Elementi di Topografia cristiana delle contee del Northumberland, del Durham e dello Yorkshire...

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Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Scienze dellArcheologia e Metodologia della ricerca Storico Archeologica Tesi in Archeologia Cristiana Elementi di Topografia cristiana delle contee del Northumberland, del Durham e dello Yorkshire Relatore: Candidato: Prof. Danilo Mazzoleni Canali Luca Correlatore: Matricola: 267639 Prof.essa Myla Perraymond Anno Accademico 2011-2012

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Facoltà di Lettere e Filosofia

Corso di Laurea in Scienze dell’Archeologia e Metodologia della ricerca

Storico – Archeologica

Tesi in Archeologia Cristiana

Elementi di Topografia cristiana delle contee del Northumberland, del

Durham e dello Yorkshire

Relatore: Candidato:

Prof. Danilo Mazzoleni Canali Luca

Correlatore: Matricola: 267639

Prof.essa Myla Perraymond

Anno Accademico 2011-2012

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PREMESSA

Questo lavoro vuole essere uno spunto per approfondire gli studi su una

regione dell’orbis christianus antiquus poco conosciuta, ma che potrebbe

offrire diversi spunti di riflessione: l’antico regno di Northumbria, del quale si

prendono in esame le attuali contee del Northumberland, del Durham e dello

Yorkshire.

La ricerca si spinge fino al primo decennio dell’VIII secolo, un periodo

del tutto anomalo per quanto riguarda l’archeologia cristiana ma, come si

vedrà, tale scelta è stata determinata da diversi fattori tra cui, il principale, è lo

sviluppo tardo della religione cristiana in questi luoghi e il lungo processo che

ha l’ha portata ad essere accettata dalle popolazioni che si insediarono in

Britannia, occupando il vuoto di potere lasciato dall’abbandono della provincia

da parte dei Romani.

La ricostruzione storica e topografica è stata possibile grazie allo studio

dell’opera del Venerabile Beda Historia Ecclesiastica gentis Anglorum, la

quale, spesso con dovizia di particolari, ricostruisce la nascita e il

consolidamento del Cristianesimo in Britannia, ma soprattutto della

Northumbria, sua patria d’origine.

Per quanto riguarda gli edifici, le fonti abbondano di riferimenti chiese

lignee, una modalità costruttiva portata dagli invasori sassoni, tutte innalzate

nei primi decenni del VI secolo ma di cui non sono mai state rinvenute tracce.

Intorno alla metà del VI secolo, gli edifici ecclesiastici vengono convertiti in

pietra, ma anche in questo caso, sono molto poche le chiese originali ancora in

3

piedi: la maggior parte, nel corso dei secoli, hanno ricevuto rimaneggiamenti

ed aggiunte che ne hanno nascosto l’aspetto più antico. Nonostante questo, il

numero di edifici cristiani è molto alto, segno che la cristianizzazione ebbe uno

sviluppo capillare ed impulso straordinario proveniente sia dai sovrani

convertiti, sia dai monaci e missionari provenienti dal continente e dalla vicina

Irlanda.

Il lavoro presenterà, nei primi due capitoli, una panoramica storica della

provincia romana della Britannia e della formazione e sviluppo del regno di

Northumbria fino ai primi decenni dell’VIII secolo e dell’avvento del

Cristianesimo sull’isola e delle vicende riguardanti la Chiesa northumbriana.

Nel terzo e nel quarto capitolo si passerà in rassegna delle evidenze

archeologiche sia per quanto riguarda l’epoca romana che l’aspetto principale

di questo elaborato, ovvero gli edifici cristiani.

Nell’ultimo capitolo verrà proposta una lettura e interpretazione di un

oggetto che rappresenta l’apice della produzione artistica e del sincretismo

culturale e cultuale presente nella regione.

4

I.STORIA DELLA PROVINCIA

I.1 PRIMA DI ROMA

Abitata fin dal Paleolitico inferiore (giacimenti di Clacton-on-Sea,

Hoxne, Swanscombe), la Gran Bretagna si stacca dal continente nel 6000-5500

a.C., con il passaggio dalla fase climatica boreale a quella atlantica.

Nel corso del IV millennio a.C. i primi agricoltori neolitici elaborarono

la cultura di Windmill Hill, caratterizzata dalla presenza dei monumenti

megalitici.

Mentre nel III millennio fiorisce la “cultura del bicchiere

campaniforme”, nel millennio successivo viene sostituita dalla “cultura

dell’Essex” (1800-1400 a.C). E’ questa la fase in cui si completa il più

impressionante monumento della preistoria britannica: Stonehenge1.

Dopo una fase di stasi culturale, nel IX-VIII secolo a.C. si avvia

l’immigrazione dei popoli celtici dal continente, che si fa più massiccia nel V

secolo a.C., e che attorno al 250 a.C., con l’arrivo dei Belgi, dà l’avvio alla

cultura di La Tène insulare2.

1 Mallory 1997 Beaker Culture (s.v.), in Mallory-Adams 1997.

2 Simon-Rig 1997, pp.35-40.

5

Diodoro Siculo, nel I secolo a.C., introdusse la forma Πρεττανια3,

mentre Strabone4 utilizza la forma Βρεττανία. I Romani usarono poi il nome

"Britannia" per tutta l'isola, compreso il territorio a nord del Vallo di Adriano.

Brittannia, o Brittānia, era il nome con il quale i Romani indicavano tale

territorio fin dal I secolo a.C. Dopo la conquista romana, avvenuta nel 43, il

nome fu utilizzato per indicare la provincia romana, che venne così ristretto

all'isola di Gran Bretagna (la porzione a sud del Vallo di Adriano).

I.2 La conquista romana (Fig.1)

Nel corso della guerra gallica, Cesare aveva compiuto incursioni in

Britannia, seppur non seguite da alcuna conquista: lo scopo era di acquisire

informazioni. La prima spedizione si ebbe nel 55 a.C.: le navi di Cesare

approdarono sulla costa del Kent ma, a causa di una tempesta che danneggiò la

flotta e della scarsità di cavalleria a sua disposizione, il generale tornò nelle sue

basi in Gallia.

L’esercito romano affrontò la seconda spedizione l’anno seguente con

forze militari più ampie, tentando di sottomettere le tribù britanne, o

invitandole a pagare tributi e a dare ostaggi per avere la pace5. Cesare non fece

dunque conquiste territoriali, ma stabilì un sistema di clientele e portò almeno

parte della Britannia nella sfera d'influenza di Roma.

Ottaviano Augusto pianificò diverse invasioni nel 34, nel 27 e nel 25

a.C., senza però riuscire a portarle a termine per una serie di circostanze

3 Diodoro Siculo, Bibliotheca historica V 1-3.

4 Strabone, Γεωγραφικά, I 4.2.

5 Giulio Cesare, De bello Gallico, V 8-23.

6

sfavorevoli e così le relazioni tra la Britannia e Roma restarono di tipo

diplomatico (con ambasciatori inviati dai sovrani dei Britanni ad Augusto) e

commerciale (com'è dimostrato dall'attestazione di un aumento delle

importazioni di beni di lusso dall'Impero romano alla Britannia sud-orientale)6.

L'effettiva invasione romana della Britannia si ebbe solamente al tempo

dell'imperatore Claudio: nel 43 d.C. le forze romane, sbarcate nel Kent al

comando del generale Aulo Plauzio, sconfissero i Catuvellauni e i loro alleati

nelle due battaglie del Medway e del Tamigi. Uno dei loro capi, Togodumno,

fu ucciso, mentre il fratello Carataco sopravvisse, continuando a guidare la

resistenza. Raggiunto dall’imperatore in persona con dei rinforzi, Plauzio

marciò sulla capitale catuvellauna, Camulodunum (odierna Colchester),

conquistandola7. Su questo territorio venne creata una provincia, mentre

alleanze vennero strette con i popoli vicini, e Plauzio ne divenne il primo

governatore, carica che mantenne fino al 47, quando fu sostituito da Publio

Ostorio Scapula. Intanto il futuro imperatore Vespasiano sottometteva il sud-

ovest dell’isola8.

Conquistata la parte meridionale della Britannia, i Romani rivolsero la

loro attenzione al Galles, ostacolati dai Siluri, dagli Ordovici e dai Deceangli

che si opposero però strenuamente agli invasori, catalizzandone gli sforzi

militari. A capo dei Siluri si pose Carataco, che condusse una vera e propria

guerriglia contro le truppe del governatore Publio Ostorio Scapula, il quale,

però, sconfisse il leader britanno nel 51 e lo costrinse a rifugiarsi allora presso

Cartimandua, regina dei Briganti, la quale provò la sua fedeltà ai Romani

consegnandolo.

Nonostante la cattura del loro capo, i Siluri, ora guidati dall'ex marito di

Cartimandua, Venuzio, continuarono ad opporsi9.

6 Ottaviano Augusto, Res Gestae, 32; Strabone, Γεωγραφικά, IV, 5; Cassio Dione, Historia romana, LI, 38,

LIII 22, 25. 7 Cassio Dione, Historia romana LX, 19-22.

8 Svetonio, De vita Caesarum, Vespasianus, IV.

9 Tacito, Annales XII, 31-38.

7

Il comportamento vessatorio dei magistrati romani, il tentativo di

impadronirsi dell’isola di Mona, sacra al culto druidico, le eccessive pretese

dei sacerdoti del tempio di Claudio a Camulodonum, determinarono la rivolta,

a capo della quale fu Boudicca, regina degli Iceni (nel 60) 10

. I Trinovanti e i

Catuvellauni si unirono agli Iceni, assalendo e distruggendo la colonia romana

di Camulodunum. Il governatore Svetonio Paolino, ancora occupato contro i

Siluri, raggiunse Londinium, su cui stavano marciando i rivoltosi. Constatando

però che la città era indifendibile con le truppe a sua disposizione, Paolino

l'abbandonò al suo destino, spostandosi a Verulamium (odierna St Albans).

Londinium fu distrutta e la popolazione massacrata. Con alcune legioni

Svetonio alla fine si scontrò coi nemici, sconfiggendoli nella battaglia di

Watling Street. Boudica morì non molto tempo dopo, o avvelenandosi o di

malattia11

.

Le città distrutte furono ricostruite e la capitale della provincia fu

spostata a Londinium. I problemi causati dalla rivolta risultarono di tale gravità

che Nerone pensò di ritirarsi dalla Britannia12

.

Successive turbolenze nell'isola ci furono nel 69, cioè nell'"anno dei

quattro imperatori". Davanti al disordine che si diffuse nell'Impero romano,

Venuzio dei Briganti scacciò l'ex moglie e assunse il controllo del nord del

paese. Dopo la salita al potere dell'imperatore Vespasiano, Quinto Petillio

Ceriale pose fine alla rivolta13

.

Negli anni successivi i Romani conquistarono buona parte dell'isola. Il

governatore Gneo Giulio Agricola, suocero dello storico Tacito, sottomise gli

Ordovici nel 77 e i Caledoni nell'83 nella battaglia del Monte Graupio

(nell'odierna Scozia del nord)14

. Poco dopo la vittoria, Agricola fu richiamato

10

Tacito, Annales, XIV, 29,30. 11

Tacito, Agricola, XIV-XVII; Tacito, Annales, XIV 29-39; Cassio Dione, Historia romana, LXII 1-12. 12

Svetonio, De vita Caesarum, Nero 18. 13

Tacito, Agricola, XVI-XVII; Tacito, Historiae I, 60 e III 45. 14

Tacito, Agricola, XVIII-XXXVIII.

8

in patria e i romani si ritirarono sulla linea del più difendibile istmo del Forth-

Clyde.

Quando Adriano raggiunse la Britannia durante il suo famoso viaggio

attraverso le province attorno al 122, dispose la costruzione di un vallum,

costruito fra la foce del Solway e quella del Tyne (Fig.2). L'imperatore dispose

che se ne occupasse il nuovo governatore Aulo Platorio Nepote, a cui fu

affidata una nuova legione proveniente dalla Germania inferiore: la VI Victrix,

che doveva sostituire la IX Hispana, della cui scomparsa si è molto discusso

tra gli storici moderni. I rilievi archeologici hanno poi dimostrato che, durante

questa prima metà del secolo, vi fu una notevole instabilità politica in Scozia.

Lo spostamento della frontiera più a sud dovrebbe essere considerata in questo

contesto.

Questa frontiera venne spinta verso l'istmo di Forth-Clyde a partire dal

regno di Antonino Pio, quando fu costruito un nuovo vallum più a nord di

quello di Adriano (142 circa). Ma una quindicina di anni più tardi, si ebbe una

nuova crisi (nel 155-157) quando i Briganti si rivoltarono e costrinsero le

armate romane a ritirarsi all'antico vallum Hadriani, sebbene questa ribellione

fosse stata inizialmente repressa dall'allora governatore, Cneo Giulio Vero. E

sembra che il confine del vallo di Antonino fosse rioccupato un solo anno più

tardi, ma abbandonato definitivamente nel 163-164. Negli anni che seguirono,

durante l'ultimo periodo del regno di Marco Aurelio, alcuni forti a nord del

vallo di Adriano furono rioccupati, come quello di Newstead ed altri sette di

minori dimensioni15

.

Nel 193, nella crisi seguita alla morte di Pertinace, il governatore della

Britannia Clodio Albino fu acclamato imperatore dalle sue truppe; ma poi,

dopo essersi alleato contro un altro pretendente, Pescennio Nigro, con Settimio

Severo, finì per soccombere proprio a quest’ultimo (197). Severo rinforzò le

15

Cassio Dione, Historia romana, LXXI, 16.

9

difese del limes britannico, dividendo la provincia in due nuove unità,

Britannia Superior e Britannia Inferior.

Nel III secolo vi furono momenti di grave crisi: negli ultimi decenni

emersero figure di usurpatori come Carausio e Allecto, ma la provincia si

mantenne sostanzialmente prospera. Diocleziano, dopo la sconfitta di Carausio

da parte di Costanzo Cloro nel 296, frazionò ulteriormente la provincia: la

Britannia Superior venne suddivisa in Britannia I e Maxima Caesariensis,

mentre la Britannia Inferior in Britannia II e Flavia Caesariensis (con

l’aggiunta della Valentia nel 369) facenti parte della diocesi della Britannia.

Nel IV secolo, sotto gli intensificati attacchi di Franchi, Pitti, Sassoni e

Scoti, la crisi della provincia cominciò ad aggravarsi fino alla drammatica

decisione dell’imperatore Onorio nel 410: l’abbandono delle truppe romane

dell’isola.

I.3 La Britannia post-romana (Fig.3)

Nel 407 le truppe, ancora restanti della guarnigione britannica, elessero

al trono imperiale l'usurpatore Costantino III. Questi si spostò, con tutte le

forze ancora disponibili nell'isola, al di là della Manica per fronteggiare

l'esercito inviatogli contro dall’imperatore d’Occidente Onorio, dal quale

venne sconfitto e ucciso nel 411. Dopo la partenza delle ultime guarnigioni

sembra che fossero gli stessi abitanti ad assicurare la difesa del territorio dalle

10

incursioni sassoni e il rescritto di Onorio, citato da Zosimo, se si riferisce alla

Britannia, confermerebbe questo stato di fatto16

.

Progressivamente si sostituirono ai funzionari e alle istituzioni romane

dei potentati locali di tipo feudale. Combattimenti tra diversi gruppi sono stati

interpretati come contrasti tra favorevoli o contrari all'indipendenza dall'impero

romano, ovvero tra seguaci della Chiesa romana e del pelagianesimo o, ancora,

come conflitti sociali tra contadini e proprietari terrieri legati all'élite urbana.

La vita quotidiana dovette comunque continuare pressoché invariata nelle

campagne e declinare nelle città, come sembra potersi constatare nel resoconto

della visita in Britannia di san Germano d'Auxerre17

.

Secondo Beda, che data l’avvenimento intorno al 446, il re Vortigen

avrebbe deciso di far arrivare dei mercenari sassoni a difesa dalle incursioni dei

barbari come foederati, secondo l'uso romano, stanziandoli "nella parte

orientale dell'isola"18

. In seguito, i Sassoni, accresciuti di numero da altri arrivi,

si sarebbero ribellati e si sarebbero dati al saccheggio. Sarebbero stati, quindi,

combattuti dal britanno-romano Ambrosio Aureliano, forse base storica per la

figura del re Artù e al quale è attribuita, da alcune, fonti la vittoria del monte

Badon19

, intorno all'anno 50020

.

L'avanzata sassone venne arrestata e i Britanni restarono in possesso del

Galles e della parte dell'Inghilterra ad ovest della linea che congiunge York e

Bournemouth, mentre i Sassoni controllarono il Northumberland, l'Anglia

orientale e la parte sud-orientale dell'Inghilterra. Gildas cita altri governanti

16

Thompson 1984, pp.303-18. 17

Costanzo, Vita sancti Germani, III (ed. Borius p.112) 18

Beda, HEA, I, XIV, 28-34 (ed. Lapidge, I p.67). 19

Beda, HEA , XVI, 6-12 (ed. Lapidge, I p.73); l’episodio di Ambrogio Aureliano e dell’assedio del Mons

Badonicus è ripreso da Beda direttamente da Gildas, De excidio Britanniae, 24. Sono state avanzate molte

proposte di identificazione per questa località (cfr. Wood in Lapidge-Dumville 1984, p.23). 20

Gildas afferma che la battaglia si sarebbe svolta "44 anni e un mese fa, nell'anno della mia nascita", quando si

può pensare che egli stese la sua opera nel 547 o prima. E questo porterebbe a datare lo scontro al 503 o poco

prima. Beda, estrapolando dal contesto le affermazioni di Gildas, ritiene la battaglia si svolse 44 anni dopo

l'arrivo degli Anglosassoni in Britannia (circa 449) e ciò porterebbe a datare lo scontro al 493 (per altri al 491).

Tale datazione è totalmente priva di qualsiasi consistenza storica. (cfr. Miller in “BBCS” XXIV, 1974-1976,

pp.169-174) .

11

britanni: Costantino di Dumnonia, Aurelio Canino, Vortipor della Demetia,

Cuneglasso e Maglocuno.

L'endemica tensione e le lotte violente di questo periodo, a cui alludono

tutte le fonti scritte, e il declino della produzione, riscontrabile nei dati

archeologici, dovettero tuttavia comportare una diminuzione della popolazione.

I dati forniti dalla dendrocronologia sembrano inoltre attestare che si ebbe un

periodo di clima più freddo e umido intorno al 54021

, che dovette contribuire al

calo della produzione agricola. Ad aggravare la situazione si aggiunse l'arrivo

nelle isole britanniche della “peste di Giustiniano” alla fine del VI secolo: non

è chiaro se questa epidemia fosse di peste bubbonica, la stessa che colpì

l'Europa nel XIV secolo, ma gli effetti sociali e culturali furono simili. Tale

morbo potrebbe aver avuto origine dall'Etiopia o dall'Egitto e essersi diffusa

verso nord fino a Costantinopoli, considerati anche i notevoli flussi di generi

alimentari, soprattutto grano, che provenivano dal nord-Africa. L’arrivo ai

porti britannici deve essere dovuta alle navi dei mercanti bizantini22

. La peste

influenzò anche la Guerra gotica (535-553), dando agli Ostrogoti la possibilità

di rafforzarsi durante la crisi degli avversari.

La battaglia di Dyrham, combattuta nel 577 tra il re sassone Ceawlin del

Wessex e i Britanni, avrebbe portato all'occupazione sassone di Cirencester

(Corinium), di Gloucester (Glevum) e di Bath (Aquae Sulis) e viene

considerata, non senza discussioni, l'episodio che portò alla separazione dei

Britanni del Galles da quelli del Devon e della Cornovaglia.

La data convenzionalmente, scelta dagli studiosi per la fine di questo

periodo, è il 597, anno in cui arriva sull’isola il monaco Agostino, primo

arcivescovo di Canterbury. Tale datazione, utilizzata per la parte finale del

periodo è arbitraria, perché la cultura postromana continuò nell'Inghilterra

occidentale e nel Galles.

21

Davey 2004, p.50. 22

Maddicott 1997, p.2.

12

I.4 Il regno di Northumbria (Fig.4)

La Northumbria fu in origine composta dai regni indipendenti della

Bernicia e della Deira, unificati da Aethelfrith, un sovrano della Bernicia, che

conquistò la Deira intorno al 60423

. Egli fu sconfitto e ucciso intorno al 616 in

una battaglia presso il fiume Idle da re Raedwald dell'Anglia orientale, che

mise sul trono Edwin, figlio del precedente re della Deira, Aella24

.

Edwin, convertitosi al Cristianesimo nel 627, divenne presto il più

potente re d'Inghilterra: venne riconosciuto come bretwalda25

e conquistò il

Rheged, l'Isola di Man e il regno di Gwynedd, nel Galles settentrionale. Sotto

tale sovrano il regno raggiunse la sua massima potenza ed estensione

(dall’Humber al Firth of Forth, includendo anche Edimburgo). Edwin fu

sconfitto da un'alleanza tra il re in esilio di Gwynedd, Cadwallon ap Cadfan, e

Penda, re della Mercia, nella battaglia di Hatfield Chase nel 63326

.

Dopo la morte di Edwin, il regno di Northumbria si divise nella Bernicia,

dove prese il potere Eanfrith27

, uno dei figli di Aethelfrith, e nella Deira, dove

divenne re un cugino di Edwin, Osric28

. Entrambi furono uccisi l'anno

seguente, nel corso della devastante invasione della Northumbria, condotta da

Cadwallon, re di Gwynedd. Dopo l'assassinio di Eanfrith, suo fratello Oswald,

23

Beda, HEA, I, XXIV, 15-21 (ed. Lapidge, I, pp.95-97). 24

Beda, HEA, II, XII, 95-103 (ed. Lapidge, I, p.241). 25

Il termine deriva dall'anglosassone bretanwealda, "signore di Britannia", riferendosi alle pretese di signoria

dei re sassoni sui Britanni. 26

Beda, HEA, II, XX, 9 (ed. Lapidge, I, p.269). 27

Beda, HEA, III, I, 5-8 (ed. Lapidge, II p.13). 28

Beda, HEA, III, I, 1-5 (ed. Lapidge, II p.13).

13

sostenuto da un contingente di Scoti inviato da re Domnal di Dal Riada,

sconfisse e uccise Cadwallon nella battaglia di Heavenfield del 63429

.

Re Oswald reintrodusse il Cristianesimo nel regno, affidando l'incarico

di convertire il suo popolo ad Aidan, un monaco irlandese originario dell'isola

scozzese di Iona. Ciò portò all'introduzione del cristianesimo celtico, in

contrapposizione al cristianesimo romano. A Lindisfarne fu fondato un

monastero, probabilmente sul modello di quello dell'isola di Iona.

La guerra contro la Mercia continuò: nel 642, Oswald fu ucciso dai

Merciani guidati da Penda nella battaglia di Maserfield. Nel 655 Penda lanciò

una massiccia invasione della Northumbria, aiutato dal sovrano vassallo della

Deira, Aethelwald, ma subì una pesante sconfitta per mano di un esercito meno

numeroso, guidato dal successore di Oswald, Oswiu, sul fiume Winwaed30

.

Questa battaglia segnò una svolta nelle sorti della Northumbria: Penda morì in

battaglia e Oswiu ottenne il controllo della Mercia, divenendo così il re più

potente d'Inghilterra.

Nell'anno 664 si tenne un grande sinodo a Whitby per discutere il

calendario delle celebrazioni pasquali. Erano infatti sorte parecchie divergenze

tra le pratiche della Chiesa celtica di Northumbria e i precetti della Chiesa di

Roma. Alla fine, la Northumbria fu persuasa a passare al Cattolicesimo, e il

vescovo Colman di Lindisfarne fece ritorno a Iona31

.

La Northumbria perse il controllo della Mercia verso la fine degli anni

'50 del VII secolo, a seguito di una rivolta guidata dal figlio di Penda, Wulfhere

re di Mercia. Ciononostante, la Northumbria riuscì a mantenere la sua

posizione di dominio fino a quando non subì una disastrosa sconfitta per mano

dei Pitti nella Battaglia di Nechtansmere del 685; il re di Northumbria,

Ecgfrith, figlio di Oswiu, fu ucciso, e il potere che il regno esercitava a nord fu

gravemente indebolito32

. Durante il periodo di pace che caratterizzò il suo

29

Beda, HEA, III, I, 36-37 ed. Lapidge, II p.15). 30

Beda, HEA III, XXIV, 17-35 (ed. Lapidge, II p.113). 31

Beda, HEA , III, XXV (ed. Lapidge, II pp.119-121). 32

Beda, HEA, IV, XXIV, 10-23 (ed. Lapidge, II p.293).

14

regno, Aldfrith33

, fratellastro e successore di Ecgfrith, riuscì a limitare i danni

subiti, ma è da questo momento in poi che il potere della Northumbria

cominciò a declinare, e un periodo di cronica instabilità seguì la morte di

Aldfrith, avvenuta nel 70434

.

Le invasioni vichinghe e scozzesi ridussero ulteriormente la

Northumbria a una contea, stretta tra i fiumi Tees e Tweed, ed essa rimase per

lungo tempo in una zona contesa tra i nascenti stati nazionali di Inghilterra e

Scozia. I conti di Northumbria mantennero un certo grado di indipendenza, ma

ci furono lunghi periodi di lotta per il controllo della contea.

33

Beda, HEA, 47 (ed. Lapidge, II p.295). 34

Kirby 2000, p. 145.

