Fenomenologia hegeliana e che

utilizzi la portata logica della negazione come elemento di propulsione del movimento

dialettico; Marx ha costantemente cura, ora, di far emergere gli aspetti reali e determinati

dell’opposizione e della contraddizione e di far scaturire la spinta del movimento storico

reale dall’effettiva posizione di contrasto che in esso si delinea”130

. Per questo la matrice

dell’opposizione in questo testo non è di carattere logico, bensì è ricavata dagli opposti

concreti, a riprova del fatto che, nell’opera della rottura con Hegel, Marx nega qualsiasi

possibilità ad una contraddizione logica, in nome di una concezione empiristica che

esclude qualsivoglia operazione che vada oltre la datità immediata. Perciò Marx non parla

mai di opposizione o di contraddizione in termini generali, ma delle contraddizioni e

opposizioni determinate che si presentano nel corso storico; e se tenta di giungere ad una

prospettiva di ordine più generale, essa viene ricercata non certo in una dimensione logica,

ma ancora in una direzione concretamente storica. La caratterizzazione più generale è data

dalla contraddizione tra le forze produttive e le forme di relazione, poiché ciò si è

manifestato più volte nella storia. Questa sarebbe una contraddizione che è antecedente,

reiterata e sovrastante in potenza le altre. In un certo senso, Marx la considera fonte

originaria delle altre. Eppure c’è un luogo dell’opera in cui Marx torna a parlare della

proposizione speculativa. Dopo aver criticato abbondantemente la fraseologia filosofica, le

espressioni filosofiche tradizionali, egli accenna a quella forma di proposizione che riesce

a cogliere l’identità di soggetto e predicato senza annullarne le differenze ma

esprimendone l’unità in modo armonico, unità in cui il “predicato esprime la sostanza” e

mediante cui “il soggetto stesso viene assorbito nell’universale”131

; e la proposizione

speculativa è inserita nel rapporto teleologico.

Nella visione speculativa si interpreta “la frase finale come perfezionamento della prima

epoca della serie ed i membri intermedi come gradi di sviluppo in ordine ascendenti verso

130 Cfr. Mario dal Pra, Op. cit., pag. 213

131 Cfr. George Hegel, Fenomenologia dello spirito, Bompiani, Milano 2006, pag. 127

60

la frase ultima e perfetta”132

. Questa finalizzazione aprioristica viene respinta da Marx

senza appello, nonostante l’avesse utilizzata nella Critica, seppur in parte, con il concetto

di essenza e il rapporto che essa ha con le qualità dell’uomo, e nei Manoscritti per spiegare

il rapporto tra emancipazione ed alienazione. Dunque questo ribaltamento del rapporto

teleologico è di certo fondamentale e conferma l’allontanamento dall’idealismo sotto un

altro rispetto, oltre a quello già accennato per il quale non l’idea, bensì il reale manifesto è

il punto iniziale della storia: quello della concezione del ruolo e dello status dell’uomo.

Marx vuole ripartire dall’uomo empirico, calato in un determinato contesto storico e

relazionale con altri uomini, in opposizione alla configurazione idealistica. Da qui la

necessità di tornare ad indagare le relazioni umane, a partire dalle attività svolte. Marx ne

individua tre: produzione dell’uomo da parte dell’uomo, mezzi per soddisfare i bisogni,

creazione di nuovi bisogni, senza porli in una successione logica necessaria.

L’essenza dell’uomo, il suo essere sostrato-sostanza, così come concepito nella Critica e

nei Manoscritti per rivendicarne la priorità rispetto allo Stato, alla società civile e alla

famiglia, e per ricondurre lo sviluppo e il pieno dispiegarsi di questi ad essa, viene ora

considerata una astrazione. Non si tratta qui di ribaltare ciò che era stato in precedenza

rovesciato, riponendo l’idea come soggetto e l’uomo come predicato. Marx è andato oltre

questa scelta dicotomica perché è uscito dal terreno del problema hegeliano. Adesso il

problema è il rapporto tra forze produttive e forme di relazioni sociali e non più quello

dell’uomo di Feuerbach133

.

Siamo dunque in un clima radicalmente diverso rispetto a quello della Critica e dei

Manoscritti, dove si nutriva la speranza di poter costruire la logica specifica dell’oggetto

specifico, cioè di poter elaborare una comprensione del reale in cui avesse la sua parte

specifica la ricerca filosofica. Ora, per contro, l’intervento della filosofia viene bandito. E

con esso le categorie di alienazione, essenza, sostanza ecc. poiché considerate troppo

complesse rispetto all’approccio empiristico.

132 Cfr. Meoc, Op. Cit., pag. 266

133 Segno tangibile della condanna del sistema feuerbachiano lo ritroviamo anche in alcune epistole inviata da

Engels a Marx, che dopo aver letto l’ Essenza della religione, afferma : “Ancora una volta non c’è altro che

l’Essenza, l’Uomo ecc.” Cfr. Meoc, Op. Cit., Vol. XXXVIII, pag. 35. “Questo è davvero un capolavoro di

tautologia strombazzata con voce di tuono” Cfr. Ibidem, pag. 36. “ Per un certo senso di ripugnanza finora

non mi sono saputo decidere a fare gli estratti di Feuerbach. Qui a Parigi tutta questa roba mi sembra tanto

insulsa” Cfr. Ibidem, pag. 50

61

Addirittura, in precisa opposizione con quanto teorizzato nella Critica, Marx afferma che

ogni profondo problema filosofico si risolve con la massima semplicità in un fatto

empirico.

Il termine empirico non è più usato, come nella Critica,nella stessa accezione adottata da

Hegel, “ossia come equivalente d’una realtà immediatamente attestata dall’esperienza, ma

bisognosa d’una ulteriore comprensione e spiegazione; ora l’empirico compare come il

termine ultimo ed autonomo della realtà, non più bisognoso d’un significato da ricercare al

di là del suo stesso piano; perciò Marx dichiara che di fronte al rilievo dell’empirico non

c’è più spazio per l’ulteriore posizione di un problema filosofico”134

. Dunque, siamo al di

fuori del problema della filosofia di Feuerbach. L’avevamo visto in precedenza: questi

criticava l’idealismo hegeliano che erroneamente guardava al pensiero come soggetto e

all’essere come predicato; mentre il vero rapporto tra pensiero ed essere non può che essere

il contrario, e coloro i quali non abbandonerebbero questo modo di intendere la filosofia,

non riuscirebbero a rinunciare alla teologia in quanto, muovendosi nel solco tracciato da

Hegel, ricadrebbero nella falsa visione che fa della realtà il risultato, o meglio il positum

dell’idea, “espressione in termini razionali della dottrina teologica, secondo cui la natura è

creata da Dio è l’essere materiale è creato da un essere immateriale, cioè astratto”135

. Marx,

che già in precedenza aveva abbandonato l’hegelismo, esce anche dal sentiero del

materialismo feuerbachiano. Questa via d’uscita dalla filosofia tedesca porta ad un cambio

di significato delle categorie di opposizione, negazione, contraddizione ecc. , largamente

presenti nella delineazione dello sviluppo storico fatta dall’Ideologia tedesca; ma essa non

compare, come nei Manoscritti, in un contesto filosofico che faccia esplicito riferimento

alla Fenomenologia hegeliana e che utilizzi la portata logica della negazione come

elemento di propulsione del movimento dialettico; Marx ha costantemente cura, ora, di far

emergere gli aspetti reali e determinati dell’opposizione e della contraddizione e di far

scaturire la spinta del movimento storico reale dall’effettiva posizione di contrasto che in

esso si delinea. Ma abbiamo visto che in un certo modo la problematica fondamentale di

Marx è cambiata. La logica rifletteva questo cambiamento. Ora bisogna vedere che cosa

accade nel Capitale. Ma prima bisogna ricomporre di nuovo il puzzle perché c’è un

ventennio di ricerche che vanno ricostruite.

III Verso il Capitale

134 Cfr. Mario Dal Pra, Op. Cit., pag. 208-9

135 Cfr. Ludwig Feuerbach, Tesi provvisorie, in Principii della filosofia dell’avvenire, Torino 1948, pag. 62-3

62

Dopo la Miseria della filosofia dovremo attendere ben dodici anni per avere un’altra opera

di carattere prettamente teorico. Dal 1847 al 1859, oltre all’impegno politico, sfociato nella

tragica sconfitta dei movimenti del ’48, Marx si dedicherà con acribia allo studio

dell’economia politica. Le monumentali descrizioni che ci sono pervenute presentano un

Marx dedito a giornate di studio impareggiabili per intensità ed estensione degli argomenti,

lontano ormai dalla sua terra natia, molto arretrata rispetto alla moderna Inghilterra e

comunque arcaico rispetto a buona parte d’Europa. Nonostante tragici e drammatici

episodi famigliari, le disperate condizioni economiche in cui la sua famiglia versava, la

salute cagionevole a causa di una penosa dieta, e fiaccata dalle tremende e febbrili notti di

studi, Marx continua imperterrito nel suo ambizioso progetto: capire il segreto

dell’economia e stendere finalmente la sua grande opera136

.

Dodici anni sono davvero un’eternità, e il tempo non è stato il suo miglior amico.

Tutt’altro137

!

Sarà necessario comprendere che cosa è accaduto e come Marx è arrivato a stendere Per la

critica dell’economia politica. Ci dedicheremo ora alla ricostruzione dei risultati

dell’Introduzione, che, per molteplici e controverse ragioni, Marx non pubblicò mai; così,

confrontandone le novità rispetto al passato, potremo ri-valutare i due paradigmi principali

del marxismo per poi affrontare finalmente il Capitale.

Dunque, avevamo lasciato Marx nella diatriba con Proudhon, e avevamo acquisito due

nozioni cardine inequivocabili: la rottura con Hegel, la sinistra hegeliana e la problematica

che animavano l’idealismo da un lato, e dall’altra il rifiuto del metodo dialettico, diretta

conseguenza del cambio di campo ontologico. Se da giovane aveva guardato all’economia

come una nuova frontiere il cui carattere di intelligibilità era garantito dall’esperienza

diretta con un nuovo mondo, quel mondo che avrebbe modificato, invadendolo, anche ciò

che prima ne era escluso, tuttavia questo nuovo era ancora pensato con linguaggi, metodi e

prospettive vecchie e non del tutto appropriati: i rapporti economici letti in termini di

136 Marx però non smise mai di pubblicare pamphet e articoli, nonché dedicarsi all’impegno politico

137 Marx viveva in condizioni economiche disastrose: senza un lavoro, con molti figli, in una misera casa. Le

infinite peripezie vissute, e un carattere non certo facile (aveva un inclinazione alla polemica insuperabile, al

cui confronto non reggerebbero nemmeno le satire menippee), unite ad un’acribia analitica senza pari,

influenzarono e non poco i tempi e la stesura del suo grande capolavoro, la cui stesura venne interrotta più

volte a causa di terribili malattie o per partecipare a polemiche con diversi suoi contemporanei. Le biografie

di Marx lo mostrano con precisione. Cfr. Franz Mehring, Vita di Marx, Editori riuniti, Roma, 1972; Francis

Wheen, Marx, vita pubblica e privata, Mondadori, Milano, 1999

63

alienazione di un soggetto che fa, produce alienando la propria essenza in altro da sé, in

una oggettualità inerme da cui si era separato; la liberazione che era ritorno all’origine, a

un passato seguito da una caduta di cui il moderno sistema di fabbrica rappresentava il

segno del massimo allontanamento dalla condizione primigenia; insomma, avevamo

lasciato un Marx erede di una metafisica da ribaltare, pur rimanendo all’interno di quel

perimetro. In seguito, la negazione di ogni metafisica aveva portato Marx a posizioni di

radicale empirismo e riduzionismo.

Adesso, dobbiamo però ricostruire quello che potremmo definire il passaggio dei passaggi,

l’anello decisivo che apre la via al progetto di comprensione del modo di produzione

capitalistico, e non solo.

In una lettera ad Engels leggiamo: “Del resto faccio dei bei passi avanti. P.es. tutta la teoria

del profitto, quale è stata finora, l’ho mandata a gambe all’aria. Quanto al metodo del

lavoro mi ha reso un grandissimo servizio il fatto che by mere accident – Freiligrath trovò

alcuni volumi di Hegel appartenenti a Bakunin e me li mandò in dono – mi ero riveduto la

“logica” di Hegel. Se tornerà mai il tempo per lavori del genere, avrei una gran voglia di

render accessibile all’intelletto dell’uomo comune in poche pagine, quanto vi è di

razionale nel metodo che Hegel ha scoperto ma nello stesso tempo mistificato”138

. Desta

stupore il fatto che per caso Marx abbia riletto la Scienza della logica e ne abbia tratto gran

giovamento specie per il metodo espositivo. Tale operazione chiaramente è foriera di

significatività e ambiguità, soprattutto alla luce del fatto incontestabile che egli aveva rotto

proprio con Hegel e che da questa sorta di parricidio139

si era potuto aprire un nuovo

sentiero di ricerca. Fare i conti con la dialettica inoltre non è mai cosa semplice, come è

ammesso nella stessa epistola in riferimento al metodo utilizzato da Lassalle per la sua

opera sul pensiero di Eraclito140

:

138 Cfr. Meoc, Op. Cit., Vol. XL, pag. 273

139 L’espressione parricidio è stata utilizzata ultimamente da Roberto Finelli, che sostiene che Marx avrebbe

consumato un parricidio troppo frettoloso nelle opere giovanili, finendo per generare un parricidio mancato.

Questo atto mancato sarebbe rappresentato dalla questione del soggetto. Marx finirebbe per disconoscere la

realtà degli esseri umani, i loro bisogni ecc. In una parola: Marx negherebbe all’antropologia uno statuto

proprio all’interno delle scienze, e questo porterebbe il filosofo tedesco in una condizione di arretratezza ed

arcaicità rispetto alle scienze contemporanee. Cfr. Roberto Finelli, Un parricidio mancato, Hegel e il giovane

Marx, Bollati Boringhieri, Torino 2004

140 L’opera non è stata tradotta in italiano, ma si possono comunque conoscerne i caratteri teorici, oltreché

studiarne ampli stralci, nell’interpretazione offertaci da Raffaele Marino. Cfr. Raffaele Marino, Lassalle e il

suo Eraclito, saggi di filosofia egheliana, Tipografia dei successori Le Monnier 1865

64

“Si trova un detto di <Eraclito l’oscuro>, in cui, per chiarire il trapassare di tutte le cose nel

loro contrario, dice: <così l’oro si tramuta in tutte le cose, e tutte le cose si tramutano in

oro>. L’oro, dice Lassalle, è qui il denaro (c’est juste) e il denaro è il valore. Dunque

l’ideale è universalità, l’uno (il valore), e le cose sono il reale, la particolarità, la

molteplicità. Questa idea sorprendente la adopera per dare in una lunga nota an earnest of

his discoveries in the science of political economy. Ogni parola è uno strafalcione, ma

presentato con notevole presunzione. Da questa sola osservazione vedo che il tipo ha

l’intenzione di esporre l’economia politica alla Hegel in un suo secondo grande opus.

Imparerà a sue spese che ben altra cosa è arrivare a portare per mezzo della critica una

scienza al punto da poterla esporre dialetticamente, ed altra applicare un sistema di logica

astratto e bell’è pronto a presentimenti per l’appunto di un tale sistema”141

.Sono molteplici

i luoghi dell’epistolario in cui Marx ed Engels, parlano della dialettica, spesso per

metafore, mutuate da Hegel e dalla sinistra hegeliana. Sarà utile per perseguire i nostri fini

compiere una breve digressione sull’argomento.

Tra le diverse metafore utilizzate quella di mettere sulla testa (Auf den Kopft stellen) ha

sicuramente una posizione centrale. Con essa Engels142

e Marx143

denunciavano l’errore di

capovolgimento del rapporto tra il soggetto e il predicato, che portava ad interpretare la

realtà a partire da rapporti ideali144

.Come abbiamo visto in precedenza, se nei testi

141 Cfr. Meoc, Op. Cit., pag. 288

142 Cfr. Meoc, Friedrich Engels, La situazione dell’Inghilterra. Il secolo diciottesimo, Op. Cit. , vol. III, pag.

527

143 Ibidem, pag. 12-3, 15, 144, 181; Cfr. Meoc, Op. Cit., vol. IV, pag. 20, 153, 181, 214

144 L’espressione del mettere sulla testa fu utilizzata dallo stesso Hegel (anche se è difficile stabilire se sia

stata coniata o mutuata da autori a lui precedenti). Nell’introduzione all’ Antiduhring Engels riporta in nota

un passo tratto dalle Lezioni sulla filosofia della storia, relativo alla Rivoluzione francese, dove è presente

questa metafora: "Il pensiero, il concetto del diritto, si fece valere di punto in bianco, né l'antico edificio

dell'ingiustizia poté opporre resistenza alcuna. In nome del diritto è stata proclamata adesso una Costituzione

sulla quale tutto deve poggiare. Da che il sole sta nel firmamento e i pianeti gli girano intorno, non si era mai

visto che l'uomo si rizzasse sulla testa, cioè sul pensiero, e che su questo costruisse la realtà. Anassagora

aveva detto per primo che il nous, la ragione, dirige il mondo; ma solo ora, per la prima volta, l'uomo è

pervenuto a riconoscere che tocca al pensiero dirigere la realtà spirituale. È stato un meraviglioso levar del

sole. Tutti li esseri pensanti hanno solennizzato quest'epoca. Una sublime commozione ha regnato in

quell'età, un entusiasmo dello spirito ha scosso il mondo, quasi si fosse per la prima volta venuti alla

conciliazione del divino con il mondo"; per concludere: “Non sarebbe tempo di mettere in moto la legge

contro i socialisti nei riguardi di queste pericolose dottrine sovversive del defunto professor Hegel?” Cfr.

Meoc, Friedrich Engels, Antidhuring, Vol. XXV, op. cit., pag. 16. La citazione è individuabile anche nelle

65

giovanili l’uso di questa metafora era molto assidua in quanto essa esprimeva un ruolo

primario nell’apparato analitico marx-engelsiano, tanto da far arrivare a dire al primo che

“la trasformazione del soggetto in predicato e del predicato in soggetto, lo scambio tra il

determinante e il determinato, è sempre la rivoluzione prossima”145

, nei testi della maturità

tende a scomparire.

Nella costellazione delle metafore utilizzate ce n’è una che nella sua finta chiarezza ha

generato più di un fraintendimento, quella del nocciolo e del guscio, strettamente legata

alla prima146

.

In una recensione a Per la critica dell’economia politica, dopo aver elogiato il profondo

spirito storico di Hegel nonostante la pecca della sua forma astratta e idealistica, che finiva

per dare un rapporto “ arrovesciato e con la testa all’ingiù”147

. Engels dichiara: “Marx era

ed è il solo che si poteva accingere al lavoro di estrarre il nocciolo che racchiude le vere

scoperte fatte da Hegel in questo campo, e di stabilire il metodo dialettico spogliato dei

suoi veli idealistici, nella forma semplice in cui è la sola forma giusta dello sviluppo del

pensiero”148

. Lo stesso Marx, nel poscritto alla seconda edizione del Capitale, a proposito

della dialettica, affermò che essa sarebbe in Hegel mistificata, ma che comunque egli fu il

primo ad “esporre ampiamente e consapevolmente le sue forme generali di movimento. In

lui essa sta in piedi sulla testa. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entro

il guscio mistico”149

150

.

La metafora del nocciolo la si ritrova anche in alcune lettere di Engels: In una epistola del

1865 a Friedrich Albert Lange, il quale negava che Hegel avesse una profonda conoscenza

scientifica e matematica, egli risponde: “Naturalmente il nonsenso nei dettagli della

filosofia della natura ve lo concedo volentieri, mentre la sua vera filosofia della natura sta

edizioni italiane di queste opere : Cfr. George W. F. Hegel, Filosofia della storia, Tipografia e libreria

Elvetica,Capolago1840, pag. 535; Cfr. George F.W. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, Laterza,

Roma-Bari 2008, pag. 362

145 Cfr. Meoc, Nota sulla concezione hegeliana dello Stato, Op. Cit. , vol. III, pag. 144

146 Forse di derivazione hegeliana. Cfr. Mario Rossi, Da Hegel a Marx, 4 voll., Vol. IV, Feltrinelli, Milano

1975, pp. 356-7.

147 Cfr. Meoc, Friedrich Engels, Karl Marx, <Per la critica dell’economia politica>, op. cit., vol. XVI, pag.

478

148 Ibidem, 478-9

149 Cfr. Meoc, Op. Cit., vol. XXXI, pag. 22

150 Nell’edizione francese il passo è modificato: “In lui essa cammina sulla testa; basta rimetterla sui piedi per

trovarle una fisionomia del tutto ragionevole” cfr. Ibidem, pag. 1201

66

nella seconda parte della Logica, nella dottrina dell’essenza, vero e proprio nòcciolo

dell’intera dottrina. La teoria scientifica moderna dell’azione reciproca delle forze naturali

[…] non è altro che un’espressione diversa, o piuttosto la dimostrazione positiva, dello

sviluppo hegeliano attraverso causa, effetto, azione reciproca, forza ecc. Naturalmente io

non sono più hegeliano, ma continuo a nutrire una grande pietà e simpatia per quel vecchio

colossale”151

; in un’altra del novembre 1891 si legge: “In nessun caso però Lei può leggere

Hegel […] per scoprirvi paralogismi e oziosi trucchi che gli servivano da supporto alla

costruzione […]. Assai più importante è scoprire, sotto la forma erronea e nella artificiale

correlazione tra le parti, ciò che è giusto e geniale […]. Il rovesciamento della dialettica in

Hegel si basa sul fatto che essa deve essere <autosviluppo del pensiero>, e perciò la

dialettica delle cose ne è solo il riflesso, mentre la dialettica nella nostra testa è ancora e

soltanto il riflettersi dello sviluppo reale, che si compie nel mondo naturale e umano,

rispondente a forme dialettiche. Confronti lo sviluppo della merce con quello dall’essere

all’essenza in Hegel, e avrà un parallelo perfetto: qui lo sviluppo concreto come risulta

dalle cose, là la costruzione astratta, in cui pensieri altamente geniali e passaggi talvolta

assai corretti, come quello della qualità alla quantità e viceversa, sono elaborati come

apparente autosviluppo di un concetto da un altro”152

. Qui v’è una forte opposizione tra

dialettica dei fatti e autosviluppo del pensiero. Ed è interessante il richiamo del passaggio

dall’essere all’essenza posto in parallelo con la dialettica delle merci153

. Per Engels vi

sarebbe dunque sia una validità generale di una forma specifica della dialettica, da ri-

formulare in un senso aderente allo sviluppo del reale, sia un nucleo della dialettica

hegeliana che è comunque detentore di un contenuto valido. Ma come dovremmo

considerare questa validità? E soprattutto, rispetto a cosa essa contiene un contenuto

valido? Verso il pensiero stesso che ne vidima e ne garantisce l’intelligibilità? In secondo

luogo, come può un pensiero avvolto dall’idealismo centrare contenuti validi per chi aveva

voluto rompere i ponti con l’idealismo stesso, facendo di questo rifiuto motivo addirittura

di vanto154

. Se attingiamo all’immenso epistolario, troviamo in più luoghi, e in differenti

151 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. XLII, pag. 513

152 Cfr. Meoc, Op. cit., vol. IL, pag. 209

153 Ci sembra errato il giudizio elaborato da Mugnai per il quale in queste due lettere Engels cadrebbe in una

autocontraddizione sul tema del passaggio dall’essere all’essenza. A ben vedere Engels parla di due cose

differenti: l’individuazione della sezione sull’essenza come il vero nucleo razionale della Logica e nella

seconda missiva del modo idealistico di trattare le categorie logiche. Cfr. Massimo Mugnai, Op. cit. pag. 51-2 154 “Ho criticato il lato mistificatorio della dialettica hegeliana quasi 30 anni fa, quando era ancora la moda

del giorno” cfr. Meoc, Op. cit., vol.XXXI, pag. 22

67

periodi, riferimenti espliciti alla dialettica e al suo progetto di riforma. Non solo, ma è lo

stesso Marx ha palesare l’intenzione di rendere accessibile al senso comune ciò che di

razionale, relativamente al metodo, Hegel aveva scoperto155

. Ancora, nel maggio del 1858,

in una lettera destinata a Lassalle, il filosofo di Treviri osserva che proprio in quanto la

dialettica si presenta come l’ultima parola in senso assoluto della filosofia bisognava

liberarla dall’apparenza mistica156

. Quasi dieci anni dopo, in due lettere del 6 marzo 1868 a

Kugelmann e del 9 maggio 1868 a Dietzgen157

, torna ancora sulla forma mistica nei

medesimi termini e con l’intenzione di scrivere una Dialettica 158

. Dunque per Marx il

rovesciamento è il modo per spogliare la dialettica dalla forma mistica. Sempre nel

poscritto alla seconda edizione del Capitale afferma: “Per il suo fondamento, il mio

metodo dialettico è non solo differente da quello hegeliano, ma ne è il diretto contrario.

Per Hegel il processo del pensiero, che egli trasforma addirittura in un soggetto

indipendente sotto il nome di Idea, è il demiurgo della realtà effettuale, che costituisce solo

la sua esterna manifestazione fenomenica. Per me, viceversa, l’ideale non è altro che il

materiale trasferito e tradotto nella testa umana”159

160

. L’errore fondamentale di Hegel

finiva così per compromettere la relazione tra contenuto e forma, anche se, nonostante

l’inversione, a tratti riuscirebbe a cogliere i nessi reali dello sviluppo storico. Sarebbe

errato credere che solo in Hegel e solo con una esposizione dialettica si possa incappare in

una simile confusione. Anche Adam Smith era caduto in alcuni casi nell’errore di

concepire e presentare in modo rovesciato la relazione tra il valore e il rapporto di questo

con salario, prezzo e rendita fondiaria. La confusione lo portava a non esporre sempre nella

sua interna connessione il rapporto, finendo per averne una falsa rappresentazione161

.

155

Cfr. Meoc, Op. cit , Vol. XL , pag. 273

156 Ibidem, pag. 588

157 Riferendosi proprio a Dietzig, Marx dirà ad Engels: “E’ una disdetta per lui che non abbia studiato

proprio Hegel” cfr. Meoc, Op. cit., pag. 213

158 Cfr. Meoc, Op. cit. , Vol. XLIII, pag. 582; : “Quando mi sarò scrollato di dosso il peso dell’economia,

scriverò una “dialettica”. Le vere leggi della dialettica sono già contenute in Hegel, sebbene in forma mistica.

Bisogna eliminare questa forma” Cfr. Ibidem, pag. 592

159 Cfr. Meoc, Op. cit., vol. XXXI, pag. 21

160 In una missiva a Kugelmann risalente al 1868 fa un’affermazione molto simile: “Egli sa molto bene che il

mio metodo di svolgimento non è quello di Hegel, perché io sono materialista, Hegel idealista. La dialettica

di Hegel è la forma fondamentale di ogni dialettica, ma soltanto dopo l’eliminazione della sua forma mistica,

ed è appunto questo che distingue il mio metodo.” Cfr. Meoc, Op.cit., Vol. XLIII, pag. 582

161 Cfr. Meoc, Teorie sul plusvalore, Vol. XXXV, pag. 103

68

Anche nella Critica alla filosofia hegeliana del diritto si era pronunciato sull’argomento:

“La differenza risiede non nel contenuto, ma nel modo di considerare, ossia nel modo di

dire. E’ una storia duplice, esoterica e essoterica. Il contenuto risiede nella parte essoterica.

L’interesse della parte esoterica è sempre quello di ritrovare nello Stato la storia del

concetto logico. Ma appartiene al lato essoterico che avanzi lo sviluppo propriamente”162

.

Ciò che è reale è razionale per Hegel perchè richiama ad un “significato altro da se stesso.

il fatto da cui si parte non è inteso come tale, ma come risultato mistico”163

. Ma a ben

vedere nulla ci è detto circa questo nocciolo razionale da liberare. La cosa si complica

ulteriormente sapendo che Marx in un’epistola del 1870 parlò del suo metodo critico di

applicazione della dialettica164

.

Engels, che forse più di Marx ha apertamente confessato il debito verso il maestro165

, è

molto più esplicito in tale senso, come abbiamo visto nella missiva a Lange del 1865.

E questo non detto da parte di Marx ci crea non pochi problemi appena noi andiamo fuor di

metafora166

. Di certo, molti degli autori della tendenza continuistica hanno inteso queste

formule alla lettera. Al contrario, Althusser ha particolarmente insistito sul significato della

metafora del rovesciamento e del nocciolo, per mostrare come, dopo la rottura

epistemologica del 1845, il tentativo di un raddrizzamento della filosofia speculativa non

avesse più senso. Il problema così ci rimanderebbe alla ricerca delle differenze delle

strutture specifiche tra la dialettica di Marx e quella di Hegel e non più al cambio di

direzione. Categorie come negazione della negazione, identità dei contrari, contraddizione

possiedono “ in Marx (nella misura in cui anch’egli se ne serve, il che non sempre è il

caso!) una struttura diversa da quella che posseggono in Hegel”167

. Le affermazioni di

Althusser sono largamente condivisibili, ma a condizione di ripensare in parte la rottura

162 Cfr. Meoc, Op. cit., vol. III, pag. 8

163 Ibidem, pag. 10

164 Cfr. Meoc, Op. cit., pag. 739

165 Cfr. Meoc, Op. cit., vol. XLIV, pag. 259

166 Il lettore mi scuserà dei tanti riferimenti che appesantiscono la lettura. Eppure, per non rendere vaghi i

nostri intenti peregrini, ho dovuto farlo. Anche senza questa abbondanza di riferimenti, Lenin colse il tutto

con molto acume: “Non si può comprendere appieno il Capitale di Marx, e in particolare il suo primo

capitolo, se non si è studiata attentamente e capita tutta la logica di Hegel. Di conseguenza, dopo mezzo

secolo, nessun marxista ha capito Marx” Cfr. Vladimir Lenin, Op. cit., pag. 165; “anche se Marx non ci ha

lasciato una Logica, ci ha lasciato però la logica del Capitale, che bisognerebbe utilizzare al massimo” Cfr.

Ibidem, pag. 341

167 Cfr. Louis Althusser, op. cit., pag. 75

69

epistemologica. E’ innegabile infatti che ciò che è stata intesa come contraddizione

principale, cioè quella tra capitale e lavoro, presenta un carattere estremamente complesso

(Althusser la definirà surdeterminata) se posta in confronto a quella contraddizione che in

Hegel muove e orienta già-da-sempre la storia, illustrata nelle pagine delle sue Lezioni. Ma

anche l’impalcatura althusseriana entra in difficoltà quando si palesano nel Capitale alcuni

atteggiamenti che richiamano ad Hegel. Vedremo in seguito quali e quanti essi siano. Per

ora ci limiteremo ad attestare la presenza di una sorta di dualità o meglio di ambivalenza

nell’opera di Marx ed Engels, riconosciuta dal filosofo francese nei frammenti scritti negli

ultimi anni168

, su come intendere i modi di produzione e gli elementi che li compongono:

se pensarli come il risultato di un incontro tra elementi che danno per così dire vita ad una

struttura; oppure al considerare la struttura stessa come antecedente gli elementi.

L’identificazione di un processo come costituzione di una rete strutturale-relazionale tra

elementi in precedenza indipendenti che posseggono corsi propri di sviluppo e che

collimano finendo per creare una struttura in grado di dominarli e trasformarli, è cosa del

tutto diversa da una ricostruzione storico-filosofica dei passaggi da una struttura all’altra

(nello specifico da un modo di produzione all’altro). Fornire un carattere di intelligibilità

storica scevra da qualsivoglia teleologia è sicuramente esercizio impervio, e a cui Marx

non è riuscito ad essere sempre fedele. Se sono giustificabili, e quindi non invalidanti la

nostra ipotesi, alcuni tentativi di semplificazione sul piano espositivo di nodi teorici

difficilmente comprensibili ai più e la cui formulazione linguistica è nondimeno da

considerarsi insufficiente rispetto alla novità del pensiero proposto, problematici restano

alcuni atteggiamenti del filosofo renano, che lasciano pensare ancora una volta ad una

influenza idealistica. Si pensi ad esempio a quando Marx afferma, nella prefazione al

Capitale, che il “paese industrialmente più sviluppato non fa che mostrare a quello meno

sviluppato l’immagine del suo avvenire”169

, concetto questo che fa pensare ancora una

volta ad un chiaro impianto teleologico, e che sembra mostrare una evidente

contraddizione all’interno del capolavoro di Marx proprio nel denso capitolo

sull’accumulazione originaria, dove è oggetto d’indagine la storia della nascita del modo di

produzione capitalistico. Marx afferma che “il rapporto capitalistico ha come presupposto

la separazione fra i lavoratori e la proprietà delle condizioni di realizzazione effettuale del

lavoro. Una volta autonoma, la produzione capitalistica non solo conserva quella

separazione, ma la riproduce su scala sempre crescente. Il processo che crea il rapporto

168

Cfr. Louis Althusser, Sul materialismo aleatorio, Unicopli, Milano 2000, pag. 105 e ss.

169 Cfr. Meoc, op. cit. , pag. 10

70

capitalistico non può dunque essere null’altro che il processo di separazione del lavoratore

dalla proprietà delle proprie condizioni di lavoro, processo che da una parte trasforma in

capitale mezzi sociali di sussistenza e di produzione, dall’altra trasforma i produttori

diretti in lavoratori salariati”170

. Dunque l’incontro di due “specie diversissime di

possessori di merci, da una parte proprietari di denaro e di mezzi di produzione e di

sussistenza, ai quali importa valorizzare attraverso l’acquisto di forza-lavoro altrui la

somma di valori posseduta, dall’altra parte lavoratori liberi”171

è la condizione necessaria

per l’avvio del processo di produzione, a cui però vanno sommate altre, fondamentali,

condizioni172

. L’assenza di queste altre condizioni rende l’intero processo impossibile. Per

questo l’evento dell’accumulazione originaria non si presenta in tutti i paesi nei medesimi

termini. Il caso dell’Italia è emblematico: già nel XIII secolo sono presenti proprietari di

denaro, manodopera libera e tecnologie. Eppure il processo accumulativo abortì173

. È

chiaro dunque che non si danno medesime condizioni attuative, e con molta probabilità in

alcuni paesi il processo produttivo può essere un particolare effetto di un processo

riproduttivo che l’investe. La mistificazione di questa profonda concezione materialistica

antiteleologica e antideterministica ha avuto molte conseguenze nel dibattito teorico

intorno allo statuto epistemologico del marxismo da un lato, e dell’interpretazione

economica di eventi storici rilevanti. Non è casuale infatti che i marxisti siano stati insidiati

sul loro terreno da autorevoli avversari teorici, e che riuscirono a mettere in scacco proprio

quei modelli marxisti continuisti (dichiarati o meno non importa)174

.

170 Cfr. Karl Marx, op. cit. , pag. 788 171 Idem

172 In verità non sempre Marx ed Engels pensarono il rapporto tra liberi produttori e possessori di mezzi di

produzione in questa maniera che, lo si sarà compreso, è un rapporto chiaramente contraddittorio. Esiste

almeno una formulazione, che implica un misconoscimento della reale portata della contraddizione fra i due

soggetti, che vede nel proletariato il risultato, meglio il prodotto del processo di industrializzazione. È chiaro

che qui si sta ragionando nei medesimi termini dell’idealismo hegeliano, che faceva avanzare la storia

tramite il dispositivo della negazione: “ il proletariato è sorto in seguito alla rivoluzione industriale, avvenuta

in Inghilterra nella seconda metà del secolo scorso e che da allora in poi si è ripetuta in tutti i paesi civili del

mondo” Cfr. Meoc, Principi del comunismo, vol. VI, pag. 360

173 Ibidem, pag. 790 nota 189

174 Si pensi al dibattito sul processo di industrializzazione italiana. Alexander Gerschenkron ha in più di una

occasione mostrato diversi casi in cui “i processi di industrializzazione avviati in un paese arretrato,

differirono sostanzialmente da quelli dei paesi più progrediti dal punto di vista non solo della rapidità dello

sviluppo ( e cioè per il saggio di espansione industriale) ma anche del tipo di strutture produttive e

organizzative dell’industria emerse nel corso del processo”. Cfr. Alexander Gerschenkron, Il problema

71

Per questo preferiamo parlare di cambio di regione ontologica e di metodo, senza celare

ulteriori caratteri ostici che un simile approccio porta con sé. E’ innegabile infatti, come

abbiamo in parte mostrato in precedenza ricostruendo quel complesso fenomeno

dell’abbandono della tematica dell’inversione tra soggetto e predicato, che è una risposta

nata in contrapposizione all’idealismo hegeliano, ma che comunque rimane sul medesimo

campo ontologico spostando l’asse dall’Idea all’Uomo, che Marx sia uscito da determinati

schemi ideologici di cui era inizialmente imbevuto. Ma rimane il fatto che egli, anni dopo

aver sancito la rottura col maestro, cercò di recuperarne alcuni metodi espositivi utilizzati

proprio da lui, che vedremo in seguito nel dettaglio. Ciò non vuol dire naturalmente un

ritorno all’hegelismo, ma di sicuro Marx seppe guardare, dopo aver cambiato terreno

d’indagine con meno veemenza all’opera di Hegel, sicuro del dominio sul campo

d’indagine che aveva acquisito. Le stesse citazioni che abbiamo appena riportate ne sono la

riprova.

E a ben vedere, lo spettro oggettuale del capovolgimento non riguarda esclusivamente

Hegel. Anzi è molto più ampio. Riproduco una citazione che ritengo molto importante e

che suffraga quanto ho appena detto: “per Epicuro invece si può dimostrare nei particolari

che egli, sebbene prenda le mosse dalla filosofia naturale di Democrito, ne capovolga in

tutti i punti il vero significato. Non si può certo rimproverare a Cicerone e a Plutarco non

aver visto ciò, dato che persino tipi intelligenti come Bayle e anche ipsissimus Hegel non

ne hanno avuto sentore. Quanto a quest’ultimo del resto non si può pretendere, proprio da

lui che per primo comprende tutta la storia della filosofia, che non faccia errori nei

particolari ”175

. In altre parole, forse anche spinto dalla situazione intellettuale

contemporanea che giudicava misera176

, Marx riconosce a Hegel meriti importanti. Ma, a

ben vedere, i meriti furono da questi conseguiti in altri campi, e di certo non in quello

dell’economia politica.

storico dell’arretratezza economica, Einaudi, Torino 1965, pag. 8-9. A riprova di ciò che sostengo si vedano

i termini in cui è stato posto il dibattito sul risorgimento: Cfr. Antonio Gramsci, Il risorgimento, Einaudi,

Torino 1954; Rosario Romeo, Risorgimento e capitalismo, Editori Laterza, Roma-Bari 2008

175 Cfr. Meoc, Op. cit., vol. XV, pag. 576

176 “Hinc illae lacrimae. Qui signori in Germania credono (ad eccezione dei reazionari teologici) che la

dialettica di Hegel sia <un cane morto>. A questo riguardo Feuerbach ha molte colpe sulla coscienza”, Cfr.

Meoc, Op. cit., vol. XLIII, pag. 20

72

Per questo Lefebvre aveva affermato che “da questo carteggio risulta che il metodo

dialettico è stato ritrovato e riabilitato da Marx al tempo dei lavori preparatori a Per la

critica dell’economia politica e al Capitale: l’elaborazione delle categorie economiche e

dei loro nessi intimi ha superato l’empirismo e raggiunto il livello del rigore scientifico, ed

ha preso allora la forma dialettica”177

.

Dunque la forma dialettica è da considerarsi come scientifica, e come forma precipua

dell’esposizione marxiana. Rimane aperta la questione: cosa si denota con il termine

dialettica?

Per rispondere, ci sarà di aiuto la famosa Introduzione del ‘57, rimasta inedita quando

Marx era in vita, articolata in tre paragrafi rispettivamente dedicati a produzione, consumo,

distribuzione, scambio (circolazione); rapporto generale tra produzione, distribuzione,

scambio e consumo; il metodo dell’economia politica. E’ facile immaginare che queste

pagine abbiano dato vita ad un dibattito infinito sul metodo del tedesco, specie intorno alla

questione centrale di astratto e concreto. Per alcuni, tra i quali Ilenkov, astratto e concreto

sono due categorie della dialettica, e la “dialettica è la logica del marxismo”178

. Certo, la

visione della scienza sovietica, il cui pilastro fondante era rappresentato dalla nozione delle

due culture e delle due scienze, quella borghese e quella proletaria, considerava la

dialettica marxista de facto diversa da quella di Hegel e dell’intera riflessione filosofica

occidentale. Il punto massimo di distanza nel campo della teoria era proprio quello del

rapporto tra astratto e concreto. I sovietici giudicavano l’astrazione in Kant e nei suoi

seguaci alla stregua di una mera operazione logica mediante la quale ci si innalza dal dato

sensibile a una rappresentazione generale, separando dalle singolarità ciò che è analizzato

come differente. Il concreto è l’immediato, l’intuito. Il concetto concreto si risolve nel

denotare, nel significare mediante un simbolo i singoli oggetti percepiti sensibilmente.

Rimane però aperto il nostro quesito: cosa voglia dire il termine dialettica! Possiamo

leggere la sterminata produzione letteraria al riguardo, ma difficilmente si troveranno

risposte esaurienti: non basta sostenere che la realtà è dinamica e che solo la dialettica

possa comprenderla come tale poiché supera la fissità degli enti e delle relazioni a cui il

principio di non contraddizione li blocca. Non è nemmeno sufficiente, a mio modesto

parere, affermare che dal punto di vista di Marx il problema di cosa sia un ente si porrebbe

in modo affatto diverso, in quanto egli focalizzerebbe la sua analisi nel rapporto

177 Cfr. Henry Lefebvre, il materialismo dialettico, Einaudi, Torino 1949, pag. 65

178 Cfr. Evald Vasilevic Ilenkov, La dialettica dell’astratto e del concreto nel Capitale di Marx, Feltrinelli,

Milano 1975, pag. 4

73

“dell’oggetto con sé medesimo, cioè del rapporto reciproco dei vari momenti della realtà

oggettiva entro una data totalità concreta”179

. A ben vedere, questa affermazione è ancora

una volta la riconferma della non uscita dal problema del rapporto tra soggetto e oggetto.

Legando la logica alla gnoseologia, si finisce per trasfigurare le definizioni di astratto e

concreto usate da Marx: il secondo diventa una mera forma intuitivo-sensibile del

rispecchiamento dell’oggetto nella coscienza, e il primo, nel nome del materialismo

dialettico, diventa una sintesi mentale “di singoli momenti della realtà oggettiva afferrati

analiticamente”180

.

