Il linguaggio della Lega Nord. Radio Padania e Quaderni padani

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Gabriele Iannàccaro, Enrica Cortinovis IL LINGUAGGIO DELLA LEGA: LINGUA PADANA E RADIO PADANIA * Abbiamo capito che gli aspetti folkloristici della nostra attività e gli equivoci più maliziosi sulla proposta federalista erano un’ottima pubblicità. Pubblicità negativa certo; ma tutto fa brodo quando un movimento è agli albori (Umberto Bossi). 1. Diverse sono le prospettive secondo le quali si può guardare all’uso che la Lega Nord (LN) fa e ha fatto del linguaggio 1 ; qui ci occuperemo, dopo una breve discussione sul possibile ruolo della lingua all’interno della sua pratica politica, di un aspetto forse meno evidente, ma non meno importante e rivelatore: ossia dell’impego reale dei codici nella comunicazione ordinaria da parte della LN tramite il rapporto con i propri elettori e sostenitori, visto attraverso l’osservatorio di Radio Padania (RP) nella tarda primavera del 2011 2 . E tuttavia è necessaria qualche nota iniziale. Una breve: la LN viene normalmente caratterizzata anche, e forse soprattutto, per aver introdotto codici non standard nella comunicazione politica, segnatamente i dialetti lombardi e veneti 3 ; tuttavia, sorprendentemente, quest’uso è rimasto largamente periferico, assai di più di quanto ci si aspetterebbe, come verificheremo anche fra poco. Parleremo qui dunque dell’italiano della LN, ossia delle caratteristiche linguistiche e sociolinguistiche del tipo d’italiano utilizzato, per come appare dai nostri dati. Una seconda nota, più articolata e che ci permetterà di guardare un poco dentro il concetto di una ‘lingua padana’, riguarda invece le fonti che possiamo utilizzare per studiare il linguaggio della LN; abbiamo cioè a disposizione, come per tutti o quasi i fenomeni analizzabili in linguistica, due strade di ricerca: quella del comportamento linguistico effettivo (ossia di come aderenti alla o simpatizzanti della LN parlano effettivamente – e anche, qui potemmo distinguere un comportamento linguistico direttamente legato alla * Il lavoro è concepito e realizzato in modo congiunto dai due autori, che hanno condiviso ogni fase della sua preparazione; tuttavia la redazione del testo è da attribuirsi a Gabriele Iannàccaro per i §§ 1, 2, 3, 6, 8 e a Enrica Cortinovis per i §§ 4, 5, 7. Gabriele Iannàccaro ringrazia per le idee e le discussioni i suoi studenti dei corsi di Istituzioni di Pianificazione Linguistica all’Università Bicocca degli ultimi anni, e in particolare Marta Miceli. 1 La (curiosamente non vastissima) bibliografia sull’argomento si concentra sugli aspetti comunicativi del linguaggio della LN, in chiave prevalentemente politica, o sulla novità disfemica del linguaggio politico che gli esponenti di spicco della LN hanno introdotto; la riflessione pare però arrestarsi alla metà degli ’90, e pochissimo è dedicato alla lingua della LN in quanto tale. Cfr. almeno Allevi 1992, Bonomi - Poggio 1995, Iacopini - Bianchi 1994, Desideri 1993 e 1994, Sarubbi 1996. Studi più recenti, indice di una nuova attenzione, sono Mascherpa 2008 e Lonardi 2011. Vedi anche, per un inquadramento generale in parte vicino alle posizioni che sono qui sostenute, Ruzza 2000. 2 Emittente varesotta fondata alla metà degli anni ’70 col nome di Radio Varese e passata da vari orientamenti politici, fra cui Democrazia Proletaria; dal 1990 è organica alla LN, e prende nel 1997 il nome di Radio Padania Libera. Per dettagli sulle registrazioni effettuate cfr. § 4. 3 Con una spruzzatina di piemontese; l’uso del dialetto nei comunicati, nei fogli informativi e nei comizi è stato particolarmente vivace alla metà degli anni ’80 e poi di nuovo, per un brevissimo periodo, fra l’estate e l’autunno del 2009. Non possiamo qui approfondire questa interessante cronologia; solo per il 2009 faremo rilevare la contemporanea campagna per l’insegnamento dei dialetti nelle scuole (per cui vedi Pinello 2009).

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Gabriele Iannàccaro, Enrica Cortinovis IL LINGUAGGIO DELLA LEGA: LINGUA PADANA E RADIO PADANIA*

Abbiamo capito che gli aspetti folkloristici della nostra attività e gli equivoci più maliziosi sulla proposta federalista erano un’ottima pubblicità. Pubblicità negativa certo; ma tutto fa brodo quando un movimento è agli albori (Umberto Bossi).

1. Diverse sono le prospettive secondo le quali si può guardare all’uso che la Lega Nord (LN) fa e ha

fatto del linguaggio1; qui ci occuperemo, dopo una breve discussione sul possibile ruolo della lingua

all’interno della sua pratica politica, di un aspetto forse meno evidente, ma non meno importante e

rivelatore: ossia dell’impego reale dei codici nella comunicazione ordinaria da parte della LN tramite il

rapporto con i propri elettori e sostenitori, visto attraverso l’osservatorio di Radio Padania (RP) nella tarda

primavera del 20112. E tuttavia è necessaria qualche nota iniziale. Una breve: la LN viene normalmente

caratterizzata anche, e forse soprattutto, per aver introdotto codici non standard nella comunicazione

politica, segnatamente i dialetti lombardi e veneti3; tuttavia, sorprendentemente, quest’uso è rimasto

largamente periferico, assai di più di quanto ci si aspetterebbe, come verificheremo anche fra poco.

Parleremo qui dunque dell’italiano della LN, ossia delle caratteristiche linguistiche e sociolinguistiche del

tipo d’italiano utilizzato, per come appare dai nostri dati.

Una seconda nota, più articolata e che ci permetterà di guardare un poco dentro il concetto di una

‘lingua padana’, riguarda invece le fonti che possiamo utilizzare per studiare il linguaggio della LN; abbiamo

cioè a disposizione, come per tutti o quasi i fenomeni analizzabili in linguistica, due strade di ricerca: quella

del comportamento linguistico effettivo (ossia di come aderenti alla o simpatizzanti della LN parlano

effettivamente – e anche, qui potemmo distinguere un comportamento linguistico direttamente legato alla

* Il lavoro è concepito e realizzato in modo congiunto dai due autori, che hanno condiviso ogni fase della sua preparazione; tuttavia la redazione del testo è da attribuirsi a Gabriele Iannàccaro per i §§ 1, 2, 3, 6, 8 e a Enrica Cortinovis per i §§ 4, 5, 7. Gabriele Iannàccaro ringrazia per le idee e le discussioni i suoi studenti dei corsi di Istituzioni di Pianificazione Linguistica all’Università Bicocca degli ultimi anni, e in particolare Marta Miceli. 1 La (curiosamente non vastissima) bibliografia sull’argomento si concentra sugli aspetti comunicativi del linguaggio della LN, in chiave prevalentemente politica, o sulla novità disfemica del linguaggio politico che gli esponenti di spicco della LN hanno introdotto; la riflessione pare però arrestarsi alla metà degli ’90, e pochissimo è dedicato alla lingua della LN in quanto tale. Cfr. almeno Allevi 1992, Bonomi - Poggio 1995, Iacopini - Bianchi 1994, Desideri 1993 e 1994, Sarubbi 1996. Studi più recenti, indice di una nuova attenzione, sono Mascherpa 2008 e Lonardi 2011. Vedi anche, per un inquadramento generale in parte vicino alle posizioni che sono qui sostenute, Ruzza 2000. 2 Emittente varesotta fondata alla metà degli anni ’70 col nome di Radio Varese e passata da vari orientamenti politici, fra cui Democrazia Proletaria; dal 1990 è organica alla LN, e prende nel 1997 il nome di Radio Padania Libera. Per dettagli sulle registrazioni effettuate cfr. § 4. 3 Con una spruzzatina di piemontese; l’uso del dialetto nei comunicati, nei fogli informativi e nei comizi è stato particolarmente vivace alla metà degli anni ’80 e poi di nuovo, per un brevissimo periodo, fra l’estate e l’autunno del 2009. Non possiamo qui approfondire questa interessante cronologia; solo per il 2009 faremo rilevare la contemporanea campagna per l’insegnamento dei dialetti nelle scuole (per cui vedi Pinello 2009).

