Angeli e demoni in scarpe bullonate: "Introduzione" e cap. 1 “Um lembrava Beethoven, o outro,...

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BelleStorie SAGGI 5

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BelleStorie

SAGGI

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ISBN 978-88-7847-185-6

© 2008 Monte Università Parma Editore

web-site: www.mupeditoree-mail: [email protected]

Mup Editore è una impresa strumentale della Fondazione Monte di Parma

ANGELI E DEMONIIN SCARPE BULLONATE

I miti calcisticinella rielaborazione contemporanea

A cura di

Gian Luigi De RosaEnrico Martines

Maria Enrica D’AgostiniPresentazione VII

Gian Luigi De RosaPrefazione XIII

Enrico MartinesIntroduzione XV

PRIMO TEMPO: PENNA E PALLONE

Enrico Martines“Um lembrava Beethoven, o outro, Mozart” 5

Giulia LancianiIl calcio secondo Drummond 63

Annabella CampanozziIntroduzione a Marcelino Freire 75

Eugenio Maqueda CuencaLa narrazione come dribbling al tempo dribbling al tempo dribbling 91

Teresina ZemellaLa paura del portiere di fronte al calcio di rigore 103La paura del portiere di fronte al calcio di rigore 103La paura del portiere di fronte al calcio di rigore

Indice

SECONDO TEMPO: UN PROBLEMA DI IDENTITÀ

Marco Cipolloni Vecchio continente e nuove cittadinanze.Calcio professionistico e identità culturale europeatra cuoio e celluloide 123

Gian Luigi De Rosa Dal PaÍs dos Vira-latas al Pa al Pa al Ís do Futebol-arte: Zé Povãoe O Rei nella formazione dell’identità culturale brasiliana 145nella formazione dell’identità culturale brasiliana 145nella formazione dell’identità culturale brasiliana

Giorgio de MarchisInaugurare il passato ovvero il Portogallo come retropassaggio 161

Gerd HasslerLa rinascita morale di un popolo nel Miracolo di Berna 175

Fabrizio Fiume El pibe e lo scugnizzo. Calcio, memoria, identità: la svolta degli anni Ottanta e il caso napoletano 207

TEMPI SUPPLEMENTARI: PALLONE E SOCIETÀ

Diego Saglia“Let’s hear it for the boys“Let’s hear it for the boys“ ”: calcio e identità maschilein Gran Bretagna da George Best a David Beckham 229

Michela Canepari Aggressività simbolica e forme di deritualizzazione nel discorso calcistico del ventesimo secolo 249

Gillian Mansfi eld Sapevate che...? Curiosità culturali e linguistiche quando si scende in campo 289

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Quando, con l’amico Gian Luigi De Rosa, abbiamo Quando, con l’amico Gian Luigi De Rosa, abbiamo Qavuto l’idea di organizzare un convegno in cui il fi lo Qavuto l’idea di organizzare un convegno in cui il fi lo Qconduttore fosse il calcio, una sorta di brivido trasgressivo e Q

conduttore fosse il calcio, una sorta di brivido trasgressivo e Q

iconoclasta accompagnò l’entusiasmo che il nascente progetto suscitava in noi: far entrare l’esaltazione delle gesta pedatorie in un contesto accademico, seppur impresa non inedita, avrebbe signifi cato in qualche modo sfi dare più di un sopracciglio ag-grottato, più di un pregiudizio sulla pertinenza di un ambito così plebeo e massifi cato all’interno di un incontro realizzato da un Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere1. For-tunatamente, ci siamo presto accorti che l’insolita proposta avrebbe potuto essere non solo tollerata, ma addirittura accet-tata e fatta propria da colleghi – e, mi sia concesso il termine, da maestri – sulla cui serietà scientifi ca non potevano sorgere dubbi; insomma, il preconcetto era il nostro!

Ci si muove, senza dubbio, nel terreno della cultura popola-re, all’interno di un fenomeno che, prima di soccombere alle leggi di una mercifi cazione e industrializzazione galoppanti (ma anche a prescindere da questo tipo di deriva), ha mosso

* Università di Parma.1 Il convegno internazionale “Angeli e Demoni in scarpe bullonate. I miti calcistici tra letteratura e cinema (all’ombra dei mondiali)” si è tenuto nei giorni 31 maggio e 1 giugno 2006, presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Uni-versità degli Studi di Parma.

Introduzione

di Enrico Martines*

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passioni profonde e travolgenti, creato miti e leggende, raccol-to e identifi cato comunità di entusiasti intorno a un simbolo, a una maglia, a una bandiera. Il calcio può essere visto come un territorio poetico in cui la creatività umana si esprime in un contesto estetico che racchiude i supremi ingredienti dell’arte: ritmo, armonia, inventiva, movimento, incursione nel tempo e nello spazio, equilibrio e plasticità.

Ma anche al di là della poeticità insita nel gesto calcistico, la grande popolarità del gioco fa sì che il calcio trasformi i suoi campioni in personaggi, la cui immagine si estende molto oltre il proprio ambito specifi co: vittorie e sconfi tte possono incidere sulla defi nizione di un’identità nazionale e le vicende sportive e umane dei protagonisti del pallone sono oggetto di elabora-zione letteraria, perché emblematiche. Si deve necessariamente condividere l’amore per questo sport per analizzarne le rica-dute culturali, sociali, linguistiche e identitarie? Probabilmen-te aiuta, ma non è indispensabile, così come non è necessario essere appassionati di caccia alla balena per leggere, apprezzare e analizzare il Moby Dick di Melville o la sua trasposizione ci-Moby Dick di Melville o la sua trasposizione ci-Moby Dicknematografi ca.

Il titolo del convegno – così come l’immagine che fi gura nel-la copertina di questo volume, raffi gurante Pelé e Garrincha – propone come spunto di partenza l’analisi contrastiva di due miti calcistici di segno opposto, entrambi vincenti nella loro carriera sportiva, ma profondamente diversi per estrazione, carattere e soprattutto nel dipanarsi della rispettiva vicenda umana. La dicotomia “Angeli e Demoni” non vuole evidente-mente riecheggiare il romanzo di Dan Brown, ma suggerisce il ruolo che la rappresentazione letteraria e fi lmica può avere nell’elaborazione e nella fi ssazione di vere e proprie icone che, sottratte alla loro realtà quotidiana, vengono investite di valori archetipici e simbolici. Il contesto calcistico brasiliano è però

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solo il biglietto da visita di un incontro che riunisce specialisti di diverse aree: anglisti, ispanisti, lusitanisti, germanisti, scrit-tori e studiosi di storia si sono passati la palla – è il caso di dire – in un evento che ammiccava, fi n dal sottotitolo, all’immi-nente competizione mondiale.

E non solo la rappresentazione di grandi campioni del pas-sato è stata oggetto di discussione. La metafora oppositiva che dà il titolo al convegno diventa proiezione, in ambito ultra-terreno, dei contraddittori rimbalzi di un pallone che off re innumerevoli spunti di analisi e rifl essione; una discussione che si è scelto di presentare come una partita, articolata non già in capitoli, ma in regolari frazioni di gioco.

Primo tempo: penna e pallone

Il match si apre con cinque esempi del produttivo rapporto tra match si apre con cinque esempi del produttivo rapporto tra matchfootball e letteratura. Il calcio d’inizio mette subito in campo i nostri due campioni, Pelé e Garrincha, e il modo in cui le let-tere patrie ne hanno cantato le gesta di eroi senza tempo. Tra gli scrittori brasiliani un poeta, probabilmente il più grande del XX secolo, Carlos Drummond de Andrade, ha trovato nel mezzo del suo cammino poetico-esistenziale una sfera di cuoio e anche se, dichiaratamente, il suo cuore “batte lontano dal pallone negli stadi”, ha saputo cogliere da par suo il valore del calcio come “avventura nell’avventura della vita”, elevandolo a “poetico simbolo dei nostri tempi moderni”.

L’iniziale ambientazione calcistico-letteraria brasiliana si chiude con l’intervento di un altro scrittore di quel Paese, Marcelino Freire, già vincitore del Premio Jabuti per il suo libro Contos Negreiros, da cui sono tratti due brevi racconti – che confermano l’estrema incisività del suo discorso lettera-rio – presentati con il testo originale a fronte: Botica, di tema

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decisamente calcistico, e Da Paz, grido di ribellione contro i conformismi cui, peraltro, il mondo calcistico non è aff atto immune. Il tempo può essere oggetto di un dribbling grazie dribbling grazie dribblingall’abilità di scrittori come gli spagnoli Manuel Rivas e Camilo José Cela, i quali, all’interno di racconti in cui il pallone è pre-sente come elemento chiave dell’intreccio, destrutturano que-sta categoria diegetica e la gestiscono a proprio piacimento, per adeguarla alla complessità e alla non linearità delle esperienze narrate. Lo scrittore tedesco Peter Handke coglie uno dei mo-menti più letterari (e cinematografi ci) del calcio – l’esecuzione di un calcio di rigore – e stabilisce un’analogia tra la paura del portiere che deve evitare il goal e quella dell’assassino che deve sfuggire alla cattura da parte della polizia; in realtà, entrambe le situazioni narrative – come ha colto Wim Wenders nella sua trasposizione fi lmica e come ci spiega Teresina Zemella – sono occasioni per rifl ettere sulle paure dell’uomo e sulle sue tecni-che di difesa in un mondo che perde progressivamente senso.

Secondo tempo: un problema di identità

La seconda frazione pone sul manto erboso altrettanti inter-venti in cui il calcio è visto come metafora, se non addirittura come veicolo di aff ermazione, di un’identità nazionale o di quella europea, come osserva Marco Cipolloni traendo spunto da alcune pellicole che pongono il problema della relazione tra l’Europa, centro del capitalismo applicato al calcio, e le periferie da cui costantemente giungono aspiranti campioni in cerca di riscatto, gloria e benessere; il pallone tradizionale, con il suo intarsio di segmenti geometrici cuciti a mano, è visto come metafora di un’identità europea fatta di diversità che si incontrano, nonostante le sfere altamente tecnologiche propo-

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ste per le ultime competizioni, prive di cuciture, suggeriscano piuttosto il superamento di questa identità, in una aff annosa ricerca di globalizzazione.

Gian Luigi De Rosa propone un’analisi del processo di formazione dell’identità brasiliana – qualora ce ne fosse una – legandolo strettamente alle alterne vicende della seleção au-riverde nelle quali si rifl ette, in particolare, il problema del-riverde nelle quali si rifl ette, in particolare, il problema del-riverdel’integrazione razziale; l’apporto di neri, mulatti e meticci alle sorti della squadra nazionale è stato infatti visto, a seconda del verifi carsi di cocenti sconfi tte o di esaltanti vittorie, ora come responsabile di un limite genetico del popolo brasiliano, ora come fattore caratterizzante di uno stile unico e superiore, ter-reno grazie al quale la nazione si aff erma agli occhi ammirati del mondo.

Giorgio de Marchis individua nella cerimonia di inaugura-zione dei campionati europei del 2004, disputati in Portogallo, un testo in cui leggere il modo in cui i lusitani rappresentano la loro identità nazionale, con lo sguardo perennemente rivol-to al passato. Anche Gerd Hassler guarda all’indietro, a una precisa circostanza storica, la vittoria dei mondiali del 1954, che costituì per la Germania il simbolico punto di partenza di una rinascita nazionale, che dal “miracolo di Berna” prese le mosse per divenire miracolo economico e sociale, fi no alla caduta del Muro; per gli ungheresi sconfi tti, invece – aggiunge lo studioso tedesco – la fi nale del Wankdorf Stadion fu una occasione perduta, la possibilità frustrata di un nuovo corso, stroncato dall’intervento sovietico di due anni più tardi.

Che il calcio sia “un potente operatore di nazionalità” lo con-ferma l’analisi dello storico Fabrizio Fiume, il quale peraltro si concentra sul caso di un’identità locale, quella napoletana, che visse una decisiva opportunità di orgogliosa aff ermazione negli anni Ottanta, quando poté identifi carsi con il suo fi glio

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adottivo, il “pibe/scugnizzo” Diego Armando Maradona, na-poletano di Lanús, eroe del popolo non solo per le sue gesta calcistiche, ma anche in quanto “incarnazione dell’unicità del simile”.

Tempi supplementari: pallone e società

Il sostanziale equilibrio delle forze espresse nei novanta minu-ti conduce inevitabilmente la partita ai tempi supplementari, nei quali il mondo del calcio si fa specchio del contesto sociale contemporaneo, come potenziale creatore di esempi di stile, di vere e proprie icone dell’identità maschile, da George Best a David Beckham; naturalmente, diversa è la società in cui i due campioni britannici si trovarono ad agire e, di conseguenza, non è pari la portata trasgressiva e la ricevibilità del modello proposto, come argomenta Diego Saglia nel suo saggio che propone un excursus sui diversi volti della mascolinità nella excursus sui diversi volti della mascolinità nella excursussocietà britannica degli ultimi decenni, dai mod al mod al mod metrosexual, metrosexual, metrosexualnella loro relazione con un mondo, come quello del calcio, tradizionalmente conservatore e poco propenso ad abbraccia-re modelli di stile ambigui e mutevoli. Il calcio anche come terreno di sfogo della violenza che gli è propria, inizialmen-te contenuta in forme di aggressività simbolica e in seguito esplosa in una spirale di amplifi cazione e di concretizzazione fi sica degli scontri che ha portato il fenomeno agli allarman-ti livelli degli ultimi decenni, come illustra l’analisi condotta intorno alla categoria hooligan da Michela Canepari, la quale mette a confronto i diversi approcci metodologici, indaga la matrice sociale e politica del problema e sottolinea il ruolo svolto dai mezzi di informazione di massa; a questo proposito, il suo intervento è arricchito dalla partecipazione del giornali-sta sportivo Gianluca Perdoni, il quale traccia un’interessante

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fenomenologia del tifoso e commenta con l’autrice, in una intervista fi nale, i più recenti sviluppi italiani. Il mondo del calcio è infi ne visto come comunità linguistica, come società di parlanti che ha un proprio linguaggio specifi co, di chiara impronta anglosassone, come ci spiega Gillian Mansfi eld.

La studiosa esplora, attraverso un’analisi condotta sull’ingle-se e sull’italiano, la potente componente metaforica del lin-guaggio calcistico, evidente rifl esso della capacità del calcio di raggiungere e investire ampi settori della società.

Il risultato fi nale? Credo che la partita si risolva in uno spet-tacolare pareggio, ricco di azioni, di atti verbali che credo me-ritino l’attenzione del nostro spettatore/lettore. I centoventi minuti (supplementari compresi) di questa simbolica gara vogliono essere un’occasione in più per rifl ettere, in un mo-mento di profonda crisi del nostro sistema calcistico (myse en abyme del nostro sistema sociale), su quali siano i valori degni abyme del nostro sistema sociale), su quali siano i valori degni abymedi essere trasformati in mito e se essi esistano ancora nell’agita-to panorama odierno. Speriamo magari che la protratta parità, piuttosto che dar luogo all’ormai abituale “lotteria” dei calci di rigore – immagine di un mondo che ha troppa fretta di dare soluzioni sommarie alle proprie questioni – sia il preludio, come accadeva una volta, per una ripetizione della partita.

Angeli e Demoniin scarpe bullonate

PRIMO TEMPO:PENNA E PALLONE

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Pelé deixava o estádio boquiaberto. Garrincha fazia o estádio gargalhar.

O Rei beirava a perfeição, como Michelangelo. Mané alegrava, como Van Gogh.

O “Atleta do Século” era Spielberg. A “Alegria do Povo” era o próprio Chaplin. Um lembrava Beethoven, o outro, Mozart1.

Questa serie di defi nizioni contrastive, proposta dal gior-Questa serie di defi nizioni contrastive, proposta dal gior-Qnalista Juca Kfouri, accosta i due principali protagonisti Qnalista Juca Kfouri, accosta i due principali protagonisti Qdella prima epopea del calcio brasiliano, quella che, tra il 1958 Qdella prima epopea del calcio brasiliano, quella che, tra il 1958 Qe il 1962 vide la seleção canarina vincere due titoli mondiali consecutivi e cambiare il destino di un paese di “viralatas” per trasformarlo nella patria del calcio.

Le cifre dicono eloquentemente come il binomio Garrincha-Pelé sia stato sinonimo di successo: tra il 1958 e il 1966, nelle 40 partite in cui i due sono stati schierati contemporanea-mente, la nazionale brasiliana non è mai uscita sconfi tta dal

Enrico Martines

“Um lembrava Beethoven, o outro, Mozart”

1 [Pelé lasciava lo stadio a bocca aperta. Garrincha lo faceva ridere a crepapelle. O Rei rasentava la perfezione, come Michelangelo. Mané rallegrava, come Van Gogh. L’“Atleta del secolo” era Spielberg. L’“Allegria del Popolo” era lo stesso Chaplin. Uno ricordava Beethoven, l’altro, Mozart], Juca Kfouri, Garrincha, o brasileiro mais amado, in Júlio Garganta, José Oliveira, Maurício Murad (a cura di), Futebol de muitas cores e sabores, Campo das Letras, Porto, 2004, p. 141.Dove non diversamente specifi cato, le traduzioni sono degli autori dei saggi.

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terreno di gioco, collezionando 36 vittorie e quattro pareggi. Ma, oltre a evocare due giocatori così vincenti e famosi, la citazione del brano di Juca Kfouri è a mio avviso effi cace per segnalare come, attraverso la parola scritta, la rappresentazione dei due personaggi trascenda la realtà storica delle loro impre-se sportive per entrare nell’ambito del mito. Come spiega Ro-land Barthes nella teoria del mito di oggi, il concetto del mito tende sempre a deformare il senso originale su cui si inserisce la struttura del nuovo sistema semiologico complesso. Il mito, per Barthes, è una forma di discorso, che non nega la fattualità storica, ma la rende innocente, ingenua2. Ecco che Pelé e Gar-rincha sono, nelle parole di Kfouri e in quelle a loro dedicate da molti altri giornalisti e scrittori, svuotati della loro realtà storica, semplifi cati e cristallizzati, proiettati in una ricerca di eternità; non a caso, li troviamo accostati ad altri personaggi che, prima di loro, hanno raggiunto vertici d’immortalità at-traverso l’espressione del proprio genio. E allora, proseguendo

2 “[…] il mito ha il compito di istituire un’intenzione storica come natura, una contingenza come eternitcontingenza come eternità. […] il mito si costituisce attraverso la dispersione della qualità storica delle cose: le cose vi perdono il ricordo della loro fabbricazione. Il mondo entra nel linguaggio come un rapporto dialettico di attività, di atti umani: esce dal mito come un quadro armonioso di essenze. Si è operato un gioco di prestigio che ha rovesciato il reale, lo ha vuotato di storia e lo ha riempito di na-tura, che ha sottratto alle cose il loro senso umano in modo da far loro signifi care un’insignifi canza umana. La funzione del mito è di svuotare il reale […] Il mito non nega le cose, anzi, la sua funzione è di parlarne; semplicemente le purifi ca, le fa innocenti, le istituisce come natura e come eternità, dà loro una chiarezza che non è quella della spiegazione, ma quella della constatazione […] Passando dalla storia alla natura, il mito fa un’economia: abolisce la complessità degli atti umani, dà loro la semplicità delle essenze, sopprime ogni dialettica, ogni spinta a risalire, al di là del visibile immediato, organizza un mondo senza contraddizioni perché senza profondità, un mondo dispiegato nell’evidenza, istituisce una chiarezza feli-ce: le cose sembrano signifi care da sole”, in Roland Barthes, I Miti d’oggi, Einaudi, Torino, 1974, pp. 222-224.

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nell’impostazione barthesiana, viene da chiedersi quali siano le signifi cazioni mitiche associate ai due giocatori brasiliani: se il mito è essenzialmente un metalinguaggio, un sistema di comu-nicazione che serve a veicolare un messaggio, Pelé e Garrincha servono per parlare di cosa? O meglio, e ancora: in che modo la parola scritta si è appropriata di due oggetti della cultura di mas-sa e ha edifi cato la loro immagine da tramandare ai posteri?

