Contatti scabrosi. Forma materiale e drammaturgia musicale in “The Turn of the Screw”

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«Who can turn the skies back and begin againNove studi su Benjamin Britten A cura di Simone Caputo e Alessandro Maras Libreria Musicale Italiana

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«Who can turn the skies back and begin again?»

Nove studi su Benjamin Britten

A cura di Simone Caputo e Alessandro Maras

Libreria Musicale Italiana

Sommario

Prefazione vii

«Who can turn the skies back and begin again?» Nove studi su Benjamin Britten

Heather WiebeScoprire l’America: da Paul Bunyan a Peter Grimes 3

Christopher ChowrimootooL’opera borghese: Death in Venice e l’estetica della sublimazione 29

Davide DaolmiNiente sesso, siamo Inglesi 77

Alessandro CecchiContatti scabrosi. Forma materiale e drammaturgia musicale in The Turn of the Screw 91

Simone Caputo«The walk from the town to Grime’s hut»: la passacaglia del Peter Grimes 111

Federica MarsicoPhaedra di Benjamin Britten. Verso un’interpretazione queer 135

Alessandro MarasSinfonia da Requiem: un messaggio di agguerrito pacifismo 149

Eugenio RefiniBritten interprete di Michelangelo: ispirazione biografica e riscrittura della tradizione 165

Giuliano Danieli – Alexandros M. Hatzikiriakos«Ci vuol altro per fare un’opera». Appunti e riflessioni sulla ricezione italiana del teatro di Benjamin Britten 175

Indice dei nomi 195

Alessandro Cecchi

Contatti scabrosi. Forma materiale e drammaturgia musicale

in The Turn of the Screw

«I am possibly an anachronism. I am a composer of opera, and that is what I am going to be, throughout».1 Questo avrebbe affermato Benjamin Britten di fronte al compositore Michael Tippett negli anni della seconda guerra mondiale. In queste parole sono parimenti espresse la consapevolezza della crisi che stava investendo l’opera in quanto genere della tradizione, la volontà di affermarsi come operista e la rivendicazione orgogliosa di una forma di alterità. Non si trattava di uno sfogo ingenuo, Britten infatti condivideva le perplessità di molti suoi contemporanei circa l’attualità dell’opera.2 Piuttosto, egli pareva trovarsi a suo agio con il disagio che l’o-pera gli procurava.

Intorno alla metà degli anni Cinquanta, questo disagio si muta in una precisa volontà di attualizzare e dunque ‘modernizzare’ il genere.3 Il programma si profila per la prima volta in The Turn of the Screw, un’esperienza tanto decisiva per Britten da indurlo a scrivere, a pochi mesi dalla prima veneziana: «I feel […] that I am on the threshold of a new musical world (for me, I am not pretentious about it!) I am worried about the problems which arise, & that is one reason that I am taking off next winter to do some deep thinking».4 Ingredienti di tale modernizzazione sono il riferimento esibito al ‘metodo per comporre con 12 note riferite solo l’una all’altra’,

1. «Io sono probabilmente un anacronismo. Sono un compositore d’opera, e questo è ciò che ho intenzione di essere, fino in fondo». H. Carpenter, Benjamin Britten: A Biography, Faber and Faber, London 1992, pp. 193–4. Cfr. C. Seymour, The Operas of Benjamin Britten: Expression and Evasion, The Boydell Press, Woodbridge 2004, p. 327.

2. Cfr. C. Chowrimootoo, Bourgeois Opera: “Death in Venice” and the Aesthetics of Sublimation, «Cambridge Opera Journal», xxii/2 2011, pp. 175–216. Trad. it. in questo volume, pp. 29-76.

3. Cfr. L. Whitesell, Britten’s Dubious Trysts, «Journal of the American Musicological Society», lvi/3 2003, p. 640.

4. «Sento […] di essere alle soglie di un nuovo mondo musicale (per me, non ho pretese su questo!) Sono preoccupato per i problemi che sorgono, e questo è uno dei motivi per cui mi prenderò il prossimo inverno per fare qualche profonda riflessione». Benjamin Britten a Edith Sitwell, 28 aprile 1955, in P. Reed, M. Cooke e D. Mitchell (cur.), Letters from a Life: The Selected Letters of Benjamin Britten. 1953-1957, vol. iv, The Boydell Press, Woodbridge 2008, lettera 831.

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secondo la definizione di Arnold Schönberg, e l’avvicinamento alle risorse espressive delle musiche del lontano Oriente, in questo caso tramite l’evocazione delle sono-rità del gamelan di Bali. Questa caratteristica combinazione troverà ben presto una nuova applicazione nel balletto The Prince of the Pagodas,5 ricorrendo in progetti ope-ristici anche molto successivi come A Midsummer Night’s Dream e Death in Venice.6 Da questo punto di vista The Turn of the Screw rappresenta non soltanto il principale catalizzatore della ricerca compositiva intrapresa da Britten dalla seconda metà degli anni Cinquanta, ma anche l’archetipo decisivo dell’applicazione di risorse costrutti-ve ed espressive per lui nuove al contesto drammaturgico-musicale.

Anche la scelta del soggetto mostra elementi di novità. Le precedenti opere di Britten mettevano invariabilmente in scena individualità idiosincratiche, caratteriz-zate dal loro essere incorreggibilmente ‘altre’ e per questo derise, punite, escluse da gruppi sociali mossi da un istinto di conservazione di una ‘normalità’ stabilita cul-turalmente come ‘neutra’ o, nei termini della semiotica, ‘non marcata’, priva cioè di attribuzioni caratteristiche. Peter Grimes, The Rape of Lucretia, Albert Herring, Billy Budd sono altrettante variazioni sul tema dell’impossibilità di ricondurre personalità a vario titolo ‘devianti’ entro il perimetro dei comportamenti socialmente accettati e accettabili, dove la relazione tra devianza e norma non è mai priva di connotazione sessuale.7 La decisione di trarre dal racconto di Henry James The Turn of the Screw8 il soggetto di un’opera è al tempo stesso stimolo e conseguenza di un’evoluzione. L’isolamento del luogo dell’azione, la tenuta di Bly, collocata in un recesso remoto dell’Essex (toponimo di per sé allusivo), sposta la dimensione della collettività in se-condo piano, mentre la proliferazione di personaggi idiosincratici porta a focalizzare l’attenzione sul loro reciproco posizionamento entro una rete di tensioni erotiche (di attrazione o repulsione) più o meno inconsce. La sessualità amplia così la sua influenza e diventa una potenza pervasiva, fino a coinvolgere la sfera culturalmente scabrosa delle pulsioni infantili o adolescenziali nella loro relazione con le possibili influenze degli adulti.

5. Cfr. D. Mitchell, Catching on to the Technique in Pagoda-Land, «Tempo», 146 1983, pp. 13–24; Id., An Afterword on Britten’s ‘Pagodas’: The Balinese Sources, «Tempo», 152 1985, pp. 7–11; M. Cooke, Britten and the Far East: Asian Influences in the Music of Benjamin Britten, The Boydell Press, Woodbridge 1998; Id., Distant Horizons: From Pagodaland to the Church Parables, in Id. (cur.), The Cambridge Companion to Benjamin Britten, Cambridge University Press, Cambridge 1999, pp. 167–87.

6. Cfr. M. Cooke, Britten and Shakespeare: “A Midsummer Night’s Dream”, in Id., The Cambridge Companion to Benjamin Britten, pp.  129–46; Id., Britten and the Gamelan: Balinese Influences in “Death in Venice”, in D. Mitchell (cur.), Benjamin Britten: “Death in Venice”, Cambridge University Press, Cambridge 1987, pp. 115–28; Chowrimootoo, Bourgeois Opera.

7. Cfr. P. Brett, Music and Sexuality in Britten: Selected Essays, a cura di G. E. Haggerty, University of California Press, Berkeley e Los Angeles 2006.