loro esperienza della LN da uno da questo irrelato) e quella della dichiarazione di comportamento, ossia

dell’ideologia metalinguistica, eventualmente analizzabile nella differenza fra dichiarazioni irriflesse e

espliciti proclami ideologici 4 . Prenderemo in prevalenza la prima strada, appoggiandoci appunto a

testimonianze di parlato orale di RP5, ma non sarà inutile una brevissima scorsa anche delle dichiarazioni

esplicite di ideologia linguistica che caratterizzano l’agire politico e culturale della LN – non foss’altro che

per comparare le dichiarazioni con l’uso. Nella sezione che segue scaricheremo parte dell’argomentazione

nelle note, per non appesantire il discorso con una serie di incisi puntuali.

2. Un buon osservatorio è costituito dalla rivista Quaderni Padani (QP)6, che, soprattutto nei numeri

che vanno dalla sua fondazione nel 1995 ai primi anni 2000, sotto la direzione di Gilberto Oneto, ha

rappresentato un po’ la ‘camera di discussione’ scientifica delle idee e istanze leghiste, attenta in particolare

alla rappresentazione ideologica dei nessi lingua – nazione – popolo – identità7. È del tutto evidente che

non ci compete in questa sede neppure accennare alla discussione scientifica, imponente per mole e qualità,

legata a questi temi; per i nostri fini, e per inquadrare i nostri obiettivi, può forse bastare questa non

recentissima, ma ancora assai acuta osservazione Luigi Heilmann (1987: 209, fra l’altro riferita a una realtà

dalla recente rivendicazione identitaria, quella ladina dolomitica):

Il rapporto fra identità etnica e di lingua è sempre stato assunto come essenziale, ma invero lo è solo per

l'occidente moderno. Molti hanno legami etnici senza lingua, come gli ashkenaziti o i copti. La lingua può essere un fattore sufficiente per identificare un’etnia, ma non è un tratto necessario; è solo una delle variabili

ecologiche che possono distinguere un gruppo dagli altri.

Il punto è che in un certo momento della sua evoluzione politica e identitaria la LN, come è accaduto per molte ‘etnie’ europee nell’800, ha considerato questo rapporto fra lingua e identità come

fondamentale – o ha detto di considerarlo fondamentale: è la riproposta di un sistema di legittimazione

(statale, innanzitutto, ma anche di organizzazioni che si vogliono totalitarie rispetto alla comunità) che

possiamo etichettare come lingua instrumentum regni, in cui appunto la legittimazione è basata sulla lingua e

sulla nazione, che esalta la lingua come manifestazione e collante dell’etnia – autoproclamata e

indimostrata, in molti casi, e che, appunto tramite la lingua diventa popolo e poi nazione8. Perché poi si

4 Cfr. Iannàccaro 2000, 2002, Iannàccaro – Dell’Aquila 2006. 5 E dunque vedremo appartenenti e simpatizzanti nelle loro attività linguistiche direttamente legate all’agire o al sentire politico. 6 Pubblicazione bimestrale (con più di un’irregolarità), edita dal 1995 dall’associazione ‘La Libera Compagnia Padana’, arrivata (al novembre del 2011) al n. 98. 7 Si cfr., a titolo d’esempio, Bartaletti 1997, Beretta 1996, Centini 1997, Ciola 1997, Dotti 2001, Galimberti 1995, Oneto 1996, 1997, Percivaldi 1997, Rognoni 1997, 1999, Salvi 2001, 2003, Stagnaro 1997, Tosco 1997, Vitale 1996. 8 Cfr., per un’ampia trattazione, Iannàccaro-Dell’Aquila 2004: 29-38.

instaurino le condizioni per una situazione di lingua instrumentum regni sono tuttavia necessarie alcuni presupposti – dei quali, ovviamente, fondamentale è il riconoscimento da un lato di una diversità linguistica

rispetto ai vicini e dall’altro di una diversità di situazione sociolinguistica rispetto al passato. E secondo

Weinreich (1974 [1953]: 152-155), le condizioni di comparsa o riconoscimento di lingue nuove sono

sostanzialmente quattro (e non devono essere per forza contemporanee o compresenti): 1) forma

manifestamente diversa da quella delle lingue di origine; 2) una certa stabilità formale; 3) funzioni

diversificate della comunicazione; 4) i parlanti la riconoscono come lingua diversa (enfasi mia).

I QP si incaricano appunto, fra il 1995 e il 2003 circa, di rendere manifeste, o meglio ovvie, queste

condizioni per la lingua ‘padana (?)’9 da usare nella ‘Padania’ – e va avvertito che molto presto ci si rende

conto, per valutazione di condizioni linguistiche che non possono essere qui esplicitate ma cui

accenneremo fra poco, che la battaglia linguistica si fa, oltre e soprattutto che sulla (archeologica)

rivitalizzazione dei dialetti, su una lingua che sia grammaticalmente italiana, ma foneticamente,

morfologicamente e lessicalmente connotata in senso regionale. Dunque in quegli anni, almeno negli

articoli citati alla nota 7, si conduce un’opera di informazione e creazione di un’opinione pubblica, se non

proprio una battaglia scientifica, tesa a dimostrare una serie di requisiti della ‘Padania’ come ‘stato

nazionale’ à la manière du XIX siècle. E in particolare la ‘questione della lingua padana’ viene legata ad alcuni

dei parametri che Smith (1986 [1988]: 36-112) lega alla nascita premoderna delle nazioni10.

