International Seminar The Role of the State in Broadcasting Governance Canadian Media Research...
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International SeminarThe Role of the State in Broadcasting Governance
Canadian Media Research ConsortiumSocial Sciences and Humanities Research Council
State Intervention in the New Broadcasting Landscape: Less is Best
Giuseppe Richeri Facoltà di Scienze della Comunicazione,
Università della Svizzera Italiana, Lugano
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McGill University, Montreal, Quebec
Saturday, 29 January 2005
Introduzione
L’idea da cui muove questo articolo è di immaginare
quale potrebbe essere il ruolo dello Stato nel campo
audiovisivo se si potesse ri-inventarlo tenendo
conto delle necessità e dei vincoli attuali. Perché
porsi oggi un tale obiettivo? Dal punto di vista
europeo la crisi delle imprese radiotelevisive
pubbliche è sempre piu’ evidente. Si tratta di una
crisi complessa che riguarda almeno tre aspetti in
discussione: la legittimità dell’intervento pubblico
in questo settore, l’identità distintiva delle
radiotelevisioni pubbliche e le forme di
finanziamento della loro attività.
La proposta di privatizzare le radiotelevisioni
pubbliche riemerge periodicamente in vari paesi,
quasi ovunque i loro programmi sono accusati di
ricalcare troppo spesso quelli del settore privato
guidato esclusivamente da interessi commerciali, i
loro costi sono in costante crescita, mentre le
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fonti di finanziamento sono spesso oggetto di
contestazione, sia la pubblicità che il canone. La
loro immagine è comunque deteriorata a tal punto da
essere rappresentati talvolta come vecchi
carrozzoni, assoggettati al potere politico,
incapaci di rinnovarsi, o adirittura inutili. Anche
se, in molti casi, sono ancora al centro del sistema
dell’informazione e dell’intrattenimento e assorbono
grandi risorse economiche sottraendole alle imprese
private piu’ dinamiche, efficenti e indipendenti da
influenze politiche.
Negli altri settori dell’audiovisivo l’intervento
pubblico in Europa ha soprattutto operato per
difendere e sostenere l’industria del cinema e della
fiction televisiva a cui si attribuisce non solo una
rilevanza economica, ma anche culturale (in
prospettiva di una maggior integrazione europea).
Tale intervento si è manifestato finora in due
direzioni distinte: la prima ha riguardato il
sostegno economico all’industria cinematografica e
audiovisiva a vari livelli (produzione,
distribuzione, formazione, promozione ecc.); la
seconda ha riguardato la creazione di barriere
protettive nei confronti di prodotti audiovisivi
(cinema e televisione) di origine extra-europei
rappresentate in particolare dalla direttiva europea
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Televisioni senza frontiere attualmente in fase di
revisione.
Anche su questo fronte pero’ i risultati non possono
dirsi soddisfacenti. Basterà infatti ricordare che
il mercato cinematografico europeo è letteralmente
dominato da prodotti statunitensi e che l’import-
export europeo è fortemente deficitario in questo
campo. Due dati misurano la situazione: nel corso
degli ultimi dieci anni in media il 70% degli
incassi delle sale cinematografiche europee ha
riguardato film statunitensi e nello stesso periodo
il deficit commerciale audiovisivo europeo verso gli
Stati Uniti è continuato a crescere superando ormai
8 miliardi di dollari all’anno. Nel contesto europeo
mi sembra pero’ difficile sviluppare un discorso che
tenga conto insieme della radiotelevisione e
dell’audiovisivo dal momento che si tratta di due
campi in cui lo Stato ha storicamente adottando
linee d’azione diverse, spesso affidate a parti
dell’amministrazione pubblica distinte.
La radiotelevisione produceva per i suoi canali,
senza bisogno di ricorrere a produttori indipendenti
(se cio’ avveniva era comunque secondario),
l’industria cinematografica produceva per le sale
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cinematografiche e talvolta vendeva i suoi prodotti
anche alle televisioni. Solo a partire dagli anni
80, per varie ragioni tra cui la rottura dei
monopoli pubblici, si è incominciato ad auspicare
che i produttori indipendenti diventassero fornitori
sistematici dei canali televisivi. Ma questa storia
richiederebbe un trattamento a parte. Nel seguito mi
riferiro’ quindi soprattutto all’intervento pubblico
nel campo televisivo.
L’interesse a riflettere sul ruolo dello Stato nel
campo televisivo non deriva solo dallo stato di
crisi riscontrabile attualmente. La strada verso il
“tutto digitale” che i paesi europei, in modo piu o
meno veloce e lineare, hanno imboccato porta a una
sostanziale trasformazione del campo televisivo. La
moltiplicazione dei canali comporta in ciascun paese
da una parte l’aumento della quantità complessiva di
programmi trasmessi, dall’altra una progressiva
frammentazione del pubblico su un numero di canali
nettamente piu’ grande dei 5-6 canali nazionali
“generalisti” tradizionali. A questo proposito basti
pensare alle case multicanale (multichanel) dove il
loro ascolto si è sensibilmente ridotto in favore di
una molteplicità di canali, piu’ o meno
specializzati, ciascuno dei quali raccoglie frazioni
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di pubblico molto piu’ piccole. Cio’ha delle
conseguenze notevoli in generale sull’economia della
televisione e, in particolare, su alcuni principi
tradizionalmente alla base della televisione
pubblica come l’universalità del servizio,
l’interesse collettivo, il finanziamento
obbligatorio da parte di tutte le famiglie
televisive, ecc.
Da dove partire?
Il modo piu’ lineare per proseguire nella nostra
riflessione è quello di incominciare dall’intervento
che storicamente lo Stato ha inteso svolgere
attraverso la radiotelevisione pubblica e che in
molti casi motiva ancora la sua esistenza, per
vedere poi cosa oggi funziona ancora, cosa sarebbe
necessario eliminare, modificare o aggiungere.
Osservando gli statuti delle televisioni pubbliche
europee si possono individuare almeno quattro idee
fondamentali che, attraverso le leggi adottate nei
diversi paesi, si sono combinate o succedute per
giustificare la presenza dello Stato nell’attività
televisiva e le forme di finanziamento pubblico
(canone o sovvenzioni) e per identificare e
indirizzare le funzioni di “pubblica utilità”.
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La prima e più “neutra” di queste idee si basa su
considerazioni di ordine tecnico. La scarsità dei
mezzi fisici di diffusione del segnale televisivo,
cioè delle frequenze hertziane, crea di fatto un
“monopolio naturale” che dev’essere considerato e
gestito in modo da garantire l’interesse collettivo.
L’obiettivo principale è quello di usare questo
monopolio per estendere le trasmissioni televisive a
tutto il territorio nazionale e per offrire a ogni
cittadino pari opportunità di accesso ai programmi.
In questo caso il servizio pubblico è concepito come
una grande infrastruttura tecnica che deve garantire
l’accesso universale.
La seconda idea è di ordine culturale e assegna al
servizio pubblico il compito di corrispondere ai
bisogni informativi, educativi e di divertimento dei
cittadini oltre che quello di promuovere la cultura
nazionale e l’insieme dei valori di civilizzazione.
In questo caso il servizio pubblico televisivo
appare come una grande agenzia educativa nazionale
che affianca, integra e sviluppa le funzioni
pedagogiche della scuola.
La terza idea è di ordine politico e si basa sulla
volontà di garantire forme di partecipazione e di
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pluralismo. Alla televisione pubblica è attribuito,
in questo caso, un ruolo fondamentale per la
democrazia: quello di ampliare la partecipazione dei
cittadini, di garantire l’indipendenza e
l’equidistanza dell’informazione, di far conoscere
la pluralità delle proposte politiche, della realtà
sociale e culturale del paese. Lo Stato, attraverso
la televisione pubblica, vuole fornire una grande
agorà moderna che favorisce la formazione
consapevole dei cittadini e la manifestazione
dell’opinione pubblica.
La quarta idea è di ordine giuridico e attribuisce
alla televisione una funzione d’interesse generale,
quella cioè di garantire il diritto alla libertà
d’espressione e d’informazione sancito dalle carte
costituzionali di tutta l’Europa. La televisione
pubblica è un grande mezzo di attuazione di un
diritto costituzionale, serve a renderlo effettivo e
a presidiarlo.
Un quadro di riferimento
Prima di discutere su come rivedere e rinnovare le
modalità dell’intervento dello Stato nel campo della
televisione occorre mettersi d’accordo sulle
condizioni di legittimità di tale intervento.
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Personalmente condivido le condizioni che sono state
definite nel cosidetto Protocollo di Amsterdam
(1997), attualmente valido per i paesi membri
dell’Unione Europea, in cui si riconosce che :
“il sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri è
direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di
ogni società, nonché all'esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi
di comunicazione”.
Sulla base di questi principi gli Stati possonofinanziare il servizio televisivo pubblico alleseguenti condizioni:
a) i contenuti delle funzioni di servizio pubblico
siano definiti; occorre cioè che lo Stato
individui esplicitamente in cosa consiste il
servizio pubblico in termini di qualità e
quantità dei programmi e di altre funzioni
eventuali
b) il finanziamento pubblico sia destinato solo allo
svolgimento di quelle funzioni; occorre cioè
poter isolare anche dal punto di vista
amministrativo e gestionale le attività di
servizio pubblico da quelle di altro tipo
(commerciale) in modo da garantire che le risorse
pubbliche finanziano esclusivamente il servizio
pubblico;
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c) il finanziamento pubblico non interferisca con le
condizioni di scambio e di concorrenza nel
mercato; le imprese che ottengono le risorse
pubbliche per svolgere le funzioni di servizio
pre-definite non devono usarle per ottenere
vantaggi competitivi con le imprese concorrenti
nel mercato televisivo.
Facendo mie alcune indicazioni del Trattato credo
che l’intervento dello Stato nel campo televisivo
possa essere ripensato rispettando almeno due
principi di base. Il primo è che i criteri di scelta
dei content e di organizzazione della programmazione
diffusa dalle televisioni pubbliche debbano essere
nettamente diversi da quelli delle televisioni
private. Il secondo è che la televisione pubblica
non debba fare cio’ che è già fatto bene dalle
televisioni private.
L’accesso universale
Riprendendo i quattro caposaldi su cui la
televisione pubblica si è basata fin dalla sua
origine si puo’ dire che il primo appare ormai
superato. Non siamo piu’ nelle condizioni di
scarsezza dei canali di trasmissione che dava luogo
a un “monopolio naturale” tale da giustificare
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l’intervento pubblico. Oggi i canali terrestri si
sono moltiplicati e sono stati affiancati da altre
piattaforme multicanale come il cavo e il satellite.
In tutti questi casi ed altri ancora (rete
telefonica fissa e mobile,ecc.) il passaggio alle
tecniche di trasmissione digitale aumenta
ulteriormente i canali disponibili.. La funzione
fondamentale dello Stato in quest’ambito resta
quella della ripartizione e attribuzione delle
frequenze tra le varie attività di telecomunicazione
e della definizione delle regole d’accesso dei vari
soggetti al loro uso, oltre agli standad tecnici,
sulla base degli accordi in sede dell’International
Telecommunication Union. Su questo fornte lo Stato
in tempi recenti ha deciso di assolvere pero’ a una
nuova funzione che riguarda tanto i contenuti
televisivi quanto il contenitore ovvero
l’infrastruttura di trasporto.
In vari paesi europei lo sviluppo della televisione
digitale terrestre è spinto dall’intervento pubblico
su due fronti. Lo Stato favorisce l’adozione da
parte delle famiglie dei set top box coprendo
direttamente una quota del loro costo (p.e.Italia),
dall’altra attribuisce alla televisione pubblica la
funzione di volano nello siluppo delle reti di
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trasmisisone e della programmazione digitale.
Inoltre appare sempre piu’ evidente che per
garantire l’accesso universale alla televisione
digitale terrestre lo Stato dovrà intervenire di
nuovo per finanziare la rete di trasmmissione
necessarie a coprire le aree periferiche a bassa
densità abitativa dove il settore privato non ha
interesse a investire per diffondere i propri
programmi.
L’agenzia pedagogica
Il secondo pilastro dell’intervendo statale è l’idea
che la televisione pubblica debba assolvere il ruolo
di grande agenzia educativa con lo scopo di
integrare la fuzione pedagogica del sistema
scolastico, soprattutto per le fascie di popolazione
piu’ sfavorita, uscita dal sistema scolastico in età
precoce. L’importanza di questa funzione oggi appare
pero’ molto ridotta. Da una parte nel corso degli
ultimi decenni il tasso di scolarizzazione è
progressivamente aumentato sia per l’innalzamento
progressivo della fascia di scuola obbligatoria, sia
per un maggior accesso alla scuola secondaria
superiore e all’università.
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Dall’altra le condizioni generali di vita, nel tempo
libero e nel lavoro, insieme a una maggior facilità
di accesso alle fonti della formazione, della
cultura e del sapere hanno reso assai meno
importante la funzione pedagogica della televisione.
In quest’ambito oggi in molti paesi si sta aprendo
pero’ un nuovo fronte che riguarda le popolazioni
migranti, provenienti da aree del mondo dove le
condizioni di vita sono piu’ difficili.
L’apprendimento della lingua del paese d’arrivo è
certamente uno degli elementi di base per ridurre il
loro disagio, la separazione, la marginalità e per
acquisire il senso di cittadinanza nella comunità
d’arrivo. La televisione puo’ dare un contributo
rilevante in questa direzione. Ma da sola questa
funzione non è sufficiente per giustificarne
l’esistenza e le forme della tv pubblica.
L’informazione pluralista
Il terzo pilastro su cui si basa l’intervento
pubblico riguarda la volontà di offrire con la
televisione pubblicala una grande agorà moderna che
favorisce la formazione consapevole dei cittadini e
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la manifestazione dell’opinione pubblica. La
possibilità di conoscere la pluralità dei punti di
vista e delle idee, di essere informati sulle varie
opzioni politiche tra cui poter scegliere è una
delle condizioni di base per la libera formazione
delle opinioni e delle scelte, quindi è un
fondamento della democrazia. Da questo punto di
vista occorre distinguere pero’, come si fa
istituzionalmente in alcuni paesi europei, tra
pluralismo esterno e pluralismo interno, il primo si
riferisce al sistema delle comunicazioni di massa
accessibile al grande pubblico mentre il secondo si
riferisce a ciascun mezzo di comunicazione di massa.
Oggi possiamo dire che il pluralismo esterno è
sostanzialmente garantito ovunque attraverso una
variertà di fonti e di media facilmente accessibili
a tutti. Per garantire questa condizione lo Stato
interviene con norme anti concentrazione che
sanzionano e rimuovono la formazione o l’abuso di
posizioni dominanti. Il pluralismo interno dovrebbe
garantire, in senso stretto, che i media siano
indipendenti ed equidistanti rispetto alle
formazioni politiche e ne rappresentino le idee in
modo equilibrato e non discriminatorio (in senso
lato cio’ comprende oltre alla rappresentazione
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della politica anche della società, la cultura, la
religione, ecc.). Il ruolo della televisione
pubblica su questo fronte è stato storicamente di
grande importanza sia perché unico mezzo
programmaticamente destinato a svolgere e a
garantire tale funzione sia perché per molti anni
larga parte della popolazione, per ragioni
culturali, sociali o economiche, non ha avuto
l’opportunità di accedere a fonti diversificate di
informazione, al di la della televisione pubblica
che era, in molte case, l’unico mezzo a
disposizione.
La situazione ora è mutata. Per la vita democratica
il pluralismo (indipensenza, equidistanza,
equlibrio, ecc.) dell’informazione continua ad
essere una condizione indispensabile, ma il ruolo
della televisione pubblica su questo fronte non
raccoglie consensi largamente condivisi. In molti
casi la televisione pubblica continua a subire
l’influenza del potere politico e spesso le
pressioni che vengono dal Governo. Inoltre si fa
osservare che ormai essa riesce a raccogliere
l’attenzione di una parte importante ma minoritaria
dei telespetattori in quasi tutti i paesi europei.
Quindi anche questa funzione appare fortemente
depotenziata, e non riesce comunque piu’ a svolgere
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un ruolo strategico in questo campo. La televisione
pubblica deve continuare inevitabilmente a essere
pluralista, ma la presenza della televisione
pubblica non serve piu’ a garantire il pluralismo
dell’informazione per larga parte dei cittadini.
La libertà di espressione
Il quarto pilastro a sostegno della televisione
pubblica riguarda la volontà di garantire con la
televisione pubblica l’esercizio della libertà
d’espressione delle proprie idee e di informare gli
altri. In realtà in molti paesi la televisione
pubblica ha cercato di rendere operativa questa
funzione attraverso i programmi di “accesso
pubblico” e le tribune politiche dove rappresentanti
rispettivamente della società civile e della società
politica, avevano a disposizione uno spazio
televisivo per presentare le proprie idee, progetti,
proposte. In realtà si è trattato di programmi
tipici del servizio pubblico, ma quasi sempre
marginali e mal sopportati dai responsabili della
programmazione perché normalmente poco graditi ai
telespattatori.
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Oggi tale funzione è assolta dalla presenza diretta
di molti rappresentanti dei telespettatori, di
gruppi sociali, di organizzazioni culturali, del
mondo politico ecc. in programmi di varietà,
d’inchiesta, d’intrattenimento, nei talk show, nei
programmi di cronaca, ecc. Ma si tratta innanzi
tutto di un fenomeno presente in modo
sostanzialmente identico nella televisioone pubblica
e in quella privata. Inoltre si tratta di un tipo di
accesso in cui la selezione delle persone invitate
non è definito da regole, ma è deciso in base a
criteri di “adeguatezza” televisiva e non garantisce
in nessun modo l’esercizio di un diritto.
Oltre a cio’ va osservato che oggi le opportunità e
i mezzi per esprimere direttamente le proprie idee
sono aumentati sensibilmente sia dal punto di vista
produttivo sia dal punto di vista della
distribuzione. In generale oggi gli spazi offerti
dalla televisone pubblica ai rappresentanti della
società politica e civile per proporre le proprie
idee hanno ormai un significato poco rilevante di
fronte alla vasta gamma di possibilità offerta da
una molteplicità di media nazionali e locali,
generalisti e specializzati, elerttonici e a stampa.
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Cio’ che resta
In sintesi possiamo quindi dire che non c’è piu’ la
scarsità di canali di trasmisisone e ci sarà ancor
meno con il passaggio al “tutto digitale”. Un
problema emergente in quest’ambito riguarda pero’
l’accesso universale alle trasmissioni televisive
digitali terrestri che dovrà essere garantito anche
nelle zone a bassa densità abitativa e
geograficamente marginali. La funzione pedagogica
della televisione, se ancora necessaria, oggi è
destinata a fasce sociali largamente minoritarie e
circoscritte, in particolare le comunità di
migranti. Il pluralismo informativo e culturale non
sempre è garantito dai canali televisivi privati, ma
spesso manca anche in quelli pubblici (condizionati
dal potere politico) e in ogni caso il rispetto
dell’indipendenza, l’equidistanta, l’equilibrio e la
completezza dell’informazione potrebbero far parte
delle regole che valgono anche per loro. Infine il
diritto di accesso e di espressione in televisione
appare meglio attuato oggi con la molteplicità delle
reti e dei programmi che nel passato con i programmi
“ghetto” dell’accesso pubblico che erano marginali,
davano spazio un un numero lititato di soggetti ed
erano incapaci d’interessare i telespettatori. Da
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questo punto di vista appare oggi difficile notare
un ruolo rilevante e distintivo della televisione
pubblica rispetto a quella privata tale da
giustificare lo spazio che attualmente occupa nel
sistema televisivo nazionale di molti paesi, e le
risorse professionali ed economiche ad esso
destinate
Sulla base di questa revisione mi sembra che larga
parte delle funzioni tradizionali che giustificavano
l’intervento dello Stato nel campo televisivo se
non sono già svanite, oggi appaiono meno rilevanti.
Credo quindi che se oggi non ci fosse la televisione
pubblica, la sua creazione per assolvere questi
compiti sarebbe difficilmente giustificabile.
Nuove esigenze?
Credo che per proporre una eventuale rifondazione
della televisione pubblica occorra partire da tre
considerazioni:
a) le trasformazioni in atto nei sistemi televisivi
b) le esigenze emergenti
c) cosa la tv privata puo’ fare al posto di quella
pubblica
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Delle trasformazioni in atto abbiamo già accennato.
Aumenta l’offerta di canali, aumenta la
frammentazione del pubblico e l’idea che la
televisione in generale possa svolgere una funzione
programmatica come strumento rilevante di formazione
dell’identità collettiva, di condivisione sociale e
di aggregazione nazionale appare in prospettiva
sempre piu’ illusoria. Cio’ vale anche per la
televisione pubblica e la sua audience
inevitabilmente sempre piu’ magra. In un recente
documento della BBC si descrive in termini molto
netti la situazione in una parte crescente della
popolazione europea:
“The explosion of media choice is causing audience viewing andlistening to fragment. People are consuming a wider range of servicesacross a greater range of device. As a result, we are now in a multi-track media society, in which no two people’s media behaviour is thesame” (BBC, 2004)
In questa situazione sorgono alcuni problemi nuovi
per dimensione o per qualità. Innanzi tutto c’è un
numero di persone minoritario, ma non marginale,
incapace di sfruttare le opportunità che il
cambiamento in atto è in grado di offrire. In
prospettiva si rafforzano due categorie di esclusi.
La prima è quella composta dalle persone che non
hanno le risorse economiche per aggiornare
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tecnicamente i loro terminali e per accedere ai
canali e servizi a pagamento che offrono una parte
importante di prodotti attraenti, di qualità e in
generale a “maggior valore aggiunto”. La seconda
categoria di esclusi è costituita da quelle persone
prive dei mezzi culturali per sfruttare le nuove
opportunità, per saper scegliere con competenza i
prodotti piu’ adatti alla propria dieta nel grande
“supermercato delle immagini”. A questa categoria
appartiene una buona parte dei nuovi migranti che
occupano nel paese d’arrivo le posizioni sociali
piu’ sfavorite.
A questo problema si aggiunge la progressiva
riduzione della qualità dei programmi. Non mi
riferisco qui alla qualità che riguarda i contenuti
o la loro dimensione estetica e creativa (dimensione
assai difficile da misurare), ma quella misurata
dall’investimento medio orario nei programmi. La
tendenza verso la frammentazione crea nuovi problemi
anche su questo fronte. Infatti mentre l’audience
media per canale tende a diminuire, è probabile che
anche le risorse mediamente disponibili per canale
andranno nella stessa direzione. D’altra parte basta
confrontare gli investimenti destinati tuttoggi ai
grandi canali generalisti in chiaro e quelli
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destinati ai canali specializzati o tematici. Se per
i primi si investe 100 per i secondi si investe 10 o
anche meno (con l’eccezione di due categorie, film
recenti ed eventi sportivi di successo).
Un terzo problema emergente rguarda la varietà dei
programmi offerti, ovvero la gamma di generi
televisivi che il telespettatore puo’ trovare
nell’offerta televisiva. Su questo fronte la
tendenza verso una polarizzazione dell’offerta
televisiva intorno a un numero limitato di generi
appare evidente nei canali in chiaro (free), mentre
sostanzialmente non tocca i canali tematici a
pagamento dove nell’insieme permane una gamma
d’offerta piu’ varia..
Questo quadro mette in evidenza la formazione di una
fascia di telespettatori che per ragioni economiche
e/o culturali subisce il progressivo “degrado” dei
canali generalisti in chiaro (free) in termini di
qualità e di varietà e non è in condizione di
sfrutttare a pieno le opportunità e i vantaggi della
nuova offerta multicanale e multiservizio.
I telespetattori appartenenti alle fasce sociali
piu’ favorite dal punto di vista economico e/o
culturale oggi e sempre di piu’ in futuro avranno i
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mezzi per poter soddisfare i loro bisogni, interessi
e desideri televisivi senza essere danneggiati dalla
mancanza di una televisione pubblica Potranno
trovare cio’ che desiderano facendo a meno della
televisione pubblica perché sono in condizioni di
accedere a una molteplicità di fonti per formarsi
un’opinione indipendente, a una molteplicità di
canali per poter trovare i programmi, i generi, gli
interlocutori preferiti.
Proposte
Se oggi le televisioni pubbliche in Europa non
esistesse non credo che sarebbe opportuno crearne
altre simili. Anche dove rispettano le regole e i
compiti a loro attribuiti le televisioni pubbliche
sono sproporzionate o inadatte rispetto ai problemi
da risolvere: sono troppo grandi, hanno troppe
funzioni, costano troppo, offrono molto a pochi
telespettatori e poco alla maggio parte di loro.
I problemi come abbiamo visto non mancano. Per
alcuni di questi (rafforzamento dell’identità
nazionale, della coesione sociale, della condivione
delle esperienze, ecc.) pero’ la televisione
pubblica, che in altre epoche a fatto molto, ora
puo’ fare poco o nulla.
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In altri casi si tratta di problemi che interessano
una minoranza e che possono essere, almeno in parte,
risolti con interventi piu’ leggeri e flessibili
(accessibilità a una maggior varietà di programmi, a
una pluralità di fonti e punti di vista, ecc.)
Un terzo tipo di problemi che l’intervento pubblico
puo’ aiutare a risolvere sono quelli che riguardano
la qualità “esemplare” in alcuni generi importanti
della programmazione.
C’è poi un quarto tipo di problemi che l’intervento
pubblico puo’ aiutare a risolvere, che interessa
indirettamente i telespettatori, e che riguarda la
sperimentazione e l’innovazione del linguaggio, dei
formati, dei talenti, ecc..
Credo che in un sistema televisivo composto solo da
televisioni private (private broadcaster) oggi
l’intervento pubblico potrebbe essere opportuno e
utile per risolvere i problemi, indicati sopra,
attraverso due linee d’azione da sostenere con il
finanziamento generato o dal canone (redevance o
licence fee) o da un apposita imposta pagata dai
broadcaster privati a prescindera dalla piattaforma
tecnologica con cui operano.
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Il primo tipo d’intervento pubblico è quello
destinato a risolvere, almeno in parte, i problemi
di quelle fasce sfavorite (deficit economico,
culturale, sociale) o da proteggere (bambini,
anziani, ecc.). Esso rispecchia una ipotesi già
avanzata nel Rapporto Peacock, pubblicato nel Regno
Unito verso la metà degli anni 80 del secolo scorso,
e rilanciata recentemente in altri paesi europei.
Si tratta di appaltare, attraverso un concorso
pubblico, la trasmissione di programmi concepiti per
integrare e migliorare l’offerta televisiva privata.
I broadcaster che vincono la gara e ottengono
l’appalto s’impegnano, per un compenso pagato dallo
Stato con i soldi raccolti dal canone o dalla
speciale imposta alle imprese televisive, a inserire
nella loro programmazione programmi con contenuti
predefiniti “di servizio pubblico”. Questi programmi
sono concepiti in modo da soddisfare le esigenze di
quelle categorie di telespettatori ormai minoritarie
a cui s’intende garantire un certo grado di
diversificazione, di pluralismo e di qualità delle
trasmissioni e che non sono in grado di trovarli sui
canali a pagamento o su altre piattaforme
televisive.
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Evidentemente cio’ comporta che lo Stato finanzi
non solo il costo dei programmi, ma anche il “tempo
d’antenna” messo a disposizione di tale servizio. Da
parte dello Stato questa attività puo’ essere
gestita attraverso una struttura “leggera” che ha il
compito di selezionare le reti private, di definire
i caratteri delle trasmsisoni e dei loro contenuti,
di sovraintendere alla realizzazione dei contenuti
da parte di produttori indipendenti o altri.
Il secondo tipo d’intervento che lo Stato potrebbe
promuovere in un sistema televisivo in cui operano
solo televisioni private riguarda la creazione di un
nuovo canale destinato a trasmettere solo programmi
di “alta qualità” ad alto costo medio orario che da
una parte offra un’alternativa selezionata ai
telespettatori, soprattutto a quelli che possono
accedere solo alle trasmisisoni in chiaro,
dall’altra serva come termine di paragone verso
l’alto per i programmi delle televisioni private.
Credo che l’offerta di questo canale, totalmente
libero dalla pubblicità, dovrebbe concentrarsi
intorno a un numero limitato di generi televisivi
(informazione, fiction, talk show , arti e scenze)
realizzati dai migliori professionisti (tecnici,
giornalisti, artisti, ecc.).
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Anche in questo caso l’iniziativa potrebbe essere
gestita da una struttura leggera che progetta la
programmazione, la fa realizzare da produttori
indipendenti e da fornitori esterni, realizza invece
in poroprio il controllo della qualità e si occupa
della masse in onda. Credo che questi due tipi
d’intervento da parte dello Stato abbiano alcuni
vantaggi. Sono poco invasivi rispeto al mercato
televisivo, sono gestiti da strutture leggere e
flessibili sia dal punto di vista dei costi sia da
quello della gestione. Possono esercitare un effetto
di volano per i produttori indipendenti e per i
professionisti del settore e di stimolo nel
confronto con i broadcaster privati. Infine possono
integrare e arricchire l’offerta televisioni con una
serie di programmi che sono normalmente
incompatibili con la logica economica delle imprese
televisive private e della competizione commerciale.
Questo nuovo modo di organizzare la presenza dello
Stato nel campo televisivo dovrebbe essere
accompagnato dalla definizione di due tipi di
regole. Il primo tipo deve evitare forme di
concentrazione che limitino il pluralismo esterno
del sistema televisivo. Norme anti-trust tese a
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impedire sia la formazione di posizioni dominanti
nel mercato, sia forme di concentrazione che
limitano il pluralismo esistono in tutti i paesi
europei, talvolta pero’ non funzionano in modo
sufficiente, vedi il caso dell’Italia in generale e
il caso della tv a pagamento i vari altri paesi.
Il secondo tipo di norme deve regolare la
programmazione delle televisioni private richiedendo
loro di svolgere funzioni di servizio pubblico per
quanto riguarda almeno il pluralismo interno,
soprattutto nelle news e negli altri generi di
informazione.
Conclusioni
Considerando il panorama televisivo attuale e le
prospettive a medio termine legate alla scelta
dell’Unione Europea di favorire la penetrazione
accelerata della televisione digitale in tutte le
case l’intervento dello Stato in questo campo
dev’essere rivisto radicalmente. La struttura, la
dimensione, il ruolo, le risorse attribuite alla
teelviisone pubblica appaiono piu’ come un residuo
del passato che un’esigenza attuale. La elevisione
pubblica ha perso la sua presa permanente sul grande
pubblico e oggi è in grado di attrarre la sua
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attenzione in modo sempre piu’ saltuario. Se non ci
fosse non sarebbe opportuno ricrearla secondo il
modello attuale.
Cio’ nonostante persistono problemi che una presenza
pubblica nel settore potrebbe contribuire ad
attenuare. Tali problemi riguardano sostanzialmente
tre aspetti: l’implementazione dei canali televisivi
privati con programmi destinati a minoranze sociali
e a fasce di pubblico da privilegiare o tutelare
(bambini, anziani, ecc.); la qualità dei programmi
da garantire anche alle fasce piu’ sfavorite di
pubblico, il pluralismo “esterno” del sistema
televisivo e quello “interno” di ciascun canale; la
sperimentazione di nuovi linguaggi, formati, talenti
televisivi.
Per rispondere a questi problemi appare opportuno
che lo Stato adotti una forma d’intervento leggero
che punti sopattutto su due fronti. Il primo è la
definizione di accordi con i canali privati per
inserire nella loro programmazione programmi “di
servizio pubblico”. Il secondo è di creare un solo
canale pubblico che offra una programmazione di
“alta gamma” costituita dai principali generi
televisivi dall’informazione alla fiction. La sua
funzione sarebbe quella di creare un termine di
paragone verso l’alto per l’insieme del sistema
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televisivo e di offrire a tutte le categorie di
telespetattori l’accesso a programmi di qualità
superiore alla media.
Per realizzare tutto cio’ lo Stato potrebbe dotarsi
di una struttura leggera che allestisce la
programamzione e affida la realizzazione dei
programmi a produttori indipendenti e la loro messa
in onda in parte ai canali privati, sulla base di
convenzioni e contratti, in parte a un unico canale
televisivo ad accesso universale gestito
direttamente.
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