I due miti calcistici che qui prendo in esame – a tutt’oggi i più importanti nella storia del futebol brasileiro – si contrad-distinguono, oltre che per la parziale contemporaneità, per un’estrema diversità di carattere e di signifi cazione, tanto che l’antinomia “Angeli e Demoni”, utilizzata nel titolo del conve-gno, è stata ideata proprio pensando a Pelé e a Garrincha.

La contrapposizione è insita nella diversità dei rispettivi de-stini, nel perdurante successo de “O Rei” messo a contrasto con la fugace esperienza della “Estrela solitária” e con la sua tragica e repentina parabola discendente.

D’altro canto, l’opposizione non è così nettamente defi nita se, ad esempio, colui che nella diade dovrebbe incarnare la parte del demone, pur ricevendo anche gli epiteti di “garo-to diabólico”, o “demônio das pernas tortas”3, sarà più noto come “o anjo das pernas tortas”.

E lo stesso soprannome Garrincha, com’è noto, è storpiatura del nome di un uccellino, la “garriça” o “garricha” che, per

3 In questo modo Garrincha era stato ribattezzato dal radiocronista Waldir Amaral, della Radio Continental, nel 1958, all’indomani della conquista del primo titolo mondiale, in Svezia (vedi Ruy Castro, Estrela Solitária, Companhia das Letras, São Paulo, 1995, p. 190). Da notare che quando nel 1974 venne allestito uno show teatrale nel locale La Boca, appena acquistato da Garrincha e dalla sua compagna, la cantante Elza Soares, il titolo scelto fu O demônio da Copa no show da vida (vedi O demônio da Copa no show da vida (vedi O demônio da Copa no show da vidaRuy Castro, op. cit., p. 433).

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quanto sgraziato, non rimanda certo ad una fi gura diabolica bensì evoca l’immagine di semplicità che, come vedremo, è associata al carattere della più famosa ala destra della storia4.

Importanti interpreti della letteratura brasiliana hanno dedi-cato la loro arte alla rappresentazione di questi personaggi.

La poesia è stata il mezzo letterario più nobile utilizzato per l’esaltazione delle loro gesta.

Il già citato Carlos Drummond de Andrade scrisse un com-ponimento dal titolo De 7 dias, dedicato alla vittoria nei mon-diali del 1958, una vittoria che “fulgura, | rosa aberta ao pé de Garrincha” (si apre, si arrende alle prodezze del campione di Pau Grande), mentre Pelé è visto come l’orefi ce che trasforma la palla in un gioiello5; dello stesso autore, sempre nella rac-colta Quando é dia de futebol, si trova il brano Quando é dia de futebol, si trova il brano Quando é dia de futebol Letras louvando Pelé, mirabile gioco di allitterazioni composto in occasione del Pelé, mirabile gioco di allitterazioni composto in occasione del Peléritiro del Re dalla nazionale brasiliana, nel 19716.

Vinícius de Moraes ha dedicato a Garrincha un celebre so-

4 Sul nome “Garrincha” vedi Ruy Castro, op. cit., pp. 28, 61-62, e Paulo Mendes Campos, O gol é necessário, Civilização Brasileira, Rio de Janeiro, 2000, p. 27.5 La prima strofa recita: “Começou festiva a semana: | espiávamos por uma frincha | a vitória, e eis que ela fulgura, | rosa aberta ao pé de Garrincha”. [Festiva iniziò la settimana: | spiavamo da un pertugio | la vittoria, ed ecco che essa folgora, | rosa aperta ai piedi di Garrincha]. Nell’ultima quartina si legge: “E vem outro, mais outro dia. | Paira a esperança, junto à fé. | A bola em fl or no campo: jóia, | e seus ourives é Pelé.” [E viene un altro, e ancora un altro giorno. | Insieme alla fede, si libra la speranza. | Il pallone in fi ore sul campo, gemma, | e il suo orefi ce è Pelé], Carlos Drummon de Andarde, Quando é dia de futebol, Record, Rio de Janeiro-Quando é dia de futebol, Record, Rio de Janeiro-Quando é dia de futebolSão Paulo, 2002, pp. 33-35 [trad. it. Giulia Lanciani, a cura di, Quando è giorno di partita, Cavallo di Ferro, Roma, 2005, pp. 35-37].6 Per darne un assaggio se ne riporta il primo paragrafo: “Pelé, pelota, peleja. Bola, bolão, balaço. Pelé sai dando balõezinhos. Vai, vira, voa, vara, quem viu, quem previu? GGGGoooollll.” [Pelé, pallina, duella. Palla, pallone, pallonata. Pelé parte facendo pallonetti. Va, gira, vola, spara, chi ha visto, chi ha previsto? GGGGooo-ollll], Ivi, pp. 205-206.

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netto intitolato proprio O Anjo das pernas tortas, incluso nel libro Para viver um grande amor7Para viver um grande amor7Para viver um grande amor : per il poeta il suo calcio è presentimento, intuizione, più rapida del pensiero, è eserci-zio del dribbling come piacere ripetuto e assaporato, è fatto di dribbling come piacere ripetuto e assaporato, è fatto di dribblingslanci e attese (grazie alle pause in cui “descansa”), è allegria (la palla è felice tra i suoi piedi, rapida come un uragano), è la speranza che il popolo investe in lui; il goal arriva come pura immagine che l’autore materializza nella scansione visuale del-le lettere che formano la parola “gol”, è pura danza! Nella stes-sa raccolta, c’è anche una crônica, Canto de amor e de angústia à seleção de ouro do Brasil, che si potrebbe defi nire “poesia in à seleção de ouro do Brasil, che si potrebbe defi nire “poesia in à seleção de ouro do Brasilprosa”, giacché, priva di punteggiatura, si legge d’un fi ato e, riguardo ai nostri due eroi, recita:

[...] ele é que devia ser primeiro-ministro do nosso Brasil tri-gueiro sabe Pelé eu nunca chamei ninguém de gênio porque acho besteira mas você eu chamo mesmo no duro você e o meu Garrincha que eu louvo a santa natureza lhe ter dado aque-

7 “A um passe de Didi, Garrincha avança | Colado o couro aos pés, o olhar atento | Dribla um, dribla dois, depois descansa | Como a medir o lance do momento. || Vem-lhe o pressentimento; ele se lança | Mais rápido que o próprio pensamento | Dribla mais um, mais dois; a bola trança | Feliz, entre seus pés – um pé-de-vento! || Num só transporte a multidão contrita | Em ato de morte se levanta e grita | Seu uníssono canto de esperança. || Garrincha, o anjo, escuta e atende: – Goooool! | É pura imagem: um G que chuta um o | Dentro da meta, um l. É pura dança!” [Da un passaggio di Didi, Garrincha avanza | Incollato il cuoio ai piedi, lo sguardo attento | Dribbla uno, dribbla due, poi si rilassa | Come a gestire il caso del mo-mento. || Poi ha il presentimento; egli si lancia | Più rapido del pensiero stesso | Ne dribbla un altro, altri due; la palla balza | Felice, tra i suoi piedi – la porta il vento! || In un solo moto la folla contrita | In un atto di morte si innalza e grida | Il suo unanime canto di speranza || Garrincha, l’angelo, ascolta e risponde: – Goooool! | È pura immagine: una G che calcia un o | Dentro la porta, un l. È pura danza!], Vinícius de Moraes, Para viver un grande amor, José Olympio Editoria, Rio de Janeiro, 1984.

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las pernas tortas com que ele botou a Espanha entre parêntesis garoto bom [...] e até a revolução social em marcha pára mara-vilhada para ver “seu” Mané balançar o barbante e aí ela prosse-gue seu caminho infl exível contente da vida de estar marchando nessa terra [...]8.

Paulo Mendes Campos – uno degli scrittori più vicini a Gar-rincha – scrisse nel 1959 una poesia, Círculo Vicioso, in cui in un interessante gioco circolare di contrasti mette in luce la singolarità e la non sovrapponibilità delle doti dei campioni del calcio9; mentre, dopo la vittoria in Cile, mise in versi le sue 13 maneiras de ver um canário (tredici maniere di vede-re un canarino), in cui ogni strofa è dedicata a un giocatore

8 [lui sarebbe dovuto essere primo ministro del nostro Brasile abbronzato sai Pelé io non ho mai chiamato genio nessuno perché credo sia un’idiozia ma a te ti ci chiamo sul serio tu e il mio Garrincha che io ringrazio madre natura di avergli dato quelle gambe storte con cui ha messo la Spagna tra parentesi bravo ragazzo [...] e persino la rivoluzione sociale in marcia si ferma meravigliata per vedere Mané gonfi are la rete e solo allora prosegue il suo cammino infl essibile felice e contenta di marciare in questa terra]. 9 “Bailando sem jogar, gemia o Macalé: | - ‘Quem me dera que fosse o preto Moa-cir, | Que vive no Flamengo, estrela a reluzir!’ | Mas a estrela, fi tando em Santos o Pelé: || – ‘Pudesse eu copiar o bom praça de pré, | Um cobra que jamais encontrará faquir, | Sempre a driblar, a ir e vir, chutando a rir!’ | Porém Pelé, fi tando o mar, sem muita fé: || ‘Ah se eu tivesse aquela bossa de tourada | Que faz de qualquer touro o joão de seu Mané!’ | Mas o Mané deixando, triste, uma pelada: || – ‘Pois não troco Pau Grande por Madri, Pelé, | E mesmo o Botafogo muito já me enfada... | Por que não nasci eu um simples Macalé?’” [Ballando senza giocare, gemeva Macalé: | – “Magari io fossi il nero Moacir, | Che vive nel Flamengo, da stella rilucente!” | Ma la stella, scrutando a Santos Pelé: || – “Potessi io copiare il buon mercenario, | Un serpente che mai troverà il suo fachiro, | Sempre a dribblare, avanti, indietro, calciando a volontà!” | Però Pelé, scrutando il mare, senza fi ducia: || “Ah, se io avessi quell’estro da torero | Che fa di ogni toro lo zimbello di Mané!” | Ma Mané lascian-do, triste, una partita tra amici: || – “Io non cambio Pau Grande con Madrid, Pelé, | E anche il Botafogo mi ha già molto stufato... | Perché non sono nato un semplice Macalé?”], in Paulo Mendes Campos, op. cit., p. 47.

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della nazionale: di Garrincha canta la leggerezza e la libertà di volare; di Pelé, sfortunato protagonista di quell’edizione dei mondiali perché infortunato, coglie una drammaticità acco-stabile a quella del Canto di amore e morte dell’alfi ere Cristoforo Rilke e una solitudine simile a quella del giovane nobile di Rilke e una solitudine simile a quella del giovane nobile di RilkeLangenau10.

Armando Nogueira ha dedicato al goal di Pelé una sorta di cantilena rimata, O que é, o que é?11, mentre in altri componi-

10 Strofa VIII: “È pela cartilha da infância que se joga futebol. | Garrincha vê a ave. Garrincha voa atrás da ave. | A ave voa aonde quer. | Garrincha voa aonde quer atrás da ave. | O voo de Garrincha-ave é a chave, | a única chave. | E um bando de homens se espanta no capim” [È secondo le regole dell’infanzia che si gioca a calcio. | Garrincha vede l’uccello. Garrincha vola dietro l’uccello. | L’uccello vola dove vuole. | Garrincha vola dove vuole dietro l’uccello. | Il volo di Garrincha-uccello è la chiave, | l’unica chiave. | E una folla di uomini si meraviglia sul prato]; strofa X: “Há uma dramaticidade em Pelé que eu não me consinto adivinhar. | Como Cris-tóvão Rilke, Pelé tem um canto de amor e de morte. | Como Cristóvão Rilke, Pelé é o porta-estandarte. | Como o de Langenau, Pelé está no coração das fi leiras mas | está sozinho.” [C’è una drammaticità in Pelé che non mi permetto di indovinare. | Come Cristoforo Rilke, Pelé ha un canto di amore e di morte. | Come Cristoforo Rilke, Pelé è il portabandiera. | Come l’uomo di Langenau, Pelé è nel cuore dello schieramento ma | è solo], Ivi, pp. 57-58.11 “O que é, o que é? | Bola de ouro | Correndo, sem choro, | Na ponta do pé. || O que é, o que é? | Bola de prata | Quicando, sensata, | No peito do pé. || O que é, o que é? | Bola de meia | Caindo sem peia | No pio do pé. || O que é, o que é? | Bola de neve | Roçando de leve | A planta do pé. || O que é, o que é? | Bola de fogo | Ardendo no jogo | De pé contra-pé. || O que é, o que é? | Bola de cera, | chegando matreira, | de pé-ante-pé. || O que é, o que é? | Bola fagueira | Saindo certeira | Do arco do pé. || É gol de Pelé.” [Che cos’è, che cos’è? | Palla dorata | Che corre, beata, | Sulla punta del piede. || Che cos’è, che cos’è? | Palla d’argento | Che salta, prudente, | Sul dorso del piede. || Che cos’è, che cos’è? | Palla di stracci | Che cade, senza impacci | Sul pietoso piede. || Che cos’è, che cos’è? | Palla di neve | Che sfi ora, lieve | La pianta del piede. || Che cos’è, che cos’è? | Palla di fuoco | Che brucia nel gioco | Del piede contro piede. || Che cos’è, che cos’è? | Palla di cera, | che arriva leggera, | in punta di piedi. || Che cos’è, che cos’è? | Palla aff ettuosa | Che esce precisa | Dall’arco del piede. || È gol di Pelé], in Armando Nogueira, O Homem e a Bola, Mitavaí, Rio de Janeiro, 1986, pp. 62-63.

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menti da lui scritti, Garrincha è visto ora come un poeta che verseggia con la palla in un giardino in cui giocano bambini, ora come un uccellino che svela a un fanciullo i segreti della magia del calcio, o ancora come un ballerino scelto dagli angeli per insegnare agli uomini che il calcio è una cosa di Dio12. Per Pelé, Décio Pignatari scrisse una delle sue poesie concretiste.

Ma non è grazie alla poesia che la parola scritta ha più con-tribuito all’edifi cazione dei miti di Garrincha e di Pelé. Altri generi, considerati minori da un punto di vista letterario, for-niscono un repertorio di immagini e valori che determinano il carattere della rappresentazione dei due personaggi.

La biografi a è indubbiamente il serbatoio più ricco in questo senso; tuttavia, non sempre è il più attendibile, se il lavoro as-

12 “De vez em quando, vivo por ti | instantes de criança. No mesmo rosto, | riso e lágrimas: eu te revejo, poeta Garrincha, | versejando com a bola, pra lá e pra cá, | no quintal dos outros meninos” [Di tanto in tanto, vivo attraverso te | istanti da bambino. Nello stesso volto, | riso e lacrime: io ti rivedo, poeta Garrincha, | mentre verseggi con la palla, per di là e per di qua, | nel giardino degli altri bambini], Ivi, p. 68; alla luce di questi versi, è possibile interpretare come riferita a Garrincha anche la poesia che, nel libro, la precede (Ivi, pp. 66-67), O menino e o Anjo, in cui l’angelo scende, in forma di uccello (Garrincha, appunto), tra un gruppo di bambini che gioca a calcio: “ […] O anjo sorri, manda o menino fechar os olhos | e, com as mãos de Deus, vai-lhe entregando | uma a uma, todas as graças do futebol. | Entrega o segredo dos dribles travessos, | o segredo dos passes de mágica, | dos chu-tes certeiros | e, mais que tudo, o milagre do equilíbrio | com que o corpo triunfa sobre a vertigem do jogo. || [...] Antes, durante e depois de cada gol, | eu te vejo e te revejo, bailarino do jogo, | a descrever no campo círculos e mais círculos | em que teu corpo festeja a harmonia do universo. || Bem vindo o anjo que te escolheu | para ensinar aos homens | que o futebol é coisa de Deus”. [L’angelo sorride, dice al bambino di chiudere gli occhi | e, con le mani di Dio, gli consegna | una ad una, tutte le grazie del calcio. | Consegna il segreto dei dribbling maligni, | il segreto dei passaggi magici, | dei tiri precisi | e, soprattutto, il miracolo dell’equilibrio | con cui il corpo trionfa sulla vertigine del gioco. || [...] Prima, durante e dopo ogni gol, | io ti vedo e ti rivedo, ballerino del gioco, | a descrivere sul campo le circonferenze | con cui il tuo corpo festeggia l’armonia dell’universo. || Benvenuto l’angelo che ti ha scelto | per insegnare agli uomini | che il calcio è una cosa di Dio].

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13 La mia ricerca si concentra su autori brasiliani e su scritti pubblicati in patria. Tuttavia, non si può non segnalare la prosa poetica e appassionata con cui l’italo-brasiliano Darwin Pastorin – giornalista tra i più attenti al rapporto tra calcio e letteratura – ha evocato la fi gura di Garrincha nel suo Ode per Mané (Limina, Ode per Mané (Limina, Ode per ManéArezzo, 1996).

sume un tono prevalentemente apologetico; si rivela estrema-mente profi cuo se invece, come nel caso dell’eccellente volu-me su Garrincha di Ruy Castro, Estrela Solitária, enuclea nella sua complessità la traiettoria umana dello sfortunato giocatore. Il maggior numero di testi utili appartiene però al genere della crônica: si tratta di una narrativa corta che fi ssa delle impres-sioni legate al quotidiano, al contingente, ma che può anche prevedere un recupero della memoria, un salto nel passato; ha una tematica molto varia e non è necessariamente un genere letterario, ma spesso presenta caratteristiche di letterarietà, le-gate alle qualità specifi che dell’autore, alla sua capacità di uti-lizzare metafore, iperboli e fi gure di stile effi caci e appropriate al tema trattato. Scrittori come José Lins do Rego e Carlos Drummond de Andrade si sono cimentati nell’esercizio della crônica calcistica; i “campioni” del genere possono però essere crônica calcistica; i “campioni” del genere possono però essere crônicaconsiderati Mário Filho, il fratello Nélson Rodrigues, famoso anche come drammaturgo, João Saldanha, già tecnico del Bo-tafogo di Garrincha e della nazionale, e Armando Nogueira. Autori che su Garrincha e Pelé hanno regalato veri e propri capolavori di stile e di intuizione, di cui varrebbe la pena com-pilare un’antologia guidata e commentata13. Mi limiterò qui a isolare in modo molto sintetico i tratti più espressivi della raffi -gurazione di questi due angeli (o demoni) in scarpe bullonate.

Mané Garrincha era puro istinto. Paulo Mendes Campos è un autore che ha dato una spiegazione molto eloquente del carattere assolutamente intuitivo del genio dell’uomo di Pau

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Grande: partendo dall’aforisma di Georges Braque secondo cui l’uomo, se inserito nello spazio che gli è proprio, non ha bisogno di pensare, lo scrittore mineiro aff erma che Garrincha giocava il suo calcio mosso da pura ispirazione, come il poe-ta, il compositore o il ballerino ricevono dal cielo l’estro che li guida; inutile cercare di istruirlo con disposizioni tattiche, Garrincha è come Rimbaud: genio in stato nascente14.

Un concetto che abbiamo già visto espresso nel citato so-netto di Vinícius de Moraes. Il cronista che ha meglio foca-lizzato questo aspetto è probabilmente Nélson Rodrigues, che scrisse una crônica dall’eloquente titolo crônica dall’eloquente titolo crônica Garrincha não Pensa: lungi dal considerarlo un difetto, Nélson ritiene l’“istantaneità trionfale” del giocatore un elemento di superiorità rispetto al-l’uomo normale, schiavo del raziocinio. La velocità geniale del suo istinto è ciò che gli consente di giungere sempre un attimo prima del suo avversario:

[...] chamavam este homem de retardado! Só agora começamos a fazer-lhe justiça e a perceber a sua superioridade. Comparem o homem normal, tão lerdo, quase bovino nos seus refl exos, com a instantaneidade triunfal de Garrincha. Todos nós depen-demos do raciocínio. Não atravessamos a rua, ou chupamos um Chica-bon, sem todo um lento e intricado processo men-tal. Ao passo que Garrincha nunca precisou pensar. Garrincha não pensa. Tudo nele se resolve pelo instinto, pelo jato puro e irresistível do instinto. E, por isso mesmo, chega sempre antes, sempre na frente, porque jamais o raciocínio do adversário terá a velocidade genial do seu instinto15.