9 Il nome da dare alla lingua della ‘Padania’ è problema non da poco, e meriterebbe un saggio a parte. Il punto è che, linguisticamente, le varietà che sono scelte per la costruzione ideologica della ‘lingua padana’ sono lungi dall’essere omogenee o riconosciute come unitarie, neppure al loro interno, dai parlanti – per non parlare della loro situazione sociolinguistica, che è quella di dialetto spesso sanzionato. Sui nomi della propria parlata (anche) in territorio lombardo cfr. almeno Iannàccaro-Dell’Aquila 2005. 10 Mi riferisco ai parametri: 1. Nome collettivo (si insiste molto sul coronimo/etnonimo/glossonimo ‘Padania, padano’); 2. Miti delle origini e di discendenza comune (Ciola 1997; Beretta 1996: 19-21: «Come in una fiaba possiamo dire che le origini del nostro dialetto si perdono nella notte dei tempi. Però la nostra parlata di oggi non è molto dissimile da quella attestata già in epoca romana e trasmessa per via orale di generazione in generazione. Un vero miracolo, tanto più che, con la lingua locale, si sono trasmessi valori familiari e civici che ancora oggi ci distinguono dalle altre regioni»; 3. Storia civica condivisa (Vitale 1996; Salvi 2003); 4. Cultura distintiva condivisa (Centini 1997; Rognoni 1997, che sottolinea la vivacità dell'illuminismo padano del Settecento e definisce il novecento come «cornucopia di padanità spesso strumentalizzata e fraintesa, destinata comunque con il tempo ad emergere nei suoi tratti inconfondibili»; individua poi come elementi tipici della cultura letteraria padana «l'attenzione al rapporto tra società e individualità, tra responsabilità del singolo e condizionamenti collettivi, e la capacità di trattare i temi con modi realistici o spunti favolistici e metafisici» (: 46); 5. Associazione ad un territorio specifico (Oneto 1996); 6. Senso di solidarietà e appartenenza – e di converso di differenziazione rispetto agli ‘altri’: (Oneto 1996; Vitale 1996: 10-11: «Identità che non abbiano nulla a che vedere con un interesse comune (quello per il quale ci si scopre affini e si sta insieme) non ne esistono. L'identità padana […] cresce di giorno in giorno proprio sulla percezione sempre più diffusa di abitare nella terra più laboriosa e più ricca d'Europa e su quella delle popolazioni di essere derubate fisicamente, a tutto vantaggio della burocrazia e degli assistiti parassitari dello Stato nazionale centralizzato»; Salvi 2001: 37: «c'è una differenza genetica tra Nord, Toscana e Sud che permane dall'epoca pre-romana […]; c'è una differenza storica […], un confine preciso, [...] c’è uno sviluppo politico-istituzionale». La transizione ad una nazione moderna si realizza poi, sempre secondo Smith, mediante alcuni aspetti fondamentali: 1. Politicizzazione dell'etnia (Vitale 1996: 12 « la crescente partecipazione popolare ai dibattiti a fornire prove schiaccianti alle teorie dei maggiori esperti sulla formazione delle 'nuove identità', che sono alla base dell'etnonazionalismo delle 'piccole patrie'»); 2. Formazione di un nuovo clero: (Vitale 1996) questo è un passaggio fondamentale, cui si dedica l’intera costruzione di QP dei suoi primi anni e sul quale torneremo; 3. Autarchia e territorializzazione; 4. Mobilitazione e inclusione (ancora Vitale 1996: 10: «se le identità si formano sulla percezione di caratteristiche comuni, 'gli elementi statici', altri due elementi fondamentali, che potrebbero essere definiti 'mobili', formano e consolidano in tempi rapidissimi l'identità di una popolazione: 1) la componente magmatica e sfuggente degli interessi materiali e 2) la semplice volontà di dar vita ad una convivenza dotata di proprie istituzioni spontanee»); 5. Nuova immaginazione –

Dunque compito dei QP è quello di mettere a fuoco i presupposti scientifici per l’agire politico

della LN e di dimostrarli in modo irrefutabile, creando un ‘nuovo clero’ (di cui alla nota precedente) di

intellettuali che dovrebbe operare per la socializzazione secolare alla memoria collettiva, e soprattutto un

pubblico colto che alle istanze di questi nuovi intellettuali si riferisca. La legittimazione delle rivendicazioni

separatiste e autonomiste della LN, in sostanza, trae origine dalla possibilità di rifarsi ad argomentazioni

scientifiche; i garanti dell'identità padana e della sua trasmissione sono gli intellettuali/ricercatori, che

possiedono gli strumenti necessari a produrle. È notevole che questo nuovo clero di intellettuali non

riconosca le istituzioni scientifiche precedenti (e concorrenti), come l’Università: le verità scientifiche

enunciate dagli articoli di QP sono autoevidenti, e non necessitano di confronto con voci o argomentazioni

esterne agli intellettuali cui fanno riferimento, che sono semplicemente ignorate11.

3. Il tentativo è cioè quello di costituire una nuova comunità scientifica, autosufficiente, che

semplicemente sostituisce le proprie nozioni e deduzioni a quelle correnti presso la comunità scientifica

ufficiale, o precedente; e di costituire, per questo tramite, una nuova comunità linguistica che diventi

comunità ideologica e poi politica – ma in verità l’operazione va in senso inverso: da una (desiderata)

suddivisione politica deve discendere un’etnia e, dal momento che questa è indispensabile, una comunità

linguistica. Ora, e per nulla curiosamente, questa operazione somiglia in modo molto netto a quella

compiuta da alcuni nazionalisti ottocenteschi (mi riferisco, ma è solo per maggiore conoscenza personale,

(in particolare a quelli operanti nell’Europa Centrale e orientale)12.

e qui l’uso del linguaggio è fondamentale, e lo vedremo anche nella pratica di RP. Devo a Marta Miceli la puntuale individuazione di queste istanze ai passi citati. 11 Di questo si era già detto cursoriamente in Iannàccaro 2007. Il successo dell’operazione si può verificare nei riflessi che ha avuto nei dibattiti spontanei; per darne un’idea cito solo le seguenti affermazioni apodittiche, tratte dal blog ‘Milanese: Lingua e non dialetto – Forum Babel’ (http://projetbabel.org/forum/viewtopic.php?t=6652&postdays=0&postorder=asc&start=0): «Il Milanese è da considerarsi “lingua” e non “dialetto” in quanto non appartiene alla radice del dialetto toscano che ha dato origine all’italiano : è una lingua celtica, gallica, appartenente al gruppo delle lingue galliche cioè appartenente alla Gallia Cisalpina, antico nome che gli storici diedero all’odierno Nord Italia»; «Abbiamo parole di chiara origine celtica, latina, gotica, longobarda, francese, spagnola, austriaca, ma non bisogna cadere nell'errore, [sic] di credere che la lingua si sia creata, sia nata, grazie ad insediamenti d’altre popolazioni, come quella romana, perché il Milanese possedeva già prima di queste una propria struttura sintattica e morfologica». «Facciamo un esempio solo di alcune fra le più antiche radici celtiche (cioè antecedenti l’arrivo dei romani): […] Forest = uno di fuori dal celtico «fforest» = selvatico. […] Aves = polla sorgiva d’acqua dal celtico «aves» = polla sorgiva […] Ciapà = prendere dal celtico «hapà» = prendere » [per il linguista storico, ma forse per qualunque persona colta, le voci citate sono di chiara origine latina]; « Diciamo che il Milanese ha subito una radicale trasformazione con l'introduzione di molti vocaboli italiani, mentre il Meneghino tende a mantenere vivi vocaboli di matrice celtica»; « Non si tratta di "ideologia" ma di Cultura (che tu ovviamente non conosci) e di fatti Storici tangibili. L'origine del Milanese è CELTICA, o meglio INSUBRE, parlata da antichi abitatori dell'Insubria. Mai letto gli scritti del prof. Venceslas Kruta a tal proposito? evidentemente no, perché altrimenti conosceresti la storia delle nostre terre e del Nord Italia» [enfasi nel testo; Venceslas Kruta è un discusso archeologo francese, che si è occupato di origini celtiche in tutta Europa]. E così via. 12 In particolare andrebbero tenute presenti le opere di Anton Bernolák, Ľudovít Štúr, Michal Miloslav Hodža per la Slovacchia; di Mikhail Lomonosov, Mikhail Maximovič per l’Ucraina; in Bielorussia di Alexandr Shpilevskij, Yefim Karskiy, Jan Czeczot; in Moldavia dei sovietici Yuri Stepanov, Il’ja Il'ašenkos; per la costruzione del Serbocroato: Vuk Karadžic, Ľudevít Gaj. La bibliografia sui nazionalismi ottocenteschi è ovviamente sterminata, anche solo volendo considerare le opere strettamente riguardanti il ruolo della lingua; per un primo orientamento si possono vedere, oltre al citato Barbour – Carmichael 2000,

Vale forse la pena di guardare in modo rapidissimo, e rimandando con rimpianto gli approfondimenti possibili ad altra occasione, l’inizio della principale opera di Ľudovít (o Ľudevít) Štúr,

considerato il ‘padre’ della lingua slovacca; per una maggiore collocazione del testo, si ricorderà che la

glottologia ufficiale dell’epoca non riconosceva una lingua slovacca come separata dal ceco13. Si tratta del

volume Nauka reči slovenskej, vistavená od Ludevíta Štúra v Prešporku 1846 ‘Dottrina della lingua slovacca,

esposta da Ludovico Štúr a Presburgo [Bratislava] nel 1846’:

Da diversi anni ormai mi vado chiedendo se per lo sviluppo della vita spirituale della nostra gente slovacca non sia più utile e persino necessario riconoscere [nel senso di non rinnegare] il nostro idioma e usarlo anche ai massimi livelli della nostra stessa istruzione e non solo nella vita domestica o quotidiana. Ma, nel momento in cui pensavo questo, un'altra questione mi si è affacciata alla mente, e cioè se noi abbiamo effettivamente un nostro idioma, oppure se non è solo un dialetto del ceco che noi in Slovacchia chiamiamo slovacco; e avendo compreso che la risposta alla prima domanda dipende dalla seconda, mi sono messo a studiare lo slovacco […]14.