8. Cfr. H. James, The Turn of the Screw, in Id., The Two Magics, MacMillan & Co., London 1898.

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Per stabilire in quale misura la scelta e l’elaborazione del soggetto sia connessa con la ‘radicalizzazione’ del linguaggio musicale di Britten è indispensabile interro-garci sui modi in cui i due aspetti interagiscono sul piano drammaturgico-musicale. Per fare questo non basta riconoscere la presenza di principi costruttivi riconducibili alla composizione con 12 suoni,9 né stabilire il grado di elaborazione al quale sono sottoposti principi e convenzioni formali risalenti alla nascita dell’opera;10 è invece opportuno superare la mera enunciazione di principi astratti in direzione di un ap-proccio concreto e ‘materiale’ alla drammaturgia musicale.

Alludo qui all’idea di ‘morfologia materiale’ (materiale Formenlehre) proposta da Theodor W. Adorno nella monografia su Gustav Mahler allo scopo di superare una visione astratta e tipologica della forma musicale. Ogni volta che le categorie tradizionali si rivelano inadeguate a interpretare il peculiare decorso formale delle sinfonie di Mahler, Adorno introduce categorie nuove (sospensione, adempimento, irruzione, crollo) desumendole direttamente dal ‘senso’ (Sinn) di un passaggio con-siderato nella sua concreta configurazione timbrica ed espressiva.11 Analogamente Ernst Kurth, per spiegare la difformità tra schema formale e forma concreta nelle sinfonie di Anton Bruckner, aveva abbandonato le categorie tipologico-sintattiche della Formenlehre tradizionale a favore di categorie ‘energetiche’ (tensione, crescita, addensamento, deflusso, compensazione) basate sull’osservazione della dinamica e della strumentazione.12 Tali prospettive sono spendibili anche nel contesto dramma-turgico-musicale, nel quale è possibile desumere o precisare il senso delle categorie citate anche in funzione delle situazioni rappresentate sulla scena.

Continuando la riflessione di Adorno, Tobias Janz in uno studio su Richard Wagner ha recentemente introdotto il concetto di ‘drammaturgia del suono’ (Klangdramaturgie).13 Nella misura in cui pone la costituzione al contempo armo-nica e timbrica del ‘suono’ (Klang) in relazione alla funzione drammaturgica, que-sta prospettiva è impegnata a riammettere nella teoria e nell’analisi musicale ciò che John Sheinbaum ha efficacemente definito «the timbral outsider»;14 con la

9. Cfr. E. Stein, “The Turn of the Screw” and Its Musical Idiom, «Tempo», 34 1954-55, pp. 6–14; S. E. Smith, A Study and Analysis of the Instrumental Theme and Variations in Benjamin Britten’s “The Turn of the Screw” (MA Thesis), Eastman School of Music, University of Rochester, New York 1983; P. Howard, Structures: An Overall View, in Id. (cur.), Benjamin Britten: “The Turn of the Screw”, Cambridge University Press, Cambridge 1985, pp. 71–90.

10. Cfr. A. Whittall, 12 Notes – and More, «The Musical Times», cxxvii/1720 1986, p. 443. 11. Cfr. T. W. Adorno, Mahler. Eine musikalische Physiognomik (1960), in Id., Gesammelte Schriften

Band 13, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1971, p. 193. Trad. it. Mahler. Una fisiognomica musicale, Einaudi, Torino 2005, p. 52.

12. Cfr. E. Kurth, Bruckner, Hesse, Berlin 1925. Ristampa: Olms, Hildesheim 1971. 13. Cfr. T. Janz, Klangdramaturgie. Studien zur theatralen Orchesterkomposition in Wagners “Ring des

Nibelungen”, Königshausen & Neumann, Würzburg 2006.14. «L’estraneo timbrico». Cfr. J. J. Sheinbaum, Adorno’s Mahler and the Timbral Outsider,

«Journal of the Royal Musical Association», 131 2006, pp. 38–82.

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precisazione che la dimensione del timbro, nella prospettiva di Kurth, è sempre stret-tamente intrecciata con aspetti quantitativi, come la dinamica e la densità strumen-tale, che meritano altrettanta considerazione. La loro decisività sul piano espressivo e comunicativo non ci consente infatti di relegarli al rango subordinato di parametri ‘secondari’.

Sulla scorta di queste premesse mi interrogherò sulla possibilità di delineare la ‘posizione’ di Britten nei confronti della vicenda rappresentata in The Turn of the Screw a partire dalla disamina delle modalità della rappresentazione drammaturgico-musicale nei suoi aspetti più concreti, in modo del tutto indipendente dalla carat-terizzazione di tale istanza come ‘voce’, ‘personaggio’ o ‘stile’.15 L’attenzione sarà rivolta in primo luogo alla complessità dell’opera e all’interazione delle componenti volta per volta coinvolte entro configurazioni emergenti di senso.

Dopo aver preso lungamente in considerazione, per l’opera tratta dal racconto di James, il titolo alternativo «The Tower and the Lake»16 per il chiaro riferimento alla simbologia sessuale presente tanto nel racconto quanto nel libretto, Britten tornò al titolo originale non appena pose mano alla composizione, per ragioni da lui stesso spiegate: «I must confess I have a sneaking, horrid feeling that the original H. J. title describes the musical plan of the work exactly!!».17 Trattandosi di una fase iniziale del processo compositivo, Britten poteva riferirsi soltanto ad aspetti molto generali della pianificazione, come lo schema formale (un tema seguito da 15 variazioni) o la successione dei centri tonali delle 16 scene corrispondenti; da questo punto di vista le 8 scene del secondo atto seguono un percorso speculare e inverso rispetto alle 8 scene del primo atto.18 Queste simmetrie e corrispondenze restano in vigore anche nell’opera finita, ma rappresentano solo un livello molto astratto della composizio-ne; basta infatti rivolgere l’attenzione alla sua concreta realizzazione per rilevare in-frazioni, sfasature, dissincronie, sconfinamenti.

15. Cfr. E. T. Cone, The Composer’s Voice, University of California Press, Berkeley, Los Angeles e London 1974; C. Abbate, Unsung Voices: Opera and Musical Narrative in the Nineteenth Century, Princeton University Press, Princeton 1991; C. Taylor-Jay, The Composer’s Voice? Compositional Style and Criteria of Value in Weill, Krenek and Stravinsky, «Journal of the Royal Musical Association», cxxxiv/1 2009, pp. 85–111.

16. «La torre e il lago». Benjamin Britten a Anthony Gishford, 31 gennaio 1954, in Reed, Cooke e Mitchell, Letters 1953-1957, vol. iv, lettera 787.

17. «[…] devo confessare di avere la vaga e orrenda sensazione che il titolo originale di H. J. descriva la pianificazione musicale dell’opera in modo esatto!!». Benjamin Britten a Myfanwy Piper, 30 marzo 1954, in Reed, Cooke e Mitchell, Letters 1953-1957, vol. iv, lettera 794.

18. Nel primo atto i centri tonali esauriscono le note bianche del pianoforte ascendendo da la a sol per raggiungere la7. Nel secondo atto la traiettoria discende: riparte da la7 e percorre in senso inverso la stessa successione di intervalli. Ne risulta una una saturazione del totale cromatico tramite la graduale integrazione di tutte le note nere e un ritorno al la iniziale. Di conseguenza 4 centri tonali (do e fa, oltre la e la7) vengono toccati in entrambi gli atti.