15

II. LA CRISTIANIZZAZIONE

II.1 La nascita del Cristianesimo in Britannia

Per quanto riguarda l’arrivo del Cristianesimo in Britannia, le notizie

non sono precise: Tertulliano35

e Origene attestano la presenza di cristiani

nell’isola nel III secolo, anche se Origene precisa che il loro numero era molto

esiguo. Beda36

dà notizia di un rex Britanniarum di nome Lucio il quale,

durante il regno di Marco Aurelio, avrebbe inviato un lettera a papa Eleuterio

chiedendo di poter divenire cristiano; grazie a questa concessione, tutti i

Britanni aderirono alla fede cristiana. Il monaco, però, riferisce due errori già

presenti nei documenti che consultò per il suo racconto: la data dell’invio,

ripresa da Orosio37

, è un improbabile 911 ab Urbe condita, ovvero il 156, data

nella quale l’imperatore regnante era ancora Antonino Pio; il secondo errore è

il genitivo Bittaniarum, presente nel Liber Pontificalis38

, dal quale Beda ricava

l’intero episodio: il Lucius rex Britannius del Liber altro non sarebbe che Lucio

re di Edessa in Siria (179-216, confermando almeno che la lettera fu inviata

35

Tertulliano, Adversus Iudaeos, VII. 36

Beda, HEA I, IV (ed. Lapidge, I, p.37). 37

Orosio, Historiae adversos paganos, VII 15, I . 38

Liber Pontificalis (ed. critica e traduzione di L.R.Loomis, Columbia University Press 1916, p.16).

16

durante il regno di Marco Aurelio) e Britannia è un errore per Britium (Birtha

Edissenorum), centro non distante da tale città39

.

Alla fine dell’ VIII secolo, l’arcivescovo di Magonza Rabano Mauro

riporta, nella sua Vita di Maria Maddalena40

, un racconto secondo il quale,

accompagnando in Francia le sorelle di Lazzaro, Giuseppe d’Arimatea avrebbe

proseguito poi fino alle isole britanniche, evangelizzandole intorno al 60.

Il primo martire della chiesa britanna di cui si ha notizia risale al regno

di Settimio Severo, anche se le notizie in nostro possesso non concordano fra

loro41

: Albano, un pagano convertito, decise di salvare un chierico che da lui si

era nascosto a causa delle persecuzioni, prendendone il posto42

. Il martirio

avvenne per decapitazione nella città di Verolamium (oggi St Albans, a nord-

ovest di Londra) e nella città venne innalzata, al principio del IV secolo, una

chiesa, i cui scavi hanno riportato in luce l’altare posto in corrispondenza del

luogo del martirio43

. Grazie a Gildas, si ha notizia di altri due martiri chiamati

Aronne e Giulio, morti durante la persecuzione dioclezianea ad Vrbs Legionum

(oggi Caerleon, nel Monmouthshire) 44

.

39 Colgrave-Mynors 1969, p.24 n.2.

40 Rabano Mauro, Vita della beata Maria Maddalena e di sua sorella santa Marta, a cura di A.

Azzolini (ed. Iannone 2006). 41

E’ la Passio Albani, scritta tra il V e il VI secolo, a datare il martirio a quest’epoca (ed. Sharpe

2001). Beda e Gildas, nel De Excidio Britanniae, riprendono una seconda redazione della Passio,

ponendo l’episodio alla persecuzione di Diocleziano. 42

Beda, HEA I, VII, 16-19 (ed. Lapidge, I p.43). 43

Biddle 1986 p.1-31. 44

Gildas, De Excidio Britanniae, I-X.

17

II.2 Lo sviluppo della Chiesa britanna nel V e VI secolo

Con la Pace della Chiesa, la Chiesa britanna sembra accrescere la sua

importanza: al Concilio di Arles del 314 partecipano ben tre vescovi, i quali

diedero la loro approvazione, oltre che ad altre questioni dottrinali, alla

datazione romana della Pasqua45

; tuttavia la Chiesa britanna non seguì questa

decisione.

L’eresia di Pelagio, presbitero romano-britanno, rappresenta per Beda

una grave minaccia per la chiesa britanna della fine del V secolo: il figlio del

presbitero pelagiano Severino, Agricola, avrebbe diffuso l’eresia per tutta

l’isola. Il popolo, non riuscendo a contrastare l’espansione di tale dottrina,

chiede aiuto ai vescovi della Gallia.

Il Pelagianesimo riguardava soprattutto la questione della grazia e del

peccato: secondo il presbitero, il peccato di Adamo non si era trasmesso a tutta

l’umanità, ma aveva riguardato solamente lui e non poteva pesare sul destino

degli uomini venuti dopo. Ogni anima è creata direttamente da Dio, per ciascun

uomo, all’atto della sua nascita, ed è pura e libera, quindi ogni uomo deve

salvarsi con le proprie forze; Dio concede la grazia di conoscere ciò che è il

bene, ma lascia liberi di seguirlo o di rifiutarlo, e la salvezza si ottiene pertanto

in ricompensa di una vita virtuosa46

.

45

Pelagio, Lettera a Demetriade, 2-10. 46

Beda, HEA, I, XVII, 1-16 (ed. Lapidge I p.75).

18

All'accorato appello rispondono Germano di Auxerre e Lupo di Troyes, i

quali intraprendono un viaggio verso le coste britanniche intorno al 42947

.

Non è chiaro in che misura la dottrina pelagiana sia stata davvero una

minaccia per la Chiesa romano-britanna (essa non è, ad esempio, mai

menzionata da Gildas) né per quale motivo Beda si scagli così violentemente

contro di essa (si veda come egli presenta la visita di Germano).

Le difficoltà nelle comunicazioni, sorte dopo il crollo dell'impero

romano d'Occidente, isolarono le chiese locali -in particolare della Britannia- e

resero inevitabile il sorgere di differenze nelle pratiche religiose, nella dottrina

e nell'amministrazione delle diocesi48

: il metodo per calcolare la data della

Pasqua che veniva celebrata all'equinozio di primavera; il metodo della

tonsura, praticato dai monaci: nel cristianesimo celtico si radeva la fronte da un

orecchio all'altro, ma si accettò in seguito di radere la corona al centro della

testa49

.

L'autorità dei vescovi era generalmente attribuita agli abati o

alle badesse dei monasteri, ovvero a persone che non necessariamente avevano

l'ordine sacerdotale. In seguito, gli abati furono eletti vescovi delle diocesi,

come sostiene Hughes50

, ma questa visione delle cose è suggerita da un passo

della Historia ecclesiastica che, come altrove, fraintende e mal rappresenta le

caratteristiche della chiesa irlandese antica: l’autorità delle paruchie

monastiche si estendeva solamente al controllo dei beni materiali, mentre

qualsiasi questione di governo pastorale rimaneva di esclusiva pertinenza dei

vescovi51

.

Il battesimo era celebrato quattro volte l'anno, ma in seguito si praticò il

battesimo dei bambini entro gli otto giorni dalla nascita.

48

Augé 1992. 49

Duncan 1995, p.56. 50

Hughes 1966, p. 79. 51

Beda, HEA, III, IV, 35-36 (ed. Lapidge II p.27).

19

La confessione personale privata fu introdotta nel cristianesimo celtico,

sconosciuta altrove prima del VI secolo, mentre la Chiesa romana richiedeva

una penitenza pubblica52

.

Secondo la Chiesa romana, essa era alimentata dal sangue dei martiri,

mentre la Chiesa celtica non aveva "né martiri, né autorità": per questo motivo

Roma inviò in dono numerose reliquie.

Nonostante l’influenza della vicina Irlanda, anche personalità autoctone

intrapresero l’attività missionaria: il vescovo britanno Nynian, deciso a

evangelizzare i Pitti meridionali, pose la sua sede episcopale in un luogo

denominato Ad Candidam Casam (odierna Whithorn)53

a causa della calce

bianca usata per ricoprire all’interno ed all’esterno le murature54

.

Nel 563 il monaco Colomba, esiliato dalla nativa Irlanda, fondò

un monastero con 12 compagni a Iona, un’isola nelle vicinanze delle coste

scozzesi55

. Da questo luogo essi iniziarono la conversione al Cristianesimo dei

Pitti settentrionali e di gran parte dell'Inghilterra settentrionale.

Papa Gregorio Magno, con lo scopo di convertire gli Angli alla fede

romana, decide nel 597 di inviare, nei loro territori, una missione di monaci del

monastero di Sant’Andrea al Celio, capeggiata dal priore dello stesso

monastero, Agostino56

.

Dopo aver avuto successo nella regione del Kent, la missione gregoriana

prosegue verso i regni settentrionali dell’isola: Agostino, divenuto nel

frattempo arcivescovo di Canterbury, convoca un sinodo di vescovi britanni

per “convincerli ad intraprendere insieme, in nome del Signore,

l’evangelizzazione dei popoli, ponendo fine alle controversie religiose con

l’adesione alle regole della chiesa cattolica”57

. L’incontro avvenne in due tempi

52

Lo status di penitente era pubblico, non era pubblica l'accusa dei peccati che avveniva privatamente

davanti al solo vescovo (Vogel 2006 Penitenza (s.v.), in NDPAC pp.4013-4017, vol.III) 53

Beda, HEA, III, IV, 10-16 (ed. Lapidge II p.25). 54

Thomas 1981, pp. 275-279. 55

Beda, HEA, III, IV, 19-27 (ed. Lapidge II p.25). 56

Beda, HEA, I, XXIII (ed. Lapidge I pp.93-97). 57

Beda, HEA, II, II, 6-8 (ed. Lapidge I p.181).

20

in un luogo ricordato come “Quercia di Agostino”58

, il cui sito è sconosciuto,

anche se si sono fatte diverse ipotesi59

, e l’esito dell’assemblea fu negativo: i

vescovi britanni rifiutarono categoricamente di abbandonare le loro tradizioni e

di aiutare i monaci di Agostino60

.

II.3 Il Cristianesimo e il regno di Northumbria

L’evento che permise l’introduzione della fede in Cristo nel territorio dei

Northumbri fu di natura “matrimoniale”: il re Edwin, avendo deciso di

prendere in sposa Æthelburg, figlia del re del Kent Æthelberht, inviò

ambasciatori al fratello di lei Eadbald, il quale rispose che non era lecito per

una fanciulla cristiana andare in sposa ad un pagano. Re Edwin allora promise

che non avrebbe fatto nulla di sconveniente per la fede della fanciulla e che

avrebbe permesso di conservare a lei e al suo seguito tutte le pratiche religiose

cristiane, non escludendo di convertirsi lui stesso alla fede cristiana, ma

soltanto dopo un esame accurato condotto dai suoi saggi61

.

Nel 625 fu ordinato vescovo Paolino di York, col compito di

accompagnare la promessa sposa in Northumbria e di convincere il re ad

aderire alla fede cristiana; tale adesione avvenne due anni dopo l’arrivo di

Paolino: Edwin venne battezzato in una chiesa di legno dedicata a San Pietro,

58

Beda, HEA, II, II, 4 (ed. Lapidge I p.181). 59

Plummer 1896, p.74; Eagles 2003, pp.175-178. 60

Beda, HEA, II, II, 61-70 (ed. Lapidge I p.185). 61

Beda, HEA II, IX, 14-29 (ed. Lapidge I pp.215-217).

21

fatta costruire in gran fretta per l’occasione, nei pressi di York62

. Anche il

popolo abbracciò il cristianesimo con un entusiasmo tale che Paolino, giunto

con la famiglia reale nella residenza di Ad Gefrin, “dovette fermarsi lì per

trentasei giorni, impegnato a catechizzare e battezzare”63

.

Nel 633, a causa della morte di Edwin nella battaglia di Hatfield Chase,

Paolino dovette fuggire nel Kent, il che segnò la fine della missione gregoriana

nella Northumbria. La crisi politica che seguì la scomparsa di Edwin investì

anche la sfera religiosa: i successori del re nei due regni di Bernicia e Deira

abbandonarono la fede cristiana per ritornare ai culti antichi.

Il re di Bernicia Oswald, salito al trono nel 634 dopo essere stato in

esilio presso il monastero di Iona, e lì aveva ricevuto il battesimo, riunificò il

regno di Northumbria e volle riportare il suo popolo alla fede cristiana; per

attuare questo suo proposito chiese all’abate di Iona di inviare un vescovo: la

decisione di Oswald farsi aiutare dai missionari della Chiesa irlandese piuttosto

che alla Chiesa romana in Britannia, porterà all’introduzione del cristianesimo

celtico nella regione.

All’inizio, fu inviato un vescovo, denominato dalle fonti più tarde

Corman64

, il quale, però, tornò a Iona dicendo che la Northumbria non poteva

essere convertita, perché i suoi abitanti erano troppo ostinati65

. Al suo posto

venne inviato Aidan, che scelse come centro della missione di

evangelizzazione e come sede del suo episcopato l’isola di Lindisfarne66

: la

scelta di Aidan potrebbe essere spiegata dalla vicinanza alla residenza del re a

Bamburgh (dalla città l’isola dista solamente 2 chilometri ed è unita, da una

striscia di terra, alla costa nei momenti di bassa marea).

Alla morte di Aidan gli successe come vescovo Finàn, anche lui

proveniente da Iona, nel 651. Con lui si apre la controversia liturgica del

62 Beda, HEA II, XIV, 1-8 (ed. Lapidge, I, pp.247-249).

63 Beda, HEA, II, XIV, 28-33 (ed. Lapidge, I, pp.249-251).

64 Lo storico scozzese Hector Boece, morto nel 1536, riporta tale nome. Non vi è modo di sapere quale

fosse la fonte da cui Boece traeva questa notizia, ammesso che non si tratti di pura invenzione;

Colgrave 1969, p.229 n. 2. 65

Beda, HEA, III, V, 40-47 (ed. Lapidge, II, p.31). 66

Beda, HEA, III, III, 22-26 (ed. Lapidge, II, pp.21-23).

22

computo pasquale ed altre pratiche ecclesiastiche che si inaspriranno con il suo

successore Colmàn e che porteranno al sinodo generale di Whitby del 664.

La disputa ebbe origine dal fatto che all’interno della corte del re Oswiu,

successore e fratello di Oswald, erano in vigore due diverse procedure per il

computo della Pasqua: una seguita da Oswiu stesso, che l’aveva appresa dai

monaci di Iona durante il suo esilio e che era praticata dagli ecclesiastici della

Northumbria di origine irlandese, sostenuta dal vescovo Colmàn e dalla

badessa di Whitby Hild, l’altra seguita dalla regina Eanflæd e dal suo

cappellano che l’aveva appresa a Canterbury, praticata dal figlio di Oswiu

Alhfrith e da Wilfrid di York.

Il risultato dell’impiego di due metodi differenti era spesso sconcertante:

nel decennio precedente al 664, ad esempio, i computi avevano portato a una

coincidenza di data soltanto quattro volte (negli anni 655, 656, 659 e nel 662),

mentre negli altri anni la data era stata poco o molto diversa: una discrepanza

particolarmente appariscente si verificò nell’anno 658, quando la Pasqua era

caduta il 22 aprile secondo il metodo irlandese, il 25 marzo secondo quello

romano67

.

Queste discrepanze derivano dal fatto che gli Irlandesi seguivano un

metodo di calcolo antico, attestato dal IV secolo: il giorno di Pasqua, come per

la religione ebraica, veniva calcolato seguendo l’anno lunare; per poter

collegare l’anno solare e quello lunare si decise che ogni ottantaquattro anni si

aggiungessero trentuno mesi lunari. Poiché un ciclo di ottantaquattro anni era

scomodo in quanto troppo lungo, nel VI secolo si trovò conveniente adottare

un ciclo di diciannove anni, costituito da una combinazione di un ciclo di otto

anni con l’aggiunta di tre mesi lunari e un ciclo di undici anni con l’aggiunta di

quattro mesi lunari68

.

Naturalmente è poco probabile che re Oswiu e la sua corte abbiano

compreso i procedimenti riguardanti il calcolo della Pasqua, che

67

Holford-Stevens 2005, p.50. 68

Holford-Stevens 2005, pp.41-51.

23

presupponevano conoscenze specialistiche e non è possibile sapere se al sinodo

di Whitby si sia davvero discusso degli aspetti tecnici del problema; Beda,

comunque, nel suo resoconto non fa cenno ad una simile discussione, mentre in

un punto successivo della sua opera69

espone i vari argomenti tecnici e la loro

giustificazione teologica.

Il pronunciamento del sinodo in favore del metodo romano si basò su

argomenti che possono essere definiti speciosi: questo metodo era seguito

dall’uomo che era considerato il successore di Pietro, e se Pietro deteneva le

chiavi del regno dei cieli era necessario che tutti quelli che volevano entrare in

quel regno seguissero il metodo romano70

. La decisione di Oswiu avrà tenuto

conto anche di considerazioni politiche71

. Beda aggiunge, come postilla, che al

sinodo venne discussa anche la questione della tonsura monastica, la cui

differenza fra l’uso irlandese e quello romano è stata descritta in precedenza72

.

In seguito alla sconfitta di Colmàn e del partito irlandese, Alhfrith, con il

consenso del padre Oswiu, mandò Wilfrid a Parigi per farlo consacrare

vescovo, poiché la sede arcivescovile di Canterbury era vacante, con

l’intenzione di nominarlo vescovo di Lindisfarne al posto del dimissionario

Colmàn73

: quello che avvenne nella Chiesa northumbra in tale circostanza non

è del tutto chiaro, probabilmente perché Beda non aveva conoscenza di tutti gli

eventi.

Mentre Wilfrid si trovava in Gallia (fra la fine del 664 e il 666), Alhfrith

si era ribellato ad Oswiu ed era stato ucciso74

. Dopo la ribellione Oswiu aveva

preso la decisione di nominare un vescovo nella sede di York, che era vacante

dalle dimissioni di Paolino, avvenute nel 633, e la sua scelta era ricaduta su

uno dei discepoli di Aidan di nome Ceadda, anche lui costretto a farsi

69

Beda, HEA, V, XXI (ed. Lapidge, II, pp.431-461). 70

Beda, HEA, III, XXV, 223-240 (ed. Lapidge, II, pp.133-135). 71

Abels 1983, pp.1-25. 72

Cfr. supra p.4. 73

Stefano di Ripon, Vita sancti Wilfridi, 11 (ed. Colgrave, p.24); Beda, HEA, V, XIX, 114-120 (ed.

Lapidge, II, p.419). 74

Beda, HEA, III, XIV, 5 (ed. Lapidge II p.65).

24

consacrare altrove, nella fattispecie nel Wessex75

, nell’anno 666; tre anni dopo

fu deposto dalla sede di York e Wilfrid, che nel frattempo era tornato dalla

Gallia e aveva occupato la sede di Lindisfarne, anche se per lo più risiedeva a

Ripon, rimase unico vescovo in Northumbria.

Da Roma venne inviato da papa Vitaliano come un nuovo arcivescovo di

Canterbury Teodoro di Tarso, monaco del monastero ad aquas Salvias sulla

via Ostiense. Teodoro era un grande teologo, tanto da aver partecipato e

ratificato gli Acta del Concilio Lateranense del 649 sulla controversia

monotelita, che ebbero gravi conseguenze per papa Martino, avendo convocato

l’assemblea conciliare. Essa aveva condannato tale dottrina: l’imperatore

d’Oriente Costante II fece arrestare Martino, lo processò a Costantinopoli e lo

condannò a morte per tradimento, pena poi commutata in esilio sul Mar Nero76

.

Il Monotelismo (da μόνος, “uno solo”, e θέλειν, “volontà”) è una

dottrina consistente nell’affermazione che in Cristo esiste un’unica volontà o

un’unica operatività o energia (monoenergismo)77

: se Cristo avesse avuto una

libera volontà umana, distinta da quella divina, egli avrebbe potuto anche

ribellarsi a quest’ultima e dunque anche peccare, evenienza esclusa

dall'abituale fede e anche dai concili di Efeso e di Costantinopoli II, i quali

stabilirono che Cristo non peccò mai ed era immune da passioni e inclinazioni

cattive e pertanto in Cristo non vi furono mai contrasti di volontà.

Sembrerebbe, dunque, che in Cristo vi fosse sempre stata un’unica volontà

effettiva. Che tutti gli atti, umani e divini, si attribuiscano all’unica persona di

Cristo, dovrebbe voler dire che unico è il principio di tali atti, unica è l’energia

operante. D’altra parte, la mancanza di peccato in Cristo poteva essere

conseguenza di una mancanza di volontà umana e della presenza in lui di una

sola volontà divina78

.

75

Beda, HEA, III, XXVIII (ed. Lapidge II pp.145-149). 76

Ostrogorsky 1993, p.104-105. 77

Simonetti 2006 Monoenergismo (s.v.), in NDPAC pp.3340-3341, vol.II. 78

Ostrogorsky 1993, p.95-96.

25

Nel 670 la regina Æthelthryth donò a Wilfrid un terreno su un

promontorio sopra il fiume Tyne, sul quale venne fondata la chiesa monastica

di Hexham79

.

Dopo aver visitato tutte le chiese di Britannia, Teodoro, nel 673, decise

di convocare un sinodo di vescovi a Hertford per risolvere le differenze di rito

all’interno della Chiesa britanna; accolsero l’invito quattro vescovi: Bisi

dell’East Anglia, Putta di Rochester, Leuthere dei Sassoni Occidentali e

Wynfrith di Mercia, mente Wilfrid di Northumbri venne rappresentato da suoi

delegati80

. Teodoro propose ai vescovi presenti dieci disposizioni, basate sui

canoni dei concili ecumenici, riguardanti la conferma del metodo romano del

computo pasquale, la giurisdizione dei vescovi, l’indipendenza dei monasteri

dal vescovo, la libertà di spostamento di monaci e chierici e il matrimonio81

.

L’arcivescovo Teodoro continuò la propria politica ecclesiastica,

soprattutto quella di dividere i vescovati troppo grandi per crearne un numero

maggiore, ma di estensione più limitata: la conseguenza più rilevante di tale

linea fu la deposizione di Wilfrid dalla sua sede episcopale da parte del re

Ecfrith nel 67882

. Wilfrid intraprese un viaggio verso Roma per tentare di

essere reintegrato da papa Agatone e vi giunse nel 67983

.

Nello stesso anno si riunì nella pianura di Hatfield, per volere di Teodoro

un nuovo sinodo per discutere gli Acta del Concilio Laterano del 649 e per

ottenere l’adesione ad essi da parte degli Angli84

: l’imperatore Costantino IV

era ansioso di raggiungere un compromesso con il papa e le Chiese occidentali

sulla questione monotelita. Nell’agosto del 678 l’imperatore inviò un sakra

(proposta) a papa Dono, dichiarando la possibilità di aprire una discussione per

risolvere pacificamente la controversia. Dono morì prima che la proposta gli

giungesse; il suo successore Agatone stabilì di consultare le Chiese occidentali

79

BEASE 1999, p.237. 80

Beda, HEA, IV, V, 17-27 (ed. Lapidge, II, p.191). 81

Beda, HEA, IV, V 45-86 (ed. Lapidge, II, pp.193-195). 82

Beda, HEA IV, XII, 34-35 (ed. Lapidge, II, p.219). 83

Beda, HEA, IV, XIII, 2 (ed. Lapidge, II, p.221). 84

Beda, HEA, IV, XV, 4-5 (ed. Lapidge, II p.237).

26

per assicurarsi il loro appoggio alla posizione papale della volontà duale, già

certificata nel 64985

. Per questa ragione fu inviato in Inghilterra l’arcicantore di

San Pietro Giovanni con l’incarico di conoscere la posizione della Chiesa

inglese86

.

La situazione episcopale della Northumbria dopo l’allontanamento di

Wilfrid divenne più eterogenea con la nomina di tre vescovi per le sedi di

York, Hexham e Lindisfarne. Nel 680 Wilfrid tornò in Northumbria recando

con sé i documenti papali a favore del suo reintegro da mostrare al re Ecgfrith;

il sovrano non li prese in considerazione e gettò Wilfrid in prigione per nove

mesi87

. Egli poi venne rilasciato e si recò presso i Sassoni Meridionali, dai

quali giunse probabilmente nel 681 e restò nel Sussex per quattro anni, fino

alla morte di Ecgfrith, dopo la quale ebbe l’opportunità di essere reintegrato

nella sua sede episcopale88

.

Nel 685 avvenne la riconciliazione con l’arcivescovo Teodoro, cosa che

permise a Wilfrid di riprendere possesso dei monasteri di Ripon ed Hexham e

della sede episcopale di Lindisfarne, dove il suo incarico durò per circa un

anno89

: non è chiaro per quale ragione tale nomina abbia avuto un così breve

periodo; forse perché egli non era più interessato a rivestire un incarico in una

località così distante dai suoi possedimenti ad Hexham e Ripon.

Il vescovato di Wilfrid continuò ad essere travagliato: egli fu condotto

davanti al re Aldfrith, nel 692, accusato e nuovamente espulso; le cause di

questa espulsione hanno le radici nell’insoddisfazione da parte del vescovo

northumbriano per il mutato assetto che l’arcivescovo Teodoro aveva dato alla

Chiesa di Northumbria, dove per altro l’episcopato era stato diviso90

.

Qualche anno dopo, nel 702 o nel 703, l’arcivescovo Berthwald convocò

un sinodo in una località chiamata Ouestraefelda. In tale sinodo fu stabilito che

85

Ostrogorsky 1993, p.111. 86

Beda, HEA, IV, XVI, 40-44 (ed. Lapidge, II, pp.243-245). 87

Stefano di Ripon, Vita sancti Wilfridi, 34-39 (ed. Colgrave pp.70-78). 88

Beda, HEA, IV, XIII, 66-68 (ed. Lapidge, II, pp.225-226). 89

Beda, HEA V, XIX, 156-160 (ed. Lapidge, II, p.421). 90

Stefano di Ripon, Vita sancti Wilfridi, 44 (ed. Colgrave pp.90-92).

27

Wilfrid fosse privato di tutte le sue proprietà in Northumbria, con la sola

eccezione della chiesa di San Pietro a Ripon, dalla quale non gli era permesso

di muoversi91

; ma contravvenendo a tali disposizioni, Wilfrid si recò in Mercia,

sotto la protezione del re Æthelred92

, il che provocò la scomunica sua e dei suoi

seguaci93

. A questo punto Wilfrid, per la seconda volta dall’anno 679, decise di

appellarsi nuovamente a Roma, chiamando in causa a sostegno della sua

posizione l’appoggio che gli era stato dato da papa Agatone nel 679 e

ricordando, come grande onore che gli era stato attribuito, la propria

partecipazione al sinodo convocato nel 680 per risolvere la controversia

monotelita94

.