Dunque per Ilenkov il concreto è tale perché sintesi di molteplici determinazioni, quindi

l’insieme internamente articolato delle varie forme d’esistenza dell’oggetto. L’unità

sintetica si realizza non attraverso la somiglianza dei fenomeni tra loro, ma, al contrario,

attraverso la loro differenza e opposizione. Si tratta dunque di una operazione agli antipodi

rispetto a quella della logica formale, che vede nell’unità della molteplicità non il concreto,

bensì l’astrazione da ogni differenza specifica, svolta in una operazione di depurazione del

carattere comune da quelli eterogenei. Il concreto viene a coincidere con la totalità (termini

usati spesso come sinonimi). Per Ilenkov, il pensare ad un sistema organico i cui elementi

sono in grado di condizionarsi vicendevolmente, si realizza non attraverso la somiglianza

dei fenomeni tra loro, ma, al contrario, attraverso queste differenze oppositive. Ma qui, mi

pare, nonostante i toni trionfalistici della sedicente scienza sovietica del Diamat181

, ancora

non siamo molto lontani da Hegel. Discorso simile per l’astrazione. Ma come dovrebbero

essere le astrazioni? Per Ilenkov esse dovrebbero essere sia formalmente complete sia

ricche di contenuto. Soltanto in questo caso esse saranno vere, oggettive182

. Ma cosa

significa tutto ciò?

“Abbiamo già visto che la completezza dell’astrazione presuppone che in essa si esprimano

non i caratteri generali astratti propri a tutti i fenomeni particolari cui l’astrazione

universale si riferisce, bensì le proprietà concrete dell’elemento oggettivante elementare e

non ulteriormente scomponibile del sistema di interazione, ossia le proprietà della “cellula”

della totalità analizzata. Nel caso del sistema capitalistico di interazione fra gli uomini nel

179 Ibidem, pag. 5

180 Ibidem, pag. 94

181 Abbreviazione di Dialekticeckij materializm

182 Ibidem, pag. 180

74

processo di produzione sociale della vita materiale questa cellula è la merce, la forma

mercantile semplice di interazione”183

.

A queste considerazioni dovrebbe seguire la domanda che verte intorno all’attività che, in

ultima analisi in senso ontologico, è primaria e da cui scaturiscono tutte le altre, tramite

una sorta di derivabilità necessaria. E Ilenkov, mostrandoci senza mezzi termini il carattere

fortemente ideologico del Diamat184

, non solo la pone in questi termini, ma va oltre,

mostrando come il carattere dialettico della logica di Marx permetta di trovare una

soluzione che la logica astratta dell’intelletto non potrebbe trovare, poiché la risposta stessa

risulterebbe troppo concreta e solo la logica elaborata da Marx riuscirebbe a scorgervi un

autentico concetto universale. E dunque, possiamo dedurre, che l’universale in Marx è

sempre un concreto, e la sua universalità sarebbe ricavata dalla propria estensione

onnicomprensiva, finendo così per inglobare il molteplice reale e coglierlo come

processo185

. Ma proseguiamo nella nostra ricerca, e analizziamo l’Introduzione del ’57. Nel

primo paragrafo Marx tende ad integrare la funzione di astrazione agli elementi dello

sviluppo storico. Mentre nella Miseria aveva rifiutato l’uso di categorie economiche come

espressioni astratte dei reali rapporti di produzione, in favore di una concreta storia dei

rapporti di produzione, nell’Introduzione Marx rivaluta l’uso delle categorie astratte.

Questo non vuol dire che Marx individui e delinei delle categorie eterne, così come in

Proudhon e negli economisti volgari, bensì egli comprende, forse per la prima volta nella

sua vita di studioso, che vi possa essere un uso astratto di elementi determinati che non

inficino e trasvalutino i dati empirici, ma anzi che ne agevolino la comprensione

inquadrandone lo statuto teorico finalizzato alla conoscenza del reale stesso. Anche per

questo l’ Introduzione si apre col paragrafo dedicato alla produzione.

183 Ibidem, pag. 181

184 Perché il Diamat, a parere di chi scrive, è tutto fuorché una scienza. O meglio, essa è una sistematica ri-

costruzione in termini negativi dei caratteri dell’idealismo praticati in senso opposto a quelli patrocinati da

quest’ultimo. In altri termini, studiando i testi della scuola sovietica, si ha la sensazione che le pretese di

materialismo radicale avanzate siano invece un tentativo, a volte preciso a volte lacunoso e risibile, di presa

di posizione contro una determinata visione dominante, e che trova nella dottrina delle due culture e delle due

visioni la sua legittimazione. Ma ciò rimane una pretesa. Si vedano in tal senso le affermazioni di Stalin sul

materialismo di Engels e Marx e la banalizzazione delle loro teorie Cfr. Iosif Vissarionovič Stalin, Principi

del leninismo, Edizioni dell’unità, Roma 1944; Iosif Vissarionovič Stalin, Questioni del leninismo, Mosca,

edizioni in lingue estere 1946

185 Cfr. Evald Vasilevic Ilenkov, op. cit., pag. 35

75

Non che la categoria di produzione sia eterna, ma le diverse determinazioni storiche dei

molteplici modi di produzione possono avere un rapporto fra il grado della loro generalità e

quello dei diversi caratteri discriminanti. In altri termini, che vi è un’articolazione

proteiforme che comunque consenta un pensare i caratteri generali. Rispetto alla categoria

astratta di produzione, si danno altre categorie, sempre astratte, di produzione, ma con

un’estensione minore: quella schiavistica, quella feudale, quella capitalistica ecc. Certo, i

caratteri presenti nell’estensione più ampia non vanno né ipostatizzati né considerati come

ciò che in ultima analisi generano e mantengono in vita un modo di produzione, cioè come

gli elementi che alternando i loro ruoli di dominio danno vita ai grandi mutamenti che la

storia testimonia. Marx non ritorna semplicemente a Hegel, come potremmo credere

vedendo il recupero dell’astrazione186

. Nella realtà si danno solo ed esclusivamente delle

singolarità. Ma in esse possiamo riscontrare delle costanti che possono essere oggetto di

trattazione nella teoria che va dall’astratto al concreto determinato. Lo sforzo richiesto ad

una impostazione materialista è nell’individuazione da un lato dei dispositivi che inverano

il fenomeno che si vuole analizzare e dall’altro di ricavare una conoscenza da queste

generalità, senza mai perdere di vista le reali e discriminanti differenze. Altrimenti si

cadrebbe in un errore tipico dell’economia politica, come sottolinea lo stesso filosofo

tedesco riferendosi a Rossi: “è come se il fisiologo dicesse che le forme determinate di vita

sono equivalenti, che tutte sono semplicemente forme della materia organica. Ma sono

appunto solo queste forme che contano, quando si tratta di determinare il carattere

specifico di un modo sociale di produzione. Un vestito è un vestito. Ma fate che lo scambio

avvenga nella prima forma e avrete la produzione capitalistica e la moderna società

borghese; fate che avvenga nella seconda, e avrete una forma di lavoro manuale

compatibile coi rapporti asiatici o con quelli medievali ecc”187

. Che l’astrazione sia utile ai

fini di una fondazione epistemologia appare innegabile. Marx lo riconosce, e nella maturità

è riuscito a pensare il carattere di saldatura di una scienza mediante un procedimento di

chiarificazione ed estensione conoscitiva dei medesimi saperi saldi ricavati dalle categorie

astratte, mediante le quali si potevano addirittura superare caratteri ideologici derivanti da

approcci che partendo dal concreto determinato rimanevano in esso imbrigliati tramite una

produzione tautologica di una vuota generalità. Si pensi ad esempio ai fisiocratici, i quali

concepivano “legge materiale di una determinata fase storica della società come legge

186 Mario dal Pra in tal proposito ha parlato di una svolta dal metodo storico-descrittivo ad uno

maggiormente aderente all’organicismo hegeliano. Cfr. Mario dal Pra, op. cit., pag. 293

187 Cfr. MEOC, Teorie sul plusvalore, op. cit. , vol. XXXIV, pag. 372

76

astratta che domina uniformemente in tutte le forme sociali”188

. Di contro, si possono re-

inquadrare quelle stesse leggi astratte al fine di progredire verso un sapere fondato, come

storicamente mostra l’opera di Smith189

. A Marx non è sconosciuta nemmeno la difficoltà

opposta: quella di partire da un’astrazione formale per ordinare una serie di fenomeni

concreti a partire da un principio metafisico ad essi estranei190

. Questo ci aiuta a

comprendere il perché sia nella Miseria della filosofia che qui vengono respinte quelle

false concezioni che pongono l’individuo come principio dell’attività economica, che sono

il riflesso e il compimento di una determinata organizzazione sociale dei rapporti giuridici

di proprietà e delle forze produttive. Lo schema si presenta ribaltato: l’individuo isolato,

invece che come risultato storico, lo si vedrebbe come punto di partenza. Ma questo errore

è dato da un’ illusione e da una profonda assenza di senso storico che permea una simile

visione dei fatti.

Nel secondo paragrafo, Marx compie un ulteriore passo in avanti: se nel primo capitolo

egli aveva individuato la totalità organica nella struttura dell’astrazione, ora individua

quella totalità organica nei rapporti che congiungono i vari momenti del ciclo economico,

arrivando ad affermare che la relazione tra produzione, distribuzione, scambio e consumo

formano un sillogismo in piena regola: la prima è la generalità, distribuzione e cambio

sono la particolarità e il consumo l’individualità 191

. Questo collegamento precisa,

delineandole, le nature specifiche delle figure, le cui prime due sono rispettivamente

determinate da leggi naturali generali e da contingenze sociali. Lo scambio si colloca tra

queste in quanto movimento formalmente sociale, e il consumo, concepito come scopo

finale, si colloca al di fuori dell’economia, salvo quando è in grado di reagire sulla

produzione192

.

Quanto di hegeliano ci sia in queste pagine è facilmente intuibile: non sosteneva forse

Hegel che il sillogismo autentico è quello speculativo, e che l’oggetto nella sua totalità è il

188 Ibidem, pag. 11

189 Ibidem, pag. 12

190 Ibidem, pag. 63

191 Cfr. Karl Marx, Op. cit., pag. 232

192 Quanto sia decisiva nell’impianto del capitale questo esser posto del consumo al di fuori dell’economia lo

vedremo in seguito, quando analizzeremo il duplice carattere delle merci

77

sillogismo, in cui il termine estremo dell’universalità è connesso con quello della

singolarità mediante la particolarità?193

Ma soprattutto, la riflessione di Marx ci fa pensare fortemente alla dottrina dell’azione

reciproca come causalità di sostanze che si condizionano vicendevolmente e mantenendo

in pari tempo i caratteri di passività e attività, posizione ed effetto. L’azione reciproca

togliendo nella negazione le determinazioni poste e tramutandole nel loro opposto, finisce

così per nullificarle. Pensando questa causalità nel concetto assoluto, essa è necessità reale,

assoluta identità con sé, così da far scomparire le stesse necessità e causalità. Essendo

forma assoluta, la sostanza assoluta, distinguendosi da sé, si distingue da un lato nella

totalità , “ come semplice tutto che contiene in se stesso il suo esser posto e in ciò è posto

come identico con sé, l’universale, - dall’altro lato poi si distingue nella totalità […] come

nella riflessione parimenti dalla determinatezza in sé alla determinatezza negativa, la quale

come determinatezza identica con sé è così anch’essa il tutto, ma posto come la con sé

identica negatività, il singolo”194

.

Questo recupero del concetto dell’azione reciproca contiene però un elemento di

distinzione che dovrà essere approfondito in seguito, nel Capitale. Hegel afferma che “

immediatamente però, poiché l’universale non è identico con sé che in quanto contiene in

sé la determinatezza come tolta, ed è dunque, il negativo come negativo, esso è quella

medesima negatività, che è la singolarità; e la singolarità, poiché è parimenti anch’essa il

determinato, il negativo come negativo, è immediatamente quella medesima identità, che è

l’universalità”195

ed è tale perché ha in questa loro identità la particolarità che riesce a

contenerne l’unità. Per questo in Hegel universalità, particolarità e singolarità sono tre

totalità congiunte in una medesima riflessione. In Marx invece, lo abbiamo letto prima, non

si dà sempre, per così dire, ritorno dalla singolarità alla generalità. Anzi, nulla è detto dei

casi nei quali ciò avviene. Potrebbe sembrare un fatto trascurabile, ma su di essa riposa

ancora una volta quello scarto con la concezione presente nei testi giovanili animati da

un’altra problematica, poiché qui è in gioco la stessa idea di scienza (o l’idea di quella che

Marx riteneva essere la discriminante di una scienza rispetto ad una ideologia). Se fosse

193 “Nella sua totalità, l’oggetto è il sillogismo, cioè il movimento che dall’universale, attraverso la

determinazione, giunge alla singolarità, e che, viceversa dalla singolarità, attraverso la rimozione di questa –

attraverso la determinazione -, giunge all’universale” Cfr. Hegel, Fenomenologia dello spirito, op. cit. , pag.

1037

194 Cfr. Hegel, Scienza della logica, op. cit. , pag. 645

195 Idem

78

avallata la possibilità di pensare al consumo come ad una forma anch’essa generale, si

finirebbe per ripiombare in una visione per la quale la merceologia è equipollente, almeno

in una topica delle scienze, all’indagine economica, reinserendo surrettiziamente l’ambito

soggettivo in un discorso che ha guardato al di là di quel rapporto metafisico. In questo

senso, non era forse Hegel a concludere il primo volume della Scienza della logica con la

constatazione che la semplice determinatezza delle tre totalità sono da pensarsi tramite

quella come unica e medesima identità, che è il concetto, “il regno della soggettività o

della libertà”?196

. Proseguendo nella lettura, il terzo paragrafo ci pone di fronte a

considerazioni molto interessati circa il metodo specifico utilizzato da Marx. Vale la pena

riportarlo quasi integralmente per facilitare la valutazione:

“Quando consideriamo un dato paese dal punto di vista politico-economico, cominciamo con la sua

popolazione, la distribuzione di questa in classi, città, campagna, mare, con i diversi rami della produzione,

esportazione e importazione, produzione e consumo annui, prezzo delle merci ecc.

Sembra corretto cominciare con ciò che è reale e concreto, con il presupposto reale,e quindi per es. in

economia con la popolazione, che è la base e il soggetto dell’intero atto sociale di produzione. Ma ad un

esame più approfondito ciò si dimostra erroneo. La popolazione è una astrazione se io per es. tralascio le

classi da cui essa è composta. E a loro volta queste classi sono una parola vuota se io non conosco gli

elementi sui quali esse si fondano, per es. lavoro salariato, capitale ecc. E questi presuppongono scambio,

divisione del lavoro, prezzo ecc. Il capitale per es. è nulla senza lavoro salariato, senza il valore, il danaro, il

prezzo ecc. Se dunque comincio con la popolazione, mi trovo davanti una rappresentazione caotica del tutto

e, cercando di meglio precisare, perverrei sempre di più, in via analitica, a concetti più semplici; dal concetto

che mi ero rappresentato ad astrazioni sempre più rarefatte, fino a giungere alle determinazioni più semplici.

Da qui bisognerebbe poi fare a ritroso il viaggio, per arrivare infine di nuovo alla popolazione, questa volta

però non come ad una rappresentazione caotica di un tutto, ma come ad una ricca totalità di molte

determinazioni e nessi. La prima via è quella che storicamente l’economia politica ha imboccato al suo

nascere. Gli economisti del XVIII secolo, per es., cominciavano sempre con il tutto vivente, la popolazione,

la nazione, lo Stato, più Stati, ecc; però finivano sempre col ricavare mediante l’analisi alcuni concetti

generali astratti determinanti come divisione del lavoro, danaro, valore ecc. Non appena questi singoli

momenti furono più o meno fissati e astratti, cominciarono i sistemi economici, che risalgono dal semplice,

come lavoro, divisione del lavoro, bisogno valore di scambio, allo Stato, allo scambio tra le nazioni e a

mercato mondiale. È evidente che il metodo scientificamente corretto è quest’ultimo. Il concreto è concreto

perché è la sintesi di molte determinazioni, cioè unità del molteplice. Nel pensiero esso appare perciò come

processi di sintesi, come risultato, non come punto di partenza, anche se è esso il reale punto di partenza e

quindi anche il punto di partenza dell’intuizione e della rappresentazione. Per la prima via la

rappresentazione piena si dissolve in astratta determinazione; per la seconda le determinazioni astratte

conducono alla riproduzione del concreto lungo il cammino del pensiero. Fu perciò che Hegel cadde nella

illusione di concepire il reale come il risultato del pensiero che si raccoglie, affonda in se stesso e da se solo

196 Ibidem, pag. 646

79

si muove, mentre il metodo di risalire dall’astratto al concreto, è il solo modo per il pensiero di appropriarsi

del concreto, di riprodurlo come concreto nello spirito. Mai però il processo di genesi del concreto stesso. Per

es. la categoria economica più semplice, diciamo per es. il valore di scambio, presuppone una popolazione, e

una popolazione produca secondo determinati rapporti; nonché un certo tipo di organizzazione familiare o

comunitaria o statale ecc. Esso non può esistere mai se non come nesso astratto, unilaterale di un tutto già

dato, concreto, vivente. Come categoria, invece, il valore di scambio ha un’esistenza antidiluviana”197

.

Queste dense pagine sono state naturalmente oggetto di un intenso dibattito. Nel suo Per

l’ontologia dell’essere sociale Lukacs ha affermato che la tipologia e il senso delle

astrazioni in Marx sono determinati non dal punto di vista logico né metodologico ma dalla

cosa stessa, cioè dall’essenza ontologica della materia trattata198

categorie semplici che

esprimono determinazioni dell’esistenza. Ma questa definizione sembra non essere del

tutto adeguata, o meglio sembra molto parziale. Infatti, l’idea di qualificare le astrazioni

come determinate dalle cose sembra richiamare a quella logica specifica dell’oggetto

specifico della critica alla filosofia del diritto hegeliano, ignorando così come quella

tematica fosse stata abbandonata da Marx. Un altro autore, Josè Chasin invece ha

individuato una serie di funzioni che le astrazioni svolgerebbero nell’economia della

metodologia marxiana199

: cioè mettere in evidenza le diversità precipue, derivanti dal

criterio ontologico d’indagine e punto di partenza dell’elaborazione teorica, che sappiano

evitare una rappresentazione caotica dell’insieme vivo. Chasin si richiama apertamente a

questo terzo paragrafo, per spiegare come, se si parta dalla totalità o da qualche altro

segmento di questa, si rischi di cadere in vuote astrazioni se non sono considerati come

vettori che la compongono, cadendo così in una rappresentazione definibile caotica poiché

composta da astrazioni svuotate dalla loro orditura. Si deve quindi iniziare con queste

astrazioni ragionevoli per raggiungere il concreto che è risultato. E questo ci

permetterebbe quantomeno di non cadere nelle difficoltà che invece attanagliano Lukacs,

che alla fine è costretto ad appellarsi ad una presunta assenza della categoria della

mediazione da parte dell’economia borghese, che comporterebbe così per i pensatori di

questa classe sociale ad arrestarsi alle immediate rappresentazioni200

. Per Lukacs

oltrepassare l’immediato vuol dire afferrare e comprendere gli oggetti “come momenti

della totalità, cioè come momenti della società complessiva, che si trasforma nella storia.

197 Cfr. Karl Marx, op. cit., pag. 245-6

198 Cfr. Gyorgy Lukacs, Ontologia dell’essere sociale, 3 volumi, Editori riuniti Roma, 1976-81, vol. I, pag.

302

199 Cfr. Josè Chasin, Marx ontologia e metodo, Mimesis, Milano 2010, pagg. 99 e ss.

200 Cfr. Gyorgy Lukacs, Storia e coscienza di classe, op. cit. , pag. 206

80

La categoria della mediazione come leva metodologica per il superamento della mera

immediatezza dell’empiria non è quindi qualcosa che interviene dall’esterno

(soggettivamente) negli oggetti, non è un giudizio di valore o un dover essere che si

contrappone al loro essere, ma è il rivelarsi della loro stessa struttura oggettuale autentica

ed oggettiva”201

, poiché l’azione della categoria della totalità si estrinseca molto prima

delle altre categorie.

E’ chiaro che per Marx nel percorso che va dal semplice al complesso, dall’astratto al

concreto, queste astrazioni ragionevoli devono perdere generalità attraverso un movimento

di specificazione, acquisendo i dati della particolarità e della singolarità 202

. Ma bisogna

tener presente per non fraintendere il ragionamento di Marx, che ogni determinazione del

reale, sia essa particolare o singolare, è, presa per sé, densa di connotati, quasi una pluralità

caleidoscopica e marezzata, che per essere afferrata nella comprensione teoretica necessita

di una astrazione che sappia separare singoli aspetti per comprendere meglio questi e il

tutto. Quindi quella visione per la quale Marx negherebbe l’esistenza di un universale, che

non si dia universale se non nel particolare, come tesi dettata dal fatto che le contraddizioni

che scindono e muovono il reale siano sempre specifiche e che questa specificità

appartenga universalmente alla sua essenza, tesi sostenuta da Mao Zedong203

e ripresa,

seppur in modalità nuove e con sviluppi non propriamente identici da Althusser204

, - finisce

per traviare ciò che voleva inseguire: la complessità del reale.

201 Ibidem, pag. 216

202 Hegel aveva rimproverato ai materialisti di interpretare l’universale in modo errato, finendo per

trasformarlo in uno dei tanti particolari affianco degli altri particolari: “Un hegeliano, leggendo le prime

sezioni del Capitale, direbbe che per determinazioni universali del valore sono prese le determinazioni di una

forma particolare e che perciò le determinazioni non sono universali” (cfr. Evald Vasilevic Ilenkov, Op. cit. ,

pag. 41), ma “ogni singolo passo dell’analisi, ogni singolo atto di riduzione del concreto all’astratto deve

avere di mira sin da principio il <tutto> che aleggia nella rappresentazione, nella viva intuizione e il cui

rispecchiamento è il fine massimo del lavoro teorico […]. In ciò sta il profondo senso dialettico della tesi

marxiana che il “passaggio dall’astratto al concreto” è il carattere specifico del processo teorico” (Ibidem,

pag. 97-8)

203 Cfr. Mao Zedong, Sulla contraddizione, Casa editrice in lingue estere, Pechino 1968

204 “Quando [Marx] dimostra che l’uso di concetti generali [ come produzione, lavoro ecc] è indispensabile

alla pratica teorica scientifica, questa prima generalità non coincide con il prodotto del lavoro scientifico: non

ne è il risultato ma la premessa. Questa prima generalità ( che chiameremo Generalità I) costituisce la

materia prima che la pratica teorica della scienza trasformerà in «concetti» specificati, ossia in quell’altra

generalità (che chiameremo Generalità III) «concreta» che è una conoscenza” (Cfr. Louis Althusser, Per

Marx, op. cit., pag. 161-2. Sempre per Althusser, quando Marx sostiene “ che ogni processo di conoscenza

81

L’uso di concetti generali, come quelli di produzione, lavoro ecc., sono indispensabili per

chi si occupa di scienza. Ma, per dirla con le parole del filosofo tedesco, hanno una

“esistenza storica o naturale indipendente, prima di quelle più concrete?”205

. La risposta è:

“Ca dèpend. […]. Il danaro può esistere, ed è storicamente esistito prima che esistesse il

capitale, prima che esistessero le banche, prima che esistesse il lavoro salariato ecc. .Da

questo punto di vista si può quindi dire che la categoria più semplice può esprimere

rapporti dominanti di un tutto meno sviluppato o rapporti subordinati di un tutto più

sviluppato, i quali ultimi storicamente già esistevano prima che il tutto si sviluppasse nella

direzione che è espressa in una categoria più concreta. Sotto questo aspetto il cammino del

pensiero astratto, che dal più semplice risale al complesso, corrisponderebbe al processo

storico reale.”206

Ma possono darsi anche società molto sviluppate nelle quali operano alte e complesse

forme di economia, come la cooperazione, un’ampia divisione sociale del lavoro senza che

esista danaro.

“Dunque questa categoria affatto semplice non appare storicamente nella sua piena

intensità che ai livelli più sviluppati della società. E mai comunque permeano tutti i

rapporti economici”207

.

Dunque le categorie più semplici, nonostante siano esistite storicamente prima di quelle

maggiormente concrete, possono appartenere solo a società complesse, mentre per quelle

concrete accade l’inverso. Per questo le astrazioni si danno solo dove il concreto è davvero

ricco e variegato, dove l’ambito del carattere comune tra i diversi è diffuso. E questo per

ribadire che l’astrazione si dà solo come prodotto, e come prodotto di una contingenza

storica nella quale il concreto è complesso ma dal quale si possono separare elementi

generali. Ma dire che l’astrazione sia un prodotto non vuol dire di certo pensare ad essa

come ad un particolare o singolare astratto dai concreti, o peggio al vero e più alto ordine

di realtà.

scientifica incomincia con un astratto, con una generalità, e non con concreti reali, egli mostra di avere

effettivamente rotto con l’ideologia e con la denuncia della sola astrazione speculativa, ossia con i suoi stessi

presupposti” ( Ibidem , pag. 168). Dovrà però ricredersi come testimoniano le riflessioni contenute nel

manoscritto Marx nei suoi limiti. Cfr. Louis Althusser, Marx nei suoi limiti, Mimesis, Milano 2004,

soprattutto pagg. 61 e ss. )

205 Cfr. Karl Marx, Op. cit., pag. 247

206 Ibidem, pag. 247-8

207 Idem

82

Eravamo partiti dal problema dell’opposizione e di quello della contraddizione, e siamo

giunti ad un’altra categoria logica: quella dell’astrazione. Sappiamo che cosa Marx abbia

abbandonato e ciò che ha scoperto o ritrovato nel suo percorso. E’ giunto il momento di

rintracciare queste tematiche nella sua grande opera: Il Capitale.

CAPITOLO TERZO

LA PROBLEMATICA FONDAMENTALE E LA LOGICA DEL

CAPITALE

I La nuova problematica e il “civettare”

Vedremo quanto il recupero del metodo delle astrazioni sia stato proficuo per le grandi

scoperte presenti nel Capitale, e quanto sia stato fondamentale, per un autore che aveva

rotto con la tradizione hegeliana, l’utilizzo di quella forma di esposizione che aveva rivisto

di passaggio dopo anni. Prima di addentrarci nello specifico, vogliamo mostrare come già

nei Grundrisse, nell’individuazione del ruolo del denaro come equivalente generale dei

valori delle merci, Marx segua un procedimento molto simile a quello adottato da Hegel

nella Logica, a proposito del rapporto qualità quantità. Leggiamo: “ E’ la merce come

denaro, e cioè non come denaro in generale, ma come una determinata somma di denaro,

giacché, per rappresentare il valore di scambio in tutte le sue distinzioni, il denaro deve

essere numerabile, quantitativamente divisibile”208

.

E’ chiaro che un valore d’uso, l’insieme delle sue qualità ( sempre per qualcuno ma mai

considerate per sé), qui si trasformano, nel rapporto con le altre merci, in una quantità

determinata, perdendo così le proprietà che discriminavano la merce in questione rispetto a

tutte le altre, “qualcosa di generico in cui ogni individualità, proprietà è negata e

208 Cfr. Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, La nuova Italia, Firenze

1968, Pag. 108

83

cancellata”209

, e dove il valore di scambio stabilisce il nesso sociale “degli individui

reciprocamente indifferenti”210

.

E’ evidente che qui Marx civetta con il metodo espositivo del filosofo di Stoccarda,

giocando più o meno esplicitamente con la visione contenuta nel capitolo sull’esser per sé,

in cui si sostiene che l’uno indifferenziato è principio della quantità, e dalla quantità stessa

sorgerebbe la qualità come risultato del rapporto tra qualità determinate211

, ma con la non

trascurabile, anzi fondamentale differenza che per Hegel le qualità, sono da pensarsi

dapprima come diverse e irrelate, e successivamente come una esprimentesi nell’altra. E

divenendo altra, l’eguaglianza che esiste tra queste diverse qualità, in quanto ognuno è

altro, rende possibile quell’espressione degli eterogenei tra loro. Al contrario, per Marx i

prodotti avrebbero una natura inizialmente diversa, che nello scambio mercantile, proprio

perché il singolo prodotto diventa per un altro in una dinamica processuale aperta alla

molteplicità delle merci, il valore di queste è riferibile al valore di ogni altra, perché

fondati su di un elemento comune: il lavoro oggettivato. La merce-denaro come misura in

cui si esprime il valore di scambio della merce è necessaria, data la differenza fra prezzo e

valore, tra la merce commensurata mediante il tempo di lavoro occorsa a produrla e il

prodotto del tempo di lavoro con la quale si scambia.

Infatti, proprio perché valore e prezzo sono diversi, l’elemento che determina il primo non

può essere l’elemento in cui vengono espressi i prezzi, perché altrimenti il tempo di lavoro

dovrebbe esprimersi contemporaneamente come ciò che determina e ciò che non

determina, come identico e non-identico di se stesso. Ciò sarebbe potuto forse andare bene

per Hegel, ma non per il campo relazionale analizzato da Marx.

L’unica utilità che un oggetto può avere in generale per il capitale può essere soltanto

quella di conservarlo o di moltiplicarlo. Il denaro non ha altro movimento all’infuori di

questa spasmodica volontà di moltiplicazione quantitativa. Dal punto di vista concettuale,

esso è l’insieme di tutti i valori d’uso; ma in quanto è pur sempre una determinata quantità,

il suo limite quantitativo è in contraddizione con la sua qualità. Ma il capitale è volontà di

rompere ogni misura, di andare oltre il limite quantitativo dando vita ad un processo

infinito212

. Siamo di fronte ad un altro esempio tipico del “civettare”. Sembra forte il

richiamo alle pagine sull’infinità quantitativa: “Il quanto si muta e diventa un altro quanto.

209 Ibidem, pag. 97

210 Idem

211 Cfr. Georg W. F. Hegel, Op. cit. , pag. 185

212 Cfr. Karl Marx, Op. cit. , pag. 47 e ss.

84

L’ulteriore determinazione di questo mutamento, che cioè prosegue all’infinito, sta in ciò

che il quanto è fissato come contraddicentesi in se stesso. Il quanto diventa un altro; ma nel

suo esser altro si continua; l’altro è dunque anch’esso un quanto. Questo però è l’altro non

soltanto di un quanto, ma del quanto stesso, il negativo suo come di un che limitato,e

perciò è la sua illimitatezza, la sua infinità”213

. “La determinazione della finità del quanto,

il rimandare al di là di sé a un altro, nel quale risiederebbe la sua determinazione, è in pari

tempo determinazione dell’infinito”214

, e nell’incontro “ il finito quantitativo si riferisce e

trasporta nel suo infinito, per avere in esso la sua assoluta determinazione. Questa loro

relazione ci è innanzitutto offerta dal progresso infinito quantitativo”215

. Ma il quanto ha

sempre di fronte a sé un nuovo limite, in ultima analisi, insuperabile, e questo desidero

spasmodico di tramutarsi in infinito rimane deluso.

I riferimenti ad Hegel potrebbero moltiplicarsi all’infinito. Per questo dobbiamo fare

chiarezza sull’impianto generale dell’opera e alla sua interna articolazione, prima di

continuare l’analisi degli aspetti particolari. Il capitale, frutto di un lavoro ventennale, si

articola in tre libri, di cui gli ultimi due incompleti216

, più un voluminoso libro, che fu

213 Ibidem, pag. 246

214 Idem

215 Ibidem, pag. 247

216 L’elaborazione del Capitale ha impegnato Marx – com’è noto- per oltre vent’anni. In questo lasso di

tempo ha rivisto più volte il piano di lavoro e quello espositivo. Inizialmente Marx aveva pensato di

pubblicare la sua opera in sei fascicoli: Per la critica dell’economia politica fu il primo. In alcune lettere del

1858 troviamo preziose indicazioni sulla strutturazione e suddivisione del suo capolavoro : “il tutto è

suddiviso in 6 libri. Del capitale (contiene alcuni capitoli preliminari). 2 Della proprietà fondiaria. 3. Del

lavoro salariato. 4. Dello Stato. 5. Commercio internazionale. 6. Mercato mondiale. […]. Nel complesso però

la critica e la storia dell’economia politica e del socialismo dovrebbe essere l’oggetto di un altro lavoro.

Infine il breve schizzo storico sullo sviluppo delle categorie e delle relazioni economiche un terzo lavoro.

After all, ho il vago presentimento che proprio ora, nel momento in cui dopo 15 anni di studi sono arrivato al

punto di por mano alla cosa, movimenti tempestosi dall’esterno probabilmente sopravverranno a

interrompermi” Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. 40, pag. 578; Ibidem, pag. 329; Ibidem Pag.601-2. Alla fine della

Introduzione Marx abbozza un piano per la divisione della sua opera in tre parti, ancora sulla falsa riga

concepita anni addietro, di scrivere un’opera economica che trattasse la critica dell’economia politica, la

critica dei socialisti, e una storia dell’economia politica: La prima parte doveva suddividersi in 5 grandi

sezioni. All’inizio si dovevano esaminare le determinazioni generali-astratte più o meno comuni a tutte le

forme sociali, seguite da una trattazione specifica del modo di produzione capitalistico, analizzandone le

categorie economiche peculiari nonché le relazioni tra le tre grandi classi sociali che la compongono:

capitalisti, proprietari fondiari e proletari. Il terzo libro doveva affrontare in particolare lo Stato, con l’analisi

delle colonie, dell’immigrazione, delle classi improduttive, delle imposte ecc. Seguivano due libri che

85

diviso in tre tomi, sulla storia delle teorie217

: nel primo si affronta la tematica della

produzione, sotto il duplice ambito logico e storico. Per questo, ogni categoria presente nel

libro, se dal punto di vista storico può essere considerata concreta, dal punto di vista della

esposizione logica va considerata nel suo carattere astratto. Quindi nel primo libro le

categorie con le quali si analizza il processo storico di formazione del sistema capitalistico,

viste nella loro genesi storica, sono tutte concrete; le stesse, nel rapporto logico, diventano

astratte, quando vengono considerate unilateralmente. Il nesso astratto-concreto non si

pone tra un prima e un dopo storico della stessa categoria. Questa duplicità non può

verificarsi nel secondo libro, dedicato alla circolazione del capitale, in cui manca la

dimensione storica218

. L’uso delle categorie logiche del secondo libro è diverso rispetto al

primo, poiché se in quest’ultimo si passa dall’analisi della merce alla deduzione del

denaro, dal denaro al capitale e al lavoro salariato per poi analizzare il plusvalore,

nell’analisi della circolazione abbiamo una più semplice esposizione del modo di relazioni

rispettivamente avrebbero dovuto trattare la divisione internazionale del lavoro e lo scambio internazionale, e

il mercato mondiale e la crisi. Nel dicembre del 1862 annunciava, ancora a Kugelmann la prosecuzione dei

lavori di pubblicazione della sua opera in fascicoli. Cfr. Meoc, op. cit. , vol. XLI, pag. 695. Ma nel 1865 il

piano dell’opera è mutato radicalmente come possiamo intuire da una lettera inviata ad Engels, Cfr. Meoc,

op.cit., vol XLII, pag. 142. Indicazioni più precise le fornisce direttamente Marx a Kugelmann l’anno

successivo: “Io suddivido l’intera economia politica in 6 libri: Capitale; Proprietà fondiaria; Lavoro salariato;

Stato; Commercio estero; Mercato mondiale.” cfr. Meoc, Op. cit. , vol. 42, pag. 58: “Tutta l’opera si divide

nelle parti seguenti:

Libro I. Il processo di produzione del capitale.

Libro II. Il processo di circolazione del capitale.

Libro III. Formazione del processo complessivo.

Libro IV. Contributo alla storia della teoria

[…].

Ho ritenuto necessario ricominciare nel primo volume ab ovo, cioè dal riassumere il mio scritto apparso

presso Duncker [ si tratta del testo Per la critica dell’economia politica] in un unico capitolo sulla merce e il

denaro. Ho ritenuto necessario ciò non solo per essere completo, ma perché anche delle teste capaci non

hanno compreso appieno la cosa, e dunque vi doveva essere nella prima esposizione qualche cosa di

manchevole, specialmente nell’ analisi della merce” Cfr. Ibidem, pag. 580. Nell’epistolario non abbiamo

ulteriori indicazioni sugli indici delle opere, fatta eccezione per una dettagliata descrizioni della suddivisione

del terzo libro. Cfr. Meoc, op. cit., vol. 43, pag. 80-1. Per un’attenta e dettagliata ricostruzione della

problematica non si può non leggere la monumentale opera di Roman Rosdolsky cfr. Roman Rosdolsky,

Genesi e struttura del <capitale> di Marx, Laterza, Bari 1971).

217 Anch’esso rimasto incompiuto, e di cui Marx ci offre un indice particolareggiato. Cfr. Meoc, Op. cit. , vol.

XXXV, pag. 3-4-5

218 Probabilmente l’assenza di una trattazione storica è spiegabile con l’incompiutezza del secondo libro

86

delle figure già, per così dire, formate nella produzione, tentando di ricostruire i rapporti

tra le parti e la loro sussunzione in un tutto. Il secondo libro è segnato dalla dinamica tutto-

parti sulla base non di una deduzione di carattere storico o logico ma in base alle relazioni

dei rapporti interni ai singoli capitali sino ai rapporti con il capitale complessivo. Per

questo astratta non è la categoria ma il tipo di relazione.

Ritroviamo questo aspetto già nell’analisi del ciclo del capitale monetario, la cui formula è

D-M…P…M’-D’,cioè denaro, merce, capitale produttivo, merce delta, denaro delta. I

puntini indicano che il processo di circolazione d’ è interrotto219

. Nel libro primo Marx

aveva trattato il primo e il terzo momento. Non il secondo, che rappresenta il processo di

produzione del capitale, con le diverse forme che nei suoi vari stadi il capitale assume e

delle quali esso, quando si rinnova il ciclo, a volte si riveste a volte si disfa. Il primo ciclo

D-M indica il convertirsi di una somma di denaro in una somma di merci; dalla parte

dell’acquirente, trasformazione del suo denaro in merce, da quella dei venditori,

trasformazione delle loro merci in denaro. La merce è dunque uguale a L + Pm, forza

lavorativa più mezzi di produzione.

In genere D-L è ritenuto caratteristico del modo di produzione capitalistico, ma non perché

l’acquisto della forza lavorativa sia stata acquistata tramite un contratto in cui ci si accorda

sulla fornitura d’una quantità di lavoro maggiore a quella necessaria per rimpiazzare il

prezzo della forza lavorativa, espressa nel salario, ma grazie alla sua forma, dato che nella

forma del salario la forza lavoro, presentantesi come merce, e non come lavoro in sè, viene

acquistata tramite una data quantità di denaro. Il rapporto di classe è già insito allorché

capitalista e salariato si contrappongono nell’atto D-L, come figure che posseggono

rispettivamente mezzi di produzioni e forza-lavorativa220

. Un simile rapporto rende il

219 Cfr. Karl Marx, Il Capitale , Newton, Milano, 1996, pag. 579

220 A proposito di certe considerazioni metafisiche circa le origini Marx nota: “A questo punto non ci

interessa quale sia stata l’origine d’una tale separazione. Allorchè si attua D-L, essa esiste” Cfr. Ibidem, pag.

583-4. La medesima considerazione la possiamo fare a proposito del rapporto tra D…D’ che “può essere il

primo ciclo d’un capitale; può essere l’ultimo; può valere come forma del capitale sociale complessivo; è la

forma del capitale che viene investito per la prima volta, sia come capitale accumulato per la prima volta

sotto forma di denaro che come vecchio capitale convertito tutto in denaro perché venga trasferito da un ramo

della produzione a un altro” Cfr. Ibidem, pag. 601.

Chiaramente manca qui qualsiasi interesse verso l’inizio assoluto, o a fine assoluta del processo.

“La circolazione generale comprende sia il connettersi dei cicli dei diversi frammenti autonomi del capitale

sociale, che è l’insieme dei singoli capitali, sia la circolazione del valori immessi sul mercato non come

capitale, che cioè fanno parte del consumo individuale” pag. 607

87

denaro una funzione del capitale, e non la considerazione di una potenzialità naturale del

denaro stesso che sarebbe in grado di garantire un simile rapporto.

Ciò vale anche per i modi di produzione passati: esistendo la schiavitù, il denaro può essere

speso nell’acquisto di schiavi. Ciò che discrimina il modo di produzione capitalistico da

quelli precedenti è che esso produce merci. In D-M-D’ è presente sia la riconversione

finale del valore capitale nella sua primitiva forma di denaro, e questa è una funzione del

capitale merce, sia, in un secondo aspetto, questa funzione comprende la prima

conversione del plusvalore dalla sua primitiva forma di merce nella forma di denaro. Qui il

denaro ha un duplice ruolo: da una parte è la forma ricorrente di un valore anticipato

all’origine sempre in denaro, quindi è un ritorno alla forma di valore che era all’inizio del

processo; d’altra parte essa è la prima forma trasformata di un valore che all’origine

s’immette nella circolazione sotto forma di merce, e che in essa si raccoglie come

plusvalore.

Per questo al termine del processo il valore capitale si trova nuovamente in quella forma in

cui s’era immesso, e quindi di nuovo può iniziare e concludersi come capitale monetario,

essendo qui all’inizio e alla fine capitale monetario. Questo ciclo è modificato non nella

forma, bensì nella grandezza del valore anticipato. Credo che qui Marx sia deciso ad

insistere sull’aspetto quantitativo di riproduzione del capitale, perché le parti di valore

valorizzato non si differenziano qualitativamente come tali l’una dall’altra, se non

apparendo come valori di articoli diversi, quindi in forme d’uso diverse, come corpi di

merci diverse, distinzione che non è dovuta a loro stesse. E queste distinzioni qualitative

spariscono, o meglio si celano, dietro lo scambio mediante denaro, essendo questo la forma

di equivalente comune a tutte le altre merci. Ciò comporta il ripensamento della distinzione

tra qualità e quantità, reso possibile dalla considerazione che gli elementi sono creati, non

semplicemente inseriti, all’interno di una struttura specifica e con carattere che potremmo

denotare con il termine di dominante. Il termine universale sarebbe fraintendibile e

soprattutto non corretto, per ragioni che capiremo nel prossimo capitolo. Dunque capitale

monetario e capitale merce sono modi d’esistere del capitale. L’uno come capitale sotto

forma di denaro, l’altro sotto forma di merce. Entrambi nel processo di circolazione.

Quando vengono presi nel processo di produzione la loro forma è quella di capitale

industriale. Il capitale industriale è la sola maniera d’esistere del capitale in cui la funzione

del capitale stesso non consiste unicamente nel far proprio rispettivamente il plusvalore e il

plusprodotto, ma allo stesso tempo consiste nella sua creazione. Esso condiziona il

carattere capitalistico della produzione, e rispetto ad esso gli altri generi di capitale apparsi

88

prima di esso in seno ad altri modi di produzione passati o non dominanti, non solo gli

sono subordinati e trasformati a seconda delle mutevoli esigenze, ma agiscono oramai

unicamente sulla base e oseremmo dire in funzione di esso. Il loro medesimo perdurare è

sempre legato al signoreggiare di questo. E questo non è affatto un aspetto secondario della

nostra analisi.