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L’aggiunta del Prologo – un’idea di Basil Coleman che Britten sviluppò in una fase tarda del processo compositivo19 – introduce già di per sé un’asimmetria. Da un lato vi è offerta la riattualizzazione di una forma antica come il recitativo semplice: gli arpeggi del pianoforte recuperano un elemento convenzionale, ma mirano alla saturazione dello spazio armonico, ottenuta tramite la sovrapposizione di intervalli di terza. Dall’altro lato si ha un significativo sconfinamento nel successivo Tema, del quale il Prologo invade il campo non prima di averne dato una parziale anticipazione diatonica. Nel fare questo un principio ‘antico’ entra in contatto con un principio co-struttivo ‘moderno’: il Tema è infatti una serie di 12 altezze, la cui chiara articolazione sintattica in 3 parti simmetriche corrisponde a una partizione in gruppi analoghi di 4 note riconducibili a intervalli di quarta. Per questa via Britten pone le premesse per una ibridazione dei principi costruttivi che attraversa l’intera composizione: princi-pio ‘seriale’ e ‘tonale’ – negli anni Cinquanta percepiti da molti come opposti incon-ciliabili – si confondono, mediati dal riferimento al circolo delle quinte, che esaurisce con mezzi tonali il totale cromatico.20 Più che di un ‘tema’ (principio formale) o di una ‘serie’ (principio strutturale) si tratta di una ‘matrice’ indifferente alla scelta del principio costruttivo.

Il decorso energetico del Tema ne infrange platealmente la simmetria: si tratta, in-fatti, di un processo di accumulazione e intensificazione. Sul piano della strumenta-zione si ha la presentazione dell’intera compagine strumentale: mentre il pianoforte, in continuità con il Prologo, enuncia la serie, i 12 strumentisti dell’ensemble si aggiun-gono gradualmente in modo che ogni altezza sia assegnata a un diverso strumento e tenuta fino a ottenere, in conclusione, la sovrapposizione delle 12 altezze in registri diversi. Nell’ordine si aggiungono al pianoforte: timpano, corno, arpa, contrabbasso, fagotto, clarinetto, violoncello, viola, violino ii, oboe, flauto, violino i (la presenza dei 2 violini è compensata dal pianoforte, che porta a 12 i timbri effettivamente coinvol-ti). Britten sembra così alludere, senza poi farne uso, a un principio di serializzazione del timbro, che in quegli anni era al centro della discussione delle avanguardie mu-sicali. Al progressivo incremento della densità strumentale corrisponde un graduale crescendo dinamico da pp a ff, con un’intensificazione pronunciata verso la fine, che coincide con il punto culminante; questo marca il passaggio verso una sorta di essen-ziale ‘ouverture’ strumentale (il sipario è abbassato) in tempo doppio (Quick [1]).21

19. Benjamin Britten a Myfanwy Piper, 12 aprile 1954 e [1 agosto] 1954, in Reed, Cooke e Mitchell, Letters 1953-1957, lettere 797 e 812 (pp. 234, 261, 264).

20. Cfr. J. Evans, Twelve-note Structures and Tonal Polarity, in Mitchell, Benjamin Britten: “Death in Venice”, pp. 99–114; P. Rupprecht, Britten and the Avant-garde in the 1950s, in Id., Rethinking Britten, Oxford University Press, New York 2013, pp. 131–55.

21. I numeri di prova sono riferiti a: B. Britten, The Turn of the Screw / Opus 54 / An Opera in a Prologue and Two Acts / Libretto by Myfanwy Piper / After the Story by Henry James (Full Score), Boosey & Hawkes, London 1966.

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La prima nota del Tema, la, è anche la prima della ‘ouverture’ e il suo centro to-nale, come conferma l’assenza di accidenti in chiave. Nelle parti interne si annuncia un nuovo complesso tematico che procede per intervalli di seconda. Se questo da un lato si distacca dalla ‘matrice’, dall’altro ne mantiene una dipendenza strutturale e costruttiva: non solo è ancora ravvisabile, nel profilo melodico, la combinazione di due intervalli di quarta a distanza di seconda maggiore, ma nel complesso il passag-gio procede per successivi completamenti delle 12 altezze. Ciò avviene nelle prime 15 semiminime come nelle successive 10, che al tempo stesso tornano al centro to-nale. Ciò che segue è al tempo stesso una graduale discesa dinamica e una progres-siva ‘liquidazione’ delle altezze e degli strumenti coinvolti. Si tratta pertanto di una compensazione energetica della configurazione del Tema. Il processo si compie proprio all’inizio della Scena I (The Journey), caratterizzata da un accompagnamen-to di 4 timpani accordati su 4 altezze dislocate per quarte sovrapposte. In questo paesaggio sonoro percussivo è stata individuata la cifra di un viaggio in una giungla di passioni primordiali.22 Si tratta invece di una carrozza che si muove in piena pro-vincia vittoriana, intorno alla metà del secolo XIX. Il dato essenziale è l’irregolarità dell’accento ritmico, una caratteristica ‘sfasatura’ introdotta dalla ‘ouverture’ che imita il contatto delle ruote con le scabrosità della strada – prefigurazione di ben altre scabrosità.

Nel momento esatto in cui il Prologo sconfina nel Tema, la voce tenorile riporta per la prima e unica volta, in discorso diretto, le parole della protagonista, segnando un passaggio dalla modalità del racconto (diegesis nel senso antico) a quello della rappresentazione (mimesis) che caratterizza l’azione teatrale. Sono le parole con le quali la protagonista, destinata a restare senza nome, aveva accettato l’incarico per lei nuovo («untried») di istitutrice (the Governess) di due bambini per conto del loro distinto e affascinante tutore (the Guardian), incontrato a Londra prima della partenza per Bly: «“I will”, she said». Si tratta della formula di rito che corrisponde al nostro ‘sì, lo voglio’. L’istitutrice interpreta dunque il contratto di lavoro come un vincolo matrimoniale. Questo ci permette di stabilire una prima linea di tensione erotica, destinata tuttavia a rimanere inappagata. La ragione è contenuta nel Prologo stesso: il tutore è troppo impegnato, non ha tempo per i due bambini, di cui si trova ad essere l’unico parente in vita, quindi l’istitutrice dovrà farsi carico di tutto, senza disturbarlo e senza scrivergli, limitandosi quindi a fare meglio possibile in silenzio. Vi è però un’altra ragione, adombrata all’inizio del Prologo. Il tutore vi è descrit-to come giovane, sfrontato, disinvolto e allegro («young, bold, offhand and gay»), ma è soprattutto l’ultimo aggettivo («gay») a essere rilevato tramite un notevole

22. Cfr. C. Palmer, Britten’s Venice Orchestra, in Mitchell, Benjamin Britten: “Death in Venice”, p. 131.

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prolungamento dell’emissione vocale, che corrisponde a un picco dinamico. Con tale espediente Britten sembra ascrivere il mancato interesse del tutore a una forma di alterità destinata a non incontrare la tensione erotica della istitutrice. Questa, ben-ché piena di dubbi («she was full of doubts»), si fa però convincere proprio dall’idea che un uomo così galante, affascinante e impegnato («that he, so galant and handso-me, so deep in the busy world») possa avere bisogno del suo aiuto.

Nella scena del viaggio – luogo sospeso tra mondi diversi, passaggio verso un al-trove ancora ignoto – il decorso circolare risulta evidente dalla melodia e dal testo del libretto («Nearly there. Very soon I shall know»). Ma è soprattutto il dato ener-getico a parlarci: la nota più grave raggiunta dalla parte vocale è un re8 in pp sull’ag-gettivo «different» (‘diverso’ [2]); la nota più acuta è un sol8 che coincide con il punto culminante della scena, raggiunto sulle parole «A strange world for a stran-ger’s sake» (‘un mondo strano/estraneo a vantaggio di/per amore di uno scono-sciuto/estraneo’) e in particolare su «strange» e «stranger» ([3]+5). Proprio qui si interrompono i timpani e subentra il tamburo tenore, che prepara il duplice raggiun-gimento del punto culminante, mentre la voce ff intona due volte una terza maggiore (mi–sol8). Segue un improvviso contraccolpo dinamico ([3]+7). Le percussioni si fermano mentre in pp, muovendo da una terza minore (mi–sol), l’istitutrice esprime un dubbio angoscioso – ma non sfuggirà la connotazione erotica delle sue parole – con un caratteristico passaggio melismatico: «O why, why did I come?» (‘perché sono venuta?’). Il dubbio recupera e completa il complesso tematico delle voci in-terne comparso all’inizio della ‘ouverture’ [1], portandolo alla superficie espressiva. A scacciare i timori sarà solo la memoria del patto con il tutore («No! I’ve said I will do it, and for him I will»).