Al suo ritorno, sulle coste britanniche, con una lettera papale, Wilfrid

incontrò nel Kent, nel 705, l’arcivescovo Berthwald, il quale promise che

avrebbe mitigato la dura sentenza pronunciata al sinodo di Ouestraefelda. La

ritrattazione formale della scomunica e la restituzione delle sue proprietà

avvennero l’anno seguente in un sinodo riunito presso il fiume Nidd,

presieduto da Berthwald ed altri tre prelati della Northumbria: la deliberazione

sinodale reintegrava Wilfrid nella sede episcopale di Hexham ed anche i

monasteri di Ripon ed Hexham, con le rendite ad essi connesse95

, fino alla sua

morte sopraggiunta quattro anni più tardi.

91

Stefano di Ripon, Vita sancti Wilfridi, 47 (ed. Colgrave pp.95-96). 92

Stefano di Ripon, Vita sancti Wilfridi, 48 (ed. Colgrave pp.97). 93

Stefano di Ripon, Vita sancti Wilfridi, 49 (ed. Colgrave pp.97-98). 94

Stefano di Ripon, Vita sancti Wilfridi, 53 (ed. Colgrave pp.108-114). 95

Stefano di Ripon, Vita sancti Wilfridi, 60 (ed. Colgrave pp.128-132).

28

III. MONUMENTI CLASSICI

La presenza in questa regione di monumenti classici si concentra lungo il

Vallo di Adriano, principalmente nei castra che gli si appoggiano e riguardano

principalmente la sfera militare e la vita quotidiana dei soldati stanziati lungo il

limes. L’unico insediamento civile e militare di grande importanza fu

Corstopium (l’attuale Corbridge), centro di raccolta dell’arsenale e degli

approvvigionamenti utili alle spedizioni al di là del Vallum.

III.1 Il Vallo di Adriano

Il Vallo di Adriano collega l’estuario del Tyne al Solway Firth, per una

lunghezza di 128 chilometri. Il muro venne costruito inizialmente con una

larghezza di 3 metri, ma le sezioni successive vennero ridotte a 2,5 metri.

L'altezza è stata stimata a circa 4 o 5 metri.

29

Lungo il muro erano posizionati quattordici forti ausiliari

come Housesteads e ottanta fortini adiacenti alle porte, ad una distanza di ogni

miglio romano.

In sezione questa barriera comprende quattro elementi: da nord verso

sud, si distingue un fossato armato con file di pali appuntiti, il muro

propriamente detto, costruito per lo più in pietra, a volte in terra (in questo caso

è sormontato da una palizzata), una strada e il vallum: due grossi argini con un

fossato nel mezzo96

: il fossato era scavato a forma di “V”, largo circa 9 metri e

profondo almeno 3 metri; oltre il fossato, da cui partiva una falsabraca larga da

2 a 6 metri, si ergeva il muro propriamente detto (Fig.5).

Il vallum probabilmente delimitava una zona militare piuttosto che essere

inteso come fortificazione principale, anche se le tribù britanniche stanziate a

sud erano anch'esse talvolta un problema.

Su pianta, si rileva la presenza di torri di controllo (ogni 500 metri) e di

segnalazione a lungo raggio mediante fuoco o fumo, porte e posti di guardia

oggi chiamati “milecastles” (ogni 1.600 metri, fig.6) e forti in cui erano

presenti coorti di fanteria e ali di cavalleria appoggiati al muro ( ogni 10

chilometri)97

, mentre i castra che alloggiavano le legioni si trovavano ad una

distanza di quasi 200 chilometri dal vallum.

La costruzione ebbe inizio tra il 122 e il 124 ad opera dell'allora

governatore di Britannia, Aulo Platorio Nepote e venne largamente completata

nel giro di dieci anni, con soldati di tutte e tre le legioni occupanti che

parteciparono ai lavori. Il percorso prescelto seguiva ampiamente la Stanegate

road da Carlisle a Corbridge, che era già difesa da un limes e da diversi forti

ausiliari, compreso quello di Vindolanda98

.

Il Vallo venne occupato quasi ininterrottamente per trecento anni, anche

se con diverse modifiche sia alla struttura del muro stesso sia in quella dei

96

Breeze-Dobson 1976, pp.16-20. 97

Le Bohec 1989, p.223. 98

Breeze-Dobson 1976, pp.20-23.

30

castra: gli alloggi delle truppe vennero completamente ridisegnati secondo le

nuove esigenze e composizione dell’esercito tardo-imperiale; le porte di

accesso vennero chiuse o destinate ad altri usi, le torrette di avvistamento non

necessarie vennero abbandonate e i “milescastles” ridimensionati.

Le torri di controllo e i forti di avamposto avevano la funzione di

garantire la sorveglianza contro le infiltrazioni ostili e di dare il preavviso in

caso di imminenti attacchi su larga scala. Le prime di solito erano costruite

direttamente nelle fortificazioni di cinta, disposte ad intervalli di circa 165 m:

esse coprivano un ampio raggio di sorveglianza, ma non erano molto utili per il

preavviso di pericoli99

.

I forti di avamposto, invece, erano situati oltre il confine e ad una certa

distanza da esso, nei quali erano alloggiate più coorti di fanteria sia ali di

cavalleria e alcuni manipoli di numerii.

III.2 I castra (Fig.7)

I castra northumbriani rispecchiano la tipica conformazione degli altri

forti dell’impero: le fortezze legionarie permanenti derivavano la loro struttura

dagli accampamenti di marcia o "da campagna". La loro struttura era pertanto

similare, pur avendo, rispetto ai castra mobili, dimensioni ridotte, pari

normalmente a 16-20 ettari100

. È vero anche che, almeno fino a Domiziano,

erano presenti lungo il limes alcune fortezze legionarie "doppie" (dove erano

acquartierate insieme due legioni), con dimensioni che si avvicinarono ai 40-

99

Birley 1953, pp.103-110. 100

Le Bohec 1989, p.215.

31

50 ettari101

. A partire, però, da Diocleziano e dalla sua riforma tetrarchica, le

dimensioni delle fortezze andarono sempre più diminuendo, poiché le legioni

romane erano state ridotte alla metà degli effettivi. Al centro della fortezza si

trovavano i Principia (il quartier generale), che davano sulla via Principalis

(2) e che formavano con la via Praetoria (3) una T all'interno del campo, in

direzione della zona riservata al quartier generale. Tutte le altre strade erano

secondarie rispetto alle prime due (es. la via Quintana, 4). Lungo la via

Praetoria si trovavano la porta Praetoria (D) e la porta Decumana (B), mentre

lungo la via Principalis si trovavano la porta Principalis dextera (C) e la porta

Principalis sinistra (A).

I Principia, ovvero quegli edifici che ne rappresentavano il centro

amministrativo, di fronte agli edifici dove era alloggiato il comandante della

legione (legatus legionis), il Praetorium (1). Le dimensioni di questi primi due

edifici variavano da fortezza a fortezza, anche se normalmente presentavano

misure pari a 70x100 metri circa102

. Accanto a questi edifici c'erano poi quelli

dei tribuni militari e gli alloggi dei legionari e dei loro centurioni. Vi erano,

infine, strutture di fondamentale importanza come il valetudinarium (ospedale

militare), gli horrea (granai), fabricae (fabbriche di armi) ed in alcuni casi

anche le terme, un carcer (prigione) ed, esterni alle mura del campo,

anfiteatri103

.

101

Le Bohec 1989, p.216. 102

Le Bohec 1989, p.213. 103

Webster 1998, pp.200-206.

32

III.3 I vici

Sotto Adriano le legioni erano alloggiate in basi fisse, da cui nella

maggior parte dei casi non si sarebbero mai allontanate. Di conseguenza, i

soldati si formavano ben presto delle famiglie illegittime negli insediamenti

che crescevano spontaneamente intorno alle basi legionarie; la parola più

conosciuta per designare questi insediamenti è canabae: essa indicava un

insieme di tipo urbano costruito non lontano dalla fortezza e che aveva una vita

collettiva propria: l’autorità era esercitata da edili, magistrati, curatori. Secondo

alcuni storici104

, le canabae accompagnavano sempre i campi legionari ed

avevano la possibilità di evolversi in municipi e colonie; in altri casi, si sarebbe

utilizzato il termine vicus, che designa un agglomerato molto meno rilevante

per superficie, anche se in Britannia i vici possiedono una grande varietà di

monumenti, terme, templi, altari ecc. come nei casi di Vindolanda e

Housesteads (Vercovicium), e si trattava di comunità “sedentarie”, dato che si

sviluppavano attorno a castra stabili, posti a difesa delle frontiere.

Storicamente vanno distinte tre fasi delle canabae: la prima, finora priva

di attestazioni archeologiche, in cui si seguivano le truppe sul campo

(attendamenti), la seconda in cui i legionari, e di conseguenza le salmerie, si

insediavano in costruzioni più solide (sempre lignee) per periodi più lunghi,

specialmente in inverno (hiberna) e una terza ed ultima fase, in cui sia le

legioni che le salmerie si acquartieravano in un luogo più a lungo, costruendo

alloggi durevoli. Ovviamente queste fasi potevano anche presentarsi

contemporaneamente a seconda delle funzioni da svolgere105

.

Come si vivesse in questi nuovi villaggi è ancora oggi leggibile grazie

alla scoperta nello scavo di Vindolanda, tra il 1973 e il 1975, di circa duecento

104

Salway 1965, pp.9-11 e 117. 105

Mason 1987, pp.148-163.

33

frammenti di tavolette lignee scritte con inchiostro, relative a cinque diversi

periodi di vita dello stesso forte, compresi tra gli anni successivi dell'85. a

quelli della costruzione del Vallo; la maggior parte delle tavolette fu rinvenuta

nella corte del praetorium e sono databili intorno al 97-107, quando a capo

della guarnigione era Flavius Cerialis, prefetto della IX cohors Batavorum106

, e

riguardano la sua corrispondenza personale, mentre le altre forniscono notizie

importantissime e preziosissime sulla vita negli stanziamenti militari romani: si

tratta di lettere di auguri, notizie che si inviavano ai familiari lontani, rapporti

giornalieri sulle mansioni assegnate quotidianamente, inventari, conti, esercizi

di scrittura.

Questi reperti ci parlano di una vita piuttosto dura e monotona per

quanto riguarda i milites semplici, con rapporti spesso non violenti, ma

complicati con i Britanni (un soldato arriva addirittura a definirli

spregiativamente Britanculi, più o meno “piccoli tozzi Britanni)107

”, mentre la

vita dell’ “aristocrazia”, cioè la vita dei famigliari degli alti ufficiali, cercava di

essere il più simile possibile a quella che i loro pari svolgevano in province più

vicine a Roma.

III.4 I templi

Al di fuori delle attestazione all’interno dei castra stessi, sono

relativamente limitate le tracce di edifici cultuali al di fuori di essi. Per lo più si

106

RIB 2445. 107

Bowman 1994, p.89.

34

tratta di altari celebrativi di privati o sempre riguardanti la sfera militare (ad

esempio, il genio della legione di appartenenza o altari dedicati all’imperatore

o alla famiglia imperiale), o divinità del pantheon celtico assimilate o accettate

dai soldati di frontiera, come un piccolo tempio romano-celtico nella zona della

porta occidentale del forte di Vindolanda o il tempio della divinità locale

Atenociticus presso Heddon-on-the-Wall (fig.8).

In questa zona è quantitativamente rilevante la presenza di mitrei e

attestazioni riguardanti il culto di Mitra, molto popolare tra le fila dell’esercito

ed osteggiato con particolare veemenza, rispetto ad altri culti, dai cristiani, i

quali vedevano i riti (come il consumo di pane sacro durante le riunioni) e la

mitologia del Mitraismo come una parodia blasfema del Cristianesimo.

Sono stati rinvenuti tre mitrei in buone condizioni di conservazione, tutti

nelle immediate vicinanze dei castra di Brocolita (Carrawburgh), Vircovicium

(Hausesteads) e Vindobala (Rudchester).

Il mitreo di Carrawburgh (fig.9), l’antico forte ausiliario di Brocolitia, si

è ottimamente conservato almeno nella sua pianta: i suoi resti furono scavati

nel 1949 e la loro analisi ha permesso di ricostruire almeno tre stadi di sviluppo

della costruzione, tutti databili intorno al III secolo108

.

Il tempio più antico, era molto più piccolo, ma comprendeva già

l’anticamera e l’usuale navata principale con i banconi laterali. Il tempio venne

successivamente ampliato, con l’allargamento dei banconi laterali e

l’inserimento di nuovi elementi come le statue di Cautes e Cautopates e lo

scavo di un pozzetto per lo scolo e la raccolta del sangue sacrificale, situato

presso l’anticamera, laddove doveva trovarsi anche un braciere rituale.

Un certo numero di oggetti risalenti a questo periodo si è conservato

all’interno del tempio, come la paletta di ferro utilizzata per mantenere vivo il

fuoco (un compito che spettava agli adepti del grado di Leo109

), che fu trovata

108

Lewis 1966, pp.67-70. 109

Bianchi 1984, p.2123.

35

appoggiata su uno dei banconi laterali e che oggi è esposta, insieme ad altri

oggetti, nel Great North Museum di Newcastle.

Il secondo tempio venne distrutto negli anni tra il 296 e il 297, ma parte

dei suoi arredi si salvò e venne utilizzata per il terzo ed ultimo tempio, quello

di cui oggi vediamo i resti. Di questi arredi fanno parte tre altari scolpiti, tra i

quali spicca certamente quello dedicato da Marcus Simplicius Simplex110

. Esso,

infatti, reca al centro la figura di Mitra, il quale indossa una tunica in stile

romano e regge con una mano la frusta tipica del dio Sole. La sua corona solare

è forata, affinché lasciasse trapelare la luce di una lampada posta nella nicchia

scavata sulla parte retrostante. Al momento del ritrovamento presentava ancora

tracce di pittura rossa e verde.

Gli altri due altari contengono invece solo delle iscrizioni: in una

troviamo la dedica di un certo Lucius Antonius Proculus111

, del quale viene

indicato il grado militare, quello di prefetto della I cohors Batavorum; il terzo

altare è dedicato da Aulus Cluentius Habitus, originario di Larinum, municipio

che si trovava sugli Appennini112

.

Una caratteristica insolita di questo mitreo è il ritrovamento al suo

interno di una statuetta raffigurante una Dea Madre: il fatto è assolutamente

particolare, essendo quello di Mitra un culto riservato ai soli uomini, al

contrario del culto alla Dea Madre. L’unica connessione tra i due culti è lo

svolgimento dei rituali in luoghi sotterranei.

Nelle vicinanze del mitreo vennero edificati anche un ninfeo ed un pozzo

dedicato alla divinità celtica Coventina, culto testimoniato da diverse epigrafi

di ex voto113

.

Pochi chilometri più ad ovest di Carrawburgh, nel sito di Hausesteads

nel 1898 vennero alla luce i resti del mitreo del forte di Verocovicium:

110

RIB 1546. 111

RIB 1544. 112

RIB 1545. 113

RIB 1522-1533.

36

l’edificio era del tutto simile a quello sopra descritto, ma oggi non ne rimane

alcuna traccia.

Su uno dei banconi vennero rinvenuti due bassorilievi, oggi al Great

North Museum di Newcastle: il primo bassorilievo è una delle più grandi e

dettagliate scene di Tauroctonia che si conoscano. La scena è quella classica, il

dio è fiancheggiato dai due gemelli portatori di torce, i Dadofori, Cautes e

Cautopates. Da notare, soprattutto, la coda del toro che si apre a formare tre

spighe di grano, ad ulteriore conferma della valenza creatrice dell’atto

compiuto da Mitra e della rinascita spirituale dell’adepto che giungeva fino

all’ultimo grado di iniziazione, quello di Pater114

.

Assai singolare, invece, è il secondo bassorilievo, che mostra Mitra che

nasce attraverso il cerchio dello Zodiaco, avente però la forma di un uovo e che

sta quindi a significare l’Uovo Cosmico. Sebbene la maggior parte dei miti

relativi a Mitra sostengano che egli sia nato dalla roccia viva (petra

genetrix)115

, mentre la nascita dall’Uovo Cosmico mette il dio persiano in

relazione con un’altra religione misterica, l’Orfismo, il cui dio creatore Phanes

nasce da un uovo generato da Crono116

(Fig.10).

Anche nel mitreo di Hausesteads erano posti tre altari: il primo riporta la

dedica di Litorius Pacatinus e, insolitamente per questo culto, di tutta la

famiglia117

; il secondo, di fattura molto semplice, menziona Pubicius

Proculinus e suo figlio Proculus118

, databile al 252 grazia alla menzione dei

consoli ; il terzo ed ultimo altare, più piccolo rispetto agli altri, è decorato con

la rappresentazione a bassorilievo del dio con la corona a sette raggi e reca la

dedica Herion119

.

Il piccolo mitreo di Vindobala sorgeva a breve distanza dal confine

occidentale dell’accampamento e venne scoperto nel 1844 da un fattore locale,

114

Bianchi 1984 p.2125 115

Bianchi 1982, p.125. 116

Arrighetti 1989, p.62. 117

RIB 1599. 118

RIB 1600. 119

RIB 1601.

37

che scavando nel suo terreno si imbatté in una statua e in cinque altari. La

statua venne successivamente rotta ed è andata perduta, mentre gli altari si

sono preservati. La posizione del mitreo venne registrata e ciò permise

all’archeologo Gilliam di rintracciarlo, nel 1953, e di compiere su di esso

indagini più approfondite120

.

Gilliam delineò nella storia del mitreo almeno due fasi di esistenza: il

tempio originale, datato tra la fine del II e l’inizio del III secolo, consisteva in

una sala rettangolare classica, con un’unica navata centrale e dei banconi sui

due lati. Una sorta di piccola anticamera precedeva l’ingresso al tempio,

addossata alla parete est e posta asimmetricamente rispetto all’ingresso del

mitreo, così che da essa non fosse possibile vedere la sala rituale in linea

retta121

.

In una fase successiva il tempio venne ricostruito, i banconi laterali

ampliati, riducendo ulteriormente il già angusto spazio riservato agli adepti e

rimuovendo la piccola anticamera. Un podio in pietra, rialzato rispetto al

livello del pavimento, venne posto nella zona absidale, probabilmente per il

sacrificio rituale del toro122

.

Non fu trovata traccia della Tauroctonia, mentre delle eventuali statue

dei Dadofori furono ritrovate solo le teste, segno di una deliberata distruzione

del sito. Indizi mostrano che il mitreo si mantenne operativo per circa un altro

secolo e che alla metà del IV secolo esso si trovava già in stato di abbandono.

Particolarmente interessanti e di buona fattura sono gli altari scolpiti: il

primo, dedicato da Lucius Sestius Castus, militante nella Legio VI Victrix,

presenta da un lato del capitello una testa di toro circondata da una ghirlanda,

dall’altra un berretto frigio del tipo di quelli indossati da Mitra. Alla base,

invece, si trova un bassorilievo che mostra il dio in lotta con il toro, prima

120

Gilliam 1954, pp.176-219. 121

Gilliam 1954, pp.180-198. 122

Gilliam 1954, pp.199-213.

38

dell’uccisione123

. Questi elementi iconografici fanno supporre che Lucio Casto

fosse stato iniziato al grado di Miles quando fece realizzare l’altare124

.

Il secondo altare, che riporta la dedica di Tiberius Claudius Decimus

Cornelius Antonius, venne realizzato in occasione del restauro del tempio,

come attesta l’iscrizione125

; il terzo è molto semplice e spartano e reca la

dedica Mitra Sol Invictus da parte di Publius Aelius Titullus126

; il quarto altare

presenta la dedica di Aponius Rogatianus al dio Sol, chiamato Apollo, Anicetus

e Mitra: si assiste qui alla compenetrazione in un’unica divinità di tre dei

solari di pantheon differenti (quello greco, quello celtico-germanico e quello

persiano)127

.

Il quinto altare è del tutto privo sia di iscrizioni sia di un qualsiasi

apparato decorativo.

123

RIB 1394. 124

RIB 1982 125

RIB 1396. 126

RIB 1395. 127

RIB 1397.

39

IV. MONUMENTI CRISTIANI

IV.1 Caratteristiche dell’architettura ecclesiastica

anglosassone

La cronologia dell'architettura nel periodo anglosassone è piuttosto

oscura. Si sono infatti conservati, più o meno integri, meno di una dozzina di

edifici e si tratta spesso di quelli meno importanti; ciò inevitabilmente fornisce

una visione distorta della qualità e della scala di quei monumenti e rende di

primaria importanza le testimonianze archeologiche, con il risultato che spesso

i resti dell'architettura anglosassone sono studiati in genere da questo

particolare punto di vista piuttosto che, come sarebbe invece auspicabile, nel

loro autentico significato e valore storico. Le due fondamentali tecniche

costruttive, in legno e in pietra, hanno ben poco in comune, appartenendo la

prima al mondo celtico e germanico e la seconda a quello romano.

La maggioranza degli edifici secolari anglosassoni era costruita in legno,

mentre le chiese venivano edificate usando entrambe le tecniche costruttive,

40

anche se di norma per i più importanti edifici di culto si preferiva la muratura

in pietra, collegandosi, in molti casi intenzionalmente, alla tradizione

dell'architettura romana128

. Gli edifici anglosassoni vengono classificati

secondo tre principali suddivisioni cronologiche: la prima va all'incirca

dall'inizio del V secolo, al momento della conversione al cristianesimo, fino al

625, la seconda abbraccia il periodo che va dalla conversione alle invasioni

vichinghe dell’VIII secolo e la terza arriva alla conquista normanna, nel

1066129

. La maggior parte degli edifici ecclesiastici qui presi in esame

appartengono principalmente al secondo periodo e presentano caratteristiche

che si differenziano leggermente a seconda dei casi.

I Sassoni portarono con loro dalla Frisia, dalla Sassonia e dallo Jutland le

proprie tradizioni edilizie, caratterizzate da un'ampia gamma di dimensioni

costruttive, dalle più modeste alle più grandiose, come gli edifici della

residenza regale di Yeavering, in cui si ha una fusione di elementi celtici,

romani e germanici.

I modelli di riferimento degli edifici ecclesiastici sono due: il modello

romano, introdotto dalla missione agostiniana nel Kent nel 597 e quindi diffuso

nella parte meridionale dell’isola, la cui pianta presenta un’unica navata

affiancata da piccoli annessi, con un presbiterio absidato orientato ad est; il

secondo modello è quello dei monasteri celtici, giunto con le missioni

provenienti da Irlanda e Scozia: l’edificio è molto semplice, senza annessi, con

un presbiterio quadrangolare. Le dimensioni delle chiese sono generalmente

molto piccole (non superano mai i 30 metri di lunghezza) e lungo i muri sono

poste porte strette e finestre di forma triangolare di dimensioni ridotte con

semplici decorazioni a nastro, che fanno entrare pochissima luce all’interno

dell’edificio130

.

128

Biddle 1986, pp.1-31 129

Gem 1986, pp.146-155. 130

Rodwell 1986, pp. 156-175.

41

La navata ed il presbiterio sono divisi da recinti piccoli e rettangolari

che, oltre a dividere la zona più sacra della chiesa da quella adibita ai fedeli,

riflettono un problema strutturale: le tecniche costruttive a degli Anglosassoni

non permettevano di aprire dei vani troppo ampi131

.

IV.2 Vindolanda (Chesterholm)

Il sito di Vindolanda offre un esempio perfetto di un castrum legionario

e dell’insediamento civile sorto al di fuori della porta occidentale.

Il forte venne costruito intorno all’anno 85 e rimase attivo fino alla fine

dell’Impero, il che lo rende il forte più lungamente occupato di tutto il Vallo.

Il sito occupa un’area di 1,43 ettari, dove le ricerche archeologiche

hanno rivelato una continuità e successione di sette castra, di cui solamente

due in pietra.

Per quanto riguarda la presenza di edifici cristiani, bisogna concentrarsi

sulla fase di vita dell’intero complesso denominato Periodo IX e Periodo X (V-

VI sec.), nei quali viene costruito all’interno del cortile del praetorium, un

edificio absidato delle dimensioni di 8x6 metri orientato verso ovest (fig.11);

tale struttura è da sempre considerata una chiesa o cappella, innalzata nel

momento in cui il praetorium aveva perso la sua funzione (vengono

riconvertiti anche degli ambienti a terme)132

.

131

Cherry 1976, pp.151-200. 132

Birley-Blake 2005

42

La presenza di una comunità cristiana nel vicus di Vindolanda è attestata

dal ritrovamento di un altare di pietra frammentario, in cui sono incise due

croci, delle quali la seconda è sovrastata da una croce più piccola circoscritta in

un cerchio (fig.12) e da un’iscrizione che merita un approfondimento.

L’epigrafe venne ritrovata negli anni ’80 del XIX secolo133

e consiste in

un cippo frammentario in comune pietra locale, di forma all’incirca

parallelepipeda. Presenta solamente la faccia inscritta con sommaria

sbozzatura. Il testo superstite su tre righe, di cui è possibile ipotizzarne una

quarta; il modulo delle lettere è incostante e il modello è la capitale

quadrata134

(fig.13).

BRIGOWAGLOS

[hic]IACIT135

[---]ṾṢ136

[---]

Le caratteristiche materiali, paleografiche (lo scambio tra le lettere M e

W, la G a forma di falcetto e la R con un grande occhiello, lo scambio di -os

per -us) e linguistiche portano a datare l’epigrafe intorno al V sec137

.