14 Vedi Paulo Mendes Campos, op. cit., pp. 27-28.15 [davano a quest’uomo del ritardato! Solo ora cominciamo a rendergli giustizia e a capire la sua superiorità. Paragonate l’uomo normale, così pesante, quasi bovino nei suoi rifl essi, con l’istantaneità trionfale di Garrincha. Tutti noi dipendiamo dal

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Garrincha non pensava e dunque era immune dai condizio-namenti emotivi: con la palla ai piedi era sempre lo stesso, nelle partite tra amici come in una partita decisiva di Coppa del Mondo. L’avversario era sempre e in ogni caso un “João”, uno qualunque. Proprio questa “beata incoscienza”, l’ingenui-tà che spingeva qualcuno a considerarlo una sorta di bambino mai cresciuto, poteva essere, per Mário Filho, una caratteristi-ca vincente, una qualità da prendere ad esempio.

Alla vigilia dei Mondiali del 1958, il grande giornalista ana-lizzava le cause degli insuccessi collezionati dalla nazionale brasiliana nei tornei precedenti, individuabili nell’assenza di una piena consapevolezza del proprio carattere, nella manca-ta assunzione di un’identità matura, che portava ad eccessi di confi denza e alla voglia di stravincere – come nel campionato del 1950 – o a un’eccessiva paura dell’avversario – come nei Mondiali svizzeri del 1954, di fronte alla grande Ungheria di Puskas. Proprio Garrincha, lungi dall’incarnare il prototipo del giocatore modello, poteva rivelarsi l’esempio del brasiliano che si accetta per quello che è e da questa coscienza parte per af-fermare se stesso, senza complessi di inferiorità, senza invidiare nulla allo straniero; la “tremedeira di Berna”, causa della scon-fi tta del 1954, non si sarebbe ripetuta con Mané in campo16.

raziocinio. Non attraversiamo la strada, o succhiamo un lecca-lecca, senza tutto un lento e complesso processo mentale. Al contrario, Garrincha non ha mai avuto bisogno di pensare. Garrincha non pensa. Tutto in lui si risolve attraverso l’istinto, attraverso l’impulso puro e irresistibile dell’istinto. E, proprio per questo, arriva sempre prima, sempre davanti, perché il raziocinio dell’avversario non avrà mai la velocità geniale del suo istinto], originariamente pubblicata nel giornale “Man-chete Esportiva” il 19 luglio 1958 e poi raccolta nel volume Nélson Rodrigues, À sombra das chuteiras imortais, Companhia das Letras, São Paulo, 1993, pp. 63-64.16 “Garrincha podia não corresponder a um ideal de jogador de escrete, que a gente, inclusive, muda de quando em quando. [...] Mas, se tivéssemos uns Garrinchas em 54, tudo seria diferente. Pelo menos não tremeríamos em Berna. Garrincha jogaria

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La previsione di Mário Filho si rivelò esatta e la lezione di Garrincha si dimostrò decisiva per sconfi ggere avversari te-mibili come i russi17. La mancanza di sovrastrutture mentali, l’incosciente capacità di prendere il calcio nel suo aspetto pu-ramente ludico, sono tratti apprezzati anche da Nélson Rodri-gues, quattro anni più tardi, quando Mané guidò il Brasile a una cruciale vittoria sulla Spagna, nel torneo cileno del 1962:

contra os húngaros de 54 como se estivesse jogando contra um Madureira. Se um húngaro caísse sentado no chão depois de um drible dele ou se lhe tomasse a bola, a curiosidade seria a mesma. Perguntaria a Nílton Santos, e não por preferência e sim porque Nílton Santos jogava com ele e era um dos poucos que para ele não era João, quem era aquele João. Preferíamos, talvez, outra noção de responsabilidade, outra compenetração, mas Garrincha nos dá uma grande lição: é preciso aceitar o jogador como ele é”. [Garrincha poteva non corrispondere all’ideale di giocatore da nazionale che, oltretutto, cambia di quando in quando. [...] Ma, se avessimo avuto dei Garrincha nel 54, tutto sarebbe stato diff erente. Perlomeno non avremmo tre-mato a Berna. Garrincha avrebbe giocato contro gli ungheresi del 54 come se stesse giocando contro un Madureira qualsiasi. Se un ungheresse fosse caduto seduto per terra dopo un suo dribbling o se gli avesse preso la palla, la curiosità sarebbe stata la stessa. Avrebbe domandato a Nílton Santos, e non per una preferenza ma perché Nílton Santos giocava con lui ed era uno dei pochi che per lui non era un João, chi era quel João. Avremmo preferito, forse, un altro senso di responsabilità, un’altra compenetrazione, ma Garrincha ci dà una grande lezione: bisogna accettare il gio-catore per quello che è], pubblicato nella “Manchete Esportiva” del 26 aprile 1958 e citato in Fátima Martin Rodrigues Ferreira Antunes, Com brasileiro não há quem possa!, Editora Unesp, São Paulo, 2004, p. 189.possa!, Editora Unesp, São Paulo, 2004, p. 189.possa!17 “Os jogadores, na hora da realidade, podiam lembrar-se de que os russos eram senhores de meio mundo, que tinham lançado três Sputniks, que podem lançar foguetes intercontinentais com uma bomba de hidrogênio no cone, e tudo isso atrapalharia. Só não atrapalhou porque o escrete brasileiro jogou o jogo dele, para jogar, de tabela, por nós. E, por felicidade, se não tínhamos o Sputnik, tínhamos Garrincha, que nem toma conhecimento dessas coisas. Para Garrincha, um russo, mesmo que seja o próprio Kruschev, se entrar em campo e jogar contra ele, é um João como outro qualquer. Ele não distingue um russo dum inglês, um inglês dum panamenho. Tudo é João. O que Garrincha quer é fazer, fazer as coisas dele. E, desta vez, Feola estava iluminado. Chamou os jogadores e disse: Joguem o que vocês sabem. E mais não disse, no que fez muito bem. Daí a tranqüilidade de um

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[...] tem razão o poeta e psicanalista Hélio Pellegrino quando afi rma que Garrincha é a maior sanidade mental do Brasil. Exa-to. O próprio Freud, se conhecesse o Mané, havia de reconhecer, com a humildade dos sábios: – “Rapaz, se todo mundo tivesse a tua sanidade, e ia acabar apanhando papel na esquina!” Ontem todo mundo estava emocionalmente em pandarecos. Menos o Mané. Pegava a bola e era o mesmo, sempre o mesmo, eterna-mente o mesmo, assim na terra como no céu18.

Questo tratto mette in risalto anche l’innata componente amatoriale del suo calcio: Garrincha era il professionista più dilettante che il calcio abbia mai conosciuto, rileva Ruy Castro

Garrincha, que podia fazer o que bem quisesse. E só assim a gente poderia fi car tranqüilo. O nosso Sputnik era Garrincha” [I giocatori, nell’ora della verità, pote-vano ricordarsi che i russi erano signori di mezzo mondo, che avevano lanciato tre Sputnik, che possono lanciare missili intercontinentali con una bomba all’idrogeno nell’ogiva, e tutto ciò avrebbe complicato le cose. Non le ha complicate solo perché la nazionale brasiliana ha giocato il suo gioco, per giocare, fatto di scambi stretti, a modo nostro. E, felicemente, se non avevamo lo Sputnik, avevamo Garrincha, a cui non importa nulla di queste cose. Per Garrincha, un russo, anche fosse lo stesso Kruscev, se entra in campo e gioca contro di lui, è un João come qualsiasi altro. Lui non distingue un russo da un inglese, un inglese da un panamense. Tutti sono João. Quel che vuole Garrincha è fare, fare le sue cose. E, questa volta, Feola è stato illuminato. Ha chiamato i giocatori e ha detto: Giocate come sapete. E non ha det-to altro, e ha fatto molto bene. Da ciò la tranquillità di un Garrincha, che poteva fare quello che voleva. E solo così potevamo restare tranquilli. Il nostro Sputnik era Garrincha], crônica pubblicata nel “Jornal dos Sports” il 17 giugno 1958 e ripresa crônica pubblicata nel “Jornal dos Sports” il 17 giugno 1958 e ripresa crônicada Fátima Martin Rodrigues Ferreira Antunes, op. cit., pp. 191-192.18 [ha ragione il poeta e psicanalista Hélio Pellegrino quando aff erma che Garrincha è il caso di maggior salute mentale del Brasile. Esatto. Lo stesso Freud, se conosces-se Mané, avrebbe dovuto riconoscere, con l’umiltà del saggio: “Ragazzo, se tutti avessero la tua salute, io sarei fi nito a raccogliere carta straccia per la strada!” Ieri tutti erano emotivamente a pezzi. Meno Mané. Prendeva la palla ed era lo stesso, sempre lo stesso, eternamente lo stesso, così sulla terra come nel cielo; nella crônicaintitolata O “Possesso” (epiteto riferito all’attaccante Amarildo), pubblicata in “O O “Possesso” (epiteto riferito all’attaccante Amarildo), pubblicata in “O O “Possesso”Globo” il 7 giugno 1962 e poi inclusa in Nélson Rodrigues, op. cit., pp. 86-88.

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nella sua biografi a19. Giocava per il puro gusto di giocare: anche alla vigilia di partite importanti, non rinunciava a disputare le “peladas” con gli amici di Pau Grande, mettendo a rischio nelle buche di quel terreno le sue preziose gambe. Incapace di gestirsi, non diede mai la dovuta importanza agli aspetti professionali del suo lavoro, né al calcio come fenomeno da seguire. Non era un fanatico del pallone, gli interessava solo quello che giocava lui: mentre il Brasile viveva la tragedia nazionale della sconfi tta contro l’Uruguay nel mondiale del 1950, il giovane Garrincha era nel bosco della sua Pau Grande a “caçar passarinho” e quan-do, rientrato in paese, trovò tutti in lacrime, pensò che era dav-vero sciocco piangere a causa di una partita20vero sciocco piangere a causa di una partita20vero sciocco piangere a causa di una partita ! Per Garrincha il dribbling stava al calcio come per Paganini il capriccio di violino dribbling stava al calcio come per Paganini il capriccio di violino dribblingstava alla musica: puro culto edonistico del gesto individuale. Ma ciò che costituiva la sua migliore qualità era spesso visto come un difetto, un’infrazione alla regola; il suo irridere gli avversari era considerato una mancanza di serietà e irritava compagni e allenatori: un suo goal alla Fiorentina, in una par-

19 Ruy Castro, op. cit., pp. 39-40, 64, 74, 84-85, 127, 155, 157, 171, 193, 242.20 “[…] E seu Mané acrescentou: ‘Eu nunca fui muito de futebol não!’ É claro que começamos a rir. Garrincha ilustrou o seu ponto de vista: ‘Ué, vocês querem saber duma coisa? No último jogo daquela Copa que teve aqui no Rio, eu não dei bola. Não ouvi nem rádio. Fui caçar passarinho. Rapaz, quando cheguei de tardinha lá em Pau Grande, levei um susto danado: tava todo o mundo chorando. Pensei logo que fosse desastre de trem. Quando me contaram que o Brasil tinha perdido é que eu fi quei calmo e falei pro pessoal que era bobagem chorar por causa de futebol’” [E il signor Mané aggiunse: “Io non sono mai andato matto per il calcio!” È chiaro che cominciammo a ridere. Garrincha allora illustrò il suo punto di vista: “Beh, volete sapere una cosa? Nell’ultima partita di quella Coppa che c’è stata qui a Rio, io non gli diedi retta. Non ascoltai neanche la radio. Andai a cacciare uccelli. Gente, quan-do arrivai la sera là a Pau Grande, mi spaventai a morte: stavano tutti piangendo. Pensai subito si trattasse di un disastro ferroviario. Quando mi raccontarono che il Brasile aveva perso, allora io rimasi calmo e dissi a tutti che era stupido piangere a causa del calcio”] in Paulo Mendes Campos, op. cit., pp. 26-27.

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tita di preparazione al mondiale del 1958, in cui si prese beff a dell’intera retroguardia gigliata, gli costò praticamente l’esclu-sione dai titolari nelle prime due partite del torneo svedese21.

21 Così Ruy Castro descrive l’episodio: “O Brasil já ganhava por 3x0, mas o quarto gol, que foi o de Garrincha, aos trinta minutos do segundo tempo, sangrou a Fio-rentina até a morte. Garrincha trasformou os italianos em soldadinhos de cartas, um derrubando o outro à sua passagem. Robotti foi o primeiro que ele driblou. Magni-ni apareceu para ajudar Robotti e também foi driblado. Cervato veio ajudar Mag-nini e foi igualmente driblado. O goleiro Sarti abandonou a meta para enfrentar Garrincha e também foi fi ntado. Com o gol vazio, Garrincha poderia ter chutado, mas Robotti conseguira voltar para combatê-lo. Garrincha tirou-o da jogada com um drible de corpo e Robotti teve de segurar-se na trave para não cair. Garrincha, então, apenas caminhou com a bola até dentro do gol. Já no fundo das redes, deu-lhe um peteleco para pegá-la com as mãos, enfi ou-a debaixo do braço e começou a voltar, frio, devagar e mudo, para o centro do campo. Não houve pirâmide humana sobre Garrincha. Nem mesmo um montinho. Apenas gritos dos outros jogadores contra ele. [...] Bellini, por exemplo: ‘Isso é Copa do Mundo, porra!’ Garrincha olhou para Bellini. Por que a irritação? [...] Mas a revolta dos companheiros era explicável. Tinham medo de que, em plena Copa, quando fosse para valer, brinca-deiras como essa fi zessem o Brasil perder um jogo. Depois da partida, já no vestiário, Carlos Nascimento completou a bronca: ‘Foi uma molecagem’” [Il Brasile vinceva già 3-0, ma il quarto gol, che fu quello di Garrincha, al trentesimo del secondo tempo, ferì a morte la Fiorentina. Garrincha trasformò gli italiani in soldatini di carta, l’uno stendeva l’altro al suo passaggio. Robotti fu il primo ad essere dribblato. Magnini si fece avanti per aiutare Robotti e anche lui fu dribblato. Cervato venne ad aiutare Magnini e fu ugualmente dribblato. Il portiere Sarti abbandonò i pali per aff rontare Garrincha e anche lui subì la fi nta. Con la porta vuota, Garrincha avrebbe potuto tirare, ma Robotti era riuscito a tornare per opporsi. Garrincha lo tolse di gioco con una fi nta di corpo e Robotti dovette aggrapparsi al palo per non cadere. Garrincha, allora, camminò semplicemente con la palla fi n dentro la porta. Già in fondo alla rete, le diede un colpetto per prenderla con le mani, la infi lò sotto il braccio e cominciò a tornare, freddo, lento e muto, verso il centro del campo. Non ci fu nessuna piramide umana sopra Garrincha. Neanche un monticello. Solo urla degli altri giocatori contro di lui. [...] Bellini, per esempio: “Questa è la Coppa del Mondo, cazzo!” Garrincha guardò Bellini. Perché quell’irritazione? [...] Ma la rivolta dei compagni era spiegabile. Avevano paura che, in piena Coppa, quando fosse stato sul serio, scherzi come quello avrebbero fatto perdere al Brasile una partita. Dopo il match, già negli spogliatoi, Carlos Nascimento completò la reprimenda: “È stata una ragazzata”], in op. cit., p. 143.

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Il modo di giocare di Garrincha sfuggiva a ogni schema e ne rallentò l’accettazione come campione indiscusso.

Scrisse, al riguardo, Paulo Mendes Campos:

Seu futebol fugia aos padrões conhecidos e ele foi, no início, classifi cado entre os doidinhos. Os doidinhos são aproveitados no futebol enquanto suas loucuras dão certo; logo que a lógica volta a prevalecer, rua. Apesar de ter jogado sempre a mesma enormidade, a aceitação de Garrincha foi demorada. Quando os botafoguenses já diziam que ele era um craque, as outras tor-cidas duvidavam: aquilo é um maluco22.

Lo stesso autore riporta un brano di una telecronaca in cui il locutore, Ari Barroso, è esempio dei preconcetti che parte del-la critica nutriva nei confronti dell’ala destra del Botafogo:

Ari transmitia na tevê um jogo do Botafogo e dizia pausado: “Garrincha com a bola. Vai driblar. É claro. Vai driblar de novo. Vai perder a bola. Olha ali, um saçarico pra cá, outro pra lá. Garrincha passa pelo adversário. Assim também não é possível. Vocês estão vendo? Garrincha vai driblar de novo. Vai perder. Por que ele não centrou logo? Claro que vai perder. Gol de Gar-rincha”. A última frase veio seca e mal-humorada: também o Ari fora driblado lá na tribuna23.

22 [Il suo calcio sfuggiva agli schemi noti ed egli fu inizialmente classifi cato tra i pazzoidi. I pazzoidi sono sfruttati nel calcio fi nché le loro follie danno risultati; non appena la logica torna a prevalere, sono cacciati. Nonostante giocasse sempre in modo eccezionale, l’accettazione di Garrincha fu lenta. Quando quelli del Bo-tafogo già dicevano che era un fuoriclasse, le altre tifoserie dubitavano: quello è un matto], Paulo Mendes Campos, op. cit., p. 33.23 [Ari trasmetteva alla tv una partita del Botafogo e diceva, accompagnando il rit-mo del gioco: “Garrincha con la palla. Sta per dribblare. È chiaro. Sta per dribblare

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Individualista è, per molti, sinonimo di egoista, non per Mané; scrive Armando Nogueira, “que fazia do drible a alegria do povo e do passe a glória do companheiro”24. La consacrazione internazionale del genio di Mané avvenne nella terza partita dei mondiali del 1958, Brasile-URSS, la prima in cui venne schierato titolare: tre minuti bastarono a Garrincha per entra-re nella leggenda, i tre minuti più incredibili della storia del calcio, secondo il giornalista francese Gabriel Hanot, la cui frenetica sequenza di meraviglie è scandita cronologicamente nella ritmatissima crônica di Ney Bianchi, riprodotta dal gior-crônica di Ney Bianchi, riprodotta dal gior-crônicanale “Manchete Esportiva”:

Monsieur Guigue, gendarme nas horas vagas, ordena o começo Monsieur Guigue, gendarme nas horas vagas, ordena o começo Monsieur Guigue, gendarmeda partida. Didi centra rápido para a direita: 15 segundos de jogo. Garrincha escora a bola com o peito do pé: 20 segun-dos. Kuznetzov parte sobre ele. Garrincha faz que vai para a esquerda, não vai, sai pela direita. Kuznetzov cai e fi ca sendo o primeiro João da Copa do Mundo: 25 segundos. Garrincha dá outro drible em Kuznetzov: 27 segundos. Mais outro: 30 segun-dos. Outro. Todo o estádio levanta-se. Kuznetzov está sentado, espantado: 32 segundos. Garrincha parte para a linha de fun-do. Kuznetzov arremete outra vez, agora ajudado por Voinov e Krijveski: 34 segundos. Garrincha faz assim com a perna. Puxa a bola para cá, para lá e sai de novo pela direita. Os três russos estão esparramados na grama, Voinov com o assento empinado para o céu. O estádio estoura de riso: 38 segundos. Garrincha

di nuovo. Perderà la palla. Guarda un po’, una mossa di qua, un’altra di là. Garrin-cha supera l’avversario. Ma così non è possibile. State vedendo? Garrincha sta per dribblare di nuovo. Perderà. Perché non ha crossato subito? Chiaro che perderà. Gol di Garrincha”. L’ultima frase gli venne secca e controvoglia: anche Ari era stato dribblato là in tribuna], Ivi, p. 43.24 [che faceva del dribbling l’allegria del popolo e del passaggio la gloria del com-pagno], tratto da O Anjo que dribla, in Armando Nogueira, op. cit., p. 46.