L’offuscamento del confine tra timore dell’ignoto e tensione erotica è sfruttato sul piano drammaturgico nel monologo della protagonista durante la sera d’estate della Scena IV (The Tower), un autentico trattato di ornitologia sviluppato a partire dalla ripetizione dei 3 gruppi di intervalli che articolano la serie. Alla fine della pre-cedente Variazione III, che instaura questo paesaggio sonoro, si affaccia una figura terzinata di note ribattute e staccate (fa, [22]+9). Potrebbe trattarsi di una tortora se il suono (un fagotto nel registro medio-acuto) non fosse straordinariamente simile al richiamo amoroso del maschio dell’upupa, che evoca al tempo stesso una simbologia più sinistra. Quando questo stesso richiamo torna nella Scena IV (il fagotto intona la, [24]+8) la linea vocale inizia a muoversi per terze sovrapposte, richiamando gli accordi iniziali del Prologo. L’istitutrice si abbandona a un sogno d’amore: deside-rerebbe solo una cosa, vedere ‘lui’ («Only one thing I wish, That I could see him»), il tutore dei bambini, e che lui potesse vedere con quanta cura svolge il compito che lui le ha affidato («And that he could see how well I do his bidding»). Persa nel suo sogno, e del tutto dimentica dell’indifferenza del tutore, crede addirittura di scorger-lo sulla torre («Ha! ’Tis he!», [26]+2). Deve però subito ricredersi: si tratta in realtà

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di un altro. Non è dunque un caso che questa visione sia collegata alla simbologia dell’upupa, che non costruisce il nido ma occupa non di rado quelli abbandonati da altre specie, caratterizzandosi come ‘usurpatore’. L’istitutrice si interroga con insi-stenza circa l’identità della figura maschile che ne ha preso il posto («No! No! Who is it? Who? Who can it be?» [27]). Ma l’inconscio scambio di persona fa cenno alla possibilità che le due figure siano sovrapponibili sul piano delle preferenze sessuali.

Ne sapremo di più alla fine della Scena V (The Window), dal racconto di Mrs Gro-se, la domestica di Bly, dopo che quella figura sarà comparsa per la seconda volta alla protagonista, questa volta alla finestra, mentre segue con lo sguardo i giochi dei bambini: emergeranno allusioni a contatti scabrosi tra Miles, il più grande dei bam-bini affidati alle cure dell’istitutrice, e un inserviente, Peter Quint. Contatti destinati peraltro a continuare perfino dopo che Quint, una mattina, era stato trovato morto per una caduta accidentale (ma tutto fa pensare a un’avventura notturna) sulla strada ghiacciata. Quella figura era proprio il fantasma di Peter Quint, riconosciuto da Mrs Grose sulla base delle descrizioni della protagonista (la domestica non ha il privilegio di vedere i fantasmi).

Se i dettagli del racconto di Mrs Grose lasciano qualche margine di incertezza sul tipo di ‘libertà’ che Quint si concedeva con Miles nel passato di Bly («But I saw things, elsewhere, I did not like, when Quint was free with ev’ryone, with little Ma-ster Miles» [40]), nel presente della rappresentazione drammaturgico-musicale la forza di attrazione che lega Miles a Quint è ampiamente certificata. Questa linea di tensione erotica vige tanto sul piano della simbologia musicale – che caratterizza an-che altre opere di Britten,23 ricollegandosi a una florida e mai interrotta tradizione che risale almeno al Medioevo – quanto sul piano della significazione ‘materiale’ e in particolare timbrica. Miles è rappresentato da un mi (le sue iniziali) per lo più nel registro grave del pianoforte. L’oggetto della sua attrazione, il fantasma di Quint, è un mi7 collocato nel registro acuto, a indicare la ‘deviazione’ o il ‘traviamento’ di Miles verso quello che si caratterizza come uno ‘spirito di levità’. Le apparizioni di Quint sono invarabilmente accompagnate dal timbro della celesta e da un accordo di tre note la cui forma fondamentale comprende, dal grave verso l’acuto, si7, re7 e mi7 (terza minore più seconda maggiore). L’accordo compare alla celesta per la prima volta nella Scena III (The Letter), brevemente, in assenza di Quint [15], turbando la momentanea tranquillità dell’istitutrice, quando una lettera annuncia che Miles è stato cacciato da scuola per un tempo illimitato poiché rappresenta «An injury to his friends» (‘un oltraggio/danno per i suoi compagni’, [15]+9). Solo retrospetti-vamente sarà possibile stabilire un rapporto tra il misterioso contenuto della lettera

23. Cfr. M. Cooke, Be Flat or Be Natural? Pitch Symbolism in Britten’s Operas, in Rupprecht, Rethinking Britten, pp. 102-29.

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e l’influenza di Quint. Lo stesso accordo ricorre, in modo molto più insistente, nel corso delle apparizioni di Quint sulla torre (Scena IV [26]) e alla finestra (Scena V [35]). Ma la scabrosa fascinazione di Quint, in una rete di analogie timbriche, si estende al Glockenspiel, alle campane tubolari e al triangolo; si dovrà scorgere Quint anche nei virtuosismi dell’arpa e nei pizzicati dei violini. La repulsione che l’istitutri-ce prova nei confronti di Quint è invece rappresentata dalla competizione tra la, che rappresenta l’istitutrice, e la7.

Come apprendiamo da Mrs Grose, le libertà di Quint non si limitavano a Miles ma coinvolgevano la precedente istitutrice, Miss Jessel («He made free with her, too, with lovely Miss Jessel» [41]). Questa era particolarmente legata a Flora, la bambi-na più piccola. Si stabilisce pertanto una seconda linea di tensione tra il fa di Flora, insediato nel registro acuto, e il fa8 di Miss Jessel, che si colloca nel registro grave e corrisponde alla sua caratterizzazione (opposta rispetto a Quint) di ‘spirito di gravi-tà’. La sua attrazione analogamente ‘deviante’ spinge magneticamente Flora verso le zone umide e depresse della tenuta, principalmente il lago, che è anche il luogo della prima apparizione [64] di Miss Jessel nella Scena VII (The Lake). Dal punto di vista armonico questo secondo fantasma è annunciato da una lieve variante dell’accordo di Quint, che comprende, dal grave verso l’acuto, le note fa8, sol8 e do (seconda mag-giore più, enarmonicamente, terza maggiore). Dal punto di vista timbrico, la presen-za di Miss Jessel è rappresentata dalla combinazione del gong con il contrabbasso pizzicato che intona il fa8, ma anche da altri idiofoni a suono indeterminato, come il piatto sospeso.

La complementarità delle linee di tensione che legano i bambini ai rispettivi fan-tasmi viene pienamente in luce nella Variazione VII e nella Scena VIII (At Night), pervase di metallofoni, presenti dalla fine della Scena VII ([70]+7). Ricorre una ca-ratteristica combinazione: nel registro acuto l’accordo di Quint all’arpa e alla celesta, che ne sviluppa una variante pentafonica; nel grave il gong e la nota di Miss Jessel al contrabbasso ([70]+11). Tutto ciò ha fatto ipotizzare un preciso rapporto tra alterità culturale del gamelan e attrazione specificamente omosessuale.24 La fascinazione eso-tica dei metallofoni è tuttavia associata, convenzionalmente, non solo all’attrazione erotica in genere ma soprattutto al soprannaturale (si tratta pur sempre di fantasmi). Lo stesso Quint, inizialmente non visibile in scena, che chiama ripetutamente Miles ornando il suo nome con ricche figurazioni melismatiche (la prima nota è natural-mente mi7 [71]+14), seducenti varianti del tema del dubbio, evocherà scenari inso-liti, desideri e segreti troppo generici per essere caratterizzanti. Lo stesso vale per Miss Jessel, che poco più avanti si aggiunge a invocare Flora. Quel che è certo è che i bambini, come rapiti in sogno, rispondono ai richiami provenienti dalla torre e dal

24. Cfr. P. Brett, Britten’s Bad Boys: Male Relations in “The Turn of the Screw”, in Id., Music and Sexuality in Britten, pp. 100–1.