Da quanto detto infatti è chiarissimo che se nel primo libro il denaro, quando è preso a sé, è

considerato astratto o unilaterale dal punto di vista logico, in questo secondo libro

l’astrazione è riconducibile al rapporto tra due parti del capitale (D-M) se autonomizzato

rispetto al rapporto inverso (M-D) e questi due rapporti insieme rimangono astratti nei

confronti di rapporti decisivi che rendono la struttura del tutto del capitale assai più

complessa rispetto a qualsiasi altro modo di produzione preso di per sè. Ma questo ci

impegna immediatamente in un’altra problematica, che potrebbe nascere già con la lettura

di questa ricostruzione che abbiamo presentato. Marx non ha di certo pensato né tantomeno

attuato un processo apparentemente contraddittorio tra due opposti quale lo sviluppo

storico che va da forme primitive di produzione e di scambio a forme sempre più

complesse, e uno logico che parte dalla merce, dallo scambio e dal denaro per dedurne il

plusvalore e il salario. Nel terzo libro, dove viene ricordato che “il processo di produzione

capitalistico, preso in sé, è unità di produzione e di circolazione”221

Marx tenta di enucleare

le forme concrete che nascono da questo processo complessivo del capitale, di cui

produzione e circolazione sono solo dei momenti particolari. Nel III libro lo stesso

significato di astrazione è diverso, ed è usato per indicare le false rappresentazioni circa la

produzione delle merci, il capitale monetario e la divisione delle quote di plusvalore. E’

chiaro che il termine astrazione ha una forte valenza polisemantica. Prima di esporle,

dobbiamo fare ulteriori precisazioni. Questa duplicità espositiva venne particolarmente

apprezzata da Engels222

, e questo per varie ragioni: innanzitutto l’intreccio tra logico e

storico sconfessa la trattazione delle leggi economiche contemporanee come eterne ; in

secondo luogo, questo metodo duplice avrebbe avuto il grande merito di rimettere in luce il

metodo dialettico, spogliandolo dai veli idealistici ed estraendo il nocciolo che racchiude le

grandi scoperte fatte dal precursore Hegel,223

e di applicarlo ad una scienza come quella

l’economia politica; infine, tenta di giustificare il metodo logico di Marx, mostrando come

le categorie economiche appaiono nello stesso ordine e con la stessa coesione interna sia

221 Ibidem, pag. 929

222 Cfr. Meoc, Op. cit., Vol. XX, pag. 212 e ss.

223 Engels segnala qui, e lo individua come nocciolo, il senso storico dell’impostazione hegeliana

89

che ci si attenga ad uno sviluppo logico, sia che si segua la ricostruzione della successione

storica. La direzione è la stessa: quella di passare dal meno complesso al più complesso.

Nasce però un problema del tutto peculiare: Potremmo credere che l’esposizione sia

qualcosa di diverso rispetto alla ricerca, e che il metodo utilizzato sia diametralmente

opposto al modo di narrare i risultati. Ciò porterebbe a non poter comprendere la logica

sottesa a questa grande opera. Anzi a doverla cercare altrove, non nelle dense pagine dei

volumi bensì nelle minute, negli appunti e negli abbozzi. Ma non è forse accaduto proprio

questo? Non ci si è sbizzarriti intorno alle pagine dei Grundrisse per legittimare

qualsivoglia interpretazione? Non si è cercato nei Manoscritti del ’44 la vera filosofia di

Marx? Di fronte all’imponente ricerca esposta ne Il Capitale, la critica ha troppo spesso

approfittato dei fogli di appunti per tentare di rendere intelligibili alcune concezioni e

alcuni risultati o peggio ancora per snaturarli e diluirli in altri concetti assenti nell’opera

principale, anzi nel capolavoro del pensatore di Treviri? Si è potuto pensare addirittura che

il vero Marx fosse in quelle pagine di appunti, quei fogli pieni di cancellature, di

modifiche, che invece attestano esclusivamente una reale ossessione maniacale per la

scienza, e che quelle pagine di appunti simboleggiassero un atteggiamento volutamente

non sistematico di Marx, e i lavori che egli lasciò inediti custodirebbero i pensieri più

fecondi.

Invece, la logica di Marx va cercata nelle pagine di questo capolavoro, il Capitale, perché è

in esse che si palesa. Pensiamo al carattere dell’opposizione. Nei termini della dialettica

hegeliana essa implica l’unità dell’identità e della diversità: “L’opposizione è l’unità

dell’identità e della diversità; i suo momenti son diversi in una sola identità; così sono

opposti. L’identità e la differenza sono i momenti della differenza contenuti dentro lei

stessa; sono momenti riflessi della sua unità” 224

. Senza remore, bisogna mostrare i luoghi

e gli ambiti dove Marx continua a “civettare” con le modalità espressive di Hegel, così da

poterne coglierne meglio lo scarto radicale.

La merce non è un che di naturale. Ciò vuol dire che essa non solo è un prodotto, ma

soprattutto è il risultato di una meccanismo di produzione specifico che ha in sé un

carattere sociale storicamente determinato. Non si presenta in ogni modo di produzione

esistente o esistito.

Marx dimostra che la merce ha una articolata struttura interna di due determinazioni non

convertibili reciprocamente. Da una parte è valore d’uso, dall’altro supporto del valore.

La prima risponde ad un bisogno umano del singolo; l’altra è un rapporto sociale.

224 Cfr. Georg W. F. Hegel, op. cit., pag. 473

90

Possono esserci enti prodotti dal lavoro e con valore d’uso senza essere merci, ma è

impossibile invece che una merce non sia e valore d’uso e prodotto per lo scambio. Il

valore d’uso non è oggetto dell’economia politica, ma della merceologia, salvo il caso in

cui essa riesce a modificare i rapporti di produzione – ma nulla ci è detto in favore di questi

casi. È probabile che Marx l’abbia solo menzionata come possibilità logica.

Le merci possono essere scambiate, ed esser misurate reciprocamente, perché possiedono

un’identica qualità, sono valore. Ma non semplicemente valore. Esse sono

specificatamente valore quantitativamente determinato. Ma nello scambio il loro essere

valore di scambio e valore non sono reciprocamente convertibili. Qui la merce deve

confermarsi come unità di entrambe le determinazioni, altrimenti si ricadrebbe in una

contraddizione tra le qualità naturali ed economiche della merce stessa. E non dobbiamo

nemmeno cadere nella facile illusione che vi sia, nell’atto dello scambio, una sorta di

trasformazione del valore d’uso in valore di scambio, cioè una conversione di una qualità

intrinseca di un prodotto in una quantità. La cosa va vista in modo assai diverso.

Se la merce è distinta da se stessa in quanto valore, in quanto valore essa è distinta da se

stessa in quanto prodotto. Il carattere qualitativo d’esser valore deve acquisire un’esistenza

diversa dal suo carattere naturale,e questo garantirebbe la loro scambiabilità nel mercato.

Altrimenti si finirebbe nella situazione logicamente assurda di permutare merci

quantitativamente e qualitativamente eguali. Nello scambio tutte le qualità delle merci

sono cancellate. Per essere scambiabili le merci devono ricevere la loro denominazione in

un’unità. Tra due merci da scambiare, la valutazione dell’atto dello scambio si ha con una

terza merce che funge da elemento comune su cui poter confrontare il valore delle due

merci. Il valore non si esprime semplicemente in tempo di lavoro, ma una determinata

oggettivazione di tempo di lavoro.

La merce “si espone come questo doppio che essa è, non appena il suo valore possiede una

propria forma fenomenica diversa dalla sua forma naturale, quella del valore di scambio,

ed essa non possiede mai questa forma considerata isolatamente, bensì sempre solo nel

rapporto di valore, ovvero di scambio con una seconda merce di genere diverso”225

.

La merce A ha un valore qualitativo, che assume sul mercato, nei confronti di un'altra

merce, un valore quantitativo, essa si esprime nell’altra merce. Essa è se stessa, ma si

esprime in B. E viceversa: “ La considerazione più precisa dell’espressione di valore della

merce A contenuta nel rapporto di valore con la merce B ha mostrato che, all’interno di

esso, la forma naturale della merce A vale solo come figura del valore d’uso, la forma

225 Cfr. Meoc, Op. cit., Vol. XXXI, pag. 71

91

naturale della merce B vale solo come forma di valore o figura di valore. L’opposizione

interna, chiusa dentro la merce, di valore d’uso e valore viene dunque esposta attraverso

un’opposizione esterna, cioè attraverso il rapporto di due merci in cui una merce, il cui

valore deve essere espresso, vale immediatamente solo come valore d’uso, l’altra merce

invece, in cui il valore deve essere espresso, vale immediatamente solo come valore di

scambio”226

. L’attenta lettura di queste pagine richiama alcuni concetti espressi nella

Logica. Infatti Hegel quando tratta dell’esser determinato, sotto l’aspetto della finità,

afferma che se noi chiamassimo “un certo determinato essere A, e l’altro B, in sulle prime

è B, che è determinato come l’altro. Ma anche A è a sua volta l’altro di B. Tutti e due sono

in pari maniera altri”227

. A dunque contiene già in sé l’essere dell’altro, ma essendo

separato, è posto “ in relazione col suo esser altro; non è puramente il suo esser altro.

L’esser altro è in pari tempo contenuto in lui, e in pari tempo ancora da lui separato; è esser

per altro”228

.

Rimandi al metodo espositivo hegeliano li ritroviamo anche nell’analisi della forma

relativa di valore della merce, che per Marx rimane incompiuta perché la serie che la

rappresenta non si chiude mai. Ad ogni catena che esprime la forma relativa di valore di

due o più merci possiamo sempre aggiungere altre e nuove merci, e se “il valore relativo di

ogni merce viene espresso in questa forma dispiegata, la forma relativa di valore di ogni

merce è una serie senza fine di espressioni di valore, diversa dalla forma relativa di valore

di ogni altra merce”229

. La forma relativa di valore sviluppata consiste nella sommatoria di

espressioni relative di valore semplici. Anche qui, come non pensare alle pagine della

Logica dedicate al passaggio del finito nell’infinito: il finito nel perire “non è perito; è

divenuto dapprima soltanto un altro finito, il quale però è a sua volta il perire come passare

in un altro finito e così via, in certo modo all’infinito”230

, poiché soltanto il “cattivo infinito è

l’al di là, essendo negazione astratta, la negazione prima. Determinato soltanto come negativo, cotesto

infinito non ha in sé la determinazione dell’esserci. Anzi, fissato soltanto come un negativo, non deve esserci;

dev’essere irraggiungibile. Questa irraggiungibilità non è però la sua sublimità o il suo pregio, ma il suo

difetto, che ha il suo ultimo fondamento in ciò, che al finito come tale si attribuisce un fermo essere. Il non

ero è l’irraggiungibile; e si può vedere che un infinito simile è il non vero. – L’immagine del progresso

all’infinito è la linea retta. Solo ai due limiti di questo infinito è e continua sempre ad essere, là dove la linea,

226 Ibidem, pag. 72

227 Cfr. Hegel, Op. cit., pag. 113

228 Ibidem, pag. 114-5

229 Cfr. Meoc, Op. cit., vol. XXXI,- pag.75

230 Cfr. Hegel, Op. cit. , pag. 137

92

che è esserci, non è , mentre poi la linea stessa esce in questo suo non esserci, vale a dire nell’indeterminato.

Come vera infinità, ripiegata in sé, la sua immagine diventa il circolo, la linea che ha raggiunto se stessa, che

è chiusa e intieramente presente, senza punto iniziale né fine”231

.

Quella cattiva infinità delle merci si supera selezionando un’unità di misura, di riferimento

che regoli lo scambio tra le merci. E questo è possibile solo perché la stessa unità è merce,

ossia in essa ritroviamo il lavoro come elemento in comune con tutte le altre poste sul

mercato.

Queste merci dunque hanno un elemento di identità forte, e simultaneamente anche un

carattere di diversità esprimente le qualità peculiari.

Anche nel secondo libro del Capitale vi sarebbero aspetti molto simili con il secondo libro

della Logica232

. La categoria più caratteristica sarebbe quella della reciprocità e dell’azione

reciproca. Produzione e circolazione per Marx si compenetrano costantemente. Per questo

siamo conviti che l’analisi della circolazione ci offrirebbe nuove determinazioni del

concetto di valore. Il capitale sotto il rispetto della circolazione cambia continuamente

forma. Nel passare dalla produzione alla circolazione subisce varie metamorfosi. Infatti,

cambia forma quando da forma denaro diventa forma lavoro o forma merce, o quando da

forma merce per la produzione assume la forma definitiva di merce per la vendita. Per

questo Marx afferma che “i cicli dei capitali individuali si intersecano gli uni con gli altri,

si presuppongono e si condizionano a vicenda, e proprio con questa sovrapposizione

formano il movimento del capitale sociale complessivo”233

.

Infine, nel terzo libro essendo la produzione ad assegnare i ranghi, ma il saggio medio del

profitto che stabilisce dove, come e quanto produrre, potremmo trovare un’interessante

analogia circa il manifestarsi del concetto e le sue figurazioni. Se per Hegel il concetto, pur

comparendo alla fine, è l’intima sostanza di tutto ciò che lo ha preceduto, per Marx ciò che

si presenta per ultimo nell’esposizione è la superficie del sistema, nascondendo in sé la

vera sostanza.

Il saggio medio non è un effetto della produzione in quanto tale. Se per un verso quindi il

profitto è regolato dalla produzione che è la base di tutto, per un altro verso il profitto

regola la produzione. Dice Hegel: “Da questo lato il concetto dev’essere anzitutto

riguardato in generale come il terzo rispetto all’essere e all’essenza, rispetto all’immediato

e alla riflessione. Essere ed essenza son pertanto i momenti del suo divenire, ed esso è la

231Ibidem , pag. 153

232 Con i capitoli sull’azione reciproca. Cfr. Hegel, Op.cit. , pag. 643

233 Cfr. Karl Marx, Op. cit. , pag. 799

93

base e verità, come l’identità in cui quelli son tramontati e contenuti. Quei momenti son

contenuti nel concetto, perché questo è il lor risultato, ma non son più contenuti come

essere e come essenza, questa determinazione non l’hanno che in quanto non sono ancora

rientrati in questa loro unità”234

.

Il concetto rispetto all’essere e all’essenza è il fondamento, di cui essere ed essenza sono

momenti. Esso li subordina, e nella sua articolazione come un tutto, che appare solo alla

fine nonostante sia presupposta dall’inizio, mantiene l’unità tra i 2 momenti. Nel Capitale

invece il saggio di profitto “senz’ombra di dubbio è un risultato e non un punto di

partenza”235

, e soprattutto in Marx produzione, consumo, distribuzione, circolazione si

compenetrano reciprocamente, ma non svaniscono né vengono contenute e riassorbite in

un risultato superiore ad essi.

In conclusione, prima di addentrarci nelle specifiche ricostruzioni della complessa analisi

del valore e delle categorie di astratto e concreto, abbiamo voluto mostrare gli ambiti

all’interno del Capitale dove Marx recupera e utilizza ai fini dell’esposizione quel modo

hegeliano di civettare , e ciò è voluto non solo dal fatto che le modalità espositive sono

inscindibili dal discorso intorno alla logica elaborata dal filosofo di Treviri, ma perché non

vogliamo sottrarci a riconoscere alcune problematiche che possono sorgere da quel

modello ermeneutico che abbiamo deciso di seguire: il paradigma della linea non

continuistica. È chiaro dunque che con questa esposizione non si vogliono riabilitare né

legittimare vecchi modelli che vedevano in Marx un mero epigono di Hegel, incapace di

compiere sino in fondo il parricidio del maestro, perché,e credo lo sia visto in modo

quantomeno sufficiente, le riflessioni dei due filosofi si svolgono su domini differenti e

autoescludentesi. E non è affatto casuale in tal senso che la rilettura della Scienza della

logica sia avvenuta nello stesso periodo in cui Marx distruggeva la teoria della rendita

fondiaria di Ricardo. Infatti, nel terzo libro del Capitale, quasi come se avesse ricordato

questo fatto, in una lunga nota afferma senza mezzi termini il “carattere ridicolo” della

spiegazione di Hegel sull’argomento. Se Marx fosse rimasto imbrigliato dalla logica del

maestro e dalla problematica a cui essa veniva applicata, sarebbe ricaduto nello stesso

errore di Hegel. Riporterò questa lunga citazione integralmente, perché ci aiuta a

comprendere ancora una volta cosa voglia dire l’aver cambiato dominio ontologico: “Non

v’è nulla di più ridicolo della spiegazione di Hegel riguardo alla proprietà privata della terra. L’uomo in

quanto persona deve attuare la sua volontà come anima della natura esterna, e quindi deve prendere possesso

234 Cfr. Georg Hegel, Op. cit. , pag. 651

235 Cfr. Karl Marx, Op. cit. , pag. 1030

94

di questa natura come sua proprietà privata. Se questo è il destino <della persona>, dell’uomo in quanto

persona, si deve ricavare che ogni essere umano dovrebbe essere un proprietario fondiario per potersi

realizzare come tale. La libera proprietà privata della terra – un prodotto assai moderno- non è per Hegel un

certo rapporto sociale, ma un rapporto tra l’uomo, preso quale persona, e la <natura>, <il diritto assoluto

dell’uomo di appropriarsi di tutte le cose>236. E’ chiaro in primo luogo, che il singolo individuo non può

grazie alla sua <volontà”>affermarsi come proprietario contro la volontà di altri che intendono ugualmente

impossessarsi dello stesso pezzo di terra. Per questo non basta certo la buona volontà. Non si può senz’altro

valutare dove <la persona> intenderà porre i limiti alla realizzazione delle proprie volontà, se quest’ultima

vorrà realizzarsi in un intero paese o se le occorrerà tutto un complesso di paesi per <manifestare>,

prendendone possesso, <la supremazia della mia volontà nei confronti dell’oggetto>. Qui Hegel sbaglia

completamente. <La presa di possesso è di natura affatto individuale; io prendo possesso solo di ciò che si

trova a contatto con il mio corpo, ma è vero che le cose al di fuori di esso hanno un’estensione più larga di

quanto io possa comprendere. Quando posseggo un oggetto, vi è anche un’altra cosa che è unita ad esso. Io

prendo possesso con la mano, ma il campo di azione della mia stessa mano può essere allargato>. Ma

quest’altra cosa è nuovamente unita a un’altra, e così viene meno il limite entro il quale la mia volontà può

attuarsi come anima nella terra >se io posseggo qualcosa, con la mia ragione deduco immediatamente che mi

appartiene non solo quanto posseggo tra le mani, ma anche ciò che è collegato ad esso. Qui deve affermarsi il

diritto positivo, in quanto nient’altro può dedursi dal concetto>. Questo rappresenta una connessione

veramente ingenua del <concetto> e dimostra che il concetto, il quale a priori sbaglia nel ritenere come

assoluta una concezione giuridica della proprietà terriera ben determinata e inerente alla società borghese,

non comprende <nulla> delle reali forme di questa proprietà privata. Allo stesso tempo è racchiusa in ciò

l’ammissione che le mutevoli esigenze dello sviluppo sociale, vale a dire economico, possono e debbono

portare a un cambiamento del <diritto positivo>”237

. Un’analisi corretta della rendita fondiara deve

dunque fondarsi su di un altro suolo: non più partire dal rapporto lacerato fra uomini e

natura, con tutto quello che una simile dicotomia metafisica comporta nell’interpretazione.

Lo potevamo già intuire quando abbiamo parlato della formula del capitale monetario: nel

secondo atto, D-M, l’unico problema che investe Marx è il sapere come questo garantisca

la sopravvivenza del salariato e come l’atto del consumo ricada non nella circolazione del

capitale individuale bensì nella circolazione generale delle merci, essendo acquisto da parte

dell’operaio dei propri mezzi di sostentamento. E’ un dato di fatto, che Marx ha ribadito in

modo chiarissimo: il suo metodo non parte dall’uomo, ma da una struttura economica

determinata238

, e di conseguenza ogni visione metafisica che comporti conflitti con la

natura o discorsi circa le opposizioni della volontà, i conatus ecc. come quelli da cui

partiva o giungeva Hegel, in Marx non hanno nessun ruolo.

236 Cfr. Georg Hegel, Lineamenti fondamentali della filosofia del diritto, op. cit. par. 44

237 Cfr. Karl Marx, Il capitale, op. cit. , pag. 1331

238 Cfr. Karl Marx, Scritti inediti di economia politica, Editori riuniti, Bologna 1963, pag. 178

95

Altrimenti Marx non sarebbe riuscito a comprendere le caratteristiche peculiari della

rendita fondiaria. Ma ciò è accaduto solo perché egli ha abbandonato una problematica che

avrebbe letto sempre in una determinata modalità la questione, senza mai risolverla, poiché

incapace di comprenderne le cause e le conflittualità intrinseche.

II Il lavoro astratto, la merce e il problema dell’inizio

Abbiamo voluto mostrare nel modo più ampio possibile i luoghi nei quali Marx “civetta”

con lo stile hegeliano. Abbiamo visto che quasi tutti i riferimenti sono presi dalla Scienza

della logica. Dobbiamo ora compiere un ulteriore passo nella nostra indagine, ponendoci

un quesito di certo non semplice ma sicuramente decisivo ai fini della comprensione di

quella che è una ricerca degli aspetti logici utilizzati da Marx: perché il capitale inizia con

l’analisi della merce?

Con questa domanda è in gioco l’intera ipotesi su cui si regge la nostra tesi, e anche le due

linee di tendenza ermeneutiche che abbiamo in più punti chiamato in causa. Iniziare

un’analisi scientifica, che si pensava essere andata oltre l’idealismo, dovrebbe far

ridiscutere integralmente le ragioni di chi sostiene l’ipotesi della rottura. La circostanza in

cui Marx “civetta” con Hegel e con il suo stile precipuo è nulla rispetto a questa difficoltà.

Marx era stato un giovane aderente alla sinistra hegeliana, e da giovanissimo aveva rotto

con essa. Il campo sul quale aveva ingaggiato la sua battaglia era altro rispetto a quello

idealistico, e di esso era arrivato a rifiutare persino il concetto di astrazione.

Successivamente, dopo anni, rileggendo la Logica, decide di riutilizzarla ai fini

dell’esposizione. Per questo, prima di affrontare questa difficoltà, abbiamo deciso di

esporre i brani che sembrano richiamare ad Hegel. Ma questo non vuol dire che Marx sia

tornato sui suoi passi. Al massimo, il suo atteggiamento ci svela un carattere peculiare di

molte scienze che nascono da una rottura epistemologica con una ideologia. Marx

riconosce, con il distacco di chi ha acquisito un proprio statuto teorico, alcuni aspetti che di

Hegel possono , a mò di un classico, continuare a dire ancora qualcosa. Hegel è pur sempre

colui che ha esposto la logica in un modo compiuto, anzi è stato il più alto esponente di un

certo modo di intenderla. Non bisogna avere paura di porre in confronto le pagine de Il

96

capitale con nessuna opera filosofica, come se si andasse alla ricerca di alcuni elementi che

possano suffragare la tesi per la quale Marx non sia mai andato oltre l’idealismo tedesco.

Ma allora perché Marx inizia la sua opera con l’analisi della merce? Ciò porta

immediatamente al difficile compito di comprensione del valore, e sappiamo bene che

Marx ha rivisto più volte proprio la prima sezione del Capitale perché ne era rimasto

insoddisfatto. Ulteriore complicazione era data dall’esposizione dialettica della materia

trattata239

.

La trattazione di questa tematica era lo scoglio più grande con il quale il filosofo di Treviri

si è imbattuto, e qui è riposta la chiave d’accesso al mistero dell’economia politica, la

quale non aveva mai saputo spiegare il meccanismo della valorizzazione della merce

perché incapace di comprendere i rapporti di produzione, finendo così per non spiegare

ulteriormente in che modo si accumulasse capitale in mano a chi deteneva i mezzi

produttivi. Sia le determinazioni del valore, articolate in sostanza, grandezza e forma di

239

Già Engels, all’indomani della pubblicazione, non fece mistero delle eccessive difficoltà della prima

sezione (nella prima edizione chiamata ancora capitolo): “Tu però disponi di tanti materiali al proposito, che

di certo potrai ancora fare una buona digressione che dimostri al filisteo con argomenti storici la necessità

della formazione del denaro e il processo con cui essa avviene. Tu hai commesso il grosso errore di non

rendere evidente la linea del pensiero di questi sviluppi più astratti mediante un maggior numero di piccole

ripartizioni e di sottotitoli separati. Avresti dovuto trattare questa parte al modo dell’ “Enciclopedia” di

Hegel, con brevi paragrafi, rilevando ogni passaggio dialettico con speciali titoli” Cfr. Meoc, Op. cit., vol.

XLII, pag. 333. Marx, civettando per celia anche in questa lettera, in parte seguirà i preziosi consigli

dell’amico. Riportiamo la sua risposta: “Per quanto concerne lo sviluppo della forma di valore, ho seguito e

non seguito il tuo consiglio, per mantenere anche a questo riguardo una linea dialettica. Cioè, 1) ho scritto un

appendice [Cfr. Karl Marx, L’analisi della forma valore, Laterza, Bari 1976 ] in cui espongo la medesima

cosa nel modo più semplice e nel modo più da maestro di scuola che mi sia possibile; 2) ho ripartito ogni

gradino dello sviluppo in paragrafi […] Nella prefazione dico poi al lettore “non dialettico” che può saltare a

piè pari le pagine X- Y ed invece di queste leggere l’appendice. Qui si tratta non solamente di filistei, bensì

anche della gioventù avida di sapere ecc. Inoltre la cosa è d’importanza troppo decisiva per tutto il libro. I

signori economisti non hanno finora badato all’estrema semplicità del fatto, che la forma: 20 braccia di tela

= un vestito è il fondamento non ancora sviluppato di 20 braccia di tela= 2 sterline, che dunque la più

semplice forma della merce, in cui il suo valore non è ancora espresso come rapporto con tutte le altre merci,

ma invece soltanto come distinzione dalla sua propria forma naturale, contiene tutto il segreto della forma

denaro e con ciò in nuce, di tutte le forme borghesi del prodotto del lavoro.[…]. Riguardo a Hofmann, tu hai

perfettamente ragione. Del resto, dalla chiusa del mio II capitolo, dove viene accennata la trasformazione del

maestro artigiano in capitalistica, in conseguenza di cambiamenti puramente quantitativi, vedrai che ivi cito

nel testo la scoperta di Hegel della legge della modificazione del cambiamento puramente quantitativo in

qualitativo come ugualmente confermata nella storia e nella scienza naturale”Cfr. Ibidem, pag. 336-7.

97

valore, sia il valore d’uso sono elementi interni al concetto di merce, e sul loro rapporto

Marx ha basato tutta la prima parte del libro. Per questo ha dovuto riscrivere più volte la

parte sulla forma di valore.

Nella prima edizione egli usa ancora ambiguamente i termini valore e valore di scambio.

Solo nella seconda arriverà a porre in forma distinta valore d’uso e valore, precisando che

il carattere della merce non consiste nel rapporto tra valore d’uso e di scambio240

, ma che

la stessa sostanza del valore esiste solo perché si danno merci in relazioni tra loro. Come

afferma Fineschi “La sostanza di valore (e la sua determinazione quantitativa, la

grandezza) esiste solo perché c’è una relazione di valore in cui essa si manifesta, la forma

di valore (o valore di scambio)”241

e questa è da considerarsi come la manifestazione

fenomenica della sostanza di valore. Per questo il valore “è inseparabile dalla forma di

valore”242

. Da questo dato si apre la possibile comprensione del ruolo del denaro come

equivalente, che Marx ricostruisce con una “ sorta di necessità logica”243

244

. Ma

l’economia politica borghese non poteva rispondere ad una tale domanda, anzi non poteva

nemmeno porsi la domanda stessa in quanto il punto di partenza della loro indagine aveva

un vizio di fondo, di carattere ideologico, che celava questa possibilità. In una parola, essi

credevano che il modo di produzione capitalistico fosse eterno, naturale, e quindi le

ricerche circa i caratteri distintivi del modo di produzione capitalistico, divenendo ricerca

dei caratteri naturali, non riuscivano ad afferrare alcune decisive forme di quello

capitalistico. Non bisogna credere che il superamento di queste concezioni sia stato

semplice per il pensatore di Treviri. Segno tangibile di tali difficoltà sono anche i tanti

mutamenti di impostazione per il cominciamento della sua analisi. Nei Lineamenti ad

esempio si inizia con il capitolo sul denaro. Marx, come abbiamo visto sopra, voleva

inizialmente trattare in un unico capitolo le determinazioni generali-astratte come valore,

scambio, prezzo, denaro ecc. Tuttavia, nel corso della stesura si convinse di dover trattare

il valore di scambio prima del denaro, in un capitolo separato, per poi pervenire alla

conclusione che anche il capitolo del valore di scambio in quanto tale doveva a sua volta

240 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. XXXI, pag. 71

241 Ibidem, pag. XXIV

242 Ibidem, pag. 146

243 Cfr. Massimo Mugnai, Op. cit. , pag. 122

244 La problematizzazione dell’esistenza di un equivalente era già stata esposta nei Grundrisse: “Ora il

problema reale è questo: non è lo stesso sistema di scambio borghese a rendere necessario uno specifico

mezzo di scambio? Non crea esso necessariamente un equivalente particolare per tutti i valori?” Cfr. Karl

Marx, Op. cit. , pag. 58

98

essere preceduto da un altro capitolo, ossia quello della produzione in generale. In questo

dovevano essere trattate le condizioni generali, cioè astratte, di ogni produzione

indipendentemente dalle diverse forme sociali specifiche della produzione stessa. Ma

torniamo al nostro tema.

Già nella Miseria della filosofia il carattere duplice della merce è implicitamente accettato

in quanto, dopo che nelle pagine iniziali del testo erano stati elencati i quattro nodi

principali della teoria di Proudhon, Marx non sottoporrà a critica proprio il secondo, quello

relativo al rapporto tra valore d’uso e di scambio245

, i quali sarebbero in rapporto inverso; e

nel testo Per la critica dell’economia politica affermava che “la merce è valore d’uso,

grano, tela, diamante, macchina ecc. ma come merce allo stesso tempo non è valore

d’uso”246

.

Nella seconda edizione del Capitale però, è bene ricordarlo, la caratterizzazione del valore

in sostanza, grandezza e quantità viene eliminata e non sostituita con alcuna ulteriore

caratterizzazione. Non bisogna nemmeno pensare che il valore sia misurabile

esclusivamente con la quantità di lavoro cristallizzata nella produzione. La teoria del

valore-lavoro non è nata nell’ambito del marxismo e tantomeno Marx l’ha mai teorizzata,

cosciente com’era dei grandi problemi che una simile impostazione avrebbe portato. E non

è casuale che molti dei detrattori abbiano attaccato una teoria come quella del valore-

lavoro, che non era di Marx, spacciandola come tale. Ad esempio Croce insiste a più

riprese arrivando alla conclusione che “il valore-lavoro del Marx non è una logica

generalità, ma anzi è un fatto pensato ed assunto come tipo, ossia cosa diversissima da un

concetto logico”247

. Marx invece analizza il concetto di valore fondandolo sui rapporti di

produzione e sul duplice carattere del lavoro. Il valore diventa così anche espressione del

lavoro astratto. E ad esso e con esso si possono esplicare sia la forma sociale del processo

di produzione che il suo contenuto. Considerazione non da poco, perché essa sarà decisiva

per comprendere cosa voglia dire che Marx ha rotto con l’umanesimo e con la teoria

dell’estraneazione. Infatti le categorie economiche non esprimono rapporti umani generici,

disegnati a tinte più o meno fosche a seconda del grado di materialismo dell’autore, ma

rapporti di produzione specifici. Dunque i due aspetti del valore, qualitativo e quantitativo,

cioè forma e grandezza di valore, ci conducono al lavoro astratto che a sua volta come il

245 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. VI, pag. 112

246 Cfr. Karl Marx, Op. cit. , pag. 24

247 Cfr. Benedetto Croce, Materialismo storico ed economia marxista, Sandron, Milano-Palermo 1900, pag.

92

99

concetto di valore ci appare sia in forma qualitativa, cioè come lavoro sociale, sia in forma

quantitativa, come lavoro socialmente necessario.

Dobbiamo quindi, prima di esporre la forma del valore, analizzare il duplice carattere del

lavoro.

Ma prima ancora dobbiamo ricostruire, seppur per sommi capi, l’itinerario che porta Marx

all’analisi della forma di valore. Questo ci aiuterà a comprenderne meglio l’evoluzione del

pensiero.

Già nell’Estratto su Stuart Mill si parla proprio di prezzo valore248

, e Marx afferma che il

rapporto tra offerta e domanda non coincide sempre, e che dunque valore e costo di

produzione non sono posti in un rapporto necessario e la vera legge dell’economia politica

è il caso. Approfondendo gli studi delle opere teoriche di Ricardo egli individua una

contraddizione: da una parte questi proclama il lavoro come fonte di tutti i valori,

considerando la quantità relativa di lavoro come il criterio di misura che regola il valore

relativo delle merci, mentre dall’altra segue Smith identificando costi di produzione e

valore. Marx non vede ancora il problema che si nasconde dietro questa confusione fra

valore e costi di produzione e che in seguito risolverà nella sua teoria del prezzo di

produzione. In queste pagine il termine capitale indica i mezzi di produzione, e la proprietà

privata è intesa come la determinazione economica formale che i mezzi di produzione

assumono nelle condizioni del modo di produzione capitalistico; mentre negli economisti

borghesi nel concetto di capitale rientrano sia i mezzi sia la proprietà. Per Marx, in linea

dichiaratamente favorevole all’impostazione proudhoniana, il prezzo supera sempre i costi

effettivi della produzione. E non sostiene ancora che i costi reali siano il valore. Anzi,

Marx accoglie interamente la determinazione del valore come rapporto fra i costi di

produzione e l’utilità di una cosa, definizione questa già data da Engels nei Lineanementi

fondamentali dell’economia politica, dove questi riconosceva che “assumendo che due

cose abbiano lo stesso costo di produzione, sarà la loro utilità l’elemento decisivo per

determinarne il valore relativo”249

. Di fatto il valore rimane ancora una categoria posta al

di fuori della produzione e degli intricati rapporti che la caratterizzano.

Marx respinge la teoria del valore-lavoro di Ricardo non solo perché ritiene che nelle

condizioni della proprietà privata il prezzo sia sempre superiore ai costi reali di

produzione. Si volge contro la teoria del valore-lavoro perché Smith e Ricardo da una parte

determinano il valore sulla base dei costi di produzione indipendentemente dalla

248 Cfr. Meoc, Op. cit. , Vol. III, pag. 229

249 Ibidem, pag. 462

100

concorrenza, mentre dall’altra considerano il cosiddetto saggio naturale della rendita, del

profitto e del salario non come fondato sulla natura della terra, del capitale e del lavoro, ma

come del tutto dipendente dalla consuetudine o dal monopolio, e in ultima istanza dalla

concorrenza. In realtà quindi, nella teoria smithiamo-ricardiana i costi di produzione non

sarebbero determinati dalla produzione, ma dalla concorrenza; l’unico valore che mantiene

nei Manoscritti è quello del valore commerciale stabilito nello scambio, ossia il prezzo di

mercato, ancora indistinto dal valore.

Il fatto che i prezzi oscillino continuamente in dipendenza dall’offerta e dalla domanda

viene considerata una prova del fatto che il valore non è determinato dal lavoro e non si

può quindi parlare di un valore diverso dai prezzi: solo il prezzo determinato dalla

conoscenza ha un significato reale, finendo così per ritenere che il valore reale e il prezzo

naturale nella teoria di Smith e di Ricardo siano una finzione teorica e, come Engels pensa

in un primo tempo, che il valore reale sia una pura astrazione dalla realtà, - non vedendo

ancora il nucleo razionale del metodo di astrazione adottato da Ricardo, il quale nella

determinazione dei valori astraeva dalle oscillazioni dei prezzi di mercato, che gli

permetteva di interpretare il valore di scambio come il prezzo naturale, prescindendo dagli

elementi accidentali della concorrenza, ossia dalle oscillazioni dei prezzi di mercato in

quanto diversi dal prezzo naturale. Queste deviazioni, infatti, erano ritenute come prodotti

da cause solo transitorie o casuali e nel loro movimento incapaci di impedire alla merci di

livellarsi continuamente sul prezzo naturale. Ricardo è da individuarsi come fonte che

muove Engels ad affermare che il valore astratto e la sua determinazione attraverso i costi

di produzione sono appunto semplici astrazioni, cose non esistenti250

. L’economista astrae

il valore reale dal movimento dei prezzi, e questo non è altro che una determinazione del

prezzo, ossia il prezzo nel momento in cui il rapporto di concorrenza si equilibra, in cui

domanda e offerta coincidono. Forse per questo nei Manoscritti del ‘44 Marx, nel

respingere simili teorie, è stato influenzato dalla critica mossa alle astrazioni prodotte nel

sistema hegeliano, che lo portò ai limiti di una sorta di iperrealismo o, perché no, realismo

ingenuo. Tuttavia, quello che poteva essere un risultato ottenuto negativamente in filosofia,

si svelerà non riproponibile in sede economica. E questo non senza creare conseguenze in

filosofia! Il giudizio affrettato sul carattere astratto della filosofia hegeliana, separato cioè

dalla base mondana che in realtà è il prius di ogni ente, si dimostrerà infecondo nello

studio dell’economia politica. Partendo dalla conquista feuerbachiana di un dominio della

sfera materiale su quella sovrasensibile, e andando oltre Feuerbach, Marx si getta nello

250 Ibidem, pag. 461-2

101

studio dell’economia politica, poiché trova nell’economia la contraddizione radicale da cui

tutto il resto è derivato. Ma l’armamentario teorico di cui si era dotato per l’impresa

risulterà del tutto insufficiente.

Marx nega in generale il valore reale o prezzo naturale teorizzato dai ricardiani, ma solo un

valore di scambio delle merci, l’equivalente contro cui la merce viene scambiata, ovvero il

suo prezzo di mercato che è determinato dalla legge della domanda e dell’offerta.

I racardiani, cercando di ridurre i fenomeni misurabili a medie, astraggono sempre dagli

uomini e dalla vita reale. queste medie sono veri e propri oltraggi, offese ai singoli

individui reali.

Qui per Marx il costo della merce umana è stabilito dalla legge della domanda e

dell’offerta251

.

Non parla ancora di valore e per questo l’analisi sul salario è viziata da un errore di fondo,

una mancanza che cerca di colmare con una visione umanista tanto generica quanto

ostacolante la comprensione del meccanismo economico, come testimonia questo passo.

“Un forzato aumento del salario (prescindendo da tutte le altre difficoltà, prescindendo dal

fatto che,essendo un’anomalia, esso potrebbe anche essere mantenuto solo con la forza)

non sarebbe dunque altro che una migliore retribuzione degli schiavi e non sarebbe la

conquista né per l’operaio né per il lavoro della loro umana vocazione e dignità”252

.

Nei Manoscritti del ’44 parlando del capitale si chiede innanzitutto, proprio come domanda

di prolusione, su che cosa si fondi il capitale e come si diventa proprietari di capitali

produttivi?

Marx si accontenta della risposta mutuata da Say: per eredità. E’ chiaramente un

impostazione metafisica: si cerca qui il fondamento originario col quale spiegare la realtà

contemporanea.

Sempre nei Manoscritti Marx usa il termine lavoro in due accezioni: una con la quale

indica il lavoro in una situazione sociale fondata sulla proprietà privata, e qui affianca alla

parola lavoro il termine estraniato; in una seconda accezione Marx parla di un lavoro

consapevole, come una attività libera: è il lavoro in una società che ha abolito la proprietà

privata.

Nella Sacra famiglia la posizione di Marx circa la concezione del valore oscilla. Infatti

all’inizio afferma che “il valore è una determinazione puramente casuale, la quale non ha

251 Ibidem, pag. 255

252 Ibidem, pag. 307

102

bisogno di stare in alcun rapporto né coi i costi di produzione né con la utilità sociale”253

; e

subito dopo che “in rapporto alla produzione immediatamente materiale, la decisione se un

oggetto debba essere prodotto o no, cioè la decisione sul valore dell’oggetto, dipenderà

essenzialmente dal tempo di lavoro che costa la sua produzione”254

. Nell’Ideologia tedesca

Marx ed Engels giungono a formulare in maniera piuttosto delineata e completa il concetto

di modo di produzione, il quale è caratterizzato da forme della proprietà o rapporti di

produzione storicamente diversi che corrispondono di volta in volta ad un determinato

grado di sviluppo delle forze produttive della società. Ogni modo di produzione ha leggi

specifiche e categorie economiche peculiari. Nell’ Ideologia tedesca Marx ed Engels

abbandonano l’opinione che il prezzo determinato dalla concorrenza fosse assolutamente

casuale: nella polemica con Stirner infatti si legge: “dalla concorrenza egli non ha neppure

imparato […] che nell’ambito della concorrenza il prezzo del pane è determinato dai costi

di produzione e non dal piacimento del fornaio”255

.

Qui essi fanno propria la teoria del valore lavoro, abbandonando anche la falsa visione del

profitto come eccedenza di prezzo. Anche la moneta è vista come “un mezzo di scambio

fondato sul lavoro”256

, e vedono nella moneta un valore “unicamente determinato dai costi

di produzione, ossia dal lavoro”257

e questo è sintomatico della presenza di un concetto di

lavoro specifico, che non è più riconducibile alla condizione di estraniazione. Anche se poi

non affrontano il problema di quale tipo di lavoro determini il valore; e non viene distinto

ancora valore d’uso e di scambio.

Dopo questa breve ricostruzione potremmo davvero chiederci quale rapporto esiste tra il

Capitale e il progetto di ricerca del 1844? Secondo Marx l’economia politica partirebbe dal

fatto della proprietà privata, senza spiegarla, finendo per esprimere un processo materiale

in formule generali ed astratte che vengono tramutate in leggi, svincolandole così dalla loro

origine: la proprietà stessa!258

Comprendere ciò che veniva lasciato come impensato: ecco

il compito della critica. L’analisi di questo nuovo approccio parte dal fenomeno della

pauperizzazione, la quale è una manifestazione di un fenomeno molto più vasto che

attanaglia e svilisce l’uomo: l’alienazione. Il dramma attuale che dilania l’umano e il suo

253 Cfr. Meoc, Op. cit., vol. IV, pag. 50

254 Ibidem , pag. 53

255 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. V, pag. 381

256 Ibidem, pag. 413

257 Idem

258 Cfr. Meoc, Op. cit., vol. III, pag. 296-7

103

mondo è che l’operaio “diventa tanto più povero quanto più ricchezza produce […]. Il suo

prodotto, gli si erge contro come un essere estraneo, come una potenza indipendente dal

produttore. Il prodotto del lavoro è il lavoro che è fissato, concretizzato in un oggetto, è

l’oggettivazione del lavoro”259

.

Posta in questi termini, l’analisi ci mostra che l’oggetto prodotto appare come un oggetto

in senso feuerbachiano, cioè come prodotto dell’oggettivazione di un’essenza specifica:

quella umana 260

.