Il termine Brigomaglos è al centro di un dibattito tra gli epigrafisti e gli

storici, che ha portato alla formulazione di due ipotesi: Brigomaglos sarebbe un

antroponimo derivante dal popolo dei Brigantes, che occupava il territorio

della Northumbria all’arrivo dei Romani138

, oppure un titolo conferito a capi di

comunità dopo la partenza delle legioni (dal celtico *brigo- “alto”,

133

Bruce 1889, p.367-371 134

Sims-Williams 2003, p.361. 135

Mecalister 1945, p.475 legge per intero HIC IACIT. 136

Il medesimo autore riporta [---] ECVS. 137

Sims-Williams 2003, p.363. 138

Jakson 1953, p. 192 n.2.

43

*-magalo/*-maglo- “signore, capo”)139

.

La terza riga pone molti interrogativi: quasi tutti i commentatori140

propendono per interpretarla come un aggettivo indicante il luogo di

provenienza del defunto, mentre l’Haverfield141

, il primo a dare una

descrizione scientifica dell’epigrafe, proponeva di integrare la lacuna con [qui

et Brioc]us.

L’epigrafe di Briglomaglos e l’edifico absidato del praetorium gettano

luce sul periodo di transizione dalla dominazione romana e la creazione di

comunità britanno-romane, le quali stanno gradatamente abbandonando i riti e

le abitudini pagane in favore del Cristianesimo che si andava imponendo in

tutta l’isola.

IV.3 Vircovicium (Housesteads)

Il castrum è situato su un’altura, dominando un’ampia valle che si

estende verso nord. Anche qui, come a Vindolanda, ci troviamo di fronte ad un

forte abitato da truppe ausiliare e da un vicus di modeste dimensioni situato ad

est.

Tra il V e il VI sec., nella zona nord-ovest del campo, viene costruito un

edificio absidato simile per dimensioni alla “chiesa” di Vindolanda (10x6

metri) e con lo stesso orientamento: rinvenuto durante gli scavi del 1898,

139

Dark 1994, pp.71-74. 140

Jackson 1982, pp.62-63; Macalister 1945, pp.475-476. 141

Haverfield 1918, p.30.

44

l’edificio si presentava con una pavimentazione di grosse pietre e direttamente

su di esse si appoggiavano le murature (fig.14); la scoperta nelle immediate

vicinanze di una sepoltura posta all’interno di una cisterna (fig.15), portò gli

archeologi inglesi ad identificarlo come un edificio cultuale, quasi certamente

cristiano142

. Ad oggi non è più possibile rintracciare tale edificio né la tomba-

cisterna143

.

IV.4 Ad Gefrin (Yeavering Bell)

Abitato fin dal Mesolitico, Yeavering Bell si trova al limite occidentale

della valle denominata Glendale: si tratta di un’altura formata da due picchi

gemelli a 361 metri sul livello del mare; l’insediamento anglosassone si trova

su un terrazzamento a 75 metri d’altezza, attraversato dal fiume Glen (fig.16).

A metà del VII secolo, Ad Gefrin, il cui nome deriva dall’antico inglese

*geafringa (“collina delle capre”)144

era il centro del regno di Bernicia e

residenza del sovrano.

Durante gli scavi effettuati nella seconda metà del XX secolo

dall’archeologo Brian Hope-Taylor (fig.17) vennero rinvenuti una serie di

edifici lignei che costituivano il palazzo reale: un grande recinto, il “palazzo”

prospiciente al “teatro” (una cavea di legno utilizzata probabilmente per le

assemblee) e degli edifici di non meglio precisata funzione.

142

Bosanquet 1898, p.248-249 . 143

Rushworth 2009 pp. 321-322. 144

DEPN 1960, p.193.

45

Alle spalle del “teatro” sono state rinvenute delle zone adibite alle

sepolture sia umane che di ossa animali, vicine a degli edifici denominati

dall’Hope-Taylor con la lettera D145

, che, secondo l’interpretazione dello stesso

archeologo, sarebbero stati dei templi riconvertiti in cappelle dopo l’arrivo di

Paolino alla corte di Edwin146

e secondo le disposizioni date da papa

Gregorio147

. Alla stessa fase cronologica viene attribuito un edificio

quadrangolare di 10x10 metri con un piccolo annesso circondato da un

cimitero, situato nelle vicinanze del “palazzo”, interpretato come una vera e

propria costruzione ecclesiastica, forse voluta dallo stesso Paolino(fig.18).

IV.5 Ebb’s Nook

I resti della cappella di Ebb’s Nook, vicino a Beadneall Harbour, furono

rintracciati nel 1853 da Hodgson Hinde e descritti nel 1854 da Alfred Way148

.

Il luogo veniva e viene tuttora indicato come “St Ebba’s chapel”, riferendosi ad

un luogo di culto dedicato a Æbbe, sorella del re Oswald: Æbbe aveva fondato

un monastero nel Berwickshire, su un promontorio vicino alla citta di

Coldingham149

.

La datazione è sconosciuta: la maggior parte delle strutture sopravvissute

risalgono al XII secolo, ma la pianta ad una sola navata con cella è tipica degli

edifici ecclesiastici della metà del VII secolo, confermata dalla toponomastica,

145

Hope-Taylor 1977, p.97. 146

Vd. supra.[BISOGNA INDICARE IN QUALE PAGINA] 147

Beda, HEA, I, XXX (ed. Lapidge, I, pp.143-145). 148

Way 1854, pp.410-412. 149

Beda, HEA, IV, XVII (ed. Lapidge, II, p.247).

46

e che forse si sovrapponeva ad una più antica cappella lignea circondata da un

terrapieno (fig.19).

Al momento della scoperta i muri misuravano in alcuni punti in alzato

1,5 metri e 0,5 metri in spessore.

La planimetria (fig.20), a sviluppo longitudinale, risulta molto semplice:

alla navata (4x9 metri) si accedeva attraverso due porte poste nel lato

occidentale. Altre aperture si trovano all’interno della navata e facevano

accedere verso est ad un presbiterio quadrangolare (4x4 metri), verso ovest ad

un annesso speculare al presbiterio, ma costruito in un secondo momento (il

vano di accesso venne ricavato tagliando parte del muro occidentale).

In questi mesi sono in corso degli scavi per la salvaguardia del sito, che

rischia di venire sommerso dal mare.

IV.6 Acomb

Il villaggio di Acomb sorge a poca distanza verso nord dalla città di

Hexham. Beda150

riferisce, in modo molto preciso, di una mansio situata ad un

miglio e mezzo circa (2 chilometri) dalla chiesa di Hexham: il luogo

corrisponde ad un alto sperone che domina il fiume Tyne, dove oggi sorge la

chiesa St. John Lee. Il luogo in antico inglese doveva chiamarsi Erneshou, in

latino Mons Aquilae secondo i cronisti medievali151

.

Dalla descrizione che fornisce Beda appare chiaro che il sito aveva una

cappella dedicata all’arcangelo Michele, che fungeva da oratorio, isolata da un

150

Beda, HEA, V, II, 8-14 (ed. Lapidge, II, p.333). 151

Richard di Hexham, “The priory of Hexham: its chroniclers, endowments and annals”, IV (ed. Andrews

and Co., Durham 1894, p. 15).

47

terrapieno e un fossato e circondata da un rado bosco, almeno un edificio

adibito ad abitazione ed un cimitero. La dedica all’arcangelo Michele sarebbe

la più antica in Inghilterra per un edificio sacro152

. Il suo accostamento ad un

luogo di carattere funerario potrebbe derivare da un riferimento della lettera di

Giuda153

, nella quale si dice che l’arcangelo ha conteso il corpo di Mosè con il

demonio e dai racconti apocrifi della Transito della Beata Vergine Maria154

: è

in questa sua “qualità” che l’arcangelo viene venerato qui ad Ascomb.

Un’altra spiegazione può essere data se accettiamo come vera la notizia

riportata da Richard di Hexham155

che tale cappella fosse stata innalzata da

Wilfrid al suo ritorno in Northumbria, come ex voto all’arcangelo che, in una

visione avuta durante la sua malattia in Gallia, gli aveva preannunciato la

guarigione grazie all’intercessione della Vergine.

Dal racconto di Beda è possibile ricavare un termine ante quem (l’anno

687) con il quale datare tutto il complesso, mentre, se diamo peso al cronista

Richard, la data dovrebbe essere spostata a dopo l’estate del 705.

Purtroppo, a parte queste informazioni, non è più possibile rintracciare

tali edifici.

152

Jones 2006, p.17. 153

Bibbia, Giuda v.9. 154

Pseudo-Melitone di Sardi, Transitus Mariae, v.17 (ed. Bover 1947 p. 235). 155

Richard di Hexham, The priory of Hexham, IV (ed. Andrews and Co., Durham 1894, p. 18).

48

IV.7 Bebba (Bamburgh)

La cittadina di Bamburgh, per ben quattro secoli principale residenza

dei sovrani della Northumbria, è situata su un promontorio roccioso alto sul

mare e rivolto verso l’isola di Lindisfarne: fu fondata da Ida, primo re di

Bernicia, in una posizione che ne consentiva una migliore difesa156

. Il suo

toponimo deriverebbe dal nome di regina157

, ma non è chiaro di quale monarca

fosse la sposa.

Gli scavi effettuati negli anni ’60 e ’70 del XX secolo hanno dimostrato

una lunga continuità di vita nel luogo dove sorge il castello, fin dall’Età del

Ferro158

.

Nella prima fase anglosassone della fortezza (V-VI sec.), all’interno

delle mura, venne costruita una cappella dedicata a San Pietro, dove vennero

custodite le reliquie del corpo di re Oswald: durante la battaglia di

Maserfelth159

contro l’esercito della Mercia, nel 642, il re rimase ucciso e il suo

corpo fu smembrato in diverse parti dopo la battaglia e la testa e le mani su

delle picche160

, le quali furono recuperate da Oswiu, fratello di Oswald, in uno

scontro successivo col il re di Mercia Penda. Le membra di Oswald ebbero

destini differenti: la testa venne sepolta nel monastero di Lindisfarne e

successivamente posta nel sarcofago di San Cuthbert161

, dove è rimasta fino ad

oggi, le braccia e le mani vennero custodite in una teca argentea posta

156

Stefano di Ripon, Vita sancti Wilfridi, 60 (ed. Colgrave pp.128-132). 157 Beda, HEA, III, VI, 26-27 (ed. Lapidge, II, p.35). 158

Hope-Taylor 1960, pp. 11-12. 159

Il nome antico inglese di questa località non si è mantenuto nell’inglese moderno e per questa ragione non

c’è accordo fra gli studiosi sulla sua identificazione. Ad oggi sembra più probabile l’ipotesi di Stancliffe la

quale, dopo un’ampia disamina del problema, identifica il luogo con Oswestry nello Shropshire,

nell’Inghilterra occidentale, un nome che etimologicamente significa “albero di Oswald” (Stancliffe-

Cambridge 1995 pp.84-96). 160 Beda, HEA, III, VI, 26-27 (ed. Lapidge, II, p.35). 161

vedi infra paragrafo IV.11.

49

all’interno della cappella di San Pietro a Bamburgh, mentre il corpo e le gambe

non furono mai ritrovati.

Per rintracciare l’edificio, andato perduto e conosciuto solamente dalla

citazione che ne fa Beda, nel 2000 vennero eseguite delle prospezioni

geologiche nel cortile interno, dove sorgono i resti di una cappella del XII sec.

intitolata a San Oswald: questa indicazione ha portato gli archeologi del

Bamburgh Research Project a indagare la zona alla ricerca di evidenze

riguardanti la cappella di San Pietro (fig.21). La resistività e il georadar

rivelarono la presenza di una camera voltata di 3x3,5 metri corrispondente ad

una cripta, dove erano contenute con tutta probabilità le reliquie di Oswald;

vennero rilevate delle anomalie nella resistività anche nella parte occidentale

della cappella, che potrebbero corrispondere all’arco trionfale anglosassone.

Dopo avere studiato i risultati delle prospezioni geologiche, nel 2004 si

decise di aprire due trincee di 5x3 metri orientate da est ad ovest (fig.22): la

prima venne aperta al di sopra della possibile cripta, mentre l’altra, posta al

centro della navata della cappella medievale, aveva lo scopo di verificare la

presenza delle fondamenta dell’arco trionfale. I risultati delle trincee162

hanno

smentito la presenza di una cripta, ma in compenso hanno portato alla luce

tracce di murature in pietra datate tra l’ultima parte del periodo romano-

britanno e la metà del periodo anglosassone, che conferma la notizia di Beda.

162

Wood-Young 2006, pp.6-8.

50

IV.8 Bywell

Bywell è un piccolo villaggio sulla riva settentrionale del fiume Tyne,

sulla strada tra Hexham e Newcastle. La particolarità di questa piccola

comunità risiede nell’aver, ad una distanza di 500 metri, ben due chiese di

epoca anglosassone dedicate a San Pietro e Sant’Andrea: questa particolarità è

data dal fatto che i due edifici in epoca normanna si trovavano al confine di due

distinte baronie, Bywell e la non più esistente comunità di Styford.

La chiesa di San Pietro (fig.23) ad oggi consiste in un massiccio edificio

del XIII secolo, costituito da una torre occidentale che funge da ingresso

principale dal quale si accede alla navata principale, affiancata a sud da

un’altra navata. Il presbiterio, di forma rettangolare, si presenta più sviluppato

longitudinalmente (25x4 m, compresa la torre) rispetto ad altri della stessa

epoca, ma esaminando nel dettaglio le murature, si evince che il presbiterio

sassone fosse più piccolo163

(fig.24); ad esso si poteva accedere da una porta, in

un secondo momento murata (fig.25).

All’esterno del muro settentrionale sono presenti delle imposte di archi

che fanno pensare ad un portico, ma senza un’indagine archeologica è

impossibile avanzare ipotesi sulle dimensioni dello stesso (fig.26 e 27).

Della prospiciente chiesa di sant’Andrea (fig.28) non rimane nessuna

traccia riconducibile al secondo periodo anglosassone, se non una pietra incisa

con motivi geometrico-vegetali, forse da interpretare come un parte di un

crocifisso in pietra, databile intorno al VII secolo164

.

163 Taylor 1965, I, p.126. Taylor afferma che non è possibile individuare l’esatta grandezza del presbiterio.

164 Taylor 1965, I, p.128.

51

IV.9 Corstopitum (Corbridge)

L’odierna Corbridge si è sviluppata da un villaggio anglosassone sorto

nelle vicinanze della Dere Street, la strada militare romana che collegava York

al Vallo di Antonino: Corbridge, a cui si arriva attraverso un ponte in muratura

(di cui è possibile ancora vedere le fondazioni del ponte romano), era lo snodo

principale di tale via di comunicazione, l’ultimo avamposto romano prima di

lasciare la linea difensiva adrianea165

.

Il forte abbandonato di Corstopium (oppure Coria, nome con il quale

viene menzionato nelle lettere rivenute a Vindolanda, derivato dal nome di una

tribù che era stanziata nelle vicinanze166

) ha fornito per gli edifici cittadini dei

secoli successivi materiale di costruzione. Non sappiamo con sicurezza se qui,

come nel caso di Vindolanda e Housesteads, ci fosse all’interno del castrum

una comunità cristiana, ma due oggetti potrebbero portarci verso questa

direzione, anche se possediamo soltanto dei disegni e delle descrizioni.

Intorno alla metà del ‘700, tra le acque del fiume Tyne venne ripescato

un piccolo vaso, alto 10 cm e del peso di 168 g, databile tra il IV e il V secolo,

di forma ovoidale che al di sotto dell’orlo presentava la scritta incisa

DESIDERI VIVAS167

; tale augurio può essere inteso in due accezioni:

nell’accezione pagana come augurio di una lunga vita, o nell’accezione

cristiana come augurio di aver raggiunto il premio celeste (si sarebbe

cancellato il resto della frase ricostruibile come DESIDERI VIVAS [IN DEO],

formula tanto cara ai cristiani di tutto l’orbis christianus), ma tale ipotesi non è

165

Dore 1989, p.56. 166

Rivet-Smith 1979, p.258. 167

Brand 1789, I, p.608.

52

verificabile data la scomparsa del reperto subito dopo il suo ritrovamento (fig.

29).

Anche del secondo oggetto non si hanno più notizie ed è conosciuto

solamente da descrizioni e disegni: nell’estate del 1736, in uno stato di

corrosione elevato (forse poco tempo dopo andò in pezzi, è questo il motivo

della sua sparizione), si rinvenne un catino argenteo a fondo piatto che pesava

560 g per un’altezza di 10 cm e un diametro di 22 cm; il catino in sé non

presentava ornamenti, se non una rosa al centro del fondo, mentre sull’orlo più

esterno erano posti a sbalzo 57 pomelli e nello spazio risultante tra un pomello

e l’altro vennero incise girali d’acanto, intervallate da sei monogrammi

costantiniani racchiusi in una cornice quadrangolare168

(fig. 30). Probabilmente

il catino doveva avere una funzione all’interno dei riti comunitari, soprattutto

per il rito battesimale.

La chiesa di Sant’Andrea (fig.31) sorge al centro del villaggio, di fronte

si apre la piazza del mercato. L’edificio che oggi possiamo ammirare consiste

in una torre occidentale, una navata centrale affiancata da due laterali che

continuano verso ovest congiungendosi alla torre, un transetto asimmetrico ed

un presbiterio fiancheggiato da una piccola cappella nella parte settentrionale

(fig.32).

Le tracce di epoca anglosassone è possibile rintracciarle nelle murature

della navata e nella torre, la quale in origine costituiva il portico ad uno o due

piani, ma rasati in un momento successivo per costruire la cella campanaria169

.

Vista dall’esterno (fig.33), la torre presenta tracce di un ingresso, oggi chiuso

per ospitare una moderna trifora (fig.34); la porta misura 3 metri in altezza e

2,7 metri in ampiezza, senza imposte e l’arco è formato da pietre solo in

apparenza a cuneo, ma che in realtà sono semplicemente piatte. La torre venne

eretta in un periodo successivo, quando le incursioni degli Scozzesi si fecero

168

Lettera manoscritta di Robert Cay alla London Society of Antiquaries datata 28 Ottobre 1736 (Hodgson

1832 p.246). 169

Taylor 1965, I, p.173.

53

più pesanti e la chiesa aveva bisogno di difesa: a tale scopo venne sacrificato il

piccolo portico quadrangolare che dava accesso alla chiesa; l’edificio

anglosassone misura 16,8 metri di lunghezza per 6 metri di larghezza,

rimanendo nella casistica degli edifici anglosassoni del VII sec.

Per la costruzione dell’intero edificio vennero utilizzate pietre

provenienti dalla vicina Corstopitum ed anche un intero arco, posizionato in

blocco tra la porta murata della torre e l’edificio vero e proprio170

.

IV.10 Heddon-on-the-Wall

Di fondazione romana, Heddon-on-the-Wall si trova ad 11 km da

Newcastle. La cittadina potrebbe essere identificata con la località denominata

da Beda Ad Murum, facente parte dei possedimenti del re Oswiu, dove furono

battezzati il principe Alhfrith ed il suo seguito dal vescovo Finàn171

: tale luogo,

specifica il monaco, si troverebbe alla distanza di “dodici miglia dal mare

orientale e vicino alla muraglia eretta dai Romani in difesa della Britannia”172

e

Heddon rispecchia esattamente la descrizione sopra riportate. Alcuni

commentatori del testo propongono di identificare Ad Murum con il villaggio

di Wallbottle, basandosi sulla toponomastica (in sassone weall “muro” e botl

170

Taylor 1965, I, p.170. 171

Beda, HEA, III, XXI, 15-18 (ed. Lapidge, II, p.97). 172

Beda, HEA, III, XXII, 23-26 (ed. Lapidge, II, p.101).

54

“abitazione”), dato che l’antico traduttore della Historia Ecclesiatica rende il

latino Ad Murum con la forma æt Walle173

.

La chiesa di sant’Andrea (fig.35) oggi consiste in un edificio del XII-

XIII secolo, con un’unica navata molto ampia, un portico meridionale ed un

presbiterio privo di abside. Della chiesa di epoca anglosassone (fig.36) rimane

parte del muro meridionale della navata, oggi inglobato nel presbiterio:

all’esterno si nota la presenza di una porta (a), murata in epoca successiva,

sormontata da una pietra semicircolare ed un’altra simili all’interno in un

pilastro interno della chiesa (c).

Durante i restauri del 1937 è stato possibile ritracciare le fondazioni delle

mura anglosassoni, grazie alle quali è stato possibile ricostruire la planimetria

dell’edificio, la quale rispecchiava la struttura tipica degli edifici ecclesiastici

della fine del VII secolo: una navata unica terminate con un’abside, lunga una

ventina di metri (b).

Per la datazione dell’edificio si può proporre la fine del VII secolo,

basandosi sulla dedica a sant’Andrea: insieme ad Heddon-on-the-Wall, sono

tre le località nelle vicinanze che presentano la medesima dedica (Corbridge,

Bywell e Hexham), forse tutte riconducibili al vescovo Wilfrid, devoto a tale

santo.

173

Lapidge 2006 p.541.

55

IV.11 Lindisfarne (Holy Island)

Holy Island è un’isola di piccole dimensioni a due km dalle spiagge di

Bamburgh, a cui è unita da una strada costruita nel 1954 poggiante su una

striscia di terra conosciuta già in antico (vedi capitolo II, secondo paragrafo),

utilizzabile soltanto con la bassa marea (fig.37).

Già abitata durante il Mesolitico, non venne colonizzata dai Romani e fu

scelta nel 635 dal monaco Aidan come sede del suo monastero e centro della

missione di cristianizzazione della regione; la scelta di tale luogo da parte di

Aidan deriva forse da due fattori di carattere geografico: l’isola è vicina a

Bamburgh allora capitale del regno e la somiglianza con Iona, monastero dal

quale proveniva; anche Iona è separata da un braccio di mare di circa 2

chilometri dalla costa occidentale dell’isola di Mull, entrambe le isole

appartenenti alle Ebridi Interne.

All’arrivo sull’isola, Aidan costruì verosimilmente una chiesa di legno,

semplice e provvisoria, per la necessità dei suoi monaci, ma la più antica

memoria che abbiamo di una chiesa a Lindisfarne si riferisce ad una struttura di

legno costruita dal successore di Aidan come priore del monastero, Finàn:

doveva probabilmente essere più grande per adeguarla a sede vescovile, ma

ancora una volta venne preferito il legno alla pietra e il tetto venne ricoperto di

canne, “alla maniera degli Scoti”174

e dedicata dal vescovo Teodoro nel 670 in

onore dell’apostolo Pietro175

. Non è stato trovato alcun resto di chiese di legno

dell’epoca di Aidan e Finàn e la loro dislocazione è ignota.

174

Beda, HEA,III, XXV, 4 (ed. Lapidge, II, p.119). 175

Beda, HEA,III, XXV, 6-7 (ed. Lapidge, II, p.119).

56

Vestigia di un vallum monastico sono state individuate in recenti

campagne di scavo176

e nello stesso sito vennero rinvenute diverse pietre

scolpite, databili dall’VIII al X secolo177

.

Di recente è stata avanzata l’ipotesi che il monastero fosse dotato di due

chiese, disposte lungo un asse est-ovest, quella occidentale dedicata alla

Vergine, quella orientale dedicata a san Pietro e situate all’incirca dove poi

venne costruito il priorato romanico178

.

Fino alle invasioni vichinghe del 875, nel priorato era conservata il corpo

di Cuthberto, morto nel 687, posto in un sarcofago litico al di sotto dell’altare

della chiesa monasteriale. Undici anni dopo, il sarcofago fu riaperto per porlo

in un nuovo sarcofago ligneo e “per poter essere venerato al di sopra del

pavimento”179

, e, con grande sorpresa dei monaci che assistevano alla

cerimonia, il corpo del loro fratello era ancora incorrotto180

. Grazie a questo

episodio miracoloso, la fama di santità di Cutberto si estese a tutta la Britannia,

diventando uno dei santi più popolari.

Il sarcofago ligneo ora è custodito nel museo della cattedrale di Durham

(fig.38), dove riposano le ossa di Cutberto in un moderno sacello. Il sarcofago

è l’unico oggetto ligneo di una certa importanza sopravvissuto nell’Inghilterra

anglosassone: si tratta di una cassa in legno di quercia lunga 1,98 metri; nel

1889 la cassa era ormai completamente in frammenti e solamente nel 1939, dei

7000 frammenti raccolti, lo storico dell’arte Erst Kitzinger selezionò 169

frammenti che componevano la decorazione e li riunì insieme181

: sul coperchio

sono incise le immagini del Cristo circondato dal Tetramorfo (fig. 39), su uno

dei lati corti la più antica rappresentazione superstite della Vergine col

Bambino al di fuori di Roma dell’arte medievale della chiesa occidentale

176

O’Sullivan 1989, pp. 125-142. 177

Peers 1925, pp. 255-277. 178

Blair 1991, pp.47-53. 179

Beda, HEA, IV, XXVIII, 5-9 (ed. Lapidge, II, p.312). 180

Beda, HEA, IV, XXVIII, 11-16 (ed. Lapidge, II, p.312). 181 Kitzinger 1956, pp. 202-206.

57

(fig.40) e sul lato opposto gli arcangeli Gabriele e Michele, mentre sui lati

lunghi la teoria dei Dodici Apostoli e cinque angeli.

Correlati alle figure, i fautori della cassa fecero apporre di tituli

esplicativi, anche se molti di essi sono in leggibili, sia in latino che in runico.

Le uniche che è possibile leggere chiaramente sono sul coperchio:

Ihs Xpr Mat(t)[h](eus) Marcus LVCAS Iohann(i)s (RAPH)AEL

(M)A(RIA)182

Solamente i nomi dell’evangelista Luca, dell’arcangelo Gabriele e della

Vergine vengono scritti in latino, mentre il resto riporta con lettere runiche i

nomi latini. Da notare come anche il greco ΧΡΙΣΤΟΣ sia reso in con lettere

dell’alfabeto scandinavo.