Come si vede, l’esistenza dello slovacco è data per scontata, nonostante il (molto retorico) dubbio insinuato

verso la fine del brano; così come, e questo è per noi ancor più interessante, «per lo sviluppo della vita

spirituale della nostra gente» è indispensabile l’impiego ad ogni livello della varietà che si vuole fondativa

della nuova ‘nazione’ – e il ceco, lingua similissima e codificata dal 1450 circa, non andava bene15. Nel comune sentire e nel comune fine, tuttavia, ci sono differenze evidenti fra il procedere

ottocentesco e quello della LN: per esempio, non sappiamo, nel complesso, come Ľudovít Štúr parlasse: ossia se parlasse in pubblico in slovacco (e quale?), o in ceco, o in ungherese o tedesco – lingue che è assai probabile che conoscesse. Invece sappiamo come parlano gli esponenti della LN, e lo vedremo fra poco.

Inoltre la comunicazione pubblica e politica è molto diversa ai loro tempi e ai nostri; l’opinione pubblica è

ora molto più vasta e non solo limitata alla cerchia degli intellettuali impegnati (e agli intellettuali QP non si

rivolge); e la sua formazione è dovuta in larga parte all’oralità, essendo forgiata dal dibattito televisivo,

mentre è relativamente meno importante la comunicazione scritta. Dunque è in un certo senso un’opinione pubblica involontaria, ossia che acquisisce le proprie notizie e elabora i propri giudizi attraverso media di Mattheier – Panzer 1992, Sériot 1996, Hentschel 1997, e i numerosi saggi puntuali contenuti in Goebl – Nelde - Starý - Wölck 1996, 1997. 13 A tutt’oggi la questione è estremamente dibattuta: da un lato, socialmente, è evidente che le due lingue sono distinte, e da moto tempo (da Kloss 1952 si direbbe per Ausbau); in termini rigorosamente grammaticali (o di Abstand) le due lingue, ‘sorelle’ per la legislazione della Cecoslovacchia comunista, costituiscono un continuum linguistico, e la maggior parte delle loro varietà sono assai meno differenziate di alcune varietà regionali o sociali di italiano rispetto allo standard letterario. Per un primo orientamento in una lingua occidentale si può vedere il recente Nábělková 2007. 14 Testo originale: «Od vjacej rokou zabávau som sa s tou mišljenkou, čibi ňebolo pre rozviťja duchovnjeho života roda nášho Slovenskjeho užitočňejšje ba práve potrebnuo, abi sme sa k nárečú nášmu prihlásili a ho pri viššom samích seba vzďelávaňí, ňje len v živoťe domácom ale i v obecnom užívali. Ale tu zaraz, ako táto mišljenka u mňa povstala, vistúpila i tá v duchu mojom, či mi skutočňe máme vlastnuo nárečja, či je to ňje len rozličnorečja Češťini, čo mi Slovenčinou, nárečím Slovenskím volávame, i viďjac že rozhodnuťja otázki prvej od tejto druhej visí, zabrau som sa do skúmaňja Slovenčini […]». Ringrazio l’amico Andrea Trovesi per la revisione della mia traduzione; a quanto mi consta, questo è il primo tentativo di tradurre in italiano anche solo una parte di quest’opera, che non è scritta nello slovacco standard attuale. 15 In verità le riflessioni di Štúr sono rivolte anche verso l’ungherese, lingua ufficiale della parte transleithanica della Duplice Monarchia, cui la Slovacchia avrebbe appartenuto tre anni dopo la pubblicazione del volume.

fruizione in parte, appunto, involontaria, come è per la radio o la televisione, e non volontaria – come quella di chi acquista esplicitamente, e poi legge, e poi discute, libri e pamphlet. Il (complicato) rapporto con la

Chiesa è poi motivo di riflessione comparativa – che lasciamo ad altri – fra il tentativo linguistico-

identitario della LN e i nazionalismi ottocenteschi. Le differenze sono poi anche, evidentemente, di

pubblico potenziale, circoscritto a una ristretta cerchia di intellettuali colti e nazionalisti per le iniziative

ottocentesche.

Ma proprio questo, ne abbiamo accennato, potrebbe essere il fine di QP: la ricreazione, tramite uno strumento volutamente arcaico come una rivista scientifica, di una cerchia di intellettuali nazionalisti, che

possa servire di riferimento per gli attivisti, e sostituisca la classe intellettuale precedente e universitaria. E a

questo serve anche la prosa prevalente di QP, fortemente assertiva (e per quest’aspetto cfr. Banfi in questo

volume), volutamente diversa da quella accademica, ma diversa anche da quella, locale, dialettofila e

arcaizzante, vagheggiata dagli autori stessi degli articoli padanisti – in ogni caso praticamente solo in italiano. È a suo modo è un tentativo di rivoluzione copernicana nella linguistica: si sostituisce al paradigma

accademico, volontariamente denigrato, un altro paradigma, che viene dato per scontato (in modo da

costituire una ‘cintura protettiva’, alla Lakatos) e ribadito, non mai discusso. Funzionerà? ossia, fra qualche tempo sarà pacifico, anche per la comunità scientifica ufficiale,

parlare di ‘lingua padana’, e attribuirle le caratteristiche e i confini che ora sono indicati in QP? nel 1820

sarebbe stata assurda l’idea di considerare lo slovacco una lingua, o l’ucraino, o tantomeno il bielorusso; oggi è normale. È lecito però avere dei dubbi; intanto, per i nazionalisti ottocenteschi la lingua era uno dei

fattori cardine della loro campagna, esplicitamente ma anche realmente. Nella LN è così solo

esplicitamente: le iniziative concrete su lingue e dialetti sono assai limitate e circoscritte a ambiti talora molto locali (ho raccolto questo lucido parere ‘dall’interno’ sulla politica linguistica effettiva della LN: «è

una costellazione di singoli che hanno a cuore il dialetto e le tradizioni»). Non è poi privo di significato il

fatto che articoli sul nesso lingua – nazione – popolo – identità praticamente cessino coi primi anni 2000 e

che sovrasti tutta la questione un’ambiguità di fondo, mai risolta e cui qui si è già accennato: lingue

‘spontanee’ della ‘Padania’ sono i dialetti galloitalici; ma la ‘lingua’ che si parla nella LN, e che viene

proposta e difesa dai QP è l’italiano, varietà del nemico, sia pure in un’articolazione regionale16. Vediamo

ora come effettivamente parla la LN.