L’economia politica con la quale abbiamo a che fare qui non è certo quella sviluppata e

compiuta del Capitale. Anzi, essa non ha nulla in comune con quest’ultima. E per una

ragione specifica: in quest’ultimi il capitale è un rapporto di produzione, e negli appunti

del ’44 è un campo tratteggiato dalla presenza di caratteristiche che potremmo in ultima

analisi definire come antropologiche

Per questo in esso la contraddizione principale è quella dell’uomo che perde i propri

caratteri nel suo oggetto, l’alienazione dell’essenza umana nella proprietà privata dei mezzi

di produzione.

Nel Capitale invece il processo di desoggettivizzazione delle categorie economiche è già

compiuto e, finalmente, l’analisi marxiana offre risultati con un contenuto valido dal punto

di vista scientifico.

Possiamo adesso riprendere la nostra analisi sul Capitale nel punto dove la lasciammo.

Marx distingue un aspetto concreto del lavoro, col quale si producono valori d’uso, e un

lavoro definito astratto, che, ad una lettura superficiale, è “dispendio di forza-lavoro

umana in genere”261

. La vecchia forma di interpretazione mostrerebbe che il lavoro sociale

sia imposto dall’esterno. Dobbiamo però indagare ulteriormente la questione.

Ogni concreto processo lavorativo è svolto privatamente ed ogni prodotto concreto è

oggettivazione di un lavoro privato. Questi lavori privati sono nel contempo

interdipendenti in quanto parti di una divisione sociale del lavoro. I lavori sono

immediatamente lavori privati, e sono da considerarsi sociali solo in quanto i loro prodotti

oggettivano tempo di lavoro socialmente necessario. Non bisogna trascurare un carattere

fondamentale, e cioè che il lavoro sociale svolge una funzione, per così dire, antagonista

rispetto al lavoro privato, in quanto il tempo di lavoro socialmente necessario alla

259 Ibidem, pag. 298

260 “L’oggetto dell’uomo non è nient’altro che la sua essenza stessa presa come oggetto”. Cfr. Ludwig

Feuerbach, L’essenza del cristianesimo, Laterza, Bari 1997, pag. 36 261 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. XXXI, pag. 54

104

produzione di una merce si presenta come una vera e propria coercizione. In questo senso

Marx afferma che dal momento che i lavori privati non sono immediatamente sociali,

questa forma sociale è “distinta dalle forme naturali dei lavori utili reali, ad esse estranea e

astratta, e in secondo luogo tutte le specie di lavoro privato ricevono il loro carattere

sociale soltanto antagonisticamente, venendo tutti equiparati ad una specie esclusiva di

lavoro privato”262

.

Il lavoro sociale è antagonista al lavoro privato, e la conflittualità peculiare è la matrice

dell’astratta uguaglianza che lo discrimina, diretto risultato della frattura tra carattere

sociale e privato del lavoro. Il lavoro astratto è quindi qualcosa di differente dai lavori

privati, e ha in sé una duplice determinazione: da un lato esso è lavoro antagonistico

sociale preso nella sua opposizione ai lavori privati; d’altra parte esso ha un carattere

normativo verso i molteplici lavori privati esprimendone le diverse determinazioni creatrici

di valore. La medesima divisione del lavoro, che rende i produttori privati indipendenti,

finisce per rendere altrettanto indipendente il processo sociale di produzione e quella

indipendenza si scopre, per così dire, subordinata ad un sistema di dipendenza263

. Il

carattere sociale del lavoro emerge nell’atto dello scambio, perché in esso l’elemento

equivalente viene dedotto da Marx non dai caratteri dei molteplici lavori privati concreti,

bensì dal lavoro astratto cristallizzato nella produzione. Scambiando merci si frantumano

limiti individuali e locali e si intrecciano forme relazionali che sono “fuori del controllo

delle persone che agiscono”264

. Detto in altri termini, è il carattere relazionale imposto

dall’esterno nell’atto dello scambio a frantumare ogni limite presente. E ciò non si

rifletterà, come potrebbe sembrare a prima vista, esclusivamente sotto il rispetto dello

scambio.

Infatti, se in esso si raccoglie il plusvalore, il prodotto che lo contiene avrà di certo subito il

condizionamento a sua volta patito dal singolo produttore privato, che deve finire per

adeguarsi ai caratteri normativi del lavoro astratto, pena la scomparsa.

Quella del duplice carattere del lavoro è una scoperta la cui scoperta è incalcolabile. Lo

intuì lo stesso Marx, quando ad Engels scrisse che “il carattere della scoperta della natura

duplice del lavoro, cioè lavoro concreto ed astratto, è questo realmente tutto il mistero

della concezione critica”265

. Questa distinzione in primo luogo permette di pensare l’unità

262

Cfr. Karl Marx, L’analisi della forma valore, Laterza, Bari 1976, pag. 40-1 263 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. XXXI, pag. 121

264 Ibidem, pag. 125

265 Cfr. Meoc, Op. cit., vol. XLIII, pag. 14

105

delle due determinazioni dell’equazione, poiché ciò che determina la connessione dei

rapporti tra le merci non è il lavoro simpliciter, bensì il rapporto normativo del lavoro

astratto su quello concreto, nella misura in cui l’estensione del primo esprime la struttura di

un modo di produzione capitalistica con le sue continue rivoluzioni delle forze produttive

che vengono fatte accrescere dai rapporti di produzione.

Dunque, si sbaglia chi considera il lavoro astratto come una categoria utilizzata da Marx

per individuare l’insieme delle proprietà comuni a tutti i lavori concreti.

Come ha sottolineato chiaramente Porcaro “è proprio l’esistenza antagonistica del lavoro

sociale a rendere nello stesso tempo necessaria e possibile l’equiparazione delle merci:

necessaria perché essa è l’unica via per realizzare il carattere sociale dei lavori; possibile

perché, in quanto prescinde dal carattere privato dei lavori individuali, il lavoro sociale

prescinde anche dalle differenze tra le loro caratteristiche concrete e consente in tal modo il

loro confronto”266

.

Solo dopo aver posto la distinzione tra lavoro sociale e privato si può dunque afferrare il

complesso significato del lavoro astratto come “effetto specifico di una forma specifica del

lavoro sociale e non come generalizzazione del carattere comune ai diversi lavori concreti

in quanto tali”267

.

Non la comparazione dei vari lavori, ma il loro comune carattere sociale rende eguali i

lavori.

Porcaro ha condotto, con un approccio condivisibile, la sua analisi non muovendosi dallo

scambio tra merci, bensì dal carattere antagonistico del lavoro sociale. Se si parte dal

lavoro e non dallo scambio, le domande vanno riformulate. Nello specifico, non si chiederà

più se il lavoro sia sostanza comune delle merci, ma come queste riescano a realizzare la

connessione del lavoro sociale.

III Contraddizione, determinazione, astrazione

Non bisogna però credere che tra lavoro concreto e astratto, così come tra valore d’uso e

valore, si dia una contraddizione vera e propria. Valore d’uso e lavoro concreto da un lato,

e valore e lavoro astratto dall’altra appartengono a due campi distinti. Un termine non

266 Cfr. Mimmo Porcaro, I difficili inizi di Karl Marx, Dedalo, Bari 1986, pag. 37

267 Idem

106

implica l’altro come suo necessario opposto. Per avere una contraddizione “il valore d’uso

dovrebbe opporsi al valore come una forma sociale di un’altra forma sociale”268

.

Ma è evidente che nessuno dei due termini è l’opposto specifico dell’altro. Eppure, come è

facile immaginare, la maggior parte degli interpreti ha pensato al duplice carattere delle

merci in termini contraddittori. Ma allora che cos’è una contraddizione? E soprattutto, si dà

una contraddizione logica per Marx? Avevamo riportato l’affermazione di Lefebvre nel

quale egli afferma che dal carteggio del nostro “risulta che il metodo dialettico è stato

ritrovato e riabilitato da Marx al tempo dei lavori preparatori a Per la critica dell’economia

politica e al Capitale: l’elaborazione delle categorie economiche e dei loro nessi intimi ha

superato l’empirismo e raggiunto il livello del rigore scientifico, ed ha preso allora la

forma dialettica”269

. Ma adesso dobbiamo verificare direttamente sui testi questo passaggio

dall’empiria alla forma dialettica perché ci è chiaro cosa voglia dire il passaggio, ma non la

meta. Forma dialettica di per sé è una espressione ambigua. In Hegel infatti essa indica

tanto la negazione270

, quanto l’intero processo comprensivo dei tre aspetti di astratto o

intellettuale, dialettico o negativo razionale e speculativo o positivo razionale271

. La cosa

poi si complica ulteriormente se vogliamo scoprire che cosa sia la contraddizione.

Il termine contraddizione in Hegel può avere tre significati: innanzitutto con essa possiamo

riferirci

all’ unità delle determinazioni opposte, ma vedendo questa unità non propriamente

contraddittoria, e i termini opposti non identici. “Per sè non costituisce ancora, per così

dire, uno scapito, una mancanza o un difetto per una cosa, il fatto che vi si possa mostrare

una contraddizione. Anzi, ogni determinazione, ogni concreto, ogni concetto è

essenzialmente una unità di momenti distinti e distinguibili, che diventano contraddittori

mediante la differenza determinata, essenziale"272

.

L'oggetto è da considerarsi come un’insieme di determinazioni, ma esso " è indifferente di

fronte alle determinazioni come singole e determinate in sè e per sè, come le

268 Ibidem, pag. 54

269 Cfr. Henry Lefebvre, Il materialismo dialettico, Einaudi, Torino 1949, pag. 65

270 “ La dialettica, per contrario, è questa risoluzione immanente, nella quale l’unilateralità e la limitatezza

delle determinazioni intellettuali si esprime come ciò che essa è, ossia come la sua negazione” Cfr. G. W. F.

Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Laterza, Roma-Bari 2009, par. 81, pag. 96

271 “La dialettica ha un risultato positivo, perché essa ha un contenuto determinato, o perché il suo verace

risultato non è il vuoto ed astratto niente, ma è la negazione di certe determinazioni, le quali sono contenute

nel risultato appunto perché questo non è un niente immediato, ma è un risultato” cfr. Ibidem, pag. 97

272 Cfr. Georg W. F.. Hegel, Scienza della logica, op. cit. , pag. 494

107

determinazioni sono indifferenti tra loro."273

. Dunque le determinazioni di quest'oggetto

sono non sussistenti fra loro, e la relazione che le compenetrerebbe non sarebbe una

componente relazione ad essa interna. Dunque non si tratta di una contraddizione: le

determinazioni distinguono solo due aspetti di un oggetto. Nient'altro. Potremmo, in tal

caso, parlare di una giustapposizione di determinazioni indifferenti.

In secondo luogo, contraddizione fa riferimento a strutture logiche contraddittorie, nel

senso che queste sono errori dell'intelletto, che vanno risolte. In altri termini, la

contraddizione va rimossa. Sappiamo che la dialettica per Hegel si struttura in tre momenti

: astratto, dialettico o negativo razionale e speculativo o positivo razionale. La

contraddizione indica l’errore delle determinazioni astratte poste dall’intelletto, errore

riconosciuto dalla ragione: L’intelletto determina e tiene ferme le determinazioni. La

ragione è negativa e dialettica, perché dissolve in nulla le determinazioni dell’intelletto.

Essa è positiva, perché genera l’universale e in esso comprende il particolare274

. Non si da

progresso scientifico senza considerare che “ il negativo è insieme anche positivo, ossia

che quello che si contraddice non si risolve nello zero, nel nulla astratto, ma si risolve

essenzialmente solo nella negazione del suo contenuto particolare, vale a dire che una tal

negazione non è una negazione qualunque, ma la negazione di quella cosa determinata che

si risolve, ed è perciò negazione determinata. Bisogna, in altre parole, saper riconoscere

che nel risultato è essenzialmente contenuto quello da cui esso risulta […]. Quel che

risulta, la negazione, in quanto è negazione determinata, ha un contenuto. Cotesto

contenuto è un nuovo concetto, ma un concetto che è superiore e più ricco che non il

precedente. Essa è infatti divenuta più ricca di quel tanto, ch’è costituito dalla negazione, o

dall’opposto di quel concetto. Contiene dunque il concetto precedente, ma contiene anche

di più, ed è l’unità di quel concetto e del suo opposto”275

.

Nel definire qualcosa come A, l’intelletto ha astratto, cioè separato, ciò che è altro da A,

non A. L’astrazione è quindi “una divisione del concreto ed un isolamento delle sue

determinazioni. Per mezzo suo vengono colte soltanto delle proprietà e dei momenti

singoli, poiché il suo prodotto deve contenere quello ch’essa stessa è”276

. Ed è l’astrazione

che crea la contraddizione. A è riconosciuto come A dall’intelletto poiché è stato separato

da ciò che era altro da sé. E reso, per così dire, rigido. Ciò che è non A non è da

273 Ibidem, pag. 810

274 Ibidem, pag. 6

275 Ibidem, pag. 36-7

276 Ibidem, pag. 702

108

considerarsi come un generico negativo, ma sempre come negativo determinato: “se il

negativo viene tenuto fermo nella determinazione affatto astratta dell’immediato non

essere, il predicato non è che l’affatto indeterminato non-universale”277

. L’intelletto genera

dunque una contraddizione perché fissa, irrigidisce le determinazioni e tende a slegare ciò

che in realtà è interconnesso. L’intelletto così finisce per non afferrare il reale. Da qui

possiamo vedere il secondo momento dialettico, dove la ragione mostra e risolve quelle

determinazioni finite nel loro opposto, poiché il contraddirsi dell’intelletto non si risolve

mai nel nulla, nel mero vuoto, e ciò perché “ un contenuto determinato[…] essendo

determinato, sta in una molteplice relazione verso un altro contenuto”278

. Se una cosa è

determinata tramite l’altro vuol dire che essa è determinabile mediante l’altro. Il momento

positivo razionale o speculativo riesce a mantenere l’unità di queste determinazioni

opposte. E quindi la dialettica è, in tal senso, non la trasgressione del principio di non

contraddizione, bensì, il metodo col quale la stessa contraddizione è risolta, uno sradicare

del falso generato da quella sorta di peregrinazione dell’intelletto tra le determinazioni. La

contraddizione quindi è un che di complesso che da un lato mostra il limite dell’operazione

intellettuale e dall’altro l’ostacolo che la ragione deve superare. Ma questa contraddizione

è reale? A ben vedere no, e soprattutto l’unità degli opposti non è una unità tra

contraddittori in senso logico. Quando Hegel afferma che “tutte le cose sono in se stesse

contraddittorie”279

vuol dire che le cose stesse, nell’ambito logico, hanno un carattere

contraddittorio sotto il rispetto dell’analisi compiuto dall’intelletto. Ciò lo vediamo

chiaramente quando Hegel tematizza il cattivo infinito, che è contraddittorio in quanto il

suo esser infinito è simultaneamente un finito280

. Ma la valenza dell’affermazione

hegeliana sopra riportata ha anche un altro significato: all'interno del sistema vi sarebbero

strutture logiche effettivamente contraddittorie, e la contraddizione ha valenza sia logica

che ontologica. Questo è un terzo senso del termine contraddizione. Quando ad esempio

Hegel indaga la finità negli elementi di destinazione, costituzione e limite, afferma che il

qualcosa “non è diverso dal suo altro; è soltanto esserci, ha dunque la stessa

determinazione che il suo altro;ciascuno è soltanto qualcosa in generale, oppur ciascuno è

altro. Quindi tutti e due son lo stesso.”281

. Il finito si determina come esser sé stesso con il

277 Ibidem, pag. 723

278 Ibidem, pag. 74-5

279 Ibidem, pag. 490

280 Ibidem, pag. 140 e ss.

281 Ibidem, pag. 126

109

proprio altro: “ L’altra determinazione è l’inquietudine del qualcosa, che consiste

nell’essere, nel suo limite in cui e immanente, la contraddizione, che lo spinge oltre se

stesso”282

. Dunque, la contraddizione intesa in senso logico denota una struttura complessa

delle cose che vengono animate da una contraddizione interna. Le cose non sono uguali a

se stesse, esse divengono e in questo divenire processuale la cosa si scopre come diversa da

sé. Il finito, così come l’universale, l’uno, l’essenza ecc ecc. sono comprese nel loro vero

essere solo se pensato in quella formula speculativa di “identità dell’identità e non identità”

283: finito è dunque identità del finito e del non finito e così via.

A mio modesto avviso non dovremmo pensare questo aspetto della dialettica in antitesi a

quella che vedeva coinvolto l’intelletto e la ragione. Anzi, bisognerebbe, senza confondere

i rispettivi ambiti e i dispositivi specifici, guardare ad essi come compenetrati e soprattutto

fare riferimento alla facoltà interpellata all’individuazione di questi ambiti e dispositivi: la

ragione. E ciò vuol dire, di riflesso, come le stesse strutture ontologiche del reale

prevedano, anzi meglio, siano costituite dalla contraddizione, che è pensata e formulata sul

metro della negazione, che per Hegel è sempre una negazione determinata, cioè una

negazione che determina la costituzione delle determinazioni attribuibili ad un ente. La

negazione è una relazione di esclusione. “La determinatezza è negazione; questo è il

principio assoluto della filosofia spinozistica. Cotesta veduta vera e semplice fonda

l’assoluta unità della sostanza. Se non che Spinoza resta fermo alla negazione come

determinatezza o qualità; non si avanza fino alla conoscenza di essa come negazione

assoluta; vale a dire come negazione che si nega”284

. Ciò ci svela che la negazione

hegeliana esplica la funzione di escludere da sé le determinazioni altre e nel contempo si

riferisce a sé, e facendo ciò si auto-nega. Con l’autonegazione, che è il farsi altro da sé,

essa realizza il proprio sé. Prendiamo ancora per esempio il finito. Nella Scienza della

logica si legge: “le cose finite sono, ma la loro relazione a se stesse è che si riferiscono a se

stesse come negative, che appunto in questa loro relazione si mandano al di là di se stesse,

al di là del loro essere”285

. Ecco dunque un caso di negazione determinata che presenta il

carattere dell’autonegazione: il finito è compreso in tale atto di riferimento a sé come se

stesso e il suo altro. E’ questo un caso in cui si esplica quella figura dell’unità di identità e

282 Ibidem, pag. 127

283 Cfr. Hegel, Differenza fra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling, in Primi scritti critici,

Mursia, Milano 1990, pag. 79

284 Cfr. Georg F. W. Hegel, Scienza della logica , op. cit. , pag. 604

285 Ibidem, pag. 128

110

non identità. Siamo di fronte ad una determinazione contraddittoria. Naturalmente tutto ciò

ripugna al senso comune e all’intelletto stesso che non riesce ad elevarsi al movimento

della contraddizione286

. “La contraddizione non è poi da prender semplicemente come

un’anomalia che si mostri solo qua e là, ma è il negativo nella sua determinazione

essenziale, il principio di ogni muoversi, muoversi che non consiste se non in un

esplicitarsi e mostrarsi della contraddizione. Persino l’esterior moto sensibile non è che il

suo esistere immediato. Qualcosa si muove, non in quanto in questo Ora è qui, e in un altro

Ora è là, ma solo in quanto in un unico e medesimo Ora è qui e non è qui, in quanto in pari

tempo è e non è in questo qui”287

. Dunque, come dovrebbe esser chiaro, esistono delle

determinazioni che non sono poste in una contraddizione esterna, cosa che equivale a dire

che esse sono tenute nella loro diversità, ma si ha identità di determinazioni opposte; non

un mero sussistere ma una vera e propria contraddizione. Ma non dobbiamo dimenticare la

cosa fondamentale. Hegel pone al centro del suo sistema l’assoluto, ed esso si presenta al

pensiero come contraddittorio

E Marx? Avevamo visto in precedenza che egli aveva pensato ad una logica della cosa in

contrapposizione alla cosa della logica hegeliana, e che nella Critica alla filosofia del

diritto aveva individuato tre tipo di opposizioni: una opposizione che si verifica all’interno

di una data essenza; una per astrazione e conseguente ipostatizzazione; una in cui sono in

gioco estremi reali. Mentre nel primo caso entrambi i termini erano attivi ed equivalenti

per grado di forza nell’opposizione, nel secondo e nel terzo uno dei due termini prevarica,

e sotto due rispetti: dei due solo uno dei termini può essere posto come il cardine

dell’opposizione, di cui l’altro è mera opposizione; uno dei due termini riesce a sopraffare

l’altro. E quindi l’opposizione vera e propria si dava solo nel primo caso. Ad esse si

aggiungeva un quarto tipo di opposizione che Marx utilizza nell’ Ideologia tedesca e che si

riferisce a estremi reali288

. Marx conosce perfettamente la distinzione tra Realrepugnanz

kantiana e la contraddizione dialettica. Si tratta di due tipi di opposizione molto differenti:

la prima non viola il principio di non contraddizione, l'altro invece produce una

opposizione dialettica: " due cose, di cui l'una annulla ciò che è posto dall'altra, sono

opposte. Tale opposizione è duplice: o logica per contraddizione, o reale, cioè senza

contraddizione. La prima opposizione, quella logica, è la sola di cui si sia tenuto conto

finora. Consiste nell'affermare e negare contemporaneamente un predicato di una cosa. La

286 Ibidem, pag. 240; Enciclopedia , op. cit. , par.89, pag. 108

287 Cfr. Hegel, Scienza della logica ,op. cit. , pag. 491

288 Cfr. Meoc, op. cit. , vol. V, pag. 244

111

conseguenza di tale nesso logico è nulla (nihil negativum irrepraesentabile), come è detto

nel principio di contraddizione [...]. La seconda opposizione, reale, è quella in cui due

predicati di una cosa siano opposti, ma non per il principio di contraddizione. Anche qui

l'uno annulla ciò che è posto dall'altro, ma la conseguenza è qualcosa (cogitabile)"289

.

Infatti, nell'opposizione reale, gli opposti sono reali ed esistenti per sé e l'unica relazione

tenuta in conto è quella in cui vi è una relazione per la quale i due termini non si negano

reciprocamente, ma affermano "ambedue i predicati A e B"290

.

Tale distinzione è recuperata da Kant nella Critica della ragion pura, quando nella nota

all'anfibolia dei concetti della riflessione afferma: Il principio, che i reali (come semplici

affermazioni), non sono mai tra loro logicamente opposti, è una proposizione verissima

rispetto al rapporto dei concetti, ma non ha nessun significato rispetto alla natura, né

rispetto a una qualunque cosa in sé (di cui non possediamo verun concetto).

Infatti,l’opposizione reale, ha luogo dovunque A – B = 0, ossia dove un reale, unito con

altro in un soggetto, annulla l’effetto dell’altro"291

. E' evidente che per Kant non esistano

oggetti contraddittori in natura, e quindi tale opposizione può darsi nell'ambito concettuale,

nel quale due termini, uno positivo l'altro negativo, vengono attribuiti al medesimo

oggetto, finendo così per annullarlo. L'opposizione reale, invece, non nega il principio di

non contraddizione, poichè i due termini attribuiti al medesimo oggetto, non portano al suo

annullamento, poichè l'uno annulla gli effetti dell'altro. Allo stesso modo Kant conosce

profondamente il pensiero di Aristotele, e sa che lo stagirita nelle Categorie individua

quattro tipi di opposizioni: i correlativi, per i quali i due termini pur negandosi si implicano

reciprocamente292

; i contrari, che sono i termini più distanti ma all'interno di uno stesso

genere, e si escludono reciprocamente293

; possesso e privazione, che indicano una

relazione tra termini all'interno di uno stesso genere di cui uno si dà sempre senza l'altro294

;

i contraddittori, cioè due termini di cui l'uno rappresenta la negazione dell'altro295

. Nel X

libro della Metafisica questi quattro tipi di opposti sono presentati in ordine inverso, dal

grado più esteso a quello meno esteso. Gli opposti soggiacciono secondo lo Stagirita al

289 Cfr. Immanuel Kant, Il concetto delle quantità negative, in Scritti precritici, Laterza, Bari 1953, pag. 263

290 Ibidem, pag. 264

291 Immanuel Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2007, pag. 220-1

292 Cfr. Aristotele, Categorie, Rizzoli, Milano, 2000, pag. 359-361

293 Ibidem, pag. 361-363

294 Ibidem, pag. 363-365

295 Ibidem, pag. 365

112

principio di non contraddizione: “ è impossibile che la stessa cosa, ad un tempo,

appartenga e non appartenga a una medesima cosa, secondo lo stesso rispetto”296

Ma cosa vuol dire nel Capitale contraddizione? Ha Marx trasgredito il più saldo dei

principi? In ciò ha seguito Hegel? In che senso la realtà, per Marx, è contraddittoria?

Possiamo notare in via preliminare che all’interno dell’opera egli distingue nettamente ed

esplicitamente due tipi di contraddizioni. Durante l’analisi della trasformazione del

plusvalore in capitale, in una nota afferma: “Il signor John St. Mill da un lato fa estratti

della teoria del profitto di Ricardo e dall’altro si annette la <remuneration of abstinence>

di Senior. Quanto gli è ignota la <contraddizione> hegeliana, fonte di ogni dialettica, tanto

si trova a suo agio in contraddizioni banalissime”297

. E’ chiaro che Marx, richiamandosi al

principio di non contraddizione aristotelico, sottolinea che le banali contraddizioni sono

sinonimo di incoerenza logica e per questo la scienza le rifiuta. Tale definizione della

contraddizione torna più volte nelle Teorie sul plusvalore: “ Ricardo concepisce la

produzione borghese […] come forma assoluta della produzione, i cui determinati rapporti

di produzione non possono quindi mai entrare in contraddizione od ostacolare lo scopo

della produzione in assoluto […]. In realtà, ciò che egli ammira nella produzione borghese

è che le sue forme determinate danno luogo ad uno sviluppo delle forze produttive che è

illimitato in confronto alle precedenti forme di produzione. Quando esse cessano di far

questo, o quando compaiono le contraddizioni entro cui creano questo sviluppo, egli nega

le contraddizioni entro cui creano questo sviluppo, egli nega le contraddizioni o meglio

esprime la contraddizione in forma diversa […]. Sismondi ha il profondo intuito del fatto

che la produzione capitalistica si contraddice; che le sue forme, i suoi rapporti di

produzione, da un lato spingono allo sfrenato sviluppo della forza produttiva e della

ricchezza; ma che dall’altro lato questi rapporti sono a loro volta condizionati e che le loro

contraddizioni […] assumono dimensioni tanto più grandi quanto più si sviluppa la forza

produttiva. Egli avverte specialmente la contraddizione principale: da un lato lo sfrenato

sviluppo della forza produttiva e l’accrescimento della ricchezza […] dall’altro, come

fondamento, la limitazione della massa dei produttori ai necessaries. Anche per lui le crisi

non sono, come per Ricardo, semplici accidenti, ma esplosioni essenziali, su grande scala e

in determinati periodi, delle contraddizioni immanenti”298

. In questa lunga citazione

possiamo saggiare la distinzione tra i due termini della contraddizioni. Da una parte vi è

296 Cfr. Aristotele, Metafisica, op. cit. , pag. 143-5

297 Cfr. Meoc, op. cit. , vol. XXXI, pag. 661

298 Cfr. Meoc, op. cit. , vol. XXXVI , pag. 50 -1 ; Ibidem, pagg. 4, 20 , 23, 30

113

l’incongruenza logica di Ricardo e dall’altro un approccio ad un altro senso di

contraddizione, che è quello di Sismondi. Il primo caso, comune sia a Ricardo che a Mills,

ci fa pensare ad una vera e propria inconseguenza logica, rappresentata dalla presenza di

una contraddizione tra due asserzioni giustapposte e incompatibili. Delle tre definizioni di

contraddizione hegeliana nessuna ci sembra uguale ad essa: nemmeno nella prima

accezione, che potrebbe ad un primo momento mostrare una certa somiglianza, poiché qui

se è vero che vi siano due elementi diversi giustapposti in una teoria, che è l’equivalente

dell’unità sopraindicata, non si da il caso che tale unità di opposti sia indifferente ad esse e

che queste altrettanto indifferenti tra loro. Qui si indica un’incapacità da parte di un tutto

unitario, nello specifico una teoria economica, di tener conto della coerenza interna

eliminando le contraddizioni. Ora, la seconda accezione della contraddizione marxiana è

molto più complessa. Con essa viene mostrato come un modo di produzione sia animato da

rapporti di produzione che generano effetti opposti: i rapporti di produzione spingono

all’incremento della forza produttiva e quindi ad un incremento delle ricchezze e dall’altro

ad acuire quella contraddizione che genera da un lato la ricchezza prodotta dalle forze

produttive e dall’altra la riduzione in miseria delle stesse. E questo accade in molti luoghi.

Una chiara disfunzione nell’ambito delle relazioni reali è rappresentata dal ruolo della

doppia espressione di valore: “ Se, perciò, due merci diverse, per es. oro e argento, servono

contemporaneamente da misure di valore, tutte le merci possiedono due espressioni diverse

di valore, prezzi in oro e prezzi in argento, che marciano tranquillamente l’uno accanto

all’altro fintanto che il rapporto di valore fra argento e oro resta invariato, per es. 1:15.

Ogni cambiamento di questo rapporto di valore disturba però il prezzo fra prezzi oro e

prezzi in argento delle merci e dimostra così, di fatto, che il raddoppiamento della misura

del valore contraddice la sua funzione”299

. In ultima analisi, il movimento contraddittorio

del capitalismo è quello di generare delle determinazioni tra loro contraddittorie, e l’acuirs i

di queste scissione è il riflesso di un movimento di sviluppo di aspetti che erano stati posti

come reali da un altro atto contraddittorio.

Di certo qui non siamo di fronte ad una vera e propria contraddizione logica. Essa la

troviamo invece nel paragrafo dedicato alla trasformazione del denaro in capitale: “il

capitale non può dunque sorgere dalla circolazione e altrettanto non può non sorgere dalla

circolazione. Esso deve, allo stesso tempo, sorgere e non sorgere in essa. Si è quindi

ottenuto un doppio risultato. La trasformazione del denaro in capitale deve essere

299 Cfr. Meoc, op. cit. , vol. XXXI, pag. 109; Ibidem, 115, 233 440, 444-5, 482, 531, 547, 710

114

sviluppata sul fondamento delle leggi immanenti allo scambio di merci di modo che lo

scambio di equivalenti valga come punto di partenza. Il nostro possessore di denaro, qui

ancora solo bruco di capitalista, deve comprare le merci al loro valore, eppure, alla fine del

processo, deve ricavarne più valore di quanto non ve ne abbia immesso”300

. La

contraddizione ha qui origine dagli stessi presupposti con i quali le argomentazioni erano

state svolte. E la soluzione della contraddizione è trovata in un elemento affatto unico: la

forza-lavoro, cioè quella merce il cui valore d’uso è quello di produrre valore. Tale

contraddizione quindi non è nelle cose, ma è una conseguenza di un certo modello

argomentativo che le genera. Perciò, la funzione che essa svolge è quello di “introdurre a

un superiore livello della trattazione e – sotto questo riguardo- ha l’aspetto di una sorta di

reductio ad absurdum”301

.

Ma il processo di scambio ci mostra un altro carattere oppositivo, in quanto implica

relazioni che si contraddicono e si escludono reciprocamente. In esso, le merci e, per così

dire, il loro raddoppiamento in merci e denaro, svelena “un’opposizione esterna in cui esse

espongono la propria opposizione immanente di valore d’uso e valore. In

quest’opposizione le merci, come valore d’uso, compaiono di fronte al denaro, come

valore di scambio. D’altro lato, entrambi i lati dell’opposizione sono merci, quindi delle

unità di valore d’uso e valore. Ma quest’unità di distinti si espone in maniera inversa a

ciascuna dei due poli e, grazie a ciò, espone allo stesso tempo la loro relazione reciproca.

[…]. Il processo di scambio delle merci si compie, dunque, in due metamorfosi che sono

contrapposte e che si integrano reciprocamente – trasformazione della merce in denaro e

sua ritrasformazione da denaro in merce”302

. Si badi bene: non è che il valore d’uso si

tramuta nel suo opposto tramite il denaro, poiché valore d’uso e valore non sono opposti,

ma sono due determinazioni di un medesimo oggetto. Si danno dunque relazioni molto

complesse: la circolazione delle merci spezza i limiti geografici e temporali dello cambio

poiché essa scinde, nell’opposizione di acquisto e vendita, proprio l’identità immediata fra

il dare il prodotto del proprio lavoro in cambio del prodotto del lavoro di un altro. Ma ciò

indica che i processi che costituiscono una unità interna si muovono in una opposizione

esterna. Le opposizioni immanenti alla merce, così come le altre, ricevono “ nelle

opposizioni della metamorfosi delle merci le proprie forme di movimento sviluppate”303

.

300 Ibidem, pag. 182-3

301 Cfr. Massimo Mugnai, op. cit. , pag. 132

302 Cfr. Meoc, op. cit. , vol. XXXI, pag. 117-8

303 Ibidem, pag. 126

115

Il valore d’uso è definibile indipendentemente da quello di scambio, poiché esiste

indipendentemente da questo, ma nell’atto dello cambio essi si implicano a vicenda.

Nell’atto dello scambio essi si intersecano, poiché la permuta di due merci non potrebbe

avvenire senza la loro stretta correlazione: il valore d’uso posseduto dalla merce in mano

ad uno dei contraenti deve configurarsi come valore di scambio nei confronti dell’altro e

viceversa. Ciò spiega in sede logica anche la genesi della merce-denaro. Non solo, in più

punti Marx mostra che già nella metamorfosi della merce si dà una prima avvisaglia della

crisi: queste forme implicano quindi la possibilità, ma anche solo la possibilità, delle crisi.

Lo sviluppo di questa possibilità in realtà effettuale richiede un intero ambito di rapporti

che ancora non esistono affatto dal punto di vista della circolazione semplice di merci”304

.

Nella crisi “ l’opposizione fra la merce e la sua figura di valore, il denaro, monta a

contraddizione assoluta”305

. L’estensione dello scambio è la condizione principale della

realizzazione della crisi, poiché, così come esiste per “ una singola merce la difficoltà di

attraversare questa metamorfosi, così essa può esistere per tutte. La natura generale della

metamorfosi delle merci […] è piuttosto la possibilità di un general glut”306

. La

separazione fra vendita e acquisto contiene la possibilità della crisi, e contro essa il denaro

non può supplire, poiché ne è risucchiato. Ma per farla esplodere, devono intervenire altri

fattori.

Infine vi è un ultimo significato di contraddizione: contraddizione si ha tra una legge

economica e ciò che si manifesta fenomenicamente307

.

Ora è più chiaro che, fatta eccezione per quest’ultima accezione, non vi è molto in comune

con la contraddizione hegeliana. Ciò è dato da tre motivi: innanzitutto, i campi di indagine

non sono i medesimi. In secondo luogo, non coincidono le problematiche di fondo e per

questo, in definitiva, non coincidono nemmeno i metodi. E’ chiaro infatti che Marx si

occupa dell’analisi del modo di produzione capitalistico mentre Hegel si muove negli

ambiti di una scienza di concetti oggettivi e pensieri oggettivi. È chiaro dunque che i campi

sono radicalmente diversi. La problematica di Hegel è quella racchiusa nella Scienza della

logica, come “ il regno del puro pensiero. Questo regno è la verità, com’essa è in è e per

sé senza velo. […] l’esposizione di Dio, com’egli è nella sua eterna essenza prima della

304 Ibidem, pag. 126-7

305 Ibidem, pag. 151

306 Cfr, Meoc, Op. cit. , vol. XXXV , pag. 552

307 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. XXXI, pag. 333

116

creazione della natura e di uno spirito finito”308

. Marx invece affronta la questione del

valore e della genesi del capitale. Dal suo orizzonte quindi certe problematiche non hanno

alcuna importanza. Ad esempio, non è affatto un problema, per chi ha rotto con la

metafisica idealistica, analizzare il rapporto tra intelletto e ragione né chiedersi come

queste conoscono un oggetto, poiché ciò, inevitabilmente, riporterebbe Marx a pensare la

relazione “metafisica” di soggetto-oggetto. Ma la rottura con l’idealismo si era consumata

da tempo, e le marcate differenze delle varie accezioni del termine contraddizione sono lì a

testimoniarlo. C’ è un ambito nel quale Marx esprime, in via critico-negativa, una

comprensione profonda della dialettica hegeliana e arriva a rifiutarne l’impianto poiché

conscio delle conseguenze di cui è foriera quella impostazione. Quando nel terzo libro

delle Teorie sul plusvalore deve tratteggiare la differenza essenziale fra l’economia

classica e quella volgare, egli afferma che la prima cerca di ricondurre analiticamente le

differenti forme rigide e reciprocamente estranee della ricchezza alla loro intima unità e

spogliarle della figura di indifferente giustapposizione; vuol comprendere il nesso

interiore, a differenza della molteplicità delle forme di manifestazione309

e così riduce la

rendita al sovraprofitto, finendo inevitabilmente per separarla dalla sua fonte apparente, il

suolo. Lo stesso vale per le altre forme di reddito, che vengono ridotte all’unica forma del

profitto, e ciò vuol dire che l’economia classica tende a ridurre la diversità nell’identità di

una sorgente unica. E storicamente ciò porta ad affermare che la forma fondamentale del

capitale, cioè l’appropriazione di plusvalore, non è una forma storica bensì naturale della

produzione sociale.

La considerazione della possibilità della crisi a partire dalla metamorfosi delle merci e gli

aspetti contraddittori del capitalismo ci mostrano come, a ben vedere, la filosofia marxiana

ha elaborato una comprensione della realtà differente da quella di Hegel. Anzi potremmo

dire: Hegel e Marx non hanno nemmeno guardato la stessa realtà. Da qui si spiega la

differenza tra le due logiche. Prendiamo ad esempio la categoria di astrazione. Nel

Capitale essa possiede un ampio numero di significati e svolge altrettante funzioni. Ne

distinguiamo sei310

: come ipotesi di lavoro311

, come astrazione forzata e falsificante312

,

308 Cfr. Hegel, Scienza della logica, op. cit. , pag. 31

309 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. XXXVI, pag. 535

310 La classificazione che segue riporta i riferimenti all’edizione di Eugenio Sbardella, che avevamo sinora

utilizzato per il secondo e il terzo libro.

311 “ con un prezzo di produzione e con differenze costanti la rental e la rendita media per acro o il saggio

medio di rendita per capitale possono aumentare nella rendita differenziale; tuttavia la media non è che

117

come esposizione complessiva di un risultato acquisito o di un’analisi per inquadrare un

aspetto prossimo313

, come metodologia di separazione di fattori diversi e contraddittori, o

di determinazioni secondarie in un ente o in una relazione al fine di comprenderne un

singolo aspetto e, soprattutto, quello decisivo che può essere ricondotto e tematizzato in

ambito scientifico314

(perché non tutti gli aspetti, non tutte le determinazioni possono

rientrare nell’ambito dell’analisi del Capitale) e da non confondersi con il mero atto di

separazione dal concreto e pensato in questo carattere di separazione315

. Infine l’ultimo

significato è relativo ad una duplicità insita nel lavoro. E l’astratto qui ci indica quella che

un’astrazione” Cfr. Karl Marx, Il capitale, op. cit. 1376; 900, 970, 1075, 1154, 1156 , 1223, 1421,1439,

1475,

312 “L’economia classica, sebbene non abbia mai formulato questa legge, ne fa per istinto il suo punto fermo,

in quanto è necessaria conseguenza della legge del valore generale, e cerca di trarle fuori dalle sue apparenti

contraddizioni tramite una forzata astrazione” Cfr. Ibidem, pag. 233; è in primo luogo una falsa astrazione

considerare una nazione, il cui modo di produzione si basa sul valore, e inoltre organizzata in maniera

capitalistica, come un corpo collettivo che lavora soltanto per i bisogni della nazione” Cfr. Ibidem, pag. 1488,

313 “Quanti ritengono che tale rendersi autonomo del valore sia una semplice astrazione, dimenticano che il

movimento del capitale è questa astrazione in actu” Cfr. Ibidem, pag. 631, “ Nel Libro I furono analizzati i

fenomeni che il processo di produzione capitalistico, considerato in se stesso, presenta come processo

produttivo diretto, prescindendo da ogni influenza secondaria di circostanze che gli sono estranee. Questo

processo produttivo diretto, tuttavia, non esaurisce il corso di vita del capitale. Esso nella realtà delle cose

viene integrato dal processo di circolazione, il quale ha formato l’oggetto dell’indagine del Libro II” Cfr.

Ibidem, pag. 929, Pag. 54, 60; 150, , 277, 372

314 “ Lo scambio delle merci ai loro valori, o all’incirca ai loro valori, comporta quindi un grado di sviluppo

molto più basso che non lo scambio ai prezzi di produzione, che richiede un certo grado di sviluppo

capitalistico. Comunque i prezzi delle varie merci vengono fissati o regolati all’inizio tra di loro, il loro

movimento viene determinato dalla legge del valore. i prezzi calano allorchè diminuisce il tempo di lavoro

occorrente alla loro produzione; aumentano allorchè questo tempo di lavoro aumenta, rimanendo immutata

ogni altra circostanza. Seppur prescindiamo dall’influsso determinante della legge del valore sui prezzi e sul

movimento di essi, viene imposto dalle cose di considerare i valori delle merci non soltanto da un punto di

vista teorico bensì anche torico, come il prius dei prezzi di produzione” Cfr. Ibidem, pag. 1032, 579, 815,

828, 865, 876, 1054, 1061, 1079, 1082, 1097, 1098, 1102, 1104, 1105, 1121, 1126, 1130, 1131, 1133,

1162,1163, 1174, 1184, 1204, 1212, 1240, 1244, 1272,1321, 1334, 1336,1350, 1354, 1432, 1442, 1450,

1452, 1473, 1477, 1479, 1481, 1486, 1502, 1505

315 “da un punto di vista astratto, ossia se non si considerano le circostanze che non derivino dalle leggi

immanenti della circolazione semplice delle merci, non si verifica in quest’ultima, oltre la sostituzione d’un

valore d’uso con un altro, nient’altro che una metamorfosi, un semplice mutamento di forma della merce”

Cfr. Ibidem , pag. 132, 60, 63, 103, 132, 143, 160, 162, 198, 226, 246, 331, 332, 389, 415, 1038, 1356, 1463

118

definiamo come realizzazione di un concreto tramite una relazione astratta normativa

determinante316

. Stiamo parlando del lavoro umano astratto.

È evidente che la molteplicità di senso e di applicazione dell’astrazione è sintomo

dell’importanza che Marx gli attribuiva. Senza corrette astrazioni non si da una giusta

comprensione dei fenomeni concreti e la scienza incappa in errore, come testimonia

l’analisi del saggio medio di profitto di Ricardo, il quale non riesce a cogliere la verità di

questo saggio in quanto è incapace a separare i valori dai profitti per una “mancanza di

forza nell’astrazione”317

.

IV Ancora su merce e lavoro astratto

Ma torniamo per un attimo sulla merce e sulla presunta contraddizione interna.