Questa mescolanza linguistica non è nuova in questa parte della

Britannia dove, a partire dal IX secolo, è possibile apprezzarla su epigrafi

funerarie nel cimitero di Lindisfarne e in quello di Monkwearmouth, mentre

per quanto riguarda gli oggetti, sul cofanetto Franks, databile alla seconda metà

del VII secolo.

All’interno del sarcofago, vennero posti alcuni oggetti appartenenti a

Cutberto, posti nel tesoro della cattedrale fin dal 1827, quando la tomba fu

aperta per porre le ossa nel nuovo sacrario: una croce pettorale in oro, un

pettine in avorio, un altare portatile e una copia personale del Vangelo di

Giovanni. Inoltre venne trovato un secondo teschio che, grazie alle fonti,

sappiamo essere quello del re Oswald.

182

In minuscolo sono indicate le lettere in runico, mentre in maiuscolo le lettere riportate in latino. [Però i

nomi propri anche usando il minuscolo hanno l’iniziale maiuscola]

58

IV.12 Hexham

Una chiesa abbaziale, posta sul lato occidentale della piazza del mercato,

è un monumento imponente, risalente al XII-XIII secolo (fig.40).

Il presbiterio viene datato tra la fine del periodo normanno e l’inizio del

Basso medioevo inglese. Prima della ricostruzione della navata nel 1918, l’area

che doveva ospitarla rimase un terreno desolato per secoli: non è chiaro quanto

del progetto medievale fosse portato a termine quando i lavori subirono

l’arresto definitivo a causa delle scorrerie scozzesi, la più grave delle quali si

verificò nel 1296.

L’edificio sorge nel medesimo luogo della chiesa fatta costruire da

Wilfrid: ne è prova la cripta, la quale è identica ad un’altra fatta costruire da

Wilfrid per la chiesa di Ripon, nello Yorkshire. La cripta fu dimentica fino alla

sua riscoperta nel 1726, durante gli scavi per rinforzare i pilastri dell’angolo

nord ovest della torre campanaria: il luogo era stato riconvertito a tomba

comunitaria di una famiglia locale.

Wilfrid cominciò la costruzione tra il 672 e il 678, dopo aver ottenuto

dalla regina Æthelthryth i terreni per l’edificazione e per tale progetto, che

voleva il più maestoso della Britannia, il vescovo portò con sé maestri muratori

provenienti da Roma, dall’Italia, dalla Gallia e da altri territori

dell’Occidente183

.

Le parti originali della chiesa di Sant’Andrea, a cui è dedicato l’edificio,

ancora visibili, non riescono a dare l’idea della complicata struttura a causa

della poco e soprattutto mal studiata navata nell’unica opportunità che si

183

Richard di Hexham, The priory of Hexham, V (ed. Andrews and Co., Durham 1894 p. 20). Stefano di

Ripon riporta solamente maestranze provenienti genericamente dal nord (Stefano di Ripon, Vita sancti

Wilfridi, 14, ed. Colgrave pp.20-22).

59

presentò agli archeologi per poter scavare il sito, ovvero la costruzione della

nuova navata nel 1908 (fig.41).

La dedica all’apostolo martire in terra scozzese, deve essere stata scelta

da Wilfrid forse per una sua particolare devozione, nata durante i suoi studi

giovanili al monastero di Lindisfarne, fondato da Aidan, che si era formato a

Iona, monastero della Scozia meridionale.

Si possono distinguere due diverse classi di resti architettonici della

prima chiesa di Hexham: resti “visibili” e resti veduti e descritti da C.C.

Hodges, architetto residente nella cittadina e studioso appassionato

dell’abbazia, durante il periodo 1880-1910184

.

Resti “visibili”

Nella parte sud-est dell’edificio è possibile vedere una zona abbastanza

estesa di pavimento costituita da lastroni (a). Durante la ricostruzione della

navata, venne scoperto che tali lastroni poggiavano su un letto di malta che si

trovava al di sopra della superficie superiore della volta della cripta. La malta

risultò essere dello stesso tipo di quella usata per la cripta e per il muro

settentrionale della navata.

Dietro la pavimentazione dell’odierno presbiterio, una botola conduce ad

un’area in cui è conservata intatta la sezione orientale e parte della parete

dell’antica abside, anche se da alcuni viene interpretata come una piccola

cappella separata dal complesso ecclesiastico185

(b). Al centro dello spazio

semicircolare si trovava una cattedra in pietra, denominata Frith Stool (fig.41),

sede del vescovo durante la celebrazione dei riti, oggi posta al centro del coro.

184

Hodges-Gibson 1919. 185

Taylor 1965, I, p.305.

60

Lungo la parete semicircolare dovevano essere posti gli scranni o i banconi per

il resto del clero, posizione comune alle chiese dal V al VII secolo a Roma e

nella zona del Mediterraneo orientale (il cosiddetto synthronon).

Qui si doveva accedere passando attraverso un arco trionfale, ricco di

pitture e statue policrome ad alto rilievo186

, anche se queste descrizioni bisogna

prenderle con le dovute precauzioni: la cattedrale venne in gran parte distrutta

e data alle fiamme da una scorreria di Danesi nel 875 e l’edificio non venne

ricostruito prima del XII secolo, periodo in cui scrive Richard che

probabilmente poteva vedere solo parte della navata costruita da Wilfrid ancora

in piedi187

.

La cripta (fig.43), che si può apprezzare nella sua interezza, è l’esempio

di come la visita alle catacombe romane compiuta da Wilfrid durante i suoi

soggiorni nell’Urbe, abbia inciso sulla costruzione di questo luogo adibito alla

conservazione delle reliquie: vi si accede attraverso una scala di pietra posta al

centro della navata, che conduceva i pellegrini in un ambiente di 3,2x1,8 metri

voltato a botte dal quale, probabilmente attraverso una grata, avrebbero potuto

vedere le reliquie disposte in un ambiente più ampio rispetto al precedente, ma

anch’esso voltato (5x3 metri), con tre nicchie scavate nel terreno come

appoggio per le lampade (fig.44). Dopo aver visto le sacre spoglie, i pellegrini

passavano attraverso un passaggio, ad una piccola stanza rettangolare, nella cui

volta triangolare è possibile vedere due epigrafi (di cui una facente parte di un

altare) di età imperiale (fig.45); da qui un altro corridoio correva verso est e poi

girava verso nord, dove si trovavano le scale di uscita per i fedeli.

Dall’ambiente principale si apre un ulteriore passaggio, che conduce in

altro spazio rettangolare e volte triangolari, con uscita opposta all’altro

corridoio: con tutta probabilità questo passaggio era riservato solamente al

clero, dato che da questo passaggio introduceva direttamente nel “sancta

sanctorum”.

186

Richard di Hexham, The priory of Hexham, III (ed. Andrews and Co., Durham 1894, p. 12). 187

Taylor 1965, I, p.196.

61

Per costruire la struttura vennero utilizzate pietre lavorate prese

direttamente da edifici romani o dal Vallo stesso. Notevole la notizia che vi

fossero più luoghi sotterranei: Richard di Hexham annota criptis et oratoriis

subteraneii 188

, di cui però non si ha nessuna traccia, come dell’atrium189

, di cui

non si conosce l’ubicazione, se non da un’opera di un monaco francese del XII

secolo, Ælred de Rievaulx, il quale dice che l’atrium di sant’Andrea si trovava

tra la fine della parte orientale dell’edificio e la chiesa di Santa Maria190

.

Il problema è se Richard di Hexham intendesse con questo termine lo

spazio antistante l’entrata principale della chiesa, chiuso da un quadriportico

(se corrisponde con la frase magnae spissitudinis et fortitudinis muro del testo),

come gli edifici ecclesiastici visti da Wilfrid sul continente, oppure un luogo

adibito a cimitero, se accettiamo la localizzazione data dal monaco Ælred: in

quella zona, infatti, durante i lavori del 1908 furono trovate diverse

sepolture191

.

Resti veduti e descritti dall’Hodges

Al di sotto della pavimentazione anglosassone, furono viste, dove oggi si

trovano il colonnato meridionale e quello settentrionale, delle fondazioni per

alloggiare dei pilastri che avrebbero dovuto sorreggere le arcate della navata,

vista la grandezza dei letti di malta (4 metri)192

.

188

Richard di Hexham, The priory of Hexham, III (ed. Andrews and Co., Durham 1894, p. 11). 189

Richard di Hexham, The priory of Hexham, III (ed. Andrews and Co., Durham 1894, p.13). 190

Ælred de Rievaulx, De miraculis, p.134 Kalamazoo, Cistercian Publications, 2005. 191

Taylor 1965, I, p.198. 192

Hodges-Gibson 1919, p.41.

62

Sembra possibile che vi fosse una piccola navata laterale, che non è stata

registrata nel suo lavoro, ma che l’Hodges riporta nella pianta da lui redatta:

dovrebbe trattarsi di tracce di muratura (d), di un muro intermedio tra i pilastri

della navata centrale e il muro settentrionale.

All’esterno, nella zona meridionale, venne ritrovata la traccia di un

muro: senza ombra di dubbio tale fondazione doveva essere quella del muro

meridionale della chiesa di Wilfrid (b) ed anche qui, dalla pianta è possibile

notare un altro muro prospiciente a questo, a formare un’altra navata (c).

Di difficile interpretazione sono le tracce di una fondazione (d) che si

estende lungo la zona meridionale del transetto per la lunghezza di 24 metri

partendo dalla sala capitolare al centro dello stesso transetto: l’idea che possa

essere un piccolo portico d’accesso, proposta dall’Hodges193

, non dovrebbe

essere del tutto scartata, visto l’esempio di San Pietro a Bywell e della

descrizione delle cronache di Richard194

.

Sempre nella sala capitolare, dove oggi si trova il coro, nel 1908

apparvero dei grandi blocchi di pietra squadrati uniti da malta, che secondo

l’Hodges avrebbero dovuto formare una piattaforma rialzata dove si sarebbe

trovato l’altare: dal piano, però, si potrebbe ipotizzare che la “piattaforma”

formasse in qualche modo un corpo unico con l’abside, il che avvalorerebbe

l’ipotesi del Taylor che l’abside precedentemente fosse un edificio estraneo,

poi inglobato nel complesso; un altro indizio in questo senso è la presenza di

sette sepolture in questa zona (e), come se fosse un piccolo cimitero

indipendente: in totale, dislocate in varie parti dell’edificio (di cui due

all’interno della navata), le sepolture ammontano a 23, di cui sono conservate

le lastre di chiusura.

Grazie alle informazioni e planimetrie fornite dall’Hodges195

è possibile

risalire alle dimensioni della chiesa di Sant’Andrea: la navata doveva misurare

193

Hodges-Gibson 1919, p.42. 194

Richard di Hexham, The priory of Hexham, III (ed. Andrews and Co., Durham 1894, p. 12). 195

Hodges-Gibson 1919.

63

30,5 metri di lunghezza e 7,5 metri di larghezza, mentre la “cappella” era di 7

metri di lunghezza per 3,5 metri di larghezza, per un totale di 37 metri di

lunghezza per tutto il complesso.

Oltre a sant’Andrea, altre due chiese vennero costruite nello stesso

periodo da Wilfrid: a pochi metri di distanza dalla cattedrale si trovava un

edificio di modeste dimensioni dedicato alla Vergine, distrutto intorno al XVII

secolo, di cui rimane solamente una porzione di muratura, forse parte del

presbiterio ed una colonna, inglobate entrambe in una casa costruita sul sito e

la toponomastica della strada e la piazza sulla quale essa si affacciava, Old

Church Street e St. Mary Chare.

Le fonti antiche ci informano sul motivo della costruzione di questa

chiesa: Stefano di Ripon, il biografo di Wilfrid, e Beda196

raccontano che il

vescovo, in viaggio verso Roma, si trovava a Meaux, una cittadina francese, e

lì cadde gravemente malato e rimase in coma per cinque giorni; al quinto

giorno Wilfrid si svegliò e raccontò della visione avuta durante il sonno:

l’arcangelo Michele gli spiegò che la sua guarigione era dovuta

all’intercessione della Vergine Maria.

La piccola chiesa doveva essere usata forse come cappella aggiunta alla

cattedrale e subordinata ad esso, quindi servita da un canonico proveniente dal

complesso monasteriale e riprendeva in miniatura una chiesa italiana, vista la

presenza massiccia di maestranze provenienti dalla penisola; con tutta

probabilità, come le altre chiese della medesima zona, doveva presentarsi come

un edificio a navata unica, con un’abside rivolta ad est, al cui centro doveva

essere posto l’altare.

Richard cita anche la chiesa di san Pietro, ma la sua ubicazione è

sconosciuta197

. Anche i catasti medievali dei luoghi sacri della diocesi di

Hexham tacciono sulla sua ubicazione esatta, ma l’edificio cessa di essere

196

Stefano di Ripon, Vita sancti Wilfridi, 56 (ed. Colgrave pp.120-122); Beda, HEA,V, XIX, 194-221

(ed. Lapidge, II p.119). 197

Richard di Hexham, The priory of Hexham, IV (ed. Andrews and Co., Durham 1894, p. 15).

64

registrato dal 1310, forse distrutta a causa delle endemiche razzie degli

Scozzesi nella regione e mai più ricostruita o abbandonata e lasciata in stato di

decadimento.

IV.13 Hart

Il villaggio di Hart è situato a 5 chilometri a nord-ovest da Hartlepool.

Non si hanno notizie sul villaggio prima del IX secolo, quando il vescovo

Ecfred di Lindisfarne concede alla comunità di San Cutberto degli

appezzamenti di terra “presso Billingham nell’Heorternesse”198

: il toponimo

Heorternesse si è conservato fino al XIX secolo in Hartness, toponimo con cui

il villaggio di Hart era conosciuto, il cui significato, secondo Austin, deriva

dalle parole sassoni *heorot e *gehernes (letteralmente la “sala dell’ascolto”),

con il quale veniva indicata un’area amministrativa199

, quindi probabilmente

Heorternesse era il territorio sotto l’amministrazione del villaggio di Hart.

Non sono d’accordo completamente con la traduzione che Austin da del

toponimo: *heorot, nell’antico inglese, significa “cervo” e non “sala”200

, ma il

senso potrebbe essere sempre quello di un luogo dove si amministrava il

territorio; in aiuto ci viene un passo del Beowulf, il poema anonimo

anglosassone composto tra l’VIII e l’XI secolo, in cui viene descritta una

grande sala dove il leggendario re danese del VI secolo Hroðgar svolgeva le

198

Hart 1975, p.138. 199

Austin 1976, p.73. 200

DEPN 1960, p.222.

65

sue mansioni che viene chiamata Heorot, la “Sala del Cervo”201

. Il fatto di aver

scelto questo nome potrebbe far ipotizzare una vasta circolazione orale e forse

scritta delle leggende legate al personaggio di Beowulf, le quali arrivarono

nell’ East Anglia sembra intorno al VII secolo, viste anche le affinità tra il sito

funerario di Sutton Hoo e le genti scandinave202

.

Ancora una volta ci vengono in aiuto i toponimi del territorio di Hart che

evocano edifici e luoghi che l’archeologia non è più in grado di rintracciare: ad

un km dal centro cittadino si stende un campo posto a coltura denominato

Kirkfield, area nota anche nei catasti del 1770 come “Old Kirk”; kirk è una

parola di origine scandinava equivalente all’odierno inglese church (chiesa): il

toponimo potrebbe indicare un campo nel quale sorgeva una chiesa oppure un

fondo ecclesiastico203

.

L’unica chiesa superstite del villaggio di Hart si trova a nord della strada

principale che da Hartlepool porta a Durham, al di sopra di una piccola collina

dedicata a Maria Maddalena (fig.46).

La pianta ricorda molto da vicino gli altri edifici ecclesiastici fin qui

riportati, anche se a prima vista, non vi sono elementi architettonici che

inducano a datare il complesso prima del XII secolo, se non l’arco di accesso al

presbiterio, la cui cronologia è oggetto di controversia tra gli studiosi.

L’arco (fig.47) si trova all’interno della chiesa è chiaramente di epoca

normanna: l’uso di pietre non squadrate per la tecnica muraria sia qui che nel

resto del complesso rinvia cronologicamente al XV secolo, quando vennero

costruiti il portico e la navata meridionale204

. Da notare, però, al di sopra

dell’arcata, un’altra piccola arcatella, posta come alleggerimento della struttura

muraria sovrastante o come suggerisce Taylor, l’unica parte sopravvissuta

dell’arco trionfale di epoca anglosassone205

.

201

Beowulf, v.74-79 ed. Hudson 2007. 202

Newton 1993. 203

Watts 2002, p.126. 204

Daniels 2012, p.20. 205

Taylor 1965, I, p.288.

66

Nonostante l’incertezza sulla datazione dell’edificio, all’interno della

chiesa vengono conservate due frammenti fittili di colonnine (fig.48), forse

facenti parti di una costruzione libera all’interno della chiesa stessa. Simili

oggetti sono stati rinvenuti nel monastero di Hilda ad Hartlepool, databili tra il

VII e l’VIII secolo206

: la presenza di queste colonnine potrebbero indicare uno

stretto legame tra le due località, facenti parte dello stesso territorio

ecclesiastico, dove i chierici del monastero venivano inviati per la loro

missione pastorale. Durante scavi condotti negli anni ’50 del XX secolo,

vennero alla luce diversi fori per pali che indicavano la presenza di edifici

lignei, ma il loro stato di conservazione rese molto difficoltosa la

comprensione di tali edifici207

; con sicurezza venne rintracciata una trincea

usata per innalzare una palizzata che doveva proteggere l’area intorno alla

chiesa208

. E’ possibile che le colonnine fittili sopracitate fossero delle

decorazioni per proteggere la struttura lignea di un edificio, forse della

primitiva chiesa di Hart.

Altro particolare interessante la presenza di una meridiana (fig.49), oggi

murata nel portico meridionale, di cui si conosce solo un altro esempio nella

chiesa di Escomb, mentre in Northumbria è totalmente assente.

206

Daniels 2012, p.15. 207

Austin 1976, p.84. 208

Austin 1976, p.87.

67

IV.14 Seaham

Seaham è un piccolo villaggio di pescatori che si trova a 300 metri dalle

scogliere della costa della contea di Durham, sul versante settentrionale della

valle di Seaham Burn.

L’attuale villaggio è sorto ad un chilometro dalla chiesa di Santa Maria,

la quale era circondata dal villaggio precedente, di cui rimangono gli edifici del

vicariato e della sala per le assemblee.

La chiesa dedicata alla Vergine (fig.50) non era stata associata all’epoca

anglosassone prima del 1913, quando furono decisi dei lavori di

ristrutturazione dell’edificio e degli scavi al di sotto del terreno che circondava

la chiesa209

: gli scavi di Aird portarono alla luce le fondamenta antiche

dell’edificio, ricalcate dalla pianta normanna successiva, ma con un presbiterio

molto più piccolo (3x2 metri rispetto ai 10,7x7 metri) e un annesso occidentale,

forse un portico o un battistero, nel luogo dove oggi sorge la torre risalente al

XII secolo. Aird dedusse, confrontando la pianta e le finestre presenti sulla

navata con la cappella di Escomb, che questi due edifici dovevano essere

contemporanei, viste le loro evidenti somiglianze architettoniche, mentre altri

studiosi asserirono che le murature utilizzate per la parete settentrionale erano

caratteristiche costruttive tipiche dei lavori effettuati nei venti o trenta anni

seguenti la conquista normanna; la teoria di Aird venne avvallata anche da

Taylor, che datò il complesso tra il 650 e il 700, basandosi anche sulla pianta

dell’edificio che ricalca fedelmente le chiese sassoni della Northumbria210

.

All’interno, la navata (16,5x6 metri) presenta una muratura formata da piccole

209

Taylor 1965, II, p.534 210

Taylor 1965, II, p.535

68

pietre squadrate alternate da cunei di grandi dimensioni, anche questa

riconducibile all’epoca anglosassone.

IV.15 Sockburn

A sud di Darlington, l’ansa del fiume Tees crea un piccolo lembo di

terreno chiamato localmente “la penisola di Sockburn”: qui sorge il villaggio

che dà il nome alla “penisola” (fig.51).

Non si hanno notizie riguardanti Sockburn prima della fine dell’VIII

secolo, quando viene citata con il nome di Sochasburg in connessione alla

consacrazione dell’arcivescovo Endbald II nel 796211

e a partire dal X secolo

scompare dalle cronache, probabilmente a causa degli sconvolgimenti che il

territorio subì a causa delle razzie vichinghe e del loro successivo stanziamento

nella contea.

A pochi passi dalla Sockburn Hall, residenza dei nobili locali, i Conveys,

è possibile notare delle arcate gotiche completamente in rovina (fig.52): è ciò

che rimane della chiesa dedicata a tutti i Santi, rimasta in uso fino al 1838,

quando una nuova chiesa e parrocchia furono create a Girsby, nello Yorkshire,

sull’altra sponda del fiume Tees.

Nel corso dei secoli l’edificio ha subito vari rimaneggiamenti, come ad

esempio la navata settentrionale edificata nel XV secolo, trasformata nel ‘700

come tomba di famiglia, ma già nel 1891 l’Hodges, il primo ad averla

211

Simeone di Durham, Libellus de exordio, II (ed. Rollason, p. 155).

69

rintracciata dopo secoli d’oblio, la descrive già in stato di rovina ed

abbandono212

(fig.53).

L’unico indizio che far ipotizzare che l’edifico già esistesse durante

l’epoca anglosassone è la navata, la quale misura 8,5x5,3 metri, misure simili

alla piccola chiesa di Escomb, anche se in scala minore213

.

Durante gli scavi effettuanti nel 1900 per il restauro della tomba

familiare dei Conveys, vennero rintracciate delle fondazioni, che vennero

identificate con quelle del presbiterio della chiesa anglosassone64

.

IV.16 Staindrop

Situato a 20 chilometri a nord-ovest di Darlington, sulla strada principale

che da Barnard Castle si dirige verso Auckland, Staindrop in passato era una

cittadina di mercato di una certa importanza, soprattutto quando la potente

famiglia Neville, nel XIV secolo, dimorava nel vicino Raby Castle.

La storia del villaggio comincia nel 1018, quando il re Canuto il Grande,

in pellegrinaggio verso Durham, pone la parrocchia di Staindrop ed altre sotto

il controllo ecclesiastico della chiesa di San Cutberto a Durham214

.

212

Hodges 1894, p.65-66. 213

Taylor 1965, II, p.555. 214

Simeone di Durham, Libellus de exordio, III (ed. Rollason, p. 276).

70

La chiesa di Santa Maria (fig.54), precedentemente dedicata a San

Gregorio, si presenta come un grande edificio a pianta centrale con presbiterio,

a cui è annessa una piccola residenza a due piani per il clero.

Il primo a comprendere che le murature della navata fossero di un’età

più antica rispetto al resto dell’edificio fu il reverendo Hodgson, comparandole

a quelle della chiesa di Escomb215

, ma anche in questo caso, la prova che il

primo edificio fosse effettivamente stato costruito negli stessi anni di Escomb

è molto labile; nella parte superiore si aprono piccole finestre di epoca

normanna (fig.55).

Secondo la ricostruzione di Taylor216

, l’antica navata di Santa Maria

avrebbe dovuto misurare 12,5 metri in lunghezza e 7 metri in larghezza, che

vengono giudicate da Ryder più vicine all’architettura normanna che a quella

sassone217

.

VI.17 Escomb

Prima che diventasse un centro minerario carbonifero, Escomb doveva

essere un villaggio molto simile ai molti che si affacciano sulle rive del fiume

Wear: solamente negli ultimi anni, dopo lo sviluppo minerario del XIX secolo,

la cittadina riscoprì il suo aspetto rurale.

215

Hodgson 1889, p.83. 216

Taylor 1965, II, p.566. 217

Ryder 1999, p.23.

71

La chiesa dedicata a San Giovanni l’Evangelista (fig.56) è il più

completo esempio di chiesa anglosassone insieme alla Cappella di Odda a

Deerhurst, nel Gloucestershire, e alla chiesa di San Lorenzo a Bradford-on-

Avon, nel Wiltshire, ma, rispetto a queste due, San Giovanni ha avuto una

ininterrotta continuità di vita, eccetto per un piccolo periodo tra il 1863 e il

1867, quando venne edificata in cima ad una collina nelle vicinanze.

L’antichità dell’edificio venne rilevata già dal reverendo Hoppell e da lui

descritta ai membri della “Durham and Northumberland Archaeological

Society” nel 1879218

. Nella sua Historia Ecclesiastica, Beda non cita Escomb è

il fatto è molto strano, visto che la cittadina si trova a poca distanza dal

monastero di Jarrow, nel quale Beda passò tutta la sua vita; è possibile

ipotizzare che San Giovanni venne costruita dopo il 735, data della morte di

Beda, ma l’ipotesi non può essere totalmente accettata: il monaco nomina

chiese che sono associate ad eventi storici che in quel momento lui sta

narrando.

L’edificio nella sua struttura è molto semplice: consiste in un’unica

navata, lunga 16,5 metri per 5 metri di larghezza, terminante in un piccolo

presbiterio quadrangolare (3,5 metri per lato) a cui si accede attraverso un arco

(5,5 metri in altezza e 2,5 metri in profondità) e per le murature vennero

utilizzate le pietre asportate dal vicino campo legionario di Vinovium (odierna

Binchester), distante 2 chilometri da Escomb219

.

L’edificio presentava due camere, una settentrionale ed una occidentale,

le cui fondazioni sono state rinvenute durante degli scavi effettuati nel 1968 ed

interpretate come due portici d’accesso alla navata.