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chuta violentamente, cruzado, sem ângulo. A bola explode no poste esquerdo da baliza de Iashin e sai pela linha de fundo: 40 segundos. A platéia delira. Garrincha volta para o meio do campo, sempre desengonçado. Agora é aplaudido.A torcida fi ca de pé outra vez. Garrincha avança com a bola. João Kuznetzov cai novamente. Didi pede a bola: 45 segundos. Chuta de curva, com a parte de dentro do pé. A bola faz a volta ao lado de Igor Netto e cai nos pés de Pelé. Pelé dá a Vavá: 48 segundos. Vavá a Didi, a Garrincha, outra vez a Pelé, Pelé chuta, a bola bate no travessão e sobe: 55 segundos. O ritmo do time é alucinante. É a cadência de Garrincha. Iashin tem a camisa em-papada de suor, como se já jogasse há várias horas. A avalanche continua. Segundo após segundo, Garrincha dizima os russos. A histeria domina o estádio. E a explosão vem com o gol de Vavá, exatamente aos três minutos25.

La storia di Garrincha e del suo malcapitato marcatore sovieti-co ha ispirato un racconto semiserio, Já podeis da pátria fi lhos, di João Ubaldo Ribeiro, in cui si legge:

25 [Monsieur [Monsieur [ Guigue, Monsieur Guigue, Monsieur gendarme nel tempo libero, ordina l’inizio della partita. Didi gendarme nel tempo libero, ordina l’inizio della partita. Didi gendarmecrossa rapidamente verso destra: 15 secondi di gioco. Garrincha stoppa la palla col dorso del piede: 20 secondi. Kuznetzov gli va incontro. Garrincha fa fi nta di andare a sinistra, non va, parte verso destra. Kuznetzov cade e diventa il primo João della Cop-pa del Mondo: 25 secondi. Garrincha fa un altro dribbling su Kuznetzov: 27 secondi. Un altro ancora: 30 secondi. Un altro. Tutto lo stadio si alza. Kuznetzov sta seduto, sorpreso: 32 secondi. Garrincha parte verso la linea di fondo. Kuznetzov si avventa un’altra volta, ora aiutato da Voinov e Krijveski: 34 secondi. Garrincha fa così con la gamba. Sposta la palla di qua, di là e parte di nuovo verso destra. I tre russi stanno sparsi sull’erba, Voinov con il sedere per aria. Lo stadio scoppia in una risata: 38 secondi. Garrincha calcia violentemente, incrociato, da posizione angolata. La palla esplode sul palo sinistro della porta di Iashin ed esce dalla linea di fondo: 40 secondi. La platea è in delirio. Garrincha torna verso il centro del campo, sempre dinoccolato. Ora è applaudito. La tifoseria si alza in piedi un’altra volta. Garrincha avanza con la palla. João Kuznetzov cade nuovamente. Didi chiede la palla: 45 secondi. Calcia ad eff etto, con l’interno del piede. La palla fa una curva a fi anco di Igor Netto e cade

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O russo que marcou Garrincha em 58 está na Libéria até hoje e conta o povo que todo mundo que passa cospe na cara dele. Aliás, deles, porque quem marcou Garrincha foram sete e todos os sete estão lá com o povo todo cuspindo na cara deles e dizen-do tavares-tavares, que é mais ou menos vá sentar num birro de chuteira, na língua deles. Pelo menos dois eu sei que botaram para marcar Garrincha de sacanagem, porque todo mundo sa-bia que não podia ser, mas os outros cinco o pessoal de lá botou na esperança. Tinha uma medalha de heróis do socialismo para quem marcasse Garrincha e segurasse, mas ninguém ganhou26.

Armando Nogueira ha restituito con parole particolarmente espressive l’azione preferita dell’ala destra del Botafogo:

Vinha cá na intermediária, recolhia a bola: velocidade zero. Num segundo, dava-se o arranque, um metro adiante, aque-la explosão muscular lançava-o no espaço com a leveza de um passarinho: se quisesse voar, voava, mas não era preciso tanto para chegar ao ninho (não existe uma história de aninhá-la no

nei piedi di Pelé. Pelé dà a Vavá: 48 secondi. Vavá a Didi, a Garrincha, un’altra volta a Pelé, Pelé calcia, la palla picchia sulla traversa e si alza: 55 secondi. Il ritmo della squadra è allucinante. È la cadenza di Garrincha. Iashin ha la maglia fradicia di sudo-re, come se giocasse già da diverse ore. La valanga continua. Secondo dopo secondo, Garrincha decima i russi. L’isteria domina lo stadio. E l’esplosione arriva con il gol di Vavá, esattamente al terzo minuto], Ruy Castro, op. cit., p. 164.26 [Il russo che marcò Garrincha nel 58 sta in Liberia ancora oggi e racconta la gente che chiunque passa gli sputa in faccia. Direi sputa sulla loro faccia, perché a marcare Garrincha erano in sette e tutti e sette stanno là con tutta la gente che gli sputa in faccia e dicono “tavares-tavares”, che è più o meno “vatti a sedere sulla punta di uno scarpino”, nella loro lingua. So che perlomeno due li avevano messi per marcare Garrincha in modo sporco, perché tutti sapevano che non poteva esse-re altrimenti, ma gli altri cinque la gente di là li aveva messi con la speranza. C’era una medaglia di eroi del socialismo per chi fosse riuscito a marcare e a fermare Garrincha, ma nessuno la vinse], in Flávio Moreira da Costa (a cura di), Onze em campo e um banco de Primeira, Relume Dumará, Rio de Janeiro, pp. 14-15.

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fundo das redes?). Bastava frear o corpo, arrancar de novo pela direita -, e lá se ia por terra o equilíbrio universal dos laterais. Saibam os matemáticos que muitas vezes ele parecia deixar no meio do caminho, às quedas, seu próprio centro de gravidade; e continuava, em pé, pela direita, fl uente como uma queda dá-gua. Lançado no processo do drible, transfi gurava-se: era Cha-plin, esculpindo no vento uma sucessão maravilhosa de gestos cômicos; era o toureiro, inventando verônicas que a multidão saudava, cantando olé; era São Francisco de Assis, engrandecido na humildade com que sofria os pontapés do desespero27.

Il suo gesto era così particolare che contraddiceva la natura di questo virtuosismo calcistico, ne era l’antonimo: se il drib-bling consiste nel fi ngere di prendere una direzione per andare in un’altra, l’avversario di Garrincha sapeva invece in partenza che lui sarebbe scattato verso destra; non abboccava alla sua fi nta ma immancabilmente veniva saltato:

Aquele drible pela direita que era a negação do drible porque sabido de todos, em todos os campos do mundo, fez milioná-rios sem conta. Chegava à linha do fundo, os beques cercando

27 [Veniva verso il centrocampo, raccoglieva la palla: velocità zero. In un secondo scattava, un metro in avanti, quell’esplosione muscolare lo lanciava nello spazio con la leggerezza di un uccellino: se avesse voluto volare, volava, ma non c’era bisogno di tanto per arrivare al nido (non esiste il modo di dire “annidarla nel fondo della rete”?). Bastava frenare il corpo, scattare di nuovo verso destra, ed ecco che andava per terra l’equilibrio universale dei terzini. Sappiano i matematici che molte volte lui sembrava lasciare a metà del cammino, in sospeso, il suo stesso centro di gravità; e continuava, in piedi, verso destra, fl uente come una cascata d’acqua. Lanciato nella pratica del dribbling, si trasfi gurava: era Chaplin, che scolpiva nel vento una successione meravigliosa di gesti comici; era il torero, che inventava veroniche che la folla salutava, cantando olé; era San Francesco d’Assisi, ingigantito dall’umiltà con cui subiva i calci della disperazione], dal già citato brano O anjo que dribla, in Armando Nogueira, op. cit., pp. 45-46.

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28 [Quel dribbling verso destra, che era la negazione del dribbling perché conosciuto da tutti, in tutti i campi del mondo, ha fatto un’infi nità di milionari. Arrivava sulla linea di fondo, i difensori che circondavano l’area, lo spazio che scarseggiava... un metro, mezzo metro, “lui non ha più tempo, entro in tackle adesso”. Amara illusione: per un suo dribbling, la superfi cie di un fazzoletto era un latifondo], Ibidem.29 [Ma siamo sinceri: quale narratore di storie – per fedele e fl uente che sia – ha mai ottenuto il miracolo di esprimere con parole la leggerezza di un dribbling di Garrincha? Devastante e umano], Ivi, p. 85.30 [come dimenticare un tipo che, ancora sabato scorso, è stato così magico, incan-tato, come, diciamo, un nano da giardino? O meglio: – superando gli avversari con inverosimile facilità, ricordava una silfi de. Sì, amici: – è stato lieve, alato, diaboli-co, incorporeo, come una silfi de. Gli è mancato soltanto un sottofondo musicale di Chopin], nella crônica Zagalo coração de leão pubblicata originariamente nella “Manchete Esportiva” del 6 settembre1958 e poi riprodotta in Nélson Rodrigues, A Pátria em chuteiras, Companhia das Letras, São Paulo, 1994, pp. 47-49.

a área, o espaço minguando... um metro, meio metro, “ele não tem mais tempo, vou dar o carrinho agora”. Amarga ilusão: para um drible dele, a superfície de um lenço era um latifúndio28.

Un dribbling la cui leggerezza è tale da renderlo indescrivibile, secondo lo stesso autore:

Mas vamos ser francos: que contador de histórias – por fi el e fl uente que ele seja – conseguiu algum dia o milagre de exprimir com palavras a leveza de um drible de Garrincha? Devastador e humano29.

Una leggerezza che spinge Nélson Rodrigues a ricercare analo-gie che la possano esprimere:

[...] como esquecer um sujeito que, ainda no sábado, foi algo de tão mágico, encantado, como, digamos, um anão de jardim? Ou melhor: – passando pelos adversários com inverossímil fa-cilidade, lembrava uma sílfi de. Sim, amigos: – foi leve, alado, diabólico, incorpóreo, como uma sílfi de. Só lhe faltou mesmo um fundo musical de Chopin30.

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Per Mané, il piacere del gioco non consisteva nel perseguire un fi ne pratico: segnare gol, vincere le partite, intascare i premi per le vittorie, erano per lui cose meschine, espressione di una civiltà cui non apparteneva.

Il piacere consisteva tutto nel dribblare. Scrive Ruy Castro: “Estava no futebol em estado selvagem e lúdico, que era como os índios o jogariam, se soubessem”31.

La componente india è un cliché evocato soprattutto da que-cliché evocato soprattutto da que-clichésto autore, che introduce la fi gura del suo eroe descrivendo la diaspora della tribù dei fulniô, da cui discende il meticcio Ma-nuel dos Santos, al secolo Garrincha. E lo stereotipo dell’indio si applica come motivazione, esplicita o implicita, di alcuni tratti negativi del suo carattere: la pigrizia, l’inaffi dabilità, la mancanza di senso di responsabilità, la malizia, l’irrequietezza del suo comportamento sessuale32.

La descrizione della sua infanzia trascorsa nel paradiso natu-rale di Pau Grande sembra quasi ricalcare il modello dei primi

31 [Stava nel calcio allo stato selvaggio e ludico, che era il modo in cui gli índios lo avrebbero giocato, se lo avessero conosciuto], Ruy Castro, op. cit., p. 64.32 João Saldanha, nel suo Os subterrâneos do futebol (Tempo Brasileiro, Rio de Janei-Os subterrâneos do futebol (Tempo Brasileiro, Rio de Janei-Os subterrâneos do futebolro, 1963), racconta molte storie di ritiri e spogliatoio; a p. 9, ad esempio, si legge: “– O Garrincha! – explodiu Zezé. – Isto è um bandido. È o pior de todos! É um sonso. Só trabalha na moita e não sai em turma. É vivo que nem uma peste. É duro agarrar êste cara. Êste miserável já me fez perder um bom bocado de sono. Mas ainda pego êle. E êle vai me pagar todas!”; l’allenatore Geninho avvisava Saldanha della scaltrezza di Mané: “E sabe de uma coisa, olha que eu sou polícia especiali-zado há quase dez anos. Meu serviço é prender punguista, trafi cante de tóxicos, ladrão e gente dessa espécie. Já topei com cara de todo o tipo. Perto do Garrincha êles são criança de jardim da infância. Eu já armei umas duas arapucas para pegar o Torto e êle me fêz de João. Você nem precisa trocar de nome” [–- Garrincha! – esplose Zezé. – Quello è un bandito. È il peggiore di tutti! È un furbo. Lavora solo nelle retrovie e non esce in gruppo. È vivo più di una peste. È dura trattenere quel soggetto. Quel miserabile mi ha già fatto perdere il sonno. Ma prima o poi

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capitoli di Macunaíma33. Anche a prescindere dalla compo-nente razziale, la fi gura di Garrincha si presenta come eccezio-ne alla regola, che a sua volta giustifi ca, per chi ha la sventura di marcarlo, eccezioni alle regole del calcio:

Quando ele avança tudo vale. A ética do futebol não vigora para Mané. O fair-play exigido pelos britânicos é posto à margem pelos marcadores, pelos juízes, pelas torcidas. Regras do associa-tion abrem estranhas exceções para ele. Uma conivência com-placente se estabelece de imediato entre o árbitro e o marcador, o primeiro compreendendo o segundo, fechando os olhos às sarrafadas mais duras, aos carrinhos perigosos, aos trancos vio-lentos, às obstruções mais evidentes. Quando esses recursos fa-lecem, o marcador em desespero, sem medo ao ridículo, agarra a camisa de Garrincha. Aí o juíz apita a falta, mas sem advertir o faltoso: o recurso é limpo quando se trata de Garrincha34.

Per Juca Kfouri, Mané non s’inquadra in nessuna teoria e rap-

lo acchiappo. E me le paga tutte!] [E sa una cosa, guardi che io sono un poliziotto specializzato da quasi dieci anni. Il mio lavoro è arrestare borseggiatori, traffi canti di droga, ladri e gente di questa specie. Mi sono già trovato davanti individui di ogni tipo. Vicino a Garrincha sono dei bambini dell’asilo. Io ho già architettato qualche trappola per acchiappare lo Storto e lui mi ha fatto fare la fi gura del João. Lei non ha neanche bisogno di cambiare nome], p. 23.33 Cfr: Ruy Castro, capitolo 2, 1933-1952. Infância em Xangri-Lá, 1933-1952. Infância em Xangri-Lá, 1933-1952. Infância em Xangri-Lá op. cit., pp. 26-45.34 [Quando lui avanza vale tutto. L’etica del calcio non vige con Mané. Il fair-play preteso dai britannici è messo da parte dai marcatori, dagli arbitri, dalle tifoserie. Le regole dell’association aprono strane eccezioni con lui. Una connivenza compia-cente si stabilisce immediatamente tra l’arbitro e il marcatore, il primo che capisce il secondo e chiude gli occhi davanti alle entrate più dure, ai tackles pericolosi, agli tackles pericolosi, agli tacklesspintoni violenti, alle ostruzioni più evidenti. Quando questi espedienti falliscono, il marcatore disperato, senza timore del ridicolo, aff erra la maglia di Garrincha. Là l’arbitro fi schia il fallo, ma senza ammonire il colpevole: l’espediente è pulito quando si tratta di Garrincha], Paulo Mendes Campos, op. cit., p. 23.

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presenta la prova di quanto sia ingiusto trattare ugualmente i disuguali; Garrincha meritava una cura speciale35. Secondo Paulo Mendes Campos, ciò che lo rende singolare è aver di-mostrato che la magia può sconfi ggere la logica36.

Per Nélson Rodrigues, Garrincha trascende tutti i model-li di valutazione, tanto che lo stesso Giudizio Finale sarà in-competente su di lui37. Se il calcio può essere poesia, aggiunge il cineasta Wladimir Carvalho, Garrincha, con il suo spirito picaresco da “eroe senza carattere” (qui torna l’accostamento a Macunaíma), incarna la più moderna concezione dell’arte, quella del gesto fugace e istantaneo che si consuma nell’istante in cui si realizza:

[…] o futebol jamais foi motivo de alienação das massas, ja-mais seria usado para aviltar o povo. Para os de sensibilidade, e que têm a coragem de se irmanar com o homem da rua, o futebol não é o gesto gratúito que muitos imaginam (estes, sim, encastelados em sua alienação) mas um território poético, imenso manancial do poder de criação humana no retorno à pureza da infância. A brincadeira da bola iguala e sublima todos os homens num clima de intensa poesia e é um come-timento estritamente estético com os supremos ingredientes da arte: ritmo, harmonia, inventiva, movimento, incursão no tempo e espaço, equilíbrio e plasticidade. É nesse sentido que poderíamos falar em genialidade do jogador de futebol. No espírito picaresco de um Garrincha, herói sem caráter, com suas “obras esculpidas no vento”, encarnando a mais nova con-

35 Juca Kfouri, op. cit., p. 144.36 Paulo Mendes Campos, op. cit., p. 72.37 Nella crônica Juba Escanhoada pubblicata il 14 marzo1959 e poi inclusa in Nél-Juba Escanhoada pubblicata il 14 marzo1959 e poi inclusa in Nél-Juba Escanhoadason Rodrigues, op. cit., p. 57. L’autore aggiunge peraltro: “Com Pelé dá-se a mes-míssima coisa” [Con Pelé succede esattamente lo stesso].

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cepção de arte, a que se consome, se fi nda, no momento exato de sua elaboração: o drible, o pique e o gol38.

Eccezione alla regola anche per il suo fi sico inverosimile. Le sue gambe storte – il ginocchio de-

stro varo, quello sinistro valgo – insieme al bacino deviato e a un leggero strabismo, gli valsero non solo i soprannomi dispre-giativi di “torto” e “aleijado” ma anche la riforma dal servizio militare senza visita medica. Eppure, quell’atleta improbabile disorientava gli avversari proprio grazie a quell’insieme di linee fuori asse39.

Probabilmente, Garrincha è stato in Brasile l’idolo di tutti, proprio per-ché incarnava l’eroe imperfetto in cui chiunque si sarebbe potuto riconosce-re, un simbolo del brasiliano pieno di difetti ma anche di potenzialità.

38 [... il calcio non è stato mai motivo di alienazione delle masse, non sarebbe mai usato per svilire il popolo. Per coloro che sono dotati di sensibilità, e che hanno il coraggio di aff ratellarsi con l’uomo della strada, il calcio non è il gesto gratuito che molti immaginano sia (questi, sì, arroccati nella loro alienazione) bensì un territo-rio poetico, immensa fonte del potere creativo dell’uomo nel ritorno alla purezza dell’infanzia. Il gioco del pallone eguaglia e sublima tutti gli uomini in un clima di intensa poesia ed è un’azione strettamente estetica con i supremi ingredienti dell’arte: ritmo, armonia, inventiva, movimento, incursione nel tempo e nello spa-zio, equilibrio e plasticità. È in questo senso che possiamo parlare di genialità del giocatore di calcio. Nello spirito picaresco di un Garrincha, eroe senza carattere, con le sue “opere scolpite nel vento”, che incarnano la più moderna concezione dell’arte, quella che si consuma, si realizza, nel momento esatto della sua elabo-razione: il dribbling, l’apice e il gol], citato in Ivan Cavalcanti Proença, Futebol e palavra, José Olympio, Rio de Janeiro, 1981, pp. 13-14.39 Vedi Ruy Castro, op. cit., pp. 67 e 131, e Juca Kfouri, op. cit., p. 142.

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Armando Nogueira lo ha defi nito “un eroe picaro brasilia-nissimo”.

Nélson Rodrigues lo ha eletto, a più riprese, a simbolo della possibilità di riscatto di un paese:

O Brasil estava só, mas tinha Garrincha. Feliz do povo que pode esfregar um Garrincha na cara do mundo! E o Mané, com suas pernas tortas e fulgurantes, com o seu olho rútilo e também tor-to, pôs os Andes de gatinhas, ou de cócoras, sei lá. Quando ele enfi ou um gol e depois outro, isso aqui foi, como diria um ora-dor de gafi eira, foi uma pátria constelada de garrinchas40.