16 In effetti gli articoli analizzati di QP insistono molto sulla presenza di un ceppo linguistico comune, differente dalla lingua italiana, e recuperabile attraverso la rivitalizzazione dei dialetti; tuttavia gli strumenti di comunicazione di massa, che evidentemente fungono da agenzie di socializzazione linguistica, propongono piuttosto una variante regionale della lingua standard. L'utilizzo effettivo dei dialetti si scontra con 3 difficoltà principali (cfr. Iannàccaro – Dell’Aquila 2004): 1. sono tanti, e molto diversi gli uni dagli altri; 2. non hanno, praticamente nessuno, una forma standard; e quand’anche l’avessero, questa sarebbe ben lungi dall’essere onninamente accettata, diventando così fattore di divisione; 3. sono praticamente inaccessibili ai giovani, e rischiano di divenire ulteriore causa di frammentazione, creando barriere interne al movimento. La consapevolezza non dichiarata della criticità viene dunque risolta col tempo tramite la sostituzione dei dialetti locali con una varietà retorica che Ruzza 2000: 180 definisce ‘linguaggio della strada’, sul quale torneremo.

4. Due sono le trasmissioni di RP particolarmente interessanti ai nostri fini; una esplicitamente dedicata alle questioni linguistiche, ‘Lingua e dialetti’, in onda due volte la settimana17, e ‘Il punto politico’,

tutti i giorni alle 18,3018, che abbiamo preferito perché meno esplicitamente connotata. La trasmissione,

come molte altre a RP, è strutturata come una sorta di filo diretto con gli ascoltatori, i cui interventi

assumono un ruolo rilevante all'interno della semplice intelaiatura testuale del programma. La conduzione

del giornalista Gianluigi Pellegrin ha il compito di stabilire l'argomento o gli argomenti della discussione,

ispirati principalmente a fatti politici salienti, su cui si innestano le interviste agli ospiti esperti (generalmente politici locali o nazionali, giornalisti o professionisti di diversi settori). L'intervento degli

ascoltatori sui temi rilevanti può avvenire direttamente, tramite telefonata, o indirettamente, tramite sms, poi

letto dal conduttore.

‘Il punto politico’ è una dunque trasmissione eterogenea, che ha al suo interno diverse forme

testuali:

● il monologo, di carattere informativo o argomentativo; ● l'intervista, con l'intervento di due parlanti; ● il dibattito, quando l'intervista diventa più approfondita e il ruolo dell'intervistatore non è limitato al

porre domande ma il giornalista interagisce, supportando o confutando le testi dell'intervistato; ● la lettura di sms, ovvero la trasposizione orale di quella che già di per sé è una forma di

comunicazione scritta peculiare, il ‘parlar spedito’, dai caratteri che si distanziano per certi versi dallo scritto, per altri dall'orale19;

● la lettura dei titoli dei telegiornali televisivi, che consiste in un parlato letto, con poco margine all'improvvisazione e quindi alta pianificazione, e sostanzialmente cristallizzato su un linguaggio giornalistico.

Alla trasmissione partecipano tipologie di parlanti molto differenti (dagli interlocutori esperti, ai giornalisti, al pubblico ‘non addetto ai lavori’) dai quali è lecito aspettarsi diversi stili espressivi che si

concretizzano in scelte di registro assai eterogenee (do fra parentesi qualche esempio lessicale, ma si

approfondirà ulteriormente al § 5):

● italiano formale (empito, compagine governativa, in primis, estrema ratio, bizantinismi); ● lessico specialistico (molti nella fattispecie i lessemi di ambito economico: insolvenza, debito pubblico,

PIL, operazione a patrimonio contro debito, NAV); ● italiano dell'uso medio (Sabatini 1985); ● italiano informale, basso (di brutto, mazzata, te ne freghi, mandare fuori dalle balle); ● italiano popolare20 (pinco pallo, mazzata, soldoni, stramigliardoni, compagnia bella, insegnato professore,

osservazione al volante, sta gente); 17 Condotta da Gioann March Pòlli, (Giovanni Marco Polli) il martedì dalle ore 14,20 alle 15.00 e il venerdì dalle ore 14,00 alle 15.00. 18 I dati di parlato spontaneo qui analizzati sono tratti da due puntate (del 17.06 2011 e del 21.06.2011). I podcast delle puntate si trovano alla pagina http://93.62.165.62/rplpod/audio.asp?FormName=Tree&category_id=40&pagina=1. 19 Cfr. per osservazioni particolareggiate Pistolesi 2004, Freher 2008. 20 Definito come «l'italiano imperfettamente acquisito dai parlanti che hanno per madrelingua il dialetto» (Cortelazzo 1976: 11), si tratta di una varietà di italiano collocata verso il basso sull'asse diastratico, verso l'oraltà nell'asse diamesico e rappresenta il registro più alto per qui parlanti che hanno scarso accesso all'italiano dell'uso medio. Cfr. i primi studi di De Mauro (1970), Cortelazzo (1976), Lepschy (1983), e più recentemente D'Achille (1994).

● italiano regionale con occasionali sconfinamenti nei dialetti.

Considerate le caratteristiche del linguaggio della LN messe in luce dai pochi studi precedenti,

ovvero l'adozione di uno stile espressivo improntato alla visceralità con ampio ricorso al turpiloquio e al

parlar diretto e disfemico, un forte uso dell'ironia, soprattutto finalizzata alla derisione dell'avversario, una

preferenza per i registri bassi e l'integrazione di prestiti dai dialetti 21 , l'obiettivo di questa breve e circostanziata analisi è individuare se vi sia una caratteristica in particolare che possa considerarsi distintiva e

identificativa del discorso pubblico della LN, e verificare se il parlato reale sia coerente con le affermazioni di

principio viste nel §§. precedenti.

Per la trascrizione dei dati ci siamo avvalsi del codice CHAT (semplificato)22, adottando le

convenzioni presentate nella Tab. 1.

*RA1: *COND: *OS1: # / xxx par- ☺ |parola| PAROLA parola : , . ! ?

turno del radioascoltatore. Il numero progressivo indica l'ordine di intervento nella trasmissione turno del conduttore turno dell'ospite esperto. Il numero progressivo indica l'ordine di intervento nella trasmissione pausa cambio di pianificazione, autocorrezione parola o enunciato incomprensibile interruzione all'interno di parola smile voice enfasi volume alto fenomeno esemplificato prolungamento della vocale precedente intonazione sospensiva intonazione dichiarativa enunciato esclamativo enunciato dichiarativo

Tabella 1. Convenzioni adottate nella trascrizione dei dati.

Il linguaggio di RP è prima di tutto un parlato, e in quanto tale presenta le caratteristiche tipiche dell'oralità, più o meno accentuate a seconda che si scenda o si salga di registro.

A livello sintattico si sono riscontrati, anche nel parlato più sorvegliato:

- scarsa coesione testuale, cambi nella pianificazione della frase, 21 Su tali caratteristiche sono concordi le osservazioni di Lonardi (2011) e Mascherpa (2008:215), che parla di «stile dell'immediatezza» come della cifra espressiva caratterizzante il linguaggio dei media della LN, con particolare riferimento alla carta stampata. 22 Si tratta di un insieme di convenzioni di trascrizione elaborate dal gruppo di linguisti americani raccolti intorno al progetto CHILDES. Il progetto, nato negli anni '90 alla Carnegie Mellon University e tuttora attivo, ha l'obiettivo specifico di studiare l'acquisizione del linguaggio analizzando dati di parlato spontaneo con l'ausilio di strumenti informatici. A tale scopo è stato elaborato un software di trascrizione e analisi di dati linguistici, denominato CLAN, che consente un agile trattamento informatizzato di dati di parlato, permettendo l'annotazione, e quindi l'analisi, di fatti anche molto sottili dal punto di vista linguistico. Vista la sua semplicità d'utilizzo, e nello stesso tempo il grado di precisione nell'analisi e di adattamento alle esigenze del ricercatore, il software è sempre più spesso utilizzato anche dai sociolinguisti per trattare il parlato di adulti. Cfr. MacWhinney 2000 e http://childes.psy.cmu.edu/.