In cima ai muri della navata, ad un’altezza di 4,5 metri dal suolo, si

trovano le quattro finestre originali, costruite tutte allo stesso modo (le imposte

218

Hoppel 1879, p.380-384. 219

Oltre al tipo di pietre che presenta una lavorazione di epoca romana, sul muro settentrionale esterno è

presente una parte di un’epigrafe su cui è possibile leggere LEG VI. La Legio sexta Victrix è attestata in

Britannia dal 120 d.C., quando venne trasferita dalla Germania Inferiore a Eburacum (York) per sopperire al

vuoto di truppe creatosi con la distruzione della IX Hispana (Le Bohec 1992, p.33).

72

sono formate da due lastre di pietra strette e due lastre rettangolari più grandi

per la piattabanda e il davanzale.

L’arco di accesso al presbiterio (fig.57) presenta delle affinità costruttive

con l’arco presente all’interno della torre di San Michele a Corbridge, il che

potrebbe portare ad ipotizzare anche qui la traslazione di un arco utilizzato

precedentemente per qualche edificio del forte di Binchester. Sul lato

settentrionale, sul muro retrostante il pulpito, è incisa, a 1,8 metri dal suolo,

una piccola croce di tipo celtico, contemporanea alla costruzione dell’edificio

(fig.58).

Nella parete settentrionale si aprivano due porte, murate in un secondo

momento: da notare la presenza su uno stipite di una decorazione vegetale

(fig.59), forse una spiga di grano, che alcuni resoconti descrivono come

“l’albero della vita” perché fiancheggiato da due figure umane (Adamo ed

Eva), ma oggi è impossibile distinguere qualcosa di associabile a delle figure

umane (fig.60).

All’esterno del muro meridionale, tra due finestre, ad un’altezza di 6

metri dal suolo, si nota una meridiana posta nella muratura (fig.61), il che fa

supporre che sia contemporanea all’edificio; la meridiana si presenta come un

semicerchio litico, incorniciato in basso da un cordone e sormontato da un

serpente, entrambi in altorilievo. Sono ancora visibili distintamente tre linee,

con un’angolazione di 45° e il foro per lo gnomone. A completamento di tutto

l’apparato decorativo, una pietra sporgente dal muro che sovrasta la meridiana,

forse una testa animale appena abbozzata.

73

IV.16 Chester-le-Street

La cittadina di Chester-le-Street si trova ad 11 chilometri a sud di

Newcastle e, come molte città e cittadine inglesi, il suo nome tradisce la sua

nascita dalla presenza di un forte legionario, il forte di Concangis220

. Il forte

venne costruito intorno al 100 nelle vicinanze della Cade’s Road, il cui nome

antico è sconosciuto, il cui tragitto si snodava da Eburacum (York) fino a Pons

Aelius (Newcastle).

Il nome Concangis deriva dalla latinizzazione della parola celtica

indicante “il popolo dei cavalli”, forse riferita ad una tribù celtica che abitava il

territorio.

Dopo l’abbandono della Britannia da parte delle legioni romane, non

abbiamo più notizie della cittadina almeno fino all’inizio dell’VIII secolo,

quando l’anonimo autore della Vita Sancti Cuthberti, racconta un miracolo

giovanile del non ancora monaco Cutberto avvenuto nei pressi di Chester-le-

Street: mentre stava accingendosi ad attraversare il fiume Wear in inverno,

Cutberto trova riparo in un’abitazione vuota. Al limite delle forze per i morsi

della fame, accade il miracolo: il suo cavallo fa cadere dal soffitto del riparo

del pane caldo e della carne221

. La leggenda del miracolo di Chester-le-Street

potrebbe essere la testimonianza di un antico culto tributato al monaco

northumbriano dopo la sua morte, avvenuta nel 687, nella cittadina e

l’abitazione dove avvenne la trasposizione leggendaria della prima chiesa

lignea di Chester-le-Street. Questa connessione tra Chester-le-Street ed il santo

divenne più forte quando nel’882

220

Il forte viene elencato tra i forti della Britannia nella Notitia Dignitatum (IV-V sec., Praefectus numeri

vigilum, Concangios ) e ancora nel VII sec. nella Cosmografia ravennate con il nome di Coganges (V 31,

p.432 ed. Pinder-Parthey) . 221

Colgrave 1940, pp.70-71.

74

Arrivarono dei monaci provenienti da Lindisfarne con il corpo del santo,

per difenderlo dalle razzie vichinghe che imperversavano sull’isola e rimase

nella chiesa a lui dedicata fino al 995, quando venne nuovamente traslato a

causa degli attacchi dei pirati danesi222

.

L’attuale chiesa di Santa Maria e San Cutberto (fig.62) sorge al centro

dell’abitato, costruita al di sopra dei principia del forte Concangis, ma

solamente la parte occidentale della parete meridionale del presbiterio presenta

una muratura composta da grandi pietre, riconducibile ad un edificio di epoca

anglosassone223

.

IV.17 Monkwearmouth e Jarrow

Il doppio monastero di Monkwearmouth-Jarrow fu fondato nel 674 da

Benedict Biscop, che in gioventù era stato compagno di Wilfrid nei suoi viaggi

e successivamente abate del monastero dei santi Pietro e Paolo a Canterbury, il

quale stabilì il primo nucleo del monastero a Monkwearmouth con la

costruzione di una chiesa dedicata a San Pietro in un terreno donato dal re di

Northumbria Ecgfrith224

. La missione a cui si era votato Benedict Biscop era

di fondare un monastero modello per sostituire alla Chiesa di tradizione celtica

la tradizione romana ed ottenne, grazie ad una lettera papale inviatagli nel 678,

che il monastero non fosse sotto il controllo della corona.

222

Battiscombe 1956, pp. 19-20; Selkirk 2000, pp.336-337. 223

Taylor 1965, II, p.716. 224

Beda, Historia abbatum 1-13 (ed. Plummer 1896).

75

Nel 682 il re concesse altro terreno a Bishop e gli chiese di fondare un

secondo monastero: così nacque una fondazione monastica “sorella” a Jarrow,

costituita intorno alla chiesa di San Paolo e posta sotto il controllo dell’abate

Ceolfrith a cui si aggiunsero venti monaci provenienti da Monkwearmouth, tra

cui un giovane monaco di nome Beda.

Monkwearmouth

Monkwearmouth è un’area a nord della foce del fiume Wear. In origine

era uno dei tre agglomerati, insieme a Sunderland e Bishopwearmouth, che

sorgevano sulle rive del fiume, una zona oggi nota come East End.

La chiesa di San Pietro oggi si presenta uno sviluppo longitudinale da

ovest ad est, la cui entrata si trova nella torre campanaria. Il corpo principale

consiste in un’unica stretta navata, nella quale si apre una larga struttura

moderna sul lato settentrionale, terminate in un presbiterio.

La torre campanaria si compone di cinque piani, ma è il piano più basso

quello che desta il maggior interesse: la torre risulta poggiare sull’antico

portico d’entrata, voltato a botte, che non solo introduceva alla navata, ma

anche a delle camere che si trovavano ad ovest della navata. La “porta

occidentale” (fig.64) non era propriamente una porta, ma costituiva l’entrata

principale e venne pensata come un vano aperto, senza la presenza di una

porta. Il vano è costruito seguendo lo “stile di Escomb”, alternando pietre

posizionate verticalmente ed orizzontalmente, con l’eccezione che le pietre

verticali sono decorate: i motivi ritraggono delle strane creature con la testa

76

simile ad un uccello, le quali intrecciano il loro corpo anguiforme in una specie

di lotta, ma non più visibili225

.

Al di sotto del soffitto sulla parete occidentale corre un cordolo

composto da pannelli riccamente decorati con animali in rilievo, ma in cattivo

stato di conservazione226

.

All’interno, la navata si presenta di grande proporzioni rispetto alle altre

chiese del medesimo periodo (10 metri di altezza per 23 metri di lunghezza),

ma solamente il muro occidentale è riconducibile all’edificio voluto da Biscop,

a causa dei danni procurati dall’attacco vichingo del 794 e della distruzione

compiuta dai Danesi nel 860.

La rimarchevole altezza delle pareti laterali e la presenza di tre finestre

sulla parete orientale una al di sopra dell’altra potrebbero far ipotizzare che la

navata possedesse due piani e che ognuna della finestre fornisce la luce

necessaria a ciascun piano. Le finestre si trovano rispettivamente a 9 metri dal

suolo, quelle relative al secondo piano ed a 7 metri.

Jarrow

Il monastero (fig.65) sorge anch’esso lungo la riva di un fiume, come il

monastero gemello, ma in questo caso è il fiume Tyne, che scorre più a nord

rispetto al Wear. Jarrow viene ricordato da Beda con il nome di Gyrwum227

,

225

Taylor 1965, II, p.438. 226

Taylor 1965, II, p.438.

227 Beda, HEA,V, XXI, 12 (ed. Lapidge, II, p.432).

77

toponimo che deriva dall’antico anglosassone (æt) Gyrwum che significa

“(presso) gli abitatori della palude”228

.

La chiesa monastica di San Paolo originaria (fig.66), che occupava la

navata dell’attuale edificio, rimase in piedi fino al 1782 e venne rimpiazzata

con un nuovo edificio, anch’esso demolito un secolo più tardi, nel 1866, sul

quale venne edificata la navata attuale. E’ notevole come, nonostante i vari

rifacimenti e il decadimento occorso durante i secoli, gran parte dell’edificio

sia rimasto intatto, anche se non ci sono testimonianze precise per quanto

riguarda la struttura da parte dei “demolitori” del XVIII secolo, se non il

resoconto dell’Hutchinson nella sua History of Durham, in cui descrive alcuni

particolari della chiesa: un piccolo portico faceva da ingresso alla chiesa la cui

porta di accesso è affiancata da un pastorale [spiegare meglio cosa sia] in

pietra, forse preso da una copertura tombale più tarda. Per accedere alla navata,

la quale si trovava qualche metro al di sotto del livello del suolo, bisognava

scendere tre alti gradini, ai lati dei quali si aprivano due archi, di cui quello

orientato a sud introduceva in un altro piccolo portico utilizzato come

sacrestia229

.

La navata era molto ampia, illuminata da finestre “irregolari, sormontate

da piccoli archi, raffazzonate in più punti, il che rendeva difficile attribuire le

varie parti ad un epoca precisa”230

. Per diversi anni la navata in rovina venne

utilizzata come cimitero e soltanto il presbiterio, precisa l’Hutchinson, veniva

usato per le messe231

.

Sul muro settentrionale della navata, ricorda ancora l’Hutchinson, era

posta l’ epigrafe dedicatoria della chiesa (fig.67); oggi l’epigrafe è ancora

intatta ed è possibile ammirarne una copia al pian terreno della torre

campanaria, al di sopra dell’entrata settentrionale, mentre l’originale si trova

poco prima di entrare nel presbiterio.

228

Ekwall 1960, p.268. 229

Hutchinson 1787, p.475. 230

Hutchinson 1787, p.475. 231

Hutchinson 1787, p.475.

78

DEDICATIO BASILICAE

S(an)C(t)I PAVLI VIIII K(a)L(endas) MAI(as)

ANNO XV ECFRIGI REG(is)

-------------------------------------------------------

CEOLFRIDI ABB(atis) EIVSDEM Q(uo)

Q(ue) ECCLES(iae) D(e)O AVCTORE

CONDITORIS ANNO IIII

Tale epigrafe, però, solleva una questione su chi sia il fondatore della

chiesa e, di conseguenza, di tutto il complesso monastico; Beda riporta Biscop

come fondatore del complesso e lui stesso ne pose come abate Ceolfrith, ma la

dedica pone l’abate come conditor della chiesa.

Tale discrepanza tra le fonti scritte e la fonte epigrafica è difficilmente

spiegabile: il Plummer proponeva, basandosi sulle notizie fornite da Beda, che

in quel periodo Biscop fosse assente per uno dei suoi viaggi a Roma e che per

quest’assenza non fu elencato tra i fondatori del monastero232

. Non è possibile

accettare la soluzione proposta dal Plummer per due motivi: il primo è che un

evento importante come la dedicazione della chiesa del monastero gemello di

Monkwearmouth non poteva essere celebrato senza il fondatore dello stesso e

il promotore, stando alle parole di Beda233

, della creazione di Jarrow; Biscop

avrebbe potuto cambiare i suoi piani per il viaggio o spostare il giorno della

dedicazione.

232

Beda, Historia abbatum 1-13 (ed. Plummer 1896). 233

Beda Historia abbatum, 9 (ed. Plummer 1896 p.373).

79

Il secondo è che Beda stesso non fornisce nessuna coordinata

cronologica per il viaggio che il Plummer ipotizzò potesse essere stato

compiuto da Biscop nell’aprile del 685.

E’ possibile supporre che all’inizio Jarrow fosse una fondazione separata

e solamente dopo la morte di Biscop Ceolfrith divenne abate di entrambi i

monasteri. Se si accetta questa ipotesi, bisogna rivalutare il tipo di donazione

fatta da re Ecgfrith: Monkwearmouth venne fondata da Biscop su un terreno

donato dal re, mentre Jarrow venne fondata dal re in persona; la Vita Ceolfridi

attesta che il terreno dove sarebbe sorto il monastero di Jarrow venne donato

per l’anima del re234

: la frase pro redemptione animae suae potrebbe essere

l’eco del motivo della costituzione del monastero; quindi Ecgfrith non ha

donato il terreno né a Biscop né a Ceolfrith, ma direttamente a Dio ed essendo

una fondazione legata strettamente alla casa reale, a differenza della

fondazione gemella, Ceolfrith è l’abate del re.

Osservando il muro meridionale del presbiterio si notano tre piccole

finestre, del tutto simili a quelle presenti nella chiesa di Escomb, di cui una

conserva l’originale decorazione vitrea. Al di sopra di questa è possibile

intravedere i resti di un’entrata in seguito murata, che doveva dare accesso ad

una galleria superiore nel lato occidentale.

Per ricostruire la storia architettonica del complesso monasteriale

possiamo avvalerci di tre disegni ed una planimetria, conservati al British

Museum di Londra: il primo disegno, datato 1728 e firmato da certi fratelli

Buck (fig.68), mostra la chiesa e gli edifici monastici visti dal lato sud-ovest; il

secondo è un disegno anonimo che mostra l’interno in elevato datato 1769,

stessa data riportata sulla planimetria (fig.69). L’ultimo disegno è ancora una

veduta degli edifici firmata J. Grim, ma stavolta la prospettiva è orientata verso

nord (fig.70).

234

Vita Ceolfridi, 11 (ed. Plummer 1896 p.391).

80

Questi disegni sono di estrema importanza per mettere in connessione il

presente edificio con quelli che l’hanno preceduto.

Grazie all’anonima planimetria dell’alzato ed alla descrizione dell’

Hutchinson, è possibile ipotizzare la grandezza della basilica (doveva misurare

32 metri di lunghezza per 7 metri di larghezza, con le pareti laterali che si

alzavano per 10 metri dal suolo), con un portico occidentale a due piani e la

navata doveva essere affiancata da piccole cappelle laterali.

Il presbiterio oggi visibile, in realtà era una cappella adiacente al corpo

principale della chiesa: l’assetto dato a questi due edifici ricorda molto la

distribuzione degli edifici a Canterbury nel monastero di sant’Agostino, dove

una cappella dedicata alla Vergine si trova simmetricamente ad est della chiesa

principale. Questa somiglianza tra monasteri così lontani geograficamente, ci

riporta alla discussione sulla fondazione del complesso di san Paolo, dato che

alcuni studiosi ritengono questa similarità un indizio a favore di Biscop, il

quale per due anni fu abate proprio a Canterbury ed a questo si ispirò quando

fondò il proprio monastero235

.

Per quanto riguarda la decorazione, ancora Beda ci viene in aiuto,

dicendo che la chiesa era ornata da tavole dipinte raffiguranti Cristo ed altri

personaggi biblici236

.

La cappella e la chiesa di san Paolo furono unite in un solo edificio nel

1073 o nel 1074 dal vescovo di Durham Aldwin, il quale desiderava

ristrutturare i monasteri legati alla figura di Beda.

235

Taylor 1965, I, p.343; Radford 1954, pp.203-205. 236

Beda Historia abbatum, 6 e 9 (ed. Plummer 1896 p.369, p.373).

81

IV.18 Hartlepool

Hartlepool si trova a 9 chilometri dall’estuario del fiume Tees ed il suo

nome deriva dall’antico inglese e significa “Isola del Cervo” (da heorot, cervo

ed eg, isola)237

: è con questo toponimo che Beda (traducendolo correttamente

in Insula Cervi) si riferisce alla penisola costiera sulla quale sorgeva il

monastero di Heiu.

Intorno alla metà del VII secolo, ad Hartlepool venne fondato un

monastero doppio da Heiu, una donna di stirpe nobile che Beda afferma essere

stata la prima in Northumbria che decise di dedicarsi alla vita religiosa, con la

consacrazione del vescovo Aidan238

. Nel 655 re Oswiu mandò sua figlia

Ællflæd di appena un anno presso il monastero retto dalla badessa Hilda, poi

fondatrice del monastero di Whitby, “per essere consacrata al Signore in

perpetua verginità” in ringraziamento per aver ottenuto la vittoria su Penda re

dei Merciani, insieme a dodici appezzamenti di terreno239

.

Del monastero anglosassone oggi non rimane alcuna traccia, se non un

cimitero databile alla metà dell’VIII secolo, mentre sono stati rinvenuti buchi

per pali e solchi per staccionate di 16 edifici molto piccole (3,5 x 4,5 metri),

probabilmente case con un annesso cortile per gli animali.

237

DEPN 1960, p.222. 238

Beda, HEA, IV, XXI, 29-34 (ed. Lapdige, II, p.267). 239

Beda, HEA, III, XXIV, 36-45 (ed. Lapdige, II, p.115).

82

IV.19 Hackness

Il villaggio di Hackness, nel North Yorkshire, dista circa 22 chilometri

verso sud da Whitby, poche miglia all’interno di Scarborough, nei North York

Moors.

Hackness viene già citato da Beda con il nome di Hacanos per la

presenza di un monastero costruito dalla badessa Hild nell’anno della sua

morte, avvenuta nel 680. In epoca più recente, ma prima della conquista

normanna, nel luogo sorgevano due chiese allineate, una dedicata a San Pietro,

l’altra alla Vergine; della seconda non rimane alcuna traccia, mentre alcune

parti della prima, secondo il Taylor e risalenti al tardo VIII secolo, sono

incorporate nella attuale chiesa normanna dedicata sempre all’apostolo (fig.71).

Alcuni elenchi di reliquie, di epoca tarda, riferiscono che a Hackness si

trovavano le spoglie di una Æthelburg; una badessa di questo nome è ricordata

in un’iscrizione su una croce di pietra, databile all’VIII secolo (fig.72):

[…] ABBATISSA OEDILBURGA ORATE PRO

[…] [OEDI]L[BVRG]A SEMPER TENET COMMVNITATES

TVAE TE MATER AMATISSIMA

L’iscrizione si articola sui quattro lati della croce ed, oltre a quelle in

latino, sono presenti altre lettere appartenenti ad altri alfabeti, quello runico del

83

dialetto northumbro (fig.73) e dell’alfabeto di Ogham240

(fig.74), entrambe di

difficile interpretazione.

Secondo recenti studi241

, l’espressione in antico irlandese sarebbe da

tradurre come un invocazione di un pellegrino (“la Croce del Re Gesù, roccia

di salvezza per Angus”), mentre le tre rune anglosassoni sarebbero un

anagramma per la frase “Æthelburg mi conosce”.

IV.20 Kirk Hammerton

La chiesa di San Giovanni Battista sorge al di sopra di una collina che

sovrasta il villaggio di Kirk Hammerton, a 13 chilometri ad ovest di York.

Della chiesa anglosassone non riamane nulla se non alcuni stipiti

angolari che permettono di ricostruire la pianta dell’edificio: la navata

misurava 7,5x4,5 metri e il presbiterio 3x2 metri.

240

L’alfabeto di Ogham è un tipo di scrittura sviluppata in Irlanda nel IV secolo (Sermon 1996, pp.101-111). 241

Geake 1994; Sermon 1996, pp.107-111.

84

IV.21 Lastingham

Oggi Lastingham è uno sperduto villaggio del North Yorkshire, 5

chilometri a nord-est di Kirby Moorside, ma Beda ricorda il luogo

(Laestingaeu) come sede di un monastero.

Il monastero venne fondato da Cedd, vescovo consacrato nel 635 con la

probabile sede a Londra242

, su un terreno donatogli dal re Æthewald. Prima

della fondazione, Cedd osservò un periodo di digiuno e di penitenza “secondo

la regola dei suoi padri”243

, per purificare la zona; il luogo scelto risulta del

tutto isolato da qualunque via di comunicazione (l’antica strada che conduceva

da York a Whitby passava a circa 10 chilometri più ad est) rispetta il topos

letterario del deserto.

La chiesa dedicata alla Vergine che attualmente è possibile vedere è di

epoca normanna e, oltre alla notizia fornita dalla Historia ecclesiastica, non

abbiamo evidenze relative all’edificio più antico.

242

Beda, HEA, III, XXII, 30-40 (ed. Lapidge, II, p.105). 243

Beda, HEA, III, XXIII, 29-35 (ed. Lapdige, II p.109); non è chiaro di quale regola si stia parlando: la

Regula sancti Benedicti, ad esempio, non contiene alcuna disposizione per la purificazione del sito dove

costruire una chiesa. Nessun pontificale anglosassone è giunto fino a noi, ma il Penitenziale dell’arcivescovo

Teodoro (precedente al 690) prescrive di celebrare delle messe prima della dedicazione di una chiesa (DACL

IV, coll.374-405).

85

IV.22 Ledsham (fig.75)

Ledsham sorge a circa 8 chilometri ad est di Leeds, al limitare della

Forest of Emlet. La chiesa più antica, dedicata a tutti i Santi, oggi si presenta

con una torre occidentale annessa ad una navata centrale con una navata più

piccola e un portico meridionale, un presbiterio con una cappella ed una

sacrestia del XIX secolo.

La chiesa più antica, costruita in pietra arenaria, doveva essere un

edificio con un’unica navata e un piccolo presbiterio, di cui non rimane alcuna

traccia244

.

Le murature dei muri meridionali e occidentali sopravvivono per lo più

intatti e nel muro meridionale si apriva una porta che introduceva nel portico.

L’attuale portico è di origine medievale, ma possiamo suppore che in epoca

antecedente svolgesse la funzione di un portico laterale245

.

La quasi totalità delle finestre anglosassoni fu murata durante i restauri

del 1871, ma per quello che è possibile vedere risentono molto dello stile di

Escomb246

.

L’intero complesso ricorda molto da vicino quello di Monkwearmouth,

il che porta a datare l’edificio al VII secolo.

244

Taylor 1965, I, p.378. 245

Taylor 1965, I, p.380. 246

Taylor 1965, I, p.381.

86

IV.23 Masham

Ad 6 chilometri a nord-est di Ripon, il villaggio di Masham occupa un

altopiano sulla riva meridionale del fiume Ure.

La chiesa di santa Maria conserva la tipica muratura anglosassone di

grandi pietre squadrate sui muri settentrionale, occidentale e orientale della

navata, che potrebbe datare l’edificio al VII secolo247

.

Le dimensioni coincidono con la media delle altre chiese qui proposte: la

navata misura 22 metri in lunghezza e 9 metri di ampiezza248

.

IV.24 Ripon

Sul territorio di Ripon, situata alla confluenza di due piccoli corsi

d’acqua del fiume Ure, non si hanno notizie riguardanti insediamenti

preistorici o romani.

247

Taylor 1965, II, p.784. 248

Taylor 1965, II, p.784.

87

Le prime notizie riguardanti Ripon sono datate al VII secolo: il

monastero che sorgeva nel villaggio di Hrypum venne concesso dal re Alhfrith

a monaci di osservanza irlandese, fra i quali Eata, abate di Melrose e poi

vescovo di Lindisfarne249

, ma in seguito, intorno al 660, il medesimo re lo

assegnò a Wilfrid insieme ad Hexham250

; questi sue monasteri costituirono la

base per il potere di Wilfrid in Northumbria.

La chiesa di San Pietro (fig.76) venne costruita e consacrata tra il 671 e

il 678251

, ma dell’edificio di Wilfrid non rimane altro che la cripta, situata al di

sotto della navata.

La cripta di san Pietro (fig.77) per molti aspetti risulta simile alla cripta

di un altro monastero fondato da Wilfrid, sant’Andrea ad Hexham, ma rispetto

a questa ha soltanto due passaggi che portano alla sala principale invece che

tre.

L’ambiente consiste in un’anticamera con orientamento nord-sud e una

camera principale orientata est-ovest, sormontata da una volta a botte. Le pareti

sono costruite con grossi blocchi di pietra, nelle quali furono aperte quattro

nicchie per l’alloggiamento delle lampade, mentre nella parete orientale si

trova una grande cavità, forse usata per riporre le reliquie. Il modello a cui

Wilfrid si ispirò per le cripte furono i martyria che poté visitare di persona

durante i suoi soggiorni a Roma.

L’anticamera misura 4,5x2 metri, mentre la camera principale 4x2,5

metri, con la volta che dista 3 metri dal pavimento252

.

All’interno della chiesa si trovava anche la tomba del fondatore, al di

sotto di un altare meridionale, al di sopra del quale campeggiava una lapide

249

Beda, HEA, V, XIX, 103-105 (ed. Lapidge, II, p.417); Beda, Vita sancti Cudbercti, VII (ed. Colgrave

p.174). 250

Beda, HEA, III, XXV,57-62 (ed. Lapidge, II, p.123). 251

Stefano di Ripon, Vita sancti Wilfridi,18 (ed. Colgrave p.46). 252

Taylor 1965, II, p.517.