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lago, fino all’intervento dell’istitutrice e di Mrs Grose, che vanno a recuperare i bam-bini. Con questo singolare sestetto Britten recupera e aggiorna tutte le convenzioni del finale centrale.

La scabrosità delle tensioni erotiche che l’opera avrebbe dovuto mettere in scena, in-tegrando sul piano della rappresentazione teatrale le allusioni necessariamente meno plastiche del racconto di James, destavano qualche preoccupazione in Britten, che alla librettista aveva scritto, a proposito di Quint: «I think the sexy suggestion should only refer to his relationship with Miss Jessel, don’t you? Incidentally it may help to avert a scandal in Venice!!».25 La formulazione del libretto, frutto di continui ripen-samenti e precisazioni da parte di Britten, che sottopose il lavoro di Myfanwy Piper a un continuo e scrupoloso controllo sia durante la stesura del testo che durante la composizione, doveva essere abbastanza vaga da mantenere la connotazione erotica di quelle influenze in penombra. L’indeterminatezza del senso musicale, che si stabi-lisce sul piano della configurazione ‘materiale’, rendeva però Britten libero di seguire quelle tensioni in tutte le loro implicazioni. A un esame dettagliato queste risultano talmente pervasive da essere riscontrabili nelle più minute sottigliezze timbriche e costruttive, anche indipendentemente dalla presenza dei fantasmi. Sul piano simbo-lico questo avviene già con la prima comparsa del tema del dubbio, intonato dall’isti-tutrice durante il viaggio: le uniche due note nere che vi compaiono, fa8 e mi7, non erano infatti che premonizioni delle due presenze inquietanti, chiamate a turbare l’innocenza della protagonista, rappresentata dalle note bianche della tonalità di La minore. Ma è soprattutto sul piano energetico e materiale che Britten lavora.

Alla fine del viaggio della protagonista i timpani lasciavano il posto al tamburo te-nore e a questo subentrava il tom-tom. La carrozza rallentava quindi la sua corsa, fino a fermarsi con due lievissimi colpi del piatto: una graduale progressione verso un tim-bro ‘indeterminato’. Si tratta della primissima manifestazione di un suono metallico, primo fenomeno di risonanza extraterritoriale rispetto agli strumenti uditi fino a quel momento. Il primo ritorno del Tema (Variazione I) è caratterizzato da un evidentis-simo ritorno della serie, trasposta su un diverso centro tonale (si). Del Tema viene ripreso anche il crescendo dinamico e il progressivo addensamento strumentale, ma ora il passaggio di registro si inverte, e si muove dall’acuto verso il grave. La serie as-sume in questo modo drammaticità. L’ultima partizione del Tema ([5]+3) viene ri-petuta nel grave, mentre nei registri più acuti si instaura un ostinato che, con le 4 note del basso, completa la serie. Al graduale accelerando si aggiunge una condensazione motivica che sfocia in un ff dinamico in corrispondenza dell’entrata (Quick and gay)

25. «Penso che la suggestione erotica dovrebbe riferirsi soltanto alla relazione con Miss Jessel, non credi? Incidentalmente questo può aiutarci a evitare uno scandalo a Venezia!!». Benjamin Britten a Myfanwy Piper, 26 aprile 1954, in Reed, Cooke e Mitchell, Letters 1953-1957, vol. iv, lettera 800.

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di una configurazione introduttiva della Scena II (The Welcome). Dati essenziali del passaggio alla scena sono la riduzione del basso al salto di quarta ascendente (si–mi) e l’ingresso dell’arpa, che con i pizzicati degli archi accompagnerà la prima manife-stazione dei bambini.

La nuova scena ci porta, come in un film, dall’altro lato dell’incontro, nella casa di Bly, dove i bambini e Mrs Grose si apprestano ad accogliere l’arrivo della nuova isti-tutrice. Britten in questo modo conferisce oggettività alla vicenda che nel racconto di James è invece costantemente in soggettiva, filtrata cioè dal punto di vista dell’i-stitutrice. I due bambini si esprimono come in canone, inscenando una cerimonia dell’innocenza. Si tratta della prima di una serie di straordinarie performance:26 Mrs Grose invita Miles a mostrare il suo inchino e Flora la sua riverenza. L’arpa, che qui è assoluta protagonista, ne imita i gesti: un glissando discendente, accompagnato dagli armonici degli archi e da un colpo di triangolo per l’inchino di Miles [8]; un arpeg-gio ascendente culminante nei trilli dei legni accompagnati da un colpo leggero del piatto sospeso ([8]+3) per le riverenze di Flora. Le arpe, e un caratteristico avvicina-mento di triangolo e piatto, continuano a risuonare a lungo: sappiamo già a chi fanno cenno. Miles e Flora ripetono i loro gesti in modo evidentemente canzonatorio. Mrs Grose lo riconosce esplicitamente («Lord, how do you tease!», [6]+1). Più avanti, interrompendo momentaneamente il ritorno variato, al violino, del tema del dubbio ([9]+5), l’arpa accompagna la riverenza di Mrs Grose, quella di Flora e l’inchino di Miles (da [9]+10). Il fatto che l’arpa nasconda l’accordo di Quint suggerisce un sot-tile offuscamento dei confini tra innocenza, ironia, scaltrezza e corruzione.

Il gioioso irrompere dei bambini, circonfuso del suono dell’arpa, si fa di nuovo avanti per mostrare alla nuova arrivata la casa e il parco [12], ma così le vengono mostrati anche i luoghi delle successive apparizioni. La Variazione II sembra mimare le corse dei bambini, con l’istitutrice al seguito. La serie, al basso, svolge ora permu-tazioni più tortuose,27 ritardando l’esaurimento delle 12 note, mentre gli archi non dimenticano di toccare l’accordo di Quint. Nella Scena III (The Letter) vediamo i bambini mentre inscenano una nuova cerimonia dell’innocenza. Per il loro gioco Britten utilizza testo e melodia della popolare filastrocca Lavender’s Blue. Il suo inten-to non è solo quello di salvaguardare il criterio di verosimiglianza storica: piuttosto, tramite l’utilizzo di un reperto di cultura diffusa, Britten introduce un interrogativo culturale circa la costruzione dell’infanzia come zona nettamente separata dalla vita adulta – separazione alla quale l’istitutrice crede risolutamente.

È il testo stesso della filastrocca, accuratamente ripreso da fonti scritte storica-mente attestate, a prefigurare la vita adulta nella forma di un’unione matrimoniale tra un re e una regina («When I am King […] You shall be Queen»). Nella versione

26. Cfr. P. Rupprecht, Britten’s Musical Language, Cambridge University Press, Cambridge 2002, p. 140.

27. Howard, Structures: An Overall View, pp. 76–7.

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riportata dalle Songs of the Nursery (1805) il verso finale recita: «And you and I will keep the bed warm» (‘e io e te terremo il letto caldo’), chiara allusione alla sfera ses-suale. Questo verso non sarà intonato nella sua interezza; con scaltra dissimulazione, Britten fa sì che i bambini si limitino a ripetere «While you and I, diddle diddle…» (‘mentre io e te, diddle diddle’, [19]+6), caricando di allusioni l’onomatopea e dun-que l’omissione. Se ora guardiamo alla relazione con la situazione drammaturgica, questa performance dell’innocenza appare in realtà come una manovra per mani-polare gli adulti: la cortina tonale ha lo scopo di convincere l’istitutrice a tacere del-la lettera, con il beneplacito dell’ingenua Mrs Grose, anziché preoccuparsi del suo contenuto [20].