Nicola Badaloni ha sostenuto come la merce non solo fosse caratterizzata da “una interna

contraddizione” , ma che da questa ne seguiva “l’estendersi di tale contraddizione”318

ad

ogni ambito e ad ogni aspetto della società:

Capitale monetario, produttivo, capitale-merce sono figure di tale estensione,

rispettivamente punto di partenza, intermedio e di ritorno. Il capitalista punterebbe al

modello ideale della prima figura vedendo le altre come intralcio. “Di qui la sua

irrefrenabile tendenza pratica a subordinare il ciclo produttivo e quello della circolazione

delle merci al modello ideale del capitale monetario il cui scopo e motivo è il far

denaro”319

. E’ questo un modello ermeneutico che non riesce a problematizzare né ad

individuare le difficoltà insite nell’analisi della merce nel Capitale, finendo per fare di

questa il risultato semplice e nel contempo enigmatico e intricatissimo320

da cui riluce

316

“un valore d’uso o bene ha valore solo in quanto viene oggettivato, o materializzato, in esso astratto

lavoro umano” Cfr. Ibidem, pag. 55; 63; “ per dimostrare che la tessitura costituisce il valore della tela non

nella sua concreta forma del tessere, ma nella sua generale proprietà di lavoro umano, le si contrappone come

effettiva forma di realizzazione di astratto lavoro umano la sartoria, il concreto lavoro che diviene produzione

dell’equivalente della tela. Quindi una seconda particolarità della forma di equivalente consiste nel fatto che

lavoro concrete diviene forma fenomenica del suo contraria, di astratto lavoro umano” Cfr. Ibidem 59,

63,64, 68, 81, 88, 103, 161, 963

317 Cfr. Meoc, Teorie sul plusvalore, op. cit. vol. XXXV, pag. 196

318 Nicola Badaloni, Per il comunismo, Einaudi, Torino, 1972, pag. 108

319 Ibidem , pag. 100

320 Giusto per continuare ad essere autocontraddittori

119

l’intero modo di produzione. Insomma, la merce per autori come Badaloni finisce per

diventare un punto di vista privilegiato sul mondo complesso del capitale.

Ma, come afferma lo stesso Marx nei Lineamenti, “non si può affermare che il valore di

scambio si realizza nella circolazione semplice, poiché il valore d’uso non gli si

contrappone come tale, come valore d’uso determinato dal valore di scambio”321

. Questo

rapporto si realizzerà invece successivamente nella determinazione del concetto di capitale,

dove al valore si opporrà un valore d’uso specifico, determinato dal valore: il valore d’uso

del lavoro in quanto creatore di valore. Ma ciò è fuori dall’orizzonte di Badaloni, e il suo

discorso sembra sconfessato dallo stesso Marx.

All’inizio del Capitale, valore d’uso e valore non sono da pensarsi come rispettivamente

contenuto materiale e forma sociale. Nella produzione di merci, il cui presupposto è la

divisione sociale del lavoro, i singoli produttori entrano fra loro in rapporti sociali solo

mediante lo scambio dei prodotti del loro lavoro. E’ nello scambio che l’utilità di una

merce la rende socialmente necessaria.

Per questo il rapporto fra produttori nei loro lavori assume un carattere di rapporto tra cose,

fra i valori scambiati. E proprio questa modalità di relazione se da un lato fa emergere

fenomeni specifici come il “potere apparentemente trascendentale del denaro”322

dall’altro

fa sì che, a livello generale, i rapporti vengano concepiti solo come rapporti fra cose.

Nemmeno gli economisti classici sono alieni dall’interpretare i rapporti sociali in questo

modo, finendo per ripiombare in un “idealismo altrettanto rozzo, anzi un feticismo, che alle

cose attribuisce relazioni sociali come loro determinazioni immanenti, e così le

mistifica”323

.

Ciò che fonda il carattere dei produttori singoli è certamente la divisione sociale del lavoro.

Ma quest’ultima ha come fondamento la proprietà privata dei mezzi di produzione.

Nel capitale l’agente della produzione è considerato personificazione o supporto dei

rapporti di produzione. Ma questo agente cerca di spiegarsi il mondo in cui è inserito e in

cui “agisce”.

Ecco un paio di esempi: Nella realtà il profitto è interconnesso al plusvalore, cioè alla

massa di lavoro non pagato. Il profitto non riguarda la produzione ma la ripartizione della

massa di plusvalore estorto. Il capitalista invece, che coglie gli eventi fenomenici, crede

che la ripartizione del plusvalore sia l’attimo in cui questo si costituisce. “Soltanto il

321 Cfr. Karl Marx, Lineamenti, op. cit. , pag. 1133

322 Ibidem, pag. 83

323 Ibidem, vol. II, pag. 382

120

capitalista trascura – o meglio non comprende, dato che la concorrenza non glielo fa

vedere – che tutti questi motivi di compensazione, calcolati dai capitalisti nella valutazione

dei prezzi delle varie branche produttive, stanno a mostrare soltanto che tutti, pro rata del

loro capitale, hanno diritto ad una porzione identica del bottino comune, che è il plusvalore

totale. Giacché il profitto che egli ottiene è differente dal plusvalore che egli estorce, gli

sembra magari che i suoi fattori di compensazione non determinino la sua partecipazione

al plusvalore totale, bensì creino proprio il profitto, e che questo tragga origine

semplicemente dall’aggiunta che egli opera per una ragione o per un’altra al prezzo di

costo delle merci”324

.

Le forme del feticismo sono le forme stesse nelle quali il processo del capitale esiste per gli

agenti della produzione. “Se si considera il singolo capitale o anche il capitale complessivo

di una sfera particolare, il profitto, adesso, non solo sembra ma è effettivamente differente

dal plusvalore. Capitali di ugual grandezza forniscono profitti uguali, ossia il profitto sta in

rapporto alla grandezza dei capitali. Ossia il profitto è determinato dal valore del capitale

anticipato. In tutte queste espressioni, il rapporto fra profitto e composizione organica del

capitale è completamente cancellato, irriconoscibile. Ciò che è immediatamente visibile è

piuttosto il fatto che capitali di uguale grandezza, che mettono in movimento quantità

molto differenti di lavoro e quindi comandano quantità molto differenti di pluslavoro e

quindi producono quantità molto differenti di surplus value, danno profitti di uguale

grandezza. Anzi, con la trasformazione dei valori in prezzi di costo, la base stessa- la

determinazione del valore delle merci mediante il tempo di lavoro in esse contenuto-

sembra soppressa. In questa forma del tutto estraniata del profitto, e nella stessa misura in

cui la figura del profitto ne nasconde il nocciolo interno, il capitale assume una figura

sempre più materiale, da un rapporto si trasforma sempre più in una cosa, ma in una cosa

che ha incorporato, ingoiato il rapporto sociale, una cosa che si rapporta a se stessa con una

vita e un’autonomia fittizie, un essere sensibilmente soprasensibile; e in questa forma di

capitale e di profitto appare alla superficie come un compiuto presupposto. È la forma

della sua realtà o piuttosto la sua vera forma d’esistenza. Ed è la forma in cui vive nella

coscienza dei suoi portatori, i capitalisti, in cui si rispecchia nelle loro idee ”325

.

Il carattere astratto del lavoro richiama immediatamente alla divisione sociale del lavoro,

che è la condizione necessaria per la produzione delle merci. C’è da dire però che non ogni

divisione sociale del lavoro porta alla produzione delle merci. Perché? Di certo la risposta

324 Cfr. Karl Marx, Il capitale, op. cit. , pag. 1055

325 Cfr. Meoc, Op. cit., vol. XXXVI, pag. 518

121

è presente nelle pagine del Capitale, quando Marx, a più riprese, sottolinea il passaggio da

M-D-M a D-M-D. Ma per arrivare a questo cambio che segna un’epoca , sono intercorsi

dei fatti storici che hanno portato ad essere alcune determinazioni precipue ancora latenti

nel modi di produzione differenti. Tuttavia questa latenza non era propriamente

un’assenza, bensì rappresentava ed era inserita in un ambito fattuale subordinato ad altre

condizioni di produzione dominanti. L’uscita da un dominio ha portato di fatto a nuovi

rapporti giuridici di proprietà e con essa ad una trasformazione delle forze produttive e

della distribuzione sociale del lavoro complessiva molto differente rispetto ad una

economia di sussistenza. I singoli lavori privati sono ricondotti ad una logica re-

distributiva del lavoro complessivo. E la mediazione tra gli infiniti caratteri particolari e la

somma complessiva di essi, dunque la stessa distribuzione, è svolta dal valore di scambio e

non più da quello d’uso. La stessa legge del valore rende manifesto ai singoli il loro

carattere di dipendenza dalla produzione sociale generale,e regola la distribuzione nei

diversi settori, correggendo mediante il meccanismo dei prezzi le continue deviazioni dalla

distribuzione proporzionata del lavoro sociale. Questa è, in fin dei conti, la spiegazione

della sussunzione del singolo pensato astrattamente nel concreto che lo rende pensabile

anche nel suo aspetto separato. Ma il carattere di separatezza ha un ruolo solo nell’analisi

teorica, e non nel movimento storico di ciò che è dato. Anzi, è proprio nel loro carattere di

produttori privati e nelle loro individuali collisioni reciproche che si scopre il loro essere

assoggettati ad un potere sociale estraneo che li sovrasta. L’esistere stesso dei singoli

produttori è determinato in tutto e per tutto dalla formazione sociale a cui essi servono.

Maggiore è il grado di sviluppo della divisione sociale del lavoro, maggiore è la

dipendenza dei primi rispetto al secondo. Venendo meno l’utilità della merce prodotta dal

singolo da parte della società, viene meno anche la sua ragione di esistere come produttore.

Per questo la creazione di valore tramite il lavoro deve essere oggettivato in un valore

d’uso che sia scambiabile. Se ciò non accade il lavoro impiegato non conterrebbe lavoro

creatore di valore, rendendo la merce senza valore. E’ facile intuire che Marx perviene a

questa conclusione riesaminando il motivo per cui il tempo di lavoro non può essere

direttamente espresso in denaro.

Il tempo di lavoro non è solo quantitativamente ma anche qualitativamente determinato.

Nella produzione delle merci quindi il lavoro del singolo è sempre lavoro particolare,

qualitativamente particolare, e non identico. Il suo carattere sociale è posto solo come

122

determinazione ideale. Per questo sulla base dei valori di scambio il lavoro presuppone che

“né il lavoro del singolo né il suo prodotto siano immediatamente generali”326

.

Ma cosa vuol dire lavoro generale? Certo è che Marx utilizza questo concetto in un modo

duplice: sia come lavoro in forma immediatamente scambiabile (è questo il caso dei

lavoratori che producono oro, in quanto questo è immediatamente generale dato dalla

stessa funzione di mediazione universale di scambio – e questo ci fa comprendere quanto

questo aspetto sia certamente determinato ad un modo di produzione, comunque comune

ad ogni formazione sociale basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sulla

conseguente divisione sociale del lavoro) sia in senso più complesso che vede

nell’universalità quell’unione di universale e particolare. In altri termini, il lavoro generale

è sia totalità delle particolarità sia indifferenza di queste particolarità. E l’indifferenza si

predica non della particolarità come tale, bensì alla singola o isolata particolarità. Dunque

il lavoro generale ha in sé un carattere proprio sia ad ogni lavoro singolo sia a qualcosa di

estraneo ad ogni lavoro singolo, giacché questo lavoro è sempre particolare e

oggettivizzabile solo in un prodotto determinabile, ma come lavoro generale deve potersi

rappresentare contemporaneamente in tutti i prodotti del lavoro.

Qui il denaro è la merce che riesce a risolvere questo duplice aspetto contraddittorio,

poiché il carattere generale si individualizza contrapponendosi agli altri prodotti nella sua

forma di denaro al di là di ogni forma di merce in cui è oggettivato. Nello scambio ogni

lavoro oggettivato nella merce deve qualitativamente e quantitativamente confrontarsi con

il lavoro oggettivato nel denaro.

Ma il lavoro che crea valore è sempre lavoro del singolo. Che però porta con sé questo

carattere generale solo in quanto si oggettiva in una merce e quindi nel valore. Non ogni

lavoro è produttore di valore, sebbene in ogni produzione venga speso lavoro e

materializzato tempo di lavoro. Allora ne deduciamo non solo che il lavoro creatore di

valore è socialmente determinato, ma che lo stesso valore è qualcosa di puramente sociale.

Il carattere sociale del valore e del lavoro va ora analizzato. Ma il primo aspetto da

considerare è riposto in un sostrato, in una sostanza come dice Marx in più punti327

, che è il

lavoro semplice. Per questo “l’equivalenza è determinata dall’uguaglianza del tempo di

326 Cfr. Walter Tuchscheerer, op. cit. , pag. 118

327 Cfr. Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, op. cit. , vol. I pagg. 113,

164, 228, 251, vol. II pag. 596

123

lavoro o della quantità del lavoro”328

. Questa nozione è utilissima perché la sua

moltiplicazione rappresenta nel valore delle quantità di lavoro semplice, identico.

Ma abbiamo in precedenza affermato che la nozione di lavoro astratto non è da pensarsi

come la sommatoria dei caratteri comuni a tutti i lavori. Questo concetto non terrebbe

conto del carattere antagonistico e normativo che esso possiede rispetto ai lavori

particolari. Per questo la nozione di lavoro astratto non raccoglie semplicemente le diverse

determinazioni del lavoro creatore di valore in una categoria comune329

.

La prima proprietà del lavoro astratto non è affatto quella di diventare sociale solo in

quanto equivalente e rappresentante una mera equiparazione dei singoli lavori concreti;

astrazione che si compirebbe tramite una selezione dei caratteri comuni di questi ultimi di

cui le merci sarebbero il prodotto. Dobbiamo capire meglio questo suo essere dispositivo

normativo nella sua estensione. Vediamo in concreto cosa vogliamo dire: Ogni produttore

è formalmente libero di produrre ciò che vuole, con qualsiasi metodo e con qualsivoglia

strumenti. Ma quando porta la merce sul mercato, non è più libero di determinare la misura

dello scambio, ma deve sottomettersi alle condizioni e alle fluttuazioni del mercato stesso.

Ma quindi già nel processo di produzione diretto è costretto a confrontarsi alle condizioni

previste del mercato. In tal modo il produttore viene a dipendere da tutti gli altri

componenti della società. Tra queste condizioni, quella principale che riguarda la

produzione è identificabile con il processo lavorativo. Il lavoro astratto detta i tempi della

produzione. E questi tempi risultano soggiogare ed imporre determinate condizioni

lavorative non solo ai lavoratori, ma anche ai capitalisti. Ma esso non è astratto nel senso

che sia separato dalle condizioni di sviluppo delle forze produttive. Tutt’altro! In esso

invece si riflette il grado di sviluppo di queste. Ma allora che relazione ha il lavoro astratto

con i rapporti di produzione? Dietro questa domanda si staglia con tinte più nitide il difetto

principale della linea continuistica. Arriveremmo a capire in seguito il significato di questa

affermazione. Continuiamo ancora il nostro ragionamento. Il valore non può essere

espresso direttamente in tempo di lavoro, ma deve trovare espressione in una merce diversa

328 Ibidem, pag. 556

329 Lo avevamo già accennato, ma conviene ripeterlo: Marx considera il duplice carattere del lavoro una

delle sue più importanti scoperte. In un’altra lettera ad Engels engels infatti dice: “Il meglio del mio libro è:

1) (su ciò riposa tutta la comprensione dei fatti) il doppio carattere del lavoro subito messo in rilievo nel

primo capitolo, a seconda che esso si esprima in valore d’uso o in valore di scambio; 2) la trattazione del

plusvalore indipendentemente dalle sue forme particolari quali il profitto, l’interesse, la rendita fondiaria,

ecc.” Cfr. Meoc, Op. cit., vol. XLII, pag 357.

124

dal tempo di lavoro, oppure, in altre parole, perché il valore deve trapassare nel valore di

scambio come sua forma fenomenica e nel prezzo come sua espressione monetaria330

.

La merce è dunque qualitativamente distinta dal tempo di lavoro in cui viene misurata e

posta in una relazione commensurabile rispetto alle altre merci. La merce non è tempo di

lavoro, bensì tempo di lavoro materializzato; il risultato di un lavoro determinato. La

distinzione tra le merci viene posta tramite il porre stesso in un’unità comune tutte le

merci, in lavoro qualitativamente uguale. E le differenti merci inglobano diverse quantità

di questa stessa qualità, così da poter essere commisurabili e scambiabili sul mercato. Ma

ciò che è uguale nei due rispetti qualitativamente non lo è quantitativamente.

Ma il valore di una merce non è semplicemente tempo di lavoro, ma tempo di lavoro

oggettivato. E questo ci fa comprendere che per Marx non è il lavoro una merce, poiché se

fosse tale allora dovremmo trovarla sempre in una forma oggettivata. Invece il lavoro nel

rispetto del tempo di lavoro come tale è sempre in forma potenziale e soggettiva che può

attualizzarsi e configurarsi come valore solo in un rapporto di produzione storicamente

determinato, e dunque oggettivarsi in una merce dando ad essa valore. Solo

l’oggettivazione crea valore.

Sebbene il tempo di lavoro sia la misura del valore e stia alla base del rapporto di scambio

tra due merci, non può servire direttamente come espressione di valore né essere la misura

dei prezzi.

La merce deve esprimere il proprio valore in un’altra oggettivazione di tempo di lavoro. E

se questa oggettivazione è la merce denaro universale, il valore della prima è espresso

come prezzo. Ma siccome la merce deve effettivamente scambiarsi con una determinata

quantità di merce-denaro, allora il suo scambio è il prezzo reale che essa ottiene, che non è

determinabile semplicemente dal suo valore, perché il valore e il prezzo sono

sostanzialmente diversi. Mentre il primo è determinato dalla quantità di lavoro oggettivato

nelle merci, il prezzo è determinato dal rapporto tra domanda e offerta. E questo rende

plausibile realmente lo scambio con una merce che abbia una quantità o maggiore o minore

rispetto al valore che essa stessa possiede. Solo nell’astrattezza della coincidenza tra

domanda e offerta valore e prezzo coincidono. Il valore delle merci dunque non appare

così com’è esso stesso, bensì si manifesta come prezzo medio in un lungo periodo, è “una

media che figura come una astrazione estrinseca finchè viene ricavata addizionalmente

come cifra media di un periodo”, ma che comunque “è molto reale quando viene

330 Marx dice che “ciò che determina il valore non è il tempo di lavoro incorporato nei prodotti, bensì il

tempo di lavoro attualmente necessario” Cfr. Karl Marx, Lineamenti, op. cit. , pag. 69,

125

contemporaneamente individuata come la forza impulsiva e il principio motore delle

oscillazioni a cui vanno soggetti i prezzi delle merci durante un periodo determinato”331

. Il

valore è quindi un che di nascosto che non trova espressione direttamente nel prezzo, ma

resta, per così dire, celato dietro gli infiniti movimenti dei prezzi. Anche se Marx pensa che

nel lungo periodo il valore e prezzo medio si eguaglino. Il secondo è “la legge dei

movimenti percorsi dal primo”332

.

Se questa distinzione è sostanzialmente quantitativa, Marx cerca di indagarne anche le

differenze in senso qualitativo procedendo dalla forma fenomenica all’essenza del valore,

ossia dal prezzo al valore, e non viceversa dal lavoro al valore e dal valore al valore di

scambio, come potrebbe sembrare dall’esposizione della teoria del valore sia da Per la

critica dell’economia politica e sia dal primo libro del Capitale. Proprio dal movimento dei

prezzi delle merci egli “astrae il valore come legge che sta alla base della determinazione

dei prezzi delle merci”333

.

Il capitalista non paga il valore del lavoro, come credevano gli economisti classici, bensì il

valore della capacità lavorativa dell’operaio. Questo consente di rispondere alla domanda:

perché se il valore del lavoro, ossia il salario, non è uguale al valore prodotto dal lavoro?

Il fatto che il valore d’uso della capacità lavorativa sia l’elemento del valore e della

moltiplicazione del valore, non può modificare la legge generale per la quale nello scambio

le merci si contrappongono come equivalenti e nessuno può derivare dallo scambio un

valore maggiore di quello che vi ha immesso. Di più, le leggi dello scambio tra equivalenti

vengono corrisposte pienamente alle leggi dello scambio.

Il processo di produzione del capitale ha un carattere duplice. Esso appare da una parte

come un processo di produzione semplice ossia come processo materiale della produzione

puro e semplice, quale è proprio di tutte le formazioni sociali costituendo una condizione

basilare per l’esistenza di una formazione sociale, e dall’altra come processo di

valorizzazione. Il processo di produzione è processo di produzione del capitale.

Nei Lineamenti Marx afferma che dal punto di vista del processo di produzione semplice,

il processo di produzione del capitale non differisce affatto da altre forme di produzione.

E’ invece il secondo aspetto ad essere discriminante del modo di produzione capitalistico.

La forza lavoro ha un valore di scambio che è tracciabile e riconoscibile in base al tempo

di lavoro necessario a riprodurla. Il suo valore d’uso è quello di creare valore. Posta in

331 Ibidem, pag. 71

332 Ibidem, pag. 72

333 Cfr. Walter Tuchscheerer, op. cit., pag. 303

126

determinati rapporti di produzione, essa è capace, nella realizzazione delle merci e nello

scambio seguente, di produrre merci il cui valore di scambio è superiori al salario pagato

per la riproduzione del lavoratore .

Pur creandolo, il lavoro non ha valore. Questo carattere contraddittorio del lavoro viene

offuscato dalla categoria fenomenico/ideologica del valore del lavoro, quando invece è la

forza-lavoro a possedere il carattere del valore. Ogni sistema di divisione del lavoro è allo

stesso tempo un sistema di distribuzione del lavoro. Nella comunità del comunismo

primitivo, nel sistema schiavistico e in quello feudale, il lavoro dei membri di una

determinata unità economica è distribuito razionalmente tra le varie funzioni a seconda del

tipo di bisogni dei membri del gruppo e del livello di produttività del lavoro. Il modo di

produzione capitalistico invece si caratterizza per una forte anarchia della divisione sociale

del lavoro334

, conseguenza diretta dell’anarchia della produzione335

, che a sua volta

presuppone uno sfruttamento sfrenato della forza-lavoro da parte del capitale336

.

Nell’economia capitalistica non vi è nessuno controllo nella distribuzione del lavoro tra i

vari rami della produzione e le imprese private. Nessun produttore, ad esempio, di vetture

conosce in anticipo la domanda sociale esistente per tale merce, né la quantità

contemporaneamente prodotta dalle altre imprese tessili. L’equilibrio tra la sua produzione

particolare e quella del suo ramo, e quella di questo con gli altri rami è continuamente

interrotto. Viene da chiedersi come possa continuare a funzionare un simile modo di

produzione. Ma l’anarchia della produzione trova, oltre ai diversi dispositivi esterni come

quelli delle norme statali e quelle interne al mercato come la concorrenza, un forte

elemento di coercizione: quello del lavoro astratto. Esso stabilisce, non dall’interno come

potrebbe apparire superficialmente, ma esternamente, le modalità di produzione e i tempi.

Il tempo di lavoro socialmente determinato è uno strumento di controllo che viene stabilito

all’interno del concetto-contenitore del lavoro astratto. Ciò lo comprendiamo

maggiormente se lo poniamo direttamente in relazione con l’accentramento del capitale

monopolistico-finanziario e con la centralità dei ritmi asfissianti delle industrie moderne.

Bisogna criticare la tesi che identifica l’esteriorità del nesso sociale come carattere

specifico del modo di produzione capitalistico. In realtà, questo nesso è comune ad ogni

modo di produzione. Certo è che ogni modo di produzione ha una forma specifica di nesso.

334 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. XXXI, pag. 391

335 Ibidem, pag. 521

336 Non è affatto casuale che Marx sottolinei in entrambi i luoghi il carattere di sfruttamento selvaggio della

forza-lavoro nel modo di produzione capitalistico

127

E nel capitalismo risiederebbe nella divisione sociale del lavoro autonomizzatasi,

generatrice del carattere conflittuale tra lavoro sociale e privato, tra denaro, come prodotto

sociale, e merce come prodotto privato. Ed è la legge della riduzione del tempo di lavoro

necessario ad imporsi dall’esterno.

A livello fenomenico esistono svariati capitali individuali, che in realtà costituiscono un

unico capitale, di cui i singoli capitali sono espressione337

. La struttura generale del

capitale detta le proprie leggi su quelli individuali ed è per questo che il lavoro astratto

detta i tempi e i modi sui lavori concreti. Chi esce fuori dalle norme produttive dei tempi e

delle modalità di scambio finisce per soccombere ed essere riassorbito da altre frazioni del

capitale maggiori o uguali.

Avevamo detto poc’anzi che esistono diversi capitali individuali che sono da considerarsi

segmenti di un unico capitale. Con ciò arriviamo a comprendere cosa voglia dire l’uscita

dall’umanismo. Gli attori della Storia non sono da ricercarsi nei soggetti umani: al centro

della teoria di Marx sono posti i rapporti di produzione. Il capitalista “ è soltanto capitale

personificato”338

, il proprietario fondiario “si presenta come la personificazione di una

delle più importanti condizioni della produzione”339

, e l’operaio “come proprietario e

venditore della sua forza lavorativa, riceve come salario una porzione del prodotto che

rappresenta la porzione del suo lavoro definita lavoro necessario, vale a dire lavoro

necessario per la conservazione e riproduzione di questa stessa forza lavorativa, sia che le

condizioni di una simile conservazione e riproduzione siano abbondanti oppure scarse”340

.

Il capitale crea lavoro salariato. Il lavoro infatti è precedente al capitale, ma non il lavoro

salariato. Questo è fondamentale. Il lavoro esiste in ogni epoca storica, ma la forma di

lavoro salariato l’acquista solo nei rapporti di produzione capitalistici. Naturalmente, qui

non si assiste ad un semplice mutamento della forma, ma anche del contenuto stesso del

lavoro, innanzitutto perché il lavoro, come capacità produttiva, viene modificato in ogni

337 “Sia nella prima che nella seconda sezione tuttavia abbiamo sempre parlato solo d’un capitale individuale,

del movimento di una parte autonoma del capitale sociale. Ma i cicli dei capitali individuali si intersecano gli

uni con gli altri, si presuppongono e si condizionano a vicenda, e proprio con questa sovrapposizione

formano il movimento del capitale sociale complessivo. […]. Dobbiamo esaminare adesso il processo di

circolazione (che nel suo insieme è forma del processo riproduttivo) dei capitali individuali in quanto

elementi del capitale sociale complessivo, vale a dire il processo di circolazione di questo capitale sociale

complessivo” Cfr. Karl Marx, Il capitale , op. cit. , pag. 799

338 Ibidem, pag. 1467

339 Ibidem, pag. 1469

340 Idem

128

modo di produzione, asservito ai rapporti stessi di produzione in vista di ciò che deve esser

prodotto. Aspetto non secondario di questo meccanismo è l’intenso processo di restrizione

dell’ambito dell’applicazione della forza-lavoro conseguente alla parcellizzazione dei

lavori particolari assoggettati nella grande industria che porta ad una sempre maggiore

specializzazione, e quindi affinamento delle capacità stesse, e nel contempo ad una crescita

generale astratta delle stesse capacità lavorative complessive delle . Ma la classe sociale

che detiene i mezzi di produzione non è certo la creatrice della classe che detiene questa

forza-lavoro.

Il sottovalutare quell’atteggiamento di sottrazione del campo metafisico non può essere

colto nelle sue profonde implicazioni da chi ha pensato lo sviluppo della teoria marxiana in

linea continuativa con le sue origini, finendo così per pensare la concreta essenza umana

non nelle proprietà comuni ad ogni individuo, ma nel processo totale della vita sociale e

nelle leggi del suo sviluppo, facendo dell’uomo stesso un prodotto non della natura bensì

del lavoro341

: proprietà e caratteri individuali sarebbero in ultima analisi prodotti del lavoro

sociale, e solo così possono definirsi specificamente umani. Nemmeno la riconduzione

dell’ambito umano nei rapporti mercificati riescono a cogliere questo radicale scarto del

pensatore tedesco. Il valore sarebbe considerato un rapporto umano che acquista la forma

di cosa e in questa forma si lega al processo della distribuzione sociale del lavoro.

insomma, si tratta di un processo reificazione di un rapporto di produzione tra persone” e

la reificazione del lavoro come valore è l’esito decisivo cui giunge la teoria del feticismo.

Ma è stato Lukacs ha sottolineare come, nella complessa struttura della merce, sia

contenuto “il modello di tutte le forme di oggettualità e di tutte le forme ad esse

corrispondenti della soggettività nella società borghese”342

. La reificazione dal capitale

sarebbe deducibile da questo arcano della forma di merce che in ultima analisi è uno

specchio rovesciato del reale, cioè dei reali rapporti tra uomini.

L’essenza di questa struttura consisterebbe nel fatto che una relazione tra persone riceve il

carattere della cosalità, o meglio di una oggettualità spettrale, che obnubila nella sua

legalità autonoma, “rigorosa, apparentemente conclusa e razionale, ogni traccia della

propria essenza fondamentale: il rapporto tra uomini”343

. Così l’universalità della forma di

merce determinerebbe una astrazione del lavoro umano oggettualizzato nelle merci sia dal

341 Tradizione inaugurata da Engels, e di cui Ilenkov è uno dei più espliciti assertori tra gli scienziati

sovietici, Cfr. Evald Vasilevic Ilenkov, Op. cit. , pag. 30

342 Cfr. Gyorgy Lukacs, Storia e coscienza di classe, op. cit. ,pag. 107

343 Ibidem, pag. 108

129

punto di vista oggettivo e soggettivo: della prima in quanto la forma di merce come forma

d’eguaglianza tra oggetti differenti e formalmente eguali si può inverare solo andando oltre

la forma, verso quel contenuto identico che è identificato col lavoro; della seconda in

quanto tale uguaglianza formale del lavoro umano astratto si trasformerebbe in principio

reale della produzione di merci durante un processo di sviluppo del modo di produzione

capitalistico che lo porterebbe ad essere commisurato con esattezza al tempo di lavoro

socialmente necessario344

.

Ma davvero Marx continua a ragionare in termini di soggetto-oggetto? Soprattutto, non ci

troviamo di fronte ad una concezione che vede nella merce l’elemento assolutamente

semplice che contiene in sé tutte le contraddizioni del capitalismo? Ma se così fosse,

crollerebbe l’intera impalcatura del Capitale. Infatti, lì è posta quella distinzione tra valore

d’uso, valore di scambio e valore, dalla quale non si dovrebbe prescindere, soprattutto alla

luce del fatto che il valore d’uso non è trattato nell’opera (a ciò è demandata, a detta dello

stesso autore, un’analisi merceologica, cosa che non è al di fuori dei suoi interessi), non

perché esso sia non determinato dal modo di produzione capitalistico, anzi potremmo dire

che ciò che spinge e muove un consumatore all’acquisto di un oggetto possedente valore

d’uso affonda in decisioni che sono comunque determinate storicamente ed eterodirette,

ma perché questa sfera è al di fuori di una trattazione di carattere economico. Lo afferma

nettamente lo stesso Marx nelle sue Glosse a Wagner, il quale lo aveva criticato proprio

per il fatto di aver allontanato dalla scienza la trattazione del valore d’uso. Qui Marx

dichiara apertamente di non essere partito da concetti e quindi neppure dal concetto di

valore. Così egli non dovrà dividere lo stesso in diverse parti; invece la sua impostazione

parte dalla forma sociale più semplice, dal “concreto economico più semplice”345

, cioè la

merce, descrivendola come essa stessa appare: da una parte, nella sua forma naturale,

come oggetto d’uso, e dunque valore d’uso, dall’altra portatrice di valore di scambio, e da

questo punto di vista come valore di scambio. Analizzando ulteriormente quest’ultimo

aspetto, vediamo che anche il valore di scambio è una forma fenomenica, un modo di

presentazione indipendente del valore contenuto nella merce. Da qui l’ulteriore passaggio

all’analisi della merce. In effetti, è lo stesso Marx ad affermare che la scienza consiste

nell’esibizione del modo in cui la legge del valore si impone346

. Ma il valore d’uso non

rappresenta di certo l’opposto del valore; anzi, dice Marx, il valore stesso non ha niente in

344 Ibidem, pag. 113 e ss.

345 Cfr. Karl Marx, Op. cit. ,pag. 176

346 Cfr. Meoc, Op. cit. , volume XLIII, pag. 598

130

comune con esso se si fa eccezione dal termine valore347

. Di più, Marx afferma che nella

sua analisi è tralasciato anche il valore di scambio, poiché esso è solo forma fenomenica

del valore. Non dividendo dunque il valore in valore d’uso e di scambio come opposti

scissi dal valore preso in senso astratto. È “ bensì la concreta figura sociale del prodotto

del lavoro, la “merce”, da una parte valore d’uso e dall’altra “valore”, non valore di

scambio, poiché questo è semplicemente forma fenomenica, non il suo proprio

contenuto.”348

349

. È altresì rifiutata la concezione per la quale vi è una sostanza sociale

comune del valore di scambio. Piuttosto afferma che “i valori di scambio (il valore di

scambio al singolare non esiste) rappresentano qualcosa di comune fra loro – il “valore”

appunto” 350

. Ma soprattutto, l’analisi della merce ha permesso a Marx di mostrare come in

questo carattere duplice si presenti il duplice carattere del lavoro, di cui la merce è il

prodotto. Il valore della merce esprime in una forma storicamente determinata ciò che

esiste anche in tutte le altre forme storiche di società, sebbene con un carattere precipuo:

quello sociale del lavoro, in quanto esso esiste come dispendio di forza-lavoro sociale. E

qui è chiamato in causa di nuovo il lavoro astratto, poiché è esso il dispositivo dominanti in

questo ambito.

Se guardiamo invece al valore, ci accorgiamo che esso non può essere espresso

direttamente in tempo di lavoro, ma deve trovare espressione in una merce diversa dal

347

Il fraintendimento circa la presunta contraddizione tra valore d’uso e di scambio ha portato a compiere

errori perniciosi, a livello teorico, nella storia del marxismo. Persino Vigotsky ha creduto a ciò, tanto da

dedurne da essa il denaro: “Questa contraddizione fra l’omogeneità economica delle merci e la loro diversità

naturale, cioè, come si può anche dire, questa contraddizione tra valore e valore d’uso, conduce nel processo

di scambio alla separazione del valore delle merci dalla merce stessa, allo sdoppiamento della merce in merce

e denaro” Cfr. Vitalij Vigotsky, Introduzione ai Grundrisse di Marx, La nuova Italia, Firenze, 1974, pag. 54.

L’interna contraddizione della merce troverebbe la sua “soluzione esterna nel processo di scambio, nello

sdoppiamento della merce in merce e denaro, nel fatto che il valore della merce acquista esistenza autonoma

in una merce particolare, nel denaro” Ibidem, pag. 55. Ma l’analisi del denaro è fondamentale perché la sua

comprensione rappresenta il criterio per comprendere l’essenza del valore. E gli economisti classici non ne

capirono l’essenza. Ad esempio, Ricardo “di fatto si occupò del lavoro solo come misura di grandezza di

valore e perciò non trovò alcun nesso fra la sua teoria del valore e la natura del denaro” Cfr. Karl Marx,

Glosse marginali al Manuale di economia politica di Adolph Wagner, op. cit. , pag. 168

348 Ibidem, pag. 175

349 E’ interessante notare come Marx rifiuti la critica mossagli da Wagner relativa al fatto che la teoria del

valore sia la pietra angolar del suo sistema, poiché, egli dice, non ha mai elaborato un sistema.

350 Ibidem, pag. 167

131

tempo di lavoro, oppure, in altre parole, perché il valore deve trapassare nel valore di

scambio come sua forma fenomenica e nel prezzo come sua espressione monetaria.

Le merci possono essere scambiate, ed esser misurate reciprocamente perché possiedono

un’identica qualità, sono valore. Ma non solo valore. Esse sono specificatamente valore

quantitativamente determinato. Ma nello scambio il suo essere valore di scambio e valore

non sono reciprocamente convertibili. Qui la merce deve confermarsi come unità di

entrambe le determinazioni, altrimenti si ricadrebbe in una contraddizione tra le qualità

naturali ed economiche della stessa merce. Nello scambio tutte le qualità delle merci sono

cancellate. Per essere scambiabili le merci devono ricevere la loro denominazione in

un’unità. Tra due merci da scambiare, la valutazione dell’atto dello scambio si ha con una

terza merce che funge da elemento comune su cui poter confrontare il valore delle due

merci. Il valore non si esprime semplicemente in tempo di lavoro, ma in una determinata

oggettivazione di tempo di lavoro. E questo ci risospinge alla soluzione del problema che

inaugurava il nostro paragrafo, e che ci mostra, ancora una volta, il carattere di differenza

radicale tra Marx ed Hegel. Lo faremo proprio investigando la forma del valore, così da

comprendere la genesi del capitale. Eviteremo sin da subito di vedere nello scambio diretto

di una merce con un’altra una forma embrionale che cela e spiega tutte le forme più

complesse e più sviluppate dei rapporti di produzioni capitalistici: non bisogna mai

dimenticare che nello scambio intervengono infiniti dispositivi e che la merce non è da

vedersi come una cosa semplice. Ecco lo scarto che intercorre e separa Marx da Hegel!

L’iniziare dalla cosa più semplice segna sicuramente un punto di comunanza tra i due,

poiché di fatto nella Logica Hegel afferma che “il cominciamento è logico, in quanto

dev’esser fatto nell’elemento del pensiero che è liberamente per sé, cioè nel sapere

puro”351

e il sapere puro è quello che non ha in sé alcuna differenza, la “semplice

immediatezza”352

. E così il cominciamento dev’essere un “cominciamento assoluto o, ciò

che in questo caso significa lo stesso, un cominciamento astratto”353

.

Ma questo carattere di semplicità in realtà è davvero così simile a quello hegeliano? Se la

merce ha due determinazione interne, valore d’uso e di scambio, donde la semplicità? Di

più, si dà un ente del tutto semplice nell’ambito del concreto? In realtà Marx inizia il

capitale non dalla merce, bensì da come essa appare. E nel suo apparire essa si mostra

come cosa utile, valore d’uso, e come portatrice di valore di scambio. Un’ulteriore analisi

351 Cfr. Georg W. F. Hegel, Scienza della logica, op. cit. , pag. 53

352 Ibidem, pag. 55

353 Idem

132

di quest’ultimo carattere “mi indica che il valore di scambio è soltanto una forma di

manifestazione, autonomo modo di presentarsi, del valore contenuto nella merce, e allora

io procedo all’analisi di quest’ultimo”354

.

I caratteri di semplicità e concretezza della merce rimandano all’essere della merce come

risultato di un processo complesso. Ma il presentare questo risultato come iniziale

nell’esposizione non deve trarci in inganno circa la sua natura. In essa non troviamo, posta

come forma particolare derivata del processo, tutti gli elementi di questo procedere, che è

anche un precedere rispetto all’esistere concreto della merce. Di più, in essa tutte le

contraddizioni non sono affatto riflesse, come se dovesse contenerle di necessità in quanto

risultato. L’iniziare il Capitale con l’analisi della merce ha portato molti autori a credere

che Marx fosse così ripiombato nell’idealismo. Soprattutto Althusser ha insistito su questo

aspetto355

, perché riteneva problematico il carattere astratto della merc. Carattere tra l’altro

immediatamente superato nel secondo libro del Capitale, dove la si vede concretizzarsi

nella circolazione. Ma soprattutto, qui va detto che Marx pensa la merce nel suo apparire,

manifestandosi un immediatamente concreto che però, a ben vedere, è tutto fuorché

semplice. Anzi, è il precipuo carattere estremamente composito che permette l’uscita da

quella sorta di velo di cui è rivestita, e che apre ad un’analisi dei caratteri che ne celano il

segreto della formazione. Quando Marx affermava la semplicità della merce, troppo spesso

si è pensato a questo attributo in termini molto simili a quelli della tradizione filosofica

occidentale. Qui non si parla di una semplicità assoluta, non ulteriormente divisibile, un

antecedente al composito, bensì si guarda ad un prodotto di un’attività complessa e

strutturata che forgia prodotti. In definitiva, la merce non è un oggetto assolutamente

semplice, ma il più semplice prodotto di un modo di produzione. Dal punto di vista della

logica di Marx, prendendo in esame un altro modo di produzione, il partire dalla merce

sarebbe stato uno errore abnorme poiché solo il capitalismo li produce.

L’analisi astratta della merce nel modo di produzione capitalistico si concentrerebbe quindi

sull’esplicazione delle leggi immanenti del fenomeno dato, dell’aspetto astratto in grado di

rappresentare nell’immediato lo stesso fenomeno preso nel rispetto del concreto ma

separato da altre determinazioni in cui esso è inserito. Se il nostro si fosse abbandonato al

metro logico di Hegel, avremmo dovuto considerare ogni fenomeno capitalistico come

generato dalla merce e dalla sua intricata struttura. Così accumulazione, concorrenza,

354 Cfr. Karl Marx, Glosse, op. cit. , pag. 175

355 Cfr. Louis Althusser, Marx nei suoi limiti, Mimesis, Milano 2004, pag. 63 e ss.

133

feticismo ecc. sarebbero delle filiazioni dilatate di una presunta contraddizione insita della

merce, la quale avrebbe gettato i propri riverberi all’esterno creando, tramite la dilatazione

di quella contraddizione, relazioni e figurazioni sempre più concrete e complesse. La stessa

analisi del lavoro sarebbe stata altra da quella che stiamo esponendo, perché la sua forma

sociale è da considerarsi come il rapporto reciproco tra i diversi individui presa nel rispetto

del lavoro eguale e determinati da una forma specificamente sociale, l’uguaglianza che

esprime lo scambio deducibile in un primo momento dello scambio stesso, a sua volta

dedotta dal carattere sociale del lavoro. Avendo Marx esposto all’inizio il valore dal

confronto tra i tanti valori d’uso e il lavoro astratto da quelli concreti, questa impostazione

ha generato innumerevoli critiche. Böhm-Bawerk ad esempio affermava che il confronto

tra valori d’uso può metter capo solo al valore d’uso in generale356

. Invece, la genesi della

forma valore è da ricondurre alla contraddizione tra lavoro sociale e privato. Ponendo

l’impossibilità teorica dello scambio della forma relativa con quella equivalente di valore,

cioè la non riduzione del valore della merce al proprio valore d’uso, spingendo questo

confronto ad un altro valore d’uso che fa da merce equivalente, il valore della merce

relativa si delinea in una determinata quantità di valore d’uso che assume la forma di

valore di scambio. Il valore è l’esistenza sociale delle merci, la condizione formale dello

scambio. Ma così come il lavoro privato non è immediatamente sociale, allo stesso modo il

prodotto del lavoro non è immediatamente valore. Per esser sociale, il valore deve

esprimersi in una forma scissa dal valore d’uso, e così facendo può dimostrare il suo

carattere sociale, o meglio, può acquisirlo. Ciò che abbiamo detto per il carattere semplice

della merce vale anche per il rapporto di valore: ne esiste uno più semplice che esprime

tale rapporto con una sola merce.