88

con l’epitaffio per Wilfrid253

; l’epigrafe è andata perduta, ma Beda riporta per

intero il suo contenuto254

:

Vilfridus hic magnus requiescit corpore presul

Hanc Domino qui aulam ductus pietatis amore

Fecit et eximio sacravit nomine Petri

Cui clauses caeli Christus dedit arbiter orbis

Atque auro ac Tyrio devotus vestiit ostro

Quin etiam sublime crucis radiante metallo

Hic posuit tropaeum necnon et quattuor auro

Scribi evangelii paecepit in ordine libros

Ac thecam e rutilo his condignam condidit auro

Paschalis qui etiam sollemnia tempora cursus

Catholici ad iustum correxit dogma canonis

Quem statuere patres dubioque errore remoto

Certa sua genti ostendit moderamina ritus

Inque locis istis monachorum examina crebra

Colligit ac montis cavit quae regula patrum

Sedulus istituit multisque domique forisque

Iactatus nimium per tempora longa periclis

Quindecies ternos postquam egit episcopus annos

Transiit et gaudens caelestia regna petivit

Dona Iesu ut grex pastoris calle sequatur

L’epitaffio si componeva di venti versi e per diverse ragioni è

ipotizzabile che l’autore fosse lo stesso Beda: il primo motivo è la singolare

253

Beda, HEA, V, XIX, 235-239 (ed. Lapidge vol.II p.427). 254

Beda, HEA, V, XIX, 241-260 (ed. Lapidge vol.II pp.427-429).

89

enfasi sul sostegno dato al defunto al metodo romano per il computo pasquale

(iustum… dogma), perfettamente in linea con la visione di Beda, in gran parte

eccessiva, dell’importanza di tale computo per la storia ecclesiastica inglese.

Il secondo motivo è l’abilità metrica che l’autore dimostra: in venti versi

si ritrovano tredici elisioni, mentre, in generale, i poeti latini di ambiente

anglosassone tendono ad evitare le elisioni. Fra i poeti della prima età

anglosassone soltanto Beda usa l’elisione con una frequenza paragonabile a

quella con cui la usano i poeti classici e l’autore dell’epitaffio di Wilfrid255

.

Vi sono inoltre diverse espressioni ricollegabili ad altre opere del

monaco anglosassone256

.

IV.25 Skipwith

La chiesa di sant’Elena a Skipwith, piccola cittadina ad otto chilometri a

nord-est di Shelby, oggi si presenta come un edificio del XVI secolo, ma è al

suo interno sono ancora visibili diverse tracce dell’antica struttura

anglosassone.

Della navata non rimane nulla delle murature, se non l’arco che dalla

torre occidentale (precedentemente il piano inferiore della torre costituiva il

portico di ingresso) perfettamente conservato: i montanti sono costituiti da

pietre megalitiche, mentre le imposte e le basi piccole pietre quadrate257

. L’arco

è dista dalla pavimentazione 4,5 metri e misura in larghezza 3 metri.

255

Lapdige 2006, pp.103-111. 256

Lapdige 2006, p.108. 257

Taylor 1965, II, p.551.

90

Al di sopra dell’arco è possibile vedere una porta murata, a cui si poteva

accedere soltanto attraverso la torre, che fa ipotizzare un secondo piano

dell’edificio, forse databile al successivo ampliamento della chiesa, avvenuto

dopo la conquista normanna258

.

Le dimensioni originali dell’edificio possiamo solamente ipotizzarle

confrontandole con altre chiese dello stesso periodo: l’edificio doveva essere

ad un'unica navata, lunga 9 metri e larga 6 metri, terminante in un piccolo

presbiterio quadrangolare259

.

All’interno della torre è presente una pietra con graffite delle immagini

di uomini in fuga o in preda al panico; al centro campeggia una bestia feroce

(un lupo forse) intento a divorare un uomo: potrebbe trattarsi di una scena

riferibile al mito nordico del Ragnarök, “il crepuscolo degli dei”, in particolare

la morte di Odino divorato dal lupo Fenrir260

.

IV.26 Whitby

Situata su un promontorio lungo la costa del North Yorkshire, Whitby

viene identificata con la Streanaeshalch citata da Beda261

: il monaco interpreta

il toponimo Sinus Fari262

, indizio che forse in quel luogo si trovasse una luce di

segnalazione o un’altra indicazione per i naviganti di epoca romana.

258

Taylor 1965, II, p.552. 259

Taylor 1965, II, p.553. 260

Isnardi 2011, p.181. 261

Beda, HEA, III, XXIV, 48-50 (ed. Lapidge, II, p.115). 262

Beda, HEA, III, XXV, 68-72 (ed. Lapidge, II, p.123).

91

Probabilmente il nome deriva dall’antico inglese (ge-) streon (proprietà, tesoro)

ed healh (angolo)263

, forse in riferimento ad una proprietà che era oggetto di

qualche rivendicazione.

Il nome con cui Beda indicherebbe Whitby, non ha avuto prosecuzione

nell’inglese moderno (Whitby è un nome di origine scandinava ed entrò in uso

solamente nel IX secolo con l’invasione dei Danesi) e perciò è stata avanzata

l’ipotesi che Beda si riferisse in realtà alla città di Strensall, ad 8 chilometri a

nord-est di York264

. Per quanto seducente questa ipotesi possa apparire sul

piano filologico, essa è confutata dal fatto che Beda afferma chiaramente che

Streanaeshalch si trova a 21 chilometri da Hackness265

, filiazione del

monastero di Whitby266

, una distanza che corrisponde in modo molto preciso a

quella che effettivamente separa Whitby da tale località, mentre Streansall si

trova a 44 chilometri da essa.

Il monastero di San Pietro, fondato da Hild nel 657, fu teatro del sinodo

tenutosi nell’anno 664, nel quale si discussero le divergenze tra la Chiesa di

tradizione irlandese e quella romana in materia liturgica267

.

Non ci sono tracce del monastero anglosassone, probabilmente

cancellate dalle successive strutture dell’abbazia normanna, ma gli scavi hanno

riportato alla luce alcune fondamenta riferibili ai vari edifici che si trovavano

all’interno del recinto monasteriale: grazie agli oggetti rinvenuti, è stato

possibile rintracciare le celle e il refettorio268

.

263 DEPN p.212 e 450.

264 Barnwell-Butler-Dunn 2003, pp.311-326.

265 Beda, HEA, IV, XXI, 161-162 (ed. Lapidge, II, p.275).

266 Cfr IV.19.

267 Cfr II.2.

268 Taylor 1965, II, p.654.

92

IV.27 Kirknetown

A brevissima distanza dai Scottish Borders e a 10 chilometri dalla

cittadina di Wooler, il piccolo villaggio di Kirknetown si estende lungo il corso

del College Burn, affluente del fiume Glen.

La chiesa principale dedicata a San Gregorio Magno non presenta alcuna

caratteristica delle chiese di epoca anglosassone, quindi è difficile ipotizzare la

presenza di un luogo di culto.

In una parete della torre campanaria, all’interno della muratura, è

possibile apprezzare un rilievo raffigurante i Magi: le figure sono scolpite in

modo rozzo ed un po’ approssimativo; da notare il globo che la Vergine tiene

alzato nella mano sinistra, di cui non risultano altre raffigurazioni simili.

È decisamente problematico proporre una datazione per l’opera, di cui è

anche difficile comprendere se appartenesse ad un sarcofago o alla decorazione

dell’edificio: lo stile, simile alle incisioni del sarcofago di Cutberth, potrebbero

datarlo al VII secolo pieno.

93

IV.28 York (Eburacum)

York, situata alla confluenza dei fiumi Ouse e Foss, venne fondata dai

Romani nel 71 d.C., quando la XI legione, comandata dal futuro governatore

della Britannia Quinto Petilio Ceriale, sconfisse la tribù dei Brigantes e ne

occupò il territorio e costruì un castrum ligneo, in seguito rimpiazzato da un

accampamento in pietra269

.

Durante il suo soggiorno per le campagne contro i Pitti, l’imperatore

Settimio Severo concesse alla città lo status di colonia e la proclamò capitale

della provincia della Britannia Inferior e nella quale morì nel 211.

Il significato del toponimo Eburacum risulta incerto: si ipotizza derivi

dal celtico Eborakon, formato dall’unione della parola eburos (l’albero del

tasso) ed *-āko(n), “luogo”270

; il significato del toponimo si presta a due

interpretazioni: Eburacum potrebbe essere “il luogo del tasso” oppure, se

eburos si riferisce ad una persona, “la proprietà di Eburos”271

.

Dopo l’evacuazione della provincia da parte delle truppe romane nel

410, la città vive un lunghissimo periodo di decadenza finché, nel VII secolo,

non viene reclamata insieme al territorio circostante dal re Edwin di

Northumbria, che ne farà la sua residenza.

269

Frere 1998, p.83. 270

Delamarre 2003, p.159. 271

Delamarre 2003, p.39.

94

San Pietro

La chiesa dedicata all’apostolo è la prima di cui si ha notizia: venne fatta

costruire in legno dal re Edwin nel 627 in tutta fretta per poter ricevere il

battesimo da Paolino, al fine di poter sposare la principessa Æthelburg del

Kent272

.

Dopo il battesimo, Edwin decise di costruire al posto dell’edificio ligneo,

un basilica in pietra di dimensioni più ampie. Edwin non riuscì a vedere il

completamento della chiesa, ultimata dal suo successore Oswald273

.

La dislocazione dell’edificio non è mai stata determinata in modo sicuro.

Le ipotesi avanzate sono che si trovasse sotto l’attuale cattedrale, o che fosse

nelle sue immediate vicinanze, in direzione nord, sud o ovest.

La prima alternativa non ha trovato alcun elemento di conferma nei vasti

scavi condotti sotto la cattedrale negli anni Sessanta e Settanta: vennero trovate

tracce di saccheggio di quanto rimaneva degli edifici romani, ma, oltre a

questo, nessun’altro indizio di attività ascrivibili ai secoli V-VIII274

.

Più di recente è stato proposto che San Pietro si trovasse in un recinto

quadrato adiacente alla cattedrale, ma sul lato nord-occidentale275

. Il recinto ha

lasciato un segno visibile della topografia medievale del luogo, ma non è stato

oggetto di scavi (vi è il sospetto che San Pietro, se era effettivamente in quella

posizione, sia stata distrutta nel 1940 per lasciare il posto a cisterne d’acqua da

usare in caso di emergenza)276

.

272

Beda, HEA, II, XIV, 3-10 (ed. Lapidge, I, p.249). 273

Beda, HEA, II, XIV, 11-17 (ed. Lapidge, I, p.249). 274

Carver 1995, p.194. 275

Norton 1998, pp.6-11. 276

Blair 2005, p.66.

95

Santa Maria

Generalmente considerata la chiesa più antica all’interno delle mura,

Santa Maria sorge nella zona della città chiamata Bishophill Junior, sulla

sponda occidentale del fiume Ouse.

Gli indizi a sostegno della datazione anglosassone risiedono nelle

murature: le parti inferiori delle pareti occidentale e meridionale e la parte

superiore della parete meridionale della navata presentano la stessa tecnica

costruttiva già presentata per i precedenti edifici277

.

Fino al 1961, nelle immediate vicinanze di Santa Maria, si ergeva un

altro edificio ecclesiastico, ma è impossibile valutare alcun che perché allora

era in stato di abbandono e pericolante e poco dopo fu rasa al suolo278

.

IV.29 Catterick

La località di Catterick sorge vicino al fiume Swale, che scorre

all’estremità orientale del villaggio.

Il nome romano-britanno del luogo era Cataractonium, derivato

probabilmente dal latino cataracta (cascata, rapide) con il suffisso britanno

277

Taylor 1965, II, p.699. 278

Taylor 1965, II, p.700.

96

*-on(o); le rapide in questione si trovano a monte di Catterick, in direzione di

Richmond279

. Più di recente Rivet e Smith280

hanno supposto che i romani

possono aver frainteso una parola britanna composta da *catu- e *ratis, dal

significato di “bastione di difesa” e l’abbiano reinterpretata trasformandola

nella parola latina cataracta.

Beda riferisce che nella città soggiornarono per qualche tempo re Edwin

e Paolino per portare la fede nella regione dei Deiri. A causa della mancanza di

oratoria o baptisteria, Paolino fu costretto a praticare il rito del battesimo per

immersione nel fiume Swale281

. E’ interessante notare come questo passo sia il

primo, ed anche l’ultimo, che parli di battisteri nell’Inghilterra anglosassone.

Blair suppone che l’associazione della parola baptisterium con basilica possa

derivare da una fonte scritta, forse proveniente da Canterbury, che impiegava

per questi edifici ecclesiastici la terminologia in uso in Italia282

.

IV.30 Campodonum

Campodonum è una tenuta reale la cui dislocazione è sconosciuta; il

nome non ha avuto continuità in un toponimo moderno. Sulla base della notizia

riferita da Beda che si trovasse nel territorio di Loidis283

(oggi Leeds), Rivet e

279

Jackson 1953, p.409. 280

River-Smith 1979, pp.302-304. 281

Beda, HEA, II, XIV, 39-43 (ed. Lapidge, I, p.251). 282

Blair 2005, p.70. 283

Beda, HEA, II, XIV, 44 (ed. Lapidge, I, p.251).

97

Smith hanno avanzato la plausibile ipotesi che Campodonum fosse un forte di

cui non è rimasta traccia alla confluenza del fiume Sheepscar Beck con il fiume

Aire284

; ma sono state proposte anche altre possibili dislocazioni come Slack285

,

circa 30 chilometri a ovest di Leeds, e Dewsbury286

, 10 chilometri a sud-ovest

di Leeds.

La forma originaria del nome era chiaramente Cambodunum, dal

britanno *cambo- (curvo, tortuoso) e -dunum (forte) e il significato era dunque

“forte sull’ansa del fiume” ( Cambo- divenne poi Campo- per l’interferenza

con il latino campus).

Qui Paolino edificò una basilica287

, ma anche qui sorge, come per

Catterick, che cosa Beda intendesse con quel termine.

284

River-Smith 1979, pp.292-293. 285

Plummer 1896, p.105. 286

Wallace-Hadrill 1988, p.75.

98

V. IL COFANETTO FRANKS

V.1 Storia del ritrovamento

Il Cofanetto Franks (conosciuto anche con il nome di “Coffret d’Auzon”

o “Franks Casket”) è un oggetto molto particolare: nel 1857 l’antiquario

inglese Augustus Wollaston Franks comprò in un negozio di antichità di Parigi

una piccola cassetta rettangolare in osso di balena, con incise scene narrative e

delle iscrizioni in runico288

. Dieci anni più tardi, come Custode del

Dipartimento di Antichità Britanniche e Medioevali del British Museum,

Franks presentò l’oggetto, ad eccezione del pannello destro, scoperto nel 1890

nel Museo del Bargello di Firenze.

Il pannello destro era arrivato al Museo del Bargello come lascito

ereditario da un certo Carrand di Lione, il quale lasciò anche un resoconto

scritto di come fosse venuto in possesso del manufatto e la sua storia

precedente: facente parte da generazioni delle proprietà di una famiglia

d’Auzon, un piccolo villaggio dell’Alta Loira, veniva utilizzato come scatola

per il cucito e dal quale furono tolte le cerniere argentee che tenevano insieme i

pannelli per fare un anello. I pannelli, tranne il destro, furono comprati da un

professore di nome Mathieu di Clermont-Ferrand, che in seguito li vendette

all’antiquario di Parigi dove Franks li trovò289

.

288

Vandesall 1972, pp.17-19. 289

Vandesall 1972, pp.21-23; Paroli 1997, pp.277-304.

99

V.2 Descrizione (fig.77)

Il cofanetto si presenta di forma rettangolare, alto cm 22,9 per cm 19 di

profondità e cm 10,9 di altezza. E’ inciso con immagini ed iscrizioni su cinque

facce; le iscrizioni sono per lo più in alfabeto Fuþorc, un alfabeto runico in uso

presso gli Anglosassoni e i Frisoni a partire dal V secolo, ma si trova anche un

frase in latino nel pannello posteriore. Si notano alcuni tituli indicanti i nomi di

alcuni personaggi delle scene.

Le iscrizioni, che inquadrano le scene correndo sui bordi, sembrano

essere state ideate in un crescendo di artificiosità: sul lato frontale, le rune

corrono radialmente in senso orario a cominciare da sinistra; al contrario sul

bordo inferiore sono voltate verso sinistra dato che, girando, la lettura in quel

punto va da destra a sinistra. Anche sul lato sinistro la scritta è circolare, ma sul

bordo inferiore le rune sono capovolte, in modo che, girando in senso orario,

questo tratto si legge come se si tenesse capovolto il pannello.

Sul lato destro, la scritta corre allo stesso modo che sul lato sinistro.

Sul pannello posteriore, oltre alle normali rune anglosassoni, vi sono

delle parole latine, in un testo che è dunque non solo bilingue ma anche “bi-

alfabetico”.

La parte latina a sua volta è prima in lettere latine e poi in rune.

100

V.3 Il coperchio (fig.78)

Il coperchio, l’unico pannello in cui non sono presenti iscrizioni,

presenta una scena di battaglia: nella parte sinistra si vede una schiera di

uomini armati, alcuni di maggiore rispetto agli altri, intenti all’assedio di una

cittadella; degli assedianti giacciono morti sul terreno. La cittadella, sulla

destra è difesa da un unico uomo, un arciere identificato dal titulus al di sopra

della sua spalla Ægili. Dietro di lui, all’interno di un edificio, un’altra figura

sembra assistere allo scontro. Il pannello sembra essere incompleto, tanto che

lo Webster ipotizzò la presenza di ulteriori immagini incise su delle lastre

argentee poste sopra e sotto la scena, oggi perdute290

.

Il personaggio indicato con il nome di Ægili sembra da identificarsi con

l’eroe Egil, fratello di Völund (il quale troverà spazio nel pannello frontale),

formidabile arciere, intento a difendere la fortezza in cui risiede insieme a sua

moglie, la valchiria Ölrun, figlia dell’imperatore romano (il Kiar di Valland)291

.

Nel mito norreno non vi è traccia di una tale battaglia tra Egil e schiere

di assedianti: qui l’eroe Egil potrebbe rappresentare per antonomasia tutti i

valorosi caduti in battaglia che soggiornano nel Valhalla, “paradiso” dei

guerrieri, dove vengono portati dalle Valchirie per ingrossare le fila

dell’esercito che durante il Ragnarök dovrà combattere, al fianco di Odino, le

forze del male. Seguendo questa ipotesi, la fortezza dove risiedono Egill e

Ölrun sarebbe la sala del Valhalla, mentre le schiere degli assedianti

rappresenterebbero i Múspellsmegir, i “giganti di fuoco”, che assaliranno gli

dei durante gli ultimi giorni292

.

290

Webster 1991, p.102. 291

Völundarkviða (ed. Kunh, I, pp.117-129). 292

Isnardi 2011, pp.186-188.

101

Come altra ipotesi, lo Wolf293

e lo Becker294

danno alla scena un valore

apotropaico, come a voler dire che l’oggetto è ben protetto e inaccessibile ai

profanatori o dalle potenze maligne essendo l’arco, per i popoli scandinavi, il

simbolo del sole che con i suoi raggi (le frecce) sconfigge l’oscurità295

.

V.4 Il pannello frontale (fig.79)

Sulla fronte, il cofanetto presenta due scene con elementi provenienti dal

mito norreno e dalla religione cristiana: nel riquadro a sinistra la scena viene

divisa in tre momenti che riguardano le vicende del fabbro Völund, mentre a

destra vi è la rappresentazione dell’Adorazione dei Magi.

Völund, fabbro di eccezionale abilità, venne rapito dal re di Svezia

Niðuðr per poter appropriarsi delle sue ricchezze e per poterlo rendere schiavo.

Il re, per impedire una sua fuga, fece recidere i tendini a Völund e venne

condotto su un isolotto, dove preparava gioielli per la famiglia reale296

.

Durante la sua prigionia, Völund meditava vendetta e l’occasione si

presentò quando i due figli di Niðuðr si presentarono dal fabbro: i ragazzi

volevano vedere le ricchezze di Völund e questi, mentre i giovani ammiravano

293

Wolf 1969, p.230. 294

Becker 1973, p.50. 295

Isnardi 2011, p.646. 296

Völundarkviða 1-17 (ed. Kunh, I, pp.117-122).

102

gli ori, tagliò loro la testa e con i crani fece delle coppe preziose297

. Questa è la

prima scena del riquadro (fig.80): si vede Völund nella sua fucina, circondato

dagli attrezzi, che offre una delle coppe ricavate dai principi (il corpo di uno

dei quali si trova al di sotto dei piedi del fabbro) alla figlia del re Böðvildr, la

quale si era recata alla fucina per la riparazione di un anello.

La seconda scena (fig.81), inquadrata da motivi ornamentali, presenza

una donna velata che reca in mano un cesto contenente un recipiente: ci

troviamo davanti al momento successivo alla visita della principessa al fabbro,

ossia nel momento in cui Völund consegna una bevanda magica per farla

assopire per poi abusare di lei e completare la sua vendetta298

.

L’ultimo riquadro (fig.82) propone un particolare aggiuntivo al mito non

presente nella Völundarkviða (“Il lamento di Völund”): per sfuggire dall’isola

lo storpio fabbro utilizza delle piume di uccelli, preventivamente cacciati dal

fratello Egil, per fabbricarsi delle ali299

.

L’Adorazione dei Magi300

(fig.83) presenta affinità con la canonica

rappresentazione iconografica dell’evento evangelico, ma aggiunge alcuni

particolari. I tre astrologi si avvicinano da sinistra verso la Vergine con il

Bambino nel grembo, posti su di un trono. Al di sopra della coppa recante l’oro

splende la stella che ha guidato i Magi fino a Betlemme, mentre al di sotto

della coppa compare un volatile: la sua presenza può essere spiegata ricorrendo

ancora una volta alla mitologia nordica, nella quale all’atto della nascita a tutti

gli uomini, ma in special modo agli eroi, viene affidato un fylgja (“seguire”),

uno spirito protettore in forma di animale che accompagna e protegge

l’individuo per tutta la sua vita o appaiono per lasciare messaggi o presagi,

spesso di morte301

.

297

Völundarkviða 20-25 (ed. Kunh, I, p.125). 298

Völundarkviða 26-29 (ed. Kunh, I, p.125-126). 299

Thidrekssaga 72-79 (ed. Haymes, pp.268-273). 300

Massara 2000, Magi (s.v) in Bisconti 2000. 301

Isnardi 2011, p.355.

103

Un ulteriore segno che rimanda alla morte è il simbolo posto al di sopra

della spalla del primo dei Magi dalla sinistra, il quale trasporta un arbusto che

dovrebbe essere la mirra, formato dall’incrocio di tre triangoli: si tratta del

Hrungnis hjarta (“cuore di Hurugnir”) o Valknut (“nodo dei caduti”), nome che

lo mette in relazione con i morti caduti in battaglia302

.

I simboli di morte presente nella scena dell’Adorazione potrebbero

alludere anche alla Passione, nella quale il Cristo, morendo per tutti gli uomini,

dona la remissione dei peccati e la vita eterna.

I temi preponderanti in questo pannello sembrano essere la morte e il

dono, ripresi anche dall’iscrizione che incornicia le scene:

hronæs ban/fisc . flodu . / ahof on ferg/ enberg/ warþ ga:sric grorn þær he on

greut giswom

“Osso di balena. La marea scaraventò il pesce sugli scogli costieri; il

mostro fu triste quando approdò sulla riva sassosa”303

.

L’iscrizione presenta la storia del recupero del materiale con cui è stato

confezionato il cofanetto: la morte dell’animale “dona” agli uomini un

materiale raro e straordinario, quasi magico, con il quale si deve creare

solamente un contenitore per qualcosa di altrettanto straordinario. Per questo

motivo potrebbero essere state scelte le scene di Völund, artefice leggendario

di gioielli e tesori, e dei Magi, che portano ricchi doni al nuovo re d’Israele.

302

Isnardi 2011, p.138 e p.145. 303

Webster 1991, p. 229.

104

Ancora all’interno dell’iscrizione è possibile notare la ripetizione di due

rune e cioè feoh e gifu ( le nostre F e G) che significano proprio “ricchezza,

tesori” e “dono”304

.

L’alfabeto runico dei popoli scandinavi aveva anche un valore numerico

e il Fuþorc non fa eccezione: il numero dei segni dell’iscrizione del pannello

frontale, ma anche degli altri eccetto il coperchio che non presenta iscrizioni, è

di 72, cioè tre volte 24 che è il numero portafortuna dell’alfabeto305

. Il numero

quindi parrebbe avere intenti beneauguranti ma, oltre ad essere legato alla

“magia runica”, il numero 72 rientra anche nella simbologia cristiana: 72 sono

infatti i libri della Bibbia e i discepoli inviati da Cristo per le città della

Giudea306

.

V.5 Il pannello sinistro (fig.84)

La scena di questo pannello attinge a tutt’altra tradizione rispetto ai tre

precedenti, ma forse non è del tutto scollegata dai miti nordici e le leggende

anglosassoni.

I personaggi si trovano all’interno di una foresta. Al centro si trovano

due giovani uomini sdraiati al suolo allattati da una lupa e sopra di loro sembra

accorrere un altro lupo. Alla scena assistono dei guerrieri armati di lancia

inginocchiati, posti due per parte.

304

Bosworth-Toller 1898, p.276 e p.475. 305

Krause 1959, p.46. 306

Lc 10, 1 e Lc 10, 17.

105

Come indicato dall’iscrizione si tratta del mito dei gemelli Romolo e

Remo ma, anche qui, gli artefici o i committenti apportano delle modifiche: il

futuro fondatore di Roma e suo fratello non sono degli infanti, ma adulti; oltre

la lupa che allatta i fratelli, è presente un altro lupo; i gemelli e l’animale non si

trovano al riparo nella grotta del Lupercale, ma il tutto si svolge all’interno di

un bosco; non figurano Faustolo o altri pastori, ma dei guerrieri armati.