O time ou o país que tem um Mané é imbatível. Hoje, sabemos que o problema de cada um de nós é ser ou não ser Garrincha. Deslumbrante país seria este, maior que a Rússia, maior que os Estados Unidos, se fôssemos 75 milhões de Garrinchas41.

Lo stesso autore mette in risalto in certe giocate di Mané un tratto decisivo del carattere brasiliano, la “molecagem”, ossia la spensieratezza e l’allegria di giocare e divertirsi, tipiche del fanciullo; un valore umano inedito, rivoluzionario e creativo grazie al quale, scrive Rodrígues, l’uomo brasiliano entra nella storia e può sorprendere e ammutolire la civiltà europea:

40 [Il Brasile era solo, ma aveva Garrincha. Felice il popolo che può sbattere un Gar-rincha sulla faccia del mondo! E Mané, con le sue gambe storte e fulminanti, con i suoi occhi brillanti e anch’essi storti, ha messo le Ande in ginocchio, o carponi, che ne so. Quando ha infi lato un gol dopo l’altro, questa è diventata, come direbbe un oratore da festa paesana, una patria costellata di garrincha], nella crônica O Eichmann do apito, pubblicata il 14 giugno1962 ne “O Globo” e inclusa in Nélson Rodrigues, À sombra das chuteiras imortais, op. cit., pp. 89-91; qui defi nisce Garrincha anche come “a maior fi gura do futebol brasileiro desde Pedro Álvares Cabral” [la più grande fi gura del calcio brasiliano da Pedro Álvares Cabral].41 [La squadra o il paese che ha un Mané è imbattibile. Oggi, sappiamo che il pro-blema di ognuno di noi è essere o non essere Garrincha. Aff ascinante paese sarebbe

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Garrincha apanha e dispara. Já em plena corrida, vai driblando o inimigo. São cortes límpidos, exatos, fatais. E, de repente, estaca. Soa o riso da multidão – riso aberto, escancarado, quase gineco-lógico. Há, em torno do Mané, um barulho de tchecos. Nova-mente, ele começa a cortar um, outro, mais outro. Iluminado de molecagem. Garrincha tem nos pés uma bola encantada, ou me-lhor, uma bola amestrada. [...] Garrincha ateava gargalhadas por todo o estádio. [...] Se aparecesse, na hora, um grande poeta, ha-via de se arremessar, gritando: - ‘O homem só é verdadeiramente homem quando brinca!’. Num simples lance isolado, está todo o Garrincha, está todo o brasileiro, está todo o Brasil. E jamais Garrincha foi tão Garrincha, ou tão homem, como ao imobili-zar, pela magia pessoal, os onze latagões tchecos, tão mais sóli-dos, tão mais belos, tão mais louros que os nossos. Mas veriam como, varado de gênio, o Mané põe, num jogo de alto patético, um traço decisivo do caráter brasileiro: – a molecagem. O Hélio Pellegrino, que é poeta e psicanalista, dizia-me, outro dia: – “O brinquedo é a liberdade!” E para Garrincha o brinquedo, no fi m da batalha, foi a molecagem livre, inesperada, ágil e criadora [...] o brasileiro é uma nova experiência humana. O homem do Bra-sil entra na história com um elemento inédito, revolucionário e criador: a molecagem. Citei a brincadeira de Garrincha num fi nal dramático de jogo. Era a molecagem. Aqueles quatro ou cinco tchecos, parados diante de Mané, magnetizados, represen-tavam a Europa. Diante de um valor humano insuspeitado e deslumbrante, a Europa emudecia, com os seus túmulos, as suas torres, os seus claustros, os seus rios42.

questo, più grande della Russia, più grande degli Stati Uniti, se fossimo 75 milioni di Garrincha], nella crônica Garrincha passarinho apedrejado, pubblicata il 23 giug-no1962 in “Fatos & Fotos” e poi raccolta in Nélson Rodrigues, A Pátria em chuteiras, op. cit., pp. 76-78. Sia questa che la precedente si riferiscono alla vittoriosa semifi nale contro il Cile (disputata il 13 giugno) e all’espulsione subita da Garrincha nel fi nale.42 [Garrincha raccoglie e spara. Già in piena corsa, dribbla il nemico. Sono scarti limpidi, esatti, fatali. E, improvvisamente, si ferma. Suona il riso della folla – riso

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Garrincha, al meglio di sé, rappresentava realmente la “alegria do povo”: con il suo calcio “elastico, acrobatico, dionisiaco”, scatenava la risata del pubblico, che aspettava i suoi numeri come quelli di un clown o di un comico.

È sempre Nélson a rilevarlo quando parla del ritorno in auge del giocatore, nel 1965, dopo due anni di crisi:

O Brasil andava triste porque nos faltava Garrincha. Como pode o brasileiro rir, ou sorrir, sem o Mané? Durara dois anos infi nitos o exílio do maravilhoso craque. Durante esse tempo, a pátria viveu erma de Garrincha, deserta de Garrincha. Éra-mos 80 milhões de órfãos de seu futebol elástico, acrobático, dionisíaco. Ora, o futebol é a mais feia, a mais cruel, a mais tenebrosa das paixões. E, de repente, Mané apareceu. Todo o povo exultou porque o seu jogo tinha milhares de guizos ra-diantes. Diante dele, o torcedor esquecia a sua ira vespa e por-nográfi ca. Só com o Mané a multidão aprendeu a rir, só com

aperto, spalancato, quasi ginecologico. C’è, intorno a Mané, un rumore di cechi. Di nuovo, comincia a eluderne uno, un altro, un altro ancora. Illuminato di monelle-ria. Garrincha ha tra i piedi una palla incantata, o meglio, una palla ammaestrata. [...] Garrincha scatenava risate in tutto lo stadio. [...] Se fosse apparso, in quel mo-mento, un grande poeta, si sarebbe precipitato, gridando: – “L’uomo è veramente uomo solo quando gioca!”. In un semplice episodio isolato, sta tutto Garrincha, sta uomo solo quando gioca!”. In un semplice episodio isolato, sta tutto Garrincha, sta tutto il brasiliano, sta tutto il Brasile. E Garrincha non è mai stato così Garrincha, o così uomo, come quando ha immobilizzato, con la sua magia personale, gli undici omaccioni cechi, così più solidi, così più belli, così più biondi dei nostri. Ma vedete come, toccato dal genio, Mané applica, in un gioco altamente commovente, un tratto decisivo del carattere brasiliano: – la monelleria. Hélio Pellegrino, che è poeta tratto decisivo del carattere brasiliano: – la monelleria. Hélio Pellegrino, che è poeta e psicanalista, mi diceva, l’altro giorno: – “Il giocattolo è la libertà!” E per Garrincha e psicanalista, mi diceva, l’altro giorno: – “Il giocattolo è la libertà!” E per Garrincha il giocattolo, alla fi ne della battaglia, è stata la monelleria libera, inattesa, agile e creativa [...] il brasiliano è una nuova esperienza umana. L’uomo del Brasile entra creativa [...] il brasiliano è una nuova esperienza umana. L’uomo del Brasile entra nella storia con un elemento inedito, rivoluzionario e creativo: la monelleria. Ho citato lo scherzo di Garrincha nel fi nale drammatico della partita. Era la monelleria. Quei quattro o cinque cechi, fermi davanti a Mané, ipnotizzati, rappresentavano l’Europa. Di fronte ad un valore umano insospettato e aff ascinante, l’Europa am-

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o Mané a multidão deixou de ser a neurótica obscena. [...] Sua decadência seria também a nossa, e sua impotência, idem. Sem ele, a nação se derramava como um cântaro entornado. Mas o Mané ressurgia em estado de graça plena. [...] E todo este povo sentiu-se quase onipotente43.

Non a caso, è stato ripetutamente accostato a Charlie Chaplin e al suo Charlot (ma anche a Harpo Marx e al comico messi-cano Cantinfl as). Lo stesso autore così stabilisce il paragone tra i due artisti:

E só mesmo o meu personagem da semana, Mané Garrincha, conseguiu arrancar do Maracanã entupido uma gargalhada ge-nerosa total. Vocês se lembram de Charlie Chaplin, em Luzes da Ribalta, fazendo o número das pulgas amestradas? Pois bem, Mané deu-nos um alto momento chapliniano. E o efeito foi uma bomba. Na primeira bola que recebeu, já o povo começou a rir. Aí é que está o milagre: – o povo ria antes da jogada, da

mutoliva, con i suoi tumuli, le sue torri, i suoi chiostri, i suoi fi umi. In O escrete de loucos, crônica pubblicata in “Fatos & Fotos” (edição especial, junho de 1962) e poi inserita in Nélson Rodrigues, A Pátria em chuteiras, op. cit., pp. 79-82.op. cit., pp. 79-82.op. cit43 [Il Brasile era triste perché ci mancava Garrincha. Come può il brasiliano ridere, o sorridere, senza Mané? È durato due anni infi niti l’esilio del meraviglioso fuori-classe. Durante questo tempo, la patria ha vissuto erma di Garrincha, deserta di Garrincha. Eravamo 80 milioni di orfani del suo calcio elastico, acrobatico, dioni-siaco. Ora, il calcio è la più brutta, la più crudele, la più tenebrosa delle passioni. E, all’improvviso, Mané è apparso. Tutto il popolo ha esultato perché il suo gioco aveva migliaia di sonagli brillanti. Di fronte a lui, il tifoso dimenticava la sua ira acida e pornografi ca. Solo con Mané la folla ha imparato a ridere, solo con Mané la folla ha smesso di essere una nevrotica oscena. [...] La sua decadenza sarebbe stata anche la nostra, e la sua impotenza, idem. Senza di lui, la nazione si disperdeva come una brocca versata. Ma Mané risorgeva in uno stato di grazia piena. [...] E tutto questo popolo si è sentito quasi onnipotente.], dalla crônica Os guizos radiantes de Garrin-cha, inizialmente pubblicata ne “O Globo” il 5 giugno 1965, in Ivi, p. 97.

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graça, da pirueta. Ria adivinhando que Garrincha ia fazer a sua grande ária, como na ópera44.

In quest’atteggiamento tipicamente brasiliano, riscontrabile nei suoi dribbling prolungati, non c’è necessariamente mali-zia, voglia di irridere l’avversario ma, più che altro, semplicità e spontaneità.

Ha scritto eloquentemente il drammaturgo carioca che Mané “Tinha essa humilhante sanidade mental do garoto que caça cambaxirra com espingarda de chumbo e que, em Pau

44 [E veramente solo il mio personaggio della settimana, Mané Garrincha, è riuscito a strappare al Maracanã gremito una generosa risata globale. Vi ricordate di Charlie Chaplin, in Luci della Ribalta, quando faceva il numero delle pulci ammaestrate? Ecco, Mané ci ha dato un alto momento chapliniano. E l’eff etto è stato quello di una bomba. Al primo pallone ricevuto, il popolo ha già cominciato a ridere. Il mira-colo è tutto lì: - il popolo rideva prima della giocata, della facezia, della piroetta. Ri-deva indovinando che Garrincha stava per fare la sua grande aria, come nell’opera], nella crônica Os que negam Garrincha, del 30 maggio 1966, apparsa prima ne “O Globo” e poi in Nélson Rodrigues, À sombra das chuteiras imortais, op. cit., pp. 119-120. L’accostamento è stato proposto anche da Armando Nogueira, come ab-biamo visto prima; e anche José Lino Grunewald ha scritto in modo eloquente: “As invocações líricas e as comparações não poderiam faltar nesse carrossel de saudade e memórias desfechado pelo mito. Logo de saída, o nome de Charles Chaplin foi lembrado, em face de afi nidades e analogias com o personagem de Carlitos. Tudo certo: aquilo que Chaplin exprimiu no âmbito da estética cinematográfi ca se casa em fundo e forma com as piruetas futebolísticas do Garrincha. E não esquecer que o mesmo Chaplin, quando tira a máscara de inocência do vagabundo e faz Monsieur Verdoux, dá um derradeiro drible geral e depois, de propósito, entrega-se a polícia -ou seja, seus eternos marcadores” [Le invocazioni liriche e i paragoni non sarebbero potute mancare in questo carosello di nostalgia e memorie dischiuso dal mito. Fin dall’inizio, il nome di Charles Chaplin è stato ricordato, di fronte alle affi nità e analogie con il personaggio di Charlot. Tutto giusto: quello che Chaplin ha espres-so nell’ambito dell’estetica cinematografi ca si sposa nel fondo e nella forma con le piroette calcistiche di Garrincha. E non bisogna dimenticare che lo stesso Chaplin, quando toglie la maschera dell’innocenza del vagabondo e fa Monsieur Verdoux, dà un ultimo dribbling generale e poi, di proposito, si consegna alla polizia – ossia, ai suoi eterni marcatori], in Especial para a Folha, del 22 ottobre 1995.

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Grande, na sua cordialidade indiscriminada, cumprimenta até cachorro”45.

Paulo Mendes Campos sostiene che non c’è mai stato un uomo famoso meno conscio della propria importanza46.

È inevitabile confrontare quest’atteggiamento con la sapien-te e cosciente costruzione del proprio mito da parte di Pelé, come vedremo tra poco.

Carlos Drummond de Andrade riassume questi concetti in un testo, scritto in occasione della morte del giocatore, in cui coglie le ragioni della naturale identifi cazione del popolo brasi-liano con la fi gura di Garrincha: Mané viene defi nito un idolo provvidenziale per il popolo perché, pur contrariando i principi sacri del gioco, ha raggiunto i risultati più alti, indicando la pos-sibilità, per un paese impreparato all’ambito destino glorioso, di vincere i suoi limiti e le sue carenze, di sconfi ggere i comples-si nazionali di inferiorità e conquistare una possibile grandezza. Un modello inconsapevole ma capace di sedurre il popolo con la magia dei suoi piedi e con la sua innocenza, che non escludeva scaltrezze intuitive da Macunaíma. Un eroe che non entrava in campo solo per se stesso ma per difendere milioni di soff erenti dai propri fantasmi personali e collettivi. Garrincha, continua Drummond, era un esponente di quella massa di infelici da cui si salva solo qualche raro predestinato, come Pelé47.

45 [Aveva l’umiliante salute mentale del ragazzino che caccia cambaxirra (un uccelli-no brasiliano N.d.T.) con il fucile di piombo e che, a Pau Grande, nella sua cor-dialità indiscriminata, saluta anche i cani], nella crônica Descoberta de Garrincha, pubblicato il 21 giugno 1958 nella “Manchete Esportiva” e poi incluso in Nélson Rodrigues, À sombra das chuteiras imortais, op. cit., pp. 53-54.46 Vedi Paulo Mendes Campos, op. cit., pp. 31-32.47 “Mané Garrincha foi um desses ídolos providenciais com que o acaso veio ao in-contro das massas populares e até dos fi gurões responsáveis periódicos pela sorte do

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Più di quest’ultimo, Mané rappresenta il popolo brasiliano; un popolo che, come diceva l’immortale compositore Tom Jobim è così originale che, tra un vincente e un perdente, sceglie sempre il secondo; ecco perché Garrincha era più amato di Pelé48. Ama-to, ma poi inevitabilmente abbandonato, quando la magia dei suoi dribbling venne off uscata dallo scandalo della sua relazione con Elza Soares. Quando Mané abbandonò la famiglia e ammi-se pubblicamente il suo legame con la cantante nera, il sistema, fondato sulle apparenze, assunse un tono da tribunale dell’In-quisizione: ciò che prima, di nascosto, andava bene (le relazioni extraconiugali e i fi gli illegittimi), non era più tollerato, e la coppia fu oggetto di minacce, insulti, provocazioni e derisioni. La macchina dei media cercò di cavalcare l’onda dello scandalo: venne lanciato un programma umoristico radiofonico intitolato Memórias de Elza Soares, la Tv Rio interpelló Nélson Rodrígues per la sceneggiatura di una “novela” sul caso, un programma della Tv Tupi ospitò la moglie abbandonata di Garrincha, Nair, e le fi glie, in un’esibizione dal ricercato eff etto pietistico; ebbe-ro successo canzoni che insistevano sul tema “Volta pra casa” e la stessa Elza si prestò colpevolmente alla speculazione, in-terpretando un motivo dall’eloquente titolo Eu sou a outra49Eu sou a outra49Eu sou a outra .

Brasil, ofertando-lhes o jogador que contrariava todos os princípios sacramentais do jogo, e que no entanto alcançava os mais deliciosos resultados” [“Mané Garrin-cha è stato uno di questi idoli provvidenziali con cui il caso è venuto incontro alle masse popolari e anche ai capoccioni responsabili periodici delle sorti del Brasile, off rendo loro un giocatore che trasgrediva tutti i principi sacramentali del gioco, raggiungendo tuttavia splendidi risultati”]. Tratto da Mané e o sonho, pubblicato nel “Jornal do Brasil” del 22 gennaio 1983, in occasione della morte del campione e poi incluso in Carlos Drummond de Andrade, op. cit., pp. 217-219 [trad. it. Giulia Lanciani, op. cit., p. 172]. Una citazione più ampia si può trovare all’interno del saggio di Giulia Lanciani, successivo a questo, a p. 62.48 Vedi Juca Kfouri, op. cit., p. 143. 49 [Io sono l’altra], vedi Ruy Castro, op. cit., pp. 293-296.

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La partecipazione della cantante a varie campagne politiche del presidente Jango Goulart fece sì che, una volta deposto questi nel 1964 – a seguito del colpo di stato dei militari, che pose fi ne all’indirizzo parlamentarista e fi lo-comunista di Goulart – l’abi-tazione di Garrincha (il piú apolitico tra gli esseri umani) e della Soares venisse invasa e messa a soqquadro nottetempo da agenti della polizia politica (DOPS). In quell’occasione venne ucciso per sfregio, di fronte agli occhi del giocatore, di Elza, di sua madre e dei suoi fi gli, il merlo indiano (o mainá) che Garrincha mainá) che Garrincha maináaveva ottenuto dal governatore dello stato di Guanabara, Car-los Lacerda, come regalo per la vittoria nel mondiale del 1962 (al posto della villa a Copacabana che il politico aveva off erto a tutti i giocatori); secondo la credenza popolare, l’uccello era da collegarsi alle sfortune che avversavano la vita di Garrincha; la sua uccisione, dunque, poteva signifi care – secondo questo punto di vista – una possibilità di redenzione per il campione di Pau Grande. Carlos Drummond de Andrade dedicò all’evento una crônica, O Mainá, in cui, contro la “mentalità magica” che O Mainá, in cui, contro la “mentalità magica” che O Maináapprovava il sacrifi cio del volatile, si schierava dalla parte del mainá e dell’uomo Garrincha:mainá e dell’uomo Garrincha:mainá

“Tuércele el cuello al cisne...” Quem torceu o pescoço ao mainá “Tuércele el cuello al cisne...” Quem torceu o pescoço ao mainá “Tuércele el cuello al cisne...”de Garrincha certamente nunca leu o famoso soneto de Enrique González Martinez [...] Não leu, mas foi ao mainá e cassou-lhe a palavra para sempre – ao mainá que falava tanto e era uma ale-gria entre as tristezas profi ssionais e morais de Garrincha. Quem foi o autor desse ato não sabemos [...] O que sabemos é que inúmeras pessoas poderiam tê-lo cometido [...] podem até ser ótimas praças, mas cederiam à força de um pensamento mágico, que sempre paira entre o céu e os seres. Desde o momento em que se correlacionam a proximidade da ave com as perturbações na arte futebolística de Garrincha, a idéia de eliminar o mainá assumiu um caráter libertário. Matar o mainá era evitar a morte

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de Garrincha... Se Abraão não hesita em imolar o próprio fi lho [...] por que poupar a vida de uma ave se a sua eliminação con-jura poderes maléfi cos, que se encarniçam contra [...] o menos refl exivo dos campeões brasileiros? É o mesmo ato de Abraão às avessas: a morte em defesa do fi lho, pois a essa altura todos vêem em Garrincha o fi lho geral, a criança mimada que faz besteiras e que cumpre defender de unhas e dentes, tanto mais generosa-mente quanto ele é o fi lho pródigo da Escritura. [...] No caso, o benefício é colossal, pois com a recuperação de Garrincha se salva aquilo que o fi lme de Joaquim Pedro de Andrade chamou inspiradamente de alegria do povo. O que fi ca dito parece de-monstrar que aprovo a morte cruel do mainá. Não aprovo coi-sa nenhuma [...] Não posso, entretanto, contra a mentalidade mágica, e não sei se neste momento, na Índia, uma partícula da alma universal não se deslocou misteriosamente, tangida pela morte do mainá, e quem pode prever as repercussões disso em um caso tão complicado50?