(1) *COND: h. ehm: comunque. ripeto. prendete: prendete quell'articolo che: di questo / mi è sfuggito 'esso il: il nome dell'articolista prendete questo articolo e poi domenica lo cercherò io ma, # ho provato a vedere mentre parlavate ma: non lo trovo

(2) *COND: poi quello che ho detto io cioè l'interlocutore è Tremonti anziché Silvio Berlusconi eh giusto o sbagliato in realtà comunque la volontà del Presidente del Consiglio è quella determinante in ogni caso

- enunciati incompiuti, false partenze, pause ed esitazioni, ripetizioni e autocorrezioni,

(3) *COND: sembra un bel progetto, potrebbe far eh risparmia- / abb- / deve deve recuperare

- anacoluti,

(4) *COND: A noi citadini [sic] normali se gli devi al fisco cento euro ti portano via anche le mutande invece chi possiede soldoni vengono condonati23

- deitticità,

(5) *RA3: sono sempre Ermano senti # oh oh in questi giorni qui sono un po' nervoso no?

Oltre a questi compaiono tratti che possono essere attribuiti all'italiano popolare, seppur di fatto

frequenti anche nell'italiano parlato di registro medio/basso:

- clinici pleonastici, ‘che’ polivalente;

(6) *RA6: se continuiam così / andar su Prodi, i suoi amici di Prodi,

(7) *RA6: pe-pe la pressione/ p- p- più alta del mondo secondo me, più alta di altri paesi che dicono che è più alta

- mancato accordo nei pronomi relativi e negli aggettivi.

(8) *RA4: complimenti a te, # e # a Giacomo Stucchi in cui eh manifesto a livello / come sindaco come amministratore / Lega /militante Lega la massima stima nei suoi confronti.

(9) *RA7: eh salve anzitutto e complimenti a te, # e # a Giacomo Stucchi in cui eh manifesto a livello / come sindaco come amministratore Lega / militante Lega la massima stima nei suoi confronti,

Resta da stabilire quanto questi tratti siano spontanei o quanto invece siano ricercati in funzione di

un percettibile abbassamento programmatico del registro e del livello.

Ora, viste le premesse ideologiche di cui sopra, l'analisi si è focalizzata in particolar modo sulla presenza di influssi dialettali, che, considerata la ‘ragione sociale’ di esistenza della LN, ci si attendeva

presenti in maniera considerevole. Al contrario, i tratti dialettali restano quasi del tutto assenti ai livelli

sintattico e morfologico e compaiono, anche in questi casi in quantità comunque assai ridotta, solo ai livelli

fonologico e lessicale e dunque in maniera assai superficiale. Abbiamo solo tre casi non dubbi: due tratti dal

23 Lettura da parte del conduttore di un sms spedito da un ascoltatore.

parlato degli ascoltatori e uno, molto particolare, dal parlato dalla giornalista annunciatrice dei titoli del giornale radio.

(10) *RA5: # perché io leggo la provincia pavese e m'incazzo come una biscia / ada, è un giornalaccio è un fogliaccio: schifoso

Qui abbiamo il prestito di un segnale discorsivo di tipo fatico (ada ‘guarda’, diffuso nei dialetti di area

lombarda), ovvero utilizzato per mantenere vivo, aperto, il canale di comunicazione. Si tratta di un

marcatore pragmatico-discorsivo non insolito e piuttosto diffuso in italiano regionale settentrionale, che ha

l'effetto di marcare l'enunciato del parlante in diafasia, cioè verso un registro basso, oltre che in diatopia. I

marcatori discorsivi sono elementi piuttosto marginali in un sistema linguistico, la cui posizione rispetto ad

altri elementi della frase non è quasi mai dettata da regole grammaticali, ma dalla funzionalità pragmatica, e sono pertanto gli elementi più facilmente trasferibili in caso di contatto tra lingue.

Un secondo caso, riportato nell'esempio (11) prevede sempre l'integrazione di una parola dialettale in un enunciato in italiano, pur trascurato:

(11) *RA8: perché sempre subire ## sempre subire sempre subire mi sembra esser un po' anche un po' scusami la parola eh? ## da cujoni!

Anche in questo caso possiamo parlare di un prestito funzionale, la cui funzione è quella, tutta pragmatica,

di conferire maggior espressività all'enunciato, mitigando, al tempo stesso, il suo contenuto disfemico.

L'unica occorrenza di un intero enunciato in dialetto è rintracciata nell'estratto (12), che rappresenta

però un uso assai particolare del dialetto, meno spontaneo e più programmato.

(12) *COND2: dal tg nord è davvero tutto alura cume semper buna serada a toecc.

Si tratta infatti di una formula di chiusura e di saluto attuata dalla giornalista al termine dello spazio

dedicato alla lettura dei titoli del radiogiornale. L'enunciato in questione non aggiunge contenuto referenziale al messaggio, ma l'esistenza di una commutazione di codice dall'italiano al dialetto è un atto

marcato dal punto di vista linguistico, poiché portatore di un forte significato simbolico. Le formule di

saluto servono tendenzialmente a ‘delimitare’ tra loro le diverse situazioni comunicative, aprendole o

chiudendole; la loro natura formulaica e la loro ricorrenza le rende quindi salienti e di immediato

riconoscimento per l'interlocutore.

L'utilizzo del dialetto in questo caso si presenta come una scelta comunicativa efficace e coerente

con gli assunti della comunicazione leghista: il ricorso a un dialetto nel corso della lettura dei titoli sarebbe

stato evidentemente poco economico, poiché avrebbe automaticamente escluso dalla ricezione gli

interlocutori non dialettofoni. Esso viene perciò impiegato nell'atto comunicativo del saluto, a basso contenuto referenziale ma ad alto valore pragmatico e simbolico. L'importante non è quindi che cosa venga

detto in dialetto, ma il semplice fatto che esso sia presente. Si tratta perciò di un atto di politica linguistica: l'uso di una determinata lingua è finalizzato ad attribuire un prestigio interno24 non tanto alla lingua in sé,

quanto al sistema di valori che le vengono associati dalla comunità di parlanti.

5. Al di là dei casi isolati che si sono finora presentati, forse l'esaltazione della dimensione locale,

municipalistica, di cui la LN, attraverso RP, si vuol fare portavoce, emerge dal basso, ovvero dalla base

degli ascoltatori e militanti, attraverso l'impiego di regionalismi, voci prevalentemente in uso nell'italiano regionale settentrionale, anche se ormai largamente diffuse anche oltre questi confini, soprattutto negli usi

espressivi della lingua, nei registri bassi o in certi linguaggi specialistici (come quelli giornalistico e

pubblicitario).

Per il lessico si registrano entrate diffuse nell'italiano regionale settentrionale (balle) o meccanismi

produttivi come l'elisione di parte del nome, come in Berlusca (su modello di commenda). Per la sintassi è stata rilevata qualche sparpagliata locuzione, come la costruzione guardare a (‘pensare a, badare a’), per cui dal

corpus si riporta:

(13) *OS2: aveva sempre guardato a dare le risposte ai cittadini

Ma è soprattutto a livello fonologico che si fa più percepibile la presenza di tratti caratterizzati in

diatopia come appartenenti a varietà settentrionali di italiano, la cui frequenza è però con tutta probabilità

condizionata da fenomeni strutturali nel parlato, quali la velocità d'eloquio e la conseguente ipoarticolazione, direttamente conseguente al livello di accuratezza articolatoria e soggetta a variazione

sull’asse diafasico.