Un’altra sonorità scabrosa anticipa la successiva cerimonia dei bambini. Nella Variazione IV la ripresa della serie al basso (pianoforte e contrabbasso pizzicato) è accompagnata dal tremolo di un cluster caratterizzato dalla combinazione del piz-zicato degli archi con il rullo dei tamburi (Very quick and heavy), dove peraltro si cela l’accordo di Peter Quint. Questo conduce senza soluzione di continuità dentro la Scena V, dove i bambini mettono in scena un’altra celebre filastrocca. Tom the Piper’s Son nasconde dietro la sua semplicità giocosa una seria vicenda di colpa e punizione: Tom ruba un maialino e fugge; Tom mangia il maialino; Tom, picchiato dal padre, corre in strada piangendo. L’arpa entra qui in corrispondenza dei dialoghi dei bambini tra le varie ripetizioni della filastrocca. Nel primo dialogo [32] Miles si identifica con Tom: tocca a lui rubare il maialino («Now I’ll steal the pig!»), men-tre Flora lo incoraggia («Go on then, go on!»). Il secondo dialogo, mentre l’arpa insiste sull’accordo di Quint, va oltre: nel «Now chase me! – I’ll catch you!» (‘ora inseguimi! – ti prendo!’ [33]), così caratteristico del gioco infantile, è stata scorta una «sexual invitation»,28 confermata dal «Let’s do it again!» (‘facciamolo ancora’ [34]) di Flora. Non stupirà, allora, che alla fine della scena, mentre la filastrocca si perde nel registro acuto, compaia Quint [35]. Con queste soluzioni drammaturgiche Britten sembra volere decostruire la costruzione culturale dell’assoluta separatezza e innocenza dell’infanzia, rivelando una sottile continuità tra il gioco infantile e la vita sessuale adulta, analogamente fondate su una dialettica di desiderio e appagamento.

Nella Scena VI (The Lesson) Miles è impegnato nella lezione di latino. La prima parte, che intona un esercizio mnemonico tratto letteralmente da The Shorter Latin Primer di Benjamin Kennedy (1866), insiste allusivamente su una lunga lista di so-stantivi maschili in -is, declinazione generalmente assegnata al genere femminile. La questione del loro riferimento a organi e pratiche sessuali è dibattita.29 La melodia

28. «Un invito erotico». T. Sutcliffe («The Guardian», 8 novembre 1979, p. 11), cit. in P. Howard, Myfanwy Piper’s “The Turn of the Screw”: Libretto and Synopsis, in Id., Benjamin Britten: “The Turn of the Screw”, p. 37.

29. Cfr. V. Cunningham, Filthy Britten, «The Guardian», 5 January 2002, http://www.theguardian.com/education/2002/jan/05/arts.highereducation; C. Stray, Kennedy’s Latin Primer in Britten’s

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dell’enumerazione quasi meccanica dei termini latini anticipa già il profilo del tema del successivo esercizio di latino, «Malo» [51], una filastrocca che passa in rassegna i diversi significati associati alla radice mal-. Il tono di questo canto è decisamente patemico, e offre una riflessione di Miles su se stesso. Vi è evocata la nascita dell’in-terrogativo morale: la possibilità di scelta (e di avere preferenze, anche sessuali, se si considera l’ambiguità di genere dei nomi maschili in -is) implicata dal verbo latino malo (‘preferisco’); il ‘melo’ denotato dal sostantivo malus, che evoca l’albero bibli-co del giardino di Eden, con tutte le sue implicazioni morali (la scelta di disubbidire, la tentazione, la conoscenza del bene e del male, la conseguente cacciata e condanna del genere umano); l’aggettivo malus che significa ‘malvagio’ (che Miles possa esse-re ‘cattivo’ è una domanda essenziale nell’economia dell’opera); infine il sostantivo malum, che indica sventura, delitto, misfatto ma anche punizione, colpa, pena, soffe-renza. Tale autoriflessione è evidentemente assente in Flora, più piccola del fratello, che nella Scena VII (The Lake) è intenta in cerimoniali più funerei: una lezione di geografia, in cui Flora, imitando della lezione di latino del fratello, passa in rassegna i nomi dei mari per soffermarsi sul Mar Morto («the Dead Sea» [57]+3), da lei iden-tificato con il laghetto di Bly, e una stralunata ninna-nanna per ‘addormentare’, forse per sempre, la bambola.

Le performance di Miles e Flora che costellano il secondo atto sono al tempo stesso più scaltre, più direttamente connotate nel senso della ‘corruzione’ da parte delle inquietanti presenze e più direttamente connesse con l’evoluzione drammaturgica della vicenda. Nella Scena II (The Bells) uno spunto di James viene sviluppato dal-la librettista in una direzione autonoma. Dietro consiglio di un pastore anglicano, Myfanwy Piper allestisce una parodia del Benedicte.30 Intervallando i richiami insi-stenti delle campane i bambini sembrano intonare il canto di lode al Signore, ma introducono nella preghiera una fitta rete di allusioni alle situazioni scabrose e alle performance del primo atto. Durante questo gioco parodistico le campane tubola-ri, inizialmente vicine a un impianto tonale, subiscono una graduale distorsione ar-monica. Da apparentemente pacifici cenni a fiumi, mari, laghi («rivers and seas and lakes») e torri («towers») – i luoghi di Miss Jessel e Quint – si passa agli ambigui

“Turn of the Screw”, «Paradigm», ii/6 2003, pp.  9–13, http://faculty.ed.uiuc.edu/westbury/paradigm/vol2/Par2.6.Stray.rtf; M. Beards, The Sex Secrets of Kennedy’s Latin Primer, «TLS: The Times Literary Supplement», 25 September 2007 (Blog A Don’s Life), http://timesonline.typepad.com/dons_life/2007/09/the-sexual-secr.html; Reed, Cooke e Mitchell, Letters 1953-1957, vol. iv, pp. 207–9; Daolmi in questo volume, pp. 77 e segg.

30. Cfr. Benjamin Britten a Basil Coleman, 29 maggio 1954, in Reed, Cooke e Mitchell, Letters 1953-1957, vol. iv, lettera 806. Il modello della parodia è la versione del Benedicte contenuta nel Book of Common Prayer, promulgato nel 1662 e ancora in uso ai tempi di Britten. Si tratta di una preghiera utilizzata da sempre nella comunione anglicana e ancora oggi in uso, in una versione ‘emendata’.

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sostantivi maschili latini in -is, alla ripresa delle parole di Quint del finale del pri-mo atto, agli animali che tradizionalmente simboleggiano il male («dragons and snakes, worms»), fino a una preghiera per Mrs. Grose, affinché non sia ‘dannata’ («May she never be confounded!»), ma anche ‘confusa’ e ‘raggirata’, come avverrà in una delle ultime scene del secondo atto. In ogni caso l’istitutrice guadagna qui piena consapevolezza della corruzione dei bambini: ciò che può sembrare un gio-co è in realtà blasfemia («they are not playing, they are talking horrors!» [35]); né poteva essere diversamente, se le campane fanno cenno a Quint. Queste campane hanno un modello in quelle che, poco dopo l’inizio del terzo atto di Tosca di Giaco-mo Puccini, ‘suonano mattutino’ – un tratto realistico che Puccini sfrutta in senso compositivo, integrandolo nel decorso armonico. Britten sembra far trasparire il suo modello nei tre rintocchi lunghi ([26]+19-21) successivi ai motivi delle quarte che pervadono non soltanto la Variazione IX bensì l’intera Scena II del secondo atto. In tal caso al contrafactum-parodia del libretto corrisponderebbe una parodia di caratte-re drammaturgico-musicale.