50 [“Tuércele el cuello al cisne...” Chi ha torto il collo al mainá di Garrincha certa-mente non ha mai letto il famoso sonetto di Enrique González Martínez [...] Non lo ha letto, ma è andato difi lato dal mainá e gli ha tolto la parola per sempre – al mainá che parlava tanto ed era motivo di gioia fra le tristezze professionali e morali di Garrincha. Chi sia stato l’autore di questo gesto non lo sappiamo [...] Quel che sappiamo è che innumerevoli persone potrebbero averlo commesso [...] potrebbero essere perfi no degli ottimi poliziotti, che avrebbero ceduto alla forza di un pensiero magico, sempre aleggiante tra il cielo e gli esseri viventi. Una volta stabilita la relazio-ne tra la vicinanza del pennuto e i turbamenti nell’arte calcistica di Garrincha, l’idea di eliminare il mainá ha assunto un carattere liberatorio. Uccidere il mainá signifi -cava evitare la morte di Garrincha [...] Se Abramo non esita ad immolare il proprio fi glio [...] perché risparmiare la vita di un uccello se la sua eliminazione scongiura poteri malefi ci che si accaniscono contro [...] il meno rifl essivo dei campioni bra-siliani? È proprio l’atto di Abramo al rovescio: la morte in difesa del fi glio, perché oggi tutti vedono in Garrincha il proprio fi glio, il bambino viziato che commette errori e che bisogna difendere con le unghie e con i denti, tanto più generosamente perché egli è il fi gliol prodigo delle Scritture. [...] Nel caso specifi co, il benefi cio è colossale, poiché con il recupero di Garrincha si salva quel che il fi lm di Joaquim Pedro de Andrade ha poeticamente defi nito l’allegria del popolo. Quel che ho detto

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Per il “fi gliol prodigo” Garrincha il ritorno si riveló impossibi-le. Alle conseguenze della sua relazione con Elza si sommavano i problemi delle sue ginocchia e, soprattutto, la crescente di-pendenza dall’alcool. Mané non era piú la “Alegria do povo”; il fi lm omonimo che Joaquim Pedro de Andrade presentò nel 1963 stonava ormai con la realtà dei fatti51. L’angelo si era trasformato in demonio e il Brasile gli aveva voltato le spalle. Persino il paradiso di Pau Grande aveva espulso il suo fi glio più famoso per prendere le parti di Nair52.

Tuttavia, gli scrittori che meglio avevano saputo cogliere il carattere di Garrincha non lo abbandonarono nella fase calan-te della sua parabola. Carlos Drummond de Andrade descrisse la sua traiettoria dionisiaca nel brano intitolato Estrada, pub-blicato nella raccolta Cadeira de Balanço:

O moço de coração simples estava a beira da estrada, vendo pas-sarinho voar. Passou o destino, bateu-lhe no ombro e disse: “Vai brincar”. “Eu estou brincando” – respondeu o rapaz. “Vai brin-car com os pés e com as pernas, pois para isso nasceste”. O jovem foi para cidade e pediu que o deixassem fi car em companhia de outros, num lugar onde se brincava de movimento. “Nunca po-derás brincar direito” – observaram os entendidos, examinando-lhe o corpo. “Tens pernas arqueadas. Pernas arqueadas são gran-de empecilho na vida”. E mandaram-no embora. Foi a outros

sembrerebbe dimostrare la mia approvazione per la crudele morte del mainá. Non approvo un bel niente [...] Nulla posso, tuttavia, contro il pensiero magico, e non so se in questo momento, in India, una particella dell’anima universale, colpita dalla morte del mainá, non si sia misteriosamente dislocata, e chi può prevederne le ripercussioni su un caso tanto complicato?], crônica pubblicata nel “Correio da crônica pubblicata nel “Correio da crônicaManhã” del 24 giugno1964, inclusa in Carlos Drummond de Andrade, op. cit., pp. 213-214, [trad. it. Giulia Lanciani, a cura di, op. cit., pp. 169-170].51 Vedi Ruy Castro, op. cit., pp. 312-313.52 Ivi, p. 295.

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lugares, ouviu a mesma resposta. Um dia, sem reparar em suas pernas, deixaram-no fi car e brincar. Brincou melhor que todos os que tinham pernas clássicas. Seu brinquedo mágico, dentro do brinquedo comum, dava a quem o via uma felicidade intensa. “Ninguém na terra brinca melhor do que este” – disse a voz pú-blica, maravilhada. Os entendidos não explicavam por quê. Nin-guém explicava. Poetas celebraram-no [...] Sua cabeça, como seu coração, era simples. Ele não tinha que responder, senão brincar mais e melhor ainda. Foi levado para outros países, e assombrava os povos pelo mistério das pernas cambotas, que sabiam bailar e enganar, enganar e bailar. A glória não o perturbou, era simples o menino grande, brincando mais engraçado que os outros, e nisso se comprazia. Com a fama, ganhou montes de dinheiro [...] fugindo aos prazeres da dissipação e da soberba, reservou-se o prazer do brinquedo. Aí veio o amor, e disse: “Eu venço este homem”. Fê-lo escutar uma canção, tornou-o inquieto. O rapaz começou a viajar de um lugar para o outro, a esconder-se dos companheiros e de si mesmo, a falar muito e com acidez. Recla-mava atenções e mais dinheiro, sempre mais, alegando que me-recia. E ameaçava. [...] Chamaram-no de mentiroso, de ingrato e de vitima [...] Sua intimidade foi fotografada como objeto pú-blico. E ele parou de brincar. A felicidade que distribuía a todos está suspensa. Enquanto isso, à beira da estrada, ele espera que o destino passe de novo, pouse a mão no seu ombro e lhe diga o que será de sua vida. È preciso que ouça outra vez: “Vai brincar, pois para isso nasceste”53.

53 [Il ragazzo dal cuore semplice stava sul ciglio della strada a guardare un uccellino volare. Passò il destino, gli batté sulla spalla e disse: “Va a giocare”. “Sto giocando”, rispose il ragazzo. “Va a giocare con i piedi e con le gambe, perché sei nato per que-sto”. Il giovane andò in città e chiese che lo facessero stare in compagnia di altri, in un posto dove si giocava di movimento. “Non potrai mai giocare dritto” – osserva-rono gli esperti, esaminandone il corpo. “Hai le gambe arcuate. Le gambe arcuate sono un grande intralcio nella vita”. E lo mandarono via. Andò in altri posti, udì sempre la stessa risposta. Un giorno, senza badare alle sue gambe, lo fecero restare e

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Cronisti come Armando Nogueira e Nélson Rodrigues, hanno espresso il loro rammarico per l’indiff erenza e la mancanza di riconoscenza del pubblico nei confronti del beniamino caduto in disgrazia.

Il primo, nella già citata crônica intitolata O anjo que dribla, biasimava l’ingratitudine del pubblico nei riguardi dell’uomo dalle gambe storte ma gloriose, perché andavano nella direzione giusta, verso l’allegria più pura che eleva l’uomo alle porte del cielo, l’eroe di due guerre che ha conquistato il mondo senza uccidere nessuno, il guerrigliero dal dribbling angelico:dribbling angelico:dribbling

Tudo isso foi ontem. Quem sabe dele, hoje? Anda por aí, acor-rentado, chutando, talvez de sandálias, a bola de ferro da nos-sa indiferença. Estátua, nome de rua, conta bancária: nada lhe

giocare. Giocò meglio di tutti quelli che avevano gambe classiche. Il suo giocattolo magico, dentro il giocattolo comune, dava a chi lo vedeva un’intensa felicità. “Nes-suno in questo paese gioca meglio di lui” – disse la voce pubblica, meravigliata. Gli esperti non se lo spiegavano. Nessuno se lo spiegava. I poeti lo celebravano. [...] La sua testa, come il suo cuore, era semplice. Lui non aveva nulla da rispondere, se non giocare di più e sempre meglio. Fu portato in altri paesi, e stupiva la gente per il mistero delle gambe storte, che sapevano danzare e ingannare, ingannare e danzare. La gloria non lo cambiò, era semplice il grande ragazzo, che giocava più elegantemente degli altri e di questo si compiaceva. Con la fama, guadagnò un mucchio di soldi [...] sfuggendo ai piaceri della dissipazione e della superbia, si riservò il piacere del gioco. E venne l’amore, e disse: “Io vincerò quest’uomo”. Gli fece ascoltare una canzone, lo rese inquieto. Il ragazzo cominciò a viaggiare da un luogo all’altro, a nascondersi ai compagni e a se stesso, a parlare molto e aspramen-te. Pretendeva attenzioni e più soldi, sempre di più, adducendo che li meritava. E minacciava. [...] Lo trattarono da bugiardo, da ingrato e da vittima. [...] La sua intimità fu fotografata come un pubblico oggetto. E lui smise di giocare. La felicità che distribuiva a tutti ora è sospesa. Sul ciglio della strada, egli aspetta che passi di nuovo il destino, che gli posi una mano sulla spalla e gli dica quel che sarà della sua vita. È necessario che egli senta un’altra volta: “Va a giocare, perché sei nato per questo”], in Carlos Drummond de Andarde, op. cit., pp. 211-212 [trad. it. Giulia Lanciani, a cura di, op. cit., pp. 167-168].

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demos, nem uma festa para a volta olímpica no estádio que ele eternizou com a obra efêmera e imortal de seu drible pela direita [...] O que se exige, ao menos por vergonha, é a reverência, é o reconhecimento à obra de um herói que, brincando pelo mundo afora, nos fez um pouco mais felizes; que, sem dar um tiro, sem um discurso sequer, fez o Brasil mais nação ainda, unindo um povo para cantar, de mãos dadas, como crianças de um mundo sem lágrimas, a alegria de uma vitória nacional. Que Deus nos perdoe o pecado de desprezar um ídolo porque, pelo menos a mim, já me basta a pena de nunca mais voltar a ver nos estádios um drible de Garrincha54.

E quando venne rubata la statuetta della Coppa del Mondo, vinta defi nitivamente dal Brasile nel 1970, lo stesso Nogueira scrisse:

Não há de ser uma estatueta a menos que vai entristecer os nos-sos estádios. Roubo sem volta é levar, como levaram – e para sempre – de nossos olhos a arte de Garrincha. Aquilo sim é que era jóia rara, obra de gênio que os anjos do céu assinariam em cruz. [...] Palavra de honra, eu trocaria todas as taças de ouro deste mundo por um simples drible de Garrincha55.

54 [Tutto questo è stato ieri. Chi sa qualcosa di lui, oggi? Vaga, incatenato, calciando, forse con i sandali ai piedi, la palla di ferro della nostra indiff erenza. Statua, nome di strada, conto corrente: non gli abbiamo dato nulla, neanche una festa per il giro d’onore nello stadio che lui ha reso eterno con l’opera effi mera e immortale del suo dribbling verso destra [...] Quello che si esige, almeno per pudore, è il rispetto, è il riconoscimento all’opera di un eroe che, giocando per il mondo, ci ha reso un po’ più felici; che, senza sparare, senza neanche un discorso, ha reso il Brasile ancor più una nazione, unendo un popolo a cantare, mano nella mano, come bambini di un mondo senza lacrime, l’allegria di una vittoria nazionale. Che Dio ci perdoni il peccato di di-sprezzare un idolo perché, perlomeno a me, basta già la pena di non tornare più a ve-dere in uno stadio un dribbling di Garrincha], in Armando Nogueira, op. cit., p. 46.55 [Non sarà una statuetta in meno a intristire i nostri stadi. Un furto senza ritorno è portar via, come hanno fatto – e per sempre – dai nostri occhi l’arte di Garrincha.

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In occasione dell’esordio di Garrincha nel Flamengo – uno dei tentativi di rinascita del campione in declino – Nélson Rodrigues commentò:

Garrincha vivia por aí, mais abandonado, mais desprezado do que um cachorro atropelado. Lembro-me de um sujeito que veio me soprar ao pé da orelha: – “Vai acabar na sarjeta!”. Outro fez o vaticínio não menos feroz, segundo o qual teria o fi m do Ébrio, de Vicente Celestino56. Pode-se dizer que, de uma maneira geral, ninguém jamais admitiu a sua resurreição. Cabe então a pergun-ta: – se todos estavam assim pressagos, por que ninguém ensaiava um gesto de amor? Sim: – por que ninguém lhe estendia a mão, por quê? Ai de nós, ai de nós. Temos uma piedade frívola e re-lapsa. Gostamos de esquecer. Eu falei em “piedade” e gostaria de notar: – o brasileiro esquece antes da compaixão. Mas havia, no caso, para todos nós, um problema intolerável de consciência. Mané merecia a nossa alegre e crudelíssima indiferença? Não e nunca. Poucos homens serviram tanto o seu povo57.

Splendido è l’epitaffi o dedicato al campione da Carlos Drum-mond de Andrade: per il poeta, Mané è stato vittima del ger-me di autodistruzione che portava in sé, della sua mancanza di difese psicologiche; il dio del calcio lo mandò negli stadi per aiutare un paese a sublimare le proprie tristezze, ma, cru-dele, gli negò la coscienza di essere un agente divino: fi nito

Quella sì che era una gioia rara, opera di genio che gli angeli del cielo fi rmerebbero ad occhi chiusi. [...] Parola d’onore, io scambierei tutte le coppe d’oro di questo mondo per un semplice dribbling di Garrincha], Ivi, pp. 58-59.56 O Ébrio era il titolo di una canzone e di un fi lm del 1946, in cui il cantante e attore Vicente Celestino interpretava la parte di un uomo rovinato dall’alcool.57 [Garrincha viveva solo, più abbandonato, più disprezzato di un cucciolo mal-trattato. Mi ricordo di un tale che venne a confi darmi in un orecchio: – “Finirà in fondo a un fosso!”. Un altro fece un vaticinio non meno feroce, secondo il quale

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Garrincha, le tristezze tornano e il popolo cerca invano un suo erede58. Se Garrincha è l’eroe imperfetto, Pelé, al contrario, è l’immagine stessa della perfezione59. Il critico teatrale Décio de Almeida Prado scrisse che Pelé rap-presentava l’incredibile sintesi delle più opposte qualità calcisti-che: giocatore intelligente e muscolare al tempo stesso, elegante ed effi cace, eccelleva nell’impostare ma anche nel concludere; in tutto era perfetto60.

avrebbe fatto la fi ne dell’Ubriaco, di Vicente Celestino. Si può dire che, in genere, nessuno ammise più la sua resurrezione. È allora legittima la domanda: – se tutti erano così sicuri profeti, perché nessuno provava un gesto d’amore? Sì: – perché nessuno gli tendeva la mano, perché? Poveri noi, poveri noi. Abbiamo una pietà frivola e recidiva. Ci piace dimenticare. Io ho parlato di “pietà” e vorrei far notare: – il brasiliano dimentica prima della compassione. Ma c’era, in questo caso, per tutti noi, un problema intollerabile di coscienza. Mané meritava la nostra allegra e crudelissima indiff erenza? No, mai. Pochi uomini hanno servito tanto il loro popo-lo], nella crônica Um gesto de amor, originariamente pubblicata ne “O Globo” del 2 febbraio1968 e poi raccolta in Nélson Rodrigues, À sombra das chuteiras imortais, op. cit., pp. 137-138.58 Si tratta della crônica cui si fa riferimento nella nota 46. Si rimanda alla citazione crônica cui si fa riferimento nella nota 46. Si rimanda alla citazione crônicache ne fa Giulia Lanciani all’interno del suo saggio, successivo a questo, a p. 69 sgg.59 “Nijinski, o desequilibrado, tornou-se um grande bailarino. Garrincha, o torto, se transformou num jogador excepcional. [...] Ao contrário de Nijinski e de Garrincha, que tiraram sua força da imperfeição, Pelé foi, desde cedo, a própria imagem da per-feição. Em seu interesse pela perfeição se prenunciava o Rei que viemos a conhecer” [Nijinski, lo scoordinato, è diventato un grande ballerino. Garrincha, lo storto, si è trasformato in un giocatore eccezionale. [...] Al contrario di Nijinski e di Garrincha, che hanno tratto la loro forza dall’imperfezione, Pelé è stato, molto presto, la stessa immagine della perfezione. Nella sua ricerca della perfezione si annunciava il Re che abbiamo poi conosciuto], in José Castello, Pelé. Os dez corações do Rei, Ediouro, Rio de Janeiro, 2004, p. 20.60 “Há jogadores de inteligência e jogadores de físico, jogadores cerebrais e jogadores musculares. Jogadores elegantes e jogadores efectivos. Jogadores clássicos e jogado-res de improvisação. Jogadores que preparam e jogadores que concluem. Pelé é a síntese improvável de todas essas qualidades contrárias. É perfeito em tudo [...]” [Ci sono giocatori di intelligenza e giocatori di fi sico, giocatori cerebrali e giocatori muscolari. Giocatori eleganti e giocatori pratici. Giocatori classici e giocatori che

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Armando Nogueira parla della purezza del suo gesto, che lo avvicina agli dei senza allontanarlo dagli uomini61. Per Nélson Rodrigues, Pelé è l’assoluto62. Carlos Drummond de Andrade guarda, con ammirazione mista a invidia, a lui come all’artista sublime ed eletto, capace solo del goal perfetto, vera opera d’arte alla pari di un verso, di una pittura, di una musica, di una danza; Drummond rifl ette sull’arte e sul genio come dono supremo, che sceglie arbitrariamente e misteriosamente il sog-getto in cui incarnarsi63.

improvvisano. Giocatori che preparano e giocatori che concludono. Pelé è la sintesi improbabile di tutte queste qualità opposte. È perfetto in tutto], citato da Luiz Henrique de Toledo nel suo Pelé: os mil corpos de um rei, in Futebol de muitas cores e sabores, op. cit., p. 154. 61 “Durante anos, tentei decifrar o mistério de Pelé, seguindo, com os olhos perdidos, as linhas invisíveis que a bola traça no campo, no vaivém do jogo. E, no entanto, era tão fácil decifrá-lo na pureza do gesto que o aproxima dos deuses sem afastá-lo dos homens” [Per anni, ho provato a decifrare il mistero di Pelé, seguendo, con lo sguardo perso, le linee invisibili che la palla traccia sul campo, nell’andirivieni del gioco. E, tuttavia, era così facile decifrarlo nella purezza del gesto che lo avvicina agli dei senza allontanarlo dagli uomini], in Armando Nogueira, O Homem e a Bola, op. cit., p. 73.62 “E agora vamos falar dele, o absoluto. Sim, falamos de Pelé” [E adesso parliamo di lui, l’assoluto. Sì, parliamo di Pelé], in Nélson Rodrigues, A Pátria em chuteiras, op. cit., p. 94.63 Vedi la citazione all’interno dell’intervento di Giulia Lanciani, successivo a questo, a p. 65-66. Qui si aggiunge quest’ulteriore brano, lì non riportato: “Então o gol independe de nossa vontade, formação e mestria? Receio que sim. Produto divino, talvez? [...] Se é de Deus, Deus se diverte negando-o aos que imploram, e, distri-buindo-o a seu capricho, Deus sabe a quem, às vezes um mau elemento. A obra de arte, em forma de gol ou de texto, casa, pintura, som, dança e outras mais, parece antes coisas-em-ser na natureza, revelada arbitrariamente, quase que à revelia do ins-trumento humano usado para a revelação” [Il gol, allora, è indipendente dalla nostra volontà, dalla nostra formazione e dalla nostra maestria? Temo di sì. Prodotto divi-no, forse? [...] Se è di Dio, Dio si diverte negandolo a chi l’implora e distribuendolo a suo capriccio, Dio sa a chi, a volte a un cattivo soggetto. L’opera d’arte, in forma di gol o di testo, di casa, di pittura, di suono, di danza e d’altro ancora, sembra piut-tosto cosa-in-essere nella natura, rivelata arbitrariamente, quasi all’insaputa dello

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Il mito di Pelé è quello di un essere predestinato, eletto da forze estranee alla logica. Già da bambino, la sua classe poteva essere riconosciuta nella naturalezza e nel portamento regale con la palla, nell’ostinazione con cui perseguiva la perfezione, nella coscienza della propria superiorità64.