Nel rapporto x merci A = y merci B, dove i due poli dell’espressione indicano

rispettivamente la forma relativa di valore e la forma di equivalente, l’uguale nasconde una

differenza radicale. Il rapporto è identità di contrari. E nell’equazione il termine identico

non appare. Prima andare avanti, dobbiamo precisare che l’analisi del valore e dello

scambio è da pensarsi chiaramente in termini prima di tutto logici; non bisognerebbe

pensare ad essi come ad una ricostruzione sul piano teorico di quanto accade nel reale357

.

Qui sono fondamentali i risultati nell’ambito logico. Secondo un approccio logistico le

determinazioni del valore in generale, secondo i suoi principi, andrebbero formate

356 Cfr. Böhm-Bawerk, La teoria dell’interesse di Marx, in Paul Marloro Sweezy, La teoria dello sviluppo

capitalistico, Boringhieri, Torino 1970, pagg. 316-9

357 E’ questo un altro errore fatto da Rubin, cfr. Isaak Rubin, Op. cit. , 88

134

astraendo dalle particolarità di tutte le specie di valore, la circolazione semplice delle merci

compresa, e gli stessi caratteri particolari della forma mercantile del valore sarebbero

considerati inutili. Dunque il generale sarebbe stato preso separatamente dal particolare. In

Marx le cose stanno altrimenti e questo per via di quell’intricato rapporto tra l’universale,

il particolare e il singolare che avevamo visto precedentemente. L’universale infatti non si

dà mai come separazione dal particolare. Il valore della prima merce è dato come valore

relativo nel senso che esso è espresso in altra merce, quella equivalente. Marx qui ci

ricorda che l’equazione può essere rovesciata, e quindi la stessa merce “non può quindi

comparire contemporaneamente nella stessa espressione di valore in entrambe le

forme”358

359

. Il senso dello scambio sta nella sostituzione reciproca di valore di scambio e

di valore d’uso, di forma relativa ed equivalente. In questa trasformazione, si realizza il

valore. Ecco perché Marx nel primo libro afferma che le due merci non possono

presentarsi simultaneamente nelle due forme nella medesima espressione di valore.

L’opposizione interna alla merce nello scambio si esprime in forma esterna.

Se il valore di scambio è la forma fenomenica del valore è anche vero che il valore può

presentarsi soltanto nel rapporto sociale tra merce e merce cosicché deve esser analizzato

nella forma di valore, o valore di scambio. Prendendo due merci poste in scambio x merce

A = Y merce B, i due termini sono momenti inseparabili, ma nello stesso tempo sono

estremi escludentisi l’un l’altro, ossia opposti”. Allora, nello scambio l’opposizione tra

valore d’uso e valore viene rappresentata in una opposizione esterna, cioè dal rapporto fra

due merci, che sono uno lo specchio dell’altro, ossia il valore della merce A è espresso in

forma relativa rispetto alla merce B. In altri termini è posta come equivalente.

Il rapporto di valore mostra il valore nella relazione tra il valore di una merce e il corpo

dell’altra, nel suo valore d’uso. Il termine che ne fissa l’eguaglianza è da identificare con il

lavoro, perché i valori sono cristallizzazioni di lavoro umano. Ma non è sufficiente

esprimere tale carattere del lavoro: il lavoro umano, che non è valore, ma produce valore,

diviene valore solo nella sua forma oggettivata, “che sia distinguibile, coralmente, dalla

tela stessa e che, al tempo stesso, sia ad essa in comune con le altre merci”360

. Ma la merce

non è solo espressione delle qualità del lavoro umano, bensì è valore determinato

quantitativamente, grandezza di valore. Dunque l’espressione dell’eguaglianza indica una

medesima grandezza, cioè che le merci siano state prodotte con il medesimo tempo di

358 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. XXXI, pag. 59

359 E’ questo uno dei casi in cui Marx fa intervenire il principio di non contraddizione

360 Ibidem, pag. 61-2

135

lavoro necessario. Il tempo di lavoro necessario subisce spesso delle variazioni, e ciò si

riflette sull’espressione di valore.

Ma torniamo alla nostra equazione, e indaghiamo la forma di equivalente. L’avevamo

considerata nella sua posizione come valore d’uso che “diventa forma fenomenica del suo

contrario, del valore”361

. Ma la forma di equivalente ha una seconda peculiarità, quella di

rendere il lavoro concreto “forma fenomenica del suo contrario, del lavoro astrattamente

umano”362

poiché entrambe le merci poste nel rapporto di equazione possiedono la

proprietà universale del lavoro.

Marx sottolinea qui l’importanza dei rapporti sociali nella determinazione valore. Se ad

esempio identifichiamo la merce a con la tela e quella equivalente con un abito, vediamo

che la prima esprime da un lato il suo esser valore come un che del tutto differente dal suo

corpo e dalle sue proprietà e dall’altro l’abito, nel suo corpo merce, esprime il valore della

tela e questo fatto è immediatamente riconducibile ad un rapporto sociale. La proprietà

dell’abito di fungere da equivalente non appartiene di certo alla natura dell’abito. Solo

guardando oltre la forma naturale della merce si più comprendere la possibilità stessa

dell’equivalenza. E la soluzione è riposta nel duplice carattere del lavoro, che rende la

merce prodotto di un lavoro concreto e contemporaneamente come lavoro umano astratto.

E siccome un lavoro concreto come la sartoria, caratterizzato dal dispendio di lavoro

umano indifferenziato, e come tale è commisurabile a qualsiasi altro lavoro, tale lavoro

privato diventa sociale. Ecco la terza peculiarità della forma di equivalente: la

trasformazione del lavoro privato nel suo opposto, nel lavoro sociale.

È chiaro che la forma semplice di valore sia nella pratica che nella teoria trapassa in una

più completa e complessa definita forma di valore totale, che si esprime così: z merce A=

n merce B= v merce C = w merce D ecc. Il valore di ogni singola merce è espresso in

innumerevoli altri elementi del mondo delle merci. La merce A può essere equiparata non

solo alla tela ma a tutte le altre merci. Ci troviamo di fronte ad una catena di equazioni

infinita. Così, ci troviamo di fronte ad una serie incompleta. Se invertiamo ora la serie, si

ottiene la forma generale di valore: tutte le merci divengono equivalenti ad una sola merce,

la tela. Se le prime due forme di valore, quella semplice e quella totale esprimevano

entrambi il valore di una merce sia riferendosi ad una singola merce, sia in riferimento a

una serie di merci, ora la forma generale del valore esprime il mondo delle merci a cui è

comune il lavoro umano. Una merce diviene espressione generale di valore solo perché

361 Ibidem, pag. 67

362 Ibidem, pag. 69

136

tutte le merci simultaneamente esprimono il loro valore in essa. Nel nostro esempio

abbiamo messo la tela. Se ora al posto di questa mettiamo l’oro, abbiamo finalmente la

forma di denaro che si esprime nella equazione di tutte le merci nell’unica merce denaro,

l’oro. E’ questa la quarta forma, che si distingue dalla terza solo perché invece della tela, a

fare da equivalente generale c’è l’oro. Ma che cosa determina la necessità del passaggio

dallo scambio semplice di una merce con un’altra allo scambio mediato dal denaro? Tale

necessità viene dedotta immediatamente dall’impossibilità di risolvere la contraddizione

della forma semplice di valore, rimanendo nel suo ambito.

Già nella prima figura le determinazioni universali del valore coincidono immediatamente

con l’espressione delle particolarità della circolazione semplice delle merci, e ciò perché la

particolarità della circolazione semplice delle merci sta proprio nel fatto che essa è la prima

forma reale di manifestazione del valore in generale. Esaminando questo caso particolare

Marx scopre le determinazioni universali del valore. L’analisi dello scambio di una tela

con un abito dà come conclusione determinazioni non singolari, ma universali. Si vede

subito che questa elevazione del singolare nell’universale si differenzia radicalmente da

semplice atto di astrazione formale. “Qui non sono respinte come inessenziali le

particolarità dello scambio semplice delle merci che lo distinguono dal profitto, dalla

rendita e da altre forme di valore. Al contrario: l’analisi teorica di queste particolarità

conduce alla formazione del concetto universale. È questo il cammino dialettico in cui il

singolare viene innalzato a universale”363

. Così come nel movimento del mercato il denaro

sorge in qualità di mezzo naturale di soluzione delle contraddizioni dello scambio diretto

delle merci, allo stesso modo nel Capitale le determinazioni teoriche del denaro sono

elaborate come mezzo di soluzione delle contraddizioni nella determinazione del valore :

questo è un momento di passaggio dall’astratto al concreto.

Proprio il passaggio dalla considerazione del denaro da un punto di vista astratto alla forma

concreta riesce ad esprimere la natura storica concreta del denaro come fenomeno

particolare.

Dobbiamo adesso comprendere la trasformazione del denaro in capitale, per comprendere

dove si realizzi il plusvalore. È certo che lo scambio tra due merci differenti si basa su un

valore quantitativamente eguale. La legge del valore come espressione generale della

equazione tra lavoro e prodotti del lavoro, aveva trovato nello scambio una sua prima

storica concretizzazione fenomenica. Quella successiva riguarda uno scambio più

complesso che riguarda sia i capitali sia le merci di uno stesso ramo di industria. Questi

363 Evald Vasilevic Ilenkov, op. cit., pag. 39

137

due casi, per quanto riguarda il valore, vanno interpretati in una consequenzialità di cui il

primo è il prius logico del capitale. Esaminando astrattamente la merce, cioè prescindendo

da ogni altro fenomeno della produzione capitalistica, si esprime logicamente la sua forma

concreta di interdipendenza dal sistema dei rapporti di produzione. l’analisi puramente

astratta della merce e delle sue leggi immanenti manifesta in pari tempo la determinazione

teorica universale di tutto sistema in generale da cui esprime la legge universale concreta.

Marx ricava le determinazioni teoriche del valore dall’analisi concreta dello scambio

semplice delle merci, lasciando da parte tutti gli aspetti derivati e le categorie che li

esprimono. Questa è chiaramente un’astrazione realmente completa e ricca di contenuto,

non formale. Il valore è decodificato non come astrazione di elementi comuni ma come

realtà economica specifica, la cui scoperta esprime nel contenuto reale della forma di

valore non la semplice identità quantitativa astratta dei diversi lavori, come credeva

Ricardo, bensì l’identità degli stessi pensate nelle forme relativa e equivalente di

espressione del valore di ognuna delle merci messe sul mercato.

Ora, abbiamo visto che il denaro è la prima forma fenomenica del capitale, e la forma

immediata della circolazione delle merci è M-D-M, cioè merce trasformata in denaro per

essere ritrasformata in merce, vendere per acquistare. Ma accanto ad essa ne abbiamo una

seconda, D-M-D, cioè denaro trasformato in merce e ritrasformato in denaro, acquistare

per vedere. La differenza è molto notevole! Nel primo caso lo scambio serviva per

acquisire valori d’uso differenti; nel secondo si scambia per ottenere, tramite esso, una

differenza quantitativa. Dunque la formula vera è D-M-D’. ma come è possibile che

scambiando merci equivalenti si possa ricavare un plusvalore? dalla circolazione non

dovremmo avere nessun plusvalore. Siamo in una condizione paradossale, che Marx

esprime con un ottimo linguaggio hegeliano: “Il capitale non può dunque sorgere dalla

circolazione e altrettanto non può non sorgere dalla circolazione. Esso deve, allo stesso

tempo, sorgere e non sorgere in essa”364

. E la trasformazione del denaro in capitale deve

essere sviluppata analizzando le leggi dello scambio di merci equivalenti.

Che il plusvalore non possa scaturire dal denaro stesso è chiaro, dato che esso realizza il

prezzo della merce che compera. Dunque il cambiamento si deve verificare nella merce

comperata con il primo atto, D-M, ma non nel valore di essa, poiché vengono scambiati

sempre degli equivalenti. Quindi l’incremento va ricercato nel valore d’uso della merce. “

Il plusvalore stesso viene dedotto da uno <specifico> valore d’uso della forza-lavoro, che

364 Cfr. Meoc, op. cit., vol. XXXI, pag. 182

138

spetta esclusivamente ad essa”365

. Ci troviamo di fronte ad una merce speciale! Come ogni

merce essa ha un valore che è dato dal tempo di lavoro necessario alla sua produzione e

riproduzione: l’insieme dei mezzi di sussistenza necessari per la sopravvivenza del suo

possessore. Ora, se questa merce è pagata al suo valore, realizzando così la formalità dello

scambio degli equivalenti, il suo carattere speciale risiede nel suo valore d’uso, con la

quale, chi la possiede è in grado di produrre valori maggiori rispetto alla somma dei valori

delle merci necessarie alla produzione. Il valore di una merce è dato del tempo di lavoro

socialmente necessario per produrla. In una fabbrica il capitalista acquista il cotone al

prezzo di 10 scellini, i quali rappresentano dieci libbre di cotone. I mezzi di produzione

invece hanno un valore di 2 scellini. Per produrre un abito ci vogliono circa sei ore, e il

valore di queste ore equivale a 3 scellini per il possessore di forza-lavoro. Dunque il costo

per la realizzazione di un abito è di 15 scellini. A questo punto il valore del prodotto è

identico al valore del capitale anticipato: il denaro non si è trasformato in capitale. Ma il

capitalista aveva acquistato forza-lavoro per una giornata intera, e rientra nella formalità

dello scambio tra gli equivalenti far prolungare la giornata lavorativa oltre le sei ore.

Dunque il processo lavorativo viene prolungato: se in sei ore lavorative erano state filate

dieci libbre di cotone in dodici ne saranno filate venti, il cui valore sarà sempre pari a 15

scellini, ma con la differenza che i tre scellini pagati per la prima filatura valevano per

un’intera giornata lavorativa. Ecco dunque la trasformazione del denaro in capitale. Il

capitalista vendendo successivamente la merce al mercato, sottrae dalla circolazione tre

scellini in più di quanti ve ne aveva immessi. Questo processo dunque “ha luogo e non ha

luogo nella sfera della circolazione. Vi ha luogo grazie alla mediazione della circolazione,

perché ne è condizione la compera della forza-lavoro sul mercato delle merci. Non ha

luogo nella circolazione perché essa solo introduce il processo di valorizzazione che ha

luogo nella sfera della produzione”366

.

In questo stato embrionale il rapporto è ancora molto comprensibile L’unica difficoltà

consiste nello scoprire in che modo questa appropriazione di lavoro senza equivalente

derivi dalla legge dello scambio delle merci – dal fatto cioè che le merci si scambiano i

rapporto al tempo di lavoro in esse contenuto-, e in un primo momento non contraddica

questa legge, perché, come afferma lo stesso Marx “il processo di circolazione già

cancella, già offusca la connessione. Poiché la massa del plusvalore qui è determinata

365 Cfr. Karl Marx, Glosse, op. cit. pag. 177-8

366 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. XXXI, pag. 214

139

anche dal tempo di circolazione del capitale, sembra che s’introduca un elemento estraneo

al tempo di lavoro”367

.

Il processo di produzione del capitale ha un carattere duplice. Esso appare da una parte

come un processo di produzione semplice ossia come processo materiale della produzione

puro e semplice, quale è proprio di tutte le formazioni sociali costituendo una condizione

basilare per l’esistenza di una formazione sociale, e dall’altra come processo di

valorizzazione. Il processo di produzione è processo di produzione del capitale.

Nei Lineamenti Marx affermava che dal punto di vista del processo di produzione

semplice, il processo di produzione del capitale non differisce affatto da altre forme di

produzione. E’ invece il secondo aspetto ad essere discriminante del modo di produzione

capitalistico. Il lavoro individuale non appare direttamente come lavoro sociale. Diventa

sociale solo in quanto equivale a qualche altro lavoro, il che si verifica nello scambio, Così

il lavoro sociale, socialmente equivalente, e quantitativamente distribuito, ora svela un

nuovo carattere: quello di lavoro astratto e socialmente necessario. Il valore delle merci è

determinato in base al lavoro socialmente necessario, cioè alla quantità di lavoro astratto.

Ma se il valore è determinato dalla quantità di lavoro socialmente necessario per unità di

prodotto, questa quantità dipende a sua volta dalla produttività del lavoro. Questo dal punto

di vista quantitativo, cioè della grandezza del valore; ora bisogna passare al piano

qualitativo, cioè alla forma di valore. Non è il valore ad avere un ruolo di regolatore nella

distribuzione del lavoro, e non ogni tipo di distribuzione del lavoro sociale dà ai prodotti la

forma di valore. La distribuzione del lavoro è nel capitalismo non pianificata. I prodotti

hanno valore solo dove il prodotto è specificamente concepito per la vendita e per

l’acquisto, cioè quando questo prodotto è una merce. Non il lavoro preso in sé, ma solo il

lavoro organizzato in una certa forma sociale attribuisce valore ai prodotti. E questo vuol

dire chiaramente che il valore non è una proprietà dei prodotti, bensì una certa forma

sociale che lega i produttori privati ai rapporti sociali di produzione. Certo, lo stesso Marx

in Per la critica dell’economia politica aveva affermato che “ il modo e la forma specifici

in cui il lavoro che crea valore di scambio, e produce quindi merci, è lavoro sociale”368

, ma

“il lavoro che crea il valore di scambio è quindi un lavoro astrattamente generale”369

, cioè

lavoro umano in generale, “astrazione che esiste nel lavoro medio che ogni individuo

367 Cfr. Meoc, Op. cit., vol. XXXVI, pag. 517

368 Cfr. Karl Marx, Per la critica dell’economia politica, op. cit. , pag. 41

369 Ibidem, pag. 40

140

medio di una data società può assolvere. Esso […] è lavoro semplice”370

che varia esso

stesso “a seconda dei paesi e delle epoche culturali, ma appare come dato in una società

esistente”371

. E nel valore di scambio “il tempo di lavoro del singolo individuo appare

direttamente come tempo di lavoro generale, e questo carattere generale del lavoro isolato

appare come carattere sociale del lavoro stesso”372

, e questo lavoro “ è il tempo di lavoro

necessario, che ogni altro impiegherebbe a produrre la stessa merce”373

.

Siamo ritornati alla produzione. Se la formula generale del capitale è D-M-D’, il processo

che genera tale somma di valore più alta è la produzione capitalistica; il processo che la

realizza è la circolazione del capitale. Il capitalista produce della merce non per se stessa

né per il suo valore d’uso né allo scopo del consumo personale, ed è in grado di

trasformare in valore più alto il valore del capitale anticipato solo tramite lo scambio di

quest’ultimo con lo sfruttamento del lavoro vivo; non solo, egli è in grado di farlo poiché

“allo stesso tempo anticipa le premesse per l’attuazione di quel lavoro […] ossia solo in

quanto converte una somma di valore di sua proprietà nella forma di condizioni della

produzione; così anche, in genere, egli è capitalista e può accingersi a sfruttare il lavoro

unicamente in quanto, essendo proprietario delle condizioni di lavoro, si contrappone al

lavoratore quale semplice possessore della forza lavorativa”374

.

Il processo lavorativo non può essere indagato solo da un punto di vista astratto, separato

dalle sue forme storiche, come processo tra uomo e natura. Adesso il processo lavorativo

viene concretizzato, cioè visto come lavoro sociale, così come è sociale il suo prodotto. Per

questo non è più sufficiente che l’operaio produca in genere. Deve produrre plusvalore,

perché è questa l’unica condizione che rende un lavoro produttivo: quello che crea

plusvalore, che contribuisce all’autovalorizzazione del capitale. E’ facile immaginare,

dopo questa ricostruzione, il perché il capitale tenda ad abbassare sempre di più il tempo di

lavoro necessario alla riproduzione della forza lavoro, che è pagato tramite salario, e

aumentare i ritmi di produzione. Lo stesso Marx nel terzo libro lo dice chiaramente: “Lo

scopo di ridurre al minimo il prezzo di costo diviene l’incentivo più grande per l’aumento

della forza produttiva sociale del lavoro, che tuttavia si presenta qui unicamente come un

370 Idem

371 Ibidem, pag. 42

372 Ibidem, pag. 43

373 Idem

374 Cfr. Karl Marx, Il capitale, op. cit. , pag. 938

141

costante aumento della forza produttiva del capitale”375

. Quando egli ha analizzato la

merce, il denaro e la produzione mercantile, ha messo in risalto anche il carattere

mistificatore che stravolge i rapporti sociali, tramutando oggetti in merci e trasformando il

modo di produzione capitalistico in una oggettualità entificabile come il denaro. Simile

trasformazione è comune ad ogni altra forma sociale di produzione che abbia come

connotato una circolazione monetaria e una produzione mercantile. Ma nel modo di

produzione capitalistico “questo mondo misterioso e rovesciato si sviluppa ancor di

più”376

. Il capitale finisce per trasformarsi in qualcosa di affatto misterioso “dato che tutte

le forze produttive del lavoro sembra siano sorte da lui stesso, come forze che concernono

proprio il capitale e non il lavoro in quanto tale” 377

.

Il capitale tende dunque a ridurre il tempo di lavoro socialmente necessario alla

riproduzione della forza lavoro. Di più, per incrementare la produzione, stravolge e

rivoluziona, migliorandoli, i mezzi di produzione e le tecniche. Questa è una

considerazione molto importante, che ci permette di andare oltre una visione non proprio

corretta dell’analisi del valore di Marx, perché è vero che dalla lettura del primo libro può

sembrare che il valore della merce è dato dalla quantità di lavoro oggettivata. Ma egli nel

terzo precisa che “il capitale complessivo, ossia tanto i mezzi di lavoro e le materie di

produzione quanto lo stesso lavoro […] entra materialmente nel reale processo lavorativo

anche se solo una sua porzione entra nel processo di valorizzazione. Senz’altro proprio qui

sta il motivo per cui esso contribuisce solo in parte alla costituzione del prezzo di costo e

totalmente invece alla costituzione del plusvalore. In ogni caso sta per certo che il

plusvalore proviene allo stesso tempo da tutte le parti del capitale impegnato”378

. E questo

a discapito dei sostenitori della teoria del valore-lavoro. Ma non solo. Anche Proudhon e

gli economisti volgari non avevano compreso esattamente a cosa corrispondesse la natura

del valore, poiché credevano che le merci fossero vendute al loro valore se vendute al loro

prezzo di costo, cioè al prezzo dei mezzi di produzione utilizzati nella produzione e salario.

Finivano così per non capire che un elemento altrettanto importante al lavoro non pagato è

il lavoro retribuito. Dunque essi non sapevano a cosa corrispondesse il salario379

.

375 Ibidem, pag. 1507

376 Ibidem, pag. 1472

377 Idem

378 Ibidem, pag. 935

379 Cfr. Meoc, Op. cit., pag. 623

142

Purtroppo non possiamo approfondire ulteriormente la questione, ma nel III libro anche le

differenze nella composizione organica dei vari capitali perdono ogni valore rispetto al

saggio di profitto, cioè il saggio del plusvalore calcolato in rapporto del capitale

complessivo, da non confondere con il saggio di plusvalore che è calcolato in rapporto al

capitale variabile380

. La concorrenza ha questa funzione unificante. Se infatti nel primo e

nel secondo libro i capitali individuali avevano leggi proprie, nel terzo libro assistiamo ad

un rovesciamento, in quanto, in un sistema capitalistico non sviluppato le merci si

scambiano al loro valore, ma in un sistema sviluppato, non conta più la composizione

organica del capitale singolo, cioè la sua individualità astratta: il capitale conta nel suo

complesso, come se fosse un unico capitale che produce, dal quale le singole frazioni del

capitale sono distinguibili solo sulla base delle loro grandezze. La circolazione del capitale

individuale è insufficiente, in questo senso astratta, nei confronti del capitale sociale

complessivo. Il saggio di profitto è rappresentabile tramite questa formula: pv/C = pv /c +

v’ e si distingue dal saggio del plusvalore rappresentabile tramite la formula pv/v. Nel

saggio di profitto manca allora il capitale costante, indicato come c , ed esso quindi è

calcolato solo in rapporto al capitale variabile, mentre nel saggio di profitto viene

considerato tutto il capitale anticipato, in quanto C= c + v.

Esso può rimanere immutato e allo stesso tempo esprimere saggi differenti del plusvalore.

D’altra parte, ciò che interessa il singolo capitalista è il rapporto del plusvalore. E come

afferma perentoriamente il pensatore tedesco: “l’esatto rapporto invece di questa eccedenza

e le sue intrinseche connessioni con i particolari elementi costitutivi del capitale non solo

non gli stanno a cuore, ma anzi è suo interesse confondere le idee a tale riguardo, ricoprire

di un velo questi rapporti”381

. Il saggio generale del profitto è dato dal rapporto tra

plusvalore totale e capitale totale anticipato. Stabilito il saggio, ne possiamo ricavare il

profitto che spetta al capitalista, e se sommiamo questo profitto al prezzo di costo

otteniamo il prezzo di produzione della merce. Naturalmente questi prezzi di produzione

nei vari rami della divisione sociale del lavoro potranno essere uguali, maggiori o inferiori

ai valori delle merci. Ma le oscillazioni dal loro valore finiranno per compensarsi nel

totale. Da un lato è vero che i prezzi non corrispondono ai valori e che il profitto di chi

detiene il capitale è diverso dal plusvalore ricavato dallo sfruttamento della forza-lavoro;

ma dall’altro lato il profitto totale è uguale al plusvalore totale e prezzi totali sono

380 Esse sono due misure differenti della medesima grandezza. Data la diversità dei termini posti in relazione,

tali due misure indicano rapporti o relazioni differenti della medesima grandezza.

381 Cfr. Karl Marx, Il capitale, op. cit. , pag. 939

143

equivalenti ai valori totali. Così è ancora possibile non perdersi nel gioco delle parvenze

che celano il plusvalore dietro il profitto e del valore dietro al prezzo. Ma questo discorso

ci fa comprendere che la legge del valore è in contraddizione diretta con la legge del saggio

del profitto medio, e ciò vuol dire che tra legge generale e il suo darsi empirico vi è una

contraddizione. E ciò non può che destare scandalo, poiché una legge universale logica

dovrebbe essere veritiera se e solo se la sua applicazione è estesa all’intero ambito

dell’empirico. E’ una cosa che Marx aveva già colto. E lo studio del campo economico

mostra chiaramente di cozzare contro tutto questo. Non è ipotizzabile che i reali,

quotidiani rapporti di scambio e le quantità di valore siano “immediatamente identici. Il

senso della società borghese consiste appunto in questo, che a priori non ha luogo nessun

cosciente disciplinamento sociale della produzione. Ciò che è razionale e necessario per la

sua stessa natura, si impone soltanto come una media che agisce ciecamente”382

.

Ma c’è ancora qualcosa da dire intorno plusvalore, che non abbiamo analizzato e che ora ci

sarà molto utile per mostrare sotto un altro rispetto un importante ruolo ricavato dal cambio

di paradigma della filosofia marxiana. Molto interessante da notare è che il capitale non

migliora solo i mezzi di produzione e le tecniche, ma tende a migliorare anche la qualità

della forza lavorativa da impiegare, e questo rovescia un altro mito del marxismo

novecentesco: quello della predominanza delle forze produttive sui rapporti di produzione.

382 Cfr. Meoc, Op cit., vol. XLIII, pag. 598

144

CAPITOLO QUARTO

I GRADI DELLA STORIA : TELEOLOGIA E MITO DEL

SOGGETTO

I La storia orientata

E’ innegabile che gli epigoni “idealisti” di Marx, così come gli avversari, abbiano

sottovalutato e declassato il poderoso intento espresso nel Capitale definendola come una

ricerca che muove da intenti utopici e che risponda a presupposti extrascientifici383

. Ci si

potrebbe stupire del fatto che anche i cosiddetti epigoni ed interpreti “marxisti” abbiano

condiviso queste affermazioni, a loro modo di vedere con altri intenti, ma comunque

sempre finendo per svilire le ricerche del Capitale, anche quando nelle loro opere ne

presentavano ampi stralci e citazioni divenute poi celebri. Perché il ridurre le ricerche

383 Se è vero che ogni metodologia utilizzata nelle scienze non è mai neutrale, nemmeno i canoni

interpretativi si sottraggono a questo schema. Essi, almeno nel caso del marxismo, spesso rispondono ad

interessi di carattere strettamente politico

145

economiche a ricerche mosse e orientate dall’utopica fine della storia è in qualche modo

uno svilire i risultati di una indagine nel campo dell’economia politica. Gli appunti

giovanili del ’44, insieme a qualche articoletto giornalistico dell’adolescenza, qualche

lettera, a mio modesto parere, melensa e flautata scritta a Ruge: ecco le ancore con le quali

si è cercato e si cerca ancora oggi di trattenere lo sviluppo della teoria marxista. Poca roba

a ben vedere! Eppure in questa operazione di rendere Marx irriconoscibile, o forse sarebbe

meglio dire il più riconoscibile possibile entro categorie che non erano più le sue, si sono

comprese anche le pagine dell’ Ideologia tedesca, rendendo le ricerche e le critiche nella

prima sezione, quella dedicata a Feuerbach, delle grandi e innocenti narrazioni storiche384

.

A tal proposito, nelle pagine dell’ Ideologia tedesca, Engels e Marx sarebbero stati di una

chiarezza disarmante: E’ la divisione del lavoro all’interno di una nazione che porta alla

strutturazione di un determinato gruppo sociale385

, e i diversi stadi di sviluppo della

divisione del lavoro sono “altrettante forme diverse della proprietà”386

.

Da questo elemento potremmo tracciare una linea retta che procede per gradi e inglobare le

diverse fasi storiche di forme di proprietà. Il primo corrisponde a quello della proprietà

tribale, nel quale ancora non è sviluppata una vera e propria produzione, e la divisione

sociale non è che “prolungamento della divisione naturale del lavoro nella famiglia”387

. La

schiavitù in essa latente si svilupperebbe con il crescere della popolazione e dei bisogni. La

seconda forma è la proprietà della comunità antica e dello Stato, che ha origine dall’unione

di più tribù in una città. In essa nasce, affianco a quella comune, la proprietà privata. Si

presentano già qui le contraddizioni che caratterizzeranno anche i successivi modi di

produzione: città e campagne, industria e commercio ecc. La terza forma è la proprietà

feudale, a cui segue l’affermazione del modo di produzione capitalistico. Alle quattro fasi

384

Prima di Marx, già Kant aveva avvertito il rischio, quando si formulava una storia dal punto di vista di

una finalità, di tramutare la ricostruzione filosofica in un romanzo. La filosofia non è in nessun modo una

forma di narrativa. Cfr. Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in

Scritti di storia, politica e diritto, Laterza, Roma-Bari, 2009, pag. 41. E lo stesso Engels dichiara la

pericolosità di simili approcci: “ Il metodo materialistico si rovescia nel suo contrario se non viene

considerato come il filo conduttore di uno studio storico, ma come schema fisso sul quale ritagliare pari pari i

fatti storici. […]. Il contadino norvegese non è stato mai servo della gleba, e ciò dà allo sviluppo un tutt’altro

sfondo, analogamente a quanto avviene in Castiglia” Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. XLVIII pag. 439

385 Cfr. Meoc, op. cit., pag. 18

386 Idem

387 Idem

146

della storia Marx nei Grundrisse aggiungerà il modo di produzione asiatico388

. In

definitiva, la storia finora esistente sarebbe consistita di 5 tappe tra loro successive. Chi è

l’artefice del passaggio da una tappa all’altra? Molti dei suoi interpetri si sono affidati

direttamente alle parole di Marx. Il filosofo di Treviri, infatti, nella prefazione a Per la

critica dell’economia aveva affermato: “ Ad un certo grado del loro sviluppo le forze

produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione

esistenti, o, per usare un termine giuridico, con i rapporti di proprietà nel cui ambito si

erano mosse fino a quel momento. Da che erano forme di sviluppo delle forze produttive

questi rapporti si tramutano in vincoli che frenano tali forze. Si arriva quindi ad un’epoca

di rivoluzione sociale”389

. La storia umana allora sarebbe scandita dalla dialettica tra le

forze produttive e i rapporti di produzione. E, a ben vedere, col mutare delle condizioni

delle prime, devono di conseguenza mutare le seconde.

Di più, le stesse condizioni delle forze produttive sarebbero l’elemento realmente

predominante in ogni società, la quale senza di esse non sarebbe né esistente né

comprensibile. E’ questo insieme di attitudini psico-fisiche, prese sotto il loro aspetto

astratto che consentirebbe al filosofo critico di tastare il polso dell’epoca in cui vive. Sono

facilmente deducibili le motivazioni che avrebbero spinto Marx a porre al centro del suo

pensiero le forze produttive: esse sono, per dirla col linguaggio proprio della filosofia

tedesca, il soggetto. Ma di che cosa? Dello sviluppo del tutto in cui esse sono calate. O

meglio, esse sono il dinamico atto di accumulazione e trasformazione del loro stesso

prodotto: i rapporti sociali di produzione. Per questo, nel momento in cui questo loro

prodotto non corrisponde più alla effettualità attiva del loro incessante sviluppo, le forze

produttive si autoimpongono il superamento di ciò che è posto, instaurando così un nuovo

modo di produzione. Uno degli apologeti di questo Marx hegeliano, Bloch, che vedeva in

Marx “il novum di Hegel”390

, volava su queste e altre pagine, vedendovi il grande

“rovesciamento di Hegel in Marx: una rettifica della processione degli spiriti nel processo

terreno, dei contenuti fissi del ricordo interiorizzato nell’inesaurito fondo della materia

dialettica. In tal modo, è la logica della realtà stessa il motivo per cui nel marxismo

continua a sussistere all’ordine del giorno tanta parte del linguaggio filosofico di allora

(come estraneazione, alienazione, rovesciamento della quantità nella qualità ecc)”391

. Ma,

388 Il termine di modo di produzione era già utilizzato nella Sacra Famiglia. Cfr. Meoc, Op. cit. , pag.167

389 Cfr. Karl Marx, Op. cit. , pag. 31

390 Cfr. Ernst Bloch, Soggetto- oggetto, op. cit. , pag. 429

391 Ibidem, pag. 428

147

come mostreremo, le cose stanno in un modo del tutto differente. Nel Diciotto Brumaio di

Luigi Bonaparte Marx dichiara che “gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in

modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano

immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalle tradizioni”392

.

Dobbiamo quindi ricostruire alcuni paradigmi dell’interpretazione dominante del

marxismo

D’altra parte, chi ha insistito sulla linea continuistica non può che porsi immediatamente

un problema, tralasciando la vera questione, che gli è proibita, pena il crollo: chi è il

soggetto che muove le trame della storia? E quale il suo scopo?

Bisogna tenere ben impresse nella mente queste due domande. Nel modo in cui sono

formulate, esse già svelano una modalità ben precisa di pensare questa problematica

nell’unica maniera in grado di mantenerla nel quadro più ampio della prospettiva

futurocentrica. Inoltre, solo così risulta davvero semplice l’equiparazione di Marx a Hegel.

Infatti, se per quest’ultimo il passaggio da una epoca storica all’altra era concepita come

l’avanzamento dello spirito del mondo, Marx, in virtù del sedicente rovesciamento, può

mondanizzare il passaggio senza ricorrere a nulla che esuli dall’immanenza storica

materiale. La semplicità dell’equiparazione si riflette anche da una acritica decodifica delle

frasi dello stesso pensatore. Ad esempio, per spiegare le modalità tramite le quali un modo

di produzione si avviasse al tramonto, si è spesso riportato un capoverso di Marx tanto

lucente quanto problematico: “Una formazione sociale non scompare mai finché non si

siano sviluppate tutte le forze produttive che essa è capace di creare, così come non si

arriva mai a nuovi e più evoluti rapporti di produzione prima che le loro condizioni

materiali di esistenza si siano schiuse nel grembo stesso della vecchia società. Perciò

l’umanità si pone sempre e soltanto quei problemi che essa è in grano di risolvere”393

. Che

cosa voglia dire questa frase, a pensarci bene, è tutto fuorché chiaro. Ed è per questo che le

due domande su cui la linea continuistica poggia la sua analisi rasentano la sterilità

pressocchè radicale, poiché è la stessa risposta che si vuole legittimare a far da radice

all’impianto, così da tramutare l’intero e fecondo progetto marxengelsiano ad una mera

esposizione di fasi storiche nei termini di estinzione ed alba. Di più, la conoscenza del

metodo dialettico potrà rendere intelligibili le future linee di tendenza dell’ambito al quale

viene applicato. Per questo “la dialettica materialistica è una dialettica rivoluzionaria”394

. E

392 Cfr. Meoc, Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte, op. cit. , vol. XI, pag. 107

393 Cfr. Karl Marx, Per la critica dell’economia politica, op. cit. , pag. 32

394 Cfr. Gyorgy Lukacs, Storia e coscienza di classe, op. cit. , pag. 2

148

la dialettica ha nella propria metodologia d’indagine dei punti cardine specifici. Anzi essa

stessa è il risultato di questo metodo, in cui la contraddizione adempie il ruolo di

animazione di ogni processo. Marx afferma che la storia intera è storia della lotta delle

classi, nella quale i detentori dei mezzi di produzione di una data epoca sono posti in

aperto contrasto con i liberi produttori. Ci sarebbe dunque un primato ben preciso delle

classi sulla lotta stessa. Non la lotta in prima istanza, bensì le classi. Dunque delle

categorie opposte ed irrelate la cui lotta è il metronomo dell’evoluzione storica. La storia

avanzerebbe tutta in questo modo, mediante la contraddizione che è il principio del

conflitto, meglio ne è l’essenza. La contraddizione in fondo è ciò che fa avanzare la storia,

ciò che anima lo scontro tra gli opposti. Ogni contraddizione conterrebbe in sé il principio

del suo superamento. Non solo, essa sarebbe sin dall’inizio orientata ad una

ricomposizione dei termini contrari. Tramite la negazione della negazione, lo sviluppo

storico procederebbe così verso forme via via più complesse e determinate. E se ad ogni

determinazione corrisponde una negazione, allora alla determinazione più netta e decisiva,

quella a cui corrisponde la più ampia lacerazione reale, sarà correlato il massimo grado di

possibilità di ricomposizione. E’ la negazione che fa avanzare la Storia. Essa porta avanti il

lato cattivo, quello della classe negata che a sua volta negherà la sua essenza negata

dall’altro polo, cioè quell’opposta polarità che si afferma e si è affermata a sua volta

negando ciò che l’aveva negata. Ma ogni atto stesso di negazione della propria negazione

avverrebbe tramite un lavoro di ricomposizione di ciò che fu lacerato. Il termine ultimo di

questo processo contraddittorio e negativo, dettato dalla stessa impostazione delle classi

sulla loro lotta, è la fine della storia.

Si apre così un doppio livello di analisi. Un livello doppio che è comunque uno, o meglio il

suo essere doppio è riconducibile al tentativo di riuscire a fondare su una base nuova,

quella dei rapporti di sfruttamento, una visione ereditata da una precisa cultura.

Se da un lato ciò dimostra immediatamente che il metodo dialettico non è un semplice

accessorio della teoria, dall’altra parte, secondo diversi autori, essa svelerebbe quella

grande intenzione fondamentale che condurrebbe Marx a fondare la nuova scienza: il

processo storico. E questa sua fondazione epistemologica nasce da un sostrato filosofico. Il

concetto di modo di produzione è da Marx pensato come una nozione scientifica, ma “ciò

non toglie che poi egli ponga i vari modi di produzione, storicamente determinati, in una

successione dinamica, progressiva e teleologica,sostenendo apertamente”395

che la storia

395 Cfr. Diego Fusaro, Bentornato Marx, rinascita di un pensiero rivoluzionario, Bompiani, Milano 2009,

pag. 112

149

dello sviluppo degli stessi modi di produzione altro non sono che “atto reale di generazione

del comunismo”396

.

Il passaggio da un modo di produzione all’altro mantiene un carattere di necessità

ineluttabile, tramite l’acutizzazione delle contraddizioni, intesa quasi come una saturazione

della potenza della contraddizione principale, a un dover-essere, che richiama alla

formulazione espressa nella Scienza della logica: “Il dover-essere è quello che, in un

ulteriore sviluppo […] si presenta dietro a quella impossibilità come il progresso

all’infinito”397

.

Se Hegel ha traslato nella storia l’essere prius del concetto, ha dedotto così facendo da

questo la storia empirica. Sorge il problema di come Marx arriverebbe a ribaltare questa

visione: perché guarda all’empirico come il prius di ogni reale e ne deduce un nuovo

impianto di ri-costruzione logica della storia? Ma il modo di porre la domanda in questi

termini, se da un lato potrebbe spianarci la strada per la comprensione di alcuni punti

discordanti con Hegel, dall’altro lascerebbe la nostra analisi ingabbiata in un terreno che in

verità non è quello su cui si staglia la problematica fondamentale di Marx. Si rimarrebbe

ancora in un terreno in cui il mero ribaltamento apre e rende comprensibile ciò che prima

era mistificato dall’inversione. Ma qui non siamo più nel sentiero dell’inversione. Il

problema è qui chiaramente logico.

Già nella Sacra famiglia Marx aveva illustrato le difficoltà del procedimento hegeliano. Di

fronte alla molteplicità di singoli oggetti particolari, Hegel ricava da questi un genere,

un’essenza comune che nella sua rappresentazione non conserva le differenze che

distinguevano i variegati oggetti. Questa essenza è dunque astratta, cioè separata, depurata

dai predicati discriminanti. Questa essenza astratta diviene così una sostanza che fonda i

singoli particolari. Ma se dobbiamo mostrare come l’astratto è il fondamento effettivo

degli enti reali, allora dobbiamo mostrare anche il cammino opposto a quello descritto

sopra. Ma come si passa dall’astratto al singolo? Per Marx, Hegel rimane incapace di

spiegarlo, o meglio la spiegazione è viziata dalla forma d’impostazione.

E’ chiaro che il grande limite di Hegel lo conduce ad un fraintendimento del ruolo

dell’astrazione per la teoria. Il genere diventa soggetto, e gli individui, insieme alle loro

determinazioni, predicati di tale soggetto. Ecco perché nel suo sistema la realtà si rovescia.

Ma se Marx fosse rimasto un semplice hegeliano, di certo sarebbe stato sufficiente - per

lui, non per la filosofia né per il reale - riformare la filosofia speculativa nei termini

396 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. III, pag. 111

397 Cfr. Hegel, Op. cit. , pag. 133; Cfr. I paragrafi 93-94 dell’ Enciclopedia.

150

proposti da Feuerbach, il quale sosteneva che “non si deve che fare del predicato il

soggetto e, in quanto soggetto, trattarlo come oggetto e principio -, basta, insomma,

rovesciare la filosofia speculativa per avere la verità senza veli, pura e schietta”398

. Anche

nel rispetto del susseguirsi dei modi di produzione, l’individuazione corretta del soggetto

sarebbe stata un'altra condizione magari non autosufficiente ma comunque necessaria per

far avanzare la storia, da sempre orientata teleologicamente.