Successivamente, con la Variazione XIII, Britten offre una parodia del concerto classico. Si tratta di una performance di Miles. Lo spettatore se ne accorgerà soltanto all’inizio della Scena VI (The Piano), quando le luci, in base alle indicazioni di scena, scoprono Miles mentre suona il pianoforte; ma la presenza costante del mi al basso era già indicativa. Anche il basso albertino è sospetto. L’allusione all’alternarsi di to-nica e dominante di Do maggiore è ovvia, ma si tratta di funzioni tonali devitalizzate: non sono, in realtà, che intervalli di quarta, giusta (sol–do) e aumentata (fa–si), al di sopra della nota di Miles. La mano destra del pianoforte satura rapidamente le note bianche, per poi integrare gradualmente le note nere (diesis), al punto che 11 battute dopo ([84]+8) con l’ingresso del la8, sono state già impiegate 11 altezze. L’ultima nota mancante, la dodicesima, arriva con la battuta successiva: è indicativamente un mi7, la nota di Quint. Tutto questo avviene mentre la mano destra introduce grup-petti che fioriscono intervalli di quarta ascendenti e discendenti, poi scale difettive sul piano della completezza dell’ottava (coprono per lo più settime minori) o per la presenza di accidenti imprevisti. Da [85] la serie è di nuovo completata in 4 battu-te, che corrispondono all’ingresso di un caratteristico secondo tema contrastante, preceduto da una scala che discende da un mi7 acuto. Una pseudo-cadenza vira in direzione di un Mi7 maggiore in realtà inesistente, così come immaginario è il La7 che segue. Nella Scena VI il pianoforte riveste una funzione drammaturgica legata a Miles. Nel momento in cui la ripetizione variata del primo tema porta a una ripre-sa più letterale del secondo tema (subito dopo una citazione di «Malo»), Miles fa tacere studiatamente il basso, prolungando la risonanza di un do8 ([85]+6) mentre l’istitutrice bisbiglia a Mrs Grose di avere scritto la lettera al tutore («I’ve done it! I’ve written it! It’s ready for the post!»). Miles è dunque in condizione di ascoltare la conversazione.

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Dopo una pausa Miles attacca un nuovo brano ([90]), collegato a «Malo» tra-mite le note acute degli accordi staccati.31 Ora il pianoforte accompagna il gioco di Flora con lo spago tra le dita («cat’s cradle», la ‘cangiola’ o ‘ripiglino’, ma il ter-mine originale denota anche una posizione del coito), le cui figure cangianti fan-no addormentare Mrs Grose. In questo momento il pianoforte suona l’accordo di Quint [95], mentre nel registro grave entrano il gong e la nota di Miss Jessel. Nel mo-mento della fuga di Flora la performance di Miles si fa virtuosistica al solo scopo di distrarre l’istitutrice. Dopo un ‘fremito’ del pianoforte su una variante dell’accordo di Quint ([96]+8), un lungo respiro musicale [97] strappa l’istitutrice al rapimento della performance pianistica. Miles vuole che si accorga della fuga di Flora in modo da liberarsene. Lasciato solo, nella Variazione XIV Miles può scatenarsi in un pez-zo ‘trionfante’ («Miles plays triumphantly») e romanticamente tumultuoso, dove la successione delle note del Tema è rintracciabile nelle note tenute del basso. È a questo punto che dovrà collocarsi il furto della lettera a cui lo spettatore ha invece assistito nella Variazione XII, dove Quint si affacciava come ‘tentatore’, e nella Scena V (Quint), dove si era inscenata la ‘caduta’ di Miles; si trattava non solo di una proles-si narrativa, ma di una rappresentazione simbolica, situata nel regno dell’inconscio, dunque al di fuori dello svolgimento temporale degli eventi.

Nella Scena VII (Flora) la bambina viene trovata di nuovo vicino al lago. L’accor-do di Miss Jessel e il suono del gong [104] segnalano la presenza del fantasma, non visto da Mrs Grose ma subito individuato dall’istitutrice, la quale suppone che la bambina ne sia consapevole. Il tono beffardo e canzonatorio della polka che segue, cantata da Flora con voce stridula («I can’t see anybody, can’t see nothing» [106]), afferma ciò che le parole di Flora negano. Lo scontro porta la bambina a una crisi: insulta ripetutamente l’istitutrice fino all’esplicita dichiarazione di odio e repulsione («You’re cruel, horrible, hateful, nasty. Why did you come here?»), rimarcata anche di fronte a Mrs Grose («Take me away! I don’t like her! I hate her!»). Ripudiata da Flora e tradita, a quanto pare, dalla domestica, l’istitutrice non può far altro che ri-conoscere il proprio completo fallimento e la perdita della propria innocenza («But I have failed, failed, most miserably failed, and there is no more innocence in me» [113]); per questo intona le sue parole sul tema del dubbio. Ma è ormai chiaro che l’ironia canzonatoria delle performance dei bambini sta lasciando il posto a un tono di tragica serietà.

La Variazione XV offre un’estremizzazione della configurazione energetica del Tema. La massa sonora dell’ensemble, che intona le 12 altezze della serie in registri di-versi, compie in una lunga battuta l’intera gamma dinamica da ppp a fffz (with force). La ripetizione sempre più ravvicinata di tale gesto ([115]-[116]) porta alla Scena VIII

31. Cfr. P. Evans, The Music of Benjamin Britten, J. M. Dent & Sons, London 1979, pp. 212–3.

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(Miles), ultima del secondo atto e dell’opera tutta. Mrs Grose, durante la notte, ha assistito al turpiloquio onirico di Flora e si è convinta della ‘depravazione’ della bam-bina ([117]-[119]). Inoltre informa l’istitutrice del furto della lettera, attribuendo a Miles la colpa [120]. Il tema che in questo passaggio compare all’arpa era stato enun-ciato dalla stessa Mrs Grose nella Scena V del primo atto, durante il racconto dello scabroso passato di Bly («Dear God, is there no end to his dreadful ways?» [39]). In entrambi i casi, la funzione del tema è analoga: confermare i sospetti dell’istitutrice, convincerla della correttezza delle sue intuizioni, saldare l’alleanza tra la forma spiri-tuale e quella popolare della morale vittoriana – un’alleanza che si rivelerà deleteria.

Nella scena finale Miles è conteso da forze contrapposte, entrambe attraversate da tensioni erotiche distruttive, che possono scatenarsi con la massima intensità. Per la protagonista, che si presenta al tempo stesso come salvifica («I shall save you») e possessiva («I cannot bear to lose you. You shall be mine»), Miles è al tempo stes-so un sostituto dell’oggetto amoroso (il tutore) e uno strumento per compiacerlo. Quint si presenta a Miles come uno stimolo ‘erotico’ nel senso più ampio del termi-ne, un tentatore o un predatore che viene al tempo stesso a liberare, a emancipare, come spiegato al centro della Scena I del secondo atto (Colloquy and Soliloquy). In quel passaggio Quint e Miss Jessel intonavano all’unisono il Tema sulle parole «Day by day the bars we break, Break the love that laps them round, Cheat the careful watching eyes» (‘giorno dopo giorno rompiamo le sbarre, rompiamo l’amore che li avvolge e protegge, inganniamo gli occhi che scrutano con attenzione’ [20]); seguiva il tema del dubbio sul celebre verso di The Second Coming di William Butler Yeats: «The ceremony of innocence is drowned» (‘la cerimonia dell’innocenza è annegata’ [21]). La centralità di questo passaggio non si limita alla situazione drammaturgica: all’annegamento si presta volentieri lo stesso Britten, con la rappresentazione tutt’al-tro che ‘innocentista’ delle cerimonie dei bambini.