Queste incongruenze con il mito romano potrebbero essere tutte

spiegate: per prima cosa bisogna chiedersi perché si ricorre ad un episodio

della storia romana. Una leggenda anglosassone, riportata da Beda, narra che i

primi capi delle nuove genti giunte dal Kent furono i fratelli gemelli Hengist e

Horsa, discendenti di Odino307

. Un ulteriore indizio sull’ipotesi di Hengist e

Horsa potrebbero essere il raddoppiamento dei lupi, animale sacro ad Odino e

nelle saghe viene detto che il dio supremo possedeva due lupi Geri e Freki308

, e

la presenza dei guerrieri rientrerebbe nell’ambito degli eroi fondatori. Inoltre,

la scelta dei gemelli romani deriva anche da un motivo di carattere linguistico:

i nomi di Hengist ed Horsa inizierebbero con la runa hægl che indica la rovina,

il dolore e sarebbe di cattivo auspicio.

oÞlæ unneg /Romwalus and Reumwalus / twœgen gibroðær a /fœddæ hiæ wylif

/in Romæcæstri

“Lontano dalla patria. Romolo e Remo(lo) due fratelli. Li nutrì una lupa nella

città di Roma”309

.

307

Beda HEA, I, XV, 29-35 (ed. Lapidge p.71). 308 Isnardi 2011, p.580. 309

Webster 1999, p. 232.

106

Anche qui troviamo un'altra allitterazione: per tre volte viene ripetuta la

runa rad, “viaggio, cavalcata”310

, la quale è strettamente collegata alla prima

frase “lontano dalla patria”. Forse qui si voleva esprimere l’idea del viaggio ed

è forse questo il motivo principale del ricorso alla storia romana, la quale

poteva fornire già pronti tre nomi inizianti con R-.

V.6 Il pannello destro (fig.85)

Il lato destro è il più difficile ed enigmatico da interpretare, sia per

l’iscrizione che per le immagini: sulla destra sono presenti tre figure

incappucciate, al centro una donna con un calice si trova presso un tumulo, al

cui interno si vede un corpo, insieme ad un cavallo fra le cui zampe è possibile

vedere due Valknute. Alla sinistra un guerriero armato di tutto punto fronteggia

una creatura mostruosa assisa su di una roccia o su una sepoltura.

All’interno della scena sono presenti tre parole, tutte nella parte centrale:

wudu (“bosco”)311

, risci (“ramo”)312

e bite (“morso”)313

.

L’iscrizione risulta problematica per quanto riguarda alcuni vocaboli che

si prestano a diverse interpretazioni:

herh os sitæþ on hærmberge/ agl(ac) drigiþ swæ hir i ertae gisgraf/ sær

den sorgæ and sefa tornæ

310 Bosworth-Toller 1898, p.781.

311 Bosworth-Toller 1898, p.1277.

312 Bosworth-Toller 1898, p.806.

313 Bosworth-Toller 1898, p.105.

107

La prima frase herh os è stata interpretata dal Becker come un nome

proprio di una divinità legata al bosco o ai tumuli314

, mentre il Bouman315

e il

Page316

leggono her hos e traducono con “Qui Hos”. Il Bouman riconduce Hos

al nome di Horsa, considerando la creatura sulla sinistra come lo spirito di

Horsa e la scena centrale con i funerali dello stesso a cui partecipa il fratello

Hengist in forma di cavallo (Hengist significa “stallone”)317

, interpretando il

pannello come la morte di Horsa; anche l’Osborn dà come lettura her hos, ma

traducendo “Qui un gruppo”318

.

Il Simmons319

al contrario legge e traduce il vocabolo herh con “idolo”,

dando al pannello un’interpretazione cristiana: l’idolo sarebbe Satana

controllato da Inferno (il guerriero armato) come raccontato nel

Descensus Christi ad Inferos, parte del Vangelo di Nicodemo, ma circolante

anche autonomamente320

, e le tre figure sulla destra rappresenterebbero

l’arresto di Cristo nel giardino del Getsemani. La scena centrale raffigurerebbe

la Natività, per altro già presente in qualche modo nel pannello frontale.

Isolatamente Peeters vede nel pannello l’illustrazione del libro biblico di

Daniele e il simbolo della cattività babilonese321

.

In parte mi trovo d’accordo sulla traduzione proposta dal Becker, ma

alcuni vocaboli sono stati interpretati in modo troppo letterale ed hanno portato

ad un significato distorto della materia figurativa.

314

Becker 19733, p.96. 315

Bouman 1965, p.244. 316

Page 1995, p.179. 317

Bouman 1965, p.247. 318

Osborn 1972, pp.666-667. 319

Simmons 2010, pp.13-16. 320

Descensus Christi ad Inferos, VII (ed.Craveri p.356). 321

Peeters 1996, pp.20-33.

108

herh os sitæþ on hærmberge/ agl(ac) drigiþ swæ hir i ertae gisgraf/ sær

den sorgæ and sefa tornæ

“Qui la divinità siede sul tumulo della sventura. Porta disgrazia come a lei il

destino prescrisse. Fossa di dolore, angoscia e tormento dell’anima”.

Il os (“dio”, “divinità”) secondo me è da intendere più come “individuo

soprannaturale”, dato che la creatura sembra più un mostro che una divinità del

pantheon nordico, sempre rappresentate in forme antropomorfe. Anche il

“mostro” ha la parte inferiore simile a quella umana e possiede delle mani, ma

il corpo ricorda quello di un uccello e il capo ha le sembianze di un serpente o

di un drago (fig.86).

Il serpente nell’immaginario nordico incarna lo spirito dei defunti

(concezione dovuta forse all’abitudine dell’animale di scavarsi una buca nel

terreno come tana) che può essere funesto per i vivi, ma anche guardiano

pericoloso di tesori322

. Nel mito, il serpe-drago più famoso, cui è affidata la

custodia di un immenso tesoro, è Fafnir, un nano con il potere di mutare forma,

ucciso da Sigurðr, conosciuto meglio con il nome di Sigfrido, il quale poi si

impadronirà del tesoro ed è proprio il duello tra l’eroe e il drago ad essere qui

immortalato. Il “tumulo della sventura” sul quale siede Fafnir è la sua tana,

ricordata anche più avanti nell’iscrizione, dove è custodito il tesoro e l’anello

che può incrementare la ricchezza: entrambi sono stati maledetti dal loro primo

possessore il nano Andvari, dei quali era stato privato dal dio Loki per risarcire

l’uccisione di Otr, fratello di Fafnir323

; il tesoro e l’anello portano la “sventura”

e “disgrazia” a Fafnir stesso poi a Sigurðr e ai Nibelunghi.

322

Isnardi 2011 p.574. 323

Isnardi 2011 pp.386-388 e 390.

109

La scena centrale (fig.87) presenta forse ancora più problemi delle due

che la affiancano, data la presenza anche delle parole wudu, risci e bite, degli

animali e di alcuni oggetti. La parola bite, “morso”, forse venne posta per

interpretare meglio il quadrupede, che quindi dovrebbe essere un cavallo:

l’animale forse fa parte della scena precedente oppure ricorda un mito a sé

stante ovvero il ritrovamento da parte di Sigurðr del cavallo Grani, figlio del

cavallo di Odino Sleipnir324

; wudu sarebbe il luogo dove la scena si svolge; il

ramo o il giunco indicato dalla parola risci dovrebbe essere il vegetale visibile

tra il muso del cavallo e il tumulo funerario: forse si riferisce la quercia legno

usato per le pire funerarie325

.

L’uomo posto nel “tumulo” sembra avvolto in bende e accanto a lui si

notano dei piccoli segni verticali, interpretabili come la stilizzazione dei pali

che costituiscono la pira funeraria.

La figura femminile con l’asta in mano, del tutto simile con la figura

all’interno del recinto sul coperchio, potrebbe essere una valchiria, in

particolare Brunilde la quale, dopo aver causato la morte di Sigurðr per

vendetta, si suicida mentre l’eroe brucia sulla pira.

A corredo della “morte di Sigurðr” vengono posti due oggetti che ancor

di più indirizzano l’osservatore verso lo scioglimento della scena: nell’istante

stesso in cui Sigurðr perde la vita, tutte le coppe che si trovavano nella sala

vibrarono (il calice vicino “Brunilde”) e le oche del cortile starnazzarono (il

volatile sotto le zampe del cavallo)326

.

Il “destino già scritto” citato dall’iscrizione è qui rappresentato dalle tre

figure incappucciate (fig.88), le Norne che stabiliscono e conoscono la sorte

degli uomini e degli dei327

.

Se questa fosse l’interpretazione da dare alle varie figure, il pannello

presenta i temi della disgrazia, della morte e del destino ineluttabile, a cui

324

Isnardi 2011 p.386. 325

Isnardi 2011 p.537. 326

Isnardi 2011 p.394. 327

Isnardi 2011 pp.303-304.

110

nessuno può sottrarsi, e l’allusione alla sventura è rimarcata anche dalla

ripetizione della runa hægl e dalla troncatura della parola aglac per evitare che

l’accumularsi di queste rune sinistre portino davvero sfortuna. Non è

nemmeno un caso che questi temi siano posti sul lato sinistro della cassetta:

l’est il luogo dove si trova l’aldilà328

.

V.4 Il retro (fig.89)

L’ultimo lato, quello posteriore, ci porta ad un episodio chiarissimo della

storia romana: la conquista di Gerusalemme da parte dell’imperatore Tito nel

70 d.C. Anche l’iscrizione è chiara e del tutto didascalica:

her fegtaþ titus end giuþeasu HIC FUGIANT HIERUSALIM afitatores

“Qui combattono Tito e i Giudei. Qui gli abitanti giungono da Gerusalemme”.

L’impianto figurativo ricorda molto da vicino i sarcofagi paleocristiani a

doppio registro, segno che l’artista o i committenti avevano potuto vederne

qualche esemplare.

328

Isnardi 2011 p.475.

111

Al centro si erge un arco decorato con temi vegetali ed animali, forse

simboleggia Gerusalemme stessa o il Tempio329

, che divide in due la scena: la

guerra vera e propria e, in basso, l’imperatore il quale, assiso su di un trono,

amministra la giustizia, come indica la parola alla sinistra del seggio, dom

(“giudizio”)330

, dall’altra parte la Diaspora del popolo ebraico e la presa dei

prigionieri, anche qui esplicitata dalla parola anglosassone gisl (“ostaggio”)331

.

Su questo pannello il numero delle rune è 42 e non è un numero casuale:

è il numero dei mesi durante i quali Gerusalemme verrà calpesta dai gentili

secondo l’Apocalisse332

di Giovanni.

Anche qui si trova la ripetizione di una runa, questa volta la runa tyr nel

nome di Tito: questa runa porta il nome del dio Tyr, dio collegato alla guerra e

protettore delle assemblee333

, significati questi che ben si accordano con

l’episodio di un imperatore vittorioso che giudica e detta legge.

E’ possibile che nel latino afitatores, espresso in rune, sia stata preferita

una grafia senza l’aspirazione, per evitare anche qui la runa hægl. Per quanto

riguarda la forma fugiant si può proporre un errore di lettura dove a ed u

insulari erano facilmente confondibili ed è probabile che anche la prima frase

sia una trascrizione da un testo in lettere latine334

.

Tutto l’insieme evoca concetti di conquista, gloria, vittoria e trionfo.

329

Becker 1973 p.108. 330

Bosworth-Toller 1898 p.207. 331

Bosworth-Toller 1898 p.478. 332

Ap 11, 2. 333

Isnardi 2011 p.218. 334

Ball 1991 p.121.

112

V.5 Interpretazione

Il cofanetto deve essere stato commissionato da una personalità

estremamente colta e facoltosa, visto il dono costoso, per un altro individuo

abbastanza colto anch’esso da poter capire i vari piani di lettura che le

immagini e le iscrizione suggerivano. Gli unici luoghi della Northumbria ad

avere biblioteche così ben fornite da creare tale personalità si trovavano nei

monasteri di Monkwearmoth, Jarrow e York, quindi si può ipotizzare che il

dono sia stato pensato in ambito ecclesiastico.

Il senso di lettura delle immagini doveva partire dal pannello frontale e

proseguire in senso orario per poi completarsi sul coperchio; il significato delle

immagini potrebbero essere il ciclo della vita laica, di un guerriero o di un re:

nel pannello frontale viene elogiato l’oggetto come estremamente ricco e

prezioso, degno dei gioielli di Völund e dei doni dei Magi, forse fatto per

onorare una nascita. Il cofanetto dovrà fare un viaggio lontano per arrivare a

destinazione, ma sarà degno di eroi e re quali Romolo e Remo o Hengist ed

Horsa. Sarà un capo glorioso e saggio, ma anche gli eroi più forti e coraggiosi

sottostanno al dolore ed al destino e infine muoiono, ma se saranno degni

dell’aldilà. Questa concezione della vita rispecchia la mentalità dei popoli del

nord, ma ora impregnati della fede cristiana: infatti al di sopra dei valori laici,

vi è una sovrastruttura di valori cristiani: come i 72 discepoli, il re o il nobile

deve portare la fede in tutto il suo territorio e fondare un nuovo regno cristiano,

così da poter, con l’aiuto di Dio, vincere i propri nemici ed i pagani ed essere

saggio nell’amministrare la giustizia. Nonostante questo, la morte è ineluttabile

ma, se si è stati fedeli a Dio, il premio nell’aldilà sarà la felicità eterna.

113

Non credo, come ipotizzato da alcuni335

, che il cofanetto fosse un

reliquiario o un oggetto ad uso liturgico, perché non vi sono scene che si

possano ricondurre alla vita di santi oppure di Cristo, a parte l’adorazione dei

Magi, ma fosse solamente un dono ricco, un contenitore di preziosi, che

presuppone un’enorme dottrina ed erudizione per poter comprendere i diversi

piani di lettura.

Il cofanetto Franks, anche se non sono ancora chiari la sua funzione e

alcune delle immagini istoriate, testimonia comunque un genere di arte

funzionale, in cui le immagini non si limitano a illustrare il testo, né le

iscrizioni sono pure e semplici didascalie alle immagini, ma tutte e due si

integrano in un disegno generale, un progetto globale. Sono immagini e

iscrizioni che in ogni caso testimoniano del vivace ambiente culturale della

Northumbria altomedievale, in cui era stata raggiunta una notevole autonomia

e maturità concettuale ed espressiva.

335

Peeters 1996 p.32.

114

TAVOLE

Fig. 1 Le campagne di conquista della Britannia (da Frere e Jones)

115

Fig.2 Tracciato del Vallo di Adriano

116

Fig.3 La divisione della Britannia nel 410 (da Botev)

117

Fig.4 La nascita e l’espansione del regno di Northumbria tra il V e il

VI secolo (da Frere)

118

Fig.5 Ricostruzione grafica del Vallo di Adriano

Fig.6 Esempio di “milecastle” e sua ricostruzione

119

Fig.7 Esempio di castrum

120

Fig.8 Tempio di Atenociticus, Heddon-on-the Wall

Fig.9 Il Mitreo di Carrawburgh

121

Fig.10 La nascita di Mitra proveniente da Hausesteads, The Great

North Museum

122

Fig.11 La “chiesa” del forte di Vindolanda

123

Fig.12 Frammento di altare, Vindolanda Museum

124

Fig.13 L’epigrafe di Brigomaglos, Chester Museum

125

Fig.14 La struttura absidale rinvenuta da Busanquet nel 1898,

Hadrian’s Wall Archive

126

Fig.15 La sepoltura posta all’interno della cisterna, Hadrian’s Wall

Archive

127

Fig.16 Veduta aerea del sito di Yeavering Bell

128

Fig.17 Foto area della scoperta del “palazzo” di Yeavering Bell (da

Hope-Taylor)

129

Fig.18 Pianta del sito di Yeavering Bell (da Hope-Taylor). In rosso

gli edifici ipotizzati come cristiani.

130

Fig.19 Il sito di Ebb’s Nook

Fig.20 Ebb’s Nook, pianta (da Way)

131

Fig.21 Castello di Bamburgh, veduta del luogo dove sorgeva la

Cappella di San Oswald

132

Fig. 22 Gli scavi del 2004 della Cappella di San Oswald (da Wood-

Young)

Fig.23 Bywell, chiesa di San Pietro

133

Fig.24 Planimetria di San Pietro, Bywell (da Taylor)

134

Fig.25 Bywell, San Pietro. Muro settentrionale del presbiterio con la

porta d’accesso murata

135

Fig.26 Bywell, San Pietro. Imposta di arco all’esterno del muro

settentrionale

136

Fig.27 Bywell, San Pietro. Imposta di arco all’esterno del muro

settentrionale

137

Fig.28 Bywell, chiesa di Sant’Andrea

138

Fig.29 Disegno del vaso argenteo rinvenuto a Corbridge nel 1760

(da Brand)

139

Fig.30 Lettera di Cay alla London Society sul ritrovamento del

catino argenteo di Corbridge (da Hodgson)

140

Fig.31 Corbridge, chiesa di Sant’Andrea

141

Fig.32 Planimetria di Sant’Andrea a Corbridge. In grigio le

murature di epoca anglosassone (da Taylor)

142

Fig.33 Corbridge, chiesa di Sant’Andrea, torre.

143

Fig. 34 Corbridge, chiesa di Sant’Andrea. Antico ingresso

dell’edificio.

144

Fig.35 Heddon-on-the-Wall, chiesa di Sant’Andrea

145

Fig.36 Planimetria di Sant’Andrea, Heddon-on-the-Wall. In rosso la

probabile pianta dell’edificio anglosassone.

146

Fig.37 Monastero romanico di Lindisfarne

Fig.38 Sarcofago di San Cutberto, Durham Museum

Fig.39 Il Tetramorfo sul coperchio del sarcofago di San Cutberto

(da Kitzinger)

147

Fig.40 La Vergine col Bambino, sarcofago di San Cutberto (da

Kitzinger)

148

Fig.40 Hexham, chiesa di Sant’Andrea

149

Fig.41 Planimetria di Sant’Andrea ad Hexham (da Taylor)

150

Fig.42 Il “Frith Stool”, Sant’Andrea, Hexham

151

Fig.43 Pianta della cripta di Sant’Andrea, Hexham

Fig.44 Ambiente principale della cripta di Sant’Andrea, Hexham

152

Fig.45 Parte di un’iscrizione murata all’interno della cripta di

Sant’Andrea, Hexham

153

Fig.46 Hart, chiesa di Santa Maria Maddalena

154

Fig.47 Arco trionfale della chiesa di Santa Maria Maddalena, Hart

155

Fig.48 Frammenti di colonne fittili, Santa Maria Maddalena, Hart

156

Fig.49 Meridiana nel portico meridionale, Santa Maria Maddalena,

Hart

Fig.50 Seaham, chiesa di Santa Maria

157

Fig.51 Penisola di Sockburn

Fig.52 La chiesa di Sockburn

158

Fig.53 La chiesa di Sockburn nel 1894 (Durham Archive)

159

Fig.54 Staindrop, chiesa di Santa Maria

160

Fig.55 Navata della chiesa di Santa Maria, Staindrop

161

Fig.56 Escomb, chiesa di San Giovanni Evangelista

Fig.57 Arco trionfale, Escomb, chiesa di San Giovanni Evangelista

162

Fig.58 Croce incisa sul muro settentrionale, Escomb, chiesa di San

Giovanni Evangelista

163

Fig.59 Porta anglosassone murata nel muro settentrionale, Escomb,

chiesa di San Giovanni Evangelista

164

Fig.60 L’ “albero della vita”, Escomb, chiesa di San Giovanni

Evangelista

165

Fig.61 Meridiana, Escomb, chiesa di San Giovanni Evangelista

166

Fig.62 Chester-le-Street, chiesa di Santa Maria e San Cutberto

167

Fig.63 Monkwearmouth, chiesa di San Pietro

168

Fig.64 Entrata, chiesa di San Pietro, Monkwearmouth

169

Fig.65 Jarrow, chiesa di San Pietro

170

Fig.66 Planimetria della chiesa di San Pietro a Jarrow. In colore più

scuro la chiesa anglosassone (da Taylor)

171

Fig.67 Epigrafe dedicatoria della chiesa San Paolo a Jarrow

Fig.68 Disegno del monastero di Jarrow datato 1728 (Londra,

British Museum)

172

Fig.69 Disegno dell’alzato e della planimentria di San Paolo a

Jarrow datato1769 (Londra, British Museum)

173

Fig.70 Veduta della chiesa di San Paolo a Jarrow, 1789 (Londra,

British Museum)

174

Fig.71 Hackness, chiesa di San Pietro

175

Fig.72 La croce di Æthelburg, San Pietro, Hakcness

176

Fig.73 Le rune sulla croce di Æthelburg, San Pietro, Hakcness

177

Fig.74 Lettere nell’alfabeto di Ogham sulla croce di Æthelburg, San

Pietro, Hakcness

178

Fig.75 Ledsham, chiesa di Tutti i Santi

179

Fig.76 Ripon, chiesa di san Pietro

180

Fig.76 Planimetria della cripta di San Pietro a Ripon

181

Fig.77 Il Cofanetto Franks (Londra, British Museum)

Fig.78 Cofanetto Franks, pannello superiore

182

Fig.79 Cofanetto Franks, pannello frontale

183

Fig.80 Völund nella fucina

Fig.81 La prinipessa Böðvildr

184

Fig.82 La caccia agli uccelli di Egil

Fig.83 L’Adorazione dei Magi

185

Fig.84 Cofanetto Franks, pannello sinistro

186

Fig.85 Cofanetto Franks, pannello destro

Fig.86 Fafnir e Sigurðr

Fig.87 Il funerale di Sigurðr

187

Fig.88 Le Norne

Fig.89 Cassetta Franks, retro

188

CONCLUSIONI

Volendo offrire una panoramica generale dell’elaborato appena concluso, si

evince quanto il regno di Northumbria fosse una regione aperta alle

problematiche inerenti a questioni dottrinali e disciplinari provenienti dal

continente e all’interno della Chiesa britanna.

I contatti con il resto dell’Europa non vengono mai meno grazie all’arrivo

sull’isola di ecclesiastici, convocati dalla gerarchia della chiesa locale o inviati

189

direttamente da Roma, portatori di codici e di idee e maestranze artistiche che,

entrando in contatto con l’arte sassone, crea un nuovo stile, quello

anglosassone, in cui gli elementi prettamente nordici, come la pianta ad un’

unica navata, includono esperienze mediterranee, come le cripte che hanno

come modello i martyria catacombali presenti a Roma.

Per quanto riguarda le decorazioni presenti all’interno degli edifici, non è

possibile dare una valutazione vista la quasi totale assenza di tracce e

solamente in un caso, quello della chiesa di Sant’Andrea ad Hexham, abbiamo

un a tarda descrizione dell’apparato figurativo ma, purtroppo, del tutto

generica.

Come ho potuto constatare, la decisione di costruire degli edifici ecclesiastici

in zone remote o presso che desertiche e lontane dai grandi centri urbani, oggi

all’interno di piccoli villaggi, spesso deriva dal fatto che tali fondazioni erano

volute da monaci e monache che prediligevano luoghi appartati e impervi per

poter evadere dal mondo e seguire il loro percorso di ascesi e preghiera.

Oltre all’impulso di evangelizzazione e preghiera, anche la casa reale di

Northumbria diede un forte sostegno alla costruzione di chiese e monasteri fin

dal VII secolo, quando essa si convertì al Cristianesimo e fu tale lo zelo con cui

i sovrani protessero la nuova fede che molti di loro vennero proclamati santi.

L’arco cronologico nel quale si collocano gli edifici varia dalla metà del VII

secolo ai primi decenni del VIII secolo: la ricerca di chiese anteriori all’anno

650 è resa quasi impossibile dal fatto che il tipo di costruzione era quella

lignea, come le fonti ci attestano, ed il clima delle isole britanniche non

permette la conservazione di tali strutture. Per quanto riguarda la tecnica

costruttiva, le chiese vennero innalzate utilizzando il materiale preso dai castra

romani (come è possibile constatare dalla presenza all’interno delle murature di

epigrafi di legionari o in onore degli imperatori) o dagli edifici, sempre di

epoca romana, presenti all’interno della città stessa, come attesta l’esempio di

York; la planimetria, anche se spesso è difficilmente rintracciabile a causa dei

190

rifacimenti successivi, richiama molto da vicino le “longhouses”, le abitazioni

tipiche delle popolazioni scandinave e germaniche consistenti in un unico

ambiente a sviluppo longitudinale e terminante in una piccola “abside”.

Purtroppo non sono pervenuti oggetti e arredi liturgici o iscrizioni che possano

farci comprendere appieno quanto la comunità dei fedeli partecipasse con

donazioni alla gloria della Chiesa o semplicemente mostrare uno spaccato della

società cristiana del regno di Northumbria, almeno per quanto riguarda i ceti

medio-bassi.

Si può presupporre che vivessero all’interno della popolazione tre “anime”

(quella romana, quella sassone e quella cristiana) che si compenetravano e

attingevano l’una all’altra, creando una commistione di immagini e di racconti

e di lingue che difficilmente si riscontra in altre parti d’Europa e ciò ha portato

alla creazione di un oggetto straordinario, di una profondità culturale e di una

capacità di unire queste tre “anime” in una sola cosa: il Cofanetto Franks.

Questo lavoro vuole far scoprire e spingere ad approfondire le ricerche su un

luogo ed un aspetto che l’archeologia cristiana non ha studiato a sufficienza,

lasciando il compito agli esperti di architettura e storia anglosassone inglesi,

ma come già detto, il regno di Northumbria non è distaccato dal resto dell’orbis

christianus, ma da esso riceve e rielabora le varie esperienze e correnti con un

esito del tutto originale.

Vista la scarsità di notizie sugli edifici più antichi, sarebbe auspicabile

intraprendere indagini archeologiche a livello di fondazioni, allo scopo di

confrontare i dati forniti dalle fonti con le evidenze stratigrafiche.

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