Il tramonto della storia, che diventa alla luce della fine, una vera e propria preistoria

rispetto a questa è una sorta di apocatastasi, un atto di ricomposizione totale dell’uomo con

sé, con la comunità e la natura. Una idea di comunismo, molto forte in Bloch e anche in

Lukacs, che a tratti sembra richiamare ancora una volta una nozione hegeliana, quella della

vera infinità, immaginata come circolo:

“ Solo ai due limiti di questa l’infinito è e continua sempre ad essere, là dove la linea, che è

esserci, non è, mentre poi la linea stessa esce in questo suo non esserci, vale a dire

nell’indeterminato. Come vera infinità, ripiegata in sé, la sua immagine diventa il circolo,

la linea che ha raggiunto se stessa, che è chiusa e interamente presente, senza punto iniziale

né fine”399

. Quasi a dire che in fondo l’idea del comunismo come fine della storia è quasi

un’immagine di rifiuto di un cattivo infinito storico, che ricorda l’incedere nel cammino

della verità presentato nella Scienza della logica, dove è detto senza mezzi termini che

l’unico metodo per ottenere progresso scientifico si basa sulla corretta concezione del ruolo

del negativo, e che questa conoscenza scientifica è da pensarsi come “sistema dei concetti”

che ha “un andamento irresistibile, puro, senz’accogliere nulla dal di fuori”400

.

Avevamo visto precedentemente le due domande chiave di questa concezione. La prima, in

una secondaria e a tratti parziale riformulazione, potrebbe suonare anche così: donde lo

sviluppo?

Sappiamo che Hegel considera una serie di fatti sempre legati in una relazione causale.

Così facendo però inverte l’ordine della relazione. Questa successione è una successione

logica che porta all’assurdo: è il figlio che genera la madre, lo spirito che genera la natura,

il risultato genera il cominciamento401

. Marx qui critica apertamente la visione teleologica

di Hegel e dei giovani hegeliani: “Come, per i vecchi teleologi, le piante esistono per

essere mangiate dagli animali, e gli animali per essere mangiati dagli uomini, così la storia

398

Ludwig Feuerbach, Tesi preliminari per la riforma della filosofia, op. cit. , p. 178. 399 Cfr. Hegel, Scienza della logica , op. cit. , pag. 153

400 Ibidem, pag. 36

401 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. V, pag. 135

151

esiste per servire all’atto di consumo del mangiare teorico, cioè del dimostrare. L’uomo

esiste perché esiste la storia; la storia esiste perché esiste la dimostrazione della verità” 402

.

Se applicato alla storia, il risultato finale del processo sembra presupposto integralmente

nel processo stesso. Così la fine fonda l’inizio e guida concettualmente le tappe intermedie.

Nelle forme iniziale ed intermedie il risultato finale può esser colto già come presente, ma

naturalmente non già come risultato esplicato. E questo in quanto lo stesso porre in essere

il processo è attualizzato e dominato via via dal risultato. Le stesse forme passate hanno il

compito di realizzare l’ultima delle forme. D’altronde è questa l’impostazione logica

seguita dalla sinistra hegeliana. Max Stirner, ad esempio, affermava apertamente che il

compito degli ebrei altro non era che quello di farsi trasformare dai cristiani. I predecessori

dunque muovono il loro stesso sviluppo verso il compimento del loro compito: quello di

farsi superare dai successori403

. Qui Marx non si chiede direttamente se questo compito

possa essere rigorosamente corretto dal punto di vista logico. Porre questa domanda

riporterebbe Marx sullo stesso terreno percorso due anni prima della stesura dell’ Ideologia

tedesca. Qui è in gioco la validità della traslitterazione dell’impianto teleologico in un altro

campo, quello storico-economico. La teleologia implica un certa modalità di

configurazione di un percorso costruito e nel contempo da costruire. Ma la modalità della

costruzione non coincide certo con la scelta tra logiche differenti, che riporterebbe a sua

volta ad una modalità teoretica qui esplicitamente rifiutata, quella dell’idealismo appunto,

che parte dal pensiero per arrivare alla realtà. Eppure, seguendo questo procedimento, posti

di fronte alla storia dell’economia, ne scopriamo il non senso, o forse meglio l’assurdo.

Infatti, procedendo anche noi in una “costruzione à la san Max” ne ricaviamo che “ la

grande proprietà fondiaria moderna derivata dal sistema parcellare”, proclamatrice di fatto

del maggiorasco, ha attuato “ < […] l’ultima conseguenza> del parcellamento della

proprietà fondiaria, <e che sin dall’origine> il parcellamento <non si è proposto altro

compito che di attuare>, il maggiorasco, il vero maggiorasco. <Da ciò proviene quindi

l’illusione che> il maggiorasco <assegni un valore infinito> al pari diritto dei membri della

famiglia, <come per esempio appare> nel diritto ereditario del Code Napolèon”404

.

Ecco dunque mostrato il limite di una simile impostazione in un nuovo campo, quello

dell’economia. Sul terreno speculativo, e sotto il dominio di una cappa ideologica che

deforma il reale, sarebbe stato ancora possibile interpetrare la storia nel modo che ora

402 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. IV, pag. 87

403 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. V, pag. 135

404 Ibidem, pag. 136

152

Marx rigetta, poiché, tramite i dispositivi speculativi “è infinitamente facile dare alla storia

orientamenti unici, non facendo altro che descrivere il suo ultimissimo risultato come il

<compito> che essa <in verità si è proposta sin dall’origine>. Per questa via le epoche

passate assumono un aspetto bizzarro e mai esistito. […]. Per esempio, si dice che il vero

<compito> che <si era proposto fin dall’origine> l’istituzione della proprietà fondiaria è

stato di soppiantare gli uomini con le pecore, effetto che recentemente si è verificato in

Scozia, ecc” 405

.

Ecco dunque che la teleologia si scopre come una categoria logica applicata ad un ambito

in cui essa non è applicabile, che tramuta il corso degli eventi in una “storia di

fantasmi”406

.

Si è parlato poc’anzi di orientamenti unici. Per darsi un unico orientamento, è necessario

aver fissato e legittimato un punto-luce da cui la stessa storia riverbera.

Hegel lo aveva individuato, nelle Lezioni di filosofia della storia, nello spirito, affermando

apertamente che la storia non è semplicemente una coincidenza del processo dello spirito,

ma è questa stessa storia dello spirito, che evolve tramite un sottile gioco di astuzie

innescato dalla ragione407

. Posto lo spirito come fondamento, diviene effettivamente

semplice ritrovare dappertutto lo spirito stesso nella storia, ordinandola e modellandola su

questo spirito408

e sulla sua esplicazione. Marx contesta apertamente questo modo di

pensare la storia non perché lo spirito è inesistente nella storia stessa, bensì perché non v’è

nessun disegno che la tratteggi e la orienti, e qui siamo in punto di radicalità ben più

profonda di una mera critica dello spirito in generale che richiamerebbe posizioni, già

percorse in filosofia, di negazione irrefutabile dell’esistenza di Dio o di qualsivoglia ente

trascendente; la storia ha un carattere estremamente complesso che non può essere

ingabbiato e dedotto a partire da un principio.

Ora, abbiamo fatto vari accenni ad un nuovo campo, ad una problematica che da questo

campo sorge. A tratti ci è sembrato che questo cambio fosse davvero il passaggio decisivo

per comprendere i termini della rottura. Meglio, che la rottura, termine forse non del tutto

aderente allo sviluppo intellettuale di Marx, fosse la conseguenza di questo cambio di

terreno, seguita da un avvicendamento di metodo di lavoro, perché l’altro, quello mutuato

405 Idem

406 Ibidem, pag. 118

407 Cfr. Georg W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, op. cit. , pag. 27

408 Cfr. Meoc, Op. cit. , pag. 160-1

153

da Hegel e da Feuerbach, era risultato inefficace. I Manoscritti, e i risultati lì raccolti ne

sono la resoluta testimonianza.

Viene davvero da chiedersi il perché di questi testi giovanili, del perché essi siano stati

visti come una fonte inesauribile di ricchezza, come l’abito di rivelazione dei reali intenti

di Marx, una chiave d’accesso ai suoi lavori della maturità. Ciò che sembrava

incomprensibile, il carattere di imperscrutabilità de Il Capitale e del tema fondamentale in

esso affrontato, è stato reso intelligibile tramite un dispositivo analitico che scompone

l’oggetto tematizzato in segmenti che poggiano su di un nucleo centrale che su questi si

riflette. Il tema centrale è stato individuato più volte nell’uomo e nelle sue relazioni

storiche. Ma la comprensione della complessa storia dell’uomo esplicava di necessità una

categoria metastorica ereditata da una cultura, o meglio da una tradizione culturale. In essa

allora si è trovato il criterio primo per dedurne il lavoro specifico dell’autore. Solo se

inserito in una tradizione culturale, in questo caso di matrice squisitamente filosofica,

potevamo comprendere alcuni capitoli come quelli sulla merce, sull’accumulazione

originaria, sulla caduta tendenziale del saggio di profitto; solo mutuando dalla visione

filosofica hegeliana le categorie di lavoro, alienazione, uomo, storia ecc ecc. potevamo

comprendere il giovane Marx. E che solo nel comprendere i lavori di questo giovane

filosofo, ossessionato ed ossessionante critico dei suoi contemporanei neohegeliani,

potevamo arrivare a carpire la sostanza dei volumi del Capitale che iniziano proprio col

tema dell’apparenza, del manifestarsi, per così dire, illusorio del mondo delle merci. Solo

dimostrando l’unità del percorso intellettuale del filosofo di Treviri se ne poteva ribadire la

genialità e insieme la validità epistemologica. Un’ epistemologia che però finiva per esser

considerata come una sorta di abito dimostrativo di un pensiero teleologico di matrice

filosofica. Ci si è illusi che la sola via per difendere la grande scoperta di Marx passasse

non tanto nello studio e nella esplicitazione ulteriore di questa scoperta, bensì nel tentativo

primario di difesa del suo itinerario speculativo. Non che lo studio dell’itinerario percorso

sia pernicioso ed invalidante. Questo atteggiamento sarebbe antiscientifico. Ma il fare i

conti con un itinerario non vuol dire certo negare o peggio occultare le rotture causate da

un cambio radicale delle domande fondamentali nell’indagare. Posti di fronte al problema

dell’unità, i filosofi, attingendo ad una modalità di pensiero che vede nell’unità l’unico

sistema del filosofare, hanno concentrato i loro sforzi a difesa di una unità presupposta

come carattere garante ineludibile di un pensare che non cade in contraddizione con se

stesso. E questo ci svela anche un modo di intendere la filosofia . Posti di fronte alla

difficile questione dell’oggetto specifico della filosofia rispetto alle scienze, l’unica

154

risposta possibile da parte di chi pratica la filosofia nel sentiero tracciato da Platone ed

Aristotele, e ribadito dalla Topica della Critica della ragion pura kantiana e

dall’Heidegger di Essere e Tempo, è stata quella di ribadire che nella scienza particolare

della economia politica Marx avesse tradotto e trasportato i risultati di una indagine

filosofica, la disciplina delle discipline, ricavati da una metodologia di lettura dei fatti della

storia dell’uomo calati all’interno di una cornice che metteva in risalto il movimento

contraddittorio della stessa storia dell’uomo. I risultati filosofici della gioventù vennero

quindi pensati come lo strumento con il quale accostare ad una scienza particolare, quella

dell’economia politica appunto, e ri-definirne l’ambito e l’oggetto specifico. Ma davvero

Marx ha travasato questi risultati dentro l’otre dell’economia politica? Davvero possiamo

accontentarci di pensare la contraddizione principale della storia tramite una pre-

comprensione in chiave metastorica della contraddizione? Così facendo il lavoro di Marx

sul tema del Capitale sarebbe traducibile in uno sforzo di applicazione di una concezione

filosofica su di un contenuto scientifico dedotto a partire da ciò che scientifico non è.

Infine, possiamo dirci ancora davvero così certi dell’impianto teleologico di una filosofia

della storia sviluppata da Marx? Che cosa legittima questo modo di pensare al lavoro di

Marx nei termini di un percorso unitario? Non si svela qui il grande limite di un certo

modo di fare filosofia che andrebbe invece ridiscusso, e proprio a partire dalle pagine del

Capitale? Perché se l’unica lente in grado di farci leggere oggi come ieri le dense pagine di

questa sterminata e incompleta opera sono i manoscritti economico-filosofici e gli altri testi

giovanili di Marx, questo non denota un problema immediato per comprendere Marx, ma

un problema che riguarda un certo modo, per molto dominante, di fare filosofia. E’

innegabile e sicuramente sintomatico il fatto che si siano privilegiati studi su opere

giovanili di cui lo stesso Marx non possedeva nemmeno una copia nella sua vasta

biblioteca409

a discapito di analisi approfondite del Capitale, ed ai problemi che esso pone,

al di là della legittimità della soluzione posta.

Dobbiamo indagare meglio la questione e tornare agli Estratti su Mills e ai Manoscritti

del’44, cioè a quell’insieme di appunti che sono fortemente influenzati da Feuerbach e

dalla sua problematica, partendo da un dato di fatto: Marx comincia a studiare l’economia

e l’economia politica durante l’esilio parigino. Questo incontro è insieme costatazione e

409 “Qui [da Kugelmann] ho trovato nuovamente anche la <Sacra famiglia>, che mi ha regalato e di cui

manderò a te un esemplare. Fui piacevolmente sorpreso di constatare che non abbiamo da vergognarci del

nostro lavoro, quantunque il culto di Feuerbach faccia ora un’impressione molto umoristica” Cfr. Meoc, Op.

cit. , vol.XLII, pag. 319.

155

rifiuto. La constatazione è relativa all’assenza di un fondamento di questa scienza410

e si

accompagna al rifiuto di una scienza senza fondamenti. “Di dove viene a Marx la

convinzione che l’economia politica manchi dei fondamenti? Dalle contraddizioni che essa

costata e registra, quando addirittura non accetta e trasfigura: prima di tutto dalla

contraddizione maggiore che oppone la pauperizzazione crescente dei lavoratori a quella

particolare ricchezza che l’economia politica celebra l’avvento nel mondo moderno” 411

.

L’incontro di Marx con l’economia politica è mediato dalla filosofia, la quale risolve il

problema di quella con il concetto di lavoro alienato a cui Marx attribuisce “la funzione di

fondamento originario; ma che non può esercitare questa funzione se non a condizione di

riceverla come mandato e come missione da tutta una concezione dell’Uomo che attinge

nell’ essenza dell’uomo la necessità e il contenuto dei concetti economici che ci sono

famigliari”412

. Ma, per dirla ancora con le condivisibili parole di Althusser, il Marx “più

lontano da Marx è proprio questo Marx qui, ossia il Marx più vicino, il Marx della vigilia,

il Marx della soglia: come se prima della rottura, e per consumarla, egli avesse sentito il

bisogno di dare alla filosofia tutte le sue possibilità, l’ultima possibilità […] ossia la sua

sconfitta”413

.

E la sconfitta si consuma centrando il tema dell’economico sul metro dell’individuo

estraniato nelle relazioni sociali a causa di un determinato modo di produrre. E’ bene dire

sin dall’inizio che

la teoria dell’estraniazione contenuta nei Manoscritti – per quanto il suo oggetto sia di

natura economica- va ben al di là di un’analisi economica e quindi anche di una teoria

economica, per assumere il larga misura il carattere di un’elaborazione filosofica ben più

ampia. La varietà delle fonti utilizzati non sopperisce alle carenze nozionistiche sul tema.

Anzi, la loro eterogeneità ostacola ulteriormente le speranze di Marx, aggrovigliando i

ragionamenti su piani difficilmente compatibili. Tornando all’estraneazione, possiamo

concludere che essa, nella sua formulazione, denuncia ancora chiaramente i connotati del

passato filosofico di Marx. Essa è dunque una “teoria dello sviluppo sociale, con la quale

dimostra che la storia dell’uomo non ha un Logos al di fuori di sé, ma è un processo

dialettico di autoproduzione dell’uomo per mezzo della sua attività produttiva materiale.

L’uomo è un ente naturale immediato, una parte della natura. Come “ente naturale vivente

410 Quanto in questo abbia influenzato la filosofia tedesca è facilmente immaginabile

411 Cfr. Louis Althusser, Per Marx, op. cit. pag. 135

412 Ibidem, pag. 136-7

413 Idem

156

è da una parte fornito di forze naturali, di forze vitali, è un attivo ente naturale, e queste

forze esistono in lui come disposizioni e capacità, come impulsi; e d’altra parte, in quanto

ente naturale, corporeo, sensibile, oggettivo, è un ente passivo condizionato e limitato,

come è anche l’animale e la pianta: e cioè gli oggetti dei suoi impulsi esistono fuori di lui

come oggetti del suo bisogno, oggetti indispensabili, essenziali alla manifestazione e

conferma delle sue forze essenziali”414

. L’uomo vive nella natura e la natura condiziona la

sua propria vita materiale ed intellettuale. La natura è il fondamento stesso della vita

umana in generale.

L’attività produttiva materiale dell’uomo, oltre ad essere la mediazione tra uomo e natura,

è la principale caratteristica dell’uomo, quella che lo distingue dall’animale. Non perché

questo non produca. Ma perché le produzioni in cui è impegnato rispondono a bisogni

immediati. Liberatosi dal dominio del bisogno fisico, l’uomo riesce a produrre. Anzi, è

proprio il sottrarsi al bisogno fisico che consente la produzione. Il carattere di produzione

umana riesce inoltre a ri-produrre la natura intera. Questa produzione non appartiene

direttamente al corpo fisico del produttore, ma il produttore si pone di fronte ad essa come

indipendente. Infine mentre l’animale coincide direttamente con la sua attività vitale,

l’uomo fa della stessa attività l’oggetto del suo volere e della sua coscienza415

.

Naturalmente Marx non nega che accanto all’attività produttiva materiale anche altre

caratteristiche discriminano l’uomo dall’animale: “Le attività e determinazioni essenziali

dell’uomo [sono] molteplici”416

. Con l’attività produttiva si oggettivizzano le sue forze

vitali fisiche ed intellettuali, in un oggetto diverso dal produttore. E l’oggettivazione è una

forma di appropriazione della natura. Ed è quindi una condizione essenziale, necessaria,

eterna. Ciò che si modifica nella storia allora è solo la forma sociale in cui gli uomini

producono i prodotti della loro attività. Ma l’oggettivazione non è soltanto produzione di

oggetti. Questo è solo il lato esterno del fenomeno. V’è nel contempo mediante questa

attività un autosviluppo del soggetto che produce. Con e nella sua attività l’uomo dunque

migliora se stesso. Ed essendo non un produttore isolato, bensì produttore tra i produttori,

egli producendo produce contemporaneamente anche la sua vita sociale.

Solo così egli è un ente generico, appartenente ad una specie. Dunque, anche l’oggetto

prodotto mediante il lavoro è l’ “oggettivazione della vita dell’uomo come essere

appartenente ad una specie” e la sua produzione stessa “la sua vita attiva come essere

414 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. III , pag. 364

415 Ibidem, pag. 303

416 Ibidem, pag. 327

157

appartenente ad una specie”417

. Per questo l’attività produttiva, l’attività vitale,

consapevole dell’uomo, in quanto vita che conserva la vita e la produce in un rapporto

sociale, è la vera vita dell’uomo in quanto tale.

Attraverso la sua vita produttiva, l’uomo si distacca dalla naturalità immediata in cui era

immerso, formando se stesso418

. E’ la natura colta qui come natura che diviene nella storia

dell’uomo, natura trasformata, campo di oggettivazioni delle forze umane, espressione

degli sviluppi di queste forze, anche quando queste forze sono estraniate, come

nell’industria. Sono “la storia dell’industria e l’esistenza oggettiva già formata

dell’industria il libro aperto delle forze essenziali dell’uomo”419

420

. In questo scritto Marx

usa il termine lavoro in due accezioni: una con la quale indica il lavoro in una situazione

sociale fondata sulla proprietà privata, e qui affianca alla parola lavoro il termine

estraniato; in una seconda accezione Marx parla di un lavoro consapevole, come una

attività libera: è il lavoro in una società che ha abolito la proprietà privata.

La natura è vista come “il materiale su cui il suo lavoro si realizza [quello dell’operaio], in

cui esso è attivo, da cui e mediante cui esso produce. Ma come la natura fornisce

l’alimento del lavoro, nel senso che il lavoro non può sussistere senza oggetti, sui quali

esercitarsi, così essa fornisce d’altra parte anche gli alimenti in senso stretto, cioè i mezzi

per la sussistenza fisica dell’operaio stesso”421

. Proprio in seguito alla separazione

dell’operaio dalla natura, espropriata dai capitalisti e dai proprietari fondiari, l’operaio per

sopravvivere deve lavorare. L’operaio, giuridicamente libero, è costretto economicamente

a vendere se stesso422

al capitalista. L’operaio diventa così merce423

. “la più miserabile

merce”, “ente disumanato sia spiritualmente che fisicamente” “ la merce auto-cosciente e

automatica, […] la merce umana ”424

. E’ chiaro che la teoria dell’estraniazione contenuta

in questi Manoscritti, seppur applicata al campo economico, va al di là di un’analisi

economica in senso stretto, per assumere un connotato filosofico ben più ampio.

417 Ibidem, pag. 303-4

418 Ibidem, pag. 370

419 Ibidem, pag. 330

420 Con il termine forze essenziali marx intende qui le forze produttive.

421 Ibidem, pag. 299

422 Qui Marx non ha capito ancora che vende la forza-lavoro

423 Ibidem, pag. 296

424 Idem

158

Se ciò rappresenta una generalizzazione delle cognizioni acquisite nel corso degli studi

economici, in essa, secondo le tendenze continuistiche, dovrebbero esser contenute, seppur

in forma embrionale, importanti elementi del futuro approccio marxiano425

.

Tornando alla storia, nei coevi Estratti a Mills, Marx dichiara: “L’economia politica –

come il movimento reale - parte dal rapporto dell’uomo con l’uomo, in quanto rapporto del

proprietario privato col proprietario privato. Se si presuppone l’uomo come proprietario

privato, cioè come possessore esclusivo, che attraverso questo esclusivo possesso

conferma la sua personalità e si distingue dall’altro uomo e,ad un tempo, si rapporta ad

essa – la proprietà privata essendo la sua personale, distintiva e perciò essenziale esistenza

– allora la perdita o il trasferimento della proprietà privata è una alienazione dell’uomo

stesso e, insieme, della proprietà privata”426

; contrapposte società della proprietà privata e

comunità, in cui la proprietà privata è superata. Tuttavia, accanto a queste condizioni

sociali contrapposte esistono anche all’interno della società della proprietà privata, diversi

stadi di sviluppo o condizioni: la condizione della “proprietà privata semplice”427

, “lo stato

selvaggio, barbarico”428

e la condizione della “proprietà privata alienata”429

. Qui la

proprietà privata è considerata dal punto di vista dell’estraneazione.

E’ da notare che già Adam Smith parla di uno “stadio primitivo e rozzo della società che

precede l’accumulazione dei fondi e l’appropriazione della terra”430

.

Nello stato selvaggio/barbarico l’uomo produce per soddisfare i propri bisogni immediati.

Tanto più ampio è il bisogno, tanto più intensa sarà la produzione. Lo scambio tra prodotti

del lavoro ancora non avviene. E’ questa sicuramente una situazione del tutto singolare,

cioè relativa ad un singolo e mai rispecchiante una forma socialmente determinante. Nel

secondo stadio, quello della proprietà privata alienata, del baratto, i proprietari producono

non solo per il proprio sostentamento, ma ricorrono ad supplemento di produzione

425

Tra questi, ci sembrano emblematiche le parole di Tuchscherer: “La teoria dell’estraniazione sviluppata

in questi manoscritti quindi, denuncia, ancora chiaramente i connotati del passato filosofico di Marx. Ciò

trova espressione sia nella teoria dell’estraniazione sia nell’utilizzazione di una quantità di espressioni

filosofiche derivate specialmente dalla filosofia feuerbachiana”, sebbene nelle maggior parte dei casi si celi

già “un contenuto del tutto nuovo”. Cfr. Walter Tuchscherer, op. cit. , pag. 160

426 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol III, p. 236

427 Idem

428 Ibidem, pag. 243

429 Ibidem, pag. 238

430 Cfr. Adam Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, Isedi, Milano 1973, pag.

49

159

destinato allo scambio. Così “il prodotto viene prodotto come valore , come valore di

scambio, come equivalente, non più per la sua immediata relazione personale con il

produttore” 431

. E questo porta il prodotto declinato come eccedenza a costituirsi come

lavoro retribuito, come lavoro non destinato al soddisfacimento immediato di chi lo

produce.

Lo scambio realizza un rapporto sociale fra liberi produttori di merci, separati fra loro dalla

proprietà privata. Ed è per questo che la reciprocità dell’alienazione è “il rapporto sociale

fra i due produttori privati”432

, per i quali il baratto svela il carattere sociale degli stessi

lavori privati, “l’atto tipico del genere, l’essenza comune, il rapporto e l’integrazione

sociale degli uomini all’interno della proprietà privata, e perciò è l’atto generico esteriore,

estraniato. Proprio perciò esso appare come baratto. E per la stessa ragione esso è il

contrario del rapporto sociale”433

.

Cosa vuol dire qui Marx? Che certamente lo scambio conferma il nesso sociale tra

produttori, ma nel contempo proprio a causa degli interessi particolari contrapposti dalla

stessa proprietà privata, questo rapporto sociale è da considerarsi come inumano.

Sbaglia a mio avviso Walter Tuchscheerer nel dire che nello scambio, per Marx, si

svolgono “aspri conflitti e delle lotte più dure”434

. La lotta qui non è ancora menzionata,

tanto meno le classi. Lo stesso Marx considera qui la violenza un’eccezione sporadica

tramite cui il fatto dell’alienazione non è spiegabile. Anzi, concorda pienamente con i

teorici dell’economia politica nell’individuare nel bisogno, nella necessità, le molle che

spingono all’alienazione. In altri termini, il motore di tutto è nel percepire come mancanza

un qualcosa che “mi appare come un bisogno per completare la mia esistenza e realizzare

la mia essenza”435

. Si vedono qui chiaramente in atto un insieme di nozioni di matrice

filosofica come quelle di alienazione, esistenza ed essenza calate in un discorso economico

denotabile con altre forme linguistiche: proprietà privata, bisogno ecc ecc.

Marx dunque, forte di una corazza teorica ritenuta ben salda, si getta su di un terreno

nuovo. E lo fa trascinandosi dietro l’unica armatura in suo possesso, ereditata dalla sinistra

hegeliana. Ne è la prova questo passo: “Il bisogno di una cosa è la prova più evidente e

irrefutabile che questa cosa appartiene alla mia essenza, che il suo essere per me, la sua

431 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol III, p. 238

432 Ibidem, pag. 237

433 Idem

434 Cfr. Walter Tuchscheerer, Op. cit. , pag. 119

435 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol III, p. 237

160

proprietà, è la proprietà, la peculiarità della mia essenza. Entrambi i proprietari privati

sono spinti dunque a rinunciare alla loro proprietà privata, ma rinunciarvi in modo che

nello stesso tempo essi sanzionano la proprietà privata; ossia essi sono spinti a rinunciare

alla proprietà privata entro il rapporto della proprietà privata stessa. Ciascuno dunque

alinea all’altro una parte della propria proprietà privata. La relazione sociale o il rapporto

sociale dei due proprietari privati è dunque la reciprocità dell’alienazione, il rapporto

dell’alienazione posto in entrambi i lati, ossia l’alienazione come rapporto dei due

proprietari privati, mentre nella proprietà privata semplice l’alienazione ha luogo

unilateralmente, solo rispetto a sé”436

. Nei successivi Manoscritti, Marx continua la sua

indagine partendo da una società capitalistica pura, quale è supposta anche da numerosi

economisti borghesi, in cui sono rappresentate solo le tre classi fondamentali, i lavoratori

salariali, i capitalisti e i proprietari fondiari, facendo quindi astrazione dai residui di modi

di produzione passati, anche se talvolta fortemente modificato.

II Dall’estraneazione allo scomparire del soggetto

E’ indubbio che le strutture economiche sono indagate in termini filosofici, sotto la

categoria di estraniazione. Ad essa dobbiamo rivolgerci per comprendere i termini della

rottura con l’umanismo giovanile. Il concetto di estraneazione è ripreso da Hegel quando

descrive il processo di estraniazione dell’idea assoluta che si oggettivizza nella natura e

nella società. Soprattutto, in Hegel il risultato del processo era fissato prima del processo

stesso. Gli uomini, in un certo qual modo, sono usati dallo spirito per far progredire la

storia. Come affermato nella Sacra famiglia, l’uomo esiste solo perché esiste la storia e la

storia esiste a sua volta solo perché la verità giunge all’autocoscienza437

.

Altresì, l’uomo è capace di autoproduzione, intesa come processo progressivo di sviluppo

dell’autocoscienza, capace quindi di autodispiegamento, che lo porta al sempre più

perfezionamento delle proprie capacità intellettuali. Ma Hegel aveva riconosciuto il lavoro

come attività intellettuale astratta. E ciò ci consente di capire il motivo per il quale aveva

insistito sull’autoproduzione dell’uomo come un processo, al quale si accompagna

l’oggettivarsi come un de-oggettivarsi, come alienazione e come successiva soppressione

436 Idem

437 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. IV, pag. 87-8

161

di questa alienazione. E questo è ciò che davvero è fondamentale, a detta di Marx, “nella

fenomenologia hegeliana e nel suo risultato finale, la dialettica della negatività come

principio motore e generatore”438

. Tuttavia, Hegel coglie il superamento

dell’estraneazione solo come autoriconoscimento dell’uomo nel prodotto da lui realizzato.

In una parola, egli coglie il superamento come superamento dell’esteriorità di ciò che si è

prodotto per mezzo del pensiero puro. Lo stesso oggettivarsi non è colto nella sua

drammatica disumanizzazione dell’essere dell’uomo in opposizione a se stesso, bensì come

oggettivazione e differenziazione dell’astratto pensiero in opposizione a questo stesso

astratto. Per questo in Hegel l’appropriazione di ciò che si è oggettivato è solo

un’appropriazione che accade nella coscienza, nel puro pensiero439

.

Ecco perché l’intero processo del farsi dell’uomo da sé ha come risultato un superamento

puramente formale, e non reale, dell’estraneazione. Le condizioni di vita non vengono

lasciate essere. Nella Sacra famiglia si legge: “Hegel fa dell’uomo l’uomo

dell’autocoscienza, anziché fare dell’autocoscienza l’autocoscienza dell’uomo, dell’uomo

reale, vivente quindi in un mondo reale, oggettivo, dell’uomo condizionato da questo

mondo. Hegel pone il mondo sulla testa e quindi può anche risolvere nella testa tutti i suoi

limiti, con il che naturalmente essi continuano a sussistere […] per l’uomo reale”440

441

.

Per Feuerbach l’estraneazione si presenta nel fenomeno della religione. Al contrario Hegel

concepiva l’estraneazione come un prodotto dell’autocoscienza; in Feuerbach invece è

concepita come un prodotto dell’uomo reale. Feuerbach aveva indicato come oggetto della

filosofia l’uomo sensibile e i rapporti con la natura e con gli altri uomini. Da qui egli

muoveva nell’analisi delle facoltà umane configurate nel suo carattere di genere.

438 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. III, pag. 360

439 Ibidem, pag. 359

440 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. IV, pag. 214

441 Nonostante le ottime valutazioni, Tuchscherer, uno dei più grandi interpreti in assoluto dell’economia

marxista, afferma che già qui Marx“ sulla base del suo metodo materialistico, mette a nudo il nocciolo

razionale della concezione dell’estraneazione- la concezione della storia come processo dialettico di

autoproduzione dell’uomo- che in Hegel è nascosto sotto una scorza idealistica- metafisica, fondando al

tempo stesso la propria concezione dialettico-materialistica della storia. Il concatenamento concettuale

tuttavia non conduce direttamente da Hegel a Marx, ma ha nella concezione feuerbachiana dell’estraniazione

un importante momento intermedio” Cfr. Walter Tuchscherer, Op. cit. , pagg. 106-7. Nulla da eccepire per

quanto riguarda il passaggio di Marx da Hegel a Feuerbach. L’unica cosa che mi trova in disaccordo è la

considerazione sul metodo materialistico, di cui, in verità, non si capisce il significato nei i contorni della

definizione. Sembra troppo poco considerare materialistica una trattazione sull’economia in termini di

estraneazione umana.

162

L’estraneazione è proiezione di determinati caratteri umani, di predicati che ineriscono non

al soggetto che le predica né tantomeno al soggetto da cui sono possedute. Esse invece

denotano una “creazione metafisica” denominata Dio. L’uomo, inteso qui nel proprio

carattere di genere e non come uomo singolo, esperisce i propri limiti nei confronti e della

natura e di se stesso, ciò di cui manca in Dio. Questo lo porta all’adorazione, e a non

comprendere questo essere così com’è realmente generato, comportandosi così nei

confronti dei prodotti del proprio spirito come una entità estranea, esistente

indipendentemente dalla sua potenza immaginifica. Sottomettendosi alla propria creatura

vista come creatrice.

L’uomo per Feuerbach deve combattere questa estraniazione, abolire Dio e sostituirlo con

la filantropia generale. L’emancipazione religiosa sarà dunque emancipazione umana.

Marx però vuole andare oltre, e ben oltre Feuerbach e Hess442

: “dopo che la forma sacra

dell’autoestraniazione umana è stata smascherata” si tratta di “smascherare

l’autoestraniazione nelle sue forme profane”443

. Anche nella Questione ebraica Marx

applicava già il concetto di estraniazione ai fenomeni della vita economica, senza averla

mai studiata : “Sotto il dominio del bisogno egoistico può agire praticamente, produrre

oggetti praticamente, solo in quanto pone i suoi prodotti, come la sua attività, sotto il

dominio di un’essenza estranea e conferisce loro il significato di una essenza estranea: il

denaro” 444

.

Anche nella Sacra famiglia continua a sottolineare come nelle condizioni della proprietà

privata “l’oggetto come essere per l’uomo, come essere oggettivo dell’uomo, è nello stesso

tempo l’ esistenza dell’uomo per l’altro uomo, la sua relazione umana con l’altro uomo, il

comportamento sociale dell’uomo verso l’uomo”445

446

.

442 Moses Hess svolge un ruolo importantissimo nella formazione di Marx. Hess compie la critica alla

proprietà privata in termini di moralità. Egli vuole risvegliare le coscienze morali per mostrare loro tutta

l’ingiustizia delle condizioni di oppressione e sfruttamento dei poveri.

443 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. III, pag. 191

444 Ibidem, pag. 189

445 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. IV, pag. 45

446 Sempre in questo testo Marx registra il tentativo, da parte di Edgar Bauer, di accostare al mondo

dell’economia. Un approccio che sarà un naufragio del pensiero di Bauer. In una missiva ad Engels, del 14

dicembre 1855, quindi ad oltre 10 anni di distanza dal testo sovracitato, Marx racconta all’amico

dell’incontro in Inghilterra avuto proprio col filosofo neohegeliano, che ancora “dello sviluppo industriale

non sapeva un’acca”. Cfr. Meoc, Op. cit. , vol XXXIX, pag. 492.

163

Eppure nel 1845 le cose sembrano già cambiate. E di molto! Finora abbiamo illustrato la

posizione del giovane Marx. Con l’ Ideologia tedesca le cose cambiano, come abbiamo

detto anche in precedenza. Abbiamo visto già cosa si intenda per rottura epistemologica, e

ora possiamo tornare ad illustrare questa ipotesi dell’evoluzione del pensiero del tedesco,

chiamando in gioco proprio l’uomo e la storia.

Se prima dell’ Ideologia tedesca egli era stato umanista, questo suo atteggiamento era

oscillato tra una posizione molto vicino alle idee illuministiche e kantiane di ragione e di

libertà, e un’altra di carattere più comunitario, che coincideva col periodo più

feuerbachiano. Il filosofo di Landshut rappresentò infatti una speranza per decine di

giovani hegeliani, i quali tramite le sue opere potevano ancora pensare ad una razionalità

avanzante nell’epoca oscura ed irrazionale dello Stato prussiano nell’età della

Restaurazione, che manteneva caratteri arcaici rispetto al resto d’Europa.

Ma proprio contro le visioni dei giovani hegeliani, nelle cui mani la storia diventa una

mera storia di sedicenti idee, di fantasmi, nell’ Ideologia tedesca Marx individua tre aspetti

dell’attività sociale: produzione dell’uomo da parte dell’uomo, mezzi per soddisfare

bisogni, creazione di nuovi bisogni, senza porli in una consequenzialità logica necessaria.

La spiegazione è forse rintracciabile nell’atteggiamento di negazione di certi modi della

visione speculativa, che tendeva a guardare ai nessi logici necessari come a nodi di

esplicazione di un piano metafisico. D’altra parte proprio l’idealismo interpreta gli eventi

alla rovescia, trasformando “ l’avvenimento storico posteriore” come “la causa, il creatore

dell’avvenimento anteriore”447

e così via.

Bollando questa aprioristica finalizzazione che era stata in parte utilizzata nella Critica in

relazione al concetto di essenza per esplicare le modalità con le quali si sviluppano le

qualità sociali dell’uomo, il suo essere sostrato-sostanza, Marx rigetta una modalità

interpretativa che guarda ancora ad un insieme di tecniche e canoni interpetrativi corretti

ma mal orientati, chiosati nella formula del ribaltamento e della cattiva astrazione. La

problematica diventa altra da quella sinora praticata, e chiama in causa il rapporto tra forze

produttive e forme di relazioni sociali da un lato, e un empirismo estremo dall’altro. E

questo ci fa comprendere il perché in Marx crolli la fiducia verso una logica specifica

dell’oggetto specifico, che poi era fiducia nella stessa indagine della filosofia, incentrata

ancora sui cardini di sostanza e qualità, oggettivazione ed essenza.

447 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. V, pag. 266

164

Anzi, nell’ Ideologia, in precisa opposizione con quanto teorizzato nella Critica, Marx

afferma che “ogni profondo problema filosofico si risolve con la massima semplicità in un

fatto empirico”448

.

Empirico non indica più, come nella Critica, ove manteneva la stessa accezione adottata da

Hegel, un reale immediatamente attestato dall’esperienza sensoriale449

, ma denota il

termine ultimo e non ulteriormente indagabile del reale. E così facendo, respinge altresì la

visione elaborata dagli empiristi del secolo XVIII.

E’ interessante vedere il modo in cui gli interpreti del Marx hegeliano abbiano vissuto

questo affronto alla filosofia, che di fatto sembra non avere più spazio per proferire parola.

Il crollo del paradigma del rovesciamento porta allo sgretolamento del mito del soggetto.

Mito che accomuna l’intera filosofia tedesca, Feuerbach incluso. Anche questo infatti

“non concepisce gli uomini nella loro connessione sociale, nelle loro presenti condizioni di

vita, che hanno fatto di loro ciò che sono, egli non arriva agli uomini realmente esistenti ed

operanti, ma resta fermo all’astrazione <uomo> ”450

. La nuova visione di Marx è dunque

caratterizzata dall’abbandono del principio della centralità dell’uomo.

Ma quindi che cosa rimane dell’umano? È davvero ancora possibile pensare all’uomo nei

termini della filosofia classica tedesca, o della filosofia in generale? Di fronte al fatto che il

modo di produzione capitalistico crea merci è errato credere che la reificazione sia un

processo di distruzione dell’uomo perché la vita dell’uomo diventa cosa. Invece, e questo è

davvero più radicale di qualsiasi analisi fondata sulla reificazione, Marx comprende che

l’uomo è impensabile, come soggetto e come categoria a sé, astraendolo dai rapporti

determinati in cui è inserito, e da cui è mosso. Ma questo non vuol dire che l’astrazione è

da ciò che l’uomo compie. D’altronde, quale valenza epistemologica avrebbe un discorso

circa l’umano in quanto tale se non quello di ribadire in un’altra sede l’argomentazione

metafisica dell’uomo come centro dell’universo, come ente caratterizzato da una

superiorità ontologica rispetto agli altri enti, superiorità che si esplica o nel possesso del

linguaggio o nell’agire pratico o nel porre delle forme relazionali tramite le quali

comprendere il proprio mondo, afferrandolo come semplicemente suo?

448 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. V , pag. 25

449 Cfr. Georg Hegel, Enciclopedia, op. cit. , par. 38

450 Cfr. Meoc, op. cit. , vol. V , pag. 26

165

Beninteso, questo processo di decentramento e detronizzazione del ruolo della soggettività

non vale solo per l’uomo, ma anche per i gruppi sociali. Non si dà, nel Marx maturo, una

soggettività portatrice di senso, un gruppo che ha una missione storica451

.

Ecco, il pensiero di Marx ha un proprio valore, quello di aver colto, prima di ogni altro, il

tramonto di ogni possibile umanesimo di fronte al sistema industriale, così uscendo

definitivamente dalla tradizione filosofica occidentale. Anzi, il primo passo di questa

uscita, di questa ricerca disperatissima di nuove lenti per decifrare il reale, durata oltre

vent’anni, è coincisa con l’abbandono del terreno della filosofia classica, e nello specifico

da una uscita dei sentieri tracciati dalla sinistra hegeliani. Senza questa ricerca di un nuovo

terreno fertile, senza l’individuazione di un nuovo campo prima d’allora celato dai veli

dell’impostazione idealistica, Marx avrebbe avuto la stessa sorta di Bauer e compagni. Tal

consapevolezza è derivata dall’eliminazione di una forte illusione, quella che permette di

pensare ala filosofia come ambito di ricerca scevro da qualsivoglia condizionamento.

L’adagio aristotelico della ricerca filosofica come unica scienza libera poiché incapace di

servire 452

mi sembra da questo punto di vista del tutto illusorio. La filosofia non è affatto

separata dalla contraddizione principale, non è mai separata dalla portata reale di questa

conflittualità totale, e, ereditando un linguaggio che rispecchia le idee dominanti, poiché

chi detiene il potere decreta il nome della cosa, la filosofia rispecchia in sé il conflitto tra il

capitale e il lavoro (così come rispecchiava il conflitto tra servo/padrone e schiavo/signore)

e nel momento in cui se ne decreta libera, finisce per pronunciare un discorso ideologico.

451 E questo a riprova, ancora una volta, della cambio di regione epistemologica. Si confrontino infatti i toni e

le posizioni assunti da Marx nel 1844 a proposito di Uomo, proletariato e borghesia. Cfr. Meoc, Per la critca

della filosofia del diritto di Hegel, vol. III, pag. 190 e ss.