Nélson Rodrigues fu il primo a riconoscerne lo statuto di “Re” ancor prima della consacrazione dei mondiali del 1958; la regalità si manifestava nella consapevolezza che il ragazzo di 17 anni già aveva della propria eccellenza: “E Pelé leva sobre os demais jogadores uma vantagem considerável: – a de se sentir rei, da cabeça aos pés […] Quero crer que a sua maior virtude è, justamente, a imodéstia absoluta”65.

Pelé si sentiva già Re dalla testa ai piedi e questa coscienza intimoriva gli avversari e la stessa sfera, rendendolo un cam-pione insuperabile. La sicurezza ostentata dal giovane campio-ne era considerata dal critico carioca un tratto psicologico vin-cente, inusuale per un brasiliano, alla pari di quanto osservato in precedenza a proposito di Garrincha:

strumento umano usato per la rivelazione], dalla crônica Pelé: 1.000, pubblicata ori-ginariamente nel “Jornal do Brasil” del 28 ottobre 1969, in Carlos Drummond de Andarde, op. cit., pp. 195-197 [trad. it. Giulia Lanciani, a cura di, op. cit., p. 156].64 Mário Filho scrisse nel 1963 una prima biografi a del campione, Viagem em torno de Pelé (Editora do Autor, Rio de Janeiro), concentrandosi sulla sua precoce ma-de Pelé (Editora do Autor, Rio de Janeiro), concentrandosi sulla sua precoce ma-de Peléturità e sulla sua estrema determinazione, frutto anche di un ambiente familiare solido e amorevole. Sul ruolo positivo dei genitori pose l’accento anche Carlos Drummond de Andrade nel brano Os Pais de Pelé, scritto all’indomani della con-Os Pais de Pelé, scritto all’indomani della con-Os Pais de Peléquista in Svezia (vedi op. cit., p. 193). Gli stessi argomenti sono tema del volume di Luiz Carlos Cordeiro, De Edson a Pelé (DBA, São Paulo, 1997), che ricostruisce proprio l’infanzia e l’adolescenza del futuro Rei.65 [E Pelé ha sugli altri giocatori un considerevole vantaggio: – quello di sentirsi re, dalla testa ai piedi [...] Sono convinto che la sua maggiore virtù è, giustamente, l’immodestia assoluta], in A Realeza de Pelé, A Realeza de Pelé, A Realeza de Pelé crônica pubblicata l’8 marzo1958 nella crônica pubblicata l’8 marzo1958 nella crônica“Manchete Esportiva” e poi raccolta in Nélson Rodrigues, À sombra das chuteiras imortais, op. cit., p. 42-44.

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E o bonito é que esse menino não se abala, nem se entrega. Possui a sanidade mental de um Garrincha. Ao contrário do brasileiro em geral, suscetível de se apavorar em face dos títulos do inimigo, ele não acredita em nada. Ninguém é melhor do que ele. Tivesse jogado contra a Inglaterra e creiam: – havia de driblar até a Rainha Vitória66.

Sicuro, deciso, virile e furbo, moleque come Garrincha ma moleque come Garrincha ma molequepiù di lui capace di premeditazione e malizia nell’aff ermare se stesso di fronte all’avversario, Pelé esalta le qualità migliori del brasiliano e non si lascia intimidire dal confronto con lo straniero.

In un’occasione (un’amichevole contro la Germania Ovest del 1965), accettò uno scontro di gioco con un avversario fi si-camente più prestante, sino al punto di provocarne la frattura della gamba; Nélson Rodrigues non stigmatizzò la durezza del connazionale, anzi la lodò a dimostrazione della capacità di autodifesa del brasiliano:

Até que houve o lance supremo. Bola dividida, e Pelé e adver-sário vão disputá-la. Vejam bem o contraste, que é importan-tíssimo: um, pobre negro brasileiro; outro, louro, truculento, wagneriano. Criou-se para Pelé o dilema hamletiano: ou ele ou eu. Segundo deduzo da cronista citada, o justo, o correto, o legítimo é que a perna quebrada fosse do brasileiro retinto. Mas

66 [E il bello è che questo ragazzino non si scuote, né si arrende. Possiede la salute mentale di un Garrincha. Al contrario del brasiliano in generale, suscettibile di impaurirsi di fronte ai titoli del nemico, lui non crede a nulla. Nessuno è meglio di lui. Avesse giocato contro l’Inghilterra, credetemi: – avrebbe dribblato persino la Regina Vittoria.], nella crônica Morrendo ao pé do rádio, pubblicata nella “Manche-te Esportiva” il 24 giugno 1958 all’indomani della diffi cile vittoria sul Galles, nei quarti di fi nale del mondiale di Svezia (1-0), in cui Pelé realizzò il suo primo goal in un campionato del mondo, Ivi, p. 56.

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Pelé não pensou assim. E como o crioulo é posterior a d. João VI, tratou de se defender. Mais esperto, mais ágil, mais inteli-gente, mais moleque, sobreviveu. Ao passo que o adversário so-freu uma fratura. [...] Amigos, antes de d. João VI, o brasileiro, na sua humildade de colônia, vivia babando na gravata. Hoje, muitos ainda têm essa intensa salivação. E, por isso, negam a Pelé o direito de se defender, apenas se defender. Graças a Deus, o crioulo mostrou que não é nenhum escravo núbio, nenhum eunuco abissínio. É apenas homem, e apenas brasileiro67.

Proprio l’estrema fi ducia in se stesso, unita – a diff erenza di Garrincha – a una solidità mentale, oltre che atletica, hanno permesso a Pelé di durare e di cementare l’immagine di “Re del calcio”, laddove Garrincha non fu mai capace di mettere pienamente a frutto il proprio valore e di conservarlo.

67 [Finché è avvenuto l’episiodio supremo. Palla contesa, e Pelé e l’avversario a dispu-tarsela. Osservate bene il contrasto, che è importantissimo: uno, povero negro brasi-liano; l’altro, biondo, truculento, wagneriano. Per Pelé si è posto il dilemma hamle-tiano: o lui o io. Secondo quanto deduco dalla cronista citata, la cosa giusta, corretta, legittima, sarebbe stata se la gamba rotta fosse stata quella del brasiliano scuro. Ma Pelé non la pensava così. E siccome il creolo è posteriore a D. João VI, ha cercato di difendersi. Più furbo, più agile, più intelligente, più monello, è sopravvissuto. Mentre l’avversario ha subito una frattura. [...] Amici, prima di D. João VI, il brasiliano, nella sua umiltà da colonia, viveva sbrodolandosi la cravatta. Oggi, molti hanno ancora quella intensa salivazione. E, perciò, negano a Pelé il diritto di difendersi, soltanto di difendersi. Grazie a Dio, il creolo ha mostrato che non è uno schiavo nubio, un eunuco abissino. È solo un uomo, e soltanto brasiliano], nella crônica intitolata crônica intitolata crônica Sali-vação eunuca, pubblicata il 9 giugno1965 ne “O Globo” e poi in Nélson Rodrigues, A pátria em chuteiras, op. cit., pp. 98-99. In una precedente crônica, Matar ou morrer, Matar ou morrer, Matar ou morrersullo stesso giornale del 30 maggio 1965 (poi ripresa in Nélson Rodrigues, À sombra das chuteiras imortais, op. cit., pp. 121-122), commentando lo stesso episodio aveva op. cit., pp. 121-122), commentando lo stesso episodio aveva op. citscritto: “O alemão preferiu matar e Pelé não quis morrer. O nosso levou a vantagem pelo seguinte: – porque introduziu no choque a molecagem brasileira” [Il tedesco ha preferito uccidere e Pelé non ha voluto morire. Il nostro ha avuto la meglio per questo: – perché ha introdotto nello scontro la monelleria brasiliana].

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Pelé è il prescelto, il genio immortale che, secondo Nélson, può trattare da colleghi Michelangelo, Omero o Dante68; è una forza della natura, di cui incarnava gli elementi più mi-nacciosi e devastanti: “Pelé era uma força da natureza. Ele cho-via, ventava, trovejava, relampejava”69.

Armando Nogueira gli ha dedicato una sorta di poesia in prosa in cui dice:

Lá vai Pelé, com a bola que Deus lhe deu […] Inúteis as pernas que tentam aterrá-lo em plena corrida. Ele è uma força da natu-reza que avança, intangível, traçando no campo a sombra verti-ginosa de falsas hesitações. Quem te deu semelhante equilíbrio, rapaz? De que mistério vem a inteligência dos teus músculos que tudo pressentem na geometria dos dribles? Os anjos que sobrevoam este campo me juram que tu vieste ao mundo para reescrever a bíblia do futebol. Assim seja70.

68 “Mas reparem: – é um gênio indubitável. Digo e repito: – gênio. Pelé podia virar-se para Miguel Ângelo, Homero ou Dante e cumprimentá-los, com íntima efusão: – ‘Como vai, colega?’ [...] Mas na verdade um Pelé é inesquecível. Insisto: – apesar de toda a nossa ingratidão, Pelé é imortal” [Ma notate: – è un genio indiscutibile. Lo dico e lo ripeto: – genio. Pelé potrebbe rivolgersi a Michelangelo, Omero o Dante e salutarli, con eff usione intima: – “Come va, collega?” [...] Ma in verità un Pelé è indi-menticabile. Insisto: - nonostante tutta la nostra ingratitudine, Pelé è immortale], inMeu personagem do ano, crônica pubblicata nella “Manchete Esportiva” (edição espe-crônica pubblicata nella “Manchete Esportiva” (edição espe-crônicacial, Rio de Janeiro 1959) e poi ripresa in Nélson Rodrígues, A pátria em chuteiras, op. cit., pp. 53-55. D’altronde, Décio de Almeida Prado concludeva il brano citato nella nota 60, stabilendo un parallelo tra la perfezione del calcio di Pelé e la concezione che Leonardo da Vinci aveva della pittura: “[...] e nesses pequenos milagres de lucidez, de coordenação integral entre espírito e corpo, o futebol revela a sua mais alta natureza, também de cosa mentale, como Leonardo da Vinci desejava que fosse a pintura” [e in quei piccoli miracoli di lucidità, di coordinazione completa tra spirito e corpo, il calcio rivela la sua più alta natura, anche di cosa mentale, come Leonardo da Vinci voleva che fosse la pittura].69 [Pelé era una forza della natura. Lui pioveva, soffi ava come il vento, tuonava, lam-peggiava], ivi, p. 165.70 [Ecco Pelé, con la palla che Dio gli ha dato [...] Inutili le gambe che tentano di

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Pelé è l’uomo le cui giocate provano l’esistenza di Dio, è il profetico portatore della Parola Nuova, come scrisse Nélson in occasione di una delle sue prodezze con la maglia del Brasile71. Allora, contestare il Re equivale a commettere un sacrilegio: se Pelé può essere fi schiato, cessano i valori morali – ha scritto Nélson – tutto è permesso72. D’altronde, si tratta di un Re re-pubblicano, perché eletto dal popolo, come sottolinea Carlos Drummond de Andrade nella poesia O momento feliz73O momento feliz73O momento feliz . Un Re, la cui consacrazione fu peraltro accettata prima all’este-ro che in Brasile: infatti nel 1958, mentre in patria qualcuno discuteva il fatto che un ragazzo di meno di 18 anni potes-se essere considerato un fuoriclasse, la rivista francese “Paris-

atterrarlo in piena corsa. Lui è una forza della natura che avanza, intangibile, e trac-cia sul campo l’ombra vertiginosa di false esitazioni. Chi ti ha dato un equilibrio simile, ragazzo? Da quale mistero viene l’intelligenza dei tuoi muscoli che tutto anticipano nella geometria dei dribbling? Gli angeli che sorvolano questo campo mi giurano che tu sei venuto al mondo per riscrivere la bibbia del calcio. Così sia], da Um rastro de poesia in Armando Nogueira, Um rastro de poesia in Armando Nogueira, Um rastro de poesia op. cit., p. 56.71 “Quando Pelé fez isso, baixou no estádio a certeza de que virá do Brasil para o mundo a grande Palavra Nova” [Quando Pelé ha fatto questo, è calata nello stadio la certezza che verrà dal Brasile al mondo la grande Parola Nuova], in Nunca fomos tão brasileiros, crônica pubblicata il 4 giugno 1965 ne “O Globo” e poi ripresa in Nélson Rodrigues, A pátria em chuteiras, op. cit., p. 94.72 “Se Pelé pode ser vaiado, tudo é permitido! Apuparam o negro. E se Pelé pode ser crucifi cado em vaias, cessam todos os valores morais. Podemos invadir berçários para esganar criancinhas” [Se Pelé può essere fi schiato, tutto è lecito! Hanno con-testato il negro. E se Pelé può essere crocifi sso di fi schi, cessano tutti i valori mora-li. Possiamo invadere nidi per scannare bebè], tratto da Vamos barrar Pelé, Vamos barrar Pelé, Vamos barrar Pelé crônicapubblicata il 21 maggio 1966 ne “O Globo” e poi raccolta in Nélson Rodrigues, A pátria em chuteiras, op. cit., pp. 106-107.73 “Ninguém me prende mais, jogo por mil | jogo em Pelé o sempre rei repubblicano e povo feito atleta na poesia | do jogo mágico” [Nessuno mi ferma più, gioco per mille | gioco da Pelé il repubblicano sempre re | il popolo fatto atleta nella poesia | del gioco magico], versi scritti durante il mondiale messicano del 1970, pubblicati il 20 giugno 1970 nel “Jornal de Brasil”, in Carlos Drummond de Andarde, op. cit., p. 111 [trad. it. Giulia Lanciani, a cura di, op. cit., p. 93].

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Match” (nel nº 484 del 19 luglio 1958) già gli dedicava un servizio intitolato Le Roi Pelé. Come ha scritto Mário Filho, Le Roi Pelé. Come ha scritto Mário Filho, Le Roi Peléi brasiliani, scottati dalla grande delusione del 1950, avevano un’intima riserva nell’ammirare incondizionatamente i propri campioni, nell’esaltarli senza remore; generazioni di idoli fru-strati – Zizinho, Ademir, Heleno, Didi, Julinho, tra gli altri – erano rimasti campioni effi meri, ad uso interno.

Pelé sorse nel 1958 come un Messia del calcio brasiliano, ma per il suo avvento era necessario che la sua grandezza fosse illu-minata dall’ammirazione altrui74. Baciato dalla natura, dedicò un paziente lavoro al mantenimento della propria eccezionale anatomia; alla base di questi attributi fi sici, spicca però l’ele-mento razziale: il suo essere nero. Il preparatore fi sico Júlio Mazei ha aff ermato:

Pelé tem de nascença uma musculatura excepcional. Seus mús-culos locomotores são extremamente desenvolvidos e possui poderosos glúteos, lombares e abdominais. Aliás, deve isso à raça negra; porém, mesmo entre os negros, raros foram tão bem dotados fi sicamente para a prática do futebol75.

Nélson Rodrigues nelle sue cronache lo chiama ripetutamente “divino crioulo”, “doce crioulão”, “sublime crioulo”, “o negro”, “Pelé, maravilhosamente negro”; e sottolinea come il “garoto de cor” (il ragazzo di colore) che ha fatto vincere il Brasile sia

74 Vedi Mário Filho, op. cit., pp. 281-283.75 [Pelé ha dalla nascita una muscolatura eccezionale. I suoi muscoli locomoto-ri sono estremamente sviluppati e possiede potenti glutei, lombari e addominali. D’altronde, deve ciò alla razza nera; però, anche tra i neri, rari sono stati così ben dotati fi sicamente per la pratica del calcio], citato da Luiz Henrique de Toledo nel suo Pelé: os mil corpos de um rei, op. cit., p. 153.

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di un tipo razzialmente nobile, la cui corsa ha la cadenza di certi cavalli da calesse76, la cui “coscia appariva forte, contratta e vitale come l’anca di un cavallo nero”77.

Un atleta statuario, provvisto della dignità razziale di un Paul Robeson, un nero di successo, emancipato dall’inferiorità sociale connessa alla propria condizione etnica78.

Uno degli elementi più interessanti nella defi nizione del mito di Pelé è il fatto di costituirsi come personalità plurale, un’identità composita, divisa tra la persona comune, Edson Arantes do Nascimento, e il campione, Pelé.

76 “[...] como esquecer que foi Pelé, um garoto de cor, dos seus dezassete anos, quem nos arrancou, ontem, de nossa agonia e de nossa morte? ‘Garoto de cor’, disse eu. Mas um tipo racialmente nobre como Didi, por exemplo. Pelé, em ação, dentro de campo, tem na sua corrida a cadência de certos cavalos de charrete, com per-dão da imagem. Como Didi, daria também um belo príncipe etíope de rancho” [come dimenticare che è stato Pelé, un ragazzo di colore, con i suoi diciassette anni, a strapparci, ieri, dalla nostra agonia e dalla nostra morte? “Ragazzo di colore”, ho detto. Ma di un tipo razzialmente nobile come Didi, per esempio. Pelé, in azione, dentro al campo, ha nella sua corsa la cadenza di certi cavalli da calesse, se mi passate l’immagine. Come Didi, potrebbe anche essere un bel principe di tribù etiope], nella citata crônica Morrendo ao pé do rádio (vedi nota 65).77 “Sua coxa aparecia forte, crispada, vital, como a anca de um cavalo negro”, in Gols de antologia, crônica pubblicata ne “O Globo” il 14 luglio 1971 e poi ripresa in Nél-crônica pubblicata ne “O Globo” il 14 luglio 1971 e poi ripresa in Nél-crônicason Rodrigues, A pátria em chuteiras, op. cit., pp. 164-165.78 “Grande fi gura, inclusive como estátua. Digo ‘como estátua’, porque tem a dig-nidade racial de um Paul Robeson. Os homens de cor no Brasil vivem tão mal que justifi cam a pergunta que aqui fez Jean-Paul Sartre: – ‘E os negros? Onde estão os negros?’ Realmente, ele não vira um único preto na seletíssima plateia de suas con-ferências. E, realmente, nunca se viu um preto brasileiro vestido de casaca, numa re-cepção do Itamaraty. Pelé é uma exceção violenta” [Grande fi gura, anche come statua. Dico “come statua”, perché ha la dignità razziale di un Paul Robeson. Gli uomini di colore in Brasile vivono così male che giustifi cano la domanda che qui fece Jean-Paul Sartre: – “E i negri? Dove stanno i negri?” Veramente, non aveva visto un unico nero nella sceltissima platea delle sue conferenze. E, veramente, non si è mai visto un nero brasiliano vestito in giacca, in un ricevimento all’Itamaraty. Pelé è un’eccezione vio-lenta], in Mais divino do que humano, crônica apparsa su “O Globo”, 16 luglio 1971, ripubblicata in Nélson Rodrigues, A pátria em chuteiras, op. cit., pp. 166-167.

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Edson è l’autore e Pelé il personaggio da lui inventato, un sogno nato dalla volontà di vendicare la sfortuna che aveva segnato la carriera di suo padre Dondinho, una creatura che però ha occupato tutta la scena e inghiottito il suo creatore79; o ancora, Pelé viene visto come una farfalla che, nel mondiale del 1958, si libera defi nitivamente della crisalide Edson.

La complessità dell’identità del campione del Santos si ri-vela anche nell’uso del pronome di terza persona come forma di individuazione di una macro-persona in cui confl uiscono diverse rappresentazioni sociali: il telecronista Walter Abraão, invece di identifi carlo con il suo apelido, menzionava il gioca-tore usando il pronome “ele”, come se il pronome, preso per nome, assumesse in Pelé una singolarità, distinguendosi dal continuum della narrazione, in una sorta di rifi uto a conside-rarlo come un giocatore comune.

Lo stesso fuoriclasse utilizza il pronome di terza persona come forma di auto-percezione, cadendo in un meccanismo tipico dei personaggi che raggiungono un certo status di fama e di status di fama e di statussuccesso80.

In più, Pelé sembra voler alimentare la leggenda della propria identità plurima, parlando del calciatore come “altro da sé”81, come se si trattasse di un dono di Dio, di un’entità che la fortu-na ha voluto si incarnasse in lui, come se Edson non avesse fatto

79 Vedi José Castello, op. cit., pp. 36, 107, 174.80 Vedi sull’argomento Luiz Henrique Toledo, art. cit., pp. 147-149.81 Ad esempio, nella sua prefazione al citato volume di Carlos Drummond de Andra-de, Quando é dia de futebol, p. 9 [trad. it. Giulia Lanciani, a cura di, Quando é dia de futebol, p. 9 [trad. it. Giulia Lanciani, a cura di, Quando é dia de futebol op. cit., p. 13], il campione si fi rma Edson Arantes do Nascimento – Pelé e così conclude il suo testo: “O Edson Arantes do Nascimento agradece à família Drummond ter permitido ao Pelé a oportunidade de escrever estas palavras” [Edson Arantes do Nascimento rin-grazia la famiglia Drummond di aver concesso a Pelé l’opportunità di scrivere queste parole].

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nulla per meritarlo82; e spesso questi ha espresso – non sappiamo con che grado di sincerità – un rifi uto del nome e dell’identità di Pelé, come fosse un fardello pesante da sostenere83.

82 “Até hoje me pergunto como o Pelé surgiu. Me pergunto de onde ele veio e por que eu, o Edson, fui escolhido para encarná-lo [...] Sempre pergunto a Deus: quem é esse sujeito, o Pelé?”, [Ancora oggi mi domando com’è sorto Pelé. Mi domando da dove sia venuto e perché io, Edson, sono stato scelto per incarnarlo [...] Domando sempre a Dio: chi è questo tipo, Pelé?], in José Castello, op. cit., p. 7. Nella pagina successiva, l’autore di questa biografi a – che contribuisce a fi ssare i diversi aspetti di cui il mito Pelé si è arricchito nel corso degli anni, in tono chiaramente apologetico – scrive: “O cidadão Edson vive, assim, a clássica experiência do homem duplicado, que desde Hoff mann, passando por Poe, Gógol e Dostoievski, até chegar a Cortázar e Saramago, serviu de tema para a grande literatura. O exemplo mais popular das novelas de duplo é O estranho caso do dr. Jekyll e do sr. Hyde [...] Só que no caso de O estranho caso do dr. Jekyll e do sr. Hyde [...] Só que no caso de O estranho caso do dr. Jekyll e do sr. HydeEdson e Pelé, não há o bom médico, nem há o monstro tenebroso, a lutar entre si pela supremacia de um corpo. Ao contrário, Edson e Pelé, Pelé e Edson, convivem, apesar da perplexidade, numa deliciosa harmonia. O sentimento de duplicidade sem-pre inquietou o ser humano, produzindo uma série inesgotável de explicações, todas elas inúteis. Na tradição do ocultismo, o duplo é chamado de corpo sutil, um corpo que se desprendeu do corpo físico, mas com o qual, em geral, ele coincide. No caso de Edson e Pelé, contudo, os dois se dão muito bem dividindo o corpo que têm, não há afastamento algum, incompatibilidade alguma entre eles. Já no folclore, o duplo é tomado, quase sempre, como agouro de morte; mas, para Edson, sua duplicação em Pelé foi, ao contrário, um enfático sinal de vida” [Il cittadino Edson vive, così, la classica esperienza dell’uomo duplicato, che da Hoff mann, passando per Poe, Gogol e Dostoievski, fi no ad arrivare a Cortázar e Saramago, è servito da tema per la grande letteratura. L’esempio più popolare dei romanzi del doppio è Lo strano caso del dr. Jekyll e di Mr. Hyde [...] Solo che nel caso di Edson e Pelé, non c’è il buon medico, Jekyll e di Mr. Hyde [...] Solo che nel caso di Edson e Pelé, non c’è il buon medico, Jekyll e di Mr. Hydené il mostro tenebroso, che lottano tra di loro per la supremazia di un corpo. Al contrario, Edson e Pelé, Pelé e Edson, convivono, nonostante la perplessità, in una deliziosa armonia. Il sentimento della duplicità ha sempre inquietato l’essere uma-no, producendo una serie inesauribile di spiegazioni, tutte inutili. Nella tradizione dell’occultismo, il doppio è chiamato corpo sottile, un corpo che si è staccato dal cor-po fi sico, ma con il quale, generalmente, coincide. Nel caso di Edson e Pelé, tuttavia, i due vanno molto d’accordo dividendo il loro corpo, non c’è nessun distanziamento, nessuna incompatibilità tra di loro. Nel folklore, invece, il doppio è preso, quasi sempre, come presagio di morte; ma, per Edson, il suo sdoppiamento in Pelé è stato, al contrario, un enfatico segnale di vita].83 Scrive ancora José Castello: “Também nunca se afastou inteiramente do desejo

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È importante sottolineare il ruolo attivo di Pelé nella fi ssazione del proprio mito, a diff erenza di Garrincha, il quale subiva pas-sivamente i cliché e le storie poco lusinghiere inventate intorno cliché e le storie poco lusinghiere inventate intorno clichéalla sua ingenuità, fi no al punto di farle proprie, di perpetuarle raccontandole lui stesso. La doppia personalità di Pelé si arric-chisce di un terzo elemento se si considera l’identità Dico, che è il soprannome con cui Edson è sempre stato chiamato in casa. Il protagonista di questa triade usa costruzioni in terza persona per presentare le diverse sfaccettature delle personalità che lo “abitano”, in un atteggiamento che riecheggia, lontanamente, il Fernando Pessoa della Carta sobre a génese dos heterónimos:

[...] os três são diferentes. Quem segura a barra de Pelé e Dico é o Edson, que nasceu primeiro. Edson é um sujeito responsável, respeitável, por isso, teve condições de proteger o Dico como família e ajudar o Pelé a manter a humildade necessária para chegar ao sucesso sem se desviar no meio do caminho84.

I tre rappresentano valori sociali diff erenti ma fondamentali nella costituzione dell’identità brasiliana: Dico rappresenta i va-

secreto, e aparentemente absurdo, de expulsar este Pelé de si, e voltar a ser apenas Edson, o homem comum. ‘Sou Pelé, mas logo voltarei a ser Edson Arantes do Nas-cimento’, ele anunciou à imprensa, na época em que se preparava para abandonar em defi nitivo o futebol. Era como um prêmio, que ele se prometia. Mas foi só uma ilusão” [Non si è neanche mai allontanato completamente dal desiderio segreto, e apparentemente assurdo, di espellere questo Pelé da sé, e tornare ad essere soltanto Edson, l’uomo comune. “Sono Pelé, ma presto tornerò ad essere Edson Arantes do Nascimento”, annunciò alla stampa all’epoca in cui si preparava ad abbandonare defi nitivamente il calcio. Era come un premio, che prometteva a se stesso. Ma era solo una illusione], ivi, p. 10.84 [i tre sono diff erenti. Chi regge il timone di Pelé e Dico è Edson, che è nato prima. Edson è un tipo responsabile, rispettabile, perciò era in condizione di proteggere Dico come famiglia e di aiutare Pelé a mantenere l’umiltà necessaria per arrivare al successo senza perdersi per strada], cit. da Luiz Henrique Toledo in op. cit., p. 148.

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lori legati alla famiglia, l’attaccamento ai genitori, la sicurezza, la stabilità; Pelé invece è l’atleta e l’uomo di successo, prodotto non solo della sua maestria calcistica ma anche della rete di re-lazioni sociali che ha saputo creare e mantenere e che lo hanno tenuto sempre sulla cresta dell’onda; Pelé, dunque, appartiene alla sfera pubblica, mentre Dico a quella privata; Edson, nome che ha una validità giuridica e formale, consiste nella somma di queste qualità individuali e collettive e media le due entità, identifi candosi ora nell’una, ora nell’altra in un continuo gioco di identità e straniamento85.

Dunque, Edson è l’uomo, Pelé il mito. Per Henry Kissinger, Pelé ha superato lo status di “superstar” per passare a quello di status di “superstar” per passare a quello di statusmito, ossia ha oltrepassato l’ambito contingente della cultura di massa per superare i limiti della propria epoca, bussando alle porte dell’eternità; la funzione di Pelé sarebbe, interpretando le parole dello statista americano, quella mitica per defi nzione: no-bilitare la vita attraverso la personifi cazione di imprese favolose, la cui narrazione serve a fi ssare i confi ni di un terreno in cui la logica non conta più e ad esprimere l’inesistente e l’inattingibile, a rendere comprensibile ciò che sembra non avere spiegazione, ad alleggerirci del peso di una domanda senza risposta86.

Il mito di Pelé, alla vigilia di un fatto straordinario come la marcatura del suo millesimo gol, può così rivaleggiare con la divina fi gura di Mao Tsé-tung, oggetto di spiccata ironia nelle parole di Nélson Rodrigues:

Mas vejam vocês: – um brasileiro realizou algo mais impressio-nante do que o gorducho deus chinês. Refi ro-me a Pelé, o divino

85 Vedi ibidem.86 Vedi José Castello, op. cit., pp. 227, 194, 22.

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crioulo. Embora sem ter a barriga insubmersível de Mao, Pelé está fazendo mil gols. [...] Só imagino o envenenado despeito, a amarga frustração de Mao Tsé-tung quando souber que um sujeito chamado Pelé, de um certo país chamado Brasil, enfi ou tantas bolas na caçapa. Não se iludam: – se o Chefe chinês tives-se tido a ideia, já teria completado os mil gols, e muito antes de Pelé. Vamos imaginar a cena: – o grande homem concorrendo com Pelé. Mao, com a barriga maior que a do Chacrinha, com os calções batendo nas canelas, chutando em todas as direções. Como se sabe, no Estado totalitário tudo é possível. E Mao Tsé-tung, num só jogo, faria o milheiro, com um pé nas costas. Toda a imprensa de lá, o rádio e a televisão aceitaria o deslavado milagre como tal. Graças a Deus, nenhum puxa se lembrou de sugerir-lhe o assombroso feito. Pelé fi cará, para sempre, na His-tória e na Lenda, como único autor dos mil gols87.

È l’artista che dispensa i suoi capolavori e il cui ritiro dall’at-tività lascia nel pubblico un senso di abbandono; Nélson Ro-

87 [Ma notate: – un brasiliano ha realizzato una cosa più impressionante del gras-sottello dio cinese. Mi riferisco a Pelé, il divino creolo. Pur non avendo la pancia inaff ondabile di Mao, Pelé sta per fare mille gol. [...] Mi immagino soltanto l’av-velenato disappunto, l’amara frustrazione di Mao Tsé-tung quando saprà che un tipo chiamato Pelé, di un certo paese chiamato Brasile, ha infi lato tanti palloni nel sacco. Non vi illudete: – se il Capo cinese avesse avuto l’idea, avrebbe già comple-tato i mille gol, e molto prima di Pelé. Immaginiamo la scena: – il grande uomo che compete con Pelé. Mao, con la pancia più grossa di quella di Chacrinha, con i pantaloncini che gli sbattono sugli stinchi, che calcia in tutte le direzioni. Come è noto, in uno Stato totalitario tutto è possibile. E Mao Tsé-tung, in una sola partita, avrebbe fatto il migliaio, con un piede dietro la schiena. Tutta la stampa di là, la radio e la televisione avrebbero accettato lo sbiadito miracolo come tale. Grazie a Dio, nessun leccapiedi si è ricordato di suggerirgli la meravigliosa impresa. Pelé rimarrà, per sempre, nella Storia e nella Leggenda, come unico autore dei mille gol]. Nella crônica A barriga insubmersível, pubblicata il 13 novembre 1969 ne “O A barriga insubmersível, pubblicata il 13 novembre 1969 ne “O A barriga insubmersívelGlobo” e poi inclusa in Nélson Rodrigues, À sombra das chuteiras imortais, op. cit., pp. 155-157.

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drigues, quando “O Rei”, nel 1971, decise di non giocare più per la nazionale brasiliana, riconobbe – pur nell’irritazione del momento – la “ragione del genio”: come Rimbaud, che scrisse la sua opera poetica tra i quindici e i sedici anni e poi si diede a una vita sregolata, ma il cui genio era ragione suffi ciente per giustifi care ogni eccesso, anche Pelé può commettere l’as-surdità di abbandonare la selezione più gloriosa del mondo, continuando peraltro a giocare nel Santos, perché è un genio, e contro il genio non c’è argomento che tenga, “È preciso dar-lhe razão, mesmo que não a tenha”88. Il giocatore di calcio si trasforma così in un personaggio irreale, che si estende molto oltre il proprio ambito, che si pone al di là delle umane cir-costanze, al di sopra delle diff erenze e delle divisioni, che è venuto per essere un fattore di unanimità, di coesione89.

Secondo il suo biografo, José Castello, Pelé è il maggior mito brasiliano del XX secolo o, addirittura, uno dei miti fondanti del Brasile moderno90. Sicuramente, al di là della pura apolo-gia, egli occupa una posizione rilevante nell’immaginario na-zionale e sintetizza diverse possibili rappresentazioni dell’iden-tità culturale e sociale brasiliana, proprio per essere il Re di un fenomeno, come il calcio, che ha una grandissima capacità di essere specchio e sintesi della cultura brasiliana: Pelé è passa-to personalmente per moltissime dimensioni della vita sociale di quel Paese essendo stato, oltre al grande giocatore che co-nosciamo, attore, compositore e cantante, presentatore, com-mentatore sportivo, testimonial pubblicitario, imprenditore e

88 [Bisogna dargli ragione, anche se non ce l’ha], nella crônica O Deus das batalhas, pubblicata il 12 luglio 1971 ne “O Globo” e poi ripresa in Nélson Rodrigues, A pátria em chuteiras, op. cit., pp. 161-163.89 Vedi José Castello, op. cit., p. 29.90 Ivi, p. 229.

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persino ministro della Repubblica, promotore di un progetto di legge che porta il suo nome91.

Se la parabola infelice di Garrincha e la sua fi ne precoce non hanno fatto altro che alimentare il suo mito di “eroe del popo-lo”, l’immagine pubblica di Pelé, quella successiva al periodo del suo ritiro dal calcio nel 1977, non trova oggi – soprattutto in patria – unanimità di consensi, per alcune scelte e posizio-ni pubbliche controverse: fi nché era giocatore e accumulava successi per sé, per il Santos e per il Brasile, la sua immagine era esente da critiche; successivamente, si è trovato al centro di alcune polemiche legate alla sua posizione su temi sociali, a una certa prudenza o timidezza nell’assumere strumentalmente la sua immagine di uomo nero di successo e, più in generale, a una posizione pubblica individualista e acritica, più interes-sata al mantenimento della propria popolarità che a schierarsi a favore di questa o quella causa. Tuttavia, il mito del “Rei do futebol” continua vivo. Pelé e Garrincha nella loro profonda diversità si completano, sono le due facce di una stessa genia-lità, due personalità distinte che con uguale forza aff ermano il carattere individualista del calcio verdeoro, espressione tra le più compiute e felici dell’uomo brasiliano. Ha scritto a questo proposito Nélson Rodrigues: “No dia em que desaparecerem os pelés, os garrinchas, as estrelas, enfi m, será a morte do futebol brasileiro. E, além disso, no dia em que desaparecerem as desse-melhanças individuais – será a morte do próprio homem”92.

91 Vedi Luiz Henrique Toledo, art. cit., p. 149.92 [Il giorno in cui scompariranno i pelé, i garrincha, le stelle, insomma, sarà la morte del calcio brasiliano. E, inoltre, il giorno in cui spariranno le diff erenze individuali – sarà la morte dell’uomo stesso], dalla crônica intitolata crônica intitolata crônica Utopia fatal, Utopia fatal, Utopia fatalpubblicata il 4 agosto 1966 ne “O Globo” e poi raccolta in A pátria em chuteiras, op. cit., pp. 129-130.

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Nella fantasia di Armando Nogueira, anche la palla ha volu-to rendere omaggio ai due unici interpreti che abbiano cono-sciuto fi no in fondo i suoi segreti:

Olha, amigo, pela primeira vez na vida eu vou abrir o jogo pra falar uma coisa que está guardada no fundo do meu coração: só duas pessoas conheceram realmente todos os meus segredos – Pelé e Garrincha. Tenho tido parceiros maravilhosos pelo mundo afora. Craques, campeões, heróis que fi zeram a glória do futebol. Mas nunca vivi com ninguém os momentos de amor e ternura que vivi com esses dois rapazes. Éramos pele na pele, alma na alma. Quanta alegria nós já tramamos juntos, trocando confi dências de criança na grama verde-luz dos nossos campos! Guardo uma saudade pungente desses dois poetas in-comparáveis do futebol em cujos pés de seda pura eu me sentia, ao mesmo tempo, musa, criança, brinquedo e fl or93.

Analizzando i due campioni utilizzando la lente del lettore di miti, è Garrincha ad apparire come un personaggio pieno, a tre dimensioni, a incarnare l’anti-eroe, l’eroe problematico

93 [Guarda, amico, per la prima volta nella mia vita mi apro per dire una cosa che è custodita nel fondo del mio cuore: solo due persone hanno conosciuto veramente tutti i miei segreti – Pelé e Garrincha. Ho avuto compagni meravigliosi in tutto il mondo. Fuoriclasse, campioni, eroi che hanno fatto la gloria del calcio. Ma non ho mai vissuto con nessuno i momenti di amore e tenerezza che ho vissuto con quei due ragazzi. Eravamo la stessa pelle, la stessa anima. Quanta allegria abbiamo realizzato insieme, scambiando confi denze da bambino sull’erba verde dei nostri campi! Con-servo una pungente nostalgia di quei due poeti inimitabili del calcio nei cui piedi di seta pura io mi sentivo, allo stesso tempo, musa, bambina, giocattolo e fi ore], in Ar-mando Nogueira, op. cit., pp. 91-92. Anche per Nélson Rodrigues, la palla si arren-deva felice ai piedi dei due fuoriclasse: “No futebol, a própria bola parece reconhecer Pelé ou Garrincha e só falta lamber-lhes os pés como uma cadelinha amestrada” [Nel calcio, la stessa palla sembra riconoscere Pelé o Garrincha e manca solo che gli lecchi i piedi come una cagnetta ammaestrata], in A pátria em chuteiras, op. cit., p. 130.

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moderno, il “trasgressore dell’ordine”, la “deviazione dalla norma”: fragile, insicuro, pieno di difetti, ma insieme magico e divertente; un eroe alla rovescia, che getta dubbi sui valori assunti dalla società e proprio per questo da essa temporanea-mente e strumentalmente demonizzato, ma che è sicuramente più vicino all’uomo della strada e più in sintonia con una cul-tura che si vuole mettere in discussione. Pelé, viceversa, sembra più un eroe dell’antichità, assistito dagli dei, se non addirittura un personaggio da fumetto, un supereroe a due dimensioni, un modello di segno univoco, un Superman senza l’impaccio della criptonite, se è vero che neppure l’infortunio patito in Cile, nella seconda partita del torneo, ne ha scalfi tto l’etichetta di “tricampeão do mundo”94. Angelo e demone, Garrincha; solo angelo, invariabilmente angelo, Pelé.

94 Un suggestivo quadro della diversità caratteriale dei due personaggi si trova nel già citato Ode per Mané, di Darwin Pastorin, pp. 17-21.Ode per Mané, di Darwin Pastorin, pp. 17-21.Ode per Mané