Nel complesso la Scena VIII non può che caratterizzarsi come una scena d’amore disperato, ma anche come una lotta disperata, la cui posta in gioco è lo stesso Miles. La superficie sonora si fa più convenzionale, in particolare pucciniana: l’intonazione delle parole «What else should I stay for» da parte dell’istitutrice [123] riprende con asso-luta precisione il profilo melodico di «O dolci baci, o languide carezze», il verso della celebre aria «E lucevan le stelle», nel terzo atto di Tosca, intonato da Mario Cavara-dossi, condannato alla fucilazione, subito dopo avere interrotto la scrittura della lettera d’addio. La lettera rubata da Miles conferma la pertinenza del riferimento – allo stesso atto di Puccini adombrato nella precedente scena delle campane. A guidare il dialogo è l’istitutrice, che intende mettere alle strette Miles, condurlo a una doppia confessione: quella del furto della lettera e quella del legame scabroso con Peter Quint.

Da [121] le prime 6 note del Tema si instaurano al grave (timpani, contrabbasso pizzicato e arpa) in funzione di basso di Passacaglia. Tale funzione ne disattiva del tutto il potenziale seriale, facilitando enormemente l’interpretazione tonale. Esito

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di un processo compositivo caratterizzato da una profonda revisione da parte di Britten,32 il basso di Passacaglia, nella versione finale, è interessato dall’integrazione graduale delle restanti note della serie, e ogni aggiunta ha un preciso significato dram-maturgico. L’ampliamento da 6 a 8 note coincide con l’ingresso di Quint: la sua voce (accompagnata dal suo accordo e dal timbro a lui associato) torna a invocare Miles con il suo canto melismatico [125]. Da questo momento si instaura uno scontro tra i centri tonali della istitutrice (la) e di Quint (la7). Miles si sdoppia vocalmente e psi-cologicamente: nega («No») sul mi7 acuto a piena voce ciò che subito dopo afferma («Yes. I took it») sul mi7 grave a voce bassa ([127]+7). Il completamento delle 12 note avverrà più avanti, quando le insistenti e sempre più esplicite domande rivolte dalla protagonista a Miles («Who is it you see? Who do you wait for, watch for?» [128]+6) in merito all’oggetto del suo più segreto desiderio saranno sul punto di far-lo capitolare («Is who there, Miles? Say it! Say it!» [130]). Ma la tensione aumenta ancora, fino a che il basso recupera il ritmo puntato del Tema [131], intonato anche dalla voce dell’istitutrice, sfociando nell’esorcismo finale: la confessione del nome da parte di Miles. Il senso del suo grido «Peter Quint, you devil!» ([133]+8) resta per molti versi indeterminato. Non è infatti di per sé chiaro se l’appellativo di ‘diavolo’ sia attribuito a Quint o all’istitutrice che gli ha estorto il nome in modo inquisitorio. In ogni caso Miles si rifugia tra le braccia dell’istitutrice [134], ormai sicura del suo trionfo, come a cercarne la protezione. Ma non appena Quint svanisce, poco dopo che è svanito anche il suo melismatico «farewell», ultimo struggente addio a Miles [135], l’istitutrice realizza che Miles è morto [136].

Nella tragica ironia di questo esito catastrofico si tirano le fila di molte trame. Sia-mo di fronte a un esorcismo che è al tempo stesso un sacrificio, a un trionfo che è al tempo stesso una sconfitta, e che getta una luce nuova e inquietante su tutto ciò che precede. L’ipotesi che i fantasmi siano soltanto un frutto della fantasia malata dell’istitutrice,33 sposta il senso della vicenda in una zona pertinente allo studio clini-co, più che all’ermeneutica dell’opera. Se il racconto di James, interamente mediato dal punto di vista soggettivo dell’istitutrice, include nel suo orizzonte di senso que-sta possibilità, la rappresentazione operistica la esclude, perché mette il pubblico di fronte alla realtà dei fantasmi in modo plastico, anche indipendentemente dalla pre-senza dell’istitutrice. Nell’orizzonte drammaturgico-musicale dell’opera i fantasmi hanno voce e corpo, sono soggetti e oggetti di desideri, fascinazioni, paure, angosce, di pulsioni e tensioni erotiche palpabili, soprattutto dal punto di vista ‘materiale’ del-la drammaturgia del suono. Se vogliamo tentare di individuare una ‘posizione’ di

32. Cfr. D. Mitchell, Britten’s Revisionary Practice: Practical and Creative, «Tempo», 66–67 1963, pp. 15–22.

33. Cfr. V. Jones, Henry James’s “The Turn of the Screw”, in Howard, Benjamin Britten: “The Turn of the Screw”, pp. 1-22.

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Britten non possiamo non partire da questo dato essenziale, e soprattutto dalla cen-tralità della vicenda di Miles nel suo rapporto con l’istitutrice. Questa, fin dall’inizio dell’opera, non fa che raccogliere indizi e prendere consapevolezza della ‘condizio-ne’ di Miles, condizione su cui lo stesso Miles, che sta affrontando il suo processo di crescita, si sta interrogando. Tutto fa pensare a una condizione omosessuale: il ruolo di ‘iniziatore’ di un adulto (Peter Quint nel passato di Bly), l’approccio sessuale con i compagni di scuola (indubbiamente il motivo dell’espulsione di Miles comunicato dalla lettera), l’arma della dissimulazione e dell’ironia, la provocazione nei confronti di un’educatrice troppo invadente e sospettosa (che ha probabilmente capito), la rete di allusioni alle proprie preferenze sessuali, in un processo di graduale presa di coscienza. Ma tutto questo è collegato solo fino a un certo punto alla ‘posizione’ espressa da Britten, che sembra riguardare, più in generale, il problema del rapporto tra sessualità, costruzioni culturali e principi morali.

L’istitutrice scorge nella sessualità una minaccia all’innocenza dell’infanzia, con-cepita come assolutamente separata dalla vita adulta, e vive ogni infrazione di questa costruzione culturale come una violenza a cui opporsi a tutti i costi. Nel fare questo antepone un principio astratto alla concreta e complessa realtà della crescita di un in-dividuo, considerato nella sua unicità e irripetibilità, e scambia la difesa del principio per la difesa del bambino. Il processo di emancipazione e scoperta è però inevitabile e non può essere bloccato. Il ruolo degli adulti è in tal senso fondamentale, a patto che sappiano salvaguardare una sfera intima, condizione essenziale per un libero svi-luppo della personalità. Costringendo Miles a confessare i suoi desideri più riposti e il suo segreto, l’istitutrice ne viola l’intimità. Britten, ironicamente, mette quindi in scena la fragilità del passaggio delicato e complesso della crescita, un cambiamento di stato in precario equilibrio tra opposte influenze, che richiede comprensione, non esorcismi. Non deve stupire, allora, che la confessione – la ‘denuncia’ di Peter Quint e quindi la rinuncia a tutto ciò che Quint rappresenta – porti Miles alla morte.34 Per-dendo Quint, un passato che è ormai parte integrante della sua identità, per quanto ancora incerta e in formazione, Miles perde il contatto con il proprio slancio vitale, con le proprie aspirazioni più segrete, con la propria vitale ironia; rinuncia per sem-pre alla propria personale ricerca in nome di astratti principi morali.

Britten non prende esplicitamente posizione, non giudica l’istitutrice; anzi, ne se-gue con piena partecipazione la vicenda umana, il difficile compito di educatrice, che si risolve nel più tragico dei fallimenti. Tuttavia, nella sua opera e attraverso la sua opera, Britten ci interpella, ci invita con ogni mezzo a sua disposizione a diffidare delle apparenze e a riflettere. Gli aspetti formali e strutturali della sua musica, così come quelli espressivi, energetici e materiali, ci parlano, convergono con l’esito della

34. Cfr. C. Hindley, Why Does Miles Die? A Study of Britten’s “The Turn of the Screw”, «The Musical Quarterly», lxxiv/1 1990, pp. 1-17.

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vicenda rappresentata in un preciso gesto: lo smascheramento della fede nei principi astratti, che vengono continuamente e provocatoriamente infranti, forzati, offuscati, ibridati, aggirati, ridotti al punto di indeterminazione, a favore della forma concreta e vivente. The Turn of the Screw è un tragico elogio della vita, in tutte le sue possibili manifestazioni.