452 “Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da

principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco,

giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli

del sole e degli altri astri, o i problemi riguardanti la generazione dell'intero universo. Ora, chi prova un senso

di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo

qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicchè, se

gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall'ignoranza, è evidente che ricercano il conoscere solo al fine di

sapere e non per conseguire qualche utilità pratica. E il modo stesso in cui si sono svolti i fatti lo dimostra:

quando già c'era pressochè tutto ciò che necessitava alla vita ed anche all'agiatezza ed al benessere, allora si

incominciò a ricercare questa forma di conoscenza. E' evidente, dunque, che noi non la ricerchiamo per

nessun vantaggio che sia estraneo ad essa; e, anzi, è evidente che, come diciamo uomo libero colui che è fine

a se stesso e non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: essa sola,

infatti, è fine a se stessa”. Cfr. Aristotele, Metafisica, Bompiani, Milano, 2000 , I,2,982b

166

Perché se la radice del termine ideologia non è eidos ma idiot, discorso privato, non è

concepibile una filosofia che possa dirsi slegata, o meglio svincolata da questo fatto

fondamentale che è il conflitto sociale e che si riverbera anche nelle teorie filosofiche e in

coloro i quali le elaborano. Di più, la filosofia condivide dell’ideologia e in parte della

scienza il fatto di avere storia, nel senso che non ha uno sviluppo indipendente da quel

motore che è il conflitto e da cui essa stessa è mossa. Semmai, la filosofia ha un carattere

autonomo col quale riesce ad arricchire un contenuto. Se Marx fosse rimasto un’umanista,

avrebbe dedicato i suoi interessi al valore d’uso, non a quello di scambio: quest’ultimo

nulla dice su che cosa sia l’uomo. Invece l’ultima possibilità che Marx aveva di fronte, per

comprendere questo mondo dell’uomo era proprio quello di distruggerne l’immagine

mitica, propugnata da diverse tendenze culturali che ponevano al centro del mondo proprio

l’umanità. Perciò già dalla Miseria della filosofia non vi sarà più riferimento alcuno alla

categoria di alienazione453

.

Per Hegel le figure della utilizzazione e del godimento rappresentano la sregolata

alienazione in sé irremovibile che trova nell’intero la sua conciliazione con se stessa.

Queste due figure dell’alienazione verrebbero da Marx criticate inizialmente perché esse

racchiudono il reale limite della concezione dell’alienazione di Hegel. Ma poi, con

l’abbandono della centralità del soggetto, la stessa categoria di alienazione scompare.

Certo, anche nella Ideologia tedesca se ne conserva qualche traccia. Di fatto, le facoltà che

gli individui umani viventi possono sviluppare si scontrano con quella borghese finalità

secondo concetti che risolvono tutti i molteplici rapporti tra uomini nel solo rapporto

dell’utilizzazione e che li sussumono “praticamente sotto l’unico rapporto astratto del

denaro e del commercio”454

, ma siamo già oltre la conformità al genere di feuerbachiana

memoria. Questo ci impone di fare una precisazione circa il termine della Rottura. Non

condivido affatto la visione per la quale una rottura si realizzi tout court e integralmente.

Nonostante il cambio di campo ontologico e di metodo, possono sempre conservarsi dei

residui delle concezioni passate, mutuate anche all’interno del campo nuovo che si sta

453 Il mio ragionamento non è una giustificazione allo storicismo. Condivido in pieno le parole di Ranciere

che trascrivo perché adamantine ed estremamente sintetiche: “L’impresa teorica d’interpretazione del

marxismo come storicismo non esce dai limiti assoluti nei quali si effettua, dopo Feuerbach, il

<rovesciamento> della speculazione nella praxis, dell’astrazione nel concreto: questi limiti sono definiti dalla

problematica empiristica, sublimati nella speculazione hegeliana e, dunque, nessun <rovesciamento> può

liberarcene” Cfr. Jacques Ranciere, Il concetto di critica e la critica dell'economia politica dai "Manoscritti

del 1844" al "Capitale, In Louis Althusser, Leggere il capitale, op. cit. , pag. 217

454 Cfr. Nicola Badaloni, Op. cit. , pag. 58

167

andando ad occupare, talvolta anche senza la volontà dello stesso autore. Questo vale

anche per la prima vera critica all’economia politica scritta da Marx, quella contro

Proudhon che tuttavia era “come la prima critica di ogni scienza […] necessariamente

prigioniera dei presupposti della scienza che essa combatte” 455

.

Nella Miseria della filosofia ritroviamo questa nuova impostazione. Non è affatto casuale

che Proudhon inizi la sua indagine dall’uomo singolo, e Marx dalla società pensata come

un tutto456

457

, per cui gli elementi che la compongono non possono essere considerati

isolati gli uni dagli altri. Al contrario, i singoli rapporti di produzione che di volta in volta

caratterizzano solo un determinato aspetto del modo di produzione devono essere

analizzati nella loro relazione reciproca con il modo di produzione.

Proudhon ignorava, a detta di Marx, questo necessario nesso interno e costruiva un sistema

di categorie economiche in cui le singole categorie si generano l’una dopo l’altra in base ad

operazioni puramente logiche.

Il metodo che usa Marx a quanto pare è questo: parte dal tutto unitario di un modo di

produzione per indagare i rapporti di produzione, sapendo che cosa essi sono, le relazioni

che tra di essi intercorrono per stabilire quale funzione adempie ogni singola categoria

economica all’interno del contesto complessivo. In una lettera ad Annenkov, ne viene

fornita una chiara e ampia illustrazione:

I rapporti materiali formano la base di tutti i rapporti mondani, non essendo altro che le

forme necessarie, nelle quali gli individui svolgono le loro attività. Presupponendo un

determinato stadio di sviluppo delle capacità produttive degli uomini si avrà una forma

corrispondente di commercio e consumo; ai gradi determinati di sviluppo della produzione,

455 Cfr. Meoc, Op. cit. , Vol. IV, pag. 32

456 “i rapporti di produzione di ogni società formano un tutto” Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. VI, pag. 179

457 Anche Centrone, filosofo e logico italiano, che accetta apertamente nella sua opera l’ipotesi di rottura

epistemologica, cade nell’errore di attribuire ad Engels della nozione di totalità. Engels avrebbe recuperato

“la categoria fondamentale dell’hegelismo, cioè la totalità e avrebbe dato una interpretazione

metasificheggiante del marxismo” (Cfr. Marino Centrone, Op. cit. , pag. 35), ricadendo nei paradigmi

hegeliani rifiutati da Marx, perché, se vogliamo portare alle estreme conseguenze il ragionamento di

Centrone, guardare alla totalità significa guardare ancora, seppur in forme diverse, ad un sistema che, almeno

nei termini di Hegel, credendo nello sviluppo autonomo dell’idea in sé stessa, arriva a negare il molteplice e

il concreto, tanto da tramutare la storia in qualcosa di“ estrinseco e di accidentale che va ad iscriversi nelle

forme precostituite dello spirito. L’irrigidimento della dialettica implica l’immediata impossibilità di

comprenderne la natura evolutiva e problematica, avendo come sbocco finale la negazione dell’agente

storico, le forze produttive con la loro attività pratica” Cfr. Ibidem , pag. 53

168

del commercio e del consumo saranno collegate delle forme corrispondenti di ordinamento

sociale; a questa un corrispondente Stato politico. Le forme economiche sotto le quali “gli

uomini producono, consumano, scambiano sono dunque transitorie e storiche. Con nuove

capacità produttive acquisite gli uomini cambiano il loro modo di produzione, e col modo

di produzione essi cambiano tutti i rapporti economici i quali non erano che relazioni

necessarie di questo determinato modo di produzione” e questo è ciò che Proudhon “non

ha capito e ancor meno dimostrato.”458

. L’errore chiama in causa direttamente la filosofia.

Come siano letti, ora che la rottura con l’idealismo si è consumata, i rapporti tra la realtà e

il pensiero è facilmente intuibile. Proudhon avrebbe fornito una critica errata

dall’economia politica non perché è in possesso di una filosofia ridicola, bensì “egli ci

fornisce una filosofia ridicola perché non ha compreso lo stato sociale attuale nel suo

ingranaggio”459

. Per questo confonde le idee con le cose.

Le quattro fasi dell’evoluzione economica descritte da Proudhon, cioè divisione del lavoro,

le macchine, la concorrenza e la proprietà si basano sull’errore di confondere quest’ultima

come fase e non come forma di relazione sociale che include nel suo complesso le prime

tre.

Non comprendendo le istituzioni sociali come prodotti storici, né comprendendone

l’origine e lo sviluppo, non può che esercitare su di esse una critica dogmatica, che

recupera il dispositivo metafisico della caduta per spiegare lo sviluppo storico460

,

ricadendo così nella “vecchia cianfrusaglia hegeliana”461

462

. Dunque al posto di

spiegazioni reali si cercano cause mistiche per analizzare il corso storico.

458 Cfr. Meoc, Op. cit., vol. XXXVIII, pag. 460-1

459 Ibidem, pag. 458

460 “ Prouhon è costretto pure a ricorrere a una finzione per spiegare lo sviluppo. Egli si immagina che la

divisione del lavoro, il credito, le macchine ecc., tutto sia stato inventato per servire alla sua idea fissa, l’idea

dell’eguaglianza. La sua spiegazione è di una ingenuità sublime. Queste cose sono state inventate per

l’uguaglianza, ma disgraziatamente esse si sono rivolte contro l’eguaglianza. […]. Parte da una ipotesi

arbitraria e, siccome lo sviluppo reale e la sua finzione si contraddicono reciprocamente ad ogni passo, egli

ne deduce che qui deve esserci una contraddizione. Ma nasconde che questa è solo una contraddizione tra le

sue idee fisse e il movimento reale” Ibidem, pag. 463-4

461 Ibidem, pag. 461

462 “Ed è davvero come se il vecchio Hegel dalla sua tomba guidasse la storia come spirito del mondo e con

la più grande coscienzialità lasciasse che tutto si svolgesse due volte, una volta come grande tragedia la

seconda volta come farsa indegna” Cfr. Ibidem, pag. 414

169

A proposito dell’uomo, e di che cosa ne rimane di quella soggettività filosofica:“Non c’è

bisogno di aggiungere che gli uomini non sono i liberi arbitri delle loro forze produttive, la

base di tutta quanta la loro storia; infatti ogni forza produttiva è una forza acquisita, è il

prodotto di una attività precedente. Le forze produttive, dunque, sono il risultato

dell’energia pratica degli uomini, ma questa energia stessa è circoscritta dalle condizioni in

cui gli uomini si trovano situati, dalle forze produttive già acquisiste, dalla forma sociale

loro preesistente, che essi non creano”463

.

Se si considerano dunque i rapporti di produzione determinati al di fuori di questo

contesto, le categorie economiche si trasformano in vuote astrazioni.

Naturalmente i rapporti di produzione di un modo di produzione che rappresentano un tutto

unitario sono contraddittori, e queste relazioni antagonistiche trovano espressione e

fondamento all’interno dei rapporti di produzione capitalistici e nella loro totalità stessa, e

non, come pensava Proudhon, nelle categorie economiche. Per Proudhon quest’ultime

presentano ancora contraddizioni perché finora lo spirito umano ha solo inadeguatamente

ed incompletamente compreso la vera natura delle categorie economiche e anch’esse,

quindi, sono state realizzate solo inadeguatamente e contraddittoriamente. Ma egli non

riesce a trovare una soluzione per il loro superamento che non sia quella inane legata ad

un’operazione del pensiero; per Marx invece l’eliminazione delle contraddizioni reali

richiede un rovesciamento dei rapporti di produzione. Per Proudhon bisognava trovare i

mezzi per ricomporre le contraddizioni; Marx invece voleva farle esplodere.

Per questo il primo parla di un lato buono e di uno cattivo delle categorie economiche e

vuole salvare il primo ed eliminare il secondo. ma questo è illusorio in quanto “ciò che

costituisce il movimento dialettico è la coesistenza dei due lati contraddittori, la loro lotta e

il loro passaggio in una nuova categoria. Basta porsi il problema di eliminare il lato cattivo,

per liquidare di colpo il movimento dialettico”464

.

Ma la nozione di totalità ci orienta nella comprensione di cosa sia un modo di produzione.

Da ciò che segue si capirà il limite di ogni interpretazione teleologica di Marx. Ogni

formazione sociale è distinguibile da quelle coeve e da quelle passate per il modo di

produzione che vi predomina. Da qui la pluralità dei modi di produzione nella storia. Ma la

pluralità vuol dire non solo e semplicemente che vi siano stati diversi modi di produzione,

ma soprattutto che in una società ve ne siano anche diversi contemporaneamente, di cui

463 Ibidem, pag. 459-60

464 Cfr. Meoc, op. cit. , vol. VI , pag. 175

170

uno è quello dominante e gli altri subordinati. Di questi, alcuni possono essere dei residui

più o meno funzionali di quelli passati o un nuovo che sta “nascendo”.

Nel secondo libro del Capitale, descrivendo il processo di circolazione, Marx fa risaltare

gli intricati rapporti tra i vari modi di produzione mostrando con efficacia come nel

mercato delle merci si verifichi una intensa intersezione di merci e denari prodotti da

comunità o da sistemi schiavistici o da feudali con il capitale industriale immettendosi

nello stesso ciclo di questo465

.

Ma ciò non vuol dire che il modo di produzione capitalistico annulli gli altri modi diversi

dal suo.

Questa sarebbe un’interpretazione esageratamente meccanicistica che non ci trova

d’accordo. Piuttosto Marx ha voluto mostrare come tra diverse formazioni sociali una di

queste riesce a piegare ai propri interessi le economie delle altre formazioni sociali fondate

su altri modi di produzione, trasformando alcuni settori produttivi da creatori di prodotti

per il consumo a quello di merci, come testimonia il caso della storia degli stati meridionali

dell’Unione americana466

. Ciò ci mostra come

“per Marx lo sviluppo storico delle categorie non è mai così progressivo come a volte

viene rappresentato: ad es. categorie sviluppate possono comparire in epoche primitive,

anche se per lo più si affermano ai margini della società” 467

, e come sia totalmente fuori

luogo qualsiasi “poetica cronologia”468

.

Gli elementi che compongono un modo di produzione sono le forze produttive e i rapporti

di produzione. Avevamo visto Marx affermare che la mancata corrispondenza delle prime

rispetto ai secondi porti inevitabilmente ad un periodo rivoluzionario, e avevamo

denunciato qui un fraintendimento. La linea continuistica non può che pensare alle prime

come al vero elemento attivo in questa unità, poiché esse sarebbero quel famoso soggetto

che fa avanzare la storia. Ma, a ben vedere, non si danno forze produttive che sotto dei

rapporti di produzione. Un processo lavorativo è un’insieme di operazioni regolate al fine

di produrre dei prodotti da parte di individui che impiegano degli strumenti di lavoro e

465 Cfr. Karl Marx, Il capitale, op. cit. 634

466 Cfr. Meoc, op. cit. , vol. XXXI, pag. 256-7

467 Cfr. Enrico Grassi, L’esposizione dialettica nel Capitale di Marx, Basilicata editrice, Roma-Matera, 1976,

pag. 78

468 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. XXXI, pag. 112

171

sfruttano conoscenze tecniche e scientifiche ereditate469

. Nella produzione è impiegata

forza-lavoro viva; naturalmente questa deve possedere delle specifiche capacità e

qualifiche per svolgere una data mansione. In tal senso, c’è bisogno di una determinata

formazione470

. Come persone indipendenti, i lavoratori entrano in rapporto con il capitale,

e la cooperazione tra più lavoratori è dettato dalle condizioni di questo. “ Come cooperanti,

come membri di un organismo operante, sono essi stessi soltanto un modo particolare

d’esistenza del capitale. Dunque, la forza produttiva sviluppata dal lavoratore come

lavoratore sociale è forza produttiva del capitale. La forza produttiva sociale del lavoro si

sviluppa gratuitamente non appena i lavoratori vengono posti in certe condizioni; e il

capitale li pone in quelle condizioni”471

. Ogni generazione di individui trova ereditata da

quella precedente determinati strumenti di lavoro, che essa può migliorare. Il livello

tecnico dei lavoratori è dunque in una certa maniera determinata dalla natura dai mezzi di

produzione esistenti472

i quali sono l’elemento determinante nella produzione, come

espresso chiaramente nel Capitale: “ E’ fenomeno comune a tutta la produzione

capitalistica, in quanto non solo processo lavorativo ma anche processo di valorizzazione

del capitale, che non sia il lavoratore ad utilizzare la condizione di lavoro ma, viceversa,

che sia la condizione di lavoro ad utilizzare il lavoratore; ma soltanto con il macchinario

questo capovolgimento viene ad avere una realtà effettuale tecnicamente evidente”473

, in

quanto esso trascende qualsivoglia limite naturale del prolungamento della giornata

lavorativa474

. Ma questo ci risospinge all’analisi dei rapporti di produzione, che sono

rapporti giuridici di proprietà che determinano i rapporti tra i possessori dei mezzi di

produzione e chi possiede esclusivamente forza-lavoro. Ciò non vuol dire semplicemente

che i secondi non abbiamo mezzi utilizzati nella produzione. Ad esempio, un gran numero

di persone possiede un personal computer, ma non per questo esso riesce ad essere un

mezzo per la creazione di merci mediante lo sfruttamento di forza-lavoro. Tutt’altro! In

469

“Così come tutti gli altri processi di produzione precedenti, quello capitalistico si svolge in determinate

condizioni materiali, che contemporaneamente rappresentano determinati rapporti sociali in cui gli individui

entrano nel processo riproduttivo della loro esistenza. Queste condizioni e questi rapporti sono da una parte i

presupposti e dall’altra i risultati del processo di produzione capitalistico; essi vengono da esso prodotti e

riprodotti” Cfr. Karl Marx, Il capitale, op. cit. , pag. 1467 470 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. XXXI, pag. 189

471 Ibidem, pag. 365

472 Cioè l’oggetto di lavoro e lo strumento di produzione

473 Ibidem, pag. 462

474 Ibidem, pag. 440

172

una formazione sociale sviluppata ciò non rappresenta una condizione sufficiente. E ciò ci

mostra un altro carattere dei rapporti di produzione: essi sono rapporti di sfruttamento, con

i quali il processo di valorizzazione del capitale è garantito. I rapporti di produzione

determinano l’organizzazione del lavoro e la divisione sociale dello stesso, che è

strettamente legata alla divisione di classe con tutto ciò che essa implica, ovvero l’insieme

dei dispositivi di disciplina e repressione, funzionali all’estorsione di plusvalore. Il

continuo stravolgimento dei mezzi di produzione, lo sviluppo di nuove tecniche e nuove

conoscenze applicate alla produzione porta alla diminuizione del costo necessario della

forza-lavoro475

, cioè alla riduzione dei costi del valore della stessa con il conseguente

incremento della frazione della giornata lavorativa in cui essa stessa è impiega per produrre

plusvalore. Detto in altri termini, perché posa avvenire una riduzione del valore della

forza-lavoro occorre che diminuisca il valore della massa dei mezzi di sussistenza. E’

questo il concetto di plusvalore relativo che Marx introduce nel Capitale. Ma ciò non può

avvenire senza rivoluzionare le forze produttive. Se quindi nella produzione del plusvalore

assoluto si supponeva già come sviluppato il modo di produzione capitalistico, ora non è

sufficiente che il capitale si impossessi della forza-lavoro e per aumentare il plusvalore

prolunghi la giornata lavorativa.

Ora, ci è chiaro che nella diade forze produttive/rapporti di produzione i rapporti che ne

regolano l’unità sono l’opposto di quanto sostenuto dai teorici continuistici, Lukacs e

Badaloni in testa.

Le relazioni sociali possiamo vederle in diversi modi. Uno di questi è quello di leggerli in

relazione ad una utilità reciproca che rispecchia un interesse sociale e comunitario, come

ha fatto Hegel. Marx invece, secondo i teorici continuistici, li ricondurrebbe ai rapporti di

sfruttamento. Beninteso, il significato di tale termine, secondo questi autori, ha una valenza

fortemente morale, e non economica. Anche in questo modo si conferma il carattere

determinato del pensiero di ogni epoca rispetto alla realtà vissuta e che in ultima analisi

determina quel pensiero stesso. Se da un lato in Hegel si rispecchiano quei rapporti di

475 “In base alle diverse funzioni che essi adempiono nel corso del medesimo processo di produzione nella

creazione del valore, e perciò anche nella produzione di plusvalore, i mezzi di produzione e la forza

lavorativa, essendo forme d’esistenza del valore capitale anticipato, vengono distinti in capitale costante e

capitale variabile. Come parti costitutive diverse del capitale produttivo si distinguono anche per il fatto che

gli uni, posseduti dal capitalista, restano capitale di quest’ultimo pur al di fuori del processo produttivo,

mentre invece la forza lavorativa diventa forma d’esistenza d’un capitale individuale solamente in seno a tale

processo” Cfr. Karl Marx, Il capitale, op. cit. , pag. 587

173

produzione dell’epoca segnata dal dominio del modo di produzione capitalistico, finendo

per generalizzare ed universalizzare storicamente quei rapporti dominanti, dall’altro la

stessa generalizzazione ri-condurrebbe ogni interpretazione posteriore nei binari

dell’empirismo e del positivismo. Marx si vuole sottrarre a queste due alternative476

,

evitando di ricadere in una nuova visione finalistica.

Invece, Badaloni si ostina a cercare un’altra forma di finalismo che guardi al processo

storico come all’insieme delle tappe durante e per mezzo delle quali l’uomo e le sue facoltà

si arricchiscano e sviluppino maggiormente. La stessa idea di facoltà avrebbe avuto una

funzione decisiva per “confutare la hegeliana finalità secondo concetto, mostrando nella

nostra natura una disponibilità più ricca che con quella offerta dai presenti rapporti sociali;

ma esso aveva potuto avere una immediata utilizzazione pratica rivoluzionaria solo in

nesso al fenomeno del pauperismo” 477

. Con l’attenuarsi di questo fenomeno, Marx deve

compiere una nuova analisi. Ed è quello che avrebbe fatto durante la stesura dei

Grundrisse. In essi fissò “ concettualmente gli elementi di persistenza della società

capitalistica in nesso alle tendenze autodistruttive”478

.

Qui tornerebbe il tema dello svanire di hegeliana memoria, però riferito alle forme, che

assume il senso di una costrizione che si esercita su un altro, cioè il valore d’uso e la

multiforme realtà empirica, che la forma sottomette a sé. “La specificità della

contraddizione analizzata da Marx sta nel fatto che questo altro non può svanire. Così

mentre nella logica di Hegel tutto è condizionato allo svanire del concreto sensibile per dar

luogo all’astratto capace di autosvilupparsi, in Marx quando si parla dei rapporti essenziali

si intende la dipendenza della forma dalla materialità del mondo (rappresentata sia dalla

natura, sia da quel particolare valore d’uso, che è la forza lavoro); quando si parla di forma

fenomenica, invece, si intende il nascondimento di tale fonte materiale che tuttavia non

cessa di operare”479

. Ciò che crea le condizioni dell’occultamento è appunto l’apparenza

dello autosviluppo della forma. L’uscita di Marx dal finalismo senza concetti

corrisponderebbe allo spostamento di piano dalla filosofia all’economia politica, col quale

476 “Adesso, a tempo perso, studio anche Comte, perché inglesi e francesi fanno tanto chiasso intorno a

questo signore. Ciò che in lui li attrae è l’enciclopedismo, la sintesi. Ma è povera cosa in confronto a Hegel

(quantunque Comte in quanto matematico e fisico di professione gli sia superiore nei particolari, ma, quando

viene al succo, Hegel lo supera infinitamente perfino in questo). E dire che questo positivismo merdoso

apparve nel 1832” Cfr. Meoc, Op. cit. , pag. 257

477 Cfr. Nicola Badaloni, Op. cit. , pag. 74

478 Idem

479 Idem

174

si metterebbero in risalto l’inanità e la vacuità dall’interno dei rapporti sociali esistenti, la

limitatezza della utilità e del godimento cui essi costringono. Senza forzare troppo i

termini, potremmo tentare di vedere entro questo ragionamento la divisione antagonistica

del lavoro come il grande ostacolo all’arricchimento delle facoltà, con la quale ogni

individuo è trasformato in un essere estremamente limitato e parziale, sviluppando in esso

alcune capacità a scapito della possibilità di sviluppare le altre. Il comunismo quindi

diventa la via di uscita dalla limitazione, e ricomposizione organica del tutto dell’uomo

dilaniato, il cui carattere, per così dire, divelto è il riflesso della scomposizione dell’unità

primigenia della comunità.

Così, lo sviluppo delle forze produttive non potendosi perpetuare entro certe forme di

relazione sociali, imporrebbero agli uomini il superamento, mediante conservazione, dei

rapporti suddetti “senza distruggerne l’eredita accumulata. L’individuo verrebbe così

liberato dal dominio e restaurato nella innocenza della sua soggettività e in nuovi rapporti

sociali “che ridefiniscono insieme il problema della oggettività e quello della soggettività,

creando appunto, sul terreno del comunismo, nuove possibilità di relazioni”480

.

L’unità di soggetto e oggetto, pensiero ed essere ecc. possono essere ricondotti ad unità.

Ma quest’unità si rende comprensibile solo se, oltre ad essere rinviati alla storia come

luogo della solvibilità dei problemi, si può indicare un soggetto della storia.

Già Hegel lo ha individuato nello spirito del tempo, ripiombando però così nel mitologico,

proprio perché non è riuscito ad indicare l’identico soggetto-oggetto nella storia stessa. E

così è stato risospinto al di là della storia, in una visione della ragione, e del meccanismo

dell’astuzia, che fonderebbe esternamente la storia e la muoverebbe.

Certo, essi non hanno mai sostenuto che nella diade i rapporti di produzione fossero un

elemento statico. Più precisamente, hanno guardato ad essi sempre come un limite da

trascendere. E questi stessi rapporti in cui le forze produttive sono, per così dire, calate, ne

rappresentano anche le condizioni di sviluppo di partenza, che ne determinano, in qualche

maniera, segnandole profondamente, lo sviluppo delle forze produttive.

Invece sono gli stessi rapporti di produzione che hanno un carattere profondamente

conflittuale, e che determinano lo sviluppo della forza-lavoro, dei mezzi di produzione e lo

sviluppo tecnico.

Ma così scompare ogni possibilità per la costituzione di una soggettività “metafisica” che

muove la storia. E, come è detto più volte nel Capitale, l’uomo non è più il centro

gravitazionale del reale, perché esso stesso quando compare nell’opera, lo fa nelle sue

480 Ibidem, pag. 64

175

molteplici figure come “capitale personificato”481

, quando si parla dei capitalisti, e“come

proprietario e venditore della sua forza lavorativa” 482

quando si parla degli operai salariati;

le rispettive volontà e responsabilità sono di fatto inani se confrontate alla struttura

complessa del modo di produzione capitalistico483

. Inevitabile che all’interno di una società

“in cui prevale la produzione capitalistica, anche un produttore non capitalista viene

dominato dalle idee capitalistiche”484

.

Ma se un tempo egli aveva pensato che “la classe proprietaria e la classe del proletariato

presentano la stessa autoalienazione umana”485

, nelle pagine del Capitale simili

considerazioni non trovano più spazio486

. Nonostante ciò, autori come Lukacs hanno

interpretatato la questione nei medesimi termini della Sacra famiglia. Secondo l’ungherese

infatti il carattere della reificazione non si limita solo “alla mercificazione di tutti gli

oggetti del soddisfacimento dei bisogni. Essa imprime la sua struttura all’intera coscienza

dell’uomo: le sue qualità e capacità non si connettono più nell’unità organica della persona,

ma appaiono come “cose” che l’uomo “possiede” ed “esteriorizza”, alla stregua dei vari

oggetti del mondo esterno”487

. Gli individui stabiliscono rapporti di produzione diretti in

quanto proprietari di merci. La cosa svolge dunque la funzione sociale di collegare le

persone. Qui si darebbe una contraddizione: “se da un lato la forma sociale delle cose si

481 Cfr. Karl Marx, Op. cit. , pag. 1467

482 Idem

483 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. XXXI, pag. 293

484 Cfr. Karl Marx, Il capitale, op. cit. , pag. 937

485 Cfr. Meoc, Op. cit. , vol. IV , pag. 37

486 Quello che per me è un altro errore dell’interpretazione lukacsiana la ritroviamo in questo passo:

“All’uomo viene contrapposta la propria attività, il proprio lavoro come qualcosa di oggettivo e di

indipendente, che lo domina mediante leggi autonome a lui estranee. E ciò accade sia soggettivamente che

oggettivamente. Dal punto di vista oggettivo, sorge un mondo di cose già atte e di rapporti tra cose (il mondo

delle merci ed il loro movimento sul mercato), regolato da leggi le quali, pur potendo a poco a poco essere

conosciute dagli uomini, si contrappongono ugualmente ad essi come forze che non si lasciano imbrigliare

[…]. Benché possa indubbiamente utilizzare a proprio vantaggio la conoscenza di queste leggi, l’individuo

non può influire, mediante la propria attività, sullo stesso decorso della realtà in modo da modificarlo.

L’aspetto soggettivo consiste invece nel fatto che, in una economia compiutamente mercificata, l’attività

umana si oggettiva di fronte all’uomo stesso trasformandosi in merce, ed essendo sottoposta all’oggettività

estranea all’uomo delle leggi naturali della società, deve compiere i propri movimenti in modo indipendente

dall’uomo” Cfr. Gyorgy Lukacs, Op. cit. , pag. 112 487 Ibidem, pag. 130

176

presenta come il prodotto dei rapporti tra le persone, questi a loro volta si possono stabilire

solo in presenza di cose dotate di una forma specificamente sociale”488

.

La contraddizione si risolverebbe nel processo dialettico della produzione sociale.

Ma questa concezioni sono tutte basate su di una falsa ed illusoria immagine teleologica

della storia, che in Marx è impossibile rintracciare, per le ragioni che abbiamo espresso

poc’anzi: vi possono essere categorie sviluppate che compaiono in epoche primitive, anche

se per lo più si affermano ai margini della società, e presenti anche in più formazioni

sociali; di più, si danno simultaneamente più modi di produzione ecc.

Se in Marx fosse presente una concezione storica teleologica, dovremmo allora pensare

alla caduta tendenziale del saggio di profitto come ad una legge ineluttabile che porta

inesorabilmente alla disgregazione delle formazioni sociali il cui modo di produzione è

quello capitalistico. Dovremmo, detto in altri termini, pensare a quel processo di

accumulazione del capitale dato dall’aumento di produttività sociale del lavoro e dalla

relativa diminuzione del capitale variabile non come una tendenza ma come un incedere

inesorabile. Se guardiamo attentamente la cosa invece, ci accorgiamo che caduta del saggio

e accelerazione dell’accumulazione sono strettamente legate: se quest’ultima favorisce la

caduta poiché implica la concentrazione del lavoro e la diminuzione del capitale variabile

rispetto a quello costante, è altresì vero che la caduta tendenziale accelera a sua volta

l’accumulazione proprio tramite la concentrazione e centralizzazione del captale, creando

una serie di contraddizioni: tra la produzione totale e le capacità di consumo del corpo

sociale, tra l’estensione della produzione e la valorizzazione, tra l’eccesso di capitale e la

sovrapopolazione489

.

Queste sono tutte delle tendenze antagonistiche alla caduta del saggio di profitto, che la

rallentano o addirittura l’annullano.

Cade così anche quella visione ultradeterministica per la quale solo la struttura economica

ha un ruolo attivo, mentre la sovrastruttura è in un senso ultimo passiva. Lo stesso Engels

in una famosa lettera a Joseph Bloch del 1890 mostrerà il proprio disappunto verso simili

visioni490

.

488 Cfr. Isaak Rubin, Op. cit. , pag. 19

489 Cfr. Karl Marx, Il capitale, op. cit. , pag. 1076 e ss.

490 “Secondo la concezione materialistica della storia la produzione e riproduzione della vita reale è nella

storia il momento in ultima istanza determinante. Di più né io né Marx abbiamo mai affermato. Se ora

qualcuno distorce quell’affermazione in modo che il momento economico risulti essere l’unico determinante,

trasforma quel principio in una frase fatta insignificante, astratta e assurda. La situazione economica è la

177

Ma il feticismo non è un rapporto umano rappresentato in forma di cosa, bensì in un

rapporto sociale capitalistico, perché il fatto che esista la separazione tra lavoro sociale e

lavoro privato, porta con sé la conseguenza di una necessità dello scambio, dunque

attraverso le cose. E nel porre la merce come forma della connessione sociale tra i lavori

privati, pone insieme il suo necessario correlato: la persona giuridica proprietaria delle

merci.

Lo stesso atteggiamento di Badaloni lo ritroviamo, seppur con qualche differenza non

trascurabile, in Ilenkov491

, il quale sostiene che “la forma storicamente precedente, per

virtù della dialettica è diventata un momento complementare e subordinato della nuova

forma di movimento […]. L’antecedente storico può esistere molto prima dell’antecedente

logico e può addirittura costituire una condizione del sorgere del fenomeno universale

concreto, antecedente in senso logico, per trasformarsi poi in una sua manifestazione e in

un suo prodotto”492

. Anche qui ci troviamo di fronte ad una sorta di culto del primitivismo,

che Marx respinge sotto tutti i profili. Si pensi ad esempio a come egli considerasse coloro

i quali, invece di partire, correttamente, da uomini che producono in società, iniziavano le

loro analisi con uomini isolati e calati in una realtà astorica493

. Nelle Glosse su Wagner

base, ma i diversi momenti della sovrastruttura […] le forme giuridiche, anzi persino i riflessi di tutte queste

lotte reali nel cervello di coloro che vi prendono parte, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le visioni

religiose ed il loro successivo sviluppo in sistemi dogmatici, esercitano altresì la loro influenza sul decorso

delle lotte storiche e in molti casi ne determinano in modo preponderante la forma. E’ un’azione reciproca di

tutti questi momenti, in cui alla fine il movimento economico si impone come fattore necessario attraverso

un’enorme quantità di fatti casuali (cioè di cose e di eventi il cui interno nesso è così vago e così poco

dimostrabile che noi possiamo fare come se non ci fosse e trascurarlo). In caso contrario, applicar la teoria a

qualsiasi periodo storico sarebbe certo più facile che risolvere una semplice equazione di primo grado” Cfr.

Meoc, Op. cit. , vol. XLVIII , pag. 493; “Del fatto che da parte dei più giovani si attribuisca talvolta al lato

economico più rilevanza di quanto convenga siamo in parte responsabili anche Marx ed io. Di fronte agli

avversari dovevamo accentuare il principio fondamentale, che essi negavano, e non sempre c’era il tempo, il

luogo e l’occasione di riconoscere quel che spettava agli altri fattori che entrano nell’azione reciproca” Cfr.

Ibidem, pag. 494. Giudizio molto simile lo troviamo anche in una missiva destinata Conrad Schmidt: “Se la

forma dell’esistenza materiale è il primis agens, ciò non esclude che le sfere ideali esercitino a loro volta su

di essa un’influenza di ritorno, ma secondaria” Ibidem, pag. 465 491“ Il problema è dunque di chiarire in quale forma si conservino nelle fasi più alte di sviluppo dell’oggetto

le condizioni storiche del suo sorgere e del suo sviluppo” Cfr. Evald Vasilevic Ilenkov, Op. cit. , pagg. 165-6

492 Ibidem, pag. 174

493 "Il singolo cacciatore e pescatore considerati isolatamente, da cui prendono le mosse Smith e Ricaro,

appartengono alle invenzioni prive di fantasia delle robinsonate del XVIII secolo, le quali, al contrario di

come gli storici immaginano, non esprimono affatto una semplice reazione all’eccessiva raffinatezza o un

178

afferma resoluto: “non esiste un processo sociale di produzione – del processo di

produzione in generale non è neppure da parlare – in quelle comunità molto numerose che

esistevano prima dell’apparizione dei capitalisti privati (antiche comunità indiane,

comunità familiari tra gli slavi del sud ecc)”494

.

Dunque, in conclusione l’uomo come soggetto è sparito dall’analisi del Marx maturo,

quello che ha consumato appieno la rottura con una problematica filosofica cambiando

ambito ontologico,e non è stato rimpiazzato da nessun altro ente. Ma se non v’è più il

soggetto, la storia si scopre come un processo senza origine e fine e senza finalità

intrinseche. Tornano, come un lampo, le parole di Louis Althusser: “ La storia non ha

dunque, nel senso filosofico del termine, un Soggetto, ma un motore: la lotta delle

classi”495

.

Rimane aperta una questione: se il pensiero di Marx nega la centralità della categoria del

soggetto, e muove da un presupposto non umanista, quale spazio occupa la politica in

Marx e soprattutto, quale fine si pone tale prassi politica? Come fa un pensiero

antiumanista a voler emancipare l’umano?

Il pensare la politica partendo dal presupposto antiumanista appare alquanto paradossale

per una filosofia che mira a liberare la stragrande maggioranza degli uomini dal giogo dei

rapporti mercantili. Althusser ha affermato che solo una posizione teoretica apertamente

antiumanista può rappresentare la condizione di possibilità della conoscenza del mondo

umano, così da schiuderne le possibilità di trasformazione. E ha legato il tema

dell'umanismo a quello dell'ideologia, la quale è da considerarsi un apparato ideologico

dello Stato e non il risultato di una visione deformata del reale. La chiave di tutto è forse

proprio l'ideologia.

Una posizione antiumanista non esclude di fatto la lotta per l’emancipazione del

proletariato dal giogo dei rapporti mercantili. Come afferma il filosofo francese, pensare la

storia come ad un processo senza soggetto implica che il marxista-leninista “perda di vista

per un solo istante gli uomini reali. Al contrario! Giacchè è per vederli tali come sono, e

per liberarli dallo sfruttamento di classe, che il M. L. [Marxista Leninista] compie la

ritorno ad un male inteso stato di natura” Cfr. Karl Marx, Per la critica dell’economia politica, op. cit. , pag.

225

494 Cfr. Karl Marx, Glosse, op. cit. , pag. 169-70

495 Cfr. Louis Althusser, Osservazioni su una categoria: “processo senza Soggetto né Fine(i)”, in I marxisti

non parlano mai al vento, op. cit. , pag.77

179

rivoluzione di sbarazzarsi dell’ideologia borghese de <l’uomo> quale soggetto della

storia, ovvero di sbarazzarsi del feticismo <dell’uomo>”496

.

Nondimeno vi è un aspetto storico di ampia portata che a mio parere spiega molte cose:

come si può riuscire a ri-pensare una azione politica, constantando il declino delle forze

della propria classe d'appartenenza e della propulsione della rivoluzione che tutto sembrava

spazzare, se si è convinti che la Storia abbia per forza una direzione? Oserei dire: possono

coloro i quali hanno creduto nella liberazione dell'uomo e hanno basato la loro filosofia

sulla teleologia storica ( con tutto il bagaglio teorico annesso) arrivare a constatare

l'esaurirsi di una spinta, la disgregazione di una classe sociale o l'acuirsi di una crisi di una

disciplina scientifica che si riteneva infallibile poichè fondata su di un metodo che

individuava nella storia un movimento dialettico inesorabile?

Ecco, a me sembra che Althusser si sia accorto, ben prima di altri, che il reale in cui era

inserito non corrispondeva o meglio non era mai corrisposto a determinati canoni filosofici

che il marxismo sovietico o la linea continuistica andavano sbandierando. Non a caso da

queste due correnti nasce o l'indifferenza verso la lotta politica (Kautsky) o una visione che

poggia sulla speranza (Bloch) o visioni che con la politica riescono a relazionarsi solo

tramite un filtro filosofico Althusser, e questa è la cosa che più apprezzo, è un autore

cosciente della crisi del marxismo, dei limiti di Marx e dell'impossibilità di un processo

storico lineare fondato si di un movimento di tempo omogeneo.

La vera difficoltà di pensare la politica semmai attanaglia coloro i quali hanno considerato

in modo deterministico lo sviluppo storico, e sopratutto come teleologicamente orientato.

Anche se, è bene sottolinearlo, molte di queste posizioni le si riscontra in precisi momenti

storici in cui sembrava imminente la disfatta del fronte della borghesia imperialista,

schiacciata dalla spinta politica del movimento comunista internazionale.

Althusser, forse più di ogni altro, aveva intuito l’imminente crisi della spinta

rivoluzionaria, e aveva iniziato ad individuare dei forti limiti teorici presenti in Marx ed

Engels per spiegare ed uscire dalla crisi. Compito di certo non facile. Ora, se c’è un dato

che a me pare realmente significativo da questo processo di distruzione della soggettività

idealistica e del processo teleologico, è proprio lo sforzo di pensare la politica come ad un

grande campo in cui vi siano certamente conflitti e lacerazioni, ma anche un certo grado di

indeterminazione sul quale creare le condizioni necessarie alla trasformazione. Tra il

presente e il futuro si dà uno spazio di radicale discontinuità, e solo le illusioni

socialdemocratiche o quella del Diamat possono arrivare a predicarne la continuità. Trovo

496

Louis Althusser, I marxisti non parlano mai al vento, Mimesis, Milano 2005, pag. 48

180

personalmente difficile riuscire a trovare una prassi rivoluzionaria da un pensiero che

predica la teleologia nella storia (Il più coerente di questi pensatori, Kautsky, affermava

che non vi doveva essere prassi politica per i proletari, ma che essi dovevano attendere la

morte del capitalismo) o che incentra l'analisi politica sulla categoria del Soggetto. Oggi in

effetti chi è questo soggetto del cambiamento? Chi avrebbe il compito di portar avanti la

Storia? Ecco, a me è sembrato che solo pensando alla crisi del marxismo, e anche alla crisi

del modo di produzione capitalistico, agli spazi aleatori ecc ecc. si potesse comprendere

quel "messaggio" contenuto nei testi di Marx e forse in luogo maggiore nella sua opera di

dirigente comunista. La realtà è talmente complessa che solo un nominalismo materialista

può essere di aiuto nel vagliare delle congiuture politiche, meglio degli eventi che non

sono determinati da cause originarie e che, in ultima analisi, non si dipanano da esse come

in un ente matematico. In altri termini, la costruzione delle condizioni del cambiamento

non la si ottiene con uno schema storico fondato su di un soggetto ritenuto in grado di

trasformare il reale.

181

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Riviste

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187

RINGRAZIEMENTI

Non sarei mai riuscito a concludere questa mia tesi di laurea senza il supporto

di molte persone, che qui desidero ringraziare.

Innanzitutto mia moglie Stefania, che in questi anni ha mostrato una

generosità senza pari per permettermi di concludere gli studi, sobbarcandosi

fatiche e solitudini.

Un ringraziamento speciale al Professor Marco Ivaldo. Pur di laurearmi con

Lui ho scelto di proseguire i miei studi a Napoli, nonostante i molti chilometri

di distanza e i disagi che una simile situazione comporta. Ma ciò che mi ha

insegnato ha ripagato completamente gli sforzi.

Rossella Acunzo, che rimane la migliore studiosa di filosofia della mia età

nonché grande amica, la cui pazienza verso le mie crisi meriterebbe molto più

di un semplice ringraziamento. Marcello D’arco, uomo sereno e musicale.

Claudio Senatore, persona la cui umiltà è pari alla sua intelligenza.

Dalia Collevecchio, con la quale condivido un grande percorso che è stato

stimolo infinito per la stesura della tesi….fino alla vittoria!

188

Danilo Sarra, compagno generoso e leale ma soprattutto capace di ascoltare:

merce rara sul mercato.

Infine, un grande ringraziamento, davvero sentito, lo faccio ai miei genitori,

coi quali riallaccio in questi giorni i rapporti dopo molto tempo. So che ci

tenevano particolarmente e mi auguro che questa tesi li faccia felici… Ad

maiorem rei memoriam!