Nel corpus si sono riscontrate elisioni e semplificazioni, e in particolare:

● apocopi (abbiam, son, abbassar, chieder, esser, ripulir); ● semplificazioni dei nessi consonantici(siora, bisoa, bisoerebbe, ammistratore, facea, peché); ● aferesi (somma, 'l problema, 'fettivamente); ● legamenti (suoi nimali, mi alzo 'l mattino); ● scempiamento delle geminate: tra tutti, il tratto più marcato come settentrionale (dela, quela, abiamo,

tute, accetare, teritorio). Oltre al risultato, peculiare e interessante, del tutto sommato scarso rilievo del dialetto, è piuttosto

inaspettata la comparsa di alcuni fenomeni, soprattutto a livello lessicale, che caratterizzano il linguaggio di

RP come molto meno marcato verso il basso di quanto postulato in ipotesi. Questi fenomeni riguardano la

24 Il concetto di prestigio interno (o coperto) si riferisce al valore attribuito a una varietà linguistica, che normalmente gode di scarso prestigio sociale presso una data comunità linguistica, dagli appartenenti di un ristretto gruppo sociale, tendenzialmente (auto) escluso dal resto della comunità sociale più allargata cui appartiene. Il gruppo socialmente emarginato riconosce alla varietà linguistica socialmente stigmatizzata un fattore coesivo, attorno cui si costituisce l'identità di gruppo, utile al mantenimento del gruppo stesso (Trudgill 1972).

presenza di forestierismi, ovvero prestiti soprattutto dalla lingua inglese, e meridionalismi, oltre che del lessico specialistico di ambito giornalistico, politico ed economico.

Tra i forestierismi, a titolo d'esempio citiamo due prestiti piuttosto recenti, forse persino non

completamente acclimatati nell'italiano. Entrambi sono pronunciati dall'ospite esperto, un parlamentare

della LN le cui scelte linguistiche sono risultate nel complesso molto meno connotate in direzione

localistica del previsto, al contrario del contenuto delle sue argomentazioni.

(14) *OS2: non si può sicuramente negare che la golden share la tiene Silvio Berlusconi lì dentro:

(15) *OS2: guardi io sono # bergamasco e sono abituato spesso a parlare poco e a cercar di far le cose # magari spesso non vengono nemmeno pubblicizzate perché si vive un po' così low profile.

Altre scelte lessicali inaspettate sono i meridionalismi (tra cui, per esempio, scialacquare, debbo dire) e un

abbondante corpus di lessemi appartenenti ai registri alti: fulcro, bizantinismi, sortire l'effetto contrario, pratiche assistenzialistiche, borgomastro, estrema ratio, spartiacque, mitopoiesi, sineddoche). Mentre è logico aspettarsi, sempre a livello lessicale, neologismi o lessemi tipici del linguaggio giornalistico: tesoretto, pressione fiscale, cartelle pazze, legge ad partitum, compagine governativa

Pare quindi opportuno concludere che non si può parlare di una tendenza univoca all'abbassamento

del registro per il linguaggio della LN, né alla completa regionalizzazione o dialettizzazione della lingua. Le due tendenze, pur presenti, sono mitigate e bilanciate da fenomeni di opposta direzione, ovvero il non

abbandono dell'italiano medio-alto e il riferimento a registri colti parte integrante di taluni linguaggi

settoriali.

6. È poi interessante uno sguardo qualitativo al lessico utilizzato: un’analisi puntuale delle trascrizioni mostra che i campi semantici principali attorno ai quali ruotano i lessemi più significativi si lasciano

organizzare secondo cinque categorie principali (in corsivo i termini utilizzati dagli ospiti/ascoltatori): abbiamo dunque termini

FONDAMENTALI (Lega, Padania, Pontida, nord, sud, nostro);

CARDINALI (assistenzialista, cambiamento, popolare [cultura – ], gente [nostra – ], mezzogiorno, razzisti, tasse);

SOCIETARI (assistenzialista, business, cambiamento, ad partitum [legge – ], inefficienza, migliardi [sic], populismo, pressione fiscale, incazza(rsi), razzisti, spartiacque (della legislatura), xenofobi);

SOLIDALI (comprese le locuzioni) (bell'incazzato, cultura popolare, dela [sic] nostra gente, m'incazzo come una biscia, Padania libera tutti, noi padani, di noi dela [sic] lega, prominchia [riferito a La provincia pavese, quotidiano], vanno bene alla nostra di gente).

Ora, i termini ‘fondamentali’ sono quelli che possiamo considerare in certo senso inevitabili, dato il contesto: che si parli di LN, o del raduno di Pontida, o della ‘Padania’, in una trasmissione politica di RP, è

diremmo scontato. Questi termini, e le idee e le suggestioni che evocano, sono il tessuto fondamentale

dell’atto comunicativo, i pilastri sui quali si regge la costruzione del discorso argomentativo e simbolico.

Però, proprio a livello simbolico, è interessante notare che a questi si accostano altri concetti, che possiamo

nominare ‘cardinali’, e che specificano e articolano le proposizioni linguistico-ideologiche rette dai termini

fondamentali; qui si trovano alcuni dei cavalli di battaglia, per dir così, della propaganda e dell’azione politica della LN, l’avversione per il meridione e per il così definito Stato assistenzialista, l’insistenza sul

‘cambiamento’ (delle istituzioni? della pratica politica? del punto di vista?), l’attenzione (che, con il

procedere dell’analisi, si scopre sempre più dichiarata che reale) per la cultura popolare e la ‘gente del nord’

– ossia il tentativo di creare a approfondire quella comunità di pensiero e linguistica di cui ai §§. precedenti.

Le altre due categorie sono di tipo diverso: una serie nutrita di concetti (quelli individuati come ‘societari’) è rivelatrice del tipo di società disegnata dai conduttori di RP, e che si vuole condivisa dai propri

ascoltatori (si noti che qualche termine può comparire in più di una categoria): è una società orientata al

business, al liberalismo, alla detassazione e fautrice del disinteresse dello Stato per l’economia e la società civile, la cui classe dirigente si difende dalle accuse di populismo (ma che al tempo stesso lo solletica),

attenta alla divisione dei suoi appartenenti in classe e ‘razze’, che si sente ad un punto di svolta delle regole

della convivenza civile. E soprattutto, per la costruzione di questi pilastri societari, ha bisogno della ‘solidarietà’ dei propri aderenti, ricercata secondo ben conosciuti stilemi di abbassamento della distanza

interlinguistica fra emittente e ricevente tramite la ricerca della complicità informale e la sollecitazione del

senso di comunità mediante l’uso insistito di pronomi inclusivi di prima persona plurale (sui quali

torneremo fra breve). È, come si accennava, quello che Ruzza 2000: 180 definisce ‘linguaggio della strada’:

«Una nuova strategia linguistica, che prende il codice linguistico direttamente dalla strada e lo importa

nell'arena politica, ha sostituito in modo crescente l'uso del dialetto. I discorsi pubblici della Lega si rifanno

in modo significativo a metafore, frasi ad effetto e altri elementi del linguaggio quotidiano, e reinterpretano

questi elementi in termini politici».

Vediamo meglio come si manifesta, nel discorso reale, questa ricerca di solidarietà.

7. Uno degli strumenti linguistici di cui uno specifico gruppo sociale può servirsi per mantenere la

coesione del gruppo è il meccanismo della soprannominazione, tanto verso gli esterni, quanto verso gli

interni, gli appartenenti al gruppo. Il soprannome è uno strumento di controllo sociale, perché usato per

condizionare la considerazione sociale e rappresenta un pratica comunicativa attraverso cui vengono prodotte, affermate o contestate le identità sociali dei parlanti (Lytra, 2003: 48). Questo meccanismo è più

che mai produttivo all'interno del linguaggio di RP da noi preso in esame, e mostra tutta la sua efficacia soprattutto nella funzione di identificare e escludere gli esterni.

Dal punto di vista linguistico il soprannome ha le seguenti caratteristiche (Putzu 2000: 17):

• è trasparente, cioè il suo significato è immediatamente percepibile, al contrario del nome; • è connotativo, ovvero rileva caratteristiche idiosincratiche e le esalta, dando informazioni sul

rapporto tra il soprannominato e chi attribuisce il soprannome; • il suo valore è limitato ed è comprensibile e interpretabile solo in un determinato spazio

geolinguistico e sociale; • non è ufficiale ed è effimero e mutevole.

Nel corpus analizzato il meccanismo della soprannominazione sembra ben acclimatato e sembra

avere caratteristiche peculiari. Innanzitutto, esso è sempre positivo se attribuito agli interni, ed è sempre

negativo se attribuito agli esterni. Questa dicotomia dentro-fuori è meno ovvia di quanto si pensi, e infatti

non si realizza all'interno di tutti i gruppi sociali. Nei gruppi di adolescenti, ad esempio, la coniazione di soprannomi negativi ha la funzione di marginalizzare o punire, in modo più o meno duraturo, i membri

riottosi del gruppo, o può essere una pratica temporanea legata alla negoziazione conversazionale dei ruoli

(Lytra, 2003: 53). Nei dati analizzati, invece, i membri del gruppo ricevono sempre soprannomi positivi o lievemente ironici che producono reciproca intimità (Kiener, Nitschke 1971: 56).

(16) *COND: un saluto: e un ringraziamento al# borgomastro orobico,

Al contrario, i soprannomi riservati agli esterni sono sempre negativi, denigratori e insultivi.

(17) *RA5: ## domenica sul pullman se dovesse esserci un giornalista un fotografo che lavora per / non la provincia pavese caspita la prominchia pavese

(18) *RA2: io ho saputo no? che il sindaco [di Napoli] Demagistris ha chiesto al sindaco di Milano Pisacane [Pisapia] # di aiutarlo a smaltire un po' d'immondizia,

(19) *COND: poi dobbiamo comunicare ogni giorno che i sinistri se vanno al governo aumentano le tasse e trattano i clandestini meglio degli italiani

Come si vede dagli esempi sopra riportati, dal punto di vista formale il meccanismo di soprannominazione

parte dal significante (il nome proprio dell'insultato), di cui viene modificata la forma attraverso

meccanismi morfologici di inserimento e sostituzione di sillabe o di derivazione, che generano un effetto di

distorsione del nome originale alla base dell'effetto comico-espressivo.

Un secondo strumento di mantenimento della solidarietà ci è svelato attraverso l'analisi quantitativa:

il conteggio dei termini di maggior frequenza nel corpus (indipendentemente dai parlanti che ne fanno uso) è così ripartito:

Lessema nostr- Pontida Padania nord Berlusconi cittadini Tremonti Milano Bossi immigrazione

Occorrenze 49 26 23 15 14 14 10 6 5 4

Alcuni termini appaiono frequenti per ragioni puramente contestuali; è il caso di Pontida, toponimo ricorrente poiché una delle puntate prese in esame è stata registrata in data prossima al raduno del partito,

che in quella località si tiene. Altri, come nord, o immigrazione sono meno ricorrenti di quanto atteso. Ma il

risultato più interessante è l'alta frequenza dell'aggettivo (eventualmente sostantivato) nostro e le relative

forme flesse, un lessema esplicitamente volto a stabilire una dimensione comunitaria. Se di per se questo

risultato può parere ovvio, un ulteriore passo avanti nell'analisi ha offerto nuovi spunti di riflessione.

Tramite l'analisi delle concordanze, infatti, si sono potuti rintracciare nel corpus i contesti d'uso della parola in oggetto, visualizzando le parole precedenti e le successive: ciò ha permesso di ricostruire i

riferimenti tematici a cui questa rinvia e di tracciare una mappa concettuale tra parole e temi affrontati.

Nostro e relative forme flesse concordano dunque con una serie di aggettivi che sono stati successivamente

organizzati per campi semantici d'appartenenza, mostrati in Tab. 2.

Campi semantici

Comunità Occorrenze Partito politico Occorrenze Mezzi di comunicazione Occorrenze

– gente 8 – proposte 4 – tg 2

– paese 7 – parte 2 – portale 2

– comunità 3 – elettorato 2 – giornalista 1

– territorio 2 – logica 1 – regista 1

– imprese 1 – idee 1 – format 1

– amministratori 1 – deputati 1

– imprenditori 1 – primi vent'anni 1

– parti 1 – capo 1

casa – 1 – movimento 1

– storia 1

– comuni 1

– nipoti 1

– identità 1

– confronti 1

Tot. 30 Tot. 14 Tot. 5

Tabella 2. Concordanze per nostr- organizzate per campi semantici

È subito evidente che l'aggettivo si riferisce, nella quasi totalità dei casi, al contesto della LN nelle sue

diverse manifestazioni o emanazioni: quella comunitaria e sociale; quella politica e quella mediatica. L'ultimo

ambito, quello dei mezzi di comunicazione orbitanti attorno al movimento politico, è citato in modo del

tutto referenziale, nel momento in cui vengono date informazioni pratiche.

(20) *COND: eh per chi stasera non potesse seguirci c'è come sempre padanianet.com il nostro portale dov'è possibile rivedere tutte le nostre trasmissioni

Più nutriti e significativi i riferimenti alla comunità della LN sia come gruppo politico attivo in tal

senso, sia come comunità radicata in una serie di domini cardine: il territorio (la casa, le parti, i comuni), la gente

(gli imprenditori, gli amministratori, i nipoti), l'identità (la storia, la comunità). Si stabilisce pertanto un legame solidale tra gli appartenenti al gruppo, che passa attraverso il continuo rimando discorsivo al tessuto sociale

che sostiene e supporta il movimento.

In questo sistema così coerente di riferimenti si affaccia però una macroscopica contraddizione. Il

lessema paese, che compare con sette occorrenze concordando con nostro, travalica la dimensione locale

portandoci sempre al livello nazionale. Il nostro paese, infatti, è usato sempre come sinonimo di ‘Italia’, mai di

‘Padania’. Utilizzando, evidentemente in modo ‘automatico’, una locuzione ormai cristallizzata, i parlanti analizzati esplicitano il paradosso su cui e nonostante cui si fonda l'impianto ideologico della LN: e si

identificano in una comunità con la propria storia, la propria terra e i propri appartenenti, che si dichiara

autonoma e autosufficiente, rispetto a un orizzonte nazionale che, in fin dei conti, fa parte della loro

quotidianità ed è, allo stato attuale, l'unica istituzione possibile.

8. A ben guardare, dunque, se la pratica linguistica degli aderenti alla LN – almeno per come

l’abbiamo potuta verificare noi tramite l’ascolto mirato di una trasmissione di RP – è, alla superficie, assai

diversa da quella dichiarata (ricordiamolo: niente dialetto, italiano connotato solo in modo non strutturale da elementi settentrionali, presenza addirittura di meridionalismi acclimatati, tecnicismi e così via),

l’operazione linguistico - ideologica soggiacente non è poi così dissimile. Anche la pratica linguistica di RP

tende alla creazione di una comunità: non scientifica, come avveniva per QP, ma ideale e ideologica: il tentativo, come in molte altre esperienze di testualità orientate verso un fine delimitativo, è appunto quello

di creare un ‘dentro’, il più possibile gratificante e inclusivo per coloro che ne fanno parte e un ‘fuori’,

lontano e da tenere lontano, verso il quale generare e alimentare sospetto e diffidenza. Così le realizzazioni linguistiche effettive rendono evidente quella che è un'ambiguità di fondo del

movimento politico, ovvero l'identificazione con un gruppo ‘altro’, autonomo, che si vuole radicalmente

alternativo rispetto ai modelli consueti; allo stesso tempo, però, mostra – in chiave propagandistica –

l'accettazione una situazione reale che è molto lontana dai principi separatistici enunciati programmaticamente dalla LN, ovvero il contesto unitario nazionale.

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