I Song

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7. I Song e l’apogeo dell’arte cinese

Con la dinastia Song (960-

1279) la civiltà cinese si

presenta sul palcosceni-

co della storia al culmine

della sua potenza: la ca-

pitale Kaifeng sfoggia una cultura metropoli-

tana estremamente elaborata; lo Stato vanta

un esercito professionista, una temibile flotta

militare, un commercio marittimo prospero,

la più alta produzione di ferro del mondo al-

l’epoca. Ciononostante, non seppe difendersi

dai Mongoli, di fronte ai quali, anzi, cadde ro-

vinosamente.

Nel 960 un golpe militare aveva portato al

trono la casata Song, con l’imperatore Taizu,

cui successe presto il fratello minore, Taizong.

Taizu salì al potere grazie a un esercito po-

tentissimo, compiendo una scelta coraggiosa:

smilitarizzare il ceto dominante, allontanando

dalla vita politica i generali del suo entourage.

La sua mossa è comprensibile se si pensa che

da secoli l’impero subiva snervanti pressioni

lungo i confini settentrionali e orientali, so-

prattutto da parte di tribù nomadi. E a nord

si profilavano appunto nuovi nemici: in succes-

sione i Nüzhen, i Dongxiang, i Mongoli.

Il mantenimento di guarnigioni di frontiera comportava alti costi e costituiva una minaccia dato

l’eccessivo potere in mano a pochi generali. Si doveva decidere tra un pericolo di golpe interno

e l’allontanamento del nemico esterno. Taizu aveva quindi deciso di non assegnare la sicurezza

2. Specchio rettangolare in bronzo con decorazione floreale incisa, dinastia Song meridionali, XII secolo. Bath, Museum of East Asian Art.

10. Nella pagina a fronte:Statua lignea di Buddha Avalokiteśvara in līlārāja, dinastia Jin, XI-XII secolo d.C. Londra, British Museum.

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della propria casata a un ceto guerriero.

Sulla scia degli stessi principi, agli inizi dell’anno 1000 il governo cinese

sedò la pressione dei Kithan che premevano a nord, pagando loro un

tributo. Per quanto questa politica diplomatica possa apparire vile, in

tal modo il governo affrontava spese minori rispetto che mantenendo

guarnigioni a settentrione.

Si consideri in oltre che i Khitan (vale a dire la dinastia Liao), una volta

pacificati, erano grandi acquirenti dei beni prodotti dai Song.

A metà dell’XI secolo i Song disinnescavano nello stesso modo (ossia

pagando argento, seta, tè) anche la potenza dei Xia occidentali.

Dall’XI secolo le direttrici di espansione dell’impero non saranno più

verso nord e nord-ovest, ma verso est e verso sud. L’impero, in una sor-

ta di pax augustea, si afferma proprio in questo periodo come una mi-

cidiale potenza marittima: i navigatori misero a punto l’uso della bussola,

bastimenti che raggiungevano i 30 metri di lunghezza trasportavano in

tutto il sud-est asiatico ceramica, tè, tessuti, metalli, quest’ultimi ricavati

ricorrendo anche a esplosivi nell’industria estrattiva. La Cina importava

avorio, spezie e soprattutto cavalli: per l’allevamento equino, l’Imperio di

Mezzo rimase sempre dipendente da territori esterni al suo dominio.

Dato che il commercio verso nord era discontinuo a causa della guerri-

glia con i nomadi, in questo periodo i cavalli venivano fatti arrivare dalla

Thailandia.

La popolazione esplose raggiungendo i 100 milioni di abitanti; la pro-

sperità spinse molti contadini a inurbarsi e la presenza di nuovi cittadi-

ni lanciò lo sviluppo del terziario, del sistema d’istruzione, dell’industria

editoriale. Gli artigiani, quando emigravano, tendevano a organizzarsi in

4. Cuscino in ceramica Cizhou, dinastia Song. Shanghai, Museo di Shanghai.

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6. Ceramica in forma di pesce con testa umana, dinastia Song settentrionali, XI secolo. Bath, Museum of East Asian Art.

lobby: coloro che provenivano da uno stesso luogo si specializzavano

nella stessa attività. Gli artigiani cinesi erano ricercati per la loro perizia

fino in Asia centrale; i nomadi, non a caso, sequestravano fabbri, orefici,

incisori, tessitori.

A sud stava decollando lo sfruttamento intensivo delle terre e una de-

cisa affermazione della circolazione monetaria.

La regione meridionale dello Yunnan, oggi parte della Repubblica Popo-

lare Cinese, nel XII secolo apparteneva al regno di Dali: si tratta di una

zona artisticamente periferica, dove il gusto pittorico rimane ancorato a

soluzioni Tang, ma la scultura subisce innovanti influenze indiane.

Il vero problema era che le nuove potenze settentrionali avevano inter-

rotto il commercio statale diretto verso l’Asia centrale.

All’epoca di Huizong, nei primi decenni del XII secolo, la Cina conobbe

un’acuta crisi finanziaria; inoltre la terra era nelle mani di pochi, mentre

l’evasione fiscale all’ordine del giorno. Non era più possibile mantene-

re la vecchia strategia dei tributi annuali, ormai troppo onerosi per il

bilancio statale. Nel 1115 i Song si allearono ai Nüzhen, situati ancora

più a nord, con l’idea di sconfiggere i Liao chiudendoli in una morsa,

attaccandoli su due fronti opposti. Ottenuta la vittoria, i Nüzhen conti-

nuarono la loro calata vittoriosa verso sud, dalla loro capitale Pechino

(allora Yanjing) sino alla capitale dei Song, Kaifeng. Nel 1127 Huizong,

uno dei sovrani più sensibili all’arte e patrono della cultura, è costret-

to a genuflettersi di fronte al nuovo dinasta nemico. Verrà portato in

ostaggio nei gelidi territori settentrionali, per non farne più ritorno; un

trauma insostenibile per i cortigiani Song. I Nüzhen danno così vita alla

dinastia Jin, “Oro”.

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IL SENSO pLASTICO DEI NOmADI JIN

Nel XII secolo le fornaci settentrionali erano in mano ai nomadi

Nüzhen. Il contatto con la nuova committenza stimolava nuove soluzio-

ni; la domanda era talmente alta che i ceramisti Ding realizzavano le de-

corazioni dei vasi non per incisione, ma tramite matrici a stampo. Talora

intingevano il pennello nell’ossido di ferro: dopo la cottura le scene così

dipinte divenivano rosso rame. I bambini con i loro giochi fecero la loro

comparsa nel novero dei soggetti preferiti dai vasai.

La ceramica Jun invece affidava tutto il suo fascino alla purezza della for-

ma, e al gioco cromatico della vetrina: continuava a rifiutare qualunque

decorazione figurativa sottocoperta, come si vede nel piattino Jun a

invetriatura verde, la cui superficie vibra grazie a un’estesa craquelure.

Un evidente cambio di gusto si rivela proprio nella tavolozza degli

ingobbi: se le precedenti vetrine del XII secolo avevano sfumature ter-

rose, adesso erano caratterizzate da tinte “eteree”.

7. Ceramica Ding con motivo a stampo di camelie e fenici, dinastia Jin, fine XII secolo d.C. Bath, Museum of East Asian Art.

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Gli artigiani controllavano ormai perfettamente la colatura dei colori

sottocoperta; non amavano più le astratte sbavature casuali così in voga

in epoca Tang, che scompariranno dalla superficie dei vasi cinesi.

Nella ceramica Cizhou del XIII secolo venne introdotta un’innovazione

tecnologica fondamentale: furono applicati smalti (rossi, verdi e gialli)

sopracoperta per decorare il vaso con motivi figurativi, a freddo. Que-

sta soluzione dell’uso di smalti e cloisonné sarà la più amata dalle future

dinastie, dai Ming in poi.

Considerata la perdita di gran parte della produzione pittorica su roto-

lo – a parte i “fiori e uccelli” e i paesaggi – la ceramografia può costituire

oggi un campionario dei temi pittorici più completo di quello offerto

dai dipinti superstiti.

Anche i Jin, come i Liao, furono prodighi committenti di arte buddhi-

sta. I monasteri settentrionali ci hanno restituito alcuni cicli statuari in

terracotta, con luohan che raggiungono anche il metro d’altezza. Pochi

sono gli esemplari in legno pervenutici, perché difficilmente tale ma-

8. Piatto Jun a invetriatura verde, da Henan, dinastia Jin. Bath, Museum of East Asian Art.

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teriale trova le condizioni ambientali adatte per conservarsi per un

millennio. Al British Museum è possibile tuttavia ammirare proprio

un Avalokiteśvara ligneo di disarmante naturalezza. Lo scultore lo

rappresenta in līlārāja, posa ludica regale, una seduta detta anche

“all’europea”. Mentre la mano destra suggerisce una grazia innata nel

bodhisattva, il resto del corpo, sebbene la posa vorrebbe comunicare

rilassatezza, esprime una certa rigidità colonnare, con il tronco ritto

e la gamba sinistra lasciata pendere in asse con esso. Le forme sono

abbastanza robuste, abbandonano il canone snello della precedente

dinastia nomade dei Liao.

Il tempio Dongqiu, a Jincheng nello Shaanxi, nel suo apparato deco-

rativo fittile presenta un raro esempio di soggetto “profano”. Si tratta

probabilmente di un’inserviente del monastero, pressoché a grandezza

naturale con i suoi 162 cm, intenta a suonare un tamburello durante

una celebrazione. Lo scultore ha fatto tesoro, anche nella resa di que-

sto personaggio, dell’attenzione per l’assorta concentrazione che gli ar-

tisti religiosi hanno imparato a conferire ai luohan. La donna partecipa

compunta al rito, gli occhi gonfi per il pristino risveglio, l’acconciatura

turrita inappuntabile, che contribuisce a slanciare la sua silhouette già

affusolata; passa le dita sullo strumento con gesto discreto. Bisogna

ricordare che allontanare il braccio dal tronco sarebbe stato tecnica-

mente complesso per lo scultore in un medium come la terracotta. La

vivace policromia conserva il potere di trascinarci con questa donna al

XII secolo, nel bel mezzo del corteo.

11. Statua lignea di bodhisattva in meditazione, dinastia Jin, XII-XIII secolo d. C. Collezione privata.

12. Statua in terracotta di inserviente assisa, particolare, dinastia Jin. Tempio Dongqiu a Jincheng. Shaanxi.

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LA CORTE EmIgRA A SUD

Huizong, sotto la pressione dell’assedio nomade, aveva abdicato in favore

del nono figlio, probabilmente l’unico familiare che in quel frangente si

trovasse lontano dalla capitale – e quindi al sicuro. La continuità della

casata era così assicurata, almeno formalmente, sebbene il nuovo impera-

tore dovette trasferire la corte a Hangzhou, più a sud. Anche nella nuova

sede, i Song, divenuti meridionali, erano costretti a pagare un tributo ai

Jin.

I Song settentrionali avevano patrocinato per lo più il taoismo; i Song

meridionali ripristinarono invece l’austerità del confucianesimo. Fiorirono

gli studi scientifici, soprattutto la medicina; ci furono i primi ritrovamenti

archeologici, che innescarono ricerche di antiquaria, eccitarono i collezio-

nisti e imposero agli artisti, soprattutto ai ceramisti, di gettare un nuovo

sguardo al passato.

Passato un secolo, la storia è la stessa; nel 1221, infatti, i Song si allearono

ai Mongoli in funzione anti-Jin. La mossa ebbe successo ma inaugurò l’in-

filtrazione mongola nel territorio.

Un primo ministro decise di combattere la concentrazione fondiaria ed

espropriò le terre, per diminuire, contemporaneamente, lo strapotere

dei generali. Tale politica lungimirante sortì al momento l’effetto di aliena-

re alla corte le simpatie dell’aristocrazia fondiaria e dell’élite militare. Per

tutta risposta, diversi generali passarono nelle fila dei Mongoli, che nel

1276 entrarono pressoché indisturbati nella capitale, facendo prigioniera

la corte.

13. Cuscino in ceramica, decorato con motivi di navi, dinastia Song.

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UNA CREAzIONE DELLA mENTE

“Il paesaggio è una creazione della mente, una forma d’arte superiore”.

È Mi Fu, talento versatile della dinastia, che scrive. Forse potremmo par-

tire da questa indicazione per considerare il paesaggio Song dal X se-

colo in poi, una forma d’arte sempre più astratta, sicuramente un’astra-

zione del reale, con pennellate che tendono sempre più alla calligrafia,

a un livello per cui il crinale tra pittori di mestiere e pittori letterati si fa

irriducibile. I primi puntano a una resa realistica, bozzettistica del sogget-

to, che i Cinesi chiamano xiesheng, “trascrivere il vivo”; i secondi cercano

di cogliere l’essenza, l’idea e la rivisitazione personale del soggetto, e

definiscono il proprio procedere xieyi, “trascrivere l’idea”.

Quando cercano di “trascrivere l’idea”, i pittori non si preoccupano mi-

nimamente di usare la prospettiva, che il patrimonio visivo cinese in

realtà conosceva bene: i carpentieri di corte dipingevano infatti jiehua,

pitture delimitate, rotoli con soggetti architettonici, in prospettiva iso-

metrica e con tanto di righelli, per pennellate infallibili.

Fino ai Song i telai con cui si realizzavano i rotoli in seta per la pittura

raggiungevano un’ampiezza massima di 60 centimetri: conveniva dunque

adottare rotoli verticali di questa lunghezza, perché ogni nuovo rotolo,

avendo una diversa concentrazione di trama e ordito, assorbiva meglio

o peggio l’inchiostro; anche nei rotoli orizzontali, ottenuti giuntando

pezze diverse, i pittori cercavano di effettuare scansioni corrispondenti,

per evitare sbalzi di resa dell’inchiostro.

La pittura di paesaggio è quindi in ascesa; ma dalle fonti letterarie noi

sappiamo che il genere più in voga rimaneva la figura umana.

Anche se nei secoli i collezionisti hanno compiuto una selezione delle

opere che non rispecchia più il gusto del XII-XIII secolo, fortunatamente

i Song sono la prima dinastia per la quale non dobbiamo ricorrere mas-

sicciamente a copie per esaminare lo sviluppo della pittura.

I dinasti cercavano certo pittori xiesheng per il loro Yuhuayuan, l’Accade-

mia imperiale di pittura, che aveva precedenti alla corte di Chengdu e

a Nanjing. Funzionava come un dipartimento dello Hanlin, l’Accademia

degli esami: quindi si accedeva per selezione. Ai concorrenti veniva as-

segnato un tema, spesso una poesia antica, arrivando a esiti interessanti

quando il verso chiave era un profumo, o un sentimento.

Alla selezione veniva premiata l’originalità dell’idea; ma una volta che il

candidato era stato ammesso, alla scuola si apprezzava la somiglianza

formale all’oggetto; a questo punto l’Accademia rischiò quindi di diveni-

re l’epicentro di un trito manierismo. Vale la pena dare qualche numero

relativamente a questa istituzione, che non era un istituto mastodontico,

ma si trattava di un centro ad altissima selezione, dove vivevano in me-

dia 3 pittori titolari, 6 pittori apprendisti, 4 assistenti e 40 studenti.

Non bisogna dimenticare che chi accedeva alla Hanlin poteva consulta-

re la collezione imperiale. Da una parte ciò costituiva un privilegio e una

preziosa occasione di approfondimento, dato che la catalogazione del

patrimonio imperiale commissionata da Huizong aveva contato circa

seimila dipinti; dall’altra risultava imbarazzante non allinearsi al gusto del

più facoltoso collezionista dell’impero, il sovrano stesso.

Guo Xi nacque verso il 1020 a Wenxian, nel Henan, quindi nella parte

settentrionale. Assistente professore al Yuhuayuan, l’Accademia di pittu-

ra, famoso per il modo in cui dipingeva alberi secchi incastonati in pae-

saggi invernali, molto prolifico, piaceva a Shenzong, ma non a Huizong (il

che è indice di un gusto forte, non accademico), che relegò i suoi dipinti

in deposito, seguito a ruota, per essere à la page, da altri collezionisti;

si arrivò al punto che un dipinto di Guo Xi venne usato come straccio

14. Esempio di pingyuan (prospettiva a livello), da un manuale di pittura del XVII secolo d.C.

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da un restauratore. Per fortuna un connoisseur scorse l’opera-straccio in

tempo e la mise in salvo. Quando ricevette la commissione di decorare

i murali sulle pareti delle sale dell’Accademia, Guo ebbe un’idea geniale:

chiese ai muratori di non applicare l’intonaco uniformemente, ma di

creare degli sbalzi e degli incavi, applicandolo direttamente con le mani.

A quel punto ci dipinse sopra elementi di paesaggio, ottenendo una

formidabile corposità. Il suo Inizio di primavera è il primo dipinto firmato

e datato (1072) della storia dell’arte cinese.

Da un punto di vista compositivo, nei dipinti pervenutici Guo colloca in

posizione centrale una massa montagnosa che sembra animata da un

guizzo interno d’energia, come un serpente che si attorcigli su se stesso.

Le sue pennellate sono più lunghe, più umide, e in generale più com-

plesse di quelle di Fan Guan; la varietà nella disposizione degli elementi,

la diversa distribuzione dei pesi della composizione conduce lo sguardo

18. Fan Guan (attr.), Seduto da solo presso un ruscello, dinastia Song, inizio XII secolo d.C.

19. Huizong, Fringuelli e bambù, particolare, dinastia Song, 1100-1125 d.C. New York, Metropolitan Museum.

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attraverso il dipinto. Guo fu il primo a usare effetti di lumeggiatura per le

creste montane, senza tuttavia preoccuparsi di determinare una fonte di

luce unitaria, ma privilegiando di volta in volta l’effetto più interessante,

anche se in maniera arbitraria e incoerente. In Guo Xi, ma in generale

nella pittura cinese, la luce non promana da un punto esterno, non è

un principio organizzatore “fuori dalle cose”, forse perché i Cinesi non

credevano in un creatore dell’universo; la luce sembra invece promana-

re dalle cose stesse.

Il figlio di Guo, Guo Si, raccolse nel 1110 gli insegnamenti del padre

in un saggio (uno zibaldone, che mette insieme probabilmente anche

parole di maestri precedenti), cui diede il titolo Linchuan gaozhi (L’alto

messaggio delle foreste e dei torrenti). Il maestro nota che per restituire

la profondità del panorama, il pittore ha a disposizione le “tre distanze”:

gaoyuan, shenyuan e pingyuan (punto di fuga alto, medio, basso). Sono

accorgimenti che i pittori cinesi, dal X secolo in poi, hanno sempre se-

guito e che Guo mette a fuoco in forma manualistica.

La pittura dipende dalla calligrafia, anzi è bene che si sviluppi da essa, e

che si riconduca a essa: ne era convinto il talento titanico di Su Shi. Nato

nel 1036 a Meishan, nel Sichuan, dipingeva i bambù in una sola pen-

nellata, dal terreno fino alla punta. Agli amici che lo apostrofavano: “Ma

perché non li fai a segmenti, come tutti?”, rispondeva: “Il bambù cresce

forse a sezioni?”. Ci sono pervenute alcune sue opere, ma si contano

letteralmente sulla punta delle dita; rappresentano per lo più, appunto,

rami di bambù. Aveva un circolo esclusivo di amici, come il pittore Wen

Tong, a cui sopravvisse con dolore, e il calligrafo Huang Tingjian. Si incon-

travano, commentavano i grandi artisti del passato, facevano spesso da

esaminatori ai concorsi statali, discutevano di taoismo e di buddhismo

chan, senza esulare mai dai binari del confucianesimo ortodosso: era-

no intellettuali perfettamente integrati con il sistema, che si guardavano

bene da mettere in discussione. Ciononostante, qualche gesto di Su Shi

non piacque all’imperatore, che lo esiliò quattro anni sull’isola Hainan, a

sud dell’attuale Hong Kong, immersa in un clima umidissimo. Morì nel

20. Anonimo, Cervi tra aceri rossi, fine X secolo - inizio XI secolo d.C. Taipei, Museo Nazionale di Palazzo.

21. Anonimo, Peonie e gatto, dinastia Song, XII secolo d.C.

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1101, sulla via del ritorno alla capitale da un secondo esilio.

Mi Fu era un genio, disperato cultore di una Cina di altri tempi, quella dei

Jin e dei Tang. Era nato nel 1051 a Xiangyang, nello Hubei, da una famiglia

originaria dello Shanxi, sua madre era una damigella della moglie del-

l’imperatore Renzong, di origini sogdiane, perciò straniera; il figlio rivelò

sin da piccolo una capacità mnemonica notevole, che gli aprì presto la

strada per una carriera da funzionario; la madre si adoperò sempre per-

ché il figlio potesse portare avanti le sue inclinazioni. Il peggior nemico

nell’ascesa di Mi Fu nella gerarchia burocratica fu egli stesso: gli fu spesso

cambiata mansione perché non sapeva venire a compromessi e tenere

a freno la lingua mordace.

Era maniaco dell’igiene e della collezione di calligrafi; quando ancora

non era famoso, per sostenere la mania di Mi Fu per il collezionismo, la

madre dovette vendere i propri fermacapelli. Mi Fu teneva una bacinella

al proprio fianco (come nel XIV secolo il grande Ni Zan), senza asciu-

gamano, il cui utilizzo era vietato a chiunque altro. Se qualche visitatore

22. Wen Tong (1018/19-1079 d.C.), Bambù ad inchiostro, dinastia Song settentrionali. Taipei, Museo Nazionale di Palazzo.

23. Mi Fu (1052-1107 d.C.), Montagne in autunno e pini propizi, montatura a due colori, dinastia Song settentrionali.

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toccava i dipinti della sua collezione, Mi Fu li puliva. Le frequenti visite

che riceveva lo costrinsero allora a creare un reparto segreto per i

pezzi più preziosi. Barattava i pezzi, perché dopo un po’ se ne stufava:

gli bastava sapere di poter tenere vicino al cuscino esempi di calligrafie

Jin o Tang. Dipingeva solo su carta, senza l’uso di allume, il che costituiva

una vera sfida per la perizia della sua mano: la carta non trattata, infatti,

non perdona la minima sbavatura del pennello. Per stendere l’inchio-

stro sperimentò anche l’uso di bastoncini di carta o del calice del loto.

Sovrapponeva più stesure di inchiostro per dare corpo e profondità ai

soggetti rappresentati; ricorse inoltre a una resa “puntinistica”, tramite

l’applicazione di molti tratti calligrafici piccoli e rotondi, a goccia, chiamati

tradizionalmente dian: ecco perché questa tecnica “puntinistica” passa

sotto il nome di midian, cioè puntini alla Mi.

Immagine prediletta, ricorrente nei suoi dipinti, era quella di una cate-

na montuosa immersa nelle nuvole, realizzata con tecnica “senz’osso”.

Montagne in autunno e pini propizi, attribuito a lui, rappresenta splendi-

damente questa tematica tipica della sua produzione: la texture a mi-

dian suggerisce la morbidezza del manto montano, che il pittore esalta

soffondendo le alture nella luce. In primo piano, in basso, si scorge una

tettoia, per chi volesse soffermarsi a guardare il panorama ammannito

dall’artista. È un posto lasciato per lo spettatore; l’immagine è costruita

da un punto di vista alto, ma chi guarda è invitato a “scendere” nel dipin-

to. Montagne in autunno e pini propizi illustra anche l’arte della monta-

tura, cioè dell’incastonamento del dipinto in un riquadro di seta, come

fosse una protezione: recenti restauratori hanno scelto un tessuto che

riprende e ribadisce la luminosità della carta su cui il dipinto è realizzato;

il sobrio cromatismo, giallo tenue e bianco, non disturba il nostro sguar-

do mentre scandaglia l’opera.

Era inoltre molto bravo anche come ritrattista, soprattutto di perso-

naggi del passato che amava. Raccolse le sue osservazioni critiche circa

26. L’imperatore Huizong, dinastia Song. Taipei, Museo Nazionale di Palazzo.

25. Huizong, Poemi e peonie, esempio della grafia detta “magra d’oro”, dinastia Song, 1100-1126 d.C. Taipei, Museo Nazionale di Palazzo.

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i pezzi della sua collezione e gli altri maestri nello Huashi (Storia della

pittura). Grande critico e storico dell’arte, non ripete giudizi di com-

pilatori precedenti: guarda e comunica le proprie sensazioni e i dati

che possiede, non rinunciando a rilanciare gli outsider e a demolire i

grandi. Purtroppo non siamo sicuri di avere nemmeno un originale di

sua mano. Morì nel 1107: il fato lo graziò dal vedere crollare la dinastia

dei Song settentrionali.

Zhao Ji (1082-1135) a vent’anni era già un maestro affermato. Dipinge-

va a colori, tendenzialmente senza usare linee di contorno. Prediligeva

il genere dei fiori e degli uccelli e amava dipingere nel formato dei

ventagli, poi copiati dai cortigiani che lo inseguivano per farseli firmare.

Dava feste per mostrare il proprio portfolio: una sorta di vernissage cui

la corte non poteva mancare. Inaugurò uno stile calligrafico tutto suo,

la “magra d’oro”, jinshou, elegantissima, sottile e allungata quasi al limite

dello sbilanciamento, percorsa da un potente dinamismo, eppure stesa

con la tranquillità della sua mano geniale.

Sicuramente non gli mancava una straordinaria sensibilità verso la na-

tura e un approccio bohémien alla vita – che lo rendeva affascinante

nei circoli culturali – unito a un talento indiscutibile; ma parte del suo

successo era dovuto ovviamente al fatto che era salito prestissimo al

soglio imperiale con il nome di Huizong.

Se un dipinto realizzato allo Yuhuayuan non piaceva a Huizong, questi

faceva dare una ripassata di allume (con un effetto tipo “tabula rasa”) e

il pittore doveva ricominciare l’opera seguendo le sue indicazioni.

Egli stesso amava realizzare album sulle varie specie di fiori e di animali

regalati al giardino imperiale. La sua produzione è talmente alta e di

stupefacente qualità che si deve sperare avesse una sorta di bottega

di ghostpainter, e che la sua firma autografa fungesse da placet, non da

dichiarazione di autorità, altrimenti si può solo supporre che non dedi-

casse nemmeno un minuto all’arte di governare.

27. Huizong (1082-1135 d.C.), Parrocchetto a cinque colori, dinastia Song. Boston, Museum of Fine Arts.

28. Su Hanchen (attr.), Gioco invernale, dinastia Song meridionali, 1130-1160 d.C. Taipei, Museo Nazionale di Palazzo.

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L’ALTITUDINE ESTERNA E L’ALTEzzA INTERNA

I Song sono la dinastia della xingshu, della grafia individualista usata

nelle epistole, nei journals intimes. L’XI secolo dette alla luce i più grandi

maestri di tutta l’epoca: Cai Xiang, Su Shi, Huang Tingjian, Mi Fu. Que-

st’ultimo, che già abbiamo visto come pittore, era anche un collezionista

che cercava capolavori cui ispirarsi per la propria grafia. In Calligrafia su

seta del Sichuan, del 1088, usa un pennello assetato, cioè intinto in in-

chiostro poco diluito, imbastisce i caratteri con tratti forti, per mostrare

la perentoria sicurezza con cui dipinge una pezza di seta intatta che un

collezionista aveva tenuto da parte per decenni, quasi per aspettare

lui, un grande calligrafo. La grafia alterna spessori diversi, ora sottili, ora

vigorosi; il ritmo è di una fluidità invidiabile.

Huang Tingjian, caro amico di Su Shi, non dipinse mai. Nato nel 1045,

fu storiografo, procurandosi così qualche antipatia tra i potenti che lo

costrinsero all’esilio più di una volta, come successe anche all’amico, del

resto. In esilio nel Sichuan s’imbatté in una calligrafia del monaco Huaisu,

di epoca Tang. Fu una folgorazione che lo aprì al mondo della calligrafia

come mezzo di espressione dei propri sentimenti.

In Poesia in settenari, Huang porta la riflessione sul peso della compo-

sizione oltre i confini del singolo carattere: pervade di tensione l’intero

foglio, adoperando una spaziatura irregolare tra le righe, sbilanciando il

peso all’inizio con caratteri vergati più spessi, e recuperandolo al centro

e in chiusura dell’iscrizione grazie a caratteri drammaticamente più af-

fusolati. Nei suoi colofoni ai dipinti altrui sottolinea spesso che la cosa

più importante da cercare quando si dipinge è lo yun, la risonanza – o

come avrebbe detto il nostro Clemente Rebora, “la corrispondenza tra

l’altitudine esterna / e l’altezza interna”. Morì nel 1105, a 70 anni: quattro

anni dopo l’inseparabile Su Shi e due anni prima di Mi Fu.

29. Mi Fu (1052-1107 d.C.), Calligrafia su seta del Sichuan, particolare, dinastia Song settentrionali, 1088 d.C. Taipei, Museo Nazionale di Palazzo.

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31. Su Shi (1037-1101 d.C.), Testo in memoria di Huang Jidao, particolare, dinastia Song settentrionali. Shanghai, Museo di Shanghai.

30. Huang Tingjian (1045-1105 d.C.), Poesia in settenari, particolare, dinastia Song settentrionali. Taipei, Museo Nazionale di Palazzo.

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LE CERAmIChE SONg: pARADISO pER IL TATTO

Nell’XI secolo i gusti espressi dalla produzione dei forni settentrionali

e di quelli meridionali divergevano. A sud era apprezzata la ceramica

Yue e iniziava la produzione di una ceramica elegantissima, con il corpo

particolarmente sottile, bianca con invetriatura a sfumature bluastre, la

qingbai. Le fornaci settentrionali producono anch’esse una ceramica dal-

le pareti sottili, la Ding; data la sottigliezza, permette incisioni poco pro-

fonde e ha bisogno di un rinforzo per il bordo, perché non si scheggi, in

rame, oro o argento; vengono predilette le forme aperte (come i piatti),

il colore avorio, il crema con sfumature marroni, il color salsa di soia.

Nel distretto di Jun si perfezionava la tradizione dei céladon settentrio-

nali, ceramiche con decorazione floreale su una vetrina verde, oppu-

re una spessa vetrina azzurra, quasi lavanda, che va assottigliandosi ai

bordi, conquistando così una colorazione marrone-verdastra; il risultato

era una superficie monocroma setosa. Colore e forma contribuivano

a determinare la qualità “tattile” del pezzo, in un connubio che farebbe

invidia al design contemporaneo.

A un certo punto della dinastia ci si stancò di questa monocromia

– sebbene così perentoria, assoluta, che sembrava non aver bisogno di

alcun orpello ulteriore, e che aborriva qualunque decorazione concreta.

I ceramisti poterono aggiungere solo guazzi astratti, oppure movimenta-

re il corpo del vaso con spruzzi di ossido di rame.

La corte monopolizzò il risultato di alcuni esperimenti condotti proprio

nelle fornaci del distretto di Jun: nasceva la ceramica Ru, “per la corte”,

rarissima, con forme di squisita semplicità, corpo color cenere, vetrina

blu cielo, finissima craquelure su tutto il corpo: il vaso veniva appoggiato

su reggitori che lasciavano appena un’impronta minuscola. Ignoravamo

dove venisse prodotta, finché gli archeologi non ne hanno trovato una

33. Forni a Yaozhou, dinastia Song.

32. Giara con decorazioni floreali, grès qingbai, dinastia Song, 26,6 cm. Pechino, Palace Museum.

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35. Vaso tripode in ceramica Ru, dinastia Song. Pechino, Museo di Palazzo.

ventina di esemplari, d’un sol colpo, presso le fornaci di Qingliangsi, pres-

so Baofeng, nel Henan: si tratta per lo più di pezzi destinati alle scrivanie

della famiglia imperiale, i cosiddetti “amici del gentiluomo”, come i vasi

sciacqua-pennello.

La produzione detta Cizhou non era in realtà limitata a una sola forna-

ce: si riferiva piuttosto a una rete di forni, molto vasta, dallo Shanxi allo

Shandong. Rimaneva in ogni caso una ceramica per il volgo, con il corpo

in grès, la coperta color crema (a imitazione della raffinata Ding) ma con

una grande fantasia nei metodi di decorazione: ad esempio, i ceramisti

applicavano due ingobbi di diverso colore e incidevano il primo per ar-

rivare a svelare la tinta del secondo, per lo più a illustrare motivi animali

o floreali. Di particolare charme, proprio per la loro semplicità, erano

le produzioni a ingobbio scuro, usate soprattutto nella cerimonia del tè,

come vedremo nel prosieguo meridionale della dinastia.

Le soluzioni cromatiche escogitate dai ceramisti per la ceramica Chai-

yao erano davvero stupefacenti: un blu “come il cielo dopo la pioggia”,

su cui vanno a posarsi chiazze di ossido di rame, che a cottura generano

guazzi cremisi e porpora.

Nel 1127, quando la corte si trasferisce a sud, alcune ceramiche pro-

dotte nei forni settentrionali diventeranno appannaggio dei Liao e non

saranno più disponibili: terminò bruscamente, ad esempio, la produ-

zione della bellissima Ru, che rimase limitata, dunque, grosso modo agli

anni 1080-1100. La corte dovrà quindi reinventarsi un nuovo canone di

gusto, con i prodotti che aveva a disposizione.

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mODELLATO: CONCENTRAzIONE E pOTENzA

Gli scultori Song prestavano una grande attenzione all’individualità, al-

l’attitudine tutta personale, al gesto rivelatore di un carattere. Nel mo-

nastero Lingyan, presso Changqing, nello Shangdong, il modellatore ha

scelto di eternare un Luohan assiso in un’azione banale, mentre sta cu-

cendo; il filo non c’è, eppure la nonchalance e assieme la concentrazione

con cui è intento a fissare l’ago rende “concreto” il filo di fronte ai nostri

occhi. Sebbene il luohan sia colto nella vita di ogni giorno, non fatichia-

mo a immaginarne la capacità di raccoglimento quando sia intento a

meditare.

In tutt’altra direzione, di terrifica potenza, tende il modellato di un

lokapāla, un guardiano di un monastero buddhista. Questo simulacro è

il risultato di un progetto ambizioso: lo scultore voleva che sprigionasse

una sensazione di vigore, di resistenza alle intemperie. A questo fine

ha scelto di realizzarlo in ferro e ha voluto concepirlo con un’altezza

ragguardevole, ben due metri e mezzo, ricorrendo quindi alla fusione

separata di diversi “moduli”, la cui giuntura a freddo, in un secondo mo-

mento, è ben visibile. La statua pesa in tutto quasi due tonnellate.

37. Statua di Luohan assiso che cuce, dinastia Song. Changqing, Monastero Lingyan.

38. Statua del generale Lokapāla, dinastia Song, 254 cm. Henan, Dengfangzhongqiumiao.

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LA CORTE mERIDIONALE SI RIpIEgA SUL VENTAgLIO

Il trasferimento a Hangzhou fu un trauma. Una potenza culturale co-

stretta a fare i conti con la macchina da guerra nomade; il sofisticato

snobismo della corte, conscia di essere il faro culturale dell’intero Sud-

est asiatico, venne colpito al cuore. La vitalità dell’accademia si avvizzì, i

pittori diventarono delle perfette “macchine a soggetto”: chi dipingeva

solo bufali, chi orchidee; la pennellata si fece invisibile, le campiture di

colore divennero texture morbidissime.

Al momento del crollo dei Song settentrionali, il pubblico gradiva di-

pinti verticali, monumentali, di paesaggio. I Song meridionali optarono

per una scelta radicalmente opposta: nobilitarono il ventaglio, come

perfetto universo circolare in miniatura, che all’uopo poteva essere

stelaiato e rimontato come foglio d’album in una collezione. Piaceva-

no sempre più gli album a serie, a progetto: sequenze di sole peonie,

oppure di sole pesche, accoppiate a meravigliose calligrafie. Scrittura e

amore pittorico per la natura si coniugano a una bellezza impareggia-

bile, quasi isterica se si considerano i pochi centimetri quadrati in cui

si concentra. Il ventaglio, con le sue due facce, era capace di esaltare il

39. Anonimo, Gibboni razziano il nido di un airone, ventaglio montato come foglio d’album, dinastia Song meridionali, fine XII secolo d.C. New York, Metropolitan Museum.

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rapporto fra calligrafia (sul verso) e immagine (sul recto), realizzando

l’ideale già Tang del sanjue, le tre perfezioni: in un’unica opera d’arte

lo spettatore può così soppesare la grafia dell’artista (per prima cosa,

dato che la calligrafia è agli occhi cinesi l’arte più alta); godersi la poesia;

vagare infine con lo sguardo sull’immagine, valutando se si riduca a

mera illustrazione, oppure funga da complemento o contrasto rispetto

ai sentimenti espressi dalla poesia. Le tre componenti possono essere

– e solitamente lo sono – di artisti diversi, magari vissuti a secoli di

distanza: una poesia del IV secolo d.C., vergata da un amico calligrafo

del pittore che la illustra: i tre artisti si danno appuntamento per un

incontro in uno spazio così piccolo.

La corte si ripiega dal paesaggio al microcosmo del giardino. I fiori, nei

dipinti, sono sempre perfetti; mai vengono rappresentati avvizziti, già la

realtà è grama e decaduta.

Li Tang (nato a Heyang, 1070-1150 circa) visse in pieno il passaggio dai

40. Li Tang, Il dottore itinerante, particolare, dinastia Song meridionali. New York, Granger Collection.

40

Song settentrionali e quelli meridionali, avendo una grande responsabi-

lità: fu il primo direttore della riorganizzata Accademia di pittura, sotto

Gaozong. Doveva avere all’epoca 70 anni.

Li Tang organizzava la composizione con una perfetta alternanza di

vuoti e di pieni; nel dipingere strizzava o addirittura picchiettava il pen-

nello contro la seta; sviluppò la pennellata “fendente d’ascia”. Questo

genere di stesura dell’inchiostro, talora quasi a gocciolìo, conferisce un

senso di solidità alle cose, quasi una proprietà metallica. Oltre ai pae-

saggi, si dedicava a immagini di bufali e realizzava ritratti.

Nel rotolo Il duca Wen di Jin recupera il suo stato, lungo più di otto metri,

la pittura di Li è caratterizzata da una forte vena narrativa, mutuando

espedienti dalla cosiddetta “pittura delimitata” (notevole nella resa del-

la balaustra, in prospettiva isometrica) e dalla messa in scena teatrale: il

movimento dei personaggi, nascosti ma suggeriti da un recinto di tela,

che tanto ricorda un sipario, conduce lo sguardo da destra a sinistra e

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ancora a destra, dall’esterno all’interno. È una storia ambientata nel VII

secolo a.C.: il duca di Jin viaggia per la Cina a rendere visita ad altri go-

vernatori, in una sequenza di sei incontri. In ogni scena ciascun edificio

in cui l’incontro ha luogo è colto da una prospettiva diversa: la scan-

sione dello spazio suggerisce la scansione del tempo. Nell’illustrazione,

mentre uno dei governatori sta ricevendo il duca di Jin, una muta di

cavalli viene condotta nel cortile come spettacolo.

Li Tang conobbe il suo più caro e talentuoso allievo in maniera un

po’ rocambolesca. Mentre da Kaifeng la corte fuggiva a Hangzhou, il

Maestro come molti si era nascosto nei boschi per aver salva la vita

dall’invasore nomade. Mentre riposava, qualcuno cercò di rubargli lo

zaino, che del resto conteneva solo gesso e pennelli. Il ladruncolo ven-

ne bloccato: sarebbe divenuto il suo discepolo, Xiao Zhao.

È Li Tang che inaugura quell’approccio visivo al paesaggio che verrà

chiamato della “scuola Ma-Xia”, dal cognome di due suoi allievi: lui morì

dopo dieci anni di direzione dell’Accademia, mentre Ma Yuan e Xia Gui,

assai più giovani, ebbero il tempo di sviluppare le sue premesse.

La parabola pittorica di Liang Kai è curiosa, perché iniziò come ritrat-

tista baimiao, quindi con un approccio iperrealista, dai contorni netti,

vigorosi, che aveva come soggetto figure buddhiste e taoiste. Poi pian

piano passò al monocromo a inchiostro di ispirazione chan. Arrivò a

maturare un assoluto disinteresse nei confronti dell’Accademia, al pun-

to che appese la sua Cintura d’Oro – il massimo riconoscimento per

un pittore – al chiodo di una parete alla Yuhuayuan.

Liang sapeva cogliere lo spirito del personaggio, la sua concentrazione,

la relazione con l’oggetto dell’attenzione: ciò accendeva lo sguardo dei

personaggi da lui ritratti.

Dipingeva con tratti obliqui (dall’alto in basso, da sinistra a destra: il

tratto na; e dall’alto in basso, da destra a sinistra: il tratto pie), le sue

pennellate ricordano “canne spezzate”, dicevano gli antichi. Di Liang

ci rimangono pitture “compendiarie”, jianbi, realizzate con pochi tratti

essenziali. Il superficiale è spazzato via dalla sua carta.

Le sue opere erano etremamente apprezzate tra i collezionisti giappo-

nesi nel periodo Ashikaga (XIV-XVI secolo).

Mi Youren è figlio d’arte, ovvero di Mi Fu. Mentre quest’ultimo era stato

un tipico esponente del milieu dei Song settentrionali, Mi Youren operò

alla corte dei Song meridionali, dato che nacque nel 1085 e morì nel

1165. A differenza dello scomodo genitore, seppe guadagnarsi il favore

dell’imperatore e si affermò come funzionario di successo. Continuò in

realtà il soggetto stereotipo del padre, fughe di montagne perse nelle

nubi, dando prova di una sapientissima alternanza di inchiostro ora

diluito ora “duro”.

44. Liang Kai, Immortale, montatura a due colori, dinastia Song meridionali, 1140-1210 d.C., 48,7x27,6 cm. Taipei, Museo Nazionale di Palazzo.

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I Mi non erano l’unica famiglia di artisti: anche Ma Yuan veniva da una

dinastia di pittori; sotto l’imperatore Ningzong ottenne la Cintura

d’Oro all’Accademia. È famoso per aver utilizzato un’inquadratura nuo-

va, notevolmente sbilanciata, “angolata”: un intellettuale in primo piano,

suo alter ego, contempla il paesaggio da un angolo della composizione.

Il punto di vista è basso, le montagne distanti sono schiacciate, quelle

vicine sono alte. La pennellata richiama moltissimo le soluzioni del suo

maestro, Li Tang. A differenza di molti paesaggisti precedenti, non si per-

de in dettagli: rinuncia al superfluo, mette in campo solo elementi che

portino linee di forza per la composizione; lo sguardo dello spettatore,

in questa maniera, non può indugiare nella scena, ma è condotto dove

vuole l’artista. Il Maestro suggerisce una corrispondenza tra il vuoto

creato e il silenzio che si impone di fronte alla contemplazione della

natura.

Non bisogna credere che Ma Yuan abbia utilizzato esclusivamente la

composizione angolata: abbiamo copie di sue pitture parietali di pae-

45. Ma Yuan, Guardando gemme di pruno sotto la luna piena, ventaglio montato come foglio d’album, dinastia Song meridionali, 25,1x26,7 cm. New York, Metropolitan Museum.

45

48. Ma Lin, In attesa degli ospiti alla luce di una lampada, dinastia Song meridionali. New York, Granger Collection.

48

saggio verticali, di impressionante potenza eppure non angolari. Con-

frontare due sue opere dalla composizione simile può essere chiarifi-

catore. In Guardando gemme di pruno sotto la luna piena, il funzionario

protagonista della scena guarda verso l’alto: anche la vegetazione tende

verso la luna. Il servitore, mentre regge il liuto per il padrone, impara da

questi la pazienza nella contemplazione del paesaggio.

In Uno studioso contempla una cascata, l’autore guarda ormai verso il

basso: anche il pino si accanisce a scendere, senza più vigore. Ciò che

il pittore contempla, noi non lo vediamo, non è condiviso con noi. Il

servo aspetta imbarazzato; sembra intuire la mestizia del padrone. Il

Maestro intesse un gioco di sguardi: Ma Yuan ci spinge a identificarci

con lo sguardo del servo, che a sua volta osserva il funzionario; non ci

invita a identificarci direttamente in lui. Ne scaturisce una sensazione

d’abbattimento, e di seclusione dell’artista, emozioni che probabilmen-

te andavano di pari passo con il declino della dinastia. Temujin, capo dei

Mongoli, già imperversava nelle lande settentrionali: sarebbe passato

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alla storia con il nome di Gengis Khan.

Con Ma Lin, vissuto nella prima metà del XIII secolo, continuiamo ad

avere a che fare con figli d’arte – figlio di Ma Yuan, in questo caso; con

tutta probabilità i due lavorano nello stesso studio. Il padre aveva diver-

si giovani a bottega, ma un aneddoto maligno vuole che egli firmasse

alcuni dei dipinti meglio riusciti del figlio, per favorire il decollo della

sua carriera. In realtà come paesaggista sarebbe stato difficile superare

l’ingombrante primato paterno, ma nella rappresentazione del micro-

cosmo domestico Ma Lin si affermò come un autentico poeta.

Nel suo In attesa degli ospiti alla luce di una lampada ritrae una sce-

na di toccante semplicità: una festa tra amici, radunati per ammirare i

fiori di pruno sotto la luce della luna piena. Il dipinto, tra l’altro, non si

concentra nemmeno sul momento della contemplazione della natura,

di per sé commovente, ma sulla trepida attesa dei compagni con cui

condividere questa gioia. A otto secoli di distanza, questo capolavoro

sull’amicizia e sulle piccole cose è ancora capace di forte presa.

Nel superbo Strati di seta ghiacciata Ma Lin ribadisce la predilezione

per una rarefazione assoluta della composizione, che ci aiuta a perce-

pire il freddo terso della prima fioritura; il nostro sguardo si sofferma

sul silenzioso spazio preparato per il colofone: è dell’imperatrice Yang

Meizi (1162-1232), la quale aveva calligrafato anche opere del padre.

Li Song, vissuto nella prima metà 1200, da ragazzino faceva il carpen-

tiere, poi venne adottato dal pittore Li Congxun. Non rinnegò le sue

umili origini, anzi seppe farne motivo di ispirazione per i suoi gruppi di

figure: emerge la capacità di immergersi nella realtà del popolino, di

interpretarne le ansie, l’allegria fugace. Un’attenzione rara nella pittura

cinese, che di solito si mantiene “alta”, aulica, e non sa mescolarsi con la

vita dei non aristocratici. Forse proprio per questo la pittura a soggetto

popolare (le fangsuhua, scene di genere) è tanto più stupefacente. Il

dipinto di Li, Venditore ambulante di gingilli, diventa un’occasione per ac-

cumulare dettagli con pennellate puntigliose, al limite della pignoleria.

Il pubblico amava particolarmente i draghi di Chen Rong. Lo dimostra

49. Ma Lin, Strati di seta ghiacciata, dinastia Song meridionali, 101x49,6 cm. Pechino, Museo di Palazzo.

50. Ma Lin, Paesaggio con grande pino, dinastia Song meridionali, 1250 circa d.C. New York, Metropolitan Museum.

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52. Li Song, Venditore ambulante di gingilli, dinastia Song meridionali, 1211 d.C, 25,5x70,5 cm. Pechino, Palace Museum.

Nove draghi, un lungo rotolo di 11 m, del 1244, scandito da ben 50 tra

colofoni e sigilli di collezionisti e apprezzatori vari. Chen aveva metodi

di lavoro assolutamente non ortodossi: il primo passo, pare imprescin-

dibile, era quello di raggiungere l’ebbrezza. Quindi realizzava le nuvole

applicando l’inchiostro a guazzi (pomo). Il senso del vapore acqueo che

promana alla comparsa dei draghi veniva ottenuto sputando acqua

sul rotolo. Non solo, immergeva per giunta il cappello nell’inchiostro e

lo usava poi come tampone sulla seta. Solo a questo punto rifiniva le

campiture di inchiostro ottenute con il pennello. Era ancora più audace

nella composizione, dove ricorreva a un procedimento metonimico:

talora accenna semplicemente una spalla o uno scampolo di testa per

l’intero drago. Questo Pollock ante litteram fu evidentemente molto

bravo nel conciliare piacere e dovere, perché svolse in maniera inap-

puntabile il suo vero lavoro: quello di funzionario governativo.

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53. Chen Rong (1235-1262), Nove draghi, particolare, dinastia Song meridionali, 1244 d.C, 46,3x1096,4 cm. Boston, Museum of Fine Arts.

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CAmbIA LA TERRA, LE CERAmIChE DEVONO CAmbIARE RICETTA

Sotto i Song, la qualità nella produzione della ceramica si diffonde: non

sono più pochi fornaci individuabili a gestire il tecnopolio, ma tutte le

fornaci hanno un know-how altissimo e condiviso. La sfumatura dell’in-

gobbio verde dei céladon, ad esempio, si fa più uniforme, su tutto il ter-

ritorio settentrionale. È solo sotto i Song che la ceramica è addirittura

preferita ai metalli preziosi, probabilmente dietro l’impulso del gusto dei

funzionari-letterati, che amavano la discrezione. Purtroppo è un’arte

che annega nell’anonimato: non ci è pervenuto il nome nemmeno di

un vasaio.

55. Schema di un forno a drago di Longquan per la produzione ceramica, dinastia Song meridionali.

56. Ceramica Jizhou con decorazione a foglia, dinastia Song meridionali, fine XII secolo d.C. Bath, Museum of East Asian Art.

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Nel corso della dinastia Song vi fu un boom della produzione cerami-

ca, grazie all’adozione di forni “a drago”: sfruttavano declivi naturali per

snodarsi lungo diversi metri, e arrivavano a contenere sino a 20.000

pezzi per volta.

Le fornaci per la nuova capitale, nei dintorni di Hangzhou, realizzava-

no ceramiche dette guan, “di corte”, con pareti sottili, con un impasto

d’argilla che, una volta cotta, diventava scura; sul corpo veniva applicata

un’invetriatura grigio-azzurra. La Guan, praticamente, era la versione

“dell’esilio” della ceramica Ru: gli artigiani cercarono di riprodurla, ma

l’impasto di terre non era il medesimo. L’ingobbio risulta più spesso, più

chiaro, la craquelure più fitta.

Di fronte al fallimento diplomatico con i nomadi e al fiorire di scavi

archeologici, l’élite apprezza forme più conservative, che riecheggiano le

forme delle dinastie passate.

La porcellana qingbai (con caratteristiche cui abbiamo già accennato:

pareti sottili, candide, un ingobbio a spessore irregolare, azzurrato) pro-

dotta a Jingdezhen, ha motivi che richiamano talmente da vicino le ce-

ramiche Ding del periodo dei Song settentrionali, che si sospetta siano

57. Ceramica Longquan, tazza da tè, dinastia Song meridionali, fine XII - inizio XIII secolo d.C. Bath, Museum of East Asian Art.

57

opera di artigiani settentrionali fuggiti al maglio dei Jin.

La decorazione della ceramica Jian risponde prontamente alle nuove

esigenze della cerimonia del tè: preparare quest’infuso era diventato un

rito imprescindibile per l’alta società – del resto persino l’imperatore

Huizong si era preso la briga di scriverne il galateo, Chalun (Diatribe

sul tè). Ai vasai si richiedevano ora tazze scure per esaltare l’iridescen-

za sempre cangiante della bevanda. I ceramisti esaltavano una certa

oleosità dell’ingobbio, tramite l’aggiunta di ferro; l’effetto mosso della

superficie del tè può venir prorogato dalla decorazione del fondo della

tazza, con un pattern a “pelliccia di lepre”. Il Fujian, la provincia cinese

meridionale di fronte all’isola di Taiwan, produceva tazze da tè a ingob-

bio verde-scuro, specificamente per l’esportazione in Giappone.

La tazza in grès dell’illustrazione, proveniente da Jizhou, offre uno splen-

dido esempio dell’ingegno con cui i vasai cercavano di stupire il cliente.

In questo pezzo, una foglia è stata messa tra il corpo del vaso e l’ingob-

bio; una volta entrata la tazza nel forno, la foglia brucia, ma lascia la sua

impronta, un incavo nella vetrina. Alla persona che pian piano sorseggia

il suo tè, si rivela progressivamente questa finezza sul fondo della tazza,

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58. Ceramica Cizhou con decorazione da figurine di fenici, dinastia Song meridionali, XIII secolo d.C. Bath, Museum of East Asian Art. Le fenici

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che il continuo risciacquo della bevanda rende vivo e dinamico come

uno spettacolo vivente.

Continua la tradizione dei céladon, delle ceramiche a invetriatura verde:

a sud i forni di Longquan vogliono imitare la ceramica Guan; a nord la

produzione di Yaozhou (nello Shaanxi) si affranca completamente dal-

l’imitazione, i pezzi vengono decorati con incisioni più rapide.

Le fornaci di Longquan applicavano un ingobbio verde giada, di abba-

cinante purezza, su un corpo rosso bruno. La solidità monocroma dei

pezzi è resa più mossa da una fitta craquelure, raramente da una deco-

razione figurativa. Per decorare la ceramica Longquan, i ceramisti Song

ricorrevano perlopiù all’incisione, nella tradizione della ceramica Yao. I

Song settentrionali avevano preferito vasi Longquan con corpo sottile

e vetrina spessa (verde-giallognola, talora con decorazioni incise); i Song

meridionali preferivano ora un corpo spesso e la vetrina sottile (verde

susina).

La ceramica Jizhou affidava il suo fascino prettamente all’inventiva della

decorazione, e piace per questo alle dinastie settentrionali di origine

nomade: i Jin e gli Yuan. Ma questo è già il gusto del XIV secolo.

sono ottenute attraverso l’applicazione di figurine in carta: durante la cattura le figurine bruciano, lasciando in tal modo l’impronta.

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I Song perfezionarono l’arte della lacca: innanzitutto, aggiunsero alla re-

sina cenere o argilla, per renderla più plastica. Poi, partendo da nuclei

in legno, per avere suppellettili più resistenti ma comunque leggere, vi

stesero e scolpirono la lacca, realizzando così vassoi, mobili, suppellettili

buddhiste, reggicoppe per la cerimonia del tè. Wenzhou figurava tra i

centri più avanzati di questa specialità. Si usava lacca monocroma, oppu-

re si sovrapponevano vari strati di lacca di diverso colore, così si poteva

incidere la superficie del pezzo, e il taglio lasciava trasparire la tinta dello

strato sottostante, un po’ come si faceva per la ceramica Jizhou. Oppure

ancora, si intarsiava nella lacca la madreperla; o si mescolava in sospen-

sione con la resina della polvere d’oro, per rendere il pezzo più brillante,

a colori cangianti sotto la luce. Una raffinata scatola in argento del XIII

secolo, incisa e a niello, fa tesoro dei motivi decorativi della lacca.

Le scene di fiori e uccelli, così in voga nella pittura del XII-XIII, si incar-

nano non solo nell’inchiostro, ma anche nel filo di seta. Trama e ordito

vengono tenuti sbalzati l’uno rispetto all’altro grazie a un accorgimento

del telaio, cosicché le immagini che si creano sotto le agili dita delle

tessitrici sembrano in bassorilievo: è una tecnica definita appunto “seta

intagliata”, kesi, già presente nell’Asia centrale di epoca Tang, ma co-

nosce sotto i Song il suo momento di massimo sviluppo: viene usata

per creare ornamenti che conquistano la superficie degli oggetti più

“in” della vita quotidiana, quali arazzi, abiti, scarpe. Nei loro ginecei le

gentildonne realizzano gli stessi soggetti dei pittori coevi, ma nella seta

intagliata. In realtà la pittura non era preclusa alle donne, anzi; è semmai

vero il contrario, i maschi non arrischiarono di cimentarsi al telaio nel

kesi.

Il pubblico riconobbe la tessitrice più raffinata in Zhu Keruo, artista del

XII secolo, impareggiabile nel tessere peonie.

59. Scatola in argento con decorazione incisa e a niello, dinastia Song meridionali, XIII secolo d.C. Bath, Museum of East Asian